Cap. VIII
Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse
nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio,
come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore
pascenti; addio!
Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne
parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i
sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non
pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato
e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città
tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e
davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla
casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti.
Evocata la situazione del migrante che lascia il suo paese natale dove non ha le condizioni x vivere e decide
di cercare fortuna altrove, con l’intento di tornare un giorno quando avrà dei soldi x acquistare un campo.
Primo aggettivo della città: TUMULTUOSA. C’è un confronto con quello che è noto, l’esperienza pregressa
infatti è quella di una vita tranquilla, senza affollamento. Qui una folla caotica. Anticipa i tumulti = la rivolta
del pane -> un avviso.
Boudlere = parla della città e della folla. Due personaggi: il passeggiatore di conio russeliano = cammina e
osserva in campagna, il flemier = guarda la gente, la folla, si muove in città.
Il villaggio è tutto all’esterno, en plain air. La città da l’idea di essere al chiuso, in gabbia -> manca il respiro
al valligiano che si sente schiacciato in una città labirinto.
Aria inquinata, già denunciata da Parini. Mediolanum = luogo percorso da tanti torrenti, canali. Ora sono
interrati. L’igiene non era il massimo, non c’era servizio di ritiro dei rifiuti che venivano buttati nei canali ->
zanzare e insetti. Già allora si denunciava la situazione dell’aria cittadina. Con il progresso sviluppati questi
problemi. Ambiente cittadino come innaturale e artificiale.
Moda del grand tour = i giovani delle famiglie aristocratiche e facoltose del centro e nord Europa dal 600
andavano a trascorrere un periodo nei paesi del sud Europa, della classicità. Sono turisti che assorbono le
bellezze delle civiltà mediterranee.
Migrazione come esilio perché non si vede l’ora di tornare.
Milano = visitata da Renzo in circostanze straordinarie:
1. tumulti = rivolta del pane
2. peste
Esperienza in città quindi enfatizzata x questi eventi. Non ha un volto diverso ma + accentuato -> vengono
fuori i comportamenti peggiori del cittadino. Difficoltà x R di entrare in un rapporto armonioso, di
comprensione -> i cittadini come se parlassero altra lingua.
Prima volta = R scambiato per uno dei capi della rivolta = rischia la forca
Seconda volta = R scambiato per un untore = rischia il linciaggio
Renzo alla fine dei promessi sposi racconta i fatti ai figli -> trasmette l’esperienza. Tutti gli episodi sono
legate alle due esperienze cittadine -> la città come luogo primario dell’esperienza.
R e L si salutano a Monza. Renzo inviato ai padri cappuccini a Milano
Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti
i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care
abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che
non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il
ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de'
passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa
sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un
soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le
lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere
solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio!
Cap. XI
La strada era allora tutta sepolta tra due alte rive, fangosa, sassosa, solcata da rotaie profonde, che, dopo
una pioggia, divenivan rigagnoli; e in certe parti più basse, s'allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in
barca. A que' passi, un piccol sentiero erto, a scalini, sulla riva, indicava che altri passeggieri s'eran fatta
una strada ne' campi. (Strade scavate tra due campi)
Renzo, salito per un di que' valichi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del duomo sola sul
piano, come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando
tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano quell'ottava maraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare
fin da bambino.
Primo avvistamento = il duomo come cattedrale nel deserto. Fin da bambino sentito parlare.
È un artificio, una macchina. Una meraviglia = si dimentica dei problemi.
Ma dopo qualche momento, voltandosi indietro, vide all'orizzonte quella cresta frastagliata di montagne,
vide distinto e alto tra quelle il suo Resegone, si sentì tutto rimescolare il sangue, stette lì alquanto a
guardar tristamente da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua strada.
Nel fermo e lucia = paragone tra il duomo e il Resegone. Poi cade nella versione definitiva.
Agli occhi di R, il suo cuore lo porta a pensare quanto sarebbe + bello stare davanti al Resegone. È un
camminare guardando indietro.
Walter Begnamin = scuola di Francoforte -> angelo cammina in avanti guardando indietro = idea della
modernità che guarda con nostalgia il passato ma è spinto ad allontanarsi.
R va avanti a malincuore -> tristezza, passo affaticato
scese allora nella strada, camminò ancora qualche tempo, e quando s'accorse d'esser ben vicino alla città,
s'accostò a un viandante, e, inchinatolo, con tutto quel garbo che seppe, gli disse: - di grazia, quel signore. -
Che volete, bravo giovine?
- Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per andare al convento de' cappuccini dove sta il padre
Bonaventura?
L'uomo a cui Renzo s'indirizzava, era un agiato abitante del contorno, che, andato quella mattina a Milano,
per certi suoi affari, se ne tornava, senza aver fatto nulla, in gran fretta, ché non vedeva l'ora di trovarsi a
casa, e avrebbe fatto volentieri di meno di quella fermata. Con tutto ciò, senza dar segno d'impazienza,
rispose molto gentilmente: - figliuol caro, de' conventi ce n'è più d'uno: bisognerebbe che mi sapeste dir più
chiaro quale è quello che voi cercate -. Renzo allora si levò di seno la lettera del padre Cristoforo, e la fece
vedere a quel signore, il quale, lettovi: porta orientale, gliela rendette dicendo: - siete fortunato, bravo
giovine; il convento che cercate è poco lontano di qui. Prendete per questa viottola a mancina: è una
scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d'una fabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto;
costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta orientale. Entrate, e, dopo tre o quattrocento
passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi: là è il convento: non potete sbagliare. Dio v'assista, bravo
giovine -.
Indicazioni = porta orientale. Vi erano le mura spagnole e si accedeva a Milano tramite le porte. C’erano le
guardie = i gabellini (gabella = tassa x entrare). Entrata per chi arrivava da Monza.
Si nomina subito il lazzaretto = anticipazione
Viandante è gentile. Manzoni spiega il perché.
E, accompagnando l'ultime parole con un gesto grazioso della mano, se n'andò. Renzo rimase stupefatto e
edificato della buona maniera de' cittadini verso la gente di campagna; e non sapeva ch'era un giorno fuor
dell'ordinario, un giorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti.
[…]
R non sa il contesto dei tumulti. Questo tale a Milano ha visto l’aria che girava a Milano. Quel tale era
gentile con la gente del popolo come se avesse supposto che R andava a Milano x menare e arruffare pane
e farina.
Cappa = mantellina dei gentiluomini
Farsetto = sorta di gilè del popolo
Metonimia = cappe e farsetti -> indumento x designare chi lo indossa.
I gentiluomini hanno paura
Renzo entra, passa; nessuno de' gabellini gli bada: cosa che gli parve strana, giacché, da que' pochi del suo
paese che potevan vantarsi d'essere stati a Milano, aveva sentito raccontar cose grosse de' frugamenti e
dell'interrogazioni a cui venivan sottoposti quelli che arrivavan dalla campagna.
Racconti di chi era già stato = non accolti a braccia aperta, guardati con sufficienza.
A R non fanno l’interrogatorio -> irritare un popolano in quel giorno era rischioso = paura anche tra i
gabellini.
La conoscenza dall’esperienza = ci fa imparare se ci spiazza. Nel caso di R prima che esperienza diventa
conoscenza capitano dei guai. R è confuso qui ma è lontano dal pensare ai tumulti. Pensa che i cittadini
siano gentili e che non fosse vero che per entrare bisognava essere inquisiti. In realtà erano eccezionalità
del momento.
La strada era deserta, dimodoché, se non avesse sentito un ronzìo lontano che indicava un gran
movimento, gli sarebbe parso d'entrare in una città disabitata.
I tumulti avvengono in centro -> si converge dalla periferia al centro xk l’unione fa la forza, c’è bisogno di
essere massa
Andando avanti, senza saper cosa si pensare, vide per terra certe strisce bianche e soffici, come di neve; ma
neve non poteva essere; che non viene a strisce, né, per il solito, in quella stagione. Si chinò sur una di
quelle, guardò, toccò, e trovò ch'era farina.
All’inizio lontano da pensare cosa succede. Mentalità da montanaro: vedo bianco= vedo neve. Fa fatica a
decifrare.
San Martino = in estate
" Grand'abbondanza ", disse tra sé, " ci dev'essere in Milano, se straziano in questa maniera la grazia di
Dio. Ci davan poi ad intendere che la carestia è per tutto. Ecco come fanno, per tener quieta la povera gente
di campagna ".
Come mai duranete carestia c’è questo spreco? La risposta è sbagliata. Ignora cosa sta succedendo a
Milano. Pensa che la carestia sia stata inventa per tenere buona la gente di campagna e vivere in
abbondanza lì in città.
Ma, dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide, appiè di quella, qualcosa di più strano; vide
sugli scalini del piedestallo certe cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul banco
d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarli pani.
Ci sono pani abbandonati. Prima ipotesi di R è che quelle cose fossero ciottoli. Mai e poi mai potuto
aspettare delle pagnotte lasciate sul piedistallo. Sono pani fuori posto = questo è strano, esula dalla sua
esperienza.
Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello. "
Vediamo un po' che affare è questo ", disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno:
era veramente un pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle
solennità. - È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: - così lo seminano in questo
paese? in quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? Che sia il paese di
cuccagna questo?
È sbalordito.
Discorso indiretto libero. Diamine appartiene al personaggio. Manzoni ha anticipato Verga. Già qui
introdotto passaggio da narratore onnisciente al personaggio.
Fatto insolito = farina bianca, dal frumento, da farina setacciata, non integrale con la crusca ma è pregiato.
Novella di Verga= pane nero -> quello si mangiava normalmente.
Renzo esclama -> stupore del personaggio, non si tiene dentro questo stupore.
Conclusione sbagliata = idea che Milano sia Cuccagna = ossia paese dell’abbondanza. I viveri in grande
quantità che possono essere sprecati.
La città luogo privilegiato delle esperienze di formazione.
Esperienza -> conoscenza -> sapienza
Cap 14
Prima = Renzo doveva andare da padre Bonaventura a consegnare una lettera di presentazione da parte di
padre Cristoforo x farsi accogliere e mettersi al riparo da Don Rodrigo. Bonaventura non c’è e portinaio
dice a R di andare intanto in chiesa. R sente rumori e quindi va verso il Duomo e lì si lascia coinvolgere,
assiste alle varie vicende. Vicario di provvigione = diventa capro espiratorio della rivolta.
Sospetto che R sia il vicario travestito da montanaro = qualcuno lo vorrebbe linciare. La gente si distrae.
Ferrer con la carrozza = con la scusa di portarlo in prigione lo salva.
R si sente con i meriti di dire parere e tiene una predica in cui riporta la rivolta al suo dramma. Fa discorso
allusivo per paura di Don Rodrigo.
Cap. XIV
Renzo aveva parlato tanto di cuore, che, fin dall'esordio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro
discorso, s'eran rivoltati a lui; e, a un certo punto, tutti erano divenuti suoi uditori. Un grido confuso
d'applausi, di - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo, - fu come la risposta dell'udienza. Non
mancaron però i critici. - Eh sì, - diceva uno: - dar retta a' montanari: son tutti avvocati -; e se ne andava. -
Ora, - mormorava un altro, - ogni scalzacane vorrà dir la sua; e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il
pane a buon mercato; che è quello per cui ci siam mossi
-. Renzo però non sentì che i complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra. - A rivederci a
domani. - Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Va bene. - E qualcosa si farà. - E qualcosa si farà.
- Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da
povero figliuolo? - disse Renzo.
R si accorge che è tardi e non può tornare dai cappuccini. Pensa di andare all’osteria + vicina e andare la
mattina dai cappuccini.
- Son qui io a servirvi, quel bravo giovine, - disse uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e non
aveva detto ancor nulla. - Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro; e vi raccomanderò al
padrone, che è mio amico, e galantuomo.
- Qui vicino? - domandò Renzo. - Poco distante, - rispose colui.
La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto,
ringraziandolo della sua cortesia.
- Di che cosa? - diceva colui: - una mano lava l'altra, e tutt'e due lavano il viso. Non siamo obbligati a far
servizio al prossimo? - E camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un'altra domanda. -
Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?
- Vengo, - rispose Renzo, - fino, fino da Lecco.
- Fin da Lecco? Di Lecco siete?
- Di Lecco... cioè del territorio.
- Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da' vostri discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.
- Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po' di politica, per non dire in pubblico i fatti miei;
ma... basta, qualche giorno si saprà; e allora... Ma qui vedo un'insegna d'osteria; e, in fede mia, non ho
voglia d'andar più lontano.
- No, no! venite dov'ho detto io, che c'è poco, - disse la guida: - qui non istareste bene.
- Eh, sì; - rispose il giovine: - non sono un signorino avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da
mettere in castello, e un saccone, mi basta: quel che mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro. Alla
provvidenza!
- Ed entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva l'insegna della luna piena. - Bene; vi condurrò qui, giacché
vi piace così, - disse lo sconosciuto; e gli andò dietro.
Due cose:
• la funzione dello sconosciuto sarebbe conclusa e invece gli va dietro. Il suo scopo non era solo di
trovagli un’osteria ma interrogarlo
• paradosso = condurrò -> se conduci stai davanti, non dietro. Situazione diversa da come è
rappresentata. Dubitare che c’è un secondo fine.
