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DELLE ORE
PROPRIO DEI SANTI
DICEMBRE
CALENDARIO ROMANO GENERALE
INTEGRATO CON IL
PROPRIO DELLA DIOCESI DI PISA
E ALTRE RICORRENZE
i
ii
PRESENTAZIONE
1
TABELLA ANNUALE DELLE CELEBRAZIONI MOBILI
Ciclo Ciclo Lettera Tempo ordinario
Anno Ceneri Pasqua Pentec. Avvento
dom. fer. dom. fino al Sett. dal Sett.
2017 A I A 1 mar 16 apr 4 giu 28 feb 8 5 giu 9 3 dic
2018 B II g 14 feb 1 apr 20 mag 13 feb 6 21 mag 7 2 dic
2019 C I f 6 mar 21 apr 9 giu 5 mar 8 10 giu 10 1 dic
2020 A II ed 26 feb 12 apr 31 mag 25 feb 7 1 giu 9 29 nov
2021 B I c 17 feb 4 apr 23 mag 16 feb 6 24 mag 8 28 nov
2022 C II b 2 mar 17 apr 5 giu 1 mar 8 6 giu 10 27 nov
2023 A I A 22 feb 9 apr 28 mag 21 feb 7 29 mag 8 3 dic
2024 B II gf 14 feb 31 mar 19 mag 13 feb 6 20 mag 7 1 dic
2025 C I e 5 mar 20 apr 8 giu 4 mar 8 9 giu 10 30 nov
2026 A II d 18 feb 5 apr 24 mag 17 feb 6 25 mag 8 29 nov
2027 B I c 10 feb 28 mar 16 mag 9 feb 5 17 mag 6 28 nov
2028 C II bA 1 mar 16 apr 4 giu 29 feb 8 5 giu 9 3 dic
2029 A I g 14 feb 1 apr 20 mag 13 feb 6 21 mag 7 2 dic
2030 B II f 6 mar 21 apr 9 giu 5 mar 8 10 giu 10 1 dic
2031 C I e 26 feb 13 apr 1 giu 25 feb 7 2 giu 9 30 nov
2032 A II dc 11 feb 28 mar 16 mag 10 feb 5 17 mag 6 28 nov
2033 B I b 2 mar 17 apr 5 giu 1 mar 8 6 giu 10 27 nov
2034 C II A 22 feb 9 apr 28 mag 21 feb 7 29 mag 8 3 dic
2035 A I g 7 feb 25 mar 13 mag 6 feb 5 13 mag 6 2 dic
2036 B II fe 27 feb 13 apr 1 giu 26 feb 7 2 giu 9 30 nov
2037 C I d 18 feb 5 apr 24 mag 17 feb 6 25 mag 8 29 nov
2038 A II c 10 mar 25 apr 13 giu 9 mar 9 14 giu 11 28 nov
2039 B I b 23 feb 10 apr 29 mag 22 feb 7 30 mag 9 27 nov
2040 C II Ag 15 feb 1 apr 20 mag 14 feb 6 21 mag 7 2 dic
2041 A I f 6 mar 21 apr 9 giu 5 mar 8 10 giu 10 1 dic
2042 B II e 19 feb 6 apr 25 mag 18 feb 6 26 mag 8 30 nov
2043 C I d 11 feb 29 mar 17 mag 10 feb 5 18 mag 7 29 nov
2044 A II cb 2 mar 17 apr 5 giu 1 mar 8 6 giu 10 27 nov
2045 B I A 22 feb 9 apr 28 mag 21 feb 7 29 mag 8 3 dic
2046 C II g 7 feb 25 mar 13 mag 6 feb 5 14 mag 6 2 dic
2047 A I f 27 feb 14 apr 2 giu 26 feb 7 3 giu 9 1 dic
2048 B II ed 19 feb 5 apr 24 mag 18 feb 6 25 mag 8 29 nov
2049 C I c 3 mar 18 apr 6 giu 2 mar 8 7 giu 10 28 nov
2050 A II b 23 feb 10 apr 29 mag 22 feb 7 30 mag 9 27 nov
2051 B I A 15 feb 2 apr 21 mag 14 feb 6 22 mag 7 3 dic
2
CALENDARIO ROMANO GENERALE E PROPRIO DELLA DIOCESI DI PISA
DICEMBRE
Il tempo di Avvento
B. Charles de Focauld, presbitero Martirologio
Ss. Edmondo Campion, Roberto Southwell, sacerdoti, e compagni,
f 1
martiri (Gesuiti)
B. Giovanni da Vercelli, sacerdote (Domenicani)
B. Maria Angela Astorch, vergine, II Ord. (Francescani)
g 2
B. Raffaele Chylinski, presbitero, I Ord. (Francescani)
A 3 S. Francesco Saverio, presbitero (Gesuiti) Memoria
S. Giovanni Damasceno, presbitero e dottore della Chiesa Mem. facol.
b 4
Santa Barbara, vergine e martire (Ordinariato militare) Martirologio
S. Saba, abate (Benedettini)
B. Placido Riccardi, monaco e sacerdote (Benedettini)
c 5 B. Bartolomeo Fanti, sacerdote (Carmelinani)
B. Filippo Rinaldi, sacerdote (Salesiani)
B. Niccolò Stenone, vescovo (Livorno)
S. Nicola di Myra (o di Bari), vescovo (Ordinariato militare) Memoria
d 6
S. Pietro Pascasio, vescovo e martire (Mercedari)
e 7 S. Ambrogio, vescovo e dottore della Chiesa Memoria
f 8 IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA Solennità
S. Juan Diego Cuauhtlatoatzin Mem. facol.
g 9
B. Bernardo Maria Silvestrelli, sacerdote (Passionisti)
Beata Vergine Maria di Loreto (Ordinariato militare) Mem. facol.
B. Arsenio Migliavacca da Trigolo, presbitero, I Ord. (Francescani)
A 10
B. Girolamo da Sant’Angelo in Vado, sacerdote (Servi di Maria)
B. Marco Antonio Durando, sacerdote (Vincenziani)
S. Damaso I, papa Mem. facol.
b 11 S. Maria Maravillas di Gesù, vergine (Carmelitani)
B. Davide di Himmerod, religioso (Cistercensi)
c 12 Beata Vergine Maria di Guadalupe Mem. facol.
d 13 S. Lucia, vergine e martire Memoria
e 14 S. Giovanni della Croce, presbitero e dottore della Chiesa Memoria
f 15 B. Bonaventura da Pistoia, religioso (Servi di Maria)
B. Maria degli Angeli Fontanella, vergine (Carmelitani)
B. Cherubino da Avigliana (Agostiniani)
g 16
S. Davide, re (Terra Santa)
B. Sebastiano Maggi, sacerdote (Domenicani)
17-23 Ferie maggiori di Avvento
A 17 S. Giovanni de Matha (Trinitari)
b 18
c 19
d 20
e 21 S. Pietro Canisio, presbitero e dottore della Chiesa Mem. facol.
Anniversario dell’approvazione dell’Ordine dei Predicatori
f 22
(Domenicani)
3
g 23 S. Giovanni da Kety (Canzio), presbitero Mem. facol.
A 24
Il tempo di Natale
b 25 NATALE DEL SIGNORE Solennità
c 26 S. STEFANO, PRIMO MARTIRE Festa
d 27 S. GIOVANNI, APOSTOLO ED EVANGELISTA Festa
e 28 SS. INNOCENTI, MARTIRI Festa
f 29 S. Tommaso Becket, vescovo e martire Mem. facol.
g 30
A 31 S. Silvestro I, papa Mem. facol.
Domenica fra l’ottava di Natale o, qualora non ricorresse una
domenica, il 30 dicembre: SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE Festa del Signore
Nota: Per quanto riguarda i Propri diocesani, i religiosi sono obbligati a celebrare la solennità del Patrono
principale del luogo e l’anniversario della Chiesa cattedrale della diocesi, ma non le altre ricorrenze iscritte
nel calendario diocesano (PNLO 241).
1
Si ritiene che tra gli Uffici votivi sia compreso l’Ufficio dei Defunti, che può essere celebrato n presenza della salma, o
quando si ha la notizia della morte, o in occasione di un anniversario della morte di parenti. Se il giorno non lo
consente possono utilmente essere comunque scelti formulari adatti per le Preci (Invocazioni e Intercessioni).
2
Si tengano presenti le possibilità previste da PNLO nn. 247-252 per quanto riguarda salmi, letture dell’Ufficio delle
letture, letture brevi, orazioni, canti e preci feriali.
4
calendario generale
III.11 Memorie obbligatorie proprie NO SI SI
III.12 Memorie facoltative SI SI SI
III.13 Altre ferie SI SI SI
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IL TEMPO DI AVVENTO
6
DICEMBRE
1 dicembre
Martirologio: 1 dicembre
Dal comune dei pastori con salmodia del giorno del salterio.
SECONDA LETTURA
“Non vi chiamo più servi, ma, amici… Poiché vi ho detto tutti i miei segreti…
Non siete voi che mi avete scelto, ma sono io che ho scelto voi… Vi ho stabiliti
perché portiate frutto… Tutto ciò che chiederete al Padre mio nel mio nome, ve lo
darà”.
