Sei sulla pagina 1di 85

Centro culturale del Decanato di Besozzo

Aderente al Progetto Culturale della Cei


Indice
1 Premessa ________________________________________________________ 4
2 L’intervista _______________________________________________________ 8
2.1 I sacri teli ____________________________________________________ 12
2.2 La Sindone ___________________________________________________ 13
2.3 La crocefissione _______________________________________________ 18
2.4 La flagellazione ________________________________________________ 19
2.5 Esame del tessuto _____________________________________________ 20
2.6 I pollini ______________________________________________________ 21
2.7 Il sangue _____________________________________________________ 22
2.8 Il busto ______________________________________________________ 23
2.9 La testa ______________________________________________________ 24
2.10 Le braccia e le mani __________________________________________ 26
2.11 Le gambe e i piedi ____________________________________________ 27
2.12 Ipotesi sulla formazione dell'immagine ___________________________ 28
2.13 La Sindone a Edessa __________________________________________ 29
2.14 L’arrivo a Costantinopoli _______________________________________ 33
2.15 La caduta nel silenzio _________________________________________ 35
2.16 Gli incendi __________________________________________________ 37
2.17 Il sudario ___________________________________________________ 41
2.18 Il Velo della Veronica _________________________________________ 43
2.19 La Scienza, i sacri teli e le certezze _______________________________ 47
2.20 La deposizione ______________________________________________ 48
2.21 Le cause della morte __________________________________________ 51
2.22 La datazione al radio carbonio __________________________________ 52
2.23 L’immagine tridimensionale ____________________________________ 56
2.24 Copie della Sindone __________________________________________ 57
2.25 Conclusione _________________________________________________ 60
3 Allegati delle altre reliquie della Passione ______________________________ 61
3.1 La storia di Barrie Schwortz ______________________________________ 61
3.2 La storia di David Rolfe _________________________________________ 62
3.3 Il dolore e la storia di Pietro Cavallero _____________________________ 63

2
3.4 Luoghi, reliquie e simboli della Passione ____________________________ 64
3.5 La pietra della deposizione ______________________________________ 65
3.6 La croce _____________________________________________________ 68
3.7 I chiodi ______________________________________________________ 69
3.8 Corona di spine _______________________________________________ 70
3.9 Titulus _______________________________________________________ 71
3.10 La tunica e il mantello _________________________________________ 71
3.11 Santa cuffia di Cahors _________________________________________ 73
3.12 Graal ______________________________________________________ 73
3.13 Scala Santa e Sancta Sanctorum _________________________________ 74
3.14 Colonna della flagellazione _____________________________________ 75
3.15 Lancia Sacra di Longino ________________________________________ 76
3.16 Sangue di Cristo _____________________________________________ 77
3.17 I sandali ____________________________________________________ 78
3.18 L’asciugamano della lavanda dei piedi ____________________________ 79
3.19 Le Croci delle Passione ________________________________________ 80
3.20 I simboli della passione ________________________________________ 80
4 La collana _______________________________________________________ 82
5 Notizie sull’autore ________________________________________________ 83
6 Bibliografia ______________________________________________________ 84

3
1 Premessa
Tutto cominciò quel pomeriggio assolato di settembre del 1978, quando decisi con
tutta la famiglia di andare a vedere la Sindone di cui avevo una vaga conoscenza. Al-
lora non aveva un posto
particolare nel mio credere.
Arrivammo a Torino e ve-
demmo subito che gli orga-
nizzatori di quell’ostensione
non immaginavano certo un
così grande numero di visi-
tatori, per cui l’organizza-
zione lasciava a desiderare.
Parcheggiammo in uno spa-
zio segnalato, abbastanza
distante dal centro.
Seguimmo la folla dei pelle-
grini e arrivammo sulla piaz-
za della cattedrale, dove in-
terminabili file quietamente
e ordinatamente aspettava-
no per ore il loro turno sot-
to il sole. Ci accodammo.
Ogni tanto alcuni non reg-
gevano al caldo e svenivano
prontamente soccorsi da al-
cuni volontari.
Ostensione del 1978 Alla fine, nel tardo pomerig-
gio completamente bagnati
di sudore, dopo lunghe ore di attesa, finalmente sfilammo per pochi minuti davanti
al Sacro Lino. Io non ricordo una particolare emozione ma solo il vanto di poter dire:
C’ero anch’io.
Uscimmo stanchi per tornare alla macchina e scoprimmo casualmente, in un piccolo
chiostro, una premostra che avremmo dovuto visitare prima di metterci in coda.
Fu una fortuna poiché, malgrado avessimo visto la Sindone senza alcuna preparazio-
ne, a quell’ora c’erano poche persone e così potemmo visitare la mostra con tutta
calma soffermandoci a leggere tutti i testi a fianco delle gigantografie esposte.
Rimasi affascinato dalla corrispondenza dei brani del Vangelo con le immagini della
Sindone.
Uscii emozionato e nell’uscire vidi il grande volto di Gesù che sembrava scrutarmi,
4
tanto che dopo alcune decine di metri mi nacque il dubbio che quegli occhi fossero
aperti e così tornai indietro a verificare se erano aperti o chiusi. Erano chiusi ma ero
sicuro che guardassero proprio me.

Nel viaggio di ritorno ci comunicammo le reciproche impressioni e nessuno di noi


5
ebbe dubbi sull’autenticità di quell’immagine.
Passarono poi gli anni, lessi molto libri in proposito e ogni volta che usciva qualche
novità, subito la approfondivo.
Rimasi meravigliato dal tifo da stadio degli esperti, spesso prevenuti, che si scatenò
per dimostrare ciascuno le sue tesi, pro o contro la sua autenticità, a volte anche ba-
rando e sparando opinioni come certezze scientifiche.
Ma gli occhi della fede non avevano dubbi: quella era l’immagine di Gesù!
Ritornai ancora a visitarla nell’ostensione del 2010. Questa volta ero più preparato e
l’organizzazione era perfetta per cui non c’erano lunghe file avendo tutti prenotato
la loro visita.
Dopo una breve attesa entrammo nella premostra, inserita direttamente
nell’itinerario della visita, e ci trovammo in una sala buia, dove improvvisamente
partì una muta proiezione. Un grande silenzio scese tra la piccola folla. Sullo scher-
mo apparve una grande immagine del lenzuolo in negativo. Scorrevano i crudeli par-
ticolari. Nel petto il cuore mi sobbalzò. Alla fine comparve il Suo volto.

Plastico della Sindone per i ciechi


Oh Gesù cosa ti abbiamo fatto! Eppure ero preparato!
Le macchine fotografiche con i loro flash cercarono di catturare l’emozione.
Poi il gruppo si accodò alla piccola coda che attendeva di entrare a vedere la Sindo-
ne passando a fianco di una grande riproduzione in rilievo che anche cechi potevano

6
vedere. Entrammo quindi a piccoli gruppi nella buia cappella, dove era esposto il
lenzuolo.
All’ingresso cartelli invitavano al silenzio e a non usare il flash. Una voce e una luce
indicavano i particolari mentre la gente osservava in silenzio. Poi dopo pochi minuti
la voce invitò a lasciare il posto a quelli dopo.

Ostensione 1931
La visione per gli occhi era finita ma bastò quel breve periodo per far correre il cuore
e il pensiero. Ma perché Gesù hai voluto questo? Altri hanno fondato la loro religio-
ne senza questo martirio!
Chi poteva avere dei dubbi nonostante le incertezze delle prove scientifiche con-
tradditorie che lasciavano tanti misteri da risolvere?
Don Mario nella messa di quel giorno non ebbe dubbi. La chiamò reliquia.
In questo periodo la Sindone è ritornata di attualità con l’ostensione del 2015 e così
non potei non rinfrescare le mie conoscenze sui teli considerati testimoni della Pas-
sione di Gesù e accolsi con grande piacere la possibilità di partecipare nel teatro cit-
tadino a un incontro in cui il noto giornalista “G”, divulgatore scientifico, notoria-
mente ateo, intervistava il noto esperto sindonologo “S”.

7
2 L’intervista
La sala era piena e in grande fer-
mento. Le luci si spensero, calò il si-
lenzio. Si presentò “G”. Scoppiò un
sonoro applauso.
Poi “G”, in piedi in mezzo al palco,
dopo una breve presentazione, invi-
tò “S” anch’egli accolto da un calo-
roso applauso. Si sedettero e dopo
brevi scambi di convenienza iniziò il
dibattito che i presenti immagina-
vano dovesse essere un duello
all’ultimo sangue.
G: Oggi siamo qui per analizzare una storia che possiamo definire un giallo con un
insolito investigatore.
S: Solo che qui la differenza sta che invece di trovare il nome dell’assassino, si sta
cercando il nome della vittima e le indagini non possono essere fatte nel luogo del
delitto ma su un lenzuolo che ne ha passate di tutti i colori.
Mentre procede l’intervista, sullo schermo si susseguono le immagini.
G: Certo che è difficile difendere questo lenzuolo con una storia così contrastata,
dove l’unico dato certo è la sua comparsa nel 1353 a Lirey in Francia, quindi nel
medioevo, come ha documentato la famosa analisi al radio carbonio.
S: Bisogna chiarire che, in generale, non basta mettere l’aggettivo scientifico per de-
finire un risultato, una verità assoluta poiché, quando si parla di certezza scientifica
in realtà si parla di un risultato con un grado di affidabilità molto alto che può sem-
pre essere rimesso in discussione da nuove conoscenze.
G: Non vorrà dire con questo che l’analisi al carbonio è stata un imbroglio?
S: No, voglio solo dire che si è data troppa importanza a quest’analisi e si è trascura-
to il fatto che ogni test deve far parte di un insieme di analisi scientifiche, archeolo-
giche e storiche. È il metodo scientifico che richiede la raccolta di tutte le informa-
zioni disponibili, e solo dopo la formulazione d’ipotesi e teorie da verificare con pro-
ve ripetute.
Il pubblico esprime la sua soddisfazione per la risposta a questo primo assalto.
G: D’accordo, ma lasciamo per un momento da parte il discorso scientifico e cer-
chiamo di capire quale documentazione può parlare di un’altra storia.
S: Vorrei premettere che non sono qui per fornire le prove scientifiche che dimostri-
no la certezza della sua autenticità, oggi non ancora raggiunta, ma per dare un’idea
sintetica sul punto di conoscenza cui siamo arrivati e fornire ai presenti, che lo vo-
lessero, una base sui cui partire per un loro approfondimento.

8
Ci vorranno ancora numerosi confronti tra esperti di tutte le discipline che possano
fornire dati utili per arrivare a conclusioni accettabili e concordi.
G: Certamente non siamo qui per fare un congresso scientifico anche perché non
abbiamo né il tempo né gli strumenti né le competenze per farlo.
S: Cominciamo allora, come prima cosa, a considerare che Goffredo di Charny ne re-
se pubblico il possesso quando fondò una chiesa a Lerey, per sciogliere un voto fatto
quando era prigioniero degli inglesi, e affidò la Sindone ai suoi monaci. È evidente
che lui conoscesse da prima l’esistenza del lenzuolo e sapesse di cosa si trattasse. Al-
lora nessuno si preoccupava di accertarne e documentarne la provenienza perché

Ostensione del 1613


tutti erano convinti che contenesse l’immagine di Gesù tanto che nel 1357 i monaci
fecero un’ostensione che attirò grandi folle.
G: Questo però non basta per affermare che il lenzuolo è più antico.
S: Intanto cominciamo a dire che oggi non possiamo avere delle certezze scientifiche
sul percorso che la Sindone avrebbe fatto, ma dimostrare che della Sindone si è par-
lato ben prima del medioevo con i pochi documenti scampati alla distruzione e il cui
contenuto va inquadrato nei drammatici momenti storici che hanno vissuto.
Dall’altra parte non hanno fatto così gli storici con i tanti personaggi della storia an-
tica come nel caso di Alessandro Magno per il quale non si riesce a distinguere la sua
storia dalle leggende che la raccontano e diciamo che è esistito solo perché sono
state trovate delle monete con la sua l'effige?
9
G: Ma, lasciando da parte per un momento la datazione medioevale, cosa può dire
del periodo precedente?
S: Bisogna considerare che numerose tracce e molte ipotesi consentono di afferma-
re con certezza che sin
dall’origine del cristianesimo
si parlava e si scriveva
dell’esistenza di un modello
autentico del volto di Cristo
su stoffa, d’origine miracolo-
sa.
Dall’altra parte non è pensa-
bile che gli apostoli non
avessero raccolto i teli che
avvolsero il corpo di Gesù e
furono descritti dai Vangeli.
Sicuramente sarebbe strano
che poi non li avessero con-
servati con particolare at-
tenzione affidandoli a per-
sone di fiducia che ne garan-
tissero segretamente la con-
servazione per evitare che
cadessero nelle mani dei
giudei, che li avrebbero rite-
nuti impuri, e dei romani.
Infatti i primi che ne parla-
rono furono proprio gli apo-
stoli così come racconta il
Vangelo:
Essi presero allora il
corpo di Gesù, e lo av- Deposizione, Caravaggio
volsero in bende insie-
me con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. (Gv.19,38-40)
Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e
giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide
le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra
con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro disce-
polo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. (Gv.20,4-8)
Poi, oltre a questi testi, si sono trovati altri racconti su queste reliquie con elementi

10
leggendari che ne hanno arricchita la storia, ma non per questo non possano essere
considerati tracce della loro reale esistenza.
G: Per la verità mi sembrano segni deboli ma comunque ci può dire a quali tracce
fa riferimento?
S: Una delle ipotesi più affascinanti è
quella che la Sindone fosse stata affi-
data a Maria, unica legittima erede.
Un Transitus Mariae del VI secolo,
parzialmente conservato in greco e in-
teramente in etiopico, attribuito a un
certo Leucio, discepolo di Giovanni,
così recita:
Dopo l’Ascensione, la Vergine
Immacolata conservava
l’immagine che aveva ricevuto
dalla Mani di Dio, formatasi sul-
la Sindone. Teneva l’immagine
con sé per poter venerare il volto
meraviglioso di suo figlio e ogni
volta che desiderava pregare
suo Figlio poneva l’immagine
verso est e pregava guardando
l’immagine del volto e tenendo
le mani aperte… Al suo trapasso Re Abgar - monastero santa Caterina
Maria fu posta di fronte Sinai - X secolo
all’immagine del suo Figlio.
Evidentemente non è verificabile se si tratta solo di una leggenda, ma comunque è
una traccia dell’esistenza di questa immagine su tela.
G: È un bell’inizio, ma come crederci?
S: Non è importante crederci ma pur sempre un indizio che può aiutare a formulare
delle ipotesi che consentano di collegare tra loro le notizie più credibili e probabili.
La prima viene da Eusebio di Cesarea che nel IV secolo riporta che a Pella, una città
nella valle del Giordano, si erano rifugiati i cristiani fuggiti da Gerusalemme durante
la guerra del 66, portando con sé gli oggetti più preziosi, immagini e cose sacre, tra
cui probabilmente la Sindone.
Poi, dopo il 130, per sfuggire alle persecuzioni dei romani, alcuni si trasferirono con
gli oggetti sacri a Edessa, nel regno dell’arabo Abgar il nero, rimasto fuori dai confini
dell'Impero romano sino al 216 quando divenne provincia romana. Non è quindi un
caso che qui nel 197 si tenesse un concilio per definire la data della Pasqua.
Poi del suo arrivo a Edessa ci sono numerosi accenni che si ritrovano in testi, più o

11
meno attendibili, che hanno avviato una tradizione secolare circa un ritratto di Gesù
su stoffa, il mandylion, presente a Edessa ai tempi di Abgar la cui storia successiva fa
ritenere probabile essere la Sindone.
Eusebio riferisce che nel II secolo era lì custodita una particolare immagine su stoffa
del volto di Gesù e riporta una fantasiosa leggenda sul suo arrivo, che ritroviamo in
più versioni, che collegano la guarigione del re a un misterioso telo con l’immagine
del Cristo.
Segnala poi che l’imperatrice Costanza si è rivolta a lui per farsi mandare
un’immagine di Cristo come scrive in una sua lettera:
Tu mi scrivi relativamente a una certa icona di Cristo col desiderio che io te ne
mandi una: di quale parli e di che qualità dev’essere quella che tu chiami icona
di Cristo?
2.1 I sacri teli
G: Ma le leggende sul mandylion non si riferiscono al Velo di Manoppello?
S: Nello studio delle presunte reliquie della Passione di Cristo, è facile imbattersi in
molti oggetti sparsi in molti luoghi, ma solo pochi hanno la possibilità di essere rico-
nosciuti certamente autentici. Essi possono servire per ricordare un avvenimento o
una persona, ma non sono mai dogmi in cui credere.
Nel caso dei teli, tra cui le numerose copie, quelli più noti e verosimili sono la Sindo-
ne di Torino e il Sudario di Oviedo che non hanno alcun segno di pittura. Un caso a
se è il misterioso Velo di
Manopello, detto della
Veronica.
Da osservare che spesso è
fatta confusione tra que-
ste stoffe perché a volte il
Sudario è confuso col Ve-
lo, che a sua volta è spes-
so confuso con la Sindone
perché entrambi a volte
sono chiamati Mandylion,
che è solo un nome gene-
rico che potremmo tra-
durre con telo o panno.
Affresco della teca della Sindone - 1100 - Sakli Goreme Turchia
La confusione può anche
derivare anche dal fatto che la Sindone era piegata quattro volte (tetradiplon) e po-
sta in un reliquiario di circa 110x55 cm, con un'apertura circolare al centro che mo-
strava solo la sua ottava parte col volto di Gesù non fatto da mano d’uomo (acheiro-
poietos) e anche dalla presenza a Costantinopoli, sia pure in epoche diverse, sia del
Velo nel 574-700 e sia della Sindone nel 944-1204, mentre invece, del Sudario non si

12
ha alcuna notizia di una sua presenza qui.
2.2 La Sindone
G: Allora come distinguere le tracce di un telo dall’altro?
S: All’inizio, la loro storia ha momenti incerti per cui per un riconoscimento corretto
ci si deve basare su più tracce concordanti in mancanza di una serie ininterrotta di
documenti certi e dettagliati, come atti notarili di possesso o trasferimento, di culto