- Non occorre che v'incomodiate di più, - rispose Renzo. - Però, - soggiunse, - se venite a bere un bicchiere
con me, mi fate piacere.
Oste è protagonista. È un cittadino, psicologia e fenomenologia tipici di chi è avvezzo a vivere in città. Sono
personaggi caratterizzati dalla doppiezza, sono ipocriti = nascondono la verità. La sua doppiezza si
manifesta nella distanza abissale tra quello che dice tra sé e sé e quello che dice ai due avventori. Li
accoglie.
Lo sconosciuto è tale solo per R. L’oste sa chi è. Infatti, dice maledetto. Non fa piacere. Sa che è un
cacciatore in senso metaforico, va a caccia di rei, persone da arrestare. Chi si accompagna a lui o è
collaboratore o è la preda (cane o lepre). Capacità di giudizio del cittadino che ha a che fare con sconosciuti
che per l’oste è R -> deve farsi idea. Cittadini devono valutare, fare esame di realtà.
Luna piena= dalla faccia dell’oste.
Dei pensieri dell’oste nulla traspare dal volto, come un ritratto. È lì, fisso, non cambia. Le cose se le tiene
per sé, nascoste, celate -> doppiezza tra pensare e parlare
- Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, - disse Renzo: - e poi un boccone -. Così dicendo, si buttò a
sedere sur una panca, verso la cima della tavola, e mandò un - ah! - sonoro, come se volesse dire: fa bene
un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in faccende. […]
- Preparate un buon letto a questo bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.
Premura del poliziotto che nasconde doppio fine: scoprire identità anagrafica di R.
Legge: gli osti dovevano raccogliere informazioni sui clienti. Quindi poliziotto induce l’oste a chiedere
informazioni a R.
- Volete dormir qui? - domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.
- Sicuro, - rispose Renzo: - un letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; perché son povero figliuolo,
ma avvezzo alla pulizia.
- Oh, in quanto a questo! - disse l'oste: andò al banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con un
calamaio e un pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna nell'altra.
- Cosa vuol dir questo? - esclamò Renzo, ingoiando un boccone dello stufato che il garzone gli aveva messo
davanti, e sorridendo poi con maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di bucato, codesto? (ironia)
L'oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il
braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli disse: - fatemi il
piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.
- Cosa? - disse Renzo: - cosa c'entrano codeste storie col letto?
Nel paesino di R non c’erano alberghi, movimento, traffici per cui gli suona strano che per dormire debba
comunicare le proprie generalità.
Se non volesse nascondersi non avrebbe fatto storie -> ma la sua situazione vuole mantenere anonimato.
noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di
che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi... quanto tempo ha di fermarsi in questa città... Son
parole della grida.
Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li potremo
più contare.
Manzoni ha simpatia per il suo protagonista. Se fa qualcosa è anche perché non si è mantenuto sobrio.
Poi disse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so subito che caso si fa delle
gride. […]
Allude avventura presso avvocato Azzeccagarbugli = aveva difeso i suoi protetti, i bravi.
- Cosa devo fare? - disse l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.
- Via, via, - gridaron molti di que' compagnoni: - ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole,
impicci: legge nuova Oggi, legge nuova. In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata
di rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta, disse: - lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate
scene.
- Ho fatto il mio dovere, - disse l'oste, forte; e poi tra sé: "ora ho le spalle al muro". E prese la carta, la
penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.
Strano atteggiamento del birro = dice di lasciar correre e da occhiataccia. Il birro teme che le domande
possano mettere sull’avviso R che lui sia un poliziotto, ma lui vuole rimanere coperto.
All’oste non importa di chiedere le generalità, non vuole solo andare in mezzo con la giustizia.
C’è quel che si pensa e quel che si dice = mai corrisponde.
- Porta del medesimo, - disse Renzo: - che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l'altro, senza
domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa
città.
- Del medesimo, - disse l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino.
"Altro che lepre!" pensava, istoriando di nuovo la cenere: "e in che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi
affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie".
[…]
Intanto alcuni di que' compagnoni s'eran rimessi a giocare, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni se
n'andavano; altra gente arrivava; l'oste badava agli uni e agli altri: tutte cose che non hanno che fare con la
nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva l'ora d'andarsene; non aveva, a quel che paresse,
nessun affare in quel luogo; eppure non voleva partire prima d'aver chiacchierato un altro poco con Renzo
in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il discorso del pane; e dopo alcune di quelle frasi che, da qualche
tempo, correvano per tutte le bocche, venne a metter fuori un suo progetto. - Eh! se comandassi io, - disse,
- lo troverei il verso di fare andar le cose bene.
- Come vorreste fare? - domandò Renzo, guardandolo con due occhietti brillanti più del dovere, e storcendo
un po' la bocca, come per star più attento. (già alticcio)
- Come vorrei fare? - disse colui: - vorrei che ci fosse pane per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi.
- Ah! così va bene, - disse Renzo.
- Ecco come farei. Una meta onesta, che tutti ci potessero campare. E poi, distribuire il pane in ragione delle
bocche: perché c'è degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa raffa, pigliano a
buon conto; e poi manca il pane alla povera gente. Dunque dividere il pane. E come si fa? Ecco: dare un bel
biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane dal fornaio. A me, per
esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con
moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi
tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche. A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto
per... il vostro nome?
- Lorenzo Tramaglino, - disse il giovine; il quale, invaghito del progetto, non fece attenzione ch'era tutto
fondato su carta, penna e calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere di raccogliere
i nomi delle persone.
Complice il vino.
Il birro riesce a storcere le generalità. Il birro non si chiama così, non fa lo spadaio -> mente x ottenere il
suo scopo. R ci casca. R non si rende conto, ironia del narratore = carta, penna e calamaio.
- Così va bene, - gridò Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non la fanno
una legge così?
- Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne vo; perché penso che la moglie e i figliuoli
m'aspetteranno da un pezzo.
Acquisito elementi sulla psicologia dei cittadini: dato di partenza è l’anonimato. Qui vengono fuori pericoli,
raggiri di cui si può rimanere vittime per la doppiezza dei cittadini.
Nella prossima disavventura 34 = viene fuori paura e sospetto -> sono una difesa, si alza la guardia perché
non si conoscono le persone. La cautela non appartiene a R perché si conosceva tutti al paesello.
Il non conoscersi produce paura e conoscersi. R è frastornato, non capisce perché venga scambiato per un
untore, ben 2 volte, a causa dei gesti che non hanno a che fare con la diffusione del contagio.
Renzo entra a Milano x la seconda volta = è decisione coraggiosa dettata x amore. Non sa + nulla di L.
Ha saputo che è stata affidata alla protezione di don Ferrante a Milano. Con la peste, ha l’ansia di sapere se
L stia bene. Tornare nel ducato di Milano, lui era in esilio Bergamo (rep di Venezia), correva rischio =
condanna a morte. C’è rischio ma prevale l’amore.
Entra senza che i gabellini lo interrogano. È una città aperta e senza regole.
Cap. XXXIV
La strada che Renzo aveva presa, andava allora, come adesso, diritta fino al canale detto il Naviglio: i lati
erano siepi o muri d'orti, chiese e conventi, e poche case. In cima a questa strada, e nel mezzo di quella che
costeggia il canale, c'era una colonna, con una croce detta la croce di sant'Eusebio.
Ci immaginiamo la città piena di gente. Durante i tumulti nel centro. Durante la peste molti morti, alcuni
nel lazzaretto. Quelli sani chiusi in casa.
C’è colonna come nell’11 cap.
E per quanto Renzo guardasse innanzi, non vedeva altro che quella croce. Arrivato al crocicchio che divide
la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti, vide a dritta, in quella strada che si chiama lo
stradone di santa Teresa, un cittadino che veniva appunto verso di lui.
" Un cristiano, finalmente! " disse tra sé; e si voltò subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la
strada da lui.
il cittadino vede un forestiero, diverso da cristiano. Non appartiene alla comunità urbana, uno straniero =
fa scattare il sospetto. È un pregiudizio. Così va spesso il mondo = detto nel cap 8. -> anche nel nostro
millennio. Sospettiamo che sia fonte di pericolo.
R parla linguaggio, codice diverso dai cittadini.
Ci dice della sua psicologia= timore che possa fargli del male, un nemico. Siamo in piena epidemia, è
comprensibile. È un possibile untore.
e tanto più, quando s'accorse che, in vece d'andarsene per i fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu
poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise
l'altra mano nel cocuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto.
Gesto frainteso = è di umiltà e rispetto. Correva voce che untori andavano spargendo polverina o ungendo
con sostanza oleosa le maniglie delle porte. C’era idea che nel cappello ci potesse essere polvere da
buttare addosso ad altri.
C’è ancora parola “sconosciuto”.
Andare + direttamente= intenzione di entrare in dialogo, accelerare per avere notizie. Ma interpretato
come aggressione.
Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltata la
punta, ch'era di ferro, alla vita di Renzo, gridò: - via! via! via!
Si mette in guardia. Bastone come arma. È lo stesso atteggiamento di padre Cristoforo quando deve
puntare il dito vs don Rodrigo = postura tipica dello spadaccino, di chi si deve difendere da aggressione e si
prepara al contrattacco.
Non coerente con le premesse e aspettative di R.
- Oh oh! - gridò il giovine anche lui; rimise il cappello in testa, e, avendo tutt'altra voglia, come diceva poi,
quando raccontava la cosa, che di metter su lite in quel momento, voltò le spalle a quello stravagante, e
continuò la sua strada, o, per meglio dire, quella in cui si trovava avviato.
Stravagante= impossibilità di comprendere quella reazione. Non capisce nemmeno a posteriori perché
reazione.
L'altro tirò avanti anche lui per la sua, tutto fremente, e voltandosi, ogni momento, indietro.
E arrivato a casa, raccontò che gli s'era accostato un untore, con un'aria umile, mansueta, con un viso
d'infame impostore, con lo scatolino dell'unto, o l'involtino della polvere (non era ben certo qual de' due) in
mano, nel cocuzzolo del cappello, per fargli il tiro, se lui non l'avesse saputo tener lontano.
- Se mi s'accostava un passo di più, - soggiunse, - l'infilavo addirittura, prima che avesse tempo
d'accomodarmi me, il birbone. La disgrazia fu ch'eravamo in un luogo così solitario, ché se era in mezzo
Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare a acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata
porcheria nel cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza risicare di
cercarmi un malanno; perché un po' di polvere è subito buttata; e coloro hanno una destrezza particolare; e
poi hanno il diavolo dalla loro. Ora sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa! - E fin che visse, che fu per
molt'anni, ogni volta che si parlasse d'untori, ripeteva la sua storia, e soggiungeva: - quelli che sostengono
ancora che non era vero, non lo vengano a dire a me; perché le cose bisogna averle viste.
[…]
Con una nuova e più forte ansietà in cuore, il giovine prende da quella parte. È nella strada; distingue subito
la casa tra l'altre, più basse e meschine; s'accosta al portone che è chiuso, mette la mano sul martello, e ce
la tien sospesa, come in un'urna, prima di tirar su la polizza dove fosse scritta la sua vita, o la sua morte.
Finalmente alza il martello, e dà un picchio risoluto.
Dopo qualche momento, s'apre un poco una finestra; una donna fa capolino, guardando chi era, con un viso
ombroso che par che dica: monatti? vagabondi? commissari? untori? diavoli?
Diavoli = fa parte delle leggende. Storia di aver visto carrozza da dove era uscito il diavolo. Contagio a causa
del demonio. Nel 600 ci sono tante sentenze vs stregoneria (streghe avevano fatto patto con il diavolo).
Sospetto fortissimo.
- Quella signora, - disse Renzo guardando in su, e con voce non troppo sicura: - ci sta qui a servire una
giovine di campagna, che ha nome Lucia?
- La non c'è più; andate, - rispose quella donna, facendo atto di chiudere.
- Un momento, per carità! La non c'è più? Dov'è?
- Al lazzeretto -; e di nuovo voleva chiudere.
- Ma un momento, per l'amor del cielo! Con la peste?
- Già. Cosa nuova, eh? Andate.
- Oh povero me! Aspetti: era ammalata molto? Quanto tempo è...?
Ma intanto la finestra fu chiusa davvero.
La paura del contagio = si perde tratto di umanità si è molto presi dal pericolo che non ci si sforza a
mettersi nei panni di chi ti chiede. R ha il cuore in tumulto, si preoccupa. Lazzaretto fuori dalle porte
orientale di Milano. Lazzaretto ha due porte, una verso la città e una verso la compagna dove c’erano fosse
comuni.
Estremo egoismo = non c’è ascolto.
- Quella signora! quella signora! una parola, per carità! per i suoi poveri morti! Non le chiedo niente del suo:
ohe! - Ma era come dire al muro.
Afflitto della nuova, e arrabbiato della maniera, Renzo afferrò ancora il martello, e, così appoggiato alla
porta, andava stringendolo e storcendolo, l'alzava per picchiar di nuovo alla disperata, poi lo teneva
sospeso.