11
Come siete buono! Come ci amate! Con quale amore voi perseguite il vostro
obiettivo di farvi amare da noi, di “accendere sulla terra il fuoco” dell’amore di Dio!
Nei quattro Vangeli, tutte le vostre parole, tutti i vostri esempi hanno come
obiettivo di accendere questo fuoco nei nostri cuori. Nei primi tre voi avete
soprattutto come oggetto di prepararci a questo, spogliandoci, svuotandoci dell’amore
delle creature. Nel quarto, ci stabilite in esso 1° chiamandoci direttamente a questo
amore; 2° gettandoci, affondandoci, annegandoci nelle quattro virtù più proprie a
stabilirci invincibilmente nell’amore divino, l’obbedienza a Dio, la sua imitazione, la
sua contemplazione, l’amore del prossimo; 3° infine, come, dopo l’ammirazione,
niente forse è più proprio a provocare l’amore che l’amore stesso, per terminare di
stabilirci nel vostro amore, voi ci rivelate il vostro per noi, ci confessate che ci amate,
ce lo dite, lo ridite mille e mille volte nei termini di una tenerezza divina, e ce lo
provate consegnandovi a noi senza riserva nella santa Eucaristia, e donando la vostra
vita per noi al Calvario, “che è il segno del più grande amore” secondo la vostra
parola infallibile… È ciò che fate con queste parole: “Non vi chiamo più servi, ma
amici (dichiarazione d’amore: “Io vi amo”)… Vi ho detto tutti i miei segreti (dolce e
amorevole parola! parola d’amore come essa fu! È ancora dire in una maniera
indiretta e tanto più delicata: “Io vi amo!”)… “Non siete voi che mi avete scelto, ma
io che vi ho scelto (ancora un modo di dire: “Io vi amo!… Non siete voi che mi avete
amato per primi, sono io che vi ho amato per primo”)… Vi ho stabiliti perché portiate
frutto (perché portiate il frutto che dovete portare secondo il fine per il quale siete
stati creati, cioè, la glorificazione di Dio)… Tutto ciò che chiederete (con la
preghiera, che vi condurrà alla contemplazione, che vi condurrà all’amore divino) nel
mio nome, egli ve lo darà” (cioè: non ho niente da rifiutarvi; tutto ciò che chiederete,
ve lo concedo anticipatamente: a chi non si ha niente da rifiutare, se non a coloro che
si amano? È ancora un modo di dirci “Io vi amo”)… O Cuore di Gesù, come ci
amate! Di quale fuoco bruciate per degli esseri così indegni come noi? Non temete di
profanarvi amandoci con tali fiamme?… - No, no, no, io amo così, non perché siete
belli, ma perché sono buono; io amo così perché sono carità; se amate gli uomini
tanto più quanto amate di più Dio, perché il vostro cuore è unico, e, poiché caldo per
lui, lo è anche per loro, comprendete che anche il mio cuore è unico e che si è
infiammato di un amore infinito per Dio, ama in Dio e per Dio, con il suo calore
divino, tutto ciò che può amare, ogni uomo di conseguenza, fin tanto che vive…
Pensate al fuoco dell’amore che infiamma il Cuore di Dio e non siate più sorpresi di
essere tanto amati! Voi siete amati da lui non nella misura della vostra bellezza (per
quanto voi abbiate una realissima bellezza, secondo i doni che Dio vi ha fatto), ma
mille e mille volte di più e nella misura della sua bontà, del suo amore, di questo
fuoco d’amore che consuma il cuore di Dio, “Deus charitas est”.
“Amiamo Dio, poiché Dio ci ha amato per primo”… Amiamo Dio, poiché non
solamente ci ama, ma ce lo dice e ridice, nei termini così deliziosamente amorevoli…
Ci dice che tutto ciò che chiederemo nel suo nome, ce lo darà; oh! chiediamogli nel
suo nome di amarlo! Con questo compiremo il nostro fine supremo, che è di
glorificare Dio; poiché con questo compiremo il nostro fine secondo che è di
santificare noi stessi e il prossimo (in effetti amare Dio, è nello stesso tempo e la
12
perfetta santità per noi e l’opera più efficace per la santificazione del prossimo che
noi possiamo fare)… Amiamo Dio, chiediamoglielo nel suo nome, poiché ci ha
promesso di non rifiutarci niente… E lavoriamo a pervenire a questo amore così
prezioso e così desiderato, con i mezzi che lui stesso ci indica: obbedienza,
imitazione, contemplazione, amore del prossimo.
R. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e
portiate frutto * e il vostro frutto rimanga.
V. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri
R. e il vostro frutto rimanga.
ORAZIONE
Signore, Padre santo, che hai chiamato il beato Charles de Foucauld, sacerdote,
a imitare tuo Figlio, Gesù di Nazareth, noi ti preghiamo, per la sua intercessione,
accordaci, nutriti dell’Eucarestia, di progredire giorno dopo giorno, verso una carità
cristiana sempre più profonda e una fraternità più universale. Per il nostro Signore.
Oppure
Dio nostro Padre, tu hai chiamato il Beato Charles a vivere del tuo amore in
intimità con tuo Figlio, Gesù di Nazareth. Accordaci di trovare nel Vangelo il
fondamento di una vita cristiana sempre più luminosa e, nell’Eucaristia, la sorgente di
una fraternità universale. Per il nostro Signore,
13
1 dicembre
Gesuiti: Memoria
In questa memoria si ricordano in primo luogo dieci santi martiri della Compagnia di Gesù,
che nei secoli XVI e XVII nell'Inghilterra e nel Galles furono uccisi per la professione della fede
cattolica; sono stati canonizzati da Paolo VI nel 1970. Essi sono: Edmondo Campion (†1°
dicembre 1581), Alessandro Briant (†1° dicembre 1581) Roberto SouthwelI. (†21 febbraio 1595),
Enrico Walpole († 7 aprile1595), il coadiutore Nicola Owen (†2 marzo 1606), Tommaso
Garnet († 23 giugno 1608), Edmondo Arrowsmith († 28 agosto 1628), Enrico Morse
(†1°febbraio 1645), Filippo Evans (†22 luglio 1679) e Davide Lewis (†27 agosto 1679).
Insieme a loro si celebrano in questo giorno sedici beati martiri della Compagnia di Gesù,
che nella stessa persecuzione tra gli anni l573 e 1679, subirono il martirio.
La storia delle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra, Scozia, Galles, parte dal 1535 e
arriva al 1681; il primo a scatenarla fu come è noto il re Enrico VIII, che provocò lo scisma
d’Inghilterra con il distacco della Chiesa Anglicana da Roma.
Artefici più o meno cruenti furono oltre Enrico VIII, i suoi successori Edoardo VI (1547-
1553), la terribile Elisabetta I, la ‘regina vergine’ († 1603), Giacomo I Stuart, Carlo I, Oliviero
Cromwell, Carlo II Stuart.
Morirono in 150 anni di persecuzioni, migliaia di cattolici inglesi appartenenti ad ogni ramo
sociale, testimoniando il loro attaccamento alla fede cattolica e al papa e rifiutando i giuramenti di
fedeltà al re, nuovo capo della religione di Stato.
Primi a morire come gloriosi martiri, il 4 maggio e il 15 giugno 1535, furono 19 monaci
Certosini, impiccati nel tristemente famoso Tyburn di Londra, l’ultima vittima fu l’arcivescovo di
Armagh e primate d’Irlanda Oliviero Plunkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681.
L’odio dei vari nemici del cattolicesimo, dai re ai puritani, dagli avventurieri agli spregevoli
ecclesiastici eretici e scismatici, ai calvinisti, portò ad inventare efferati sistemi di tortura e
sofferenze per i cattolici arrestati.
In particolare per tutti quei sacerdoti e gesuiti, che dalla Francia e da Roma, arrivavano
clandestinamente come missionari in Inghilterra per cercare di riconvertire gli scismatici, per lo più
essi erano considerati traditori dello Stato, in quanto inglesi rifugiatosi all’estero e preparati in
opportuni Seminari per il rientro.
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Tranne rarissime eccezioni come i funzionari di alto rango (Tommaso Moro, Giovanni
Fisher, Margherita Pole) decapitati o uccisi velocemente, tutti gli altri subirono prima della morte,
indicibili sofferenze, con interrogatori estenuanti, carcere duro, torture raffinate come “l’eculeo”, la
“figlia della Scavinger”, i “guanti di ferro” e dove alla fine li attendeva una morte orribile; infatti
essi venivano tutti impiccati, ma qualche attimo prima del soffocamento venivano liberati dal
cappio e ancora semicoscienti venivano sventrati.
Dopo di ciò con una bestialità che superava ogni limite umano, i loro corpi venivano
squartati ed i poveri tronconi cosparsi di pece, erano appesi alle porte e nelle zone principali della
città.
Solo nel 1850 con la restaurazione della Gerarchia Cattolica in Inghilterra e Galles, si poté
affrontare la possibilità di una beatificazione dei martiri, perlomeno di quelli il cui martirio era
comprovato, nonostante i due-tre secoli trascorsi.
Nel 1874 l’arcivescovo di Westminster inviò a Roma un elenco di 360 nomi con le prove
per ognuno di loro.
A partire dal 1886 i martiri a gruppi più o meno numerosi, furono beatificati dai Sommi
Pontefici, una quarantina sono stati anche canonizzati il 25 ottobre 1970 da Papa Paolo VI.
