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Atti del XX Congresso Nazionale di Speleologia, Iglesias 27-30 aprile 2007 Memorie dellIstituto Italiano di Speleologia, s.II, vol.

. XXI, 2008

Grotta della Monaca. Una miniera pre-protostorica di rame e ferro in Calabria.


FELICE LAROCCA1,2

Riassunto La Grotta della Monaca, ubicata nella Calabria settentrionale tirrenica a poca distanza dallimportante valico montano detto Passo dello Scalone (740 metri s.l.m.), una cavit naturale che si sviluppa nei calcari del Trias per 355 metri di lunghezza e 22 di profondit. Nota sin dallOttocento, essa divenuta oggetto dallanno 2000 di sistematiche campagne di scavo archeologico da parte della Sezione di Paletnologia dellUniversit degli Studi di Bari. Le indagini condotte tanto nella pregrotta, quanto nei settori pi profondi e discosti dalla superficie, hanno messo in evidenza una remota attivit di coltivazione mineraria diretta allo sfruttamento di minerali di ferro (goethite) e rame (malachite e azzurrite). La prova che tali mineralizzazioni sono state oggetto di intenso sfruttamento data dal rinvenimento di numerosi utensili di scavo (soprattutto mazzuoli e asce-martello in pietra levigata), dalle impronte dei loro colpi sulle pareti e dalla presenza di muretti a secco eretti negli ambienti pi stretti con lo scopo di creare spazio praticabile alluomo. Le evidenze estrattive si riferiscono ad un arco cronologico compreso tra lEneolitico iniziale e la media et del Bronzo, come attestano i reperti ceramici recuperati nel corso delle ricerche e una serie di datazioni radiocarboniche. Parole chiave: Preistoria, miniere, rame, ferro. Abstract The Grotta della Monaca is located in northern Tyrrhenian Calabria near an important pass called Passo dello Scalone (740 metres above sea level). It is a natural cave 355 metres long and 22 metres deep which developed in the limestones of the Trias. Its existence well-known since the nineteenth-century, the cave has become the subject of systematic archaeological excavations conducted by the Cattedra di Paletnologia of the University of Bari since the year 2000. The investigations carried out both in the so-called Pregrotta and in the deepest and farthest sectors from the surface confirm the existence of an ancient mine used for the exploitation of iron (goethite) and copper (malachite and azurite) ore. The intense exploitation of these mineralizations is testified to by numerous lithic tools (in particular mallets and hammer-axe heads of dressed stone), the marks of these tools left on the walls and the presence of dry walls built along the narrowest sections with the aim of creating a wider space for people to work. The evidence of this mining exploitation seems to suggest a chronological timescale stretching between the Early Chalcolithic and the Middle Bronze Age, as the pottery recovered during the excavations and a series of radiocarbon dating attest. Keywords: Prehistory, mines, copper, iron.
1 Universit di Bari, Dipartimento di Beni Culturali e Scienze del Linguaggio, Sez. di Paletnologia - Palazzo Ateneo - P. Umberto I,1 - Bari. tel.: 333.3429008 - e-mail: specus@tin.it 2 Centro Regionale di Speleologia Enzo dei Medici - Via Lucania, 3 - C.P. 20, Roseto Capo Spulico Stazione (Cs) - www.enzodeimedici.it tel.: 0981.913755

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Fig. 1 - Tavola di inquadramento geografico del territorio in cui ubicata Grotta della Monaca (disegno di F. Larocca).

Fig. 2 - L'ampio imbocco della cavit visto dall'interno (foto di D. Lorusso).