Affresco 1100 - Cipro


o altro, con buona parte degli archivi andati distrutti.
Inoltre la presenza su questi teli di un volto, costringeva a tenerli nascosti perché
contrari alla Bibbia, perché potevano essere ritenuti oggetto d’idolatria:
Non fabbricarti nessun idolo e non farti nessuna immagine di quello che è in
cielo, sulla terra o nelle acque sotto la terra. (Es.20, 4-6),
e anche perché per gli ebrei erano diventati impuri essendo macchiati di sangue ed
essendo stati in contatto con un cadavere:
E chi avrà toccato sul campo un ucciso di spada o un morto di morte naturale,
ossa di uomo o un sepolcro, sarà impuro per sette giorni (Num. 19,16)
Per questo persino i primi cristiani di origine ebraica ebbero certamente delle per-
plessità poiché se da una parte avrebbero dovuto ritenere illegittimo e impuro il loro
possesso e quindi avrebbero dovuto bruciarli, dall’altra, dopo la Resurrezione, li con-
sideravano più che un ricordo del Cristo.
Questo fu il primo motivo di segretazione, ma poi un secondo fu lo scoppio nell’VIII
secolo della furia iconoclasta e infine un terzo nel 1205 quando ci fu la richiesta a

13
papa Innocenzo III di restituzione della Sindone da parte di Teodoro Angelo, cugino
dell’imperatore di Costantinopoli, con uno scritto in cui protestava per il saccheggio
di Costantinopoli fatto dai crociati:
... Sappiamo che questi oggetti sacri sono conservati a Venezia, in Francia e
negli altri paesi dei saccheggiatori e che il Santo Lenzuolo si trova ad Atene.
Il papa chiese informazioni al capo crociato Othon De la Roche duca di Atene il quale
lo nascose e ne negò l’esistenza.
G: La segretezza rende ancora meno credibili la ricostruzione sulla sua storia.
S: Questo non impedisce di ritenere rilevanti documenti e opinioni di persone auto-
revoli come Ireneo che nel II secolo affermava che la setta gnostica dei Carpocraziani
ha alcune immagini dipinte che dicono essere immagini di Cristo fatte da Pilato.
Inoltre conosceva l’esistenza sia d’immagini e sia di sculture di Cristo, come quella di
Paneas, ritenute da lui espressioni di paganesimo.
Poi Cirillo di Gerusalemme, nel 348 scrisse per una sua omelia:
«Molti sono i testimoni della Risurrezione... la roccia del sepolcro... gli angeli di
Dio... Pietro, Giovanni e
Tommaso, insieme agli altri
Apostoli, dei quali alcuni ac-
corsero al sepolcro; i lini della
sepoltura, con i quali fu prima
avvolto, che giacenti dopo la
Risurrezione... le fasce sepol-
crali e il sudario che lasciò ri-
sorgendo... i soldati...».
E successivamente:
«Vera la morte di Cristo, vera
la separazione della Sua ani-
ma dal Suo corpo, vera anche
la sepoltura del Suo Santo
corpo avvolto in un candido
lenzuolo».
Nel 393 Epifanio di Salamina scrisse
Busto di Gesù - Catacombe di Commodilla - IV
al vescovo Giovanni di Gerusalem-
me:
Giunti al villaggio chiamato Anablatha (Israele), vista una lucerna accesa e in-
formatomi, seppi che in quel luogo c'era una chiesa. Entratovi per pregare,
trovai un velo sulla porta, sul quale era raffigurato un qualcosa di somigliante
a un uomo dall'aspetto di un fantasma; dicevano che era Cristo o un qualche
santo, non ricordo infatti che cosa ho visto. Sapendo che la presenza di siffatte
cose in una chiesa sono uno sconcio, lo strappai per lungo e consigliai di avvol-

14
gervi il cadavere di un povero.
Interessanti sono il riferimento all’aspetto di un fantasma, che potrebbe far pensare
a una copia della Sindone e alla sua dimensione adatta ad avvolgere una persona,
che testimoniano l’esistenza di questi teli senza però specificarne la collocazione.
Anche su testi apocrifi ci sono cenni su Sindone e Sudario che pur riportando raccon-
ti incredibili testimoniano l’esistenza della Sindone, come ad esempio nel Vangelo
secondo gli Ebrei del II secolo dove è scritto:
Il Signore, avendo dato il telo funebre al servo del sacerdote, andò da Giacomo
e gli apparve.
In questo caso non si è certi che si riferisca proprio alla Sindone perché molte storie
si accavallano e si confondono
ma, la storia successiva e i do-
cumenti rintracciati, la fanno
ritenere sicuramente molto più
probabile di quella di altri lini
sacri.
Anche il Vangelo apocrifo di
Gamaliele ritrovato in un ma-
noscritto etiope del V-VI seco-
lo, riporta storie poco credibili
ma comunque testimoniano
l’esistenza di bende funebri di
Gesù e del loro culto. In questo
testo ben sedici volte sono
nominate le «bende» di Gesù.
Nel testo si legge che Pilato si
recò al sepolcro dopo la Resur-
rezione:
«prese le bende mortua-
rie, le abbracciò e, per la
grande gioia, scoppiò in
lacrime quasi che avvol-
gessero Gesù».
E inoltre, grazie alle bende, un
Monastero santa Caterina Sinai - VI secolo
soldato recuperò miracolosa-
mente la vista, il «buon ladrone» fu resuscitato e inoltre:
«Tutto il popolo, quelli della regione di Samaria e i pagani volevano vederle».
Come si vede non si tratta di prove scientifiche ma di testimonianze della venerazio-
ne antica di questi veli.
G: Queste testimonianze sono scritte su documenti trascritti più volte e forse ma-

15
nipolati.
S: A parte il fatto che comunque si tratta di documenti antichi, avevamo premesso
che è difficile stabilire la validità di ogni documento ma cercare di ottenere indizi che
possano incamminarci verso la scoperta della verità.

Crocifissione - codice di Rabbula del 586


G: Ma i fedeli di allora cosa veneravano?
S: Per rispondere alla sua domanda credo che sia opportuno analizzare cosa conten-
gono questi teli cominciando con quello della Sindone, tenendo presente che, quan-
16
do si parla di religione, ci si riferisce a un mondo spirituale invisibile che lascia molti
spazi alle più diverse interpretazioni e questo spiega come un oggetto fisico insolito,
come il telo della Sindone con quella figura che si collega direttamente a questa
realtà, sia oggetto di così tante attenzioni.
Per questo, nonostante il risultato dell’analisi al carbonio 14, inaspettatamente, la
popolarità della Sindone aumentò a causa della sua immagine negativa che affascina
con la sua imponente e triste figura dall’aspetto nobile che emana pace, solennità e
dolce serenità, nono-
stante le violenze subite
e ben visibili.
Essa mostra chiaramen-
te il corpo insanguinato
di un uomo posto nella
Sindone che anche du-
rante la sepoltura colò
siero misto a sangue
poiché
l’imbalsamazione era
stata rimandata al gior-
no successivo il sabato,
giorno del riposo ebrai-
co.
Ora non si può ancora
ufficialmente chiamare
reliquia perché manca
la certezza scientifica, e
probabilmente mai ci
sarà, ma per la fede
questo non importa e
per questo i papi
l’hanno chiamata in
tanti modi: Specchio del
Vangelo; Icona di Cristo;
Icona del Sabato Santo;
Icona della sofferenza;
ma sono sicuro che nel
Matthias Grünewald, Polittico di Isenheim - 1515
loro cuore, per tutti loro,
è il lenzuolo di Cristo.
L’immagine stessa, vista con tutti i dettagli forniti dalla più moderna tecnologia, non
lascia dubbi ai fedeli su chi rappresenti e lascia alla scienza spiegare come si è for-
mata.

17
I fedeli non basano la loro fede sulle reliquie e le immagini ma sul fatto che Gesù fi-
glio di Dio è venuto tra noi.
Poi se leggono la Sindone col Vangelo in mano, come possono ancora dubitare che
sia il Vangelo della Passione di Gesù?
Caso mai i dubbi potrebbero continuare a restare solo per la Resurrezione.
2.3 La crocefissione
G: Ma oltre alla datazione ci sono molte altre contestazioni circa l’interpretazione
di questo telo.
S: Prima di trarre delle conclusioni vorrei cercare di illustrare quale martirio ha subi-
to questa vittima a cominciare dalle modalità della crocefissione romana, nel I seco-
lo chiamata inchiodatura. Era un tipo di esecuzione già in uso presso i babilonesi,
consistente nella sospensione del condannato a uno o più pali posti in vari modi con
lo scopo di procurare la morte del condannato dopo lunga agonia per soffocamento
o collasso abbreviata a volte con lo spezzare le gambe del condannato.
I romani di solito la facevano precedere dalla flagellazione e la infliggevano, per la
sua crudeltà, solo a schiavi, ribelli, stranieri e mai ai cittadini romani. Cicerone la de-
finì il supplizio più crudele e più tetro e Origene scriveva: Vivono con sommo spasimo
talora l’intera notte e ancora l’intero giorno.

Di norma il palo
verticale (stipi-
tes), era già po-
sto nel terreno
mentre il palo
orizzontate (pa-
tibula) era tra-
sportato dal
condannato sino
al luogo
dell’esecuzione.
Qui su questo
palo gli fissavano
le braccia con
corde o anelli o
chiodi e poi lo is-
savano completamente nudo sul palo verticale, dove erano fissati anche i piedi.
I suoi vestiti diventavano proprietà dei carnefici.
Per allungare il tempo dell’agonia spesso i piedi erano appoggiati su una mensola e a
volte c’era anche un sedile. Il cartello (titulus), su cui era indicato il motivo della
condanna, era prima appeso al collo del condannato o portato da un banditore e poi
18
era fissato sul patibolo.
Nei Vangeli non c’è alcuna descrizione della crocefissione, che era inutile per le per-
sone che già la conoscevano, ma solo brevi cenni:
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo co-
strinsero a prender su la croce di lui. Giunti a un luogo detto Gòlgota, che si-
gnifica luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli,
assaggiatolo, non ne volle bere. Dopo averlo quindi crocefisso, si spartirono le
sue vesti tirandole a sorte. (Mt.27,35)
Mentre l’unico riferimento diretto ai chiodi non compare durante la Passione ma
dopo la sua Resurrezione quando Tommaso dice:
Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei
chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. (Gv.20,15)
G: Ma anche la posizione sulla croce ha trovato varie contestazioni.
S: Le modalità della crocefissione potevano avere delle varianti da luogo a luogo per
cui quello che affermano alcuni articoli che ritengono la Sindone un falso, cadono
nel ridicolo quando prima affermano che non si hanno notizie sulle modalità della
crocefissione, poiché che si è trovato un solo crocifisso inchiodato in un modo diver-
so, e poi finiscono col dire, genericamente, che tutti i paleoantropologici sostengono
che l’uomo della Sindone ha una posizione inconciliabile con le loro scoperte.
2.4 La flagellazione
G: Secondo alcuni è strano che dai segni della flagellazione non escano rivoli di
sangue.
S: È solo parzialmente vero poiché sono numerose
le ferite prodotte. La crudele flagellazione di norma
consisteva in una ventina di colpi in ogni parte del
corpo a eccezione della zona del cuore, per evitare
che la vittima morisse prima di finire in croce.
L’Uomo della Sindone, probabilmente legato per i
polsi a una colonna, fu flagellato da almeno due
persone, davanti e dietro, lasciando un centinaio di
segni che, nell’ipotesi di un flagello a tre corde,
equivalgono a più di 30 colpi, a dimostrazione di
uno straordinario accanimento e di una grande ro-
bustezza della vittima.
Era un magistrato che, presente alla flagellazione e
vedendo le condizioni della vittima, definiva il nu-
mero di colpi che i tortores dovevano infliggere al
condannato denudato e legato a un palo o a una
colonna.
Il flagrum o flagellum, era formato da due o tre strisce di cuoio o corda (lora) intrec-
19
ciate con schegge di legno oppure ossicini di pecora o con due piccole sfere di piom-
bo (taxili) fissate alle estremità che lasciavano ecchimosi e ferite, come nel caso
dell’uomo della Sindone.
Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai
soldati perché fosse crocefisso (Mt. 27,26) (Mt.15,15)
2.5 Esame del tessuto
G: Cosa mi dice del tessuto che molti non considerano in uso in Palestina?
S: Vorrei premettere che se per ogni particolare si raccogliessero tutti i dati e pareri
ritenuti attendili e originali ne
verrebbe fuori una grande en-
ciclopedia. Inoltre, prima di
raccoglierli, si dovrebbe prima
indagare sulle reali competen-
ze dell’esperto e quale scopo
ha, capire su cosa si è basato e
com’è arrivato alle sue conclu-
sioni, ma per far questo, biso-
gnerebbe essere a nostra volta
degli esperti.
Non è un caso che per ogni
tema che riguarda la Sindone,
sia per la sua lontana origine,
Tessuto sindone
sia per quello che rappresenta,
sia per l’obiettiva difficoltà delle indagini, si indicano congressi per mettere a con-
fronto i vari pareri gli esperti delle più diverse discipline.
Certo che a volte si rimane colpiti dal fatto che autorevoli esperti scrivano pareri
lontani dall’obiettività e fuori dalle loro competenze per il solo gusto di smentire e
duellare con gli esperti di parere opposto in una diatriba senza fine.
G: Può farcene un esempio?
S: Le perizie sul lenzuolo ne sono un esempio evidente poiché con così pochi reperti
antichi non si può pretendere di definire delle verità scientifiche.
Quello che è certo è che: i tessuti di lino e di lana, erano presenti nell’antichità sin
dal 4.000 a.C.; erano utilizzati per tessere vestiti e biancheria; che la torcitura a “S”
ossia verso sinistra era comune in Egitto, mentre quella a “Z”, verso destra, tipica
della Grecia e dell’Italia è stata trovata in Siria, Iraq e Giudea; la tessitura 3:1 a spina
di pesce è stata rinvenuta a Palmira in tessuti di lana databili al 2500 a.C.; i sacerdoti
ebrei usavano ricchi vestiti e paramenti di lino, ossia non di origine animale come la
lana.
Dato che: le conoscenze c’erano; la Sindone è un lenzuolo pregiato di lino ingiallito;
era più lungo di 4 metri; sono state successivamente aggiunte alcune pezze; è a spi-

20
na di pesce e filatura a “z”; è tessuto a mano; fu comprato da Giuseppe di Arimatea,
ricco membro del Sinedrio; non si può escludere che fosse un tessuto importato o
fatto da un artigiano locale abituale fornitore di ricche vesti ai membri del Sinedrio.
Da osservare che il telaio probabilmente era dedicato a indumenti sacri poiché non
contiene tracce di lana ma solo tracce di cotone, fibra che portata dai Saraceni arrivò
in Sicilia e in Europa solo poco prima dell'anno mille, e impiegò tre secoli prima di
diffondersi.
Con la lana si tessevano i tessuti più comuni, ma non quelli sacri, poiché essendo di
origine animale era considerata impura, per cui il telaio probabilmente era dedicato
ai pregiati tessuti sacri e tesseva solo fibre vegetali.
G: Così non ha ragione nessuno?
S: Attualmente si pensa che con la scienza sia possibile sempre dire: è vero o è falso,
bianco o nero, ma a parte il fatto che non è sempre vero, nelle cose dello spirito mai
c’è la certezza, poiché si ha a che fare col mistero che lascia intuire la verità ma la-
scia a ognuno decidere se credere o non credere come nel caso della Sindone, che
non è un segno di fede.
G: Cosa intende che non è un segno di fede?
S: Il credere autentici i Sacri Teli non è un dogma. La vera fede non ha paura della
verità, tanto meno scientifica, accetta tutte le prove attendibili, le considera con
obiettività e non in modo preconcetto, sia se a favore e sia contro.
2.6 I pollini
G: A proposito di prove secondo lei i pollini sono un chiaro esempio del percorso
della Sindone?
S: No. Frei era protestante e sembrava
uno scienziato affidabile, data la sua
qualifica e il suo curriculum, e così quan-
do pubblicò le sue conclusioni sull’analisi
dei pollini ritrovati sulla Sindone, grande
fu l’entusiasmo dei sindonologi, ma poi
le troppe contestazioni sul modo in cui
condusse queste analisi e gli errori, im-
Polline fotografato fa Frei precisioni e lacune riscontrate, hanno
fatto ritenere i risultati inattendibili.
Poi, dopo alla sua morte, la famiglia li mise in vendita e furono rivenduti più volte a
esperti e presunti tali che diedero pareri in buona parte non considerati dal mondo
scientifico.
G: Vista così anche i sindonologi ne escono male.
S: L’entusiasmo e la passione possono giocare brutti scherzi, ma non solo a loro.
In platea si sente un grande brusio

21
G: La sua risposta ha creato sconcerto negli spettatori che hanno avuto
l’impressione che non sia qui per difendere l’autenticità della Sindone.
S: Io sono qui per difendere la verità e non per fare il tifoso, ma comunque posso
aggiungere che la faccenda non è chiusa poiché la palinologa spagnola Marizia Boi,
riprendendo tutti gli studi fatti sui pollini, e confrontandoli con quelli da lei fatti sul
Sudario, ha dato una nuova interpretazione.
Frei aveva detto che indicano il percorso della Sindone, mentre lei sostiene che indi-
cano gli usi funerari degli ebrei.
Sul fatto che questi pollini possano essere stati involontariamente portati da quelli
che hanno maneggiato, lei ribatte che i pollini ritrovati sono del tipo trasportato da-
gli insetti.
Mentre sul fatto che i pollini al contatto con l’aria si distruggono, lei afferma che si
sono conservati grazie agli oli che hanno impregnato i teli.
Lasciamo pertanto agli esperti terminare il loro dibattito e poi trarremo le nostre
conclusioni.
2.7 Il sangue
G: Ma proseguiamo con l’analizzare altri aspetti a cominciare delle macchie rosse.
Sono Sangue?
S: Qui si entra nel terreno degli specialisti
ma tutti possono vedere sulla Sindone alcu-
ne macchie rosse su: fronte, nuca, costato,
piedi, mani, avambracci, polso e gomito,
sotto le quali non c’è l’impronta del corpo.
Sono le uniche impronte che hanno impre-
gnato le fibre e sono visibili da entrambi i la-
ti oltre agli aloni lasciati dall’acqua usata per
spegnere l’incendio di Chambéry e i segni
delle bruciature.
Già nel 1941 il medico Pierre Barbet scrive-
va:
Tutte queste impronte sanguigne
hanno una speciale colorazione che
spicca sul bistro del corpo. Sono car-
minie, un poco color malva, più o me- Il sangue e siero del costato
no intense o cupe secondo le piaghe, ed anche sulla superficie di una stessa
piaga, il che dà un'impressione, talvolta sorprendente, di spessore variabile,
come se si vedesse il rilievo del coagulo.
Altra particolarità importante: mentre sull'impronta del corpo tutto è in chia-
roscuro, con sfumatura insensibile e margini impercettibili, i decalchi sanguigni