Edmondo Campion visse nel triste periodo della Riforma Anglicana, sotto il regno della
scismatica regina Elisabetta I; nacque a Londra il 25 gennaio 1540 da agiati genitori, inizialmente
cattolici e poi passati al protestantesimo.
Educato con questi indirizzi, frequentò prestigiose Scuole di Londra, la sua evidente
perspicacia negli studi si evidenziò con alcuni discorsi da lui preparati e tenuti in occasione di
importanti avvenimenti del tempo, come l’ingresso a Londra della regina Maria Tudor nel 1553, che
gli aprì le porte del collegio universitario di Oxford, i compagni di studio, per le sue qualità, si
raccolsero intorno a lui sotto il nome di “campionisti”.
Dovette adattarsi alla situazione religiosa per cui già nel 1564, prestò il giuramento
anticattolico riconoscendo la supremazia religiosa della regina; dovendo in quello stesso anno
dedicarsi agli studi di filosofia aristotelica, di teologia e dei Santi padri, scoprì che l’anglicanesimo
non era altro che una deformazione dell’antica fede che aveva resa grande l’Inghilterra.
Si sentì profondamente a disagio quando il vescovo anglicano di Gloucester, avendolo
conosciuto, desiderò che diventasse suo successore e quindi lo ordinò diacono, ma quella
ordinazione turbò profondamente Edmondo, procurandogli cocenti rimorsi, cosicché abbandonò il
servizio religioso protestante, gli studi e le altre cariche e il 1° agosto 1569 lasciò Oxford per
Dublino nell’Irlanda cattolica, dove professò apertamente il cattolicesimo.
Sentendosi ricercato dai fedeli alla regina, si rifugiò a Douai in Francia, per entrare in
seminario e completare gli studi teologici. Riconciliato con la Chiesa fu ordinato suddiacono, poi
entrò nella Compagnia di Gesù nel 1573, dove fu accettato e destinato alla provincia austriaca
dell’Ordine.
15
Insegnò nel Collegio di Praga, fu ordinato sacerdote nel 1578 e si dedicò valentemente alla
predicazione, in questo periodo scrive varie opere letterarie di religione. Nel 1580 viene destinato
alla Missione inglese con sua grande gioia e dopo essere stato ricevuto in udienza dal papa insieme
ad un compagno Roberto Persons, il 18 aprile si avviarono verso questa nuova meta di apostolato.
Saputo che in Inghilterra erano già informati del loro arrivo, poterono sbarcare solo con
stratagemmi e travestimenti, il 26 giugno si rifugiò a Londra presso amici. Un suo discorso
pronunciato il giorno della festa di s. Pietro, ebbe una grande eco nel regno, la stessa regina
Elisabetta irritata, diede ordine di prendere l’autore che si teneva nascosto.
Necessariamente dovette lasciare Londra e intraprese il suo ministero in forma itinerante,
spostandosi da un paese all’altro per le varie Contee del regno. Rilasciò una ‘dichiarazione’ in cui
spiegava la spiritualità della sua missione, chiedendo di poter avere dei confronti con i lords, con i
professori universitari e con persone esperte di diritto civile ed ecclesiastico. Inoltre dichiarava
l’intento dei gesuiti a voler tentare tutto per riportare la fede cattolica, anche a costo della loro vita.
Questa ‘dichiarazione’ divenne pubblica e se da un lato confortò i cattolici, dall’altro
provocò la reazione degli scismatici e le prigioni si riempirono di persone fedeli a Roma. Il
Campion fece di più, il 29 giugno 1581 sui banchi della chiesa di s. Maria ad Oxford si trovarono
400 copie di un opuscolo da lui fatto stampare di nascosto, in cui dopo aver esposto le
contraddizioni dell’anglicanesimo, invitava la regina a ritornare nella Chiesa.
Il 16 luglio tradito da tale Giorgio Eliot, fu preso dopo aver celebrato la s. Messa nella casa
della signora Yate; tre giorni dopo fu condotto alla Torre di Londra, legato all’incontrario su un
cavallo, con la scritta sulla testa “Campion il gesuita sedizioso”, fu processato con la presenza della
stessa regina e inutili furono tutti i tentativi di fargli riconoscere la supremazia reale in religione,
nonostante le torture a cui fu sottoposto e le lusinghiere offerte della regina.
La folla partecipava al processo e veniva colpita favorevolmente dalle sue argomentazioni;
comunque riconosciuto colpevole di essere entrato in Inghilterra di nascosto con finalità sovversive,
fu condannato a morte. Salì il patibolo dell’impiccagione il 1° dicembre 1581 e già con il cappio al
collo, esternò il suo rispetto alla regina e alla sua autorità affermando ancora una volta davanti ad
una grande folla, di morire nella vera fede cattolica e romana.
Il suo culto fu confermato da papa Leone XIII il 9 dicembre 1886, beatificato da papa Pio XI
il 15 dicembre 1929 è stato poi canonizzato insieme ad altri 39 martiri d’Inghilterra il 25 ottobre
1970 da papa Paolo VI.
Anche Roberyo Southwell appartiene alla folta schiera di martiri cattolici uccisi dagli
anglicani in Inghilterra, proprio al tempo dell’affermazione nell’isola della Chiesa nazionale nata
dallo strappo tra il re Enrico VIII ed il Romano Pontefice. Il ricordo di questi eroici testimoni della
fede non andò perduto e parecchi di essi sono stati beatificati dai papi tra l’Ottocento ed il
Novecento. Una quarantina di essi sono anche stati canonizzati da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970,
tra i quali il personaggio oggetto della presente scheda agiografica.
16
Robert Southwell nacque nel 1561 a Horsham Saint Faith, nel Norfolk, regione
dell’Inghilterra). In età giovanile fu mandato in Francia per gli studi, poiché tutte le istituzioni
accademiche inglesi erano ormai divenute protestanti: studiò dunque presso il Collegio Inglese a
Douai ed il parigino Collegio di Clermont. Qui entrò a contatto con i gesuiti e maturò la decisione
di entrare nella Compagnia. L’ammissione gli fu rifiutata a causa dell’età ancor troppo giovane, ma
il Southwell ben lontano dal demordere intraprese a piedi un pellegrinaggio a Roma, ove fu accolto
e poté entrare nel noviziato di Sant’Andrea il 17 ottobre 1578.
Terminò poi il noviziato a Tournai, in Belgio, ma fece nuovamente ritorno a Roma per
intraprendere gli studi filosofici e teologici. Fu proprio nella “Città Eterna” che nel 1584 Robert
Southwell ricevette finalmente l’ordinazione presbiterale. Per due anni svolse il suo apostolato nel
Collegio Inglese di Roma, sino a quando fu destinato alla missione inglese e fece così ritorno in
patria di nascosto nel luglio 1586, insieme con il confratello Padre Enrico Garnet.
Raggiunse Londra e da qui si cimentò nell’aiutare altri sacerdoti cattolici ad entrare in
Inghilterra e trovare una sistemazione. Amministrò inoltre i sacramenti nei paesi circostanti la
capitale e scrisse libri ed opuscoli sulla fede cattolica per conto di una stamperia segreta fondata
proprio dal Garnet.
Una donna, o più precisamente la testimonianza da lei portata contro il sacerdote gesuita, si
rivelò fatale per il destino di Padre Southwell: nel luglio 1592, infatti, fu rilasciata dal carcere una
certa Anna Bellamy, che durante la prigionia si era convertita all’anglicanesimo.
Dopo settimane di orrende torture, non riuscendo a convincerlo a svelare nulla sugli altri
preti cattolici presenti in Inghilterra, il religioso venne trasferito alla Torre di Londra, ove rimase
imprigionato per due anni e mezzo. Infine il 20 febbraio 1595 fu processato per alto tradimento, al
quale segurono la condanna ed il giorno seguente l’impiccagione a Tyburn. Fu dichiarato santo da
Paolo VI nel 1970.
Alexander Briant è uno dei 40 martiri d’Inghilterra e Galles canonizzati da Papa Paolo VI il
25 ottobre 1970, in quanto morti per la loro fedeltà alla Chiesa di Roma ed al Papa.
Dopo la comparsa delle pubblicazioni dei Padri Campion e Persons, le autorità inglesi
tentarono immediatamente di catturare i due gesuiti e diversi altri cattolici attivisti. Tra di essi vi fu
proprio Alexander Briant, giovane sacerdote secolare nato nel Somerset nel 1556 circa.Aveva avuto
modo di rinnovare la sua fedeltà alla Santa Sede durante il periodo trascorso ad Hart Hall e ad
Oxford. Si recò poi all’estero, presso il seminario di Douai, ove ricevette l’ordinazione presbiterale,
e tornò in patria per svolgere il suo ministero nella zona occidentale.
Quando la casa di Persons venne perquisita, Briant si trovava in una casa vicina e dunque fu
arrestato e condotto alla prigione di Counter. Qui con ogni mezzo tentarono tentarono di ottenere da
lui informazioni circa l’attività di Padre Persons. Era il 28 aprile 1581. Dopo sei giorni di digiuno
quasi assoluto, fu trasferito nella Torre di Londra e gli furono conficcati degli aghi sotto le unghie.