Inquadramento geografico e storia delle esplorazioni La Grotta della Monaca, ubicata nel territorio comunale di SantAgata di Esaro (provincia di Cosenza), si apre con un maestoso ingresso a 600 metri di altitudine s.l.m. e domina, dalla sommit di un imponente bastione roccioso, lalta valle del Fiume Esaro. Da un punto di vista geografico, il luogo situato nella parte settentrionale della Calabria, quasi a ridosso del Mar Tirreno, da cui il territorio di SantAgata separato dallestrema propaggine meridionale di una formidabile barriera di rilievi montuosi che sfiora i 2000 metri di altezza: il Cozzo del Pellegrino, la Mula e Montea ne rappresentano le cime pi elevate e si lasciano valicare a bassa quota solo in un punto, il cosiddetto Passo dello Scalone (740 metri s.l.m.) (Figg. 1-2). La prima esplorazione accertata della cavit risale alla seconda met dellOttocento ed dettata da semplice curiosit, stimolata dallimponenza del fenomeno sotterraneo. Ne artefice Enrico Giovanni Pirongelli, originario di SantAgata, che visita la grotta il 27 ottobre 1878 fornendone in seguito una puntuale cronaca sulle pagine de Il Calabrese, un giornale dellepoca (Pirongelli, 1879a-b, 1880a-b). Bench la cavit diventi col tempo meta occasionale di diverse visite, bisogna attendere il novembre del 1939 perch si registri la prima vera esplorazione che potremmo definire scientifica per le sue finalit documentarie. Ne artefice Enzo dei Medici, pioniere della speleologia calabrese che per primo inizi a documentare e censire siste-

maticamente le cavit naturali della provincia di Cosenza. Egli, realizzando nelloccasione un rilevamento topografico speditivo degli ambienti ipogei, osserva nei settori pi lontani dalla superficie alcuni curiosi muretti a secco, creati ad arte dalla mano delluomo; quindi denomina budello delle pietre murate il cunicolo in cui ha modo di esaminare queste strutture e, pur non ascrivendone la costruzione ad et preistorica, osserva argutamente: Io penso che i primi che a suo tempo hanno percorso quella galleria abbiano eseguito il lavoro per sgomberare il passaggio e procedere pi agevolmente (dei Medici, 2003, p. 109) (Fig. 3). Trentasei anni pi tardi, nel 1975, la cavit torna nuovamente a far parlare di s, divenendo lobiettivo principale di una campagna di ricerca speleologica organizzata nel territorio di SantAgata da un gruppo di esploratori del Club Splologues du Triangle Rouge, pi tardi

Fig. 3 - Muretto a secco eretto in uno dei Cunicoli terminali, nel settore ipogeo pi lontano dalla superficie. Manufatti come questo furono osservati nel 1939 da Enzo dei Medici, che chiam la condotta interessata dalla loro presenza Budello delle pietre murate (foto di F. Larocca).

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diventato una sezione della Societ Svizzera di Speleologia. nel corso di questa campagna di indagini che emerge per la prima volta, chiaramente, linteresse della cavit dal punto di vista paletnologico. Nel resoconto conclusivo stilato dagli speleologi svizzeri si segnala il rinvenimento di frammenti di vasi di terracotta come pure ossa indeterminate ed un dente probabilmente umano; quindi si aggiunge: sarebbe assolutamente necessario che sinteressasse uno specialista in archeologia, a via di poter determinare con certezza se la Grotta della Monaca fu abitata dalluomo preistorico (Piaget, 1975, p. 3). Il sicuro riconoscimento della cavit come sede di remota frequentazione antropica un fatto relativamente recente e risale al maggio del 1997, allorch essa diviene oggetto di diverse ricognizioni da parte di unquipe speleoarcheologica connessa alla Cattedra di Paletnologia dellUniversit degli Studi di Bari e al Centro Regionale di Speleologia Enzo dei Medici (Roseto Capo Spulico - Cosenza). I ricercatori, operando negli ambienti pi profondi del sistema sotterraneo, confermano le osservazioni del dei Medici circa lesistenza di muretti a secco, quindi rinvengono tra i massi di crollo alcuni singolari manufatti litici subito riconosciuti come utensili preistorici. La segnalazione degli speleologi svizzeri circa linteresse archeologico della grotta era dunque giusta. Considerata limportanza della scoperta, sin dallanno 2000 sono state organizzate nel sito regolari campagne di ricerca e scavo archeologico, condotte su concessione del Ministero per i Beni e le Attivit Culturali e in piena collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. La cavit naturale. Note descrittive Da un punto di vista morfologico, la cavit risulta caratterizzata nel suo complesso da tre settori a s stanti: 1) una vasta condotta dingresso, denominata Pregrotta; 2) un enorme ambiente in posizione mediana, la cosiddetta Sala dei pipistrelli; 3) una serie di bassi e stretti budelli finali, i Cunicoli terminali (Larocca & Lorusso, 1998). Il primo settore, quello di Pregrotta, costituito da unampia galleria in leggera salita, col piano di calpestio completamente invaso da un accumu-