In quest'agitazione, si voltò per vedere se mai ci fosse d'intorno qualche vicino, da cui potesse forse aver
qualche informazione più precisa, qualche indizio, qualche lume. Ma la prima, l'unica persona che vide, fu
un'altra donna, distante forse un venti passi; la quale, con un viso ch'esprimeva terrore, odio, impazienza e
malizia, con cert'occhi stravolti che volevano insieme guardar lui, e guardar lontano, spalancando la bocca
come in atto di gridare a più non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia scarne,
allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d'artigli, come se cercasse d'acchiappar
qualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che qualcheduno non se n'accorgesse. Quando
s'incontrarono a guardarsi, colei, fattasi ancor più brutta, si riscosse come persona sorpresa.
Gesticolare = x chiamare attenzione degli altri -> quel tale è un untore, colto sul fatto.
- Che diamine...? - cominciava Renzo, alzando anche lui le mani verso la donna; ma questa, perduta la
speranza di poterlo far cogliere all'improvviso, lasciò scappare il grido che aveva rattenuto fin allora: -
l'untore! dàgli! dàgli! dàgli all'untore!
- Chi? io! ah strega bugiarda! sta' zitta, - gridò Renzo; e fece un salto verso di lei, per impaurirla e farla
chetare. Ma s'avvide subito, che aveva bisogno piuttosto di pensare ai casi suoi. Allo strillar della vecchia,
accorreva gente di qua e di là; non la folla che, in un caso simile, sarebbe stata, tre mesi prima; ma più che
abbastanza per poter fare d'un uomo solo quel che volessero. Nello stesso tempo, s'aprì di nuovo la
finestra, e quella medesima sgarbata di prima ci s'affacciò questa volta, e gridava anche lei: - pigliatelo,
pigliatelo; che dev'essere uno di que' birboni che vanno in giro a unger le porte de' galantuomini.
Renzo non istette lì a pensare: gli parve subito miglior partito sbrigarsi da coloro, che rimanere a dir le sue
ragioni: diede un'occhiata a destra e a sinistra, da che parte ci fosse men gente, e svignò di là. Rispinse con
un urtone uno che gli parava la strada; con un gran punzone nel petto, fece dare indietro otto o dieci passi
un altro che gli correva incontro; e via di galoppo, col pugno in aria, stretto, nocchiuto, pronto per
qualunque altro gli fosse venuto tra' piedi. La strada davanti era sempre libera; ma dietro le spalle sentiva il
calpestìo e, più forti del calpestìo, quelle grida amare: - dàgli! dàgli! all'untore! - Non sapeva quando
fossero per fermarsi; non vedeva dove si potrebbe mettere in salvo. L'ira divenne rabbia, l'angoscia si
cangiò in disperazione; e, perso il lume degli occhi, mise mano al suo coltellaccio, lo sfoderò, si fermò su due
piedi, voltò indietro il viso più torvo e più cagnesco che avesse fatto a' suoi giorni; e, col braccio teso,
brandendo in aria la lama luccicante, gridò: - chi ha cuore, venga avanti, canaglia! che l'ungerò io davvero
con questo.
Scena cinematografica.
Ennesimo equivoco generato dal pregiudizio, dalla paura.
R se la vede brutta. Tutti avevano coltello e qui lo tira fuori.
La provvidenza gli è venuta incontro perché coltello non sarebbe bastato.
LETTERATURA ITALIANA terza lezione
Manzoni = (romanzo di formazione e sfera morale)
Ha detto cose interessanti sulla città come luogo dell’esperienza ma non tutto.
Punto di vista è quello del romanzo di formazione che ha come protagonista due giovani valligiani che non
conoscono la città, i costumi, la fenomenologia delle relazioni, la psicologia dei cittadini. Renzo diventa
adulto proprio in città con le disavventure.
Si fa esperienza quando ci si imbatte in qualcosa che esula dalle abitudini, conoscere tramite esperienze
nuove e inedite -> la città luogo x eccellenza in cui R si forma.
La città appare come qualcosa di univoco, indistinto = tutti i cittadini di assomigliano -> perché la
prospettiva è quella del romanzo di formazione di un valligiano.
Il giudizio morale di Manzoni = da buon cristiano tende a suggerire un giudizio morale per tutti i
personaggi. È legato al bene e al male, azioni buone e malvage, è un criterio universale = non c’è
distinzione nella classe umanità = uomini x peccato originale sono soggetti al male. L’uomo si comporta o
secondo la legge di Dio o contro = prospettiva universale -> uomini soggetti alle stesse leggi. Unica
restrizione del giudizio morale è l’antinomia tra cittadini e non cittadini.
Differenza rispetto a Verga. (classi sociali e primato dell’avere = la roba) = 1883
Qui non c’è distinzione tra ceti sociali in città. Verga ha scritto novelle ambientante a Milano, libro “per le
vie”. Punto di vista interno alla città, entra nell’ambiente urbano, contatti con strati più umili = ci fa
scoprire che i cittadini non sono tutti uguali, ci sono sottocategorie: chi è ricco e chi no, chi può sprecare i
soldi e chi non arriva alla fine del mese.
La roba = in città è il denaro che serve per comprare il necessario e divertirsi se avanza, in ambiente rurale
è il possedimento, la terra.
Siamo in pieno darwinismo = incentrato sulla lotta x la vita, competizione per aggiudicarsi il meglio, per
progredire, avanzare, migliorare tenore di vita, in competizione con gli altri.
Protagonista = un postiglione = conducente della carrozza (le prime carrozze portavano la posta).
Soprannome= bigio
Fa un servizio taxi. Una carrozza di un privato che fa servizio di trasporto.
Per avere carrozza propria anche cavalli, un costo = solo famiglie benestanti.
Piazza della Scala, a Milano = parcheggiavano le carrozze, era il centro mondano di Mi.
Con Verga si adotta il punto di vista del narratore omodiegetico = noi suoi interlocutori, come se noi già
conoscessimo parte della storia, ci obbliga a farci un’idea via via che ci fornisce informazione. Tecnica
verghiana dell’impersonalità che è l’incipit ex abrutto, siamo gettati in medias res.
È il postiglione che parla, prospetta i disagi del suo lavoro, un lavoro che va molto tardi, fa le ore piccole. È
un lavoro all’aperto. Tutta novella giocata su interno/esterno: chi si può permettere le sere al chiuso è un
ricco che può spendere, gli altri battono i denti all’esterno. D’estate pazienza perché il buio è corto e si sta
bene anche fuori, quindi più gente che va in carrozza. Se ci sono le tendine: amore in carrozza è un topos,
dimensione erotica. D’estate si sopporta, c’è un ritorno economico. Questa è la festa dei postiglioni che
guadagnano di più. Il carnevale di febbraio è un calvario invece perché devono stare al freddo, diventano
un pezzo di ghiaccio come il barbone.
Barbone che sta in cima al complesso scultoreo (immagine)= Leonardo da Vinci + i discepoli milanesi. Si
trova a Mi, in piazza della Scala, sovrasta i postiglioni, osserva dall’alto.
Dice il barbone e non Leonardo perché il narratore è omodiegetico che non ha cultura, non ha interessi per
l’arte e la scienza. Per il postiglione è solo uno con la barba lunga.
Postiglione è sposato, ha figlioletti.
E dicono che mette allegria la neve, quelli che escono dal Cova, col naso rosso, e quelle altre che vanno a
scaldarsi al veglione della Scala, colle gambe nude. Accidenti! Almeno s'avesse il robone di marmo, come la
statua! e i figliuoli di marmo anch'essi, che non mangiano!
Dialettica interno/esterno.
Cova (+ Mondini) dentro la galleria Vittorio Emanuele = caffè esclusivo, mondano. Sono contenti della neve
solo quelli che escono dal Cova o donne che entrano alla Scala. Condizione diversa per chi lavora
all’esterno.
Naso rosso = per aver bevuto e perché c’era caldo dentro il caffè. Sbalzo di temperatura fa colorare la
faccia.
Chi va alla Scala = con le gambe nude, lusso di scoprirsi solo per chi entra in luoghi riscaldati, i ricchi.
I figliuoli di marmo non mangiano, il postiglione deve mantenere i figli.
Ma quelli di carne e d'ossa, se mangiano! e il cavallo, e il padrone di casa, e questo, e quest'altro! che al 31
dicembre, quando la gente va ad aspettare l'anno nuovo coi piedi sotto la tavola nelle trattorie, il Bigio
tornava a imprecare: - Mostro di un anno! Vattene in malora! Cinque lire sole non ho potuto metterle da
parte -.
Vediamo quadro economico, i conti in tasca li fa lo stesso Bigio. Ogni anno solite spese avute per mangiare,
per mantenere il cavallo, affitto = non è riuscito a mettere da parte nulla.
Prima i denari si spendevano allegramente all'osteria, dal liquorista lì vicino; e che belle scampagnate cogli
amici, a Loreto e alla Cagnola; senza moglie, né figli, né pensieri.
Il tenore di vita è peggiorato dopo il matrimonio. Rimpiange quando faceva il postiglione da scapolo. Prima
soldi avanzavano. Fa pensare alla famiglia non come nido (Pascoli), una risorsa ma come un problema, il
pensiero del sostentamento dirotta la famiglia sul piano dell’avere (non dell’essere).
Ah! se non fosse stato per la Ghita che tirava su le gonnelle sugli zoccoletti, per far vedere le calze rosse,
trottando lesta lesta in piazza della Scala! Delle calze che vi mangiavano gli occhi. E certa grazietta nel
muovere i fianchi, che il Bigio ammiccava ogni volta, e le gridava dietro: - Vettura? –
Ghita = la moglie
Ricorda quando erano giovani. È il rito del corteggiamento, della seduzione. Lei si fa notare. Lui reagisce
alla seduzione invitandola a salire in carrozza.
Lei da prima si faceva rossa: ma poi ci tirava su un sorrisetto, e finì col prenderla davvero la vettura; e
scarrozzando, il Bigio, voltato verso i cristalli, le spiattellava tante chiacchiere, tante, che una domenica la
condusse al municipio, e pregò un camerata di tenergli d'occhio il cavallo, intanto che andava a sposare la
Ghitina
Si mettono insieme.
Lui si volta indietro e le parla.
Si sposano.
Adesso che la Ghitina si era fatta bolsa come il cavallo, lui vedeva trottare allo stesso modo la figliuola,
cogli stivaletti alti e il cappellino a sghimbescio, sotto pretesto che imparava a far la modista, e sempre
nelle ore in cui il caffè lì di faccia era pieno di fannulloni, che le dicevano cogli occhi tante cose sfacciate.
Bisognava aver pazienza, perché quello era il mestiere dell'Adelina; e la Ghita, ogni volta che il Bigio
cercava di metterci il naso, gli spifferava il fatto suo, che le ragazze bisogna si cerchino fortuna; e se ella
avesse avuto giudizio come l'Adelina, a quest'ora forse andrebbe in carrozza per conto suo, invece di tenerci
il marito a buscarsi da vivere.
Ha perso il suo fascino ormai, è diventata flaccida, vecchia.
Le similitudini si riferiscono al mondo dei cavalli = paragona la moglie ad un cavallo a fine corsa.
La figlia trotta = sempre lessico legato ai cavalli.
Lui ora è padre. Prima gli piaceva quando la Ghidina faceva vedere le calze. Ora è geloso per la figlia.
Adelina = lavorava in un negozio.
Bigio vorrebbe preservare la figlia da un mondo pieno di adescatori.
La madre dice che fa bene, che sa la figlia a chi offrire le sue grazie, furba. Non come la madre che dice che
si è accontentata. La madre si era accontentata, Adelina punta più in alto.
Ghida dice che la figlia ha in mente di sposare una persona facoltosa -> dominante dell’avere + darwismo
socialista = progresso
Tant'è, suo marito, quando vedeva passare l'Adele, dondolandosi come la mamma nel vestitino nero, sotto
quelle occhiate che gridavano anch'esse: - Vettura? - non poteva frenarsi di far schioccare la frusta, a
rischio di tirarsi addosso il cappellone di guardia lì vicino.
Ma là! Bisognava masticare la briglia, che non s'era più puledri scapoli, e adattarsi al finimento che s'erano
messi addosso, lui e la Ghita, la quale continuava a far figliuoli, che non pareva vero, e non si sapeva più
come impiegarli. . Il maggiore, nel treno militare, I reggimento, e sarebbe stato un bel pezzo di cocchiere.
L'altro, stalliere della società degli omnibus. L'ultimo aveva voluto fare lo stampatore, perché aveva visto i
ragazzi della tipografia, lì nella contrada, comprar le mele cotte a colazione, col berrettino di carta in testa.
E infine una manata di ragazzine cenciose, che l'Adelina non permetteva le andassero dietro, e si
vergognava se le incontrava per la strada
Adelina vuole sedurre giovanotto benestante e non può far vedere la famiglia dalla quale proviene. Si
vergogna di essere povere, di appartenere ad un ceto sociale basso. Si è imposta mentalità borghese. La
borghesia ha trionfato. Chi non ha raggiunto quel livello aspirano a diventare borghesi e si vergognano di
essere poveri, come fosse una colpa, non furbi e disonesti abbastanza.