Alexander è l’unico tra i martiri inglesi sul quale si sono tramandate informazioni circa le torture
cui fu sottoposto. Tutto si rivelò però inutile ed allora fu abbandonato per una settimana in una cella
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sotterranea, al termine della quale fu ancora torturato per due giorni sino all’estremo. Norton, capo
dei torturatori, fu addirittura punito per la sua estrema crudeltà.
Durante la detenzione nella Torre, Briant indirizzò una lettera ai gesuiti inglesi per
descrivere loro le torture subite: “Ero senza conoscenza e quasi sollevato da tutti i dolori e le
sofferenze; e non solo, ero confortato, alleviato e lenito da tutte le torture patite [...] Dio solo sa se
sia stato un miracolo o no, ma è vero, e perciò la mia coscienza è testimone davanti a Dio”.A
giudizio di Norton, invece, per quanto possa aver valore la sua testimonianza, Alexander provò
atroci dolori in seguito alle torture inflittegli.
Nella medesima lettera il Briant chiese di poter entrare a far parte della Compagnia di Gesù,
avendo pronunciato un voto di offfrire se stesso, se fosse stato rilasciato. Per tale motivo egli
compare oggi negli elenchi dei martiri gesuiti.
Alexander Briant fu processato a Westminster Hall insieme a Thomas Ford ed altri
compagni, con la medesima accusa dei celebri sacerdoti Edmond Campion e Ralph Sherwin.
Giunse in tribunale con una piccola croce disegnata a carboncino su un pezzo di legno e con la testa
rasata. Il suo aspetto era “sereno, innocente e amabile, quasi come quello di un angelo”. Fu infine
martirizzato a Tyburn il 1° dicembre 1581 dopo i due sacerdoti suddetti. Con loro fu poi beatificato
nel 1886 e canonizzato nel 1970.
Henry Walpole nacque nel 1558 a Docking nel Norfolk. Educato prima al liceo di Norwich
e poi alla Peterhouse di Cambridge, entro infine al Gray’s Inn londinese per studiare legge. Si
ritiene che i suoi genitori fossero cattolici, ache se una tradizione vuole che Henry si sia convertito
solo dopo aver assistito il 1° dicembre 1581 all’esecuzione capitale di Sant’Edmondo Campion. Su
questo tragico evento egli scrisse infatti un lungo poema, probabilmente poiché tale visione
risvegliò la sua fede cattolica da un lungo letargo.
Dal 1582 Henry si trasferì all’estero per intraprendere gli studi ecclesiastici, in un primo
temp oa Reims in Francia, poi a Roma ove due anni dopo entrò nella Compagnia di Gesù. Terminati
gli studi presso il Collegio Scozzese di Pont-à-Mousson, a Parigi nel 1588 ricevette l’ordinazione
presbiterale e per qualche tempo esercitò il suo ministero in Italia, per poi divenire cappellano dei
soldati cattolici inglesi nelle Fiandre, militanti nell’armata spagnola. Per quattro o cinque mesi fu
imprigionato da alcuni ribelli antispagnoli ed una volta rilasciato si trasferì in Francia per
completare il suo tirocinio. Tornò poi a Bruxelles come bibliotecario e, contrariamente al suo
desiderio di andare missionario in patria, fu spedito in Spagna a lavorare nei collegidi Siviglia e
Valladolid, prima di ritornare nuovamente nelle Fiandre per aprire con l’autorizzazione regia un
nuovo colegio inglese presso Saint-Omer.
Solo nel 1593 ad Henry Walpole fu dato di poter realizzare il suo grande sogno: giunto in
Inghilterra a Bridlington il 6 dicembre, il giorno seguente venne già arrestato e condotto a York
quale sacerdote sospetto. Egli non ebbe paura ad ammettere la colpa, se colpa può essere
considerata il non aver voluto aderire alla nascente confessione anglicana non in comunione con la
Santa Sede, e quindi venne internato nella Torre di Londra. Dalla prigione scrisse ad un confratello
gesuita: “Sono fiducioso che Dio sarà glorificato in me, con la vita o con la morte [...]. Alcune
persone vengono per interrogarmi, ma portano più parole chiassose che e vuote che argomenti
18
solidi”. Le sue confessioni scritte sono assai più ricche rispetto a quelle di altri martiri inglesi. Era
una persona affettuosa, espansiva, con buona oratoria, debole di costituzione. Le torture subite lo
lasciarono con le mani storpiate e pieno di dolori, ma nonostante la debolezza umana possa
indubbiamente averlo segnato, mai pensò di abbandonare il sacerdozio ed il cattolicesimo.
Il suo processo fu infine rinviato a York, ove il santo dinnanzi alla giuria riunita disse:
“Confesso molto volentieri di essere un sacerdote, di appartenere alla Compagnia di Gesù, di essere
venuto per convertire il mio paese alla fede cattolica e per invitare i peccatori al pentimento. Non
negherò mai tutto ciò; questo è il dovere che la mia chiamata impone. Se trovate qualsiasi cosa in
me che non sia d’accordo con la mia professione, non mostratevi favorevoli. Nel frattempo, agite
secondo le vostre coscienze ricordando che dovrete darne conto a Dio”. Fu duqnue giudicato
colpevole secondo la legge del 1585, secondo la quale era reato trovarsi in Inghilterra se ordinati
preti all’estero. Salito al patibolo, tra le sue ultime parole vi fu l’esplicita negazione dell’autorità
della regina in ambito religioso. Il 7 aprile 1595, fuori della città, Henry Walpole fu impiccato,
sventrato e squartato insieme al sacerdote Alexander Rawlins.
Entrambi furono beatificati nel 1929, ma solamente il Walpole fu anche canonizzato da Papa
Paolo VI il 25 ottobre 1970, unitamente al gruppo dei Quaranta Martiri d’Inghilterra e Galles.
Nicholas Owen, nato ad Oxfordshire verso il 1550, era uno dei quattro figli di Walter Owen,
un carpentiere di Oxford, che gli trasmesse una straordinaria abilità manuale. Uno dei fratelli
divenne editore di libri cattolici, mentre gli altri due divennero sacerdoti. Nicholas lavorò a stretto
contatto con i gesuiti per parecchi anni prima di entrare nel 1597 egli stesso nella congregazione
quale converso. Era un ometto piccolino e rimase zoppo da quando un cavallo da soma gli cadde
addosso rompendogli una gamba.
Il nome di Nicholas Owen compare la prima volta in relazione al più celebre Sant’Edmondo
Campion, del quale pare fu servitore e ne prese le difese quando questi venne accusato di
tradimento. Erano infatti gli anni delle persecuzioni anticattoliche, suscitate in Inghilterra dalla
nascita della Chiesa Anglicana e fomentate dagli stessi sovrani inglesi, interessati a salvaguardare
l’unità religiosa della nazione. Anche Nicholas venne arrestato nel 1581 ed incarcerato in
condizioni assai dura. Quando fu liberato, sparì per un certo periodo, ma pare che poi dal 1586 al
1606 fu al servizio del padre provinciale gesuita, Henry Granet, con il quale viaggio molto, ospitato
dai cattolici inglesi e costruendo rifugi per i missionari ricercati, opera quest’ultima in cui adoperò
ogni sua energia ed in cui poté dimostrare tutto il suo ingegno.
John Gerard ebbe a scrivere di lui: “Davvero penso che nessuno abbia fatto più bene di lui
tra tutti quelli che lavorarono nella vigna inglese”. Nel 1594 Nicholas andò a Londra con padre
Gerard per l’acquisto di una casa, ma furono traditi da un tale che già aveva tentato di incastrarli.
John Gerard e Nicholas Owen furono così arrestati e poi incarcerati separatamente. Nicholas fu
torturato per ore insieme ad un suo compagno di prigionia, ma ostinandosi a non voler rivelare nulla
fu rilasciato dietro il pagamento di cauzione. Continuò allora a frequentare Gerard e questi di
conseguenza nel 1597 fu imprigionato nella Torre di Londra. Il suo discepolo fu però complice
della sua spettacolare fuga e probabilmente fu anche lui a trovargli un sicuro nascondiglio.
Dalla fine del 1605, con la Congiura delle polveri, si accrebbero in Inghilterra i sentimenti di
opposizione verso i cattolici, ma il segretario di stato venne a conoscenza del luogo ove Owen e tre
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confratelli si erano rifugiati, Hindlip Hill nel Worcestershire. Dopo una settimana di ricerche,
Nicholas decise di uscire allo scoperto e consegnarsi volontariamente per tentare in tal modo di
salvare la vita ai sacerdoti, ma i ricercatori lungi dal demordere scovarono comunque il
nascondiglio. Padre Oldcorne ed Ashley vennero impiccati, sventrati e squartati nel 1606 a
Worcester, mentre padre Garnet ed Owen vennero condotti a Londra.
Quest’ultimo fu crudelmente torturato per giorni sempre allo scopo di estorcergli
informazioni circa le case che ospitavano sacerdoti ed in cui si celebrava l’Eucaristia. Infine venne
appeso ai polsi, con dei pesi alle caviglie, e dopo sei il suo corpo si squarciò per la trazione. Non
rivelò mai nulla di compromettente, limitandosi a ripetere i nomi di Gesù e Maria. Morì dopo una
terribile agonia il 22 marzo 1606 presso Londra. Nicholas Owen fu beatificato nel 1929, insieme ad
una folta schiera di martiri della medesima persecuzione, ed infine canonizzato il 25 ottobre 1970
da Papa Paolo VI insieme ai Quaranta Martiri d’Inghilterra e Galles.