lo caotico di poderosi macigni di crollo. Sotto di essi si riscontrata la frequente presenza di muretti a secco, soprattutto laddove gli interstizi in frana risultano maggiormente praticabili. Sono state individuate, inoltre, ampie porzioni di cavit scavate artificialmente, come testimoniano le impronte di colpi di piccone metallico ben evidenti specialmente sulle pareti (Fig. 9, d). Tali tracce di escavazione si osservano in corrispondenza di alcuni possenti filoni di idrossidi ferrosi presenti tra le stratificazioni calcaree: quel che resta di una vecchia miniera, aperta sotto il naturale piano di calpestio della grotta e collocabile cronologicamente tra il XVI ed il XVIII secolo d.C. La Sala dei pipistrelli costituisce il secondo settore morfologico da cui formata la cavit: si tratta di un vasto ambiente sotterraneo (60 metri di lunghezza massima per 30 di larghezza) che deve la propria denominazione alla presenza di numerosissimi chirotteri. Il suolo, completamente ricoperto da spessi e viscidi depositi di guano, dapprima si mostra al visitatore con un andamento sub-pianeggiante, quindi degrada con forte inclinazione verso il basso, seguendo limmersione delle bancate calcaree. Varie forme di concrezionamento, in gran parte fossili (gruppi stalagmitici e, in misura minore, colate calcitiche e stalattiti) adornano lampia sala, soprattutto nel suo settore iniziale e lungo le pareti. E proprio allaspetto di una singolare colata calcitica presente in questo enorme vuoto sotterraneo, che la fantasia popolare ha voluto simile ad una monaca, si deve la denominazione della grotta. La tradizione asserisce che tale figura sia scolpita da mano umana: essa tuttavia chiaramente di origine naturale, forse solo lievemente ritoccata in alcuni punti del volto presunto, allaltezza degli occhi e della bocca (Fig. 4). Discesi nella parte pi depressa della Sala dei pipistrelli si raggiungono i Cunicoli terminali, estesi budelli naturali progressivamente sempre pi stretti fino a divenire del tutto impraticabili. Sono, questi, tre cunicoli, il pi lungo dei quali si addentra per oltre 60 metri nelle masse rocciose: essi costringono i visitatori ad avanzare strisciando per la maggior parte del percorso, finch diventano cos angusti da precludere del tutto ogni ulteriore tentativo di progressione.

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Fig. 4 - Il volto della cosiddetta Monaca, la concrezione calcitica da cui prende nome la cavit (foto di F. Larocca).

Fig. 5 - Filone di goethite in una frattura sulla volta dei Cunicoli terminali (foto di F. Larocca).

Le mineralizzazioni e il loro sfruttamento pre-protostorico La Grotta della Monaca contiene al suo interno consistenti depositi di minerali metallici. Si segnalano in particolare minerali di ferro e rame: i primi sono praticamente ubiquitari; i secondi, invece, affiorano solo nel settore finale della Sala dei pipistrelli e soprattutto lungo i Cunicoli terminali. Il minerale di ferro pi diffuso un idrossido, la goethite [FeO(OH)], di cui la cavit ampiamente ricolma. Cospicui depositi di goethite compaiono specialmente in corrispondenza di fratture nella roccia e superfici di strato (Fig. 5). La sua colorazione piuttosto variabile: si passa dal giallo vivo delle variet pi terrose e incoerenti, fortemente idratate, al rosso scuro delle variet criptocristalline, poco compatte e friabili. Tra le mineralizzazioni cuprifere le specie pi frequenti sono i carbonati, cio la malachite e lazzurrite (Fig. 6). La malachite [Cu 2CO3(OH)2], di colore verde intenso, si mostra in diverse morfologie: sotto forma di

minuscole concrezioni ma soprattutto di veli e spalmature sulla roccia carbonatica. Oltre alla malachite presente nella grotta anche lazzurrite [Cu3(CO3)2(OH)2], di colore azzurro intenso. Lazzurrite un minerale di rame molto pi raro della malachite, con cui spesso si trova in intima associazione (Dimuccio et al., 2005). A partire dal settore finale della Sala dei pipistrelli e per buona parte dello sviluppo dei

Fig. 6 - Associazione di carbonati di rame: malachite e azzurrite (foto di F. Larocca).