22
hanno dei limiti molto più precisi, che sembrano anche nettissimi su fotografie
in formato ridotto. Essi tuttavia sulle fotografie a grandezza naturale - pur
conservando questa nitidezza e dando quell'impressione di maggior spessore
sui margini - si vedono talvolta come circondati da un'aureola molto più palli-
da, una specie di alone. Ciò è dovuto, lo vedremo, forse, al siero che trasuda da
un coagulo ancora fresco, formatosi sulla pelle.
Poi nel 1969 furono tentati i primi esami per verificare se fossero macchie di sangue
ma bisognò aspettare il 1981 quando con le nuove tecnologie si poté avere la cer-
tezza che si trattava di sangue umano di gruppo AB con DNA maschile.
In particolare Heller e Adler rilevarono la presenza di emoglobina, albumina e
bilirubina e osservarono
che le macchie di sangue si
sciolgono completamente
in una miscela di enzimi
proteolitici, il che indica che
siano composte interamen-
te da sostanze proteiche, e
non da pigmenti minerali o
vegetali. Inoltre trovarono
che gli aloni intorno alle
macchie di sangue sono
composti da siero. Sangue dei chiodi sulle mani

e precisarono inoltre che il sangue uscito prima della morte si è coagulato sulla pelle
e si è trasferito sul lenzuolo per fibrolisi, come mostrano i contorni netti ed evidenti,
e si è bloccato dopo non più di 40 ore, mentre le macchie del sangue uscito dopo la
morte ha separato la parte densa da quella sierosa
Ora ci sono ancora contestazioni sul fatto che si tratti di sangue piuttosto che di pit-
ture di ocra, ma per il contesto, forma, posizione e precisione penso che avrebbero
essere state dipinte da uno come Raffaello.
Il fatto che il sangue della croce già raggrumato abbia lasciato segni sul lenzuolo è si-
curamente dovuto all’abbondante aspersione di aloe e mirra fatte sul lenzuolo po-
che ore dopo la morte.
2.8 Il busto
G: Quali segni mostrano le atroci torture della vittima?
S: Cominciamo dal busto che mostra: numerosi segni dei piccoli piombi (taxili) della
fustigazione; una ferita della lancia fatta tra la V e la VI costola della parte destra da
cui è sgorgato sulla croce abbondate sangue e poi, durante la deposizione, anche
siero.
Ben visibili sono: le tracce del braccio orizzontale della croce (patibulum), di più di 35
kg, che il condannato fu costretto a trasportare dopo la flagellazione, secondo il

23
Vangelo con l’aiuto del cireneo; i segni delle funi sulle spalle e sulle braccia, messe
per fissarlo al condannato che impedendone i movimenti ne hanno determinato le
cadute:
Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del
Cranio, detto in ebraico Gòlgota (Gv.19,17)
Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva
dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.(Mc.15,21)

Segni dei taxili e del trasporto del patibula

2.9 La testa
G: Invece sulla testa, quali segni si possono notare?
S: Il capo sanguinante è chinato, gli occhi sono chiusi, i capelli sono lunghi e inzuppa-
ti di sangue, sono presenti baffi e barba bipartita, e si nota la rottura del setto nasale
con uscita di sangue, sul cuoio capelluto e sulla fronte si nota una decina di piccole
ferite.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono
attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e,

24
intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella de-
stra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: Salve, re dei
Giudei! E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano
sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero in-
dossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo (Mt.27-31)
Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela
misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: Salve, re dei Giudei! (Mc.15,17-
18)
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una
corona di spine, gliela posero sul
capo e gli misero addosso un
mantello di porpora; quindi gli ve-
nivano davanti e gli dicevano: Sal-
ve, re dei Giudei!. E gli davano
schiaffi. Allora Gesù uscì, portan-
do la corona di spine e il mantello
di porpora. E Pilato disse loro: Ec-
co l'uomo!" (Gv.19,1-5)
Sulla nuca spiccano colature di sangue
con coaguli che fanno pensare a un ca-
sco di spine fermato da un cerchio di
vimini, mentre dalla fronte sgorga una
traccia di sangue, determinata da una
spina, che le rughe ne hanno determi-
nata la forma di tre rovesciato.
Ai lati del viso è evidente il segno di una
mentoniera messa per tenere chiusa la bocca.
Si notano traumi sul viso dovuti a colpi o cadute ed escoriazioni.
La bocca è chiusa e ha il labbro superiore è tumefatto.
G: Ma non mi ha parlato delle famose monetine che secondo alcuni sono la prova
definitiva.
S: Non ho parlato delle monetine perché questa prova è un cantiere aperto dalle
nuove tecniche informatiche.
Padre Filas di Chicago fu, nel 1954, il primo che ritenne di aver identificato sull’orbita
destra una moneta che identificò col un dilepton lituus emesso da Ponzio Pilato
nell'anno XVI di Tiberio, corrispondente all'anno 29.
Questa rivelazione fu però lasciata ai margini dagli stessi sindonologi poiché ritenuta
troppo fantasiosa anche perché fatta in modo rudimentale su delle fotografie.
Poi, quando con tecnica informatica furono realizzate le immagini tridimensionali,
Nello Balossino, docente d’informatica, notò anche l’evidenza di una rotondità
25
sull’occhio sinistro, che lo spinse nel
1996 a fare altre indagini informatiche
che lo portarono a riconoscere quella
rotondità con un lepton simpulum del-
lo stesso anno.
Dato il significato importante di que-
sto risultato molte sono state le obie-
zioni tra cui: la tecnica usata fa appari-
re anche quello che non c’è; questo
uso non è sufficientemente documen-
tato; le monete romane erano impure
e quindi non potevano es sere usate
da ebrei.
Balossino candidamente risponde:
Monetine della Sindone
Io ho fatto questa elaborazione
ora sta a storici e archeologi dare a questi i risultati un significato tenendo
presente che come per tutte le prove scientifiche queste elaborazioni sono ri-
petibili da tutti gli informatici ai quali sono pronto a dare tutta la mia assisten-
za.
G: Vedo che su quest’argomento lei è molto preparato.
S: Per la verità durante la lettura dei tanti documenti che parlano delle monete, per
alcuni argomento centrale per la datazione della Sindone, più volte ho cambiato pa-
rere sino a quando ho visto l’intervista fatta a Balossino. Questo potrà capitare a
chiunque legga almeno i documenti indicati nella bibliografia.
2.10 Le braccia e le mani
G: Passiamo ora a parlare delle brac-
cia e delle mani.
S: Con l’incendio di Chambéry del 1532
sono andate perse le immagini supe-
riori delle braccia, ripiegante
sull’addome, e di parte delle spalle.
Comunque sono evidenti le colature di
sangue che scendono sino ai gomiti a
dimostrazione che si sono formate
quando le braccia erano aperte verso
l’alto.
Le mani sono incrociate sul pube con
la mano sinistra appoggiata sul polso
destro. Non sono visibili i pollici rima-
sti nascosti sotto il palmo delle mani.

26
Sulle dita sono presenti escoriazioni.
Sul polso sinistro è ben visibile il segno di un chiodo mentre non è possibile vedere
l’immagine del polso destro sotto il sinistro, ma si vedono comunque le stesse cola-
ture di sangue, mentre sono da escludere fori sul palmo delle mani.
In Luca si legge che quando Gesù comparve agli apostoli increduli disse:
Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io! … mostrò loro le mani e i
piedi. (Lc.24,39-40)
E in Giovanni:
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. (Gv.20,2)
Questi versetti diedero luogo all’iconografia dei fori sulle mani poiché gli artisti non
avevano ancora potuto sapere che invece i chiodi erano stati fissati nei polsi. Da no-
tare che anche nelle esperienze mistiche delle stimmate, i fori si presentano sulle
mani forse per rimanere in sintonia col testo evangelico e con le aspettative della
gente comune.
Qui le discussioni sulla necessità di mettere i chiodi nei polsi è contestata da quelli
che ritengono la Sindone un falso, ma franca-
mente mi sembrerebbe più logica se la situa-
zione fosse l’opposta.
2.11 Le gambe e i piedi
G: Se invece parliamo dei fori nei piedi, ci sono
molte contestazioni sul fatto che fu un solo
chiodo a forare entrambi i piedi, come quasi
tutta l’iconografia mostra.
S: Per capire con quanti chiodi furono fissati i
piedi sarebbe necessario sapere con esattezza
come la vittima fosse stata messa sulla croce.
Orma del piede destro
Certamente furono inchiodate a ter-
ra le braccia e, secondo alcuni, i fe-
roci carnefici fecero anche un primo
tentativo andato a vuoto per fissare
le mani, e usarono corde prima per
allungare le braccia sul patibula del
condannato e poi per issarlo sulla
croce.
Per i piedi c’è chi parla di una specie
di sedile o di un appoggia piedi, di
cui però non c’è alcun segno sulla
Sindone, e chi ipotizza che furono
27
usati due chiodi per i piedi ma sul come sarebbero stati fissati non c’è accordo, così
come sulla loro forma e sul fatto che ci fu anche un massello di legno sotto la testa
dei chiodi.
Comunque gli artisti spesso ne dicano tre e spesso con un poggia piedi.
Le gambe con abbondanti segni del flagello hanno colate di sangue dall’alto verso il
basso, sono leggermente flesse e ben visibili sia nell’immagine anteriore come in
quella posteriore ed evidenziano le cosce, le ginocchia e la parte superiore delle
gambe.
Sulle ginocchia e sulle piante dei piedi ci sono tracce di terriccio.
Sotto la gamba destra fu rincalzato un telo tanto che posteriormente non rende vi-
sibile la regione del femore.
Le parti inferiori delle gambe, che sono sollevate ad arco tra le ginocchia e i piedi,
sono viste sulla Sindone in modo sfumato, cosa non possibile in caso di orma per
contatto.
Le ginocchia presentano escoriazioni e tracce di terriccio dovute alle probabili cadu-
te.
I piedi, abbondantemente insanguinati, sono quasi incrociati col sinistro sopra il de-
stro, che ha lasciato un’impronta completa in cui sono ben visibili i segni del chiodo
e il disegno delle dita, mentre l'impronta del piede sinistro è in parte nascosta dal
destro.

2.12 Ipotesi sulla formazione dell'immagine


G: Ma ha proposito della formazione dell’immagine d’ipotesi se ne sono state fatte

28
tante, quale ritiene più probabile?
S: Cominciamo col dire quali modi non possono produrre questa immagine. È una
proiezione verticale del corpo disteso, come mostrano le immagini tridimensionali,
che ha ossidato la superficie del tessuto. Se fosse determinata da reazioni chimiche
degli aromi che avevano impregnato il tessuto, i vapori delle reazioni sarebbero an-
dati in tutte le direzioni e non avrebbero potuto formare un'immagine netta e det-
tagliata come quella della Sindone e avrebbe dato un’immagine deformata.
Se fosse un’opera pittorica, si sarebbero trovati coloranti penetrati nelle fibre del
tessuto che avrebbero lasciato residui tra le fibre e avrebbero una direzione delle
pennellate dovuta all’azione della mano del pittore.
Se fosse dovuta a strinatu-
ra, ossia bruciatura super-
ficiale, prodotta da statua
riscaldata, come hanno
fatto alcuni studiosi, si sa-
rebbe potuta realizzare
un’immagine solo visiva-
mente simile con
l’aggiunta successiva del
sangue dipinto, ma ben di-
versa da quella microsco-
pica della Sindone.
Se fosse una fotografia, a
Ossidazione del telo della Sindone parte il fatto che questa
tecnologia è troppo recen-
te, avrebbe dovuto lasciare tracce di sostanze fotosensibili.
G: Ma allora come si è formata?
S: La sua formazione rimane un mistero. Alcuni la ritengono possibile tramite un
lampo di luce o una scarica elettrica, senza però spiegare come si sarebbe potuta
realizzare un’esplosione di energia molto intensa ma nello stesso tempo così breve
per non incendiare il tessuto.
G: Quindi la sua formazione rimane nel mistero?
S: Noi oggi possiamo dire com’è fatta ma non com’è stata fatta. Spetta alla scienza
tentare di spiegare il come, così come ha già spiegato in cosa consiste.
2.13 La Sindone a Edessa
G: Ma tornando al lenzuolo di Edessa come mai alcuni lo indentificano con la Sin-
done e altri con qualcosa d’altro?
S: Qui la documentazione si fa più ampia anche se non certa. Secondo alcuni scritti,
il telo fu murato all’entrata della città in una nicchia chiusa da una tegola, keramion,
su cui era impresso il volto di Gesù e qui rimase sino al 525.

29
Sulle sue tracce incontriamo anche l’arte che dopo l’editto di Costantino del 313 sul-
la libertà di culto, cominciò a diffondere un’immagine di Gesù con caratteristiche
simili a quella della Sindone ossia con i capelli lunghi, scriminatura al centro, barba
fluente, volto ovale e occhi.
Un’altra notizia l’abbiamo in una relazione attribuita ad Anastasio e giunta a noi in
più versioni, scritta in occasione del concilio di Nicea del 325 in cui si parla dell'effi-
gie achiropita di Berito (Libano), considerata opera di Nicodemo, in cui si vede il vol-
to di Cristo dopo la Passione, che mostra la preoccupazione che non debba subire
quanto ha già subito il Cristo. Specifica anche che dall'effigie dell’intero corpo del
Cristo, di cui specifica la statura, sgorgò del sangue che raccolto in ampolle fu utiliz-

Volto di Gesù – Mosaico Santa Sofia (537) - Istanbul


zato per guarire degli ammalati.
Esempi sono alcune monete, l'affresco delle catacombe dei Santi Pietro e Marcellino
del IV secolo e il volto del VI secolo nel monastero di santa Caterina nel Sinai.
Grande era sicuramente sempre stato il desiderio di raffigurare il suo volto ma il ti-
more di persecuzioni aveva indotto a rappresentarlo con dei simboli come il pesce e
l’ancora, immagini generiche e non compromettenti.
Un altro riferimento si ha nel 325 quando papa Silvestro dispose che la Messa fosse
celebrata su un lino bianco in ricordo di quello in cui fu avvolto il Signore, usanza che
potrebbe spiegare le gocce di cera trovate poi sul lenzuolo. Quest’uso si è perpetua-
to ed è citato più volte come ad esempio da Germano, vescovo di Parigi nel 555, che
30
scrive:
Il corporale, sul quale si pone la oblatio, per questa ragione è di puro lino, per-
ché il corpo del Signore fu involto in puri lini nel sepolcro.
Altri indizi arrivano da
Evagrio Scolastico che
nel 590 riporta che nel
544 la città di Edessa
fu liberata dall'assedio
dei persiani grazie a
un’immagine sacra, di
cui si era persa memo-
ria, ritrovata
all’interno di una nic-
chia di fronte alla qua-
le ardeva da secoli una
lampada.
Questo può spiegare
come mai solo nel 545
le fosse costruita a
Edessa una cappella
nella cattedrale.
Nel Rito Mozarabico,
in un passo del VI se-
colo, si afferma che
Pietro e Giovanni vide-
ro le «impronte» del
Risorto sui lini, mentre La porta di Edessa – Icona russa del VI secolo
Papa Stefano II scrive
che la figura del volto e dell’intero corpo di Gesù è stata «divinamente trasferita» sul
lenzuolo.
Poi nel 638 arrivano gli arabi che non ne impedirono il culto e la chiamarono Mandil,
cioè telo, tovaglia, tradotto poi dai greci in Mandylion, e chiamato tretradyplon, cioè
quattro volte doppio.
Il baldacchino di papa Giovanni VII (705-707) su cui è ricamato il corpo di Gesù nella
stessa posizione della Sindone, è una prova della conoscenza della Sindone.
Nell’VIII secolo Giovanni Damasceno attesta che l’immagine sul telo è quella di Gesù
che «impresse la sua figura», così come Smera di Costantinopoli afferma che
l’immagine «era dell’intero corpo, non del solo volto» come poi anche papa Stefano
III nel 769 che parla dell’immagine «del volto e di tutto l’intero corpo»-
Queste precisazioni fanno ipotizzare che allora fosse opinione comune che conte-

31
nesse il solo volto.

Ricamo del baldacchino di papa Giovanni VII (705-707)


Testimoni del telo non fatto da mani d’uomo sono anche Gregorio II, che nello stes-
so secolo riferiva di un immagine fatta «senza mano umana», come poi anche Leone
Anagnoste e testi liturgici del 900. Nel VIII secolo si conosce che contiene l’impronta

Giuseppe e Nicodemo al sepolcro - Codice Pray - 1192

32
di tutto il corpo ma i visitatori potevano vedere solo la faccia sul lino ripiegato.
2.14 L’arrivo a Costantinopoli
G: Ma come mai gli arabi avrebbero tollerano questo culto e perché avrebbero ce-
duto il telo ai bizantini?
S: Dopo la conquista degli arabi, a Edessa c’erano ancora molti cristiani per cui non
era loro interesse contrastare questa parte della popolazione, ma quando il generale
bizantino Giovanni Curcuas si presentò per comprarla essi non persero l’opportunità
e la cedettero a caro prezzo.
Infatti nel 944, l'imperatore di Costantinopoli Costantino VII la ottenne in cambio di
200 prigionieri, 12mila denari d’argento e la promessa di non attaccare più la città.

Angelo e donne al sepolcro vuoto – Codice Pray 1192


La portarono tra grandi onori a Costantinopoli, fu istituita al 16 agosto la festa della
Sindone, fu collocata nella Santa Cappella, insieme ad altre reliquie della Passione,
nel palazzo Boukoleon che aveva più di trenta cappelle con numerose reliquie anche
della Passione.
Qui la chiamano Acheiropoieta, cioè non dipinta da mano umana e si afferma che il
telo proveniente da Edessa è la Sindone, Gregorio arcidiacono specifica la presenza

33
sul telo di gocce del sangue sgorgato dal suo stesso fianco.
Un’altra testimonianza proviene dal Codex Vossianus latinus del X secolo, che ripor-
ta un racconto siriaco dell’VIII secolo che specifica l’impronta essere di tutto il corpo.
Nel 1058 il giacobita Yahia Ibn Giarir riporta che il Mandylion è esposto una sola vol-
ta l’anno.
Nell’XI secolo un anonimo afferma che il Mandylion era sempre chiuso in un vaso
d’oro e il panno con il volto del nostro Redentore non è mostrato a nessuno, nem-
meno all’imperatore.
Ne parlano anche nel 1130 il monaco benedettino Pietro Diacono, nel 1141 Orderi-
cus Vitalis e nel 1192 un manoscritto, il codice Pray di Budapest.
Nel 1249 papa Urbano IV dona un’icona del voto di Cristo alla sorella badessa che
poi finirà alla cattedrale di Laon (Francia), ancor oggi presente, che reca la scritta in
paleoslavo, in uso nei secoli IX-XII, traducibili in:
Immago Domini in sudario, che pare sovrapposta a un'altra in greco
chiaro riferimento a un modello più antico ispirato alla Sindone.