Voleva andar sola, lei, per le strade; tanto che un bel giorno spiccò il volo, e non tornò più in via della Stella.
Al Bigio che si disperava e voleva correre col suo legno chissà dove, la Ghita ripeteva: - Che pretendi?
L'Adelina era fatta per esser signora, cagna d'una miseria! -
Lei si consolava colla portinaia lì sotto, scaldandosi al braciere, o dal liquorista, dove andava a comprare di
soppiatto un bicchierino sotto il grembiule. Ma il Bigio aveva un bel fermarsi a tutte le osterie, ché quando
era acceso vedeva la figliuola in ogni coppia misteriosa che gli faceva segno di fermarsi, e ordinava soltanto
- Gira! - lei voltandosi dall'altra parte, e tenendo il manicotto sul viso, - e quando incontrava un legno sui
Bastioni, lemme lemme, colle tendine calate, e quando al veglione smontava una ragazza, che di nascosto
non aveva altro che il viso, egli brontolava, qualunque fosse la mancia, e si guastava cogli avventori.
Cagna miseria! come diceva la Ghita. Denari! tutto sta nei denari a questo mondo! Quelli che scarrozzavano
colle tendine chiuse, quelli che facevano la posta alle ragazze dinanzi al caffè, quelli che si fregavan le mani,
col naso rosso, uscendo dal Cova! c'era gente che spendeva cento lire, e più, al veglione, o al teatro; e delle
signore che per coprirsi le spalle nude avevano bisogno di una pelliccia di mille lire, gli era stato detto; e
quella fila di carrozze scintillanti che aspettavano, lì contro il Marino, col tintinnio superbo dei morsi e dei
freni d'acciaio, e gli staffieri accanto che vi guardavano dall'alto in basso, quasi ci avessero avuto il freno
anch'essi.
Il suo ragazzo medesimo, quello dell'Anonima, allorché gli facevano fare il servizio delle vetture di rimessa,
dopo che si era insaccate le mani sudice nei guanti di cotone, se le teneva sulle cosce al pari della statua dal
robone, e non avrebbe guardato in faccia suo padre che l'aveva fatto.
Anche secondo genito maschio rinnega suo padre perché sta meglio. Si sente superiore.
Piuttosto preferiva l'altro suo figliuolo, quello che aiutava a stampare il giornale. Il Bigio spendeva un soldo
per leggere a cassetta, fra una corsa e l'altra, tutte le ingiustizie e le birbonate che ci sono al mondo, e
sfogarsi colle stampate.
Aveva ragione il giornale. Bisognava finirla colle ingiustizie e le birbonate di questo mondo! Tutti eguali
come Dio ci ha fatti. Non mantelli da mille lire, né ragazze che scappano per cercar fortuna, né denari per
comperarle, né carrozze che costano tante migliaia di lire, né omnibus, né tramvai, che levano il pane di
bocca alla povera gente. Se ci hanno a essere delle vetture devono lasciarsi soltanto quelle che fanno il
mestiere, in piazza della Scala, e levar di mezzo anche quella del n. 26, che trova sempre il modo di mettersi
in capofila.
Il Bigio matura una coscienza di classe. L’invidia e la frustrazione inducono primo embrione di coscienza
politica e classe fomentata dai giornali della sx dell’epoca che predicavano e puntavano il dito vs le
ingiustizie a livello sociale. Dava ragione ai giornaletti socialista.
Un po' come Renzo riporta al suo caso quello che legge, c’è un orizzonte di ingiustizia diffuso ma poi c’è il
caso personale, l’ingiustizia di cui è vittima = squilibrio tra chi ha i soldi da sprecare e chi non arriva a fine
mese e poi ingiustizia legata alla sua attività, alla concorrenza che la società degli omnibus e dei tranvai fa
ai postiglioni. La stessa concorrenza dei mezzi pubblici ai taxi oggi.
Qui primi servizi di trasporto pubblico = si comprende il malcontento del Bigio xk concorrenza può portargli
via clienti.
Ricchi/poveri + trasporti vecchi/nuovi + all’interno della stessa categoria = ogni carrozza aveva il proprio
parcheggio ma quello del 26 si metteva sempre davanti nella coda.
Coscienza di classe ma anche tornaconto personale.
Il Bigio la sapeva lunga, a furia di leggere il giornale. In piazza della Scala teneva cattedra, e chiacchierava
come un predicatore in mezzo ai camerati, tutta notte, l'estate, vociando e rincorrendosi fra le ruote delle
vetture per passare il tempo, e di tanto in tanto davano una capatina dal liquorista che aveva tutta la sua
bottega lì nella cesta, sulla panca della piazza. L'è un divertimento a stare in crocchio a quell'ora, al fresco,
e di tanto in tanto vi pigliano anche per qualche corsa. Il posto è buono, c'è lì vicino la Galleria, due teatri,
sette caffè, e se fanno una dimostrazione a Milano, non può mancare di passare di là, colla banda in testa.
Ma in inverno e' s'ha tutt'altra voglia! Le ore non iscorrono mai, in quella piazza bianca che sembra un
camposanto, con quei lumi solitari attorno a statue fredde anch'esse. Allora vengono altri pensieri in mente
- e le scuderie dei signori dove non c'è freddo, e l'Adele che ha trovato da stare al caldo. - Anche colui che
predica di giorno l'eguaglianza nel giornale, a quell'ora dorme tranquillamente, o se ne torna dal teatro, col
naso dentro la pelliccia.
I pensieri tornano alle considerazioni iniziali. Le fa una persona che sta al freddo che aspetta chi esce dal
caldo. C’è amarezza, disincanto. Anche i giornalisti che scrivono sui giornali socialisti appartengono alla
borghesia che criticano, hanno buono stipendio, fanno parte della borghesia xk altrimenti non avrebbero
potuto istruirsi, vanno anche loro a teatro. È una nota ulteriore di tristezza.
Il caffè Martini sta aperto sin tardi, illuminato a giorno che par si debba scaldarsi soltanto a passar vicino ai
vetri delle porte, tutti appannati dal gran freddo che è di fuori; così quelli che ci fanno tardi bevendo non
son visti da nessuno, e se un povero diavolo invece piglia una sbornia per le strade, tutti gli corrono dietro a
dargli la baia.
Di facciata le finestre del club sono aperte anch'esse sino all'alba. Lì c'è dei signori che non sanno cosa fare
del loro tempo e del loro denaro. E allorché sono stanchi di giuocare fanno suonare il fischietto, e se ne
vanno a casa in legno, spendendo solo una lira
Rabbia, invidia x le persone che possono giocare fino a tarda ora e poi ti chiamano per una sola lira.
Ah! se fosse a cassetta quella povera donna che sta l'intera notte sotto l'arco della galleria, per vendere del
caffè a due soldi la tazza, e sapesse che porta delle migliaia di lire, vinte al giuoco in due ore, nel paletò di
un signore mezzo addormentato, passando lungo il Naviglio, di notte, al buio!...
Distanza tra poveretta che sta fuori a vendere il caffè e altri che hanno vinto o perso al gioco
O quegli altri poveri diavoli che fingono di spassarsi andando su e giù per la galleria deserta, col vento che
vi soffia gelato da ogni parte, aspettando che il custode vòlti il capo, o finga di chiudere gli occhi, per
sdraiarsi nel vano di una porta, raggomitolati in un soprabito cencioso.
Qui sono i veri barboni, senza una casa x ripararsi. Dormono all’aperto e cercano riparo nei rientri delle
porte dei negozi chiusi approfittando della distrazione vera o finta del custode.
Questi qui non isbraitano, non stampano giornali, non si mettono in prima fila nelle dimostrazioni. Le
dimostrazioni gli altri, alla fin fine, le fanno a piedi, senza spendere un soldo di carrozza.
I poveri veri.
Chiusa malinconica. Chi fa le manifestazioni le fa a piedi, non si servono della carrozza. Lui non ci guadagna
= ritorno al personale.
GABRIELE D’ANNUNZIO
Fino ad ora abbiamo parlato dei cittadini, non della città come luogo fisico.
D’Annunzio restituisce alla città il giusto spazio di attenzione, una dimensione molto monumentale. La città
come la rappresenta D è un luogo storico, di memorie storiche che si materializzano nei monumenti.
La sua città ideale è Roma.
2° libro delle Laudi = Elettra. All’interno c’è una sezione folta, intitolata “le città del silenzio”. Orvieto fa
parte di queste città. Sezione contiene 60 sonetti di tante città italiane, c’è anche Brescia.
Città descritte= sono state fiorenti, piene di vita, arte, storia e che adesso sono come morte,
addormentate. Il silenzio rappresenta il presente.
Approccio storico = città piene di storia e arte, il presente si oppone al passato e si auspica una rinascita, un
risorgimento ossia il ritorno alla vita e allo splendore antico.
ORVIETO = in Umbria, è rinascimentale. Sta in cima ad uno sperone di roccia. Era città fortificata dove c’era
la guarnigione dei soldati del papa. 1527 = sacco di Roma, papa scappa e si rifugia a Orvieto. Viene
assediata e resiste perché c’è il più famoso pozzo dell’architettura mondiale: il pozzo di San Patrizio. È un
gioiello di architettura rinascimentale, del SanGallo. Serviva per attingere acqua ma era su una roccia,
quindi, bisognava scavare 67m. ci voleva un sistema x fare le cose in maniera scientifica e produttive.
Sangallo allora organizza due rampe (x discesa e salita), molto larghe dove far scendere muli, asini con due
secchi vuoti, caricano l’acqua e risalgono. Anche elegante, con colonnini.
Il duomo è gotico-fiorito. C’è intera cappella interamente affrescata da Luca Signorelli (immagine).
Ciclo pittorico parla della fine del mondo, dei nuovissimi, della resurrezione dei corpi e del giudizio.
L’affresco riprodotto rappresenta la resurrezione dei corpi. Alcuni corpi nudi risorti e alcuni stanno uscendo
dalla terra.
Il sonetto di D ne parla e mette a tema questi monumenti oltre le mura e le torri che circondavano la città.
Orvieto, I
- Elettra, 1903 -
GABRIELE D’ANNUNZIO
Due priorità nel protagonista Andrea Sperelli:
• diventare artista
• avventure sentimentali
d’Annunzio concepisce la donna come fanfatalle e si invaghisce da queste donne fatali che considera come
nemiche alla realizzazione di sé come artista. I personaggi sono proiezione di sé. D insegue il piacere, non
riesce a separare vita da arte. Il suo capolavoro è la vita, una vita inimitabile.
Ci spostiamo da Mi a Rm.
Sposta asse della conezione della città. Mi era la capitale economica, civile, opportunità di lavoro,
progredita d’It. Verga definita la città più città d’It.
Roma è la capitale politica, ha alle spalle storia gloriosa che non ha eguali.
La rm di cui è innamorato il protagonista è una roma monumentale, che esibisce le sue bellezze, i suoi
tesori accumulati nei secoli.
D’A recupera i monumenti. La città non è solo gente, ma importanza dell’aspetto materiale delle città.
Alla fine del brano = scenografia, passione estetica/edonistica.
Si parlava di una terza Rm = 1 dei Cesari, 2 dei Papi. D’A fa paragone e predilige la seconda.
Il piacere - 1889 -
Ed egli venne a Roma, per predilezione.
Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle
Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la
Villa Medici, il Campo Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe. La
magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini l’attraeva assai più della ruinata grandiosità
imperiale. E il suo gran sogno era di possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai
Caracci, come quello Farnese; una galleria piena di Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella
Borghese; una villa, come quella d’Alessandro Albani, dove i bussi profondi, il granito rosso d’Oriente, il
marmo bianco di Luni, le statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, le memorie stesse del luogo
componessero un incanto intorno a un qualche suo superbo amore. In casa della marchesa d’Ateleta sua
cugina, sopra un albo di confessioni mondane, accanto alla domanda «Che vorreste voi essere?» egli aveva
scritto «Principe romano».
A S va a Roma e prende dimora x predilezione = Rm non città natale, ma sceglie la città, ritiene ambiente
ideato x essere appagato.
Rm luogo che dovrebbe ospitare qualche suo superbo amore.
È la rm dei papi. La rm antica sia etichettata dei cesari (non repubblicana), ideologia reazionaria ->
desiderio di restaurare modello aristocratico. Però preferisce quella dei papi. Non è religioso, ha relazioni
adulterini, fuori da morale cristiane.
A lui piace la grandiosità imperiale, si inserisce nel suo ideale di principe romano ma è una grandiosità
ruinata = monumenti sono ormai allo stadio di rovina, sono diroccati. Vedere una grandezza rovinata gli fa
pensare al sentimento del tempo che travolge, che tutto passa e lui vorrebbe non passare.
La rm dei papi offre palazzi integri, abitati = simbolo di vita che perdura nei secoli, rm monumentale ma
viva, fruibile. Ci indica palazzi in cui sarebbe piaciuto abitare (D’A attraverso Sp): palazzo Farnese (oggi
ambasciata francese), villa Borghese.