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mazzuoli e dei picconi (Fig. 8). Sono stati finora recuperati ventidue utensili da scavo pressoch integri, con peso variabile da 600 grammi fino ad oltre 3 chili, ma anche numerose schegge e grossi frammenti, che comprovano limpiego intensivo di tali attrezzi nel corso delle attivit estrattive susseguitesi nella grotta. Le Fig. 7 - Schema planimetrico della cavit con distribuzione delle testimonianze di carattere archeominerario di et pre-protostorica (disegno di F. Larocca). analisi petrografiche condotte su questi Cunicoli terminali, si concentrano macroscopimanufatti hanno permesso di riconoscere la che testimonianze di coltivazioni minerarie rifeloro derivazione da litotipi rintracciabili in aree ribili ad et pre-protostorica. Esse si definiscono piuttosto prossime al sito (Acquafredda & in base a tre ordini di evidenze: 1) presenza di Piccarreta, 2005). muretti a secco; 2) dispersione al suolo di utenPer quanto concerne le impronte di scavo, quelsili litici da miniera; 3) esistenza di impronte di le pi evidenti si scorgono soprattutto su una scavo sulle pareti della grotta (Fig. 7). variet di goethite fortemente idratata e allo I muretti a secco risultano eretti soprattutto stato semicolloidale, presente nella Sala dei negli ambienti pi stretti, spesso al limite della Pipistrelli e pi abbondantemente sulla volta di praticabilit umana: essi avevano lo scopo di uno dei Cunicoli terminali. Sono noti anche creare maggiore spazio utile al movimento blocchi mobili dello stesso idrossido ferroso, umano mediante laccantonamento di detriti e rinvenuti al suolo e recanti evidenti tracce di materiali di scarto in pile ordinate. Sono costituicolpi inferti sulle superfici. Questa goethite, ti da clasti calcarei, da concrezioni calcitiche risultando assai tenera e dunque facilmente plarotte e da una qualit di goethite piuttosto ferrusmabile, ha conservato sui fronti di coltivazione, ginosa, evidentemente considerata un minerale proprio a causa della sua plasticit, tutta una inutile e dunque smaltita allinterno dei muretti stessi. Gli utensili litici da miniera appartengono tutti ad una medesima categoria tipologica, quella degli strumenti dotati di scanalatura mediana atta allimmanicatura, che trova confronti in numerosi altri siti estrattivi dellarea circummediterranea e dellEuropa settentrionale. Tali manufatti mostrano una marcata variabilit quanto a dimensione, peso e natura litologica. La scanalatura pu essere affiancata o sostituita da semplici tacche, posizionate soprattutto sulle parti a spigolo dei corpi litici. Le estremit opposte degli strumenti presentano margini pi o meno arrotondati o appuntiti, cosicch risultaFig. 8 - Differenti tipologie di utensili litici da miniera rinvenuti no riconoscibili con sicurezza tre subcategorie nei settori pi profondi di Grotta della Monaca: a-c) asce-marteltipologiche, definite delle asce-martello, dei lo; d-f) mazzuoli; g-i) picconi (foto di F. Larocca).