Presentazione Sindone all’imperatore . Miniatura del 1100

34
2.15 La caduta nel silenzio
G: Ma come mai della Sindone non si hanno più notizie sino al 1353?
S: Nel 1204 alcuni crociati nella IV Crociata, dissero di aver visto a Costantinopoli la
Sindone del Signore, Robert de Clary scrisse di averla vista verticale e un altro scris-
se:
Fra queste altre chiese vi è un’altra che si chiama Signora Santa Maria di Blac-
herne, dove si trovava la Sindone che aveva avvolto Nostro Signore, che ogni
venerdì veniva esposta dispiegata, tanto che si poteva ben vedere la figura di
Nostro Signore»
Poi i crociati saccheg-
giarono molte reliquie
e le portarono ad Ate-
ne con l’intenzione di
arricchirsi con la loro
vendita.
Molte saranno vendu-
te al re di Francia Luigi
IX e finiranno poi a Pa-
rigi nella Santa Cappel-
la dove verranno bru-
ciate durante la Rivo-
luzione Francese.
È questo è il momento
in cui il capo crociato
Othon De la Roche,
Icone dei templari - XIII secolo
duca di Atene, alla richiesta d’informazioni di Inno-
cenzo III, riferisce che ce n’era una copia di scarsa
qualità, nega l’esistenza di quella autentica, che in-
vece trasferisce in Europa forse con l’aiuto dei Tem-
plari che veneravano un’immagine simile a quella
dell’uomo della Sindone.
Poi per depistare, inviò una copia dipinta al vescovo
di Besançon, citata in un rituale del 1253 in cui si
parla di un sudarium portato in processione nella
Settima Santa.
Tale copia, che poi andrà distrutta da un incendio
del 1349, ha ispirato tante copie di cui una è conser-
vata nel castello di Ray-sur-Saône, ancor oggi abita-
to dai discendenti di Othon De La Roche.
Copia di Ray-sur-Saône

35
A causa della scomunica sul commercio delle reliquie, la Sindone rimase segreta-
mente custodita tra i beni di famiglia sino a quando nel 1353 Goffredo di Charny,
che la ricevette tramite il matrimonio con una discendente di Othon, ne rivelò il pos-
sesso.
Poi nel 1453 Margherita, l'ultima discendente dei Charny, la cedette ad Anna di Lu-
singano, moglie di Ludovico di Savoia, che compensò i suoi debiti con i canonici cui
era stata affidata, con 50 franchi d’oro per ogni anno di custodia.
I Savoia dopo vari spostamenti la collocano prima nella cattedrale e poi nella Sainte
Chapelle di Chambéry loro sede.
Nel 1506 Papa Giulio II stabilisce la festa della Sindone al 4 maggio, il giorno dopo a
quello della Croce.
Nel 1532 a Chambéry scoppia un incendio che danneggia gravemente la Sindone.
Nel 1578, per facilitarne la visione a Carlo Borromeo, i Savoia la trasferiscono a Tori-

Piccola copia della Sindone di Besançon del XVIII secolo


no diventata la nuova capitale del Ducato dei Savoia.
Nel 1694 è posta nella cappella dell'abate Guarino Guarini accanto alla Cattedrale di
Torino e al palazzo reale.

36
Nel 1706 durante l'assedio dei Francesi è nascosta per un breve periodo a Genova.
Seguiranno poi le ostensioni fatte anche per onorare la dinastia dei Savoia del 1713,
1717, 1720, 1722, 1724, 1730, 1735, 1736, 1737, 1750, 1769, 1775, 1785, 1814,
1815, 1822, 1842, 1868, 1898, 1931, 1933, 1973, 1978, 1998, 2000, 2010 e 2015.
Nel 1898 Secondo Pia la fotografa e scopre l’immagine nel negativo che darà una
svolta alla storia del telo.
Nel 1988 gli scienziati eseguono la datazione al radio carbonio.
Nel 1983 Umberto II dona la Sindone a papa Giovanni Paolo II che dispone che resti
conservata a Torino.
G: Così questa ne sarebbe la storia, ma mi lasci dire non le sembra una storia trop-
po romanzata anche per un giallo per poterci credere?
S: Si è vero che si tratta di un bel giallo, ma mi lasci dire che la probabilità che sia ve-
ra è quanto meno più interessante, verosimile e probabile di quelle che hanno in-
ventato quelli che la ritengono falsa spesso con una prosopopea davvero ridicola
che non ti aspetti da persone ritenute serie. Poi per rendere più affascinante il giallo
bisogna anche considerare gli incendi.
2.16 Gli incendi
G: Non mi dirà che anche gli incendi sono una prova che il lenzuolo apparteneva a
Gesù?
S: Nel corso dei secoli la Sindone ha subito vari tentativi di furto, numerosi trasferi-
menti, due incendi documentati, uno nella notte tra il 3 e il 4 dicembre del 1532 e
un altro tremendo tra il giorno 11 e 12 Aprile del 1997. Inoltre anche prima
dell’incendio del 1532, che ha provocato in danni più importanti, subì
un’aggressione dal fuoco come risulta chiaramente nella miniatura del 1192 del Ma-
noscritto Pray di Budapest, e anche da una copia dipinta della Sindone del 1515 an-

Copia della Sindone di Lierre


teriore all’incendio di Chambéry, conservata nella cittadina fiamminga di Lierre, più
piccola della originale di un terzo e una delle poche che rappresentano i due lati del
corpo.
Infatti, sul telo si notano quattro serie di buchi rotondi disposti a “L” forse dovute
ai carboni di un incensiere caduti sulla Sindone quando era piegata in quattro.
Le sue disavventure mostrano uno straordinario accanimento contro questa reli-
37
quia, ma anche straordinari interventi di coraggiosi che l’hanno salvata dalla sua to-
tale distruzione e non possono non far pensare ai credenti che si tratti di tentativi di
distruzione del demonio, che oggi usa metodi apparentemente scientifici, frenati
dalla Provvidenza.
Non è un caso che per evitare che la Sindone cadesse nelle mani interessate di Adolf
Hitler fu nascosta dal 1939 al 1946 nel santuario di Montevergine, in Irpinia con la
regia di Montini allora Segretario di Stato Vaticano.
G: Ci mancava anche Hitler!
S: Certo che per un ateo par-
lare di demoni è una be-
stemmia ma come allora
spiegare cosa successe a
Chambery?
Emanuele Filiberto Pingone,
barone di Cusy, storico, ecco
come racconta l’episodio:
Nell’anno 1532, quando
il secondo giorno delle
none di dicembre, festa
della Vergine barbara,
circa mezza notte, la
Cappella del castello
dove era conservata la
Sindone prese fuoco per
una causa sconosciuta.
Accorsero tutti, ma il
più zelante fu Philibert
Lambert, Clavario e
Consigliere del Duca,
che, presi con sé un
fabbro di nome Guil-
laume Pussod e due
francescani, con grande
forza d’animo si inoltrò Cappella della Sindone di Guarino Guarini
tra le fiamme, ruppe i
cancelli incandescenti dell’altar maggiore ed estrasse la Sindone mentre si sta-
va già fondendo la cassetta d’argento, e la riportò integra mentre intorno a lo-
ro il fuoco si ritirava.
L’urna aveva preso fuoco, cominciava a fondersi e faceva colare gocce d’argento sul-
la Sindone piegata in 48 parti. Ebbe danni gravi, ora ben visibili, ma per fortuna la
parte centrale si salvò. Per spegnere il fuoco fu buttata l’acqua che lasciò aloni.
38
Ci vorranno due anni prima che le suore Clarisse riparino il telo con delle toppe e lo
cuciscano sopra un telo d'Olanda per rinforzarlo.
G: Io penso che fu una serie di circostanze fortunate e niente più
S: Certo è possibile, ma quando dei fatti si ripetono come nel singolare incendio del
1993, a uno che crede, qualche dubbio viene.
La Sindone era stata spostata nel coro della cattedrale dietro l’altare maggiore, pro-
tetta da una robusta teca di cristallo, per consentire i lavori di restauro della sua
cappella.
La sera dell’11 aprile 1997 a Palazzo Reale c’era una cena di gala in onore del segre-
tario dell’Onu Kofi Annan, con cucine elettriche volanti installate e sei riscaldatori
d’aria nelle stanze vicino alla cupola.
Verso le 23, uomini della ristorazione notarono il fumo e diedero l’allarme.
L’incendio scoppiò violento e prese fuoco la Cappella della Santa Sindone, il Duomo
e il Palazzo Reale.
All’1,35, il pompiere Mario Trematore, con grande coraggio, dopo un’ora di furiosi
colpi di mazza sulla teca, sfidando le fiamme e il pericolo di crolli, portò in salvo la
reliquia, mentre il soffitto
crollava lasciandolo mira-
colosamente illeso. Lui
racconta:
«Dal mio balcone,
oltre i tetti delle ca-
se, mia moglie Rita
e i miei due figli, Ja-
copo e Chiara, ve-
dono grandi nuvole
di fumo scendere
sulla città: il duomo
sta bruciando. Pur
non avendo obblighi
Mario Trematore
di servizio, decido di
intervenire. In casa ho una vecchia giacca, scolorita dagli anni e consumata da
tante arrampicate in montagna.
Sulla manica, quasi all’altezza della spalla, avevo cucito un distintivo dei vigili
del fuoco. La indosso, infilo un paio di stivali e corro lì. In 22 anni di lavoro pen-
savo di averne visti tanti di incendi, ma uno così terrificante da gelarti il san-
gue nelle vene non mi era mai capitato. All’interno del duomo la cappella si
sbriciolava sotto l’urto delle fiamme e il crepitare insistente aumentava la mia
voglia di fuggire. Potevo farlo in qualsiasi momento. Non avevo pensieri né per
il capolavoro del Guarini, né per l’uomo muto della Sindone. Avevo altro in

39
mente: la mia vita e quella dei miei colleghi».
Eppure lei ha deciso di provare a mettere in salvo la Sindone benché fosse pro-
tetta da un vetro blindato...
«Ancora oggi non so spiegarmi cosa sia successo, ma il vetro antiproiettile,
sotto i colpi della mazza, si sbriciolava come sabbia. Sono stati momenti
drammatici e la paura di morire fa affiorare alla mente i ricordi più belli e le
persone che ami. Non era l’incendio a minacciare la distruzione della Sindone,
ma l’eventuale crollo della cappella, che avrebbe seppellito pompieri e telo. È
stato faticoso, ma dentro di me sentivo una forza che non era umana».
Gli spettatori scoppiano in un applauso come se avessero assisto alla scena.
Non ci furono vittime; la Sindone non subì danni.

Il devastante incendio del 1997


L’incendio si estinse dopo le 5 del mattino dopo aver distrutto la cupola centrale del-
la Cappella di Guarino Guarini. Nel palazzo reale furono danneggiati: un quinto delle
stanze, arazzi, l’altare del Duomo e molte decorazioni. Inoltre andarono bruciati ol-
tre 150 quadri e molti mobili antichi.
Da allora la Sacra Sindone è conservata nel Duomo, in attesa del restauro della sua
cappella, in due teche differenti: una per le ostensioni e l’altra per la normale custo-
dia, che garantiscono le condizioni ottimali costantemente controllate anche in caso
40
d’incendio e permettono uno sgancio rapido in caso di emergenza quando non fos-
sero bastati i sistemi automatici anti-intrusione e antincendio. Spariamo che ne sap-
piano una più del diavolo.
G: Ma veniamo alle prove scientifiche piuttosto che alle leggende.
S: Mi permetta però prima di parlare degli altri due teli di cui abbiamo parlato.
2.17 Il sudario
G: E qui le leggende sembrano ancora più incredibili.
S: Per la verità il secondo telo, il Sudario custodito a Oviedo in Spagna, di leggende
ne ha poche, infatti, si tratta di un telo di lino di piccole dimensioni (84x 53 cm), del-
lo stesso tipo di quello della Sindone ma con un ordito ortogonale invece che a spina
di pesce, non presenta alcuna immagine, ma solo abbondanti macchie di sangue
simmetriche, e tracce di terriccio, aloe, mirra e pollini. La sua formazione non ha
quindi niente di misterioso.
La sua tradizione è ri-
portata nel Liber Te-
stamentorum di Pela-
gio, vescovo di Oviedo
dal 1101 al 1130, che
riporta una tradizione
in buona parte orale,
secondo il quale fu ini-
zialmente custodito in
Gerusalemme insieme
con altre reliquie in
un’arca di legno di ce-
dro.
Dopo che i persiani
conquistarono la città Sudario di Oviedo
nel 614, un monaco di
nome Filippo avrebbe portato l’arca che lo conteneva prima ad Alessandria d’Egitto
e poi in Spagna a san Fulgenzio, vescovo di Ecija, che la diede al fratello sant’Isidoro
vescovo di Siviglia e questi a sant’Ildefonso poi vescovo di Toledo che forse la nasco-
se, per paura degli arabi, nell’eremitaggio di Monsacro nei pressi di Oviedo.
Le prime notizie sul Sudario vengono dal diario del 570 di un pellegrino in Terra San-
ta: Itinerarium Antonini Placentini, secondo il quale «in un luogo prossimo a dove fu
battezzato il Signore» si conservava «il Sudario che era sulla sua testa». Inoltre rac-
conta di aver visto in Egitto a Menfi:
Là noi vedemmo un panno di lino, nel quale è impressa l’immagine del Salva-
tore. Si dice che quando era vivo si sia terso con quel panno il volto, lasciando-
vi la sua immagine. Oggi questo panno viene venerato; e anche noi lo vene-

41
rammo; ma per lo splendore che da esso emanava non potemmo guardarlo, e
quanto più cercavamo di guardarlo tanto più si mutava davanti ai nostri occhi.
Poi nel 646 san Braulio, vescovo di Saragozza, dichiarò:
«non si può chiamare superstizioso chi crede all'autenticità del sudario nel
quale fu avvolto il corpo del Signore»
E poi in una lettera scrive:
«Sappiamo molte cose accadute in quei tempi che non sono state registrate.
Per esempio il fatto delle bende e del sudario nel quale fu avvolto il capo del
Signore. Di esso si dice che fu trovato; non si legge invece che sia stato conser-
vato; ma non posso credere che siano state trascurate, ma piuttosto messe in
un luogo sicuro, già fin d'allora dagli apostoli, quelle reliquie, come anche altri
oggetti simili»
Nell’840 il re di Asturia lo avrebbe portato a Oviedo, dove le fece costruire nel suo
palazzo la Cámara Santa, la cappella, ora inclusa nella cattedrale, che da allora acco-
glie l’arca col telo.
La prima apertura certificata dell’arca è del 1075 in cui si parla «de Sudario Eius».
I primi studi sul Sudario sono del 1965 e mostrano alcune analogie con la Sindone.
Esistono altri teli che si definiscono sudario di Cristo, ma questo sembra il più credi-
bile.
G: Ma cosa c’è sul Sudario?
S: Solo le recenti ricerche hanno accertato che non era solo un telo sporco di sangue
senza apparente significato, ma aveva un’interessante storia da raccontare. Si è po-
tuto capire, infatti, che si trattava di un telo posto sul viso di un cadavere, fermato
dietro la testa. Le sue macchie di sangue si sono impresse in due momenti, prima
mentre il defunto era ancora verticale sulla croce e quando si impressero anche im-
pronte di dita lasciate attorno alla bocca e al naso forse per fermare il sangue, poi
quando era orizzontale.
Le macchie sono di sangue e liquido edematico polmonare tipico della morte per
soffocamento. Si notano inoltre alcuni puntini di sangue causati da piccoli corpi ap-
puntiti, molto probabilmente spine.
L’ipotesi più probabile è che il Sudario coprì il volto del defunto sulla croce e aveva la
testa reclinata, quando erano in attesa dell’autorizzazione di Pilato, e poi anche nel
trasporto al sepolcro. Qui fu tolto prima di essere ricoperto dalla Sindone anche per-
ché non ha l’immagine che si è formata successivamente alle macchie di sangue.
Non possiamo però stabilire se sia quello di cui Giovanni parla nel suo Vangelo, ma
sappiamo che dovette essere lasciato nel sepolcro secondo l’usanza ebraica, perché
intriso di sangue che, secondo gli ebrei, contiene la vita.

42
La Sindone e il Sudario pare siano stati a contatto con la stessa persona anche per-
ché c’è corrispondenza nelle cause della morte, nella posizione di parecchie macchie
di sangue, nell’impronta del naso di medesima lunghezza di otto centimetri ed è

Sovrapposizione delle macchie di sangue del Sudario sul capo della Sindone
sporco di terriccio nello stesso modo, inoltre il sangue appartiene allo stesso gruppo
AB maschile.
Non ha dato esito invece l’indagine sul DNA, essendo il sangue risultato inutilizzabi-
le, mentre quella al carbonio 14 ha dato una datazione al VII secolo.
Da osservare che questo telo non ha avuto copie poiché non contiene alcuna imma-
gine, come altri teli che dicono essere stati in contatto col Cristo in modo simile. Solo
dal 1965 è stato oggetto di studi scientifici ed è stato messo a confronto con la Sin-
done con risultati sorprendenti tanto da farli ritenere l’uno la conferma dell’altro.
2.18 Il Velo della Veronica
G: Ma veniamo al telo del Volto Santo detto della Veronica e qui voglio proprio
vedere cosa mi racconta.
S: Cominciamo a dire che si tratta di un velo prezioso per alcuni di bisso marino, per
altri di lino, liscio, impermeabile e trasparente di piccole dimensioni (17x24cm), pro-
babilmente proveniente dall’Egitto e usato in Palestina da principi e sacerdoti.
Esso ritrae l'immagine a colori di un volto maschile sofferente con la frattura del set-
to nasale, capelli lunghi, barba divisa a bande, una guancia con un evidente rigon-
fiamento, non ha tracce di sangue.
Le pupille sono completamente aperte, gli occhi guardano da una parte verso l'alto e
mostrano il bianco del globo oculare.