Tommaso Garnet, sacerdote gesuita, nacque a Soutwark (Londra) nel 1575, studiò in Francia
e Spagna e ordinato sacerdote nel 1599, lavorò nella missione volante inglese, finché entrò
nell’Ordine dei Gesuiti, accolto dal superiore Enrico Garnet, suo zio.
Coinvolto nella repressione anticattolica in atto in Inghilterra, sotto il regno di Giacomo I,
successore della anch’essa ostile, regina Elisabetta I, fu mandato in esilio in Belgio a Lovanio.
Nel 1607 tornò in patria, ma tradito da una spia fu imprigionato e poi condannato a morte
perché si era rifiutato di giurare fedeltà al re, non riconoscendogli così la sua supremazia anche
sulle coscienze dei sudditi.
Il 23 giugno 1608, salito sul patibolo al Tyburn di Londra, protestò la sua innocenza al
popolo, spiegò la sua gioia di morire per la fede, indicò uno per uno coloro che avevano contribuito
alla sua morte, dicendo parole di perdono per ognuno. Recitò prima di essere impiccato le preghiere
della fede con particolare fervore.
La sua morte fu di stimolo ai cattolici e circa duecento fedeli che avevano abbracciato la
Riforma anglicana ritornarono nella Chiesa Cattolica.
Fu beatificato nel 1929 da papa Pio XI e poi è stato canonizzato il 21 giugno 1970 da papa
Paolo VI insieme ad altri 39 sacerdoti e laici martiri dal 1535 al 1679 in Inghilterra e Galles.
Henry Morse, la cui vicenda terrene e soprattutto il suo tragico epilogo è assai simile a
quella di parecchi altri sacerdoti gesuiti martirizzati in Inghilterra nel medesimo contesto storico,
era nato a Brome nel Suffolk nel 1595, sesto dei nove figli di Roberth, proprietario terriero
protestante proveniente da Tivetshall St Mary nel Norfolk, e di Margaret Collinson. Rimase orfano
di padre nel 1612, che però gli lasciò una rendita annuale. Henry giunse alla decisione di convertirsi
al cattolicesimo presumibilmente durante i suoi studi al collegio Bernard di Londra, anche se ad
onor del vero non esistono prove scritte della sua ammissione ad alcun collegio di avvocati.
Dal giugno 1614 Henry intraprese gli studi ecclesiastici, ma dovette interromperli per
tornare in patria, poichè infatti quando si scatenarono violente persecuzioni nei confronti di coloro
che non accettarono di riconoscere ufficialmente il sovrano quale legittimo capo della Chiesa
inglese il Morse si trovava imprigionato a Newgate in attesa dell’esilio. Era l’anno 1618. L’agosto
successivo fece ritorno a Douai ed in dicembre entrò nel collegio inglese di Roma. Nel 1620
ricevette l’ordinazione diaconale, ma non vi è traccia della sua ascesa al sacerdozio.
A settembre di tale anno da Douai fu inviato in una missione inglese, ma venne arrestato non
appena giunto a Newcastle. Imprigionato nel castello di York, fu compagno di prigionia del gesuita
John Robinson. Siccome già a Roma aveva espresso il desiderio di entrare a far parte della
Compagnia di Gesù, d’accordo con i suoi superiori dedicò i tre anni trascorsi in prigione a compiere
il noviziato gesuita, al termine del quale poté emettere i voti semplici. Una volta rilasciato ed
esiliato nelle Fiandre, ove esercitò il suo ministero quale cappellano dei mercenari cattolici inglesi
intenti a combattere al fianco della Spagna. Nel maggio 1624 era sicuramente già sacerdote.
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Sul finire del 1633 il Morse fece ritorno in Inghilterra sotto le spoglie di Cutberto Claxton,
portando avanti la sua missione a Londra. Tra il 1636 ed il 1637 un’epidemia di peste colpì la città
ed Henry, pur fra gravi rischi per la sua salute, non mancò mai di portare aiuto e conforto ai più
bisognosi. Nel 1641 un decreto regio ordinò l’espulsione di tutti i preti cattolici ed il santo obbedì,
per amore di coloro che avevano raccolto la cauzione per liberarlo. Tornò così a servire i soldati
nelle Fiandre, finchè due anni dopo fu inviato nuovamente in Inghilterra e per diciotto mesi operò
nel nord del paese.
Arrestato ai confini del Cumberland, fu però liberato da una donna cattolica, la moglie di
colui che l’aveva catturato. Dopo circa sei settimane fu però nuovamente e per l’ultima volta
arrestato, condotto nella prigione di Durham e poi trasferito a Londra per ricevere la condanna a
morte in quanto dichiaratosi sacerdote. Henry Morse fu infine giustiziato il 1° febbraio 1645 presso
Tyburn.
La Chiesa Cattolica non ha però dimenticato la fedeltà di questo suo insigne figlio: nel 1929
fu infatti dichiarato “beato”, insieme a numerosi altri martiri della medesima persecuzione, ed infine
canonizzato da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970 con i Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles.
Filippo Evans, nato a Monmouth (Galles) nel 1645, gesuita l'8 settembre 1665. Dopo aver
studiato nel collegio di Saint Omer, fu ordinato sacerdote nel 1675, e tosto inviato come missionario
nel Galles meridionale. Quantunque conosciuto per quello che era, le autorità chiusero gli occhi sul
suo fervido apostolato, ma quando la pseudo-congiura di Titus Oates scatenò una nuova ondata di
persecuzione, la situazione dell'Evans si fece pericolosa e sulla sua testa fu posta una taglia.
Consigliato a mutare distretto, non volle abbandonare il suo gregge; per tradimento di chi gli si
diceva amico, fu arrestato il 2 dicembre 1678 e chiuso nella prigione del castello di Cardiff.
Avrebbe potuto uscirne libero, se avesse prestato il giuramento di fedeltà e di supremazia del re
anche in materia religiosa, ma non accettò, protestando la sua fedeltà al papa come capo unico della
religione cattolica: il processo, quindi, tenuto il 3 maggio del 1679, fu breve, non avendo egli
negato di essere sacerdote e di avere esercitate le funzioni del suo ministero.
Tornato in carcere, baciò le catene che lo stringevano, sorrise agli esecutori degli ordini
ingiusti e si proclamò felice di portare le insegne del suo Maestro divino. Poiché l'ordine di
esecuzione della sentenza capitale tardava a giungere, gli fu concesso qualche svago nel cortile
della prigione, l'uso di un'arpa con cui accompagnare i suoi canti di ringraziamento a Dio per la sua
sorte felice e la licenza di ricevere e confortare i cattolici che accorrevano numerosi a visitarlo.
Finalmente, il 21 luglio giunse la notizia che l'esecuzione era fissata per il giorno seguente e il
22
martire l'accolse continuando il gioco cui era intento. L'impiccagione o lo squartamento ebbero
luogo a Cardiff il 22 luglio 1679. Fu beatificato il 15 dicembre 1929.
Primo dì nove fratelli, Davide Lewis nacque ad Abcrgavenny nella contea di Monmouth nel
1616 (o 1617) da Morgan Lewis, protestante, e da Mar garer Prichard, ferverne cattolica. Dopo aver
frequentato la «Royal grammar school» del suo paese, di cui il padre era direttore, entrò, a quanto
pare, nel Middle Temple di Londra per seguirvi gli studi legali. Aveva sedici anni quando andò in
Francia, insieme con il figlio del conte Savage, fermandosi a Parigi per circa tre mesi, durante i
quali si convertì alla religione cattolica per opera del p. Talbot, com'egli stesso dichiarò poi: " Ad
annum usque decimum sextum vixi haereticum » (cf. The Responsi Sckolarum of the English
College, Rome, ed. A. Kcnoy, TI. Londra 1963, p. 460).
Perduti i genitori nel 1638, Lewis decise di abbracciare lo stato ecclesiastico, per cui,
lasciata l'Inghilterra il 22 ag. di quell'anno, con l'aiuto del p. Carlo Gwynne {alias Brown). giunse fl
Roma il 2 nov. per essere ammesso al Collegio inglese, sotto lo pseudonimo di Charles Baker.
Ordinato sacerdote il 20 lugl. 1642, passò successivameme nella Compagnia di Gesù, dove venne
accolto il 19 ag. 1645. Rimpatriato l'anno seguente, prese a svolgere attività missionaria nella sua
contea natale di Monmouth, ma nel 1647 fu richiamato a Roma dal generale del suo Ordine, che gli
affidò la cura spirituale del Collegio inglese. Desideroso tuttavia di ritornare alle missioni del suo
infelice paese, Lewis ne richiese insistentemente l'autorizzazione ai suoi superiori, che non ebbero
animo di rifiutargliela. Rimpatriò quindi nuovamente nel 1648, andandosi a stabilire ancora nel
Monmouthshire, dove per oltre trenta anni svolse una infaticabile opera di apostolato, dedicando le
sue maggiori cure ed attenzioni agli indigenti ed ai bisognosi, che soccorreva amorevolmente in
tutte le maniere, tanto da meritare il titolo di « padre dei poveri ».