Fa cognomi: casate romane all’interno delle quali spesso si sceglieva il papa.
Conclusione: perché vuole vivere a rm? Superbo amore + principe romano. Una città monumentale con
tutte queste bellezze deve essere il teatro, il palcoscenico dove il protagonista esalta la propria vita con
amore superbo e magnificenza principesca.
Mentre in Manzoni e Verga il focus era sulle persone, D’A tende ad eliminare la presenza umana (Orvieto =
città morta con falco), non c’è traccia di esseri umani se non i nomi delle famiglie aristocratiche: società
ridotta a poche famiglie nobiliari. Il popolino rimosso. Questa città monumentale come teatro di una vita
inimitabile = Il principe e l’amore superbo (superbo qui una virtù, aggettivo positivo = un amore di classe,
da esibire. È D’A che crea costume di questa vita inimitabile = tutti poi lo imitano.
MARINETTI
Autore del manifesto del futurismo.
Ribalta, da della città una visione rovesciata rispetto a quella dannunziana.
Tema di fondo: abbattiamo, distruggiamo musei, pinacoteche, accademie, cioè tutto quello che appartiene
al passato monumentale. Questo passato finisce x diventare una camicia di forza, un macigno che
impedisce la creazione, l’ammodernamento.
Futurismo indica una prospettiva che guarda avanti, al divenire.
Immagine che darà e quella della città moderna. Lui avrebbe raso al suolo i secoli precedenti.
Per fare qualcosa di nuovo bisognava fare a meno della tradizione -> distruggere è simbolico.
È un parricidio simbolico = padri ingombranti.
Si torna a Mi. Marinetti soggiornò anche a Parigi.
Futuristi = scrollarsi il peso del passato, frasi vs i movimenti della tradizione millenaria. Si dice di abbattare,
distruggere, picconare.
Modernolatria = idolatria del moderno.
La città luogo x eccellenza del progresso e della modernizzazione. L’idea di città nel manifesto ha tutti i
caratteri del moderno.
Gioco d’anticipo: ci sono tutti mezzi di trasporto, dal treno. I serpenti sono i treni trainati dalla locomotiva
che era macchina a vapore. La locomotiva era stata celebrata come simbolo del progresso già nell’800.
Celebrazione di tutto ciò che è moderno.
Conquista novecentesca è l’aereo.
Si parla di un’automobile che va fuori strada, per fortuna senza conseguenze.
I ponti che consentono attraversamento.
Tutto ciò che avvicina = percezione moderna + abbreviata del tempo e dello spazio. Si coprono le distanze in
un tempo inferiore rispetto alla carrozza, nave a vela o remi.
La città è presentata con grandi folle. Rappresenta questo movimento centripeto, attrattività delle città che
offrono lavoro, servizi, comodità. In ita fenomeno già da seconda metà del 800, unità, non + dogane, libertà
di movimento = migrazioni in aree con maggiori opportunità -> fenomeno di URBAMENTO.
In verga “per le vie” = inurbamento andato male
In svevo “una vita” = inurbamento, Alfonso Mitti che trova impiego in banca a Firenze.
La città cresce, si dilata, agglomerato, metropoli. Oggi siamo arrivati a megalopoli.
La legge dei grandi numeri porta all’anonimato, a non conoscerci più + problema della massificazione= uomo
è un numero, un consumatore, un elettore…
Differenza visione manzoniana e marinettiana. Nei promessi sposi i personaggi sono tantissimi ma anche il
più periferico è profilato, riconoscibile, è una persona, ha connotazioni. Manzoni non poteva prevedere
cosa sarebbe successo con sviluppo ulteriore. Quando parliamo di folla= un soggetto uniforme, pluralità di
persone che sono cloni, le differenze scompaiono. Verga distingue i ceti sociali. Con la prospettiva 900
l’idea di folla torna a indifferenziarsi, scompaiono differenze sociali non perché tutti hanno stesse
condizioni economiche ma perché si è creata mentalità omogenea e anche chi non se lo può permettere fa
il passo + lungo della gamba perché stesso sogno indotto. Omologazione di bisogni e costumi.
Il primo a parlare di folla (=soggetto collettivo uniforme) è Baudelaire.
Per Marinetti prima caratteristica della città è la folla.
La folla è:
• lavoratrice: la città attira xk offre lavoro, le masse si spostano per raggiungere luoghi di lavoro
• piacere: ci si muove per lo svago, il tempo libero. La giornata x cittadino si distingue in due. Per
Russeau lo svago sarebbe lontano dalla città, in campagna, da soli. La città ora offre opportunità di
svago, in massa. È una cosa tipicamente moderna. Non padroni del tempo libero ma quasi
imboccati
• sommossa: si parla di rivoluzioni. C’è dimensione spettacolare della sommossa. Non è un dato
nuovo: nei PS tumulti di San Martino. Valore aggiunto della modernità è la nascita dei partiti e la
formazione dei sindacati. Manifestazioni e scioperi come aspetti della vita moderna. Con il potere
assoluto lo stato era il re, non possibilità di pensieri diversi. Con le repubbliche e monarchie
costituzionali c’è potere ad un governo ed un parlamento. Libertà di opinione è riconosciuta.
Fabbriche che lavorano 24h. reso possibile dalla tecnologia e dal progresso -> macchine che producono
senza sosta + sfruttare energia elettrica x illuminazione. Le lune sono le lampade, più luminose. Energia
elettrica cambia costumi e ritmi di vita. Si creano turni di lavoro, organizzazione più articolata.
Le capitali moderne = le grandi città dopo il progresso.
È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col
quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di
professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di
rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
[…]
Oggetto prezioso conteso tra le gare d’asta diventa qui merce priva di valore.
Cimiteri = Orvieto era città deserta, genere umano solo nelle tombe. Marinetti riprende immagine del
cimitero ma i musei sono cimitero, contengono opere morte, di un tempo finito.
PALAZZESCHI
La città del commercio al centro del testo.
La passeggiata avviene in città. Quello che sappiamo dei passeggiatori veramente poco: sono due. Possono
essere moglie e marito, due amici, nonna e nipote, ragazzo e ragazza. La città è Firenze, forse Palazzeschi e
Moretti. Erano stati compagni iscritti ad una scuola di teatro. Non ci sono riferimenti alle due persone:
diventano un occhio che guarda e una mano che segna.
Punto massimo di spersonalizzazione: non sappiamo chi siano i due soggetti, ecclissi del soggetto. L’occhio
che guarda e la mano che annota sono equiparabili a delle macchine, degli automi = come macchine
fotografiche.
La passeggiata
- Incendiario, 1913 -
– Andiamo?
– Andiamo pure.
Originale. Ci spiazza.
• Uomo telecamera. Da un’immagine all’altra in maniera veloce, non ci si sofferma su nulla,
fotogrammi casuali -> l’esperienza della città è caotica, straripante, cattura poco l’attenzione, si
passa subito ad altro. È una vita impoverita, un rapporto con l’ambiente che si tiene in superficie.
• Tutto quello davanti ai due è per tutti e per nessuno. I messaggi che giungono all’uomo telecamera
sono generalisti, indifferenziati, nessuno li sente riferiti a sé in prima persona. Messaggi non sono
personalizzati, non rapporto da un io a un tu ma massificazione.
• Riferimento alla società dei consumi. Le insegne, slogan, manifesti sono pubblicitari x richiamare
una folla indistinta di consumatori. È la città dello shopping. Rapporto tra chi vende e chi compra =
società dei consumi. Grande arma di questa società è la pubblicità.
• Aspetto dominante dei messaggi è quello pubblicitario. Non tutti però. Quel numero 93 è il numero
civico. I due si trovano anche davanti giornalai e vedono notizie di cronaca in prima pagina: allude
alla guerra di Libia vs la Turchia 1911-12.
Nome dell’albergo.
• Varie forme di comunicazione e informazioni: scritte, numeri, segnali. È la città dei segni.
Mondo dominato dalle comunicazioni che fanno parte della complessità. In ogni istante. Questi
segni sono slegati tra loro, nulla a che fare l’uno con l’altro
• Il caos = eterogeneità. Si vedono una cosa dopo l’altra. Idea dello stordimento.
• Legame tra questi segni eterogenei = le rime. Funzione di avvicinare accostare, creare legame
sonoro. Tutto calcolato. Il caos è reale e apparente. La rima crea affetto dell’ironia. Pal è un
incendiario, mette la dinamite x far esplodere la società dei costumi.
Prima di mandare le cose al macero le svende. Ma poi il fallimento rima con Hotel Risorgimento =
tempo eroico nazionale. Con la rima dice che il mito risorgimentale è fallito e rimane in piedi il 10%.
Quel risorgimento è diventato un hotel, non casa nostra. Abbiamo combattuto per quella ma ora ci
si sente come ospite di un hotel.
Non possibile attribuire valore a questo mondo. Esperienza non coinvolge nulla di veramente tuo.
LETTERATURA ITALIANA quinta lezione
VITTORINI
Le città di V = punto di svolta. Fino ad ora abbiamo osservato una città reale, esperienze comuni e reali.
Ora città immaginate, delle città utopiche, eutopiche -> utopia= nessun luogo, nella mente, sfumatura
negativa xk non esiste, eutopia = il luogo piacevole, della gioia, ispira a realizzare il sogno.
Le città di Vittorini e Calvino = tra utopia ed eutopia.
Calvina ci dirà che le città invisibili nadcono in opposizione alle città invivibili.
Le città del mondo di V:
• Rubrica= uscirono 2 puntate nella rivista “il politecnico” fondato da V.
• Romanzo = “le città del mondo” ma poi lo abbandona, esce il libro postumo, nel 69.
• Versione cinematografica = romanzo scenico, una sceneggiatura per un film che non ha avuto esito
LA RUBRICA
Del 46. Dedicate a NY= città dei grattacieli e Chartres =in Francia, si sviluppa intorno ad un’abazia
benedettina ed è città di una cattedrale gotica.
La città moderna x antonomasia, l’emblema del progresso vs una città medievale. Una città dinamica,
operosa, vitale, esuberante vs una città con ritmi lenti scanditi dalla campana. Cosa hanno in comune?
Nulla. Qual era il filo rosso che collegava queste città? Che all’origine di ogni comunità di persona ci sta
un’idea, un principio, un valore, il volere stare insieme = queste città avrebbero trasmesso un’idea forte e
fondante, esigenza forte. La campana si ricollega al principio fondativo della comunità benedettina (ora et
labora), regolava le attività anche dei contadini attorno = regolarità, cose fatte con misura e con
prospettiva trascendente, fondata su base religiose.
La grafica del Politecnico = originale, innovativa. Collaborazione di Alberstainer = un grafico. Colpisce il
posto preponderante delle fotografie, è una scelta che fa consapevolmente che sperimenta anche nella sua
opera narrativa “conversazione in Sicilia” = scatti per una versione fotografica, un romanzo in cui il testo
verbale è accompagnato da scatti, sembra che parola sia didascalia, commento delle immagini.
NY = mette in evidenza che la città + popolosa vivono persone provenienti da tutte le parti del mondo.
2.5 milioni sono nati all’estero. Vivono più razze. Sottolinea il motivo dell’accoglienza, plurietnicità. Abitanti
hanno trovato modo x stare bene insieme. La visione di Vittorini è un po' idealizzata, i neri poco
discriminati, anche italiani. NY è la città della convivenza tra culture diverse.
Questo spiega accostamento di immagini dell’ultima pagina: i grattacieli sono affiancati alla torre di Babele,
interrotta perché dio punisce i costruttori per il peccato di hubris, tracotanza. I grattacieli come torri ma
portati a termine, compiuti, toccano il cielo. I costruttori impareranno a capirsi. Rappresentazione iconica
di una convivenza. La punizione divina: costruttori non si erano + capiti per moltiplicazioni delle lingue, una
babele x cui non si intendevano più, moltiplicazione delle lingue è fattore di disgregazione. Qui Vittorini ci
mette carico del suo ideale: anche a NY molte lingue però pur permanendo pluralità si è realizzato sogno di
condurre vita in armonia. Tutte le coppie sono in riferimento a ostilità antiche, della storia che ora a NY
sono superate: si sentono tutti newyorkesi.
ROMANZO
Tra 52-55. Ne anticipa diversi capitoli in varie riviste. Una serie di fatti: la morte del figlio, impegno presso
Einaudi, irrequietezza intellettuale, gli impediscono di procedere.
Il tentativo della sceneggiatura è quello di rimodernare, ripensare la trama in un’altra chiave + attuale.
Ha scritto tantissimo anche se molte cose non terminate.
Questo romanzo: ha scritto tanti capitoli ma non chiuso.
Struttura:
• Protagonisti: 4 coppie.
o Padre e figlio pastori = si spostano x trovare nuovo pascolo x il gregge. Il figlio va nelle città a
vendere formaggi e ricotte.
o Padre e figlio = il padre è un puparo (confezione i pupi) ma frutta poco. La moglie ha la fissa
dell’intimo e sperpera tutti i soldi x vestiti. Il padre prende bambino e fa visitare città e
lasciarlo nella città che più gli era piaciuta x rifarsi una vita.
o Due sposi in viaggio di nozze
o Due prostitute: una attempata e una molto giovane, è vergine, ha deciso di fare la prostituta
per viaggiare xk consuetudine era che andassero in giro.