43
Sopra la fronte si trova un ciuffo di capelli, corti e mossi.
È il più misterioso dei veli poiché non si è ancora identificata come si sia formata
l’immagine. Per alcuni è nato con la Sindone, per altri ha origini leggendarie. Si è
scartata l’ipotesi delle tecniche di tessitura e non si può affermare che si tratti di un
dipinto, anche se sono state rilevate minuscole presenze di pigmenti o di bruciature
solo in pochi piccoli punti.
G: Ma queste particelle non potrebbero essere il segno che è un dipinto?
S: Queste particelle non sono sufficienti per dire che tutta l’immagine è stata dipinta
piuttosto che sia stato il frutto di un ritocco.
Ha inoltre alcuni aspetti molto particolari. Alcuni esperti asseriscono che non si può
dipingere una tela di bisso senza produrre sbavature che sul Velo sono assenti.
L’immagine è visibile in modo identico dai due lati, non contiene tracce di sangue e,
se la luce la attraversa, svanisce.
Si teorizza che possa essere il risultato di una sorta di decolorazione, come ad esem-
pio mostra il limone col suo effetto schiarente, ma dovrà essere la scienza, prima o
poi, a definire come si è formata questa immagine. Sinora rimane un mistero.
G: Ma cosa mi dice della sua origine?
S: Qui un’origine storica non è nota ma conosciamo solo sue antiche leggende.
La leggenda della Veronica (nome latino di Berenike) fa la sua prima comparsa in al-
cuni scritti apocrifi del VI secolo del Ciclo di Pilato e parla che mentre lei andava con
un velo a farsi dipingere un ritratto di Gesù, lo incontra e gli imprime il suo viso.
Poi nel basso medioevo la leggenda si trasformò con l’incontro della Veronica con
Gesù sulla via del calvario, dove gli asciugò il volto col panno su cui rimase impressa
la sua immagine.
Ma la leggenda più antica, giunta a noi in più versioni, e forse più vicina alla realtà, è
quella di Camulia in Turchia,
che uno scritto ritenuto di
Gregorio di Nissa chiama la
Nuova Gerusalemme, che par-
la di un’immagine acheropita
(non fatta da mano d’uomo) di
Cristo su stoffa.
La sua esistenza è documenta-
ta da fonti liturgiche del V se-
colo, da Zaccaria di Mitilene e
da una cronaca persiana del
569 che raccontano che il velo
sarebbe stato rinvenuto dalla
pagana Hypatia (per alcuni
Velo di Manoppello
Akylina) nella sua fontana dopo
44
aver dato da bere a Gesù.
Poi anche altre leggende parlano della sua origine e di quella di copie miracolose
come quella di Diobulone, sempre in Turchia, che fu portata in processione per tutte
le città per due anni, così come a Cesarea dove c’è traccia di processioni nel 554 e
nel 560.
G: Ma quale strada ha fatto per arrivare a Roma?
S: Nel 574 la copia di Camelia fu trasferita a Costantinopoli, dove fu ricevuta con
grandi onori. Qui nel VII secolo, lo storico Teofilatto Simocatta scrive nella sua volu-
minosa Storia, che la vittoria dei bizantini nella battaglia con i persiani di Arzamon
(586), fu ottenuta con la presenza di un’immagine che:
Si dice dall’antichità e fino a oggi si ritiene che l’abbia creata l’arte divina, che
non l’abbiano prodotta mani di tessitore né l’abbia colorata la pasta di un pit-
tore.
Nel 622, Giorgio di Pisidia scrive che Eraclio, in partenza contro la Persia:
«prese la figura divina e venerata, la copia dello scritto non scritto da mani
d’uomo».
Poi con la controversia iconoclasta, del Velo non si parla sino a quando, attorno al
700, compare a Roma, dove è chiamato Volto Santo ed è posto nella Cappella Sanc-
ta Sanctorum, una volta la cappella privata dei papi nel Palazzo lateranense, antica
loro sede, chiamata così perché conteneva le reliquie più preziose.
Poi nel 705 Innocenzo III lo trasferì nella basilica di san Pietro, in una cappella con
ciborio e per la prima volta fu chiamato Veronica, ossia vera icona di Cristo.
Molti erano i pellegrini che venivano a venerarla e numerosi gli artisti che la presero

Icona Sancta Sanctorum

45
come modello del vero voto di Cristo, soprattutto in occidente dove era molto limi-
tata la conoscenza della Sindone, che invece ispirava quelli orientali.
Nel Sancta Sanctorum l’immagine fu sostituita dall’attuale icona dipinta che poté es-
sere vista dal Bernini che la giudicò imitazione di una più antica.
Teofane, nell’VIII secolo afferma che nessu-
na mano avrebbe disegnato questa immagi-
ne, ma:
La Parola creativa e formante tutte le
cose ha prodotta la forma di questa
figura divino-umana.
Nel 753 il Papa Stefano II l’avrebbe portata
in processione quando il re longobardo
Astolfo assediò la città.
Poi nel 1527, dopo il sacco dei mercenari di
Carlo V, un certo messer Urbano, scrisse alla
duchessa di Orvieto:
«in la qual chiesia et allo altare pro-
prio dicono esser stati morti da 500
homeni, et reliquie sante disperse et
arse, et alcuni dicono anche abruciata
la Veronica»
Velo sovrapprosto alla Sindone
ma forse il Velo fu solo rubato. Poi ufficial-
mente è conservato in san Pietro dietro la statua della Veronica, dove in realtà esiste
un telo senza immagine, mentre una tradizione racconta che fu portato a Manopello
da uno sconosciuto, scomparso poi senza lasciare traccia subito dopo averlo conse-
gnato al fisico Giacomo Antonio Leonelli, la cui figlia Marzia, nel 1618, lo vendette a
Donato Antonio de Fabritiis che lo donò ai frati cappuccini.
G: Ma quale parentela ha con la Sindone?
S: Alcune comparazioni tra il volto della Sindone con quello di Manoppello, possono
far pensare che si tratti dello stesso volto sofferente, ma in quello di Manoppello la
bocca e gli occhi sono aperti e mancano alcuni dettagli come il rivolo di sangue della
fronte.
Da un punto di vista storico, malgrado che molti sostengano il contrario, il Velo non
andò mai a Edessa ma può darsi che la sua fama si sovrapponesse a quella della Sin-
done per il fatto che entrambi furono chiamati Mandylion.
Questo non esclude, nel caso che si scoprisse essere fatto da un pittore, che questi
abbia conosciuto il volto della Sindone.
Qualche mormorio sale dal pubblico
G: Ma mi sembra veramente incredibile questa storia anche per un credente.
46
S: Per un credente niente è impossibile ma le notizie di cui si dispone e la stessa im-
magine non autorizzano a ritenerla una reliquia ma solo una importante modello del
volto di Cristo formatosi in un modo e in un tempo ancora misteriosi.
2.19 La Scienza, i sacri teli e le certezze
G: Ma torniamo a parlare della verità affermata dalla scienza con l’analisi al radio
carbonio.
S: Cominciamo dal telo più importante, ossia della Sindone.
La scienza ha cominciato a occuparsi di questo telo solo dopo il 1898, quando
l’avvocato Secondo Pia lo fotografò e scoprì l’immagine sul negativo che rivelò ina-
spettatamente i primi dettagli.
Poi nel 1931 il fotografo Giuseppe Enrie scattò una nuova serie di fotografie di eccel-
lente qualità che consentirono di approfondirne la conoscenza.
G: Ma ci sono delle verità che vedono concordi tutti gli esperti?
S: Tutti è una parola grossa, ma comunque a fronte di diverse ipotesi sulla origine e
formazione dell’immagine sulla Sindone si sono raggiunte alcune certezze scientifi-
che su cui concorda la maggioranza degli studiosi.
Rimangono comunque nel mistero alcune questioni, mentre su altre si hanno forti
differenze interpretative. Certezze sono:
l’immagine non è frutto di contatto ma di proiezione, risultando visibili, con di-
versa intensità, anche le parti scostate dal lenzuolo permettendo così la rap-
presentazione tridimensionale; l’immagine non è visibile sul retro del lenzuolo
ed è determinata dalla ossidazione della superficie delle fibre del tessuto for-
matesi successivamente alle tracce di sangue lasciate dalle ferite del corpo av-
volto; il sangue è del gruppo AB e DNA maschile; le tracce di sangue sono le
uniche visibili da entrambi i lati perché hanno impregnato il tessuto;
l’immagine del corpo sia anteriore e sia posteriore sono visibili da oltre 2 me-
tri; il telo è di lino a spina di pesce e torcitura Z ordino 3:1; non è un dipinto
poiché non esiste alcun pigmento; è indelebile; contiene micro particelle di ter-
riccio tipico di Gerusalemme sulle mani, naso, e piante dei piedi e ginocchia; ci
sono tracce di aloe, mirra, cera e di 58 tipi di pollini; si nota la presenza di un
sudario o mentoniera. Il sangue è di tipo sia arterioso e sia venoso in parte
fuoriuscito quando l’uomo era in vita e parte, misto a siero, uscito dopo essere
stato collocato nella Sindone. Le striature sono rispettivamente compatibili
con la crocifissione e la sepoltura. Rappresenta a specchio la figura di un uomo
alto probabilmente 1,83-1,87 m. di età tra i 30 e i 40 anni, flagellato sul da-
vanti e sul dorso secondo i metodi romani; incoronato con un casco di spine di
pianta della Palestina; ha abrasioni sulle spalle per il trasporto di un pesante
carico; ha sul viso evidenti segni di caduta e di percosse; ha camminato scalzo
ed è caduto a terra senza possibilità di ripararsi con le mani; è stato inchiodato
ai polsi e ai piedi, ha una ferita sul costato fatta dopo la sua morte.
Ha contenuto un corpo per non più di 36 ore.
47
2.20 La deposizione
G: Ma quanto tempo rimase sulla croce?
S: I testi dei Vangeli sono concordi, a
parte alcuni particolari interessanti,
nel definire l’ora della morte, della
deposizione, e sul fatto che la sepoltu-
ra fu fatta in fretta, ma comunque se-
condo le usanze ebraiche.
Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "
Elì, Elì, lemà sabactàni? ", […] emesso
un alto grido, spirò. […] Venuta la sera
giunse un uomo ricco di Arimatèa,
chiamato Giuseppe, il quale era diven-
tato anche lui discepolo di Gesù. Egli
andò da Pilato e gli chiese il corpo di
Gesù.
Allora Pilato ordinò che gli fosse con-
segnato.
Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo av-
volse in un candido lenzuolo e lo depo-
se nella sua tomba nuova, che si era
fatta scavare nella roccia; rotolata poi
una gran pietra sulla porta del sepol-
cro, se ne andò. Erano lì, davanti al
sepolcro, Maria di Magdala e l'altra
Maria.
Passato il sabato, il primo giorno della
settimana, Maria di Magdala e l’altra
Maria andarono a visitare il sepolcro.
(Mt.27,46-61; 28,1)
Alle tre Gesù gridò con voce forte […]
dando un forte grido, spirò. […] So-
praggiunta ormai la sera, poiché era la
Parascève, cioè la vigilia del sabato,
Giuseppe d'Arimatèa, membro auto-
revole del sinedrio, che aspettava an-
che lui il regno di Dio, andò coraggio-
samente da Pilato per chiedere il cor-
po di Gesù.
Pilato si meravigliò che fosse già mor-

48
to e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato
dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuo-
lo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro
scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro.
Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove
veniva deposto.
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salomè comprarono
oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno
dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. (Mc.15,34-47;16,1-2)
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra
fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gri-
dando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Det-
to questo spirò. […]
C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio,[…] Egli era di Arima-
tea, […] Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo av-
volse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, […] nella
quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parasceve e già
splendevano le luci del sabato. […]
Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse
osservarono la tomba e com’era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono
indietro e prepararono aromi e oli profumati.
Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento. Il primo
giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con
sé gli aromi che avevano preparato. [Lc.23,44-56; 24,1)
E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: "Tutto è compiuto! " E, chinato il ca-
po, spirò.
Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in
croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a
Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dun-
que i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato croci-
fisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli
spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subi-
to ne uscì sangue e acqua. […]
Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di na-
scosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù.
Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù.
Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte,
e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre.
Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli

49
aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato
crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessu-
no era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Prepa-
razione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino. (Gv.19,30-42)
Poiché probabilmente verso le 19 Pilato concesse a Giuseppe e Nicodemo
l’autorizzazione, Gesù fu staccato dalla croce dopo 4-5 ore dalla sua morte. Tolti i
chiodi, ricomposero la salma, la trasportarono dentro la sindone col volto coperto
dal sudario e la deposero nella tomba.
Non ci sono particolari di come il corpo fu preparato e quanti teli furono usati, ma
secondo le usanze ebraiche si può supporre che, nonostante la fretta dovuta
all’inizio del sabato di assoluto riposo, Giuseppe e Nicodemo si fossero limitati alla
parte iniziale della preparazione della salma ossia: cosparsero sul corpo e sulla Sin-
done abbondante aloe e mirra per frenare la decomposizione; chiusero gli occhi; le-

garono mandibole per tenere la bocca chiusa con una mentoniera; fasciarono con
una benda la Sindone per tenerla composta. Le donne osservavano il loro lavoro con
l’intento di ritornare il giorno dopo il sabato per acconciare barba e capelli, lavare,
ungere e fasciare il cadavere.
Questo ricorda quanto scrisse Isaia:
Dalla pianta dei piedi alla testa non c'è in esso una parte illesa, ma ferite e livi-

50
dure e piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né curate con
olio.(1,6)
Gregorio di Nazianzo intorno al 385 nel suo libro Christi Patiens, scriveva come Gesù
nudo fu crocifisso con tre chiodi e mentre il sangue ancora fuoriusciva dalla ferita al
fianco, fu avvolto (eneiliksai) in teli (peplois).
Da notare che il sepolcro usato per Gesù è nuovo e scavato nella roccia, mentre i
poveri venivano sepolti nella terra.
2.21 Le cause della morte
G: Quindi il cadavere era ancora sporco di sangue quando fu deposto nella Sindo-
ne?
S: Certamente, e oltre il sangue c’era anche del siero. Ma per comprendere se
l’immagine di cui stiamo parlando è quella di Gesù, è importante confrontare il testo
dei Vangeli con quanto si è riscontrato sulla Sindone e sul Sudario, e cercare di com-
prendere la causa della sua rapida morte. Per far questo bisogna cominciare
dall’inizio della sua Passione nell’orto dei Getsemani la sera del giovedì:
In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come
gocce di sangue che cadevano a terra (Lc. 22,44)
La medicina moderna spiega queste gocce di sangue come particolare porpora psi-

Deposizione - Guercino
cogena come mostrano i dichiarati sintomi di: sudorazione, desiderio di fuggire,
paura di morire, caduta a terra e angoscia. Poi lo stress, il processo, la fatica, i trau-
51
mi, la flagellazione, le ferite, l'inchiodamento, l’innalzamento sulla croce, hanno
comportato lesioni cardiache. Questo ha portato, secondo i medici legali tra cui Pier-
luigi Baima Bollone, a una trombosi coronarica che unita all’asfissia meccanica, de-
terminata dalla posizione del condannato, ha ridotto la sua agonia a solo tre ore sino
a quando emise un forte grido di dolore. Fu allora che un soldato, udito il grido, vista
la testa reclinata, costatando la sua morte, con una lancia colpì la destra del suo co-
stato provocando l’uscita di sangue e acqua, probabilmente accumulati nel torace
forse per ferite interne dovute alla flagellazione.
2.22 La datazione al radio carbonio
G: A questo punto dobbiamo parlare della datazione al radio carbonio.
S: Bisogna ricordare che in occasione dell'ostensione straordinaria della sindone av-
venuta nel 1978, fu costituito il
Progetto di ricerca sulla Sindone
di Torino con l'intenzione di sot-
toporre il lenzuolo a vari studi,
tra cui la datazione al radio car-
bonio (carbonio 14).
Richiedendo il taglio di qualche
frammento del lenzuolo, forte fu
la perplessità della Chiesa ma alla
fine sotto la forte pressione
dell’opinione pubblica, soprattutto Prelievo dei campioni
protestante, dovette acconsentire per evitare che nascesse il dubbio che il mancato
esame avesse potuto significare il voler nascondere qualcosa.
G: Poi arrivarono i risultati diversi dalle attese e la Chiesa non volle crederci.
S: Bisogna ricor-
dare che la Chiesa
nel 1988 si è limi-
tata a dire quali
erano i risultati
comunicati dai la-
boratori senza in-
dicare il suo pare-
re ma lasciando
agli esperti spie-
garli.
Fu allora che molti
sindonologici ve-
dendoli il contra-
sto con le loro
Annuncio ufficiale della datazione – cad. Balestrero ipotesi, cercarono
52
nei modi più diversi di arrivare a dimostrare la loro inattendibilità.
Nacquero così voci sulla validità del test, sulla correttezza delle procedure, sul non
aver tenuto conto dei travagli subiti dal tessuto, e si parlò anche di complotti, ma
questo dibattito è rimasto estraneo alla Chiesa.
La datazione della Sindone all’età medievale scatenò reazioni contrastanti dovute
all’aver dato a questo test un significato indipendente e maggiore di quello delle al-
tre ricerche e contrario a quello che gli occhi vedevano. Comunque è rimasto insolu-
to anche per la scienza, il mistero di come quell’immagine si sia formata.
G: Ma lei ritiene che i laboratori che hanno fatto le analisi siano seri?
S: Io penso di si, anche se non sono un esperto, ma credo utile, per comprendere la
validità dei risultati dell’analisi, leggere quanto stabilisce il laboratorio statunitense
Beta Analytic che esegue attualmente la datazione al radiocarbonio di reperti ar-
cheologi.
Il carbonio-14 radioattivo e instabile, chiamato radiocarbonio, è un isotopo na-
turale dell'elemento carbonio. Quando un essere vivente muore, cessa l'intera-
zione con la biosfera: il carbonio-14 in esso presente non subisce più l’influenza
della biosfera e inizia in modo naturale a degradarsi.
Per una corretta analisi i requisiti essenziali sono:
 La relazione campione-contesto deve essere stabilita prima della datazione
al carbonio.
 Gli scienziati che effettuano le datazioni al radiocarbonio e gli archeologi
dovrebbero lavorare insieme sul campionamento, sulla conservazione e su
altre questioni per ottenere un risultato significativo.
 I risultati della datazione al radiocarbonio potrebbero essere archeologi-
camente inaccettabili.
 La storia, l’antropologia e l’archeologia sono tre discipline distinte ma stret-
tamente connesse che raccontano all'uomo il suo presente in virtù del suo
passato.
La relazione campione-contesto non è sempre facile. Bisogna prestare grande
attenzione quando si collega un evento al contesto e il contesto al campione
da datare con il radiocarbonio.
Un archeologo deve anche fare in modo che siano raccolte e trattate per la da-
tazione al carbonio soltanto le serie di campioni utili e non qualsiasi materiale
organico trovato nel sito dello scavo.
Idrocarburi, colla, biocidi, glicole polietilenico o colla vinilica non devono venire
a contatto con i campioni destinati alla datazione al radiocarbonio. Altri po-
tenziali contaminanti sono carta, cartone, cotone, corda e cenere di sigaretta.
I campioni devono essere conservati con materiali d’imballaggio che li proteg-
gano durante il trasporto e anche in caso di stoccaggio prolungato.
53
I responsabili dei laboratori di ricerca
È possibile usare dei contenitori in vetro per la conservazione dei campioni, ma
sono suscettibili a rotture e possono essere poco pratici quando si tratta di
campioni grandi. La plastica non è sempre sicura, perché potrebbe contamina-
re i campioni. Sono invece sicuri i contenitori di alluminio con tappi a vite, ma è
comunque preferibile consultare il laboratorio per sapere quali sono i migliori
contenitori per i campioni destinati alla datazione al carbonio.
Interpretare i risultati della datazione al radiocarbonio non è semplice e ci so-
no delle volte in cui gli archeologi ritengono i risultati del carbonio-14 "archeo-
logicamente inaccettabili". In questo caso, l'archeologo respinge i risultati del-
la datazione al radiocarbonio previa valutazione della cronologia dello scavo
archeologico.
Le ragioni per cui i risultati di una datazione al carbonio possono essere consi-
derati "inaccettabili" sono tante. Può esserci un problema deposizionale di
fondo, o una contaminazione insospettabile, o anche un problema del labora-
torio. In ogni caso, vale la pena chiedersi perché i risultati siano ritenuti inac-
cettabili.
Lasciamo a ognuno le sue conclusioni.
G: Ma adesso sono in programma altri tipi di test?
S: Al momento, pur non essendo autorizzata nessuna nuova ricerca, molti sono gli
studiosi che fanno loro esperimenti sia su avanzi di reperti provenienti dalla Sindo-
ne, sia indiretti, sia con analisi non distruttive fatte precedentemente e rielaborate.
Bisogna ricordare infatti, che nel 1978 il gruppo di 31 scienziati del progetto Sturp,
per lo studio della Sindone, fecero l’ultima analisi sperimentale diretta delle sue
proprietà fisiche e chimiche utilizzando le strumentazioni più moderne dell’epoca ed
effettuarono numerose misure non distruttive come: spettroscopia infrarossa, visibi-
le e ultravioletta; fluorescenza a raggi X; termografia e pirolisi; spettrometria di mas-
54
sa; analisi micro-Raman; fotografia in trasmissione; microscopia; prelievo di fibrille;
e test microchimici.
È ormai opinione comune che, qualora si dovesse fare nuove ricerche, bisognerebbe
utilizzare anche altri tipi di datazione come quella chimica e quella opto-chimica,
senza per questo escludere la datazione al radiocarbonio dopo che si sono chiariti gli
effetti delle possibili contaminazioni e come si è prodotta l’immagine.
G: Ma se per ipotesi la datazione medievale della Sindone fosse vera, cosa cambie-
rebbe per la Chiesa?
S: Per la Chiesa non cambierebbe niente ma per la scienza molto, poiché allora do-
vrebbe accettare che su un telo medievale si sia impressa quell’immagine per un mi-
racolo poiché è impensabile che nel Medioevo si conoscessero tutti i dettagli che
sono poi stati riscontrati sul lenzuolo e non sono citati dai Vangeli, e tanto meno
possedessero gli strumenti per realizzare questa impronta.
Inoltre non riuscirebbero a spiegare come sia affermata una così antica iconografia
del Cristo ispirata al volto della Sindone già nei primi secoli senza che questa fosse
stata conosciuta.
G: Quindi secondo lei è impossibile che sia una copia medievale.
S: Basti pensare che, a parte ogni altra obiezione, bisognerebbe per assurdo ipotiz-
zare un falsario crudele assassino che per ottenere questa impronta abbia catturato
un uomo e dopo averlo torturato barbaramente, seguendo il modello della Passio-
ne, dopo la sua morte lo abbia avvolto nella Sidone e poi sia riuscito a riprodurre la
sua immagine nello stesso modo.
Poiché poi, come ogni esperimento, non riesce mai al primo tentativo, si dovrebbe
pensare a più vittime. Perciò o la Sindone è vera o è l’opera di un assassinio seriale.
Infatti è solo con un corpo umano ci si sarebbe potuto a esempio produrre sangue
venoso e arterioso senza saperlo, dato che è una conoscenza venuta successivamen-
te nel XVII secolo e precisamente nel 1593 con Andrea Cesalpino.
Inoltre non si vede come avrebbero potuto dare all’impronta le caratteristiche ne-
cessarie per produrre un’immagine ridimensionale.