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ricostruzione di una particolare tecnica estrattiva utilizzata per lacquisizione dei minerali di rame, che non trova finora alcun confronto negli altri antichi siti minerari noti (certamente a causa della peculiarit del contesto di Grotta della Monaca, dove la miniera ospitata allinterno di un sistema ipogeo naturale). stato appurato che i minatori aggredivano, mediante energiche opere di sbanFig. 9 - Impronte di colpi di differente tipologia su goethite: a) dalla Sala dei pipistrelli; b-c) dal camento, i pavimenti staCunicolo terminale di destra; d) dalla Pregrotta (foto di F. Larocca). lagmitici e le croste concrezionate che da questi serie di impronte di differente tipologia (striaturisalivano lateralmente verso le pareti. Scavando re ondulate, vacui di forma irregolarmente ovoinei depositi sedimentari sottostanti, essi si prodale o circolare, larghi tagli a sezione arcuata, cacciavano una grande quantit di carbonati di etc.), che rimandano a percussioni effettuate con rame fissati su numerosi minuscoli clasti rocciostrumenti ricavati da palchi di cervidi ma anche si interrati. Il recupero di queste mineralizzazioda osso, corno e forse materiale deperibile come ni, prelevandole dai depositi di riempimento il legno. Le impronte su goethite individuate accumulati al suolo anzich dalle pareti rocciose, nella Sala dei pipistrelli e nei Cunicoli terminali, risultava molto pi agevole e quindi pi vantagmolto irregolari, si diversificano nettamente da gioso in termini di risparmio di tempo e di quelle presenti sullo stesso minerale in quantit di minerale potenzialmente acquisibile. Pregrotta, con contorni regolari certamente Tale procedura ha naturalmente lasciato, quale connessi alluso di strumenti metallici impiegati traccia pi macroscopica, un generale sconvolgiin periodi pi recenti (dunque nella fase storica mento dei piani di calpestio. Gli interventi di di sfruttamento minerario, a cui si gi fatto scavo condotti in alcuni specifici settori ipogei cenno) (Fig. 9). Peggio conservate e in genere hanno confermato luso di questa tecnica grazie meno facilmente distinguibili risultano le impronte di scavo connesse alle mineralizzazioni cuprifere, queste ultime presenti sotto forma di sottili e tenaci spalmature dal cromatismo verde-bluastro sulla roccia calcareo-dolomitica. Esse si riconoscono soprattutto sui depositi di malachite, sulla cui superficie si notano spesso scalfitture isorientate che rimandano ad interventi artificiali di raschiatura tesi al distacco del carbonato. La tipologia di tali impronte porta ad ipotizzare delle percussioni indirette sul minerale, con limpiego di probabili scalpelli in osso (Fig. 10). Fig. 10 - Impronte di scavo su malachite, dovute probabilmente Di grande interesse risulta il riconoscimento e la all'uso di uno scalpello in osso (foto di F. Larocca).

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al rinvenimento, negli accumuli sedimentari indagati, di numerose colate calcitiche e concrezioni stalatto-stalagmitiche rotte, associate ad utensili litici frammentari e ad una miriade di residui carboniosi. Questi ultimi, peraltro, hanno offerto anche una chiara indicazione sulla tipologia dei sistemi dilluminazione impiegati sottoterra. Poich nella cavit non stata recuperata alcuna lucerna e, invece, tutte le aree estrattive hanno palesato la presenza di abbondanti residui carboniosi (dispersi sia alla superficie del suolo, sia allinterno degli stessi sedimenti), verosimile che le fonti di luce utilizzate vadano ricercate in torce resinose, particolarmente resistenti allo spegnimento in luoghi umidi come quelli sotterranei. Lorizzonte cronologico delle coltivazioni minerarie pre-protostoriche compreso tra lEneolitico iniziale e la media Et del Bronzo. A tuttoggi nessun materiale pi antico di quelli eneolitici stato rinvenuto nellarea dei Cunicoli terminali. La prima fase di sfruttamento minerario, avvenuta agli inizi del III millennio a.C., attestata soprattutto dalla presenza di ceramica del tipo Piano Conte. In seguito, nella fase iniziale del Bronzo medio, la cavit stata utilizzata per motivi sepolcrali, come ci testimoniano tanto le ceramiche associate ad alcune sepolture quanto recenti datazioni radiocarboniche. Esauritosi luso funerario, si registra, forse in un momento pi avanzato del Bronzo medio, una nuova fase di sfruttamento minerario che, operando veri e propri sbancamenti, ha determinato il completo sconvolgimento del sepolcreto ipogeo (Geniola & Larocca, 2005). Testimonianze di frequentazioni antropiche ancora pi remote provengono dalla Pregrotta e sono inquadrabili nel Neolitico medio (met V inizi IV millennio a.C.). Sono indicative in tal senso le ceramiche figuline depurate, talune decorate con larghe bande rosse, e i numerosi strumenti in ossidiana rinvenuti (Geniola & Nicoletti, 2005). bene sottolineare, tuttavia, che allo stato attuale delle ricerche non esistono elementi certi che mettano in relazione la presenza neolitica con le risorse minerarie di cui la grotta era ed tuttora naturalmente provvista. Nel quadro delle attuali conoscenze sulle pi remote miniere di minerali metallici emerge una