Accumunati dal fatto che si spostano. L’ambientazione è siciliana, si muovono da un paese all’altro del
cuore della Sicilia, convergono al centro dai 4 punti cardinali e finiranno x incontrarsi ma poi incompiuto.
Dinamica tra i due componenti: ognuno va alla ricerca del meglio ma all’interno una persona spinge verso
l’incontro con gli altri da cui ci si aspetta maggior felicità e chi viceversa, timoroso, rifugge dal contatto con
altre persone. C’è chi va verso la città come luogo d’incontro e chi fugge x evitarli.
I due sposini = lei è + giovane di molto (20-40), nata in un paese di mare dove contatti sono frequenti, va
verso. Lui, + anziano, originario di paesi di minatori, isolati, ed è gelosissimo, vuole evitare contatti. Se poi
capita che l’albergatore fa complimenti alla sposa, lo sposo vuole subito andare.
Figlio- padre pastori = Rosario è portavoce di Vittorini, è molto giovane ma maturo. Va incontro agli altri,
pieno di fiducia, con consapevolezza della propria dignità, fierezza di un re pastore. Il padre è pauroso e
sospettoso. È il figlio che va in città a vendere ricotte e formaggi. Figlio vorrebbe entrare e visitare le città
ma il padre cerca strade alternative.
Questa dinamica si vide subito. Già capitolo 2.
Rosario si affaccia dove finisce l’altipiano e c’è una valle con città: è un paese. È Scicli.
Grido è gioioso, esultante. Emozione alla vista della città, il padre travisa tutto, pensa che ci sia pericolo.
Prende una pietra. La città è in un giorno di festa, forse quella patronale. Si sente la banda, si vedono le
bancarelle, persone per strada, i fuochi d’artificio.
I luoghi influiscono sulle persone, sul loro sentirsi serene o malcontente, e viceversa, persone che
costruiscono.
Descritta la festa.
Il cane era emerso sull’orlo di roccia in un punto poco lontano. Abbaiava fitto ma festoso, ai cieli, al sole,
saltando e dimenandosi. Ed egli andò in quella direzione, correndo.
«Vengo. Vengo.»
Ma la pietra la lasciò cadere, appena arrivato. Il volto di Rosario si era alzato radioso dinanzi ai suoi piedi
dalla roccia che scendeva tra cielo e cielo. Insieme gli si era aperta dinanzi la città di Scicli, con le corone dei
santuari sulle teste dei tre valloni, con le rampe dei tetti e delle gradinate lungo i fianchi delle alture, e con
un gran nero di folla che brulicava entro a un polverone di sole giù nel fondo della sua piazza da cui parte e
s’allarga verso occidente un ventaglio di pianura. Rosario era felice, indicandola al padre, come se avesse
temuto di vederla svanire prima del suo arrivo. […]
Un clamore s’era alzato dalla città insieme a centinaia di gazze e di cornacchie che avevano lasciato di
colpo le rocce sparse tra i tetti. O erano campanili ch’esse avevano lasciato? Certo nella musica ferma al
centro del cielo sembrava che scalpitassero anche i metalli di uno scampanio. Le cornacchie andarono a
posarsi, in turbini di foglie nere, sulle rocce che sovrastavano i quartieri delle pendici. Batuffoli di fumo
galleggiavano in faccia a balconi zeppi di folla giù tra i luoghi da cui era cominciato il loro volo. Più avanti
nella scia del loro percorso s’erano invece palesati zaffiri e ametiste di palloncini che sballottavano, e
ancora aquiloni che si contorcevano qua e là, un secondo, un terzo, un quarto, un quinto, tutti con la coda
inanellata come il topazio del primo, ripigliando tutti quota nell’aria sconvolta dalla raffica di tante ali. Ora
le cornacchie strepitavano affacciate dai cornicioni di roccia. Erano giunte le detonazioni dei primi batuffoli
di fumo, e le cornacchie strepitavano. Altre ne giungevano di altri, e le cornacchie strepitavano.
Esplodevano gradinate, esplodevano cancellate, esplodevano e s’incendiavano schiere di palloni variopinti
saliti a dondolarsi nel cielo, e le cornacchie erano sempre là sopra che strepitavano.
Infine accadde che esplosero le cinquantamila mani della folla di cui brulicava la piazza; allora lo strepito
delle cornacchie fu anche di fanciulli, e di trombette e fischietti ch’essi suonavano. E Rosario poté
distinguere, su ballotoi, o in cortili, o su pianerottoli di scale all’aperto, figure che sventolavano un
fazzoletto salutando come da un treno, dove in gruppi e dove isolate. […] «Come devono essere contenti in
questa città!» esclamò Rosario.
III
II padre allora si rialzò, calcandosi in testa il berretto dalla visiera mangiucchiata. Il suo sguardo passò
so¬pra le pecore che aspettavano cento metri più indietro, coi musi posati sul collo l’una dell'altra. E il suo
piede si avviò, ma diede di cozzo nella pietra ch’egli aveva portata fin là come un’arma e poi lasciata
cadere.
Rosario continuava: «È la più bella città che abbiamo mai vista. Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone.
Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna…».
Il padre non lo negava. Egli considerava la pietra senza dir nulla, e Rosario poté soggiungere: «Forse è la più
bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle.
Per il padre non esiste la città bella, la gente non è mai contenta.
Rosario stabilisce equazione tra la bellezza del luogo e la contentezza degli abitanti. Uso prima un
comparativo e poi superlativo. L’ambiente influenza le persone (es: ambienti degradati)
Non ti ricordi che gente contenta c’era nelle belle città che abbiamo girato per la novena dell’altro Natale?
E che gente contenta c’era a Caltagirone per lo scorso Carnevale? E che gente contenta c’era a Ragusa per i
Morti dell’anno prima? E che gente contenta c’era per l’ultima Pasqua che abbiamo passato a Piazza
Armerina?».
Il padre non negava niente di niente, era solo soprapensiero, sempre considerando la pietra ai suoi piedi, e
Rosario non si fermò che un attimo, poi riprese: «E si capisce che sia contenta. Ha belle strade e belle piazze
in cui passeggiare, ha magnifici abbeveratoi per abbeverarvi le bestie, ha belle case per tornarvi la sera, e
ha tutto il resto che ha, ed è bella gente. Tu lo dici ogni volta che entriamo a Nicosia. Ma che bella gente! E
lo stesso ogni volta che entriamo a Enna. Ma che bella gente! Lo stesso ogni volta che entriamo a Ragusa.
Ma che bella gente! E se incontriamo un uomo vecchio tu dici ma che bel vecchio. Se incontriamo una
donna giovane tu ti volti e dici ma che bella giovane. Vorresti negarlo? Tu dici che dev’essere per l’aria
buona, ma più la città è bella e più la gente è bella come se l’aria vi fosse più buona...».
Il padre sorrise, di sotto ai pensieri che gli annuvolavano la fronte, e anche mormorò, tra quei suoi pensieri:
«Può darsi». Il suo sguardo, tuttavia, non si staccava dalla pietra […].
Il luogo bello fa belle le persone. Concetto di bellezza: il bello e il buono che nel mondo greco coincidevano
(magna Grecia). Se la città è più bella le persone sono più belle e buone.
Allora vale anche il contrario: nelle città brutte la gente è cattiva.
IV
[…] Aveva afferrato un braccio del padre, se lo passò intorno al collo, e se ne teneva la mano sul petto, un
irsuto ciocco di mano, con tutte e dieci le sue dita gentili di ragazzo. «Nelle città brutte» continuò «la gente
è anche cattiva. Abbiamo visto a Licata come ci guardavano male con quei ceffi che hanno sempre avvolti
in uno sciallaccio nero e coperti di barba. E l’abbiamo visto ad Alimena. L’abbiamo visto a Resuttano.
L’abbiamo visto nei paesi delle zolfare. La gente è disgraziata, nei posti così, non ha nulla di cui rallegrarsi,
nulla mai che la faccia un po’ contenta, e allora è per forza cattiva. È brutta ed è cattiva, è sporca ed è
cattiva, è malata ed è cattiva...»
La gente non ha nulla per accontentarsi, non soddisfazioni. La gente non può rallegrarsi. Cattivo un po'
come rosso malpelo che era trattato come un animale.
Confermata l’equazione tra condizioni ambientali e lo stato d’animo.
II padre torceva un po’ la mano come se volesse ritirarla, e il ragazzo gliela stringeva più forte. «Non dico
giusto?» domandava. Ma non insisteva. Era troppo pieno di fervore per aver bisogno che il padre gli
rispondesse. Alzava gli occhi a guardargli in faccia la ritrosia: o il timore che poteva essere, l’inquietudine
che poteva essere; e passava sopra a tutto, sicuro di sé, con un nuovo galoppo di parole. Disse che la gente
delle città belle era anche buona né più né meno come la gente delle città brutte era anche cattiva. Le città
belle, cioè, avevano anche questo merito: di render la gente brava e buona.
«Una città non nasce come un cardo» disse. «O sono gli angioletti che vengono a posarla su una collina?»
Aveva ancora gli occhi che volevano ridere, ma la sua voce si alzava sempre di più e diventava stridula.
Disse che dunque non era per combinazione se Enna era la nobile Enna e Licata era schifosa. «Che
diamine!» disse. Tutto dipendeva dal modo in cui la gente viveva. Dove la gente viveva come a Enna si
aveva Enna, e dove la gente viveva come a Licata si aveva Licata. Egli ripeté in senso inverso il suo discorso
di poco prima. Disse per la gente quello che prima aveva detto per le città, dicendo invece per le città quello
che prima aveva detto per la gente.
C’è relazione biunivoca. L’ambiente lo facciamo noi, bello e ordinato no.
Vale anche il contrario di quello detto prima. Non che non valga quello di prima ma deve essere
completato.
VITTORINI
«Qui ciascuno dev’essere come se fosse un re o un barone. Con tutti che lo chiamano Vossignoria. Con
nessuno che può dargli del tu e trattarlo male. Con nemmeno il maresciallo che lo possa sgridare e
insultare. Con niente che sia costretto a fare o non fare per paura.
Rosario parla della dignità di ciascuna persona in quanto essere umano, a prescindere dalla scala sociale.
Anche gli ultimi pari dignità di re e baroni.
Siamo in una Sicilia relativamente arcaico, ordinamento sociale gerarchico e alla sommità re e baroni. Dire
che tutti devono essere trattati come loro = rivendicare la + alta dignità tanto da chiedere di non dare del
tu ma del “voi signoria”. Del tu = si giudicava come inferiore la persona, e ogni arbitrio era concesso.
Rosario quando avrà a che fare con un barone, 31 cap, è indispettito perché questo gli da del tu.
Rosario tiene testa al barone in un dialogo animato, dimostra di avere la schiena dritta, ribatte alla pari.
Barone rimane stupefatto. Rifiuta anche lavoro perché continua a dargli del tu.
Nella città più bella del mondo= non c’è spazio per la paura. In un clima di rispetto, solidarietà non solo per
non commettere reati.
Invitato alle feste di ogni casa. Accolto dovunque voglia entrare. Con ogni ragazza che lo può prendere per
marito anche se è un povero capraio. E poi con un cavallo che può montare invece d’un asino o un mulo,
proprio come un re che cavalca anche se è solo un contadino che si reca a zappare...»
Matrimonio = per secoli è stato un contratto economico e la letteratura dell’800 piena di ragazze del
popolo che vogliono emanciparti e si fanno corteggiare da persona benestante x fare salto di classe (es:
figlia maggiore di Bigio, Verga). Cacciatore di doti = cerca matrimonio di interesse, arrampicatore sociale.
Quindi matrimonio come trampolino di lancio. I genitori della persona più ricca sono sempre riottosi a
concedere il figlio o figlia.
In Verga es tutti matrimoni sono di interesse. L’amore è extraconiugale. I matrimoni sono sterili, mentre
relazioni extraconiugali sono feconde. Diventa quasi una legge.
Una ragazza ricca che sposava un capraio= non esisteva. Poteva avvenire solo nella città + bella del mondo.
Rivendicazione dell’affetto sull’economia, dell’essere sull’avere va allargato al tema dell’accoglienza = la
città più bella con porte aperte.
Calvino dice che la città dei sogni non esiste ma dobbiamo cercare di costruirla.
1
21
321
432
543
54
5
Fedora= p. 31
Due tipi di città: reale e ideale.
Fedora è città reale, di pietra grigia = vuol dire peso e incolore, opacità, non attrattiva.
Modellini = plastici della città ideale, tante possibili Fedora.
Si instaura una dialettica. Rapporto di complementarità = modelli sono aspetti che avrebbe potuto
prendere F, sono i mondi possibili in parallelo al mondo reale.
La spinta utopica si fonda su bisogno di colmare i vuoti, di risolvere i problemi, luogo a misura di uomo,
appagante. Questi mondi possibili però non si sono realizzati.