Positivo e negativo di
copia falsa della
Sindone
fatta da
Nathan Wilson,
con un dipinto su vetro
a tempera bianco e
esposto per 10 giorni
ai raggi del sole.

55
2.23 L’immagine tridimensionale
G: Adesso non mi dirà la storiella degli scienziati della NASA?
S: Non credo che sia
una storiella poiché
prima degli anni 70
nessuno aveva otte-
nuto immagini tri-
dimensionali da una
normale fotografia,
poiché è possibile
ottenerla solo con
oggetti lontani che
consentono di per-
cepire la minore lu-
minosità delle parti
più distanti per pro-
durre fedeli immagi-
ni tridimensionali.
Lo stesso procedi-
mento con una nor-
male immagine fo-
tografica di qualun-
que oggetto o per-
sona, elaborata con le tecniche tridimensionali, produce solo immagini deformi.
Nel 1977 i ricercatori della U.S. Air Force Academy ottennero la prima immagine tri-
dimensionale del corpo e del volto della Sindone, e poi Giovanni Tamburelli dell'Uni-
versità di Torino diede vita a un gruppo di ricerca che ancor oggi con Nello Balossino
continua a lavorare e produce sorprendenti immagini che hanno ispirato numerosi
artisti.
G: Quindi la Chiesa vuole mettere la scienza con le spalle al muro!
S: Certamente no, anzi chiede alla scienza di continuare a studiare il telo poiché gli
studi fatti, non solo non hanno risolto tutti i misteri, ma ne ha aggiunti di nuovi.
Ma comunque bisogna tenere presente che mai la scienza, intesa come studio e
confronto coordinato di esperti di tutte le discipline che possono fornire informazio-
ni sulla Sindone, potrà mai affermare la sua autenticità poiché il metodo scientifico
richiede la possibilità di effettuare più volte le prove necessarie per provare le ipote-
si formulate e in questo caso non è possibile sia perché non si dispone di tutti i dati
necessari e sia perché il periodo che andrebbe considerato è troppo grande e quindi
irripetibile.
La scienza comunque può dare ancora molti preziosi contributi sulla verifica della va-
lidità di molte ipotesi a favore e contro la loro autenticità.
56
2.24 Copie della Sindone
G: Ma a me sembra che siano già state fatte delle copie identiche alla Sindone.
S: Di tentativi di riprodurre copie della Sindone, per smentirne l’autenticità, ne sono
stati fatti molti, ma a parte il fatto che sono state usate conoscenze e tecniche non
certo medievali, le copie ottenute dopo analisi, non necessariamente accurate, sono
risultate ben lontane dagli originali anche se alcune hanno prematuramente avuto
successi effimeri.
L’Enea, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economi-
co sostenibile, ha pubblicato un rapporto sui cinque anni di esperimenti svolti nel
centro di ricerche di Frascati:
Presentiamo un riassunto dei risultati speri-
mentali d’irraggiamento di tessuti di lino trami-
te impulsi laser eccimeri nell’ultravioletto e nel
lontano ultravioletto effettuati negli anni 2005-
2010 allo scopo di ottenere una colorazione
simile a quella dell’immagine corporea visibile
sulla Sindone di Torino.
L’interesse di questi studi risiede nel fatto che i
tentativi di replica dell’immagine sindonica sia
con metodi chimici sia con metodi fisici si sono
rivelati sinora inadatti a ottenere le caratteri-
stiche dell’immagine stessa. In particolare, i
metodi chimici a contatto non consentono di
ottenere una delle più peculiari caratteristiche
dell’immagine sindonica, ovvero lo spessore di
colorazione estremamente sottile, pari ad un
quinto di millesimo di millimetro. Mediante im-
pulsi laser eccimero abbiamo ottenuto una co-
lorazione del lino estremamente superficiale e
similsindonica solo in un ristretto intervallo dei
parametri di irraggiamento. Abbiamo inoltre
ottenuto una colorazione latente, invisibile do-
po gli irraggiamenti, che appare solo a seguito d’invecchiamento artificiale e/o
naturale del lino. Il risultato forse più importante è aver individuato alcuni pro-
cessi fotochimici in grado di spiegare sia la colorazione superficiale, sia il fe-
nomeno della colorazione latente. È possibile che questi processi fotochimici
abbiano contribuito alla formazione dell’immagine sulla Sindone.
In questo lavoro abbiamo riassunto brevemente lo stato dell’arte delle cono-
scenze sull’immagine sindonica, e spiegato i motivi dell’estrema difficoltà nel
riprodurre un’immagine avente le stesse caratteristiche fisiche e chimiche, con
la conseguenza che a oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si

57
sia formata l’immagine corporea sulla Sindone. Alla luce di queste elevate dif-
ficoltà tecnologiche e scientifiche, l’ipotesi di un falsario medioevale non sem-
bra ragionevole. (P. Di Lazzaro, D. Murra, A. Santoni)
Altro discorso è quello delle copie devozionali dipinte fatte per estenderne la vene-
razione nelle chiese di mezzo mondo per le quali al massino si dice che sono autenti-
che perché sono state appoggiate sull’originale, senza per questo volerne prendere
il posto.
Comunque la scienza ha sempre la possibilità di realizzare copie identiche agli origi-
nali con le informazioni disponibili al medioevo e con le tecniche di allora per dimo-
strare che questi teli non sono quello che appaiono. La Chiesa potrà accettare, con
delusione di molti fedeli, eventuali prove che si dimostrassero definitive e complete
sulla non autenticità della Sindone, perché non ha mai paura della verità.
Un misto di meraviglia e di dubbio percorre la sala
G: Ma allora cosa sono tutte quelle copie che si venerano?
S: Intanto bisogna distinguere
le copie su tela della Sindone
da quelle del Velo, spesso
confuse poiché entrambe
chiamate a volte Mandylion, e
dalle icone a esse ispirate.
Queste opere da un punto di
vista storico sono a volte fonti
di preziosi indizi.
Un esempio, è l’antica icona
del Santo Volto o Madylion di
Genova realizzata tra il V e VII
secolo, qui chiamata Santo
Mandillo.
Fu portata a Genova da Co-
stantinopoli nel 1362 dal Ca-
pitano genovese Leonardo
Montala, o a lui donata
dall’Imperatore Giovanni V
Paleologo, per il suo aiuto
contro i turchi, o forse da lui
trafugata, che mostra un viso
sul modello di quelli orientali Il Santo Mandillo di Genova
ispirati per alcuni alla Sindone,
per altri al Velo della Veronica. In seguito fu donata alla chiesa di San Bartolomeo
degli Armeni dov’è tuttora.
58
Si tratta di una tradizionale icona bizantina a tempera a uovo leggermente ritoccata,
dipinta su un lino incollato su una tavoletta di legno. Attorno al viso furono inserite
170 perle che imposero al volto il contorno inferiore a tre punte tipico di questa ico-
na. Poi nel 1370 fu aggiunta una cornice di filigrana di argento e oro con dieci for-
melle che raccontano la leggenda di Abgar. Sul retro sono incollati frammenti di più
antiche stoffe persiane e arabe che probabilmente avevano avvolto la Reliquia.
Di questa icona ne esistono più copie che si riconoscono per la caratteristica forma
della sua maschera di cui in una nei Palazzi Vaticani nella sala della Contessa Matil-
de. Era una collocazione discreta per non confonderla con quella della Veronica, al-
lora custodita in san Pietro.
Poi ci sono le numerose tele dipinte dal 1500 al 1933, per conto dei Savoia vendute
o donate a quelli che le richiedevano. Sono copie abbastanza simili agli orginali ma
di norma di poco valore artistico. Alcune hanno anche tentato di rappresentare il
negativo dell’immagine soprattutto del volto.

Sindone dei teatini - 1616


Recentemente ne sono state catalogate oltre 70 e di alcune si è in grado di sapere
ogni cosa, come autore, anno di realizzazione, comittente e se è stata in contatto
con l’originale, mentre di altre le notizie sono molto scarse.

Copia fotografica della Sindone – Tenerif - 2014


Si sono anche copie recenti realizzate con le tecniche fotografiche su tela che
nell’aspetto sono molto simili alla Sindone.
Tutte sono venerate a riprova che quello che conta è quello che rappresentano e
non la loro autenticità.

59
G: Siamo arrivati alla fine del nostro dibattito che spero il pubblico abbia apprezza-
to. Ringrazio “S” per la sua franchezza e spero che avremo altre occasioni per di-
scutere ancora sui molti misteri di questi benedetti teli.
S: Sono io a ringraziarla per aver potuto esporre il mio pensiero e per chiudere
vorrei dare un consiglio a chi ha trovato interessante questo incontro non solo per la
Sindone, ma soprattutto per il racconto della Passione.
Da li passa la venerazione nei secoli di tantissimi fedeli che hanno sviluppato tante
altre forme di culto verso altre reliquie, alcune ingenue e altre interessanti, ma tutte
dimostrazione di affetto per Gesù che vale la pena di approfondire anche se
immerse spesso nella leggenda.
G: Vedo che il nostro “S” non molla mai e anzi vi ha gettato un osso che sta voi
decidere se raccogliere, pur sapendo in partenza che non sarà facile scoprire ciò
che è vero da ciò che è invece opera di fantasia, magari di fanatici.
Il pubblico applaudì e il teatro lentamente si svuotò con piccoli gruppi alcuni che
uscendo animatamente discutevano.

Sancta Sanctorum
2.25 Conclusione
Io rimasi più confuso di prima, poiché dovevo rivedere molte delle miei idee sulla
Sindone ma capii che il fascino di quel telo è nell’immagine che interroga la fede di
chi lo guarda e lui guarda e cominciai a riconsiderare quelle vie Crucis quaresimali e
quelle processioni col Cristo e l’Addolorata della Settimana Santa e mi ripromettei di
approfondirne la conoscenza alla luce del messaggio di quel Lenzuolo.

60
3 Allegati delle altre reliquie della Passione
Io avevo raccolto l’osso e decisi di effettuare delle ricerce nei dintorni della Sindone
e scoprii un mondo di storie che mi ha affascinato e mi ha fatto capire perché la fede
in un Gesù, con la sua storia in mezzo a noi, sia stata un pilastro per la vita di molti.
Qui ho riportato i risulati più interessanti di questa mia ricerca.
3.1 La storia di Barrie Schwortz
La storia di Barrie Schwortz, è
quella del fotografo ebreo
responsabile della fotografia nel
gruppo di studio che nel 1978
fece il primo approfondito esame
scientifico della Sindone. Questo
è il suo racconto:
All’inizio del mio lavoro, ero
molto scettico sulla sua
autenticità.
Non provavo nessuna
emozione particolare nei
confronti di Gesù perché
sono stato cresciuto come
un Ebreo ortodosso. L’unica
cosa che sapevo di Gesù
era che anche lui era un
ebreo, e questo era tutto.
Esaminando la Sindone, ho
capito subito che non era
dipinta. Dopo 18 anni di studi, la convinzione completa è arrivata quando il
chimico del sangue Allen Adler, un altro ebreo che faceva parte del gruppo di
studio, mi ha spiegato perché il sangue è rimasto rosso sulla Sindone. Il sangue
vecchio doveva essere nero o marrone, mentre il sangue sulla Sindone è di un
colore rosso-cremisi. Mi sembrava inspiegabile, invece era l’ultimo pezzo del
puzzle. Dopo quasi 20 anni di indagini è stato uno shock per me scoprire che
quel pezzo di stoffa era il telo autentico in cui era stato avvolto il corpo di
Gesù. Le conclusioni a cui ero arrivato si basavano esclusivamente
sull’osservazione scientifica.
Una volta giunto alla conclusione scientifica che il telo fosse autentico, sono
arrivato a capirne anche il significato. Si tratta del documento forense della
Passione, e per i cristiani di tutto il mondo è la reliquia più importante, perché
documenta con precisione tutto ciò che viene detto nei Vangeli di ciò che è
stato fatto a Gesù. Penso che ci siano abbastanza prove per dimostrare che

61
quello è il telo che ha avvolto il corpo di Gesù. La verità su Gesù è compito
della fede, e dal punto di vista scientifico quel telo ha avvolto il corpo
dell’uomo di cui si parla nei Vangeli.
E ha proseguito:
All’inizio dell’indagine, sapevo di Dio, ma non era molto importante nella mia
vita. Non avevo pensato a Dio, da quando avevo 13 anni […]. Non ero molto
religioso, era quasi un obbligo per la mia famiglia. Da allora mi sono
allontanato dalla fede, dalla religione e da Dio, fino a quando non ho
raggiunto i 50 anni. Quando nel 1995 sono arrivato alla conclusione che la
Sindone era autentica, ho costruito il sito shroud.com. Ho iniziato a raccogliere
il materiale e l’ho messo a disposizione del pubblico. Ho iniziato a parlare
pubblicamente della Sindone intorno al 1996. Questo dualismo non poteva
però continuare: Quando la gente ha iniziato a chiedermi se ero un credente,
non trovavo la risposta. A quel punto mi sono interrogato ed ho capito che Dio
che mi stava aspettando. Ero davvero sorpreso di vedere che dentro di me
c’era la fede in Dio. Fino a 50 anni avevo praticamente ignorato la fede ed
improvvisamente mi sono trovato faccia a faccia con Dio nel mio cuore. In
sostanza posso dire che la Sindone, è stato il catalizzatore che mi ha riportato
a Dio. Ha concluso divertito: Quanti sono gli ebrei che possono dire che la
Sindone di Torino li ha portati alla fede in Dio?.
3.2 La storia di David Rolfe
È un regista che s’imbattuto nella Sindone e ha raccontato:
Ateo convinto e
consapevole
dell’esistenza di nu-
merose reliquie false,
ho prodotto il mio
primo documentario
sull’argomento, “The
Silent Witness”, (Il te-
stimone silenzioso) nel
1977, deciso di scopri-
re e mostrare come e
da chi era stata con-
traffatta la Sindone.
Non potevo pensare
che ci fosse un’altra
spiegazione […]. Il mio
documentario, lungi
dal rivelare la contraffazione, è divenuto un argomento affascinante per la