Denunciato da due coniugi apostati, il Lewis venne catturato nella parrocchia di S. Michele
a Llantarnam, nella contea di Monmouth, mentre si apprestava a celebrare la S. Messa all'alba del
17 nov.1678, Condotto a Lanfoist, fu mandato da quei giudici ad Abergavenny, dove subì un primo
intcrrogatorio; quindi venne fatto rinchiudere nelle prigioni di Monmouth, dove rimase sino al 13
genn.1679, allorché fu trasferito in quelle di Usk. Il 28 marzo fu ricondotto a Monmouth per esservi
processato sotto la solita imputazione di essere un prete cattolico, ordinato sul continente e ritornato
in patria ad esercitare le funzioni del suo ministero contro le leggi emanate dalla regina Elisabetta e
sempre in vigore.
Condannato a morte per alto tradimento, Lewis vide la sua esecuzione rinviata per ordine del
re, per cut fu nuovamente rinchiuso nelle prigioni di Usk. Nel magg. seguente venne portato a
Londra per essere interrogato dal consiglio privato, che, pur riconoscendolo innocente, lo rinviò nel
carcere Usk, dove rimase per oltre tre mesi, con grande profitto dei cattolici del luogo, che avevano
il permesso di visitarlo. Prima di essere impiccato il 27 ag. 1679 in Usk, Lewis potè rivolgere un
lungo discorso alla folla riunita intorno al patibolo, che ne rimase profondamente impressionata.
23
Innalzato da Pio XI all'onore degli altari il 15 dic. 1929 (cf. AAS, XX11 [1950], p. 18, n.
CXXXIV1. il beato Lewis viene commemorato il 27 ag.
Una descrizione esatta del suo arresto e delle successive vicende a cui andò incontro (A irne
narrative of the impmonrnent and trial of Air. Lcwit), redatta dallo stesso martire durante la sua
reclusione, si può leggere, unitamente al testo del suo ultimo discorso, in H, Folev.
Dal Comune di pià martiri o dei pastori con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
Prego Dio che nel cielo possiamo finalmente godere di una eterna amicizia
R. Io so, secondo la mia ardente attesa e speranza che in nulla rimarrò confuso; ho
anzi piena fiducia che, come sempre, anche ora * Cristo sarà glorificato nel mio
corpo, sia che io viva sia che io muoia.
V. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
R. Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
ORAZIONE
28
1 dicembre
Domenicani: 1 dicembre
Martirologio: 30 novembre
Giovanni Garbella nacque a Mosso Santa Maria, nei pressi di Vercelli in Piemonte, nel 1205
circa. Conseguì brillantemente la laurea in diritto romano e canonico a Parigi, ove insegnò, prima di
far ritorno a Vercelli, sempre come insegnante. Entrò nell’Ordine dei Frati Predicatori nel 1229,
assumendo il nome di Giovanni da Vercelli, conquistato dalla persuasiva eloquenza del Beato
Giordano di Sassonia, successore di San Domenico. Ricevette la sua formazione religiosa nel
convento di Bologna, ove sulla tomba del glorioso patriarca attinse un indomabile zelo ed una
robusta santità, che fecero di lui una delle più belle e caratteristiche figure di domenicano. La
prudenza e la fermezza, l’energia e la più amabile moderazione, l’amore ardentissimo di Dio e delle
anime, fecero sì che riuscisse ad adattarsi mirabilmente alle più delicate e difficili mansioni, dentro
e fuori dell’Ordine.
Fondò un convento in Vercelli, del quale fu priore. Papa Innocenzo IV ed i suoi successori
nutrirono in lui illimitata fiducia e sin nella più tarda età gli affidarono importantissimi e spinosi
incarichi. Fu Ambasciatore a Venezia, Genova, Pisa, Firenze, Bologna. In quest’ultima città fu
anche priore del convento domenicano. Legato Pontificio alle corti di Francia e Castiglia, fu
consigliere di Papa Clemente IV. Intraprese una grande opera di pacificazione tra le repubbliche
italiane ed i sovrani europei e fu uno dei più attivi organizzatori della Crociata. Non gli mancò
molto per essere chiamato ad ascendere al soglio pontificio, tanta era la stima di cui godeva
universalmente.
Nel 1264 Giovanni fu eletto sesto maestro generale dell’Ordine dei Predicatori, ufficio in cui
si distinse per diciannove anni, mantenendolo nel suo splendore e consolidando l’opera dei suoi
predecessori. In questa veste provvide alla decorosa sistemazione della tomba di San Domenico.
Visitò continuamente le più lontane Provincie ed i suoi interminabili viaggi a piedi sono infatti
rimasti leggendari. Giovanni era abbastanza piccolo di statura, infatti nella sua prima lettera ai
confratelli si descrisse come un “povero ometto”, ma pieno di energia, instancabile nelle sue visite e
nelle riforme dei monasteri domenicani d’Europa. Durante i suoi viaggi rispettò comenque sempre
29
tutti i digiuni prescritti dalla Chiesa e dal suo ordine. Monumento imperituro della sua sapienza
sono le 21 Lettere encicliche conservate negli Atti dei Capitoli Generali.
Quando fu eletto papa nel 1271, il Beato Gregorio X incaricò Giovanni ed i suoi frati di farsi
portatori di pace fra gli stati italiani in conflitto fra loro. Tre anni dopo gli fu commissionato uno
schema per il secondo concilio di Lione, in cui conobbe Giovanni d’Ascoli, successore di San
Bonaventura quale ministro generale dei francescani e poi papa con il nome di Nicola IV. Insieme
scrissero una lettera indirizzata all’intero ordine dei frati. Successivamente la Santa Sede li inviò
entrambi quali mediatori tra i sovrani Filippo III di Francia ed Alfonso X di Castiglia, occasione che
permise a Giovanni di rivelarsi valido negoziatore e fautore di pace.
Da alcuni anni era ormai cessata l’Inquisizione seguita alla campagna di Simone di Montfort
contro i catari. Papa Gregorio X scelse allora nuovamente Giovanni da Vercelli per curare la
divulgazione del culto del nome di Gesù, soluzione che il concilio di Lione aveva individuato onde
riparare all’eresia degli albigesi. In tal senso Giovanni indirizzò tutti i priori provinciali e si decise
di erigere un altare dedicato al Santo Nome di Gesù in ogni chiesa domenicana e di attivarsi contro
la blasfemia e la profanità. Nel 1278 inviò un ispettore in Inghilterra, ove alcuni frati stavano
attaccando gli insegnamenti di San Tommaso d’Aquino, che era stato suo amico, e due anni dopo si
recò personalmente ad Oxford per tenere un capito generale e difenderne la dottrina.
Più volte Giovanni rifiutò l’episcopato ed una curia a Roma, ma avrebbe desiderato
rinunciare anche al generalato del suo ordine. Fu però indotto a mantenere tale incarico sino alla
morte. Spirò il 30 novembre 1283 nel convento di Montpellier, in Francia. Le sue reliquie, deposte
nella locale chiesa dei domenicani, furono disperse dagli eretici nel XVI secolo. Il Sommo
Pontefice San Pio X il 7 settembre 1903 confermò il culto tributato “ab immemorabili” al Beato
Giovanni da Vercelli. Ancora oggi è commemorato dal Martyrologium Romanum nell’anniversario
della morte, mentre l’Ordine dei Predicatori lo festeggia al 1° dicembre.
Dal comune dei pastori o dei santi: religiosi con salmodia del giorno dal salterio.
ORAZIONE
O Dio, che hai voluto che il Beato Giovanni, nel promuovere l’Ordine dei
Predicatori, risplendesse di meravigliosa prudenza e fortezza: concedi che, per suo
intervento, la tua famiglia sia sempre e in ogni luogo governata da una salutare
disciplina. Per il nostro Signore.
Oppure:
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2 dicembre
Girolama Maria Agnese nasce a Barcellona (Spagna) il 1° settembre 1592, ultima di quattro
figli, da don Cristoforo Astorch e donna Caterina. Orfana di madre a 10 mesi, fu affidata ad una
nutrice e all'età di cinque anni a seguito della morte del padre venne affidata a dei parenti che la
fecero studiare, imparò quindi a leggere e a scrivere e i lavori femminili. Era molto appassionata di
libri, in particolari quelli in latino.
All'età di undici anni entrò in clausura dove ricevette il nome di Maria Angela. Erano già
clarisse cappuccine insieme alla fondatrice Angela Serafina Prat, la sorella Isabella.
La maestra suor Vittoria era molto rigida e di modi poco affabili, vietò a Maria Angela di leggere i
libri latini.
Dopo un'attesa cinque anni come aspirante, dovuta alla giovane età, venne ammessa al
noviziato il 7 settembre 1608, dopo un anno fece la professione solenne.
Nel 1614 insieme ad altre cinque suore fu inviata a Saragozza per fondare un nuovo
convento, Maria Angela ebbe l'incarico di maestre delle novizie.