Questi sogni materializzati nei modellini sono i sogni irrealizzati, che andavano a compensare il gap della
città reale. Si è tenuta memoria però nel museo = museo è un cronotopo = cronos + topos -> luogo che ha
in sé idea del tempo. Il museo è luogo dove si conservano le cose del passato, luogo della memoria.
Modellini = inviano al bisogno di perfezionare la città ideale, è lo scopo di Calvino del libro
Despina = p 17
Città che sorge sul litorale, in riva al mare. Davanti il mare e alle spalle il deserto di sabbia.
Deserto di acqua e deserto di sabbia = entrambi inospitali, inabitabili. Si possono percorrere su cammello o
imbarcazione ma non ci si può stabilire.
Struttura binaria = quello che cambia è il punto di vista ma poi la raffigurazione segue corso parallelo. Le
due immagini sono strutturalmente sovrapponibili. Due spie sintattiche: “sa che è una città ma la pensa” in
entrambe le descrizioni, idea di proiettarsi verso la città + ciascuna descrizione si chiude con immagine
femminile: le donne che si pettinano e le danzatrici che ballano. In C quando appare figura femminile =
presente un sogno, un miraggio di poter giungere felice, giocando su equivalenza metaforica della donna-
città.
Cammelliere e marinaio – immagine della città = rapporto di rovesciamento. La città è il contrario del
deserto in cui ci si trova. È rovesciamento dell’esperienza, si trovano in un luogo inabitabile e sognano un
luogo dove si possano riposare, prendere fissa dimora, sono viandanti e chi vive questa situazione sente la
necessità di stabilirsi, di un luogo che dia sicurezza. La città è capovolgimento dello stato dei due. Questa
immaginazione ha in sé tratti della compensazione = lo si nota da quello che vedono i due. L’immaginario
del cammelliere è proiettato al mare, è un miraggio, seducente. Viceversa, il marinaio vede la terra ferma
come bella, sogna un’oasi, è dentro il deserto di sabbia ma ricco di vegetazione dove sono nati villaggi,
contrario del deserto. Significativo che marinaio immagina vita non in un altro deserto ma in oasi.
Il cammelliere non ne può + del deserto di sabbia immagina nave, un’imbarcazione che lo porta lontano. È
l’unica oasi del deserto d’acqua.
Si parte dalle città invivibili = qui simbolo del deserto e diventano poi riscatto.
Struttura binaria tipica delle cartoline= a generare la differenza è il punto di vista soggettivo (dipende dal
punto di partenza) in questo caso ma potrebbe essere anche il tempo come per Cecilia, c’è un prima e un
dopo.
Perché C adotta struttura binaria? Opposizione tra mondo reale e immaginato, tra distopia e utopia, tra
invisibile e invivibile.
LE CITTA’ E IL CIELO
Tecla = p. 124
Elementi della struttura binaria= la città finta, compiuta e quella in costruzione + costruzione/distruzione +
dialogo MP e abitanti indaffarati + giorno/notte + tempo del lavoro/tempo del riposo
(lavoro/contemplazione) + fuori/dentro (cantiere non si vede per impalcature, quindi essere fuori dalla
città MP e abitanti dentro).
È la città cantiere x eccellenza, il work in progress, non si finisce mai di edificarla. Perché? MP figura
dell’intellettuale ma dobbiamo essere tutti noi, guarda, osserva, registra le stranezze, le cose che lo
sorprendono. È il primo meccanismo della conoscenza, se c’è qualcosa che mi colpisce perché è diverso
dall’esperienza che ho.
È una città in perenne costruzione, un cantiere.
Sintomatica la risposta dei cittadini: si annida il primo messaggio = abitanti non vogliono che cominci
decadenza. Consapevolezza che dopo entusiasmo iniziale possa esserci abbassamento dell’intensità del
sentimento. Invito di C è a essere tenaci, perseveranti, non perdere entusiasmo della prima ora. Solo con
motivazione forte si possono costruire cose nuove. Es Zobeide forte entusiasmo iniziale ma poi routine e
degenerazione. Bisogna investire continue energie.
Il piano regolatore è scritto nel cielo e lo si vede nella notte serena quando compaiono le costellazioni.
Possiamo dare lettura religiosa ma cauto xk C è laico. Legame tra terra e cielo = altro motivo binario,
significativo che abitanti hanno assunto le costellazioni, il cosmo come ideale di equilibrio, ordine naturale
x la città. È il migliore dei mondi possibili fondato su modello celeste, immaginario alto e sublime. Per
realizzare una città bella bisogna rifarsi a modelli sublimi, ispirarsi a qualcosa di grande.
Tecla è città invisibile alla lettera, perché deve essere ancora costruita, esiste un modello e la città cerca di
adeguarsi.
Atteggiamento di MP rispetto a Kublai Can e noi. Noi siamo imperatori dei Tartari. Kub non è mai uscito dal
mondo, non conosce le città, rappresenta uomo comune, con pregiudizi della società. Siano nella posizione
dell’imperatore, non conosciamo. È MP che gli apre gli occhi perché ha fatto esperienza del mondo e
rispetto alle aspettative di Kub, MP lo spiazza sempre perché dimostra sempre il contrario di ciò che
immaginava.
Questa premessa per comprendere Bersabea.
Bersabea = p. 109
Evidente struttura binaria= città celeste e città infera. Quella celeste è come la Gerusalemme celeste
dell’Apocalisse, splendida, preziosa, preziosi i materiali di cui è fatta e per la lavorazione = immagine di
città ricca. Al contrario la città infera, degli scarti, la città fognaria, dove si accumulano deiezioni. È
modellata sull’imbuto dell’immaginario dantesco.
Rovesciamento = non è vero che città sotterranea sia città brutta, rivoltante, degli scarti. Al contrario è
bella, disegnata da architetti autorevoli, materiali pregiati, funziona.
Operazione di intellettuale che rovescia. Quella che gli abitanti considerano infera è celeste e viceversa.
Il messaggio: richiamare un detto, la psicanalisi = il denaro è lo sterco del demonio. Freud nella teoria della
libido assimila alla zona erogena della fase dello sviluppo delle caratteristiche della persona adulta e in
particolare collega alla fase anale la figura dell’avaro, che trattiene, non espelle. La scoperta della capacità
di poter dominare i propri bisogni procura piacere. X Freud chi si ferma a questa fase sarà un avaro, quello
che guadagna ma non spende. C ci dice che viviamo nella società dell’opulenza ma questa non può essere
vista come il bene, la città ideale, celeste, perché produce egoismo che esclude gli altri dalla condivisione.
Una convivenza felice deve passare per atti di solidarietà. Porta ad un immaginario psicanalitico il tema
civile della generosità vs chiusura ed egoismo.
Ci spiazza se questo messaggio è riferito alle città.
LETTERATURA ITALIANA ottava lezione
LE CITTA’ SOTTILI
Zenobia p.34
Gli insediamenti umani su palafitte in tempi primitivi erano legati alla presenza dell’acqua. Proteggeva da
animali scoraggiati dall’acqua e perché dovevano arrampicarsi.
A Zenobia palafitte si innalzano sull’asciutto.
Dalla fondazione ad oggi. Un tempo preistorico = si è persa l’origine, non si sa perché cresciuta così.
Tuttavia, nonostante vorrebbero modificarla, qualora potessero farlo non si staccano da questo modello =
quel modello risponde ad una forma mentis. C’è dinamica tra memoria e desiderio, la Z non corrisponde al
desiderio ma al tempo stesso spinge a immaginare stessa città.
Struttura binaria: nelle righe finali avviso su come dobbiamo rapportarci e giudicare le città. È bene non
essere legati al fatto se città sia felice o meno, una città reale è sempre un misto. Vuole portare attenzione
su altra alternativa: se le mutazioni che portano a dare nuova veste realizzano i desideri e quelle in cui i
desideri o cancellano la città o ne sono cancellato -> se la città riesce a soddisfare in parte i desideri e
quindi è compatibile con aspettative e quindi città abitabile = è caso di Zenobia. Può esserci
incompatibilità: quindi città negazione di quello che desideriamo, in questo caso sdoppiamento = o
atteggiamento riformista o rivoluzionario oppure città uccide i desideri.
Il tema è città abitabile o città inabitabile.
Sottile perché le città sono sviluppate in verticale e appollaiate su palafitte
Armilla p.47
Fatta di sole tubature, impianti idrici, sono uno degli scheletri delle abitazioni = corrono nei muri ma non si
vedono. Prime ipotesi: MP dice di ignorare se stranezza dipenda se la costruzione sia stata solo avviata o se
ci sia stata distruzione che ha abbattuto la parte muraria.
Struttura binaria. Ipotesi: Le maestranze dedicate alla costruzione non hanno preso accordi, hanno fatto la
loro parte solo gli idraulici e non i muratori oppure città corrosa dal tempo, solo metalli hanno resistito.
Questo reticolo conferisce alla città un aspetto particolare. Immagine della sottigliezza.
È abitata da figure femminili quindi in gioca la dimensione del desiderio. Le donne sono giovani e carine e
un po' sensuali (come città di Despina).
Sono ninfee, naiadi = divinità che nella mitologia erano preposte alla cura delle sorgenti, vigilavano e
davano una sorta di alone divini.
Calvino non avulso a utilizzare personaggi mitologici. Guarda al mito come ad una cultura archetipico,
ancestrale che reca gli universali. Rievocata un’età dell’oro, un paradiso, una dimensione panica.
Divinità risalito i tubi e manifestano in forma leggiadra il loro gusto di trovarsi nel loro habitat naturale.
Il canto = evoca la bellezza della città, è un canto di gioia, di piacere, che ammalia, sgorga dal piacere di
vivere, dalla gioia di vivere.
Altre ipotesi: origine = rimasta incompiuta perché le ninfee risalendo hanno spaventato gli uomini che sono
fuggiti oppure sono stati gli uomini a costruire la città a misura delle ninfee per graziarsele o per chiedere
perdono per aver sottratto loro l’acqua
Sofronia p.64
Divisa in due o due in una.
La prima mezza: un circo, con giostre = parco dei divertimenti. È la città dello svago.
L’altra è città dove si lavora. È l’altra faccia. Ozio e attività. Due stili di vita: contemplativa e attiva.
Una è transitoria e poi la smontano e va altrove. Un’altra è fissa. Calvino scompiglia le nostre idee. Rimane
il parco e la parte smontata che trasloca è la parte pesante. Perché?
Se in una città non ci fosse organizzazione complessa /parte seria non potrebbe funzionare. Questa parte
seria porta il peso, gravitas.
Entrambe le parti importanti. C mette sul piedistallo la città del divertimento. Vede il pericolo agli anizi
degli anni 70, con gli occhi di Marcuse = libro “l’uomo ad una dimensione” -> da una parte l’uomo integrale
(Maritain), tutte componenti rispettate, valorizzate e dall’altra denuncia di Marcuse, filosofo, scuola di
Francoforte, la società capitalista riduce l’uomo ad una dimensione, primato dell’avere lo riduce a
consumatore. La sociologia mette a tema la società dei consumi. L’uomo sacrifica tutte le sue dimensioni
interiori, ontologiche all’unico scopo del produrre e consumare e altri aspetti contaminati da questa
dimensione. Cal fa sua questa preoccupazione: la produzione e consumo assorbono la vita delle persone e
persone espropriate dalla propria interiorità. Attraverso invenzione di queste due mezze città = invitare a
non privarci di uno spazio che è nostro, del raccoglimento, del riposo, della vita contemplativa, momenti in
cui siamo più liberi, dare sfogo ai desideri, contemplare le bellezze, meditare sulla nostra vita, riflettere per
fare scelte, uscire dal pericolo di un’alienazione, di una vita meccanica.
Ottavia p. 73
Città sottile per eccellenza, città ragnatela, sorge sopra un abisso tra due montagne scoscese. Tirati dei
punti tibetani tra le due creste e la città formata sotto l’abisso. Ci si può muovere su questi ponti. Servono
anche da sostegno= tutte le cose vengono appese a queste funi. Catalogo di oggetti = enciclopedico, con
dettagli che fanno capire che sono oggetti appesi.
Abitanti hanno sotto il vuoto, voragine. Vita è meno incerta = sanno che rete non rege + di tanto, hanno il
senso del limite. Non potevano essere esagerati perché le corde non possono sostenere troppo. L’invito è
rendersi conto che anche noi siamo su una ragnatela e dobbiamo stare attenti ai consumi.
Fillide p. 89
Sembra Venezia, da dove proveniva MP. In una cornice Kublai Can dice che MP sta descrivendo tante città
ma che è solo Venezia.
(Proust = vivere era per lui rivivere, con la memoria, per ripetersi di esperienza, sensazione.)
È la città che si guarda, si osserva. L’osservatore che coglie particolari è attento, curioso come lo è MP
intellettuale. È il curioso che per la prima volta visita, non l’ha mai vista, tutto suscita curiosità.
Ogni cosa gli pare interessante. Facoltà di attenzione primeggia nel visitatore.
Gli effetti dell’abitudine. È l’esperienza, l’abitudine. Trovarsi davanti a qualcosa quotidianamente finisce
per non farceli guardare + con la stessa meraviglia, piacere, del turista che vede per la prima volta.