62
probabile autenticità della Sindone […]. Noterete da come mi esprimo che nel
corso della produzione sono divenuto credente e cristiano.
3.3 Il dolore e la storia di Pietro Cavallero
Comunque la si consideri la Sindone rimane un icona viva del dolore, quella di un
uomo che fu vittima della sua parola che, pur umile e pacifica, rivoluzionava il modo
di pensare della gente del suo tempo e metteva in discussione il modo di esercitare
il potere. Lui venne come fratello ma non vollero ascolarlo perché aveva denunciato
i privilegi, le colpe, una fede formale e la mancanza di misericordia di chi
comandava, e per questo l’uccisero.
Eppure la storia della vittima era cominciata con un momento di festa nella grotta di
Betlemme, ma sin da subito si mise in luce la brutalità del potere con Erode.
Poi Gesù visse i suoi primi trettanni lavorando e studiando nel silenzio e quando fu
pronto andò il giro per tutta la Palestina per spiegare cosa era venuto a fare e così
cominciarono i suoi guai.
Eppure il popolo ebreo veniva da un lunga storia di alleanza con Dio e non gli
lesinava sacrifici che però ormai erano diventati solo dei riti senza anima. Dio l’aveva
capito e capì che l’unico modo per farsi conoscere davvero dagli uomini era quello di
mandare suo figlio. Lui venne e capì che era ora di fare terminare quegli inutili
sacrifici e che l’unico modo per cambiare il mondo era il suo sacrificio.
Lui non chiese al Padre di risparmiargli questa terribile Passione ma volle essere
uguale a noi sino in fondo e condivise
le nostre pene.
Disse chiaramente che anche il
nostro soffrire non è inutile e serve
per farci perdonare il nostro male.
Così tutte le pene dovute alla nostra
debole natura acquistano un senso.
Un esempio ci viene da Pietro Caval-
lero:
Devo molta riconoscenza a chi
mi ha aiutato a compiere un
percorso non facile. Se oggi i
miei occhi non sono più intor-
biditi dai travagli, dai dubbi,
dal male, e non sono più arros-
sati dalla rabbia della dispera-
zione, lo debbo non tanto a me
stesso quanto a coloro che da
sempre hanno gli occhi limpidi
e puri dei bimbi. Persone che

63
mi hanno dato coraggio e mi hanno insegnato molto. Ma è stato soprattutto
nell’ultimo anno, vissuto in carcere, che ho potuto ritrovare un po’ di limpida
trasparenza, nell’animo e negli occhi. Devo dire grazie a Ernesto Olivero, che
ha avuto fiducia, tanto da accollarsi il rischio di accogliermi.
Ed Ernesto Olivier aggiunge:
Pietro Cavallero è stato forse il bandito più feroce del secolo scorso. Cinque
omicidi, 27 persone ferite, decine di assalti. Lo avevo incontrato per la prima
volta nel supercarcere di Porto Azzurro, dove scontava l'ergastolo e accettai di
accoglierlo in semilibertà all'Arsenale della Pace. La sua era una storia di vio-
lenza che sembrava dovesse concludersi male, ma riservò una sorpresa e non
solo per lui. Pietro, vivendo insieme agli ultimi, decise di cambiare vita. Me lo
confidò in una notte che non dimenticherò mai. «Ernesto, qui ho capito che
Dio esiste. Mi voglio convertire. Ma io ho ucciso, c'è gente che ancora piange
per colpa mia. Io devo chiedere perdono». Pietro usò tutti gli anni che gli re-
stavano per questo. Chiese di incontrare i famigliari delle vittime: con alcuni ci
riuscì, con altri no, ma accettò la scelta di tutti. Negli ultimi giorni di ospedale,
tra dolori atroci per la malattia, mi scrisse: «Soffro molto, ma sono contento di
soffrire perché espio. Ho capito, senza bisogno di tante parole, i miei sbagli».
(Avvenire, 5 giugno 2015)
3.4 Luoghi, reliquie e simboli della Passione
Quando ci si reca in un cimitero si va per
ricordare e venerare la salma di persona
cara, e così per lo stesso motivo si con-
servano oggetti a lei appartenuti.
La stessa cosa si fa con i santi, venerando
la loro salma o una sua parte, o un og-
getto a loro appartenuto o anche oggetti
che li hanno toccati, cui si attribuiscono
poteri miracolosi contro le malattie e
ogni avversità.
Questa pratica comune per i santi acqui-
sisce un valore particolare per quelle di
Gesù che durante il medioevo suscitaro-
no l’interesse dei potenti che vedevano
nel loro possesso un rafforzamento della
loro immagine e la legittimazione del lo-
ro potere.
Col sacco di Costantinopoli da parte dei
crociati nel 1204 ebbe inizio la dispersio-
ne delle reliquie e molte, per volere di
Luigi IX, finirono a caro prezzo nella Sain- Edicola del Santo Seplocro

64
te-Chapelle di Parigi che divenne la nuova Terra Santa.
Ma questa è solo una delle tante storie e leggende che circondano queste presunte
reliquie della Passione che manifestano la grande venerazione per Gesù ma, per al-
cune delle quali, è ben difficile dimostrare, e a volte anche immaginare, la loro origi-
ne e autenticità.
3.5 La pietra della deposizione
L'imperatore Adriano nel 135, dopo avere represso la rivolta di Bar Kokhba, distrus-
se a Gerusalemme gli edifici cari agli ebrei e ribattezzò la città Aelia Capitolina e vi
edificò templi pagani.

Basilica del Santo Sepolcro


Quello di Venere fu il solo costruito appena fuori le mura sopra il cimitero e il Calva-
rio che furono completamente interrati.
Era questo il cuore cristiano di Gerusalemme per la presenza della Tomba di Cristo
frequentato solo dai suoi discepoli ed evitato dagli ebrei che lo ritenevano luogo im-
puro.
Elena fece distruggere il tempio pagano, rimosse il terrapieno sopra il cimitero e ri-
portò alla luce il Santo Sepolcro, il Calvario e alcune reliquie, spianò una parte della
collina e vi costruì la prima Basilica, cui si arrivava dalla Città vecchia percorrendo la
Via Dolorosa sino a poco fuori le mura.
Qui secondo la tradizione furono ritrovate: tre croci, quella ritenuta di Gesù fu rico-
nosciuta dal titulus, cioè l'iscrizione con il motivo della condanna; chiodi, una lancia,
poi detta di Longino; la spugna; il mantello purpureo; e la Corona di Spine; che rite-
nuti reliquie di Gesù finirono nella cappella palatina di Bisanzio, allora il luogo più
santo della cristianità.
Nel 614 i persiani conquistarono Gerusalemme e nelle loro razzie trafugarono reli-

65
quie e incendiarono la basilica provocando la morte di molti fedeli che vi avevano
cercato rifugio. La basilica fu restaurata nel 625.
Nel 638, gli arabi, sconfitti i bizantini, s’impadronirono pacificamente di Gerusalem-
me. Ecco come Eutichio, patriarca di Alessandria, descrive gli eventi:
Omar Ibn al-Khattab e i suoi generali partirono dalla Siria verso Gerusalemme
per cingere d'assedio la città. Il patriarca di Gerusalemme, Sofronio, si recò
presso Omar Ibn al-Khattab il quale concesse la sua protezione agli abitanti
della città mediante una lettera consegnata allo stesso patriarca. Omar Ibn al-
Khattab garantì la salvaguardia dei siti cristiani con l'ordinare ai suoi uomini di
non distruggerli né di usarli come abitazioni.
Il califfo visitò il Santo Sepolcro ma non pregò in esso, affinché il complesso non fos-
se convertito in moschea, stese però il suo mantello nell’atrio orientale del Marty-
rion che fu destinato al culto personale dei musulmani e non fu più accessibile ai cri-
stiani.
Comunque ai cristiani fu permesso di creare un nuovo accesso, costruire alcune
cappelle e le chiese del Calvario e di Santa Maria.
All’inizio del IX secolo un violento terremoto danneggiò la cupola dell’Anastasis.
Poi con l’andare dei secoli, la dominazione araba si fece più ostile, nel 966 incendia-
rono la basilica e nel 1009 la distrussero completamente per ordine del califfo Al-
Hakim bi-Amr Allah, ma poi sua madre, che si era fatta cristiana, in trent’anni la rico-
struì.
Poi la basilica subì tre ri-
strutturazioni la prima
dopo che nel 1099 i cro-
ciati conquistarono Ge-
rusalemme la seconda
nel 1555 per opera dei
francescani, la terza nel
1810 dopo che nel 1808
un incendio aveva di-
strutto quasi completa-
mente la basilica.
Infine nel 1959 si ebbe il
restauro generale della
grande e splendida basi-
lica. Cappella della Crocefissione
Attualmente è la sede del
Patriarcato ortodosso di Gerusalemme e anche dei cattolici che però non hanno
piena libertà di celebrare ma devono seguire regole concordate con gli ortodossi va-
lide anche per le alte chiese che hanno proprie cappelle. I custodi sono mussulmani
66
per garantire imparzialità.
Un’apposita edicola custodisce la pietra sulla quale il corpo di Gesù fu deposto, poi si

La pietra del sepolcro


possono ammirare le belle cupole e le numerose spendite cappelle, ripartite tra di-
verse chiese, tra cui si possono ricordare:
Edicola e cappella del Santo Sepolcro
Catholicon, la chiesa dei greci ortodossi
Pietra dell'Unzione
Cappella giacobita
Tomba di Giuseppe di Arimatea
Cappella copta
Presbiterio latino
Altare di Santa Maria Maddalena
Cappella dell'Apparizione di Gesù alla madre
Calvario latino
Calvario greco
Altare dei Chiodi della Croce
Altare della Stabat Mater
Altare della Crocifissione
Addolorata
Presbiterio greco
67
Santa Prigione
Cappella dell’Addolorata o dell’agonia della Vergine
Cappella di San Longino
Cappella del sorteggio della veste di Gesù
Cappella della derisione di Gesù
Cappella dell'Invenzione della Vera Croce
Cappella di San Vardan, eroe e martire armeno
3.6 La croce
La croce conservata a Gerusalemme, nel VII secolo fu prima razziata dai Persiani e
poi recuperata dai bizantini, ma poi nel 1187, con la caduta del regno di Gerusa-

Reliquia della Croce - monastero di Santo Toribio de Liébana

68
lemme, fu distrutta dagli arabi.
Prima però ne erano stati prelevati molti frammenti di varie dimensioni che si trova-
no oggi in diversi luoghi. Il più grande è conservato nel Monastero di Santo Toribio
de Liébana in Spagna, altri, tra i più grandi, sono a Roma e Parigi, e tanti altri sono
presenti in molte chiese.
3.7 I chiodi

Chiodo della Croce forgiato a ferro di cavallo – Duomo di Miilano


Di chiodi pare che ve ne siano ventisei o ventisette sparsi in tutta Europa. Una leg-
genda narra che Elena portò al figlio i chiodi e uno fu messo nel suo elmo, e gli altri

69
due furono forgiati e messi nella briglia e morso del suo cavallo e poi uno di questi fu
donato a
sant’Ambrogio ed
ora è conservato
nel Duomo di Mi-
lano.
Nel Duomo di
Monza è custodi-
ta invece la
Corona Ferrea,
che avrebbe il
diadema e il
chiodo dell'elmo
di Costantino.
Recenti indagini
hanno stabilito
Corona ferrea – Duomo di Monza che solamente il
diadema potrebbe provenire dall’elmo di Costantino mentre del chiodo non c’è
traccia.
A Roma nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme si conserva la testa di un chio-
do portato da sant'Elena.
3.8 Corona di spine
La corona di spine era venerata a Costantinopoli, poi finì nelle mani dei Veneziani

che la vendettero a Luigi IX che la collocò nella Sainte Chapelle a Parigi. Poi passò
all’abbazia di san Dionigi e infine nel 1806 fu trasferita a Notre Dame, dove è ancor
oggi conservata.

70
Si tratta di un cerchio di giunco intrecciato, di 21 cm di diametro, nel quale furono
infilate le spine che poi furono disperse fra le varie chiese. Se ne possono contare
settanta.
3.9 Titulus
Il Titulus Crucis è la presunta tavoletta posta sulla croce con incisa la motivazione
della condanna di Gesù. La reliquia è conservata nella Basilica romana di Santa Croce
in Gerusalemme unitamente a un chiodo, frammenti della croce e due spine della
corona.
Secondo la tradizione, sant’Elena ri-
tenne la croce ritrovata quella di Gesù
perché recava il Titulus che divise in
due donandone una parte a Gerusa-
lemme e l'altra al papa.
Questa tavoletta riporta la dicitura
«Gesù il Nazareno, re dei Giudei» in
lingua latina e greca e forse è una co-
Titulus di Gerusalemme pia dell’originale. La datazione al car-
bonio 14 la fa risalire agli anni 980 e 1150.
3.10 La tunica e il mantello
Di questi due indumenti non si conosce il percorso iniziale e non si hanno indizi che
ne consentano una possibile autenticazione, pur presentando alcuni elementi
d’interesse che possono farli credere possibili anche con riferimento alla Sindone.
Non meraviglierebbe che si scoprisse che qualche cristiano li possa aver comprati dai
soldati romani e poi siano stati conservati in qualche monastero, ma per poterci
credere bisogna ritrovare ulteriori indizi.
Giovanni parlò di una tunica senza cuciture usata da Cristo durante la Passione, ma
di tuniche ne esistono due, una arrivata ad Argenteuil presso Parigi dopo un tormen-
tato cammino, e un’altra nel Duomo di Treviri donata nel IV secolo da sant'Elena.
Dal loro confronto si può vedere che quella di Treviri è più ampia, di lino o di cotone,
mentre quella di Argenteuil è di lana, e inoltre non presenta le macchie di sangue
presenti in quella di Argenteuil.
Bisogna osservare che era usanza ai tempi di Gesù portare due vesti, una l’haluk, la
tunica, e un talit, il manto, per cui se queste due tuniche fossero vere, Gesù potreb-
be aver indossato sopra quella di Argenteuil (haluk) quella di Treviri (talit) che poi gli
fu tolta durante la Passione.
La stoffa di Argenteuil di origine orientale è di colore rosso «porpora del povero», e
ha macchie di sangue del gruppo sanguigno Ab con DNA maschile, con globuli rossi
con forma anomala, sia sferica e sia appiattita ossia svuotati dalla loro emoglobina,
indice di una sofferenza intensa provocata da anemia e disidratazione.

71
Su di essa sono presenti inoltre
cristalli di urea del sudore; piat-
tole, pollini e altre polveri, alcu-
ne uguali a quelle della Sindone.
Inoltre nel 2003 le analisi al ra-
diocarbonio l’hanno datata in un
laboratorio tra il 530 e il 650 e in
un altro tra il 670 e l’880.
Nell’800 la tunica fu donata da
Carlo Magno a sua figlia Teodo-
rara, badessa di Argenteuil.
Sue notizie ci arrivano da Grego-
rio di Tours che nel 500 riferisce
che alcune persone gli hanno
raccontato di aver toccato la Tu-
nica del Signore, e anche dallo
storico Fredegario che nel 610
dichiara che la Tunica fu ritrova-
ta a Giaffa, città dove Pietro era
stato ospite di Simone il concia-
tore. Poi fu portata prima a Ge-
rusalemme e poi a Costantino-
poli. Infine l’imperatrice Irene la
donò a Carlo Magno con altre
reliquie in vista di un matrimo-
La tunica di Argenteuil
nio che mai si realizzò.
Durante la rivoluzione francese il parro-
co Ozet, cui era stata affidata, prima di
essere imprigionato, per salvare la tuni-
ca dalla distruzione decise di tagliarla in
pezzi e ne sotterrò due grossi pezzi nel
suo orto e altri li diede a persone di sua
fiducia. Quando fu scarcerato, dissotter-
rò i due pezzi e poi ricercò gli altri, ma
alcuni non furono più trovati.
Nel 1934 Gerard Cordonnier, con foto-
grafie ai raggi infrarossi, notò numerose
La tunica di Treviri macchie di media grandezza poi ritenute
di sangue, mentre Pierre Barbet nel

72
1941 e André Marion nel 2010 hanno riscontrato nella tunica di Argenteuil la corri-
spondenza tra le macchie di sangue e i segni del trasporto della Croce, della Sindone
con quelle della tunica.
Invece la tunica di Treviri, citata su un documento per la prima volta nel 1196 e più
volte rattoppata e rinforzata, è attualmente costituita da più strati di stoffe diverse
sovrapposti che contengono brandelli della tunica originale di cui è impossibile sta-
bilire in modo attendibile origini ed età, a causa delle sue vicende e delle sfavorevoli
condizioni di conservazione.
3.11 Santa cuffia di Cahors
La cattedrale di Saint Etienne di
Cahors è celebre per la Santa Cuf-
fia, custodita nella cappella Saint
Gaulbert.
Si tratta di un panno che avrebbe
ricoperto il capo di Cristo nel se-
polcro.
Secondo la tradizione la cuffia fu
portata in Francia da Gérauld de
Cardaillac, vescovo di Cahors, al
suo ritorno dal viaggio in Terra
Santa all’inizio del XII secolo.
La reliquia ha la forma e le dimen-
sioni di un cappello, lasciando il
volto scoperto e con due lati a co-
prire orecchie e guance, sotto il
mento c’è un occhiello per la chiu-
sura.
Macchie di sangue si trovano
all’interno e sarebbero le stesse
che sono visibili sulla fronte e la
nuca dell’uomo della Sindone di
Torino.
Alcuni si sono pronunciati favore-
volmente sull’autenticità della reli-
quia, trovando coincidenze con la Sindone.
La cuffia ha le caratteristiche di un copricapo che gli ebrei usavano per coprire le te-
ste dei morti.
3.12 Graal
Il Graal è la presunta coppa utilizzata nell'Ultima Cena da Gesù e poi usata da Giu-
seppe d'Arimatea per raccogliervi il sangue di Cristo. È al centro di numerose e fan-
73
tasiose leggende anche pagane, tra cui
quella famosa di re Artù e dei suoi ca-
valieri.
Considerato con straordinari poteri, fu
oggetto della ricerca di ogni sorta di
avventurieri, potenti e studiosi.
Due pergamene medievali raccontano
la storia della coppa conservata nella
cattedrale di Valencia fatta di tre pez-
zi, la coppa di agata corallina del I se-
colo e da altre due parti aggiunte in
seguito.
Una sua copia si trova a San Juan de la
Peña.
Altri credono che il calice si trovi a Ge-
rusalemme, altri ancora che sia custo-
dito nella cattedrale di Genova.
3.13 Scala Santa e Sancta Sanctorum
La Scala Santa di Roma è l’accesso al
Sancta Sanctorum, l’antica cappella del papa quando risiedeva nel palazzo del Late-
rano, dove si conservano molte reliquie e un’icona ritenuta del Vero Volto di Gesù.
Secondo un’antica tradizione cristiana Santa Elena nel 326 fece trasportare a Roma
dal pretorio di Pilato in Gerusalemme la Scala di 33 gradini più volte salita da Gesù il
giorno della sua condanna a morte, insieme a due colonne e tre porte dello stesso
palazzo, e altre reliquie.
Celestino III nell'anno 1191 ricostruì presso san Giovanni Laterano la stessa scala,
che fu distrutta insieme con la chiesa dal terremoto del 1589.
Con i frantumi, Sisto V ricostruì la scala però ridotta a soli ventotto gradini.
I fedeli dopo aver percorso in ginocchio la scala arrivano alla cappella dedicata a san
Lorenzo, chiamata Sancta Sanctorum, nome usato dagli ebrei per la parte del tempio
dove è collocata l’Arca Santa, per il gran numero di reliquie che vi erano custodite,
come sottolinea la scritta sull’altare del Redentore: «Non est in toto orbe sanctior
locus», ovvero «Non esiste al mondo luogo più santo», tra cui:
 il prepuzio di Gesù Bambino
 i suoi sandali
 il divano su cui assistette all'Ultima Cena
 il suo sangue coagulato
 pietruzze della colonna della flagellazione
 la canna con cui fu percosso il suo capo coronato di spine e una di queste spine

74
 parte della spugna piena d'aceto e fiele
 le teste dei santi Pietro e Paolo
 le teste delle sante Agnese e Prassede.