Nel 1627 divenne badessa, proprio in questo periodo papa Urbano VIII approvò le
costituzioni delle cappuccine spagnole. Anche se badessa era sempre pronta a fare qualsiasi lavoro,
non si risparmiava e si vedeva spesso in cucina, in lavanderia, nell'orto e ad assistere le ammalate in
infermeria. Rimase sempre responsabile delle cerimonie. Le elemosine del monastero erano sempre
divise con i poveri ed in occasione dell'arrivo in città dei profughi della Catalogna distribuì loro i
vestiti delle novizie.
Il suo desiderio di propagare l'ordine la portò nel 1645 a lasciare Saragozza per
intraprendere insieme ad cinque sorelle, la nuova avventura di fondare un altro monastero, questa
volta a Murcia. In questo nuovo monastero Maria Angela riuscì ad introdurre la pratica della
eucaristia quotidiana per le monache.
Non mancarono ovviamente i momenti di sconforto, in particolare durante la peste, nel
1648, anche se le suore furono preservate, e durante le periodiche inondazioni che il fiume Segura
provocò a Murcia. Le suore durante l'evento del 1651 dovettero abbandonare il monastero per circa
un anno, in attesa dei restauri dimorarono in una residenza estiva dei padri gesuiti.
Rimase badessa fino al compimento del settantesimo anno di età, quindi essendo inabile ai lavori
poté dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa.
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Le sue esperienze mistiche sono riferite negli scritti che ella lasciò per ordine dei suoi
confessori. Il 2 dicembre 1665 a 75 anni cantando il Pange lingua terminava il suo viaggio terreno.
Il suo corpo incorrotto, profanato durante la guerra civile spagnola, è conservato nel monastero di
Murcia. Giovanni Paolo II ha dichiarato Maria Angela Astorch beata il 23 maggio 1982.
Dal Comune delle vergini con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
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mi paiono cose molto lievi a paragone delle mie. Tuttavia non posso avvallare
mancanze o incurie, per non far torto alla verità.
Le scuso; però, poiché devo prendermi cura di loro, faccio in modo che si
correggano e si adoperino per dar buon esempio sia esteriormente che, soprattutto,
davanti a Dio, adempiendo ai propri obblighi secondo le esigenze del nostro stato e
l’esercizio delle virtù.
Mi esercito nel morire a me stessa, offrendo in sacrificio la mia vita al mio
divino Signore. Né mi mancano le occasioni, giacché cucino me stessa in cibo
gustoso per tutte. Non però con facilità tale che, in diverse occasioni, la natura non
senta molte difficoltà desiderando riposo, di evitare questa croce e di non dover
morire tante volte, nei sacrifici che la mia volontà si vede obbligata a fare.
Lascio passare le cose di poca importanza e non mi preoccupo se si fa il
contrario di quanto sento e desidero. L’adattarmi a ogni indole è, senza dubbio, opera
della Grazia.
Porto tutte nel mio cuore. Le amo tanto che, se fosse necessario, darei la mia
vita per ciascuna delle mie figlie; anzi, per la loro santità, la darei pubblicamente sul
patibolo più infamante.
R. Vi esorto a offrire i vostri corpi * come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio.
V. Chi ha il dono di esortare, esorti; chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo
faccia con diligenza.
R. Come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio.
ORAZIONE
O Dio, ricco verso quelli che t’invocano, che alla beata Maria Angela Astorch,
vergine, hai dato la grazia di penetrare ineffabilmente i segreti delle tue ricchezze nel
quotidiano ufficio di lode, concedi a noi, per sua intercessione, di dirigere verso di te
le nostre azioni, perché siano a lode della tua gloria in Cristo Gesù Figlio tuo. Egli è
Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
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2 dicembre
Nacque a Wysoczka in Polonia l’8 gennaio 1694 nel distretto di Poznan. Crebbe in ambiente
sano e pio e terminati gli studi nelle scuole della sua città, abbracciò la vita militare divenendo
ufficiale-alfiere, ma durò poco; dopo alcuni anni, ubbidendo alla chiamata di Dio che sentiva dentro
di sé, a 21 anni si recò a Cracovia ed entrò nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e il 4 aprile
1715, ricevé l’abito da chierico cambiando il nome in Raffaele.
Terminato il noviziatofece la professione solenne e nel dicembre 1717 ricevette
l’ordinazione presbiterale. Fu frate conventuale di rara spiritualità. Svolse il suo apostolato in vari
conventi dell’Ordine, specialmente a Cracovia e Lagiewniki, circondato da fama di santità.
Nella vita religiosa conciliò esattamente l’eroico esercizio della carità verso Dio e delle altre
virtù, specialmente della povertà e dell’umiltà, con il ministero sacerdotale della predicazione della
parola di Dio e delle sacre celebrazioni, come pure con le opere di carità verso il prossimo,
specialmente verso i poveri e gli ammalati che costantemente soccorreva secondo lo spirito della
misericordia evangelica.
Morì a Lagiewniki nel 1741. Il 29 agosto 1772 fu introdotta la causa di beatificazione dalla
diocesi di Varsavia e si ebbe il decreto sulle virtù il 13 maggio 1949. Grazie ad un miracolo
attribuito alla sua intercessione ed approvato il 22 gennaio 1991, è stato beatificato da Giovanni
Paolo II il 9 giugno 1991 a Varsavia, durante il suo viaggio apostolico in Polonia.
Dal Comune dei santi: religiosi, con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
ORAZIONE
36
3 dicembre
37
corso tra Veneziani e Turchi e così si recarono a Roma dove ricevettero l’approvazione del papa
Paolo III e furono ordinati sacerdoti.
Di lì a poco sarebbero iniziate le lunghe peregrinazioni del Santo. Francesco ogni tanto
sognava di portare sulle spalle un indiano molto pesante e quando l’ambasciatore di Lisbona chiese
alla Compagnia di Gesù di inviare due sacerdoti nelle Indie per l’evangelizzazione di quelle terre,
accadde che Francesco, anche se non era stato scelto, dovette partire per l’ammalarsi di uno dei due
sacerdoti che erano stati prescelti.
Il 7 aprile 1541 Francesco partì da Lisbona e dopo un lungo viaggio durato tredici mesi
giunse (era il 6 maggio 1542) a Goa, la capitale dell’Oriente portoghese conquistata trent’anni
prima. Francesco come sua abitazione scelse l’ospedale cittadino dormendo in un letto posto
accanto a quello del malato più grave. Di giorno si muoveva per la città chiamando a sé i bambini e
gli schiavi per educarli al cristianesimo, visitava i malati e i prigionieri guadagnandosi il nome di
“padre buono”. Si occupò anche dei Pàravi, i pescatori di perle, che, vessati dai musulmani, erano
passati con i Portoghesi ed erano diventati cristiani, senza però un’adeguata educazione in quanto
non si conosceva bene la loro lingua.
Francesco, insieme a due compagni di quell’etnia che gli facevano da interpreti, partì verso i
luoghi dei Pàravi e con grande fatica tradusse le più importanti preghiere e le verità della fede. Per
due anni girò nei villaggi battezzando, insegnando le preghiere e fondando chiese e scuole.
Dopo Goa, si mosse in Malacca e nell’arcipelago delle Molucche. In questo periodo
conobbe un giapponese che era scappato dalla sua patria per un delitto commesso. Questi, di nome
Hanjiro, volle convertirsi e provocò nel santo un forte interesse nei confronti del popolo giapponese.
Così, nel 1549 giunse in Giappone. All’inizio vi fu una buona accoglienza, poi, a causa dei bonzi
venne introdotta la pena di morte per chi si battezzava. Il Giappone avrebbe comunque lasciato un
ottima impressione a Francesco che se ne andò lasciando una comunità di già 1500 fedeli.
Ora gli si prospettava la Cina che in Giappone gli era stata presentata come una terra assai
più colta e raffinata. Per Francesco sarebbe stato l’ultimo viaggio, infatti giunto in Cina si ammalò
di febbre e morì il 3 dicembre 1552. Il suo corpo fu trasportato a Goa dove ancora oggi si trova.
Francesco, oltre ad aver percorso migliaia di chilometri per terra e per mare, si stima che
abbia battezzato circa 30.000 persone. Il suo apostolato si basava sull’alternare l’esposizione della
dottrina alla preghiera, infatti si preoccupava molto della traduzione delle preghiere di base che
trasmettevano le verità di fede, come il semplice segno della croce con il quale si trasmetteva l’idea
della Trinità.
Un gigante dell’evangelizzazione. Un faro per i nostri tempi di secolarizzazione, apostasia e
di evidente tradimento da parte di tanti cristiani che hanno paura di testimoniare Cristo, Via, Verità
e Vita. San Francesco Saverio insegna che ogni sacrificio deve essere fatto per testimoniare la verità
di Cristo, e che, senza questa Verità, la vita di ogni uomo rimane impietosamente povera.
Paolo V beatificò il Saverio il 21-10-1619 e Gregorio XV lo canonizzò il 12-3-1622.
Dal Comune dei pastori con salmodia del giorno dal salterio.
Invitatorio
Gesuiti e Comboniani:
Ant. Celebriamo la festa di San Francesco [Saverio]:
venite, adoriamo Gesù Cristo, luce delle genti.
INNO
38
Si può usare il seguente inno dal Proprio dei Gesuiti e dei Comboniani
Grati, ti supplichiamo:
riserbaci i tuoi doni,
che dalla croce, prodigo,
porgesti ad ogni popolo.