differenza fondamentale tra Grotta della Monaca e la maggior parte degli altri siti noti, come ad esempio per citare solo i maggiori in area mediterranea Saint-Vran-les Clausis in Francia, Monte Loreto in Liguria, Rudna Glava in Serbia, Aibunar in Bulgaria, Timna in Israele. Questi ultimi siti, infatti, sono caratterizzati da strutture estrattive di tipo artificiale: siano esse trincee, pozzi o gallerie sotterranee, la loro formazione comunque sempre da ascrivere allintervento delluomo che le ha create progressivamente nel corso delle sue attivit di scavo. Grotta della Monaca, invece, una miniera naturale e rappresenta da questo punto di vista uneccezione: nessuna escavazione artificiale lha originata in base ad un progetto pianificato di sfruttamento delle sue risorse minerarie, le quali sono state direttamente acquisite penetrando in vuoti sotterranei prodotti da precedenti processi speleogenetici. Il dato di grande novit che si evince dallanalisi di tale contesto che in alcuni casi le cavit carsiche, soprattutto quando sono ubicate in territori caratterizzati da forte vocazione mineraria, possono offrire una chiave daccesso particolarmente vantaggiosa per avvicinare senza eccessive difficolt preziose risorse custodite nel sottosuolo. Creare artificialmente una struttura estrattiva di profondit non mai stato un lavoro facile prima dellavvento e dellutilizzo degli esplosivi. Limpresa, gi alquanto complessa nellantichit classica o durante il Medioevo, doveva risultare ancora pi ardua prima della diffusione degli strumenti metallici da scavo, cio in et preistorica. Raggiungere e coltivare depositi di minerali di ferro e rame evitando di scavare gallerie, trincee o pozzi, come nel caso di Grotta della Monaca, permetteva di risparmiare tempo ed energie lavorative. Nella cavit calabrese gli antichi minatori si sono spinti con relativa facilit fino ad oltre 200 metri di distanza dalla superficie, approvvigionandosi di mineralizzazioni di ottima qualit, ugualmente affioranti nel territorio circostante ma in forme pi alterate e in quantit meno consistenti. La singolarit del contesto estrattivo calabrese apre interessanti prospettive alle future ricerche archeominerarie fondamentalmente per due ragioni. In primo luogo perch dimostra che i giacimenti cupriferi e ferrosi di importanza

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secondaria (come sono appunto quelli di Grotta della Monaca), non particolarmente ricchi delle relative mineralizzazioni, paradossalmente risultano essere oggi i luoghi pi favorevoli per la ricostruzione delle dinamiche di approvvigionamento antico dei minerali. I depositi di maggiore consistenza, infatti, si presentano quasi sempre molto disturbati da attivit estrattive succedutesi nel corso del tempo, che hanno perlopi completamente distrutto le tracce delle coltivazioni precedenti. La seconda ragione risiede nella considerazione che, a parte isolati e poco approfonditi casi in area francese, non mai stato attivo un filone di indagini che abbia interpretato le cavit carsiche come possibili miniere naturali. Le potenzialit di questo approccio di ricerca sono invece ampie e confermate, ad esempio, dal fatto che solo nel territorio di SantAgata di Esaro sono state gi individuate almeno altre tre cavit naturali provviste di depositi mineralizzati, contenenti, al pari di Grotta della Monaca, tracce di remote attivit estrattive (attestate da impronte di scavo e dispersione di materiale ceramico). Bibliografia
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