Molte di queste reliquie sono oggi scomparse o conservate altrove e quelle rimaste
sono tenute chiuse in 28 tabernacoli d'argento.
Altre Scale Sante che si ispirano a quella di Roma sono presenti in molte altre locali-
tà, ciascuna con una propria storia e tra queste c’è quella di Fabriano costruita nel
1769 con quattordici gradini tra cui tre che contengono frammenti di quella romana.
3.14 Colonna della flagellazione
Esistono due tradizioni che si riferiscono a due colonne distinte che fanno pensare a
due diverse flagellazioni, una dei Giudei nella casa di Caifa, e l’altra dei romani nel
Pretorio, ma secondo gli esperti ci fu una sola flagellazione presso il Pretorio.
Il così detto Pellegrino di Bordeaux, nel IV secolo riferisce di avere visto la colonna
della flagellazione nelle rovine della casa di Caifa. Poi, prima nel 386, santa Paola e il
poeta Prudenzio e poi Teodosio nel 530, riferiscono che fu portata nella chiesa del
Cenacolo e potrebbe essere stata usata anche per Pietro e Giovanni.
Altre testimonianze, pur incredibili, parlano d’impronte del Cristo sulla colonna e ne
documentano comunque l’esistenza sino al X secolo quando poi andò dispersa.
Dal secolo XI si cominciarono a venerare come reliquie pezzi della colonna del Preto-
rio, disseminati in distinte località, come: la basilica di Santa Prassede a Roma; la
75
Cappella degli Improperi
nella basilica del Santo Se-
polcro; la cappella di Santa
Maria nella chiesa del San-
to Sepolcro; la chiesa del
Salvatore degli Armeni a
Gerusalemme; e la chiesa
dei Santi Apostoli di Istan-
bul.
La presunta colonna della
flagellazione di Gesù, con-
servata nella chiesa di San-
ta Prassede a Roma, cu-
stodita in un reliquiario di
bronzo dorato, fu preleva-
ta da Gerusalemme nel
1223 dal cardinale Gio-
vanni Colonna condottiero
della sesta crociata.
È di granito, alta solo 63
centimetri e con un diame-
tro variabile da 40 a 13
centimetri, con evidenti
segni di prelevamenti di
frammenti per farne reli-
quie.

3.15 Lancia Sacra di Longino


È la presunta lancia con quale il centurione romano, secondo un Vangelo apocrifo
chiamato Longino, trafisse il costato di Cristo. È custodita nella Stanza del Tesoro del
palazzo dell’Hofburg di Vienna con innestato un chiodo ritenuto della croce. Una sua
copia è conservata a Cra-
covia.
La Lancia è chiamata an-
che Lancia del Destino,
Lancia Santa, Lancia di
Maurizio, Lancia di Lon-
gino o Lancia di Cristo.
Si dice che fu in possesso
di Maurizio, comandante

76
romano della Legione Tebana che con i suoi 6.666 soldati morì martire nel 285 per
essersi rifiutato di sterminare una popolazione inerme di fede cristiana della Gallia.
La lancia passò da un imperatore a un altro e, tramite Carlo Magno, finì nelle mani
degli Asburgo.
Nel 1909 Adolf Hitler ordinò di trasferire la Lancia a Norimberga, dove fu collocata
nella chiesa di santa Caterina che diventò un santuario mistico-esoterico nazista.
Esistono altre presunte lance: quella di Antiochia custodita nel museo della cattedra-
le di Echmiadzin in Armenia e quella di San Pietro in Vaticano. C’è inoltre memoria di
quella della Sainte-Chapelle di Parigi, andata dispersa durante la Rivoluzione france-
se.
3.16 Sangue di Cristo
Presunte reliquie del sangue di Gesù sono tuttora conservate nelle chiese di Manto-
va, Ferrara, Sant'Ambrogio di Valpolicella, Crema, Sarzana, Clauzetto, Weingarten,
Bruges, Fécamp e nel Sancta Sanctorum.
Altre tracce di sangue, e in alcuni casi fram-
menti di carne, sono dovute ai miracoli eu-
caristici come quelli di Bolsena e Lanciano.
La reliquia più celebre è quella raccontata da
un’antica tradizione che racconta che Longi-
no raccolse la terra imbevuta del sangue di
Gesù e la mise in una cassetta con la quale
giunse a Mantova nel 36. La interrò per na-
sconderla, ma poi diventato apostolo del Si-
gnore, subì il martirio per decapitazione.
Solo nell’804, quando fu ritrovata la casset-
ta, con accanto le ossa attribuite al centu-
Vasi col sangue di Gesù - Mantova rione, si cominciò a parlare di questa reli-
quia e per interessamento di Carlo Magno fu
costruito l'oratorio di Sant'Andrea per custodirle.
Poi nel 923, per timore degli Ungari, la terra fu suddivisa in due contenitori che fu-
rono nascosti uno nel luogo originario e l'altro nella chiesa di san Paolo.
Poi se ne perse il ricordo, fino a quando, nel 1048, Sant'Andrea mediante apparizio-
ni, indicò il luogo dove ritrovare il primo contenitore.
Nel 1472, fu costruita l'attuale Basilica di Sant'Andrea e nel 1479 fu ritrovato anche il
contenitore della chiesa di san Paolo.
Un’altra tradizione racconta che furono la Vergine Maria e San Giovanni a raccoglie-
re il prezioso liquido in un’ampolla, mentre per altri fu Giuseppe d’Arimatea che lo
raccolse nel Santo Graal, il calice dell’Ultima Cena.
Due ampolle con il sangue e acqua del costato di Cristo citate nella Tabula Magna

77
Lateranensis sono custodite in San Giovanni in Laterano di Roma. Robert de Clari,
cronista della IV Crociata, dice di aver visto un’ampolla di sangue a Costantinopoli
insieme con altre reliquie di Cristo.
Famosa è la reliquia di Bruges, mostrata tutti i venerdì e tutti i giorni a maggio, se-
condo la tradizione, portata nel 1150 da Gerusalemme durante la II crociata da Teo-
dorico di Alsazia, conte di Fiandra, mentre per alcuni proviene dal sacco di Costanti-
nopoli del 1204 durante la IV Crociata a opera del Conte di Fiandra Baldovino IX.
Si tratta del presupposto pezzo del panno macchiato di sangue, con cui Giuseppe

La fiala del sangue di Cristo - Bruges


d’Arimatea lavò il corpo di Cristo, conservato in una fiala del 1388.
Nella festa dell’Ascensione è portata in una grande processione, dichiarata Patrimo-
nio dell’Umanità dall’Unesco, dove circa 2.000 persone in costume dell’epoca, rap-
presentano scene della Bibbia e della vita di Gesù con danze e animali.
A Weingarten, invece nel giorno dell’Ascensione c’è una processione a cavallo con
3.000 cavalieri tra alcuni manto-
vani.
3.17 I sandali
Si tratta di diverse presunte reli-
quie riferite a età imprecisate di
Gesù e senza un ferimento diretto
alla Passione.
Si trovano:
 nell’Escorial di Madrid quelle di
Gesù bambino
 a san Petronio di Bologna por-
tate dal santo nel V secolo uni-
tamente ad altre reliquie
 nel Sancta Sanctorum di Roma
 nell’Abazia di Prüm in Renania-
Palatinato ci sono solo le suole
Le suole dei sandali di Gesù - Abazia di Prüm

78
donate da Pipino nel 762.
3.18 L’asciugamano della lavanda dei piedi
La lavanda dei piedi con un catino e un asciugamano, era un compito dello schiavo
verso il padrone e i suoi ospiti come caratteristico gesto dell’antica ospitalità dovuto
al disagio provocato delle strade fangose e polverose.

La lavanda dei piedi degli apostoli - Ford Madox Brown – (1821-1893)


Quando Gesù durante l’ultima cena, lo fa ai suoi apostoli, ne capovolge il significato
per mostrare quale deve essere il dovere di chi comanda. Questo scandalizzò Pietro
che disse:
Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad
asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e
questi gli disse: Signore, tu lavi i piedi a me? Rispose Gesù: Quello che io faccio,
tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo. Gli disse Simon Pietro: Non mi laverai
mai i piedi! Gli rispose Gesù: Se non ti laverò, non avrai parte con me. Gli disse
Simon Pietro: Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo! (Gv.13,5-9).

79
Dell’asciugamano usato da Gesù secondo una tradizione priva di notizie storiche e
riscontri, ne è conservato uno di origine sconosciuta in San Giovanni in Laterano a
Roma.
3.19 Le Croci delle Passione
In alcune strade si possono ancora incontrate le Croci della Passione ossia delle croci
con i simboli della Passione.

La loro origine risale al 1800 e sino agli inizi del ‘900 quando numerosi ordini religio-
si, soprattutto i Padri Passionisti, l’ordine fondato da San Paolo della Croce e appro-
vato da Papa Benedetto XIV nel 1741, erano dediti alla predicazione itinerante per
promuovere la memoria delle sofferenze di Gesù con le sante missioni popolari.
Al termine del loro ciclo di predicazioni, spesso era eretta da parte delle confraterni-
te locali una Croce della Passione come ricordo della missione con una targa com-
memorativa benedetta dal predicatore.
Queste croci spesso venivano anche portate nelle processioni della Settimana Santa
e in altre particolari circostanze.
3.20 I simboli della passione
Tra i simboli della Passione appesi alle Croci e usati nei dipinti, ci sono molti oggetti
che fanno riferimento ai racconti evangelici, tra cui:
 La canna, posta nelle mani di Gesù come scettro della derisione.
 Il mantello rosso della derisione.
 I dadi, con i quali i soldati si giocarono a sorte la tunica di Cristo.
 Il gallo, che cantò quando san Pietro rinnegò per la terza volta Gesù.
 La canna, usata per porgere la sacra spugna imbevuta d'aceto a Gesù.
80
 La scala, usata per la deposizione di Gesù dalla croce.
 Il martello, usato per picchiare i chiodi nelle mani e nei piedi di Gesù.
 La tenaglia, usata per rimuovere i chiodi
 Un contenitore di mirra, usata per ungere il corpo di Gesù da parte di Nicodemo.
 La borsa delle trenta monete d'argento di Giuda.
 Il guanto, che colpì il volto di Gesù.
 Le corde, che cinsero Gesù durante la notte in prigione.
 Lanterne, torce, spade e bastoni usati dai soldati che arrestarono Gesù nell'orto
degli ulivi.
 La spada, usata da Pietro per tagliare l'orecchio del servo del sommo sacerdote.

81
4 La collana
Questa collana di libri digitali, edita da Kairòs, Centro Culturale del Decanato di Be-
sozzo, nasce per aiutare a conoscere meglio le ragioni della fede che hanno deter-
minato la cultura occidentale, soprattutto per le sue verità meno conosciute o date
per scontate, con un linguaggio comprensibile a tutti.
Ci sono domande cui molti fedeli non sanno rispondere o rispondono in modo im-
proprio, facendo nascere il sospetto che la loro fede sia in realtà un castello fumoso
di credenze accettate senza spirito critico o frutto di superstizione. Senza conoscen-
za la fede è debole e non consente al credente di testimoniarla in ogni momento
della sua vita.
Ma anche chi non crede può qui trovare delle risposte che potrebbero fargli abban-
donare i preconcetti per sostituirli con critiche ragionevoli.
Ogni libro di questa collana tratta un argomento cercando di evitare argomentazioni
teologiche e religiose, per avvicinarsi il più possibile al racconto, includendo anche
alcuni aspetti leggendari che possono migliorarne la lettura e la comprensione. Per
ogni argomento si è cercato di risalire alle origini e di cercare poi ricostruirne
l’evoluzione attraverso i secoli cercando di evitare le opinioni per limitarsi ai fatti. Ci
sono anche riferimenti ad altre fedi quando questo può far meglio conoscere le ori-
gini, l’importanza e il significato dell’argomento oggetto del racconto.
In tutti i testi sono state inserite anche molte immagini per cercare di rendere più
piacevole e completa la lettura con la speranza di fornire spunti per una ricerca per-
sonale più approfondita.
Alla collana possono essere proposti anche testi digitali di altri autori, anche se già
stampati, purché rispettino lo spirito e lo stile della collana.
Per ogni ulteriore informazione di può contattare il Centro Culturale Kairòs al se-
guente indirizzo: kairos.gavirate@virgilio.it

82
5 Notizie sull’autore
Luciano Folpini è nato a Milano nel
1939, dove a sempre vissuto, salvo
una breve parentesi a Bergamo, e
dove per lunghi anni ha svolto il ruo-
lo di dirigente.
Dal 2000 risiede a Gavirate in provin-
cia di Varese.
Ha pubblicato numerosi articoli e al-
cuni libri illustrati e attualmente sta
curando la collana: Le radici, una se-
rie di saggi divulgativi gratuiti in for-
mato e-book sui grandi temi della vi-
ta e della fede.
Ha già pubblicato:
 Maria nella grande storia. La Vergine Maria raccontata dai testimoni
 Storia di una lunga fede. La Vergine Maria e la Passione
 Angeli e religioni. Una ricerca del loro culto dalle origini ai nostri giorni
 Pene e indulgenze. Una ricerca sulle reciproche influenze
 Dalla Pescah alla messa. Una ricerca sulle origini e il significato della messa.
 Paolo, il cavaliere disarmato. La vita di san Paolo.
 La nostre storie. Un viso una storia
 La via della felicità, Dramma in quattro atti
 Diario paesano di un povero cristiano, Pensieri, riflessioni e ricerche sui fatti del-
la vita
 Gavirate, alla ricerca dell’anima
 Storie semplici, Interviste a persone che vivono o lavorano a Gavirate
 La trilogia
o Le profonde radici dell’Europa moderna. Dalla preistoria alla fine del me-
dioevo.
o Storia e scienza alla luce dell'Apocalisse. Lettera ai giovani sul senso della
storia.
o L'amore e le sue origini. Eros, matrimonio, famiglia e figli.

83
6 Bibliografia
Cathopedia
Wikipedia
Enciclopedia Treccani

Alla ricerca del volto di Cristo, Edizioni Dehoniane


Archeologia, testi e sepolture antiche, Remi Van Haelst
Biografia di Fra Bruno di Gesù-Maria
Caratteristiche delle macchie di sangue da considerare in una ricostruzione in la-
boratorio della Sindone di Torino, Carlo Brillante, Giulio Fanti, Emanuela Marinelli
Che cosa c'è sui fili? Giulio Fanti
Conosciamo e Crediamo, Testimonianze cristiane
Cristo composto nel sepolcro aveva monetine negli occhi? Luigi Fossati
Crocifissione di Gesù, cathopedia
Datazione al radiocarbonio e archeologia, Beta Analytic, Radiocarbon Dating
Dal Mandylion alla Veronica, Massimo Centini
Dal Mandylion di Edessa alla Sindone di Torino, Andrea Nicolotti
Dal Mandylion di Edessa alla Sindone. Ilaria Ramelli
Del corpo di Cristo, Elsa Dal Monego
Due scienziati, quattro salme e l'autopsia sul corpo di Gesù, Stefano Lorenzetto
Gesù, le tuniche sovrapposte, Jean-Charles Le Roy
Gli anni perduti della Sindone, Alessandro Piana
Gli ultimi giorni di Gesù, Pierluigi Baima Bollone, Mondadori
Il Codice Pray di Budapest, Marisa Uberti, duepassinelmistero
Il culto delle reliquie della Passione di Cristo tra arte e potere, Monica Barbato
Il Mandylion di Edessa dei primi secoli, Ilaria Ramelli
Il Mandylion di Genova, Laboratorio Iconografico Genovese
Il sangue di Cristo, Nicoletta De Matthaeis, Reliquie
Il Santo Mandillo nella Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, Paolo Giardelli
Il Sudario di Oviedo e la Sindone di Torino, Maria Margherita Peracchino
I pollini contestati, Maria Chiara Strappaveccia
Il Volto Santo di Manoppello spiegato da padre Germano
Il volto santo in oriente, Associazione il volto ritrovato di Manopello
I volti santi d’Oriente e d’Occidente, Carlo Di Stansilao

84
La bellezza di Cristo nell'arte dall'antichità al rinascimento, Pasquale Iacobone
La colonna della flagellazione, Cinzia Dal Maso
La colonna della flagellazione, Reginaldo Frascisco
La farsa delle monetine sugli occhi, Gian Marco Rinaldi
La tridimensionalità, Sito ufficiale della sindone
La Passione di N. S. Gesù Cristo secondo il chirurgo, Pierre Barbet
La Sindone di Torino e l’immagine di Edessa. Nuovi Contributi, Gino Zaninotto
La Sindone di Torino e le monetine di Ponzio Pilato, Francesco Barbesino, Mario-
Moroni
La Sindone e le reliquie celebri, Emanuele Roncalli
La sindone non è un falso. Ricerca dell'Enea sul sacro Lino , Marco Tosatti
La tragedia greca rivive nel Christus Patiens, Matteo Veronesi, Studi cattolici
L'enigma del volto di Gesù, Saverio Gaeta
Le copie della sindone a grandezza naturale, Luigi Fossati
Le varie tappe del Volto Santo prima del suo arrivo a Roma, P. Heinrich Pfeiffer
L'invasione persiana e la conquista araba, Sito Santuario Santo Sepolcro
Mixer - La Sindone di Torino, Stefano Rizzitelli, Rai
Nuove ipotesi dal Velo della Veronica di Manoppello,
Nuovi studi sulla Sindone ne mettono in dubbio l’autenticità, Uaar
Perché la Sindone è un falso, Luigi Garlaschelli,
Relatione Historica di Donato Da Bomba (1640), Sito ufficiale del Volto Santo
Sacra Sindone, Cathopedia
Sindone: la datazione dopo il radiocarbonio, Luigi Campanella e Giulio Fanti
Sindone, blogcattolici
Sindone, le nuove prove, Il Messaggero di sant'Antonio
Sindone, Sito ufficiale
Sindone, Storia e Scienza, Pierluigi Baima Bollone
Stesso polline su Sindone e Sudario di Oviedo, Paolo Centofanti
Tecnica della crocifissione romana, Gino Zaninotto

85

Potrebbero piacerti anche