Non + attenzione, abbiamo in mente solo la destinazione. La città è uno spazio.
Spazio = concetto geometrico, un contenitore indeterminato, che può ricevere qualsiasi cosa, non evoca
niente, nessun rapporto tra noi e lo spazio, è una categoria.
Luogo = non contenitore, ma contenuto, è entrato nella nostra vita, nella storia, parte di noi e noi parte di
esso. Hanno un volto, una fisionomia.
Fillide è x turista un luogo. Rischia di diventare per l’abitudine di chi abita uno spazio vuoto. Punti sospesi
nel vuoto= punti del tragitto, partenza e arrivo. Quello che incontro non + interessante.
Restano labili tracce dell’esperienza del luogo, delle tracce inconsce. Continuiamo a preferire un portico ad
un altro per memoria remota.
Pagina bianca = attenzione metaletteraria, la storia che evoca è esercizio letterario di scrittura. Qui non un
foglio scritto ma pagina bianca, quello scritto è stato cancellato. La nostra esperienza risulta impoverita.
Il fanciullino di Pascoli = annuncia poetica. Confronta adulto e fanciullino. Immagina che vadano a
passeggio insieme. Il figlio si ferma sempre x osservare, meraviglia, il padre vuole raggiungere la meta
invece.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis = passeggiata di Ortis, Teresa, sono spiriti romantici che si commuovono
davanti alla bellezza della natura. Odoardo non vede nulla invece.
LE CITTA’ NASCOSTE
Ci sono ma non si vedono. Pe vederle bisogna stare attenti.
Olinda p.126
Città nascosta, in miniatura (ricorda Fedora). Qui non modellino. Ci vuole lente di ingrandimento,
attenzione per scoprire la città, è minuscola. È una città che cresce.
Delle città si sviluppa solitamente la periferia (ricorda Cecilia), il centro storico rimane invariato.
Questa volta città rinnovata dal centro, dal suo cuore. Si tende a espellere una situazione non ottimale. Il
centro è il cuore, l’organo del desiderio.
Paragone con il tronco = la parte che si genera è quella al centro.
CITTA’ NASCOSTE
Raissa p.144
Premesse non positive. La gente è arrabbiata, non sopporta chi dà fastidio.
Tutto in chiave negativa, anche i lavori. I numeri sono storti, la gente si ubriaca per non pensare alle sue
sciagure.
Dentro città triste, infelice ci sono tanti piccoli episodi che aprono squarci di felicità. MP si compiace di
scrivere una serie in sequenza, legando personaggi ad un filo invisibile, rosso della felicità. Comincia con un
bimbo che ride ad un cane. All’inizio i bambini piangevano. Ora ride, il cane su una tettoia caduta ad un
muratore -> ostessa -> ombrellaio -> dama -> fantino …
Catena di felicità. Microscene di contentezza, con dominante del sorriso.
Anche nella + triste città ci sono momenti che annunciano la possibilità di una redenzione dei rapporti, dei
momenti felici. È un filo invisibile che allaccia esseri viventi. Quello che decide della felicità sono i rapporti.
La felicità legata ad una relazione, anche se per un attimo.
Le città nascoste = nuclei, tracce, segni di pace, armonia, comunione che scattano tra le persone.
Invito implicito di Cal: non lasciarsi inquietare, demoralizzare dalle apparenze negative ma andare in cerca
del positivo e cercare di dare consistenza al filo, perché duri nel tempo.
Marozia p.150
Suggestione virgiliana = 4 egloga, annuncia il prossimo avvento dell’età dell’oro.
Anche qui una Sibilla = profetizza il destino.
Le due età: presente e futura -> struttura binaria. Una città reale e una ideale. Quella di cui fanno
esperienza e quella che attendono come superamento delle ingiustizie, cose che non vanno.
La prima città: emblema del topo. La seconda, quella attesa: della rondine.
Marozia è la città del topo = peggiore. Immagine dei topi = società ingiusta, prevaricatrice, con prepotenti.
Si oppone la città della rondine, aerea, celeste, purifica l’aria dalle zanzare, danno senso di libertà.
Desiderio di uscire dalla città del topo. Sono le persone meno in vista che avvertono questa esigenza e
sentono metamorfosi in atto. Topi che si sentono crescere le ali, urgenza di trasformarsi in rondini.
Scansione temporale. Gli abitanti sono convinti che il vaticinio della Sibilla si sia avverato.
Due visioni: abitanti orgogliosi e convinti di aver realizzato la città dei loro sogni, della rondine =
autoinganno. La percezione di MP è diversa. Emblematizzata nella figura del pipistrello = la gente non fa
dei gran voli, ma ali sembrano ombrelli che nascondono palpebre pesanti. La rondine è simbolo di
leggerezza = evoca libertà. Il peso connotazione negativa. Le palpebre che si abbassano dicono che c’è
qualcosa che non va. È migliore rispetto a quella del topo però non ancora età della rondine.
Pipistrello = un topo con le ali, un incrocio tra topo e rondine. È goffo, volano però non è rondine.
La realizzazione inferiore a quello sognato = consapevolezza dei limiti. Continuare a migliorarsi (es città
cantiere di Tecla).
È la città della libellula = la città nascosta. Perché non sono riusciti costruire la città della rondine? Perché
hanno fatto le cose troppo seriamente, troppo ottimisti, troppo convinti.
Dentro c’è il nucleo della città ideale che diventa della libellula.
Libellula = immagine di leggerezza, trasparenza, libertà. È città che MP celebra come la città della gratuità,
del gesto non necessario. Errore era stato quello di voler entrare a tutti i costi nel secolo della rondine, tuto
troppo sul serio.
Le cose che si fanno x necessità sono utili ma non alleggeriscono, fanno sentire il peso, la fatica, non fanno
decollare la città ma fanno sentire trappola. La redenzione può avvenire quando si compie un gesto
condiviso per il gusto di farlo = non significa oziare però i rapporti possono diventare belli quando sono atti
sorpresi. Il vero dono è quello che non ti aspetti. Nell’immaginario calviniano: città che si trasforma davanti
ai nostri occhi, il suo piano regolatore cessa di essere quello necessario, ma quello inaspettato. Il gesto
necessario sta in una prospettiva scontata.
Berenice p.156
È l’ultima delle 55 città.
È una città doppia: esposta visibile e nascosta, sotterranea.
Quella visibile = dominano le ingiustizie, lavoro defaticante, produzione, fabbriche, immagini della
modernità che celebra la produzione. C’è chi lavora, fatica, e c’è un ceto privilegiato che non fa nulla =
ricchi che si concedono tutti i piaceri = è la città ingiusta, della discriminazione sociale.
Sotto c’è la città nascosta = giustifica collocazione. Caratteristiche facenti parte della città dei giusti. È
sotterranea, nascosta, materiali poveri che non fanno concorrenza alla Berenice ingiusta. Si infiltra come
pianta rampicante nell’altra città. Si manifesta un bisogno di uscire allo scoperto, di cambiare la città
ingiusta, di solidarietà, equilibrio. La città dei giusti fa pensare alla shoa e ai giusti che hanno protetto,
aiutato, sottratto all’omicidio il popolo ebraico.
Immagine dei costumi dei giusti = si riconoscono dal modo di parlare, della pronuncia delle virgole e delle
parentesi -> stesso ruolo dei retrobottega = marginale, ma dalla periferia che deriva trasformazione.
Anche la cucina sobria e saporita = rievoca età dell’oro.
È l’erede a un dettato originario, dell’età dell’oro, che opera anche se nella clandestinità per un processo di
palingenesi, ritorno all’età dell’oro. Città nascosta che deve rinnovare il patto originario.
Se c’è invidia e sopravvento = parte del torno, ingiustizia. Fanatismo = succubi di convinzioni che non ci
permettono di ascoltare, arroganti, pensiamo di essere detentori della verità e quindi ingiusti.
Calvino è complicato, ci mette davanti alla complessità delle trasformazioni, renderci consapevoli dei rischi
anche quando animati dalle migliori intenzioni. Es Zobeide: le regole che ci si deve dare x garantire
convivenza armoniosa possono diventare lacci che rendono la vita una prigione.
C’è circolo: gioco delle parti.
Processo x sistole e diastole = voler correggere le ingiustizie salvo poi riprodurne delle altre.
Eliminando scandali non è detto che non si creino altre ingiustizie.
LE CORNICI
Sono stampate in corsivo. Sono 9 e suddividono in 9 sezioni le 55 città. La prima e l’ultima = 10 città, le
altre solo 5. Le cornici hanno come protagonisti che discutono tra loro: MP e Kublai Kan.
La cornice avvolge il quadro. Ogni sezione ha apertura e chiusura che apre e chiude la serie. C’è rapporto di
derivazione stretta tra apertura e chiusura, legame rappresentato dalla ripresa a volte dell’ultima frase o
parole chiave alla maniera delle coblas capfinidas. C’è un legame di continuità.
È un discorso filato, organico, interrotto dai resoconti delle città e ripreso.
Calvino suggerisce altro tipo di legame strutturale tra le città di diversa serie che sono ravvicinate, una
gemma dentro una cornice, un filo che collega le città di diverse tipologie ma accostate = dai discorsi, dalle
cornici chiavi di lettura.
I due personaggi presentati nel primo corsivo.
Calv dice poco, di K dice che è imperatore dei tartari e di MP che giovane veneziano inviato per missioni.
È una partenza ex abruto. Non come Promessi Sposi (coordinate e poi storia). Qui siamo immessi in medias
res. Prima informazione è che K non crede a tutto ma ascolta. Calv tralascia perché sono due personaggi
storici, realmente esistiti. K era di origini mongole, fondatore dell’impero cinese e siede nella seconda metà
del 200. MP è mercante veneziano che era andato in Oriente, entrato al servizio dell’imperatore x 17 anni.
Se C tralascia lo fa sop con intenzione: i 2 diventano dei cartoni, delle sagome, personaggi allegorici, degli
emblemi, incarnano un’idea di umanità, un tipo di uomo.
Struttura binaria = anche per i due personaggi:
KUBLAI KAN MARCO POLO
• Statico, non si muove dalla reggia, non si • Dinamico, visita, va in missione, poi torna.
muove, non conosce le città, non le ha • Conosce, sa, fa esperienza diretta delle
visitate città, e poi reca informazioni all’imperatore,
• Non conosce, non ha fatto esperienza della trasmette la verità perché ha visto con i
città. Le conosce solo per le relazioni dei propri occhi = intellettuale che sa.
suoi ambasciatori.
• Emblema dell’uomo comune: nel peggiore • Da delle risposte alle domande e rispetto ai
dei casi non può fare nulla. Qui, nel migliore pregiudizi, gli smaschera. È una funzione
dei casi, può fare domande, si è fatto idee socraticamente ironica che fa vedere
che sono luoghi comuni che afferma o pone incongruenze, miopia dell’interlocutore
domande.
• Carattere volubile = va a momenti, trapassa
da uno stato d’animo ad un altro.
Personaggio climaterico, sensibile ai
cambiamenti climatici. Righe finali:
momento di depressione.
Nelle lezioni americane dice che questo è il libro più caro che ha scritto = riuscito a dire ciò che aveva
dentro.
Sono la parte metaletteraria del libro le cornici.
K = “Non crede a tutto” = però strizzatina di Calv perché noi assumiamo il ruolo di K, occupiamo
funzionalmente la parte dell’imperatore. Noi non le abbiamo mai viste. Ci devo credere? Sono città
invisibili, immaginarie. Allora Calv fa intendere che sono sua invenzione per sottrare peso, dare dimensione
allegorica.
“Ascolta” = attenzione e curiosità.
Momento finale: depressione. Sensazione che non c’è rimedio al suo impero in pieno sfacelo, non
possibilità di modificare, si piega al destino. La corruzione è così incarnita che non c’è rimedio, nemmeno lo
scettro è potente.
L’impero de Tartari sta andando verso il caos: senza fine e senza forma. Disordine incontrollato.
K perché impero vasto, mezzi di trasporto non evoluto, quindi molti ambasciatori che periodicamente
tornano indietro. Non c’è crescita nella visione, conoscenza. Solo resoconti di MP presentano la filigrana di
un disegno = solo da lui K impara qualcosa che non sapeva, una nota di speranza. Lo sfacelo è legato al
disordine, MP trasmette un’idea, da disegno = dare ordine al caos, riconoscere una progettualità, idea
all’origine delle città su questo K può far leva per sollevare le città dalla deriva, per risollevarle. Questa
filigrana è sottilissima, di fronte alla disperazione di K, la presenza di un disegno seppure sottile è qualcosa
che val la pena di aggrapparsi per invertire la rotta. Trae da MP lezioni, conoscenze, etica politica, scelte
per correggere e combattere lo sfacelo. Una filigrana sottile, non attaccabile dalle termiti = sono animale
che rappresenta il caos. Il disegno si sottrae grazie al fatto che sia sottile al morso delle termini.
È un libro che sprona a fare qualcosa. Le cornici sono la parte metaletteraria = fornisce le chiavi in forma
letteraria, sono il luogo in cui Calv riflette ed espone.
LETTERATURA ITALIANA decima lezione