Ti preghiamo, Signore,
rendici lor compagni,
tu che da tutti i popoli
donasti al Padre un regno.
Cristo, re di pace,
a te sia gloria e al Padre
con lo Spirito Santo
per i secoli eterni. Amen.
SALMO 18,1-7
SALMO 96
41
Benedite, popoli, il nostro Dio, *
fate risuonare la sua lode;
è lui che salvò la nostra vita *
e non lasciò vacillare i nostri passi
PRIMA LETTURA
42
Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra
tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti
con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si diffondesse il dono
dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio.
Allora Pietro disse: “ Forse che si può proibire che siano battezzati con
l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?”. E ordinò che
fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo.
SECONDA LETTURA
Abbiamo percorso i villaggi dei neofiti, che pochi anni fa avevano ricevuto i
sacramenti cristiani. Questa zona non è abitata dai Portoghesi, perché estremamente
sterile e povera, e i cristiani indigeni, privi di sacerdoti, non sanno nient'altro se non
che sono cristiani. non c'è nessuno che celebri le sacre funzioni, nessuno che insegni
loro il Credo, il Padre nostro, l'Ave ed i Comandamenti della legge divina.
Da quando dunque arrivai qui non mi sono fermato un istante; percorro con
assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l'hanno ancora
ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice,
non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né
dire l'Ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato
qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei
cieli.
Perciò, non potendo senza empietà respingere una domanda così giusta, a
cominciare dalla confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnavo
loro il Simbolo apostolico, il Padre nostro e l'Ave Maria. Mi sono accorto che sono
molti intelligenti e, se ci fosse qualcuno a istruirli nella legge cristiana, non dubito
che diventerebbero ottimi cristiani.
Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca
chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università
d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un
43
pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè,
quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato
all'inferno!
Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di
questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti!
In verità moltissimi di costoro, turbati questo pensiero, dandosi alla
meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al
loro cuore, e, messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero
totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del
loro cuore: «Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?» (At 9, 6 volg.). Mandami
dove vuoi, magari anche in India.
R. La messe è molta, gli operai sono pochi; * pregate il padrone della messe, perché
mandi operai nel suo campo.
V. Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni
sino agli estremi confini della terra.
R. Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nel suo campo.
INNO Te Deum
Lodi mattutine
INNO
Signore, ti preghiamo:
volgiti a noi benigno,
i nostri cuori illumina
della luce divina.
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Resta con noi, Signore,
allontana le tenebre,
purifica ogni colpa,
a tutti dona pace.
1 ant. Dio ci ha chiamati alla vera fede per mezzo del vangelo,
perché possediamo la gloria del Signor nostro Gesù Cristo.
Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto
nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza. Vi ho trasmesso
dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri
peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le
Scritture.
RESPONSORIO BREVE
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Ant. al Ben. Sia benedetto il Signore,
perché ha redento tutti i popoli,
chiamandoli dalle tenebre alla sua splendida luce.
INVOCAZIONI
Celebrando con gioia la festa di san Francesco Saverio, invochiamo con fiducia Dio,
stupendo nei suoi santi, e diciamo:
Ascolta, Signore, la nostra preghiera.
O Dio, che per mezzo degli apostoli del tuo Figlio hai aperto agli uomini di ogni
nazione e razza la via della verità,
— fa’ che tutti conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo
tuo Figlio.
O Dio, che hai impresso nel cuore di san Francesco Saverio un profondo sentimento
della tua paterna misericordia,
— concedi anche a noi di credere fermamente in te e sperare con amore di figli.
O Dio, che, per la propagazione del vangelo del tuo Figlio, hai ardentemente
infiammata l’anima di san Francesco Saverio,
— concedi anche a noi un ardore inestinguibile di zelo apostolico.
O Dio, che hai concesso a san Francesco un’eroica pazienza nel catechizzare le genti,
— rendi anche noi idonei ministri della tua parola.
O Dio, che nella tua misericordia hai disposto che il sangue del tuo Figlio fosse
versato per tutto il genere umano,
— concedici lo spirito missionario che infiammò san Francesco Saverio per la
salvezza delle anime.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che hai chiamato alla fede molti popoli con la predicazione di san
Francesco Saverio, concedi che il cuore dei tuoi fedeli arda dello stesso fervore
missionario e che la santa Chiesa si allieti su tutta la terra di nuovi figli. Per il nostro
Signore.
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Ora media
Terza
Sesta
Nona
Soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio; egli
infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base
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alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata
data in Cristo Gesù fin dall'eternità.
Vespri
SALMO 112
SALMO 83
48
Quanto sono amabili le tue dimore, *
Signore degli eserciti!
L'anima mia languisce *
e brama gli atri del Signore.
CANTICO Ef 1, 3-10
In lui ci ha scelti *
prima della creazione del mondo,
per trovarci, al suo cospetto, *
santi e immacolati nell'amore.
Ci ha predestinati *
a essere suoi figli adottivi ,
per opera di Gesù Cristo, *
secondo il beneplacito del suo volere.
A lode e gloria
della sua grazia, *
che ci ha dato
nel suo Figlio diletto.
Fratelli, quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è
giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho
terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia
che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma
anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione.
INTERCESSIONI
Tu che per mezzo di Gesù Cristo hai voluto dissipare le tenebre dell’ignoranza e
dell’errore,
— fa’ che la fedele testimonianza della tua Chiesa risplenda in tutto il mondo.
Tu che hai voluto la tua parola annunciata sino ai confini del mondo,
— fa’ che essa diventi in noi fuoco e luce indefettibile.
Tu che ami tutti gli uomini e non permetti che alcuno perisca,
— conservaci sempre pronti a intraprendere qualsiasi missione apostolica.
Tu che per il ministero missionario di san Francesco Saverio, hai rigenerato nel
battesimo numerosi figli,
— rendici idonei ministri dei tuoi Sacramenti.
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Tu che per mezzo degli apostoli del vangelo hai indicato la via della riconciliazione,
— dona a tutti i popoli la ferma volontà di costruire la pace sul fondamento della
giustizia.
Tu che hai accolto gli annunciatori della Parola al tuo banchetto nuziale,
— accogli i nostri confratelli e tutti i fedeli defunti nella luce del tuo volto.
Padre nostro.
52
4 dicembre
La biografia di questo santo, ricavata dalle sue stesse opere e da altre fonti, è notevolmente
sicura. Giovanni nacque in Siria a Damasco (da cui Damasceno) nella seconda metà del secolo VII
(intorno al 675) in una famiglia cristiana. Suo padre, Sargún Ibn Mansur, occupava una carica molto
importante alla corte ommayade, quella di ministro delle finanze. Giovanni ricevette un’ottima
formazione letteraria e filosofica. Colto e brillante, divenne consigliere e amico del Califfo cioè il
prefetto arabo che guidava la regione.
La frequentazione del monaco siciliano Cosmo, portato schiavo a Damasco, determinò in lui
il desiderio di ritirarsi a vita solitaria, in compagnia del fratello, futuro vescovo di Maiouna. Andò
dunque a vivere nella «laura» di San Saba, piccolo villaggio di monaci a Gerusalemme, dove
ricevette l'ordinazione sacerdotale dal patriarca Giovanni (706-735), probabilmente prima del 726, e
in virtù della sua profonda preparazione teologica, ebbe l'incarico di predicatore titolare nella
basilica del Santo Sepolcro.
Scrisse molte opere di dottrina teologica, in particolare contro gli iconoclasti. Tra le sue
opere accanto agli inni e ai trattati teologici dedicati alla Madonna, è autore del compendio di
teologia «Fonte della conoscenza» e de i «Tre discorsi in favore delle sacre immagini». La sua
vastissima produzione liturgica, omiletica, dogmatica, ne fa un valoroso continuatore della grande
patristica. San Giovanni Damasceno è il grande teologo della divina incarnazione del Verbo e
difensore del culto delle sante immagini contro le pretese degli iconoclasti. Nelle dottrine
iconoclaste san Giovanni ravvisa un grave oscuramento della fede nell’incarnazione. Infatti, poiché
il Dio invisibile si è rivestito di carne ed è apparso, non esitiamo a rappresentare le sembianze di
colui che si è manifestato.
Teologo illuminato e coltissimo, si meritò il titolo di «San Tommaso dell'Oriente».
È incerta la data della sua morte, avvenuta a san Saba, prima del 754 (forse 749), data di
inizio del Concilio di Hieria. Il suo culto è sempre stato vivissimo. Nel 1890 papa Leone XIII lo ha
proclamato dottore della Chiesa.
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Dal Comune dei dottori della Chiesa con salmodia del giorno dal salterio
SECONDA LETTURA
Tu, Signore, mi hai tratto dai fianchi di mio padre; tu mi hai formato nel
grembo di mia madre; tu mi hai portato alla luce, nudo bambino, perché le leggi della
nostra natura obbediscono costantemente ai tuoi precetti. Tu hai preparato con la
benedizione dello Spirito Santo la mia creazione e la mia esistenza, non secondo
volontà d'uomo o desiderio della carne, ma secondo la tua ineffabile grazia. Hai
preparato la mia nascita con una preparazione che trascende le leggi della nostra
natura, mi hai tratto alla luce adottandomi come figlio, mi hai iscritto fra i discepoli
della tua Chiesa santa e immacolata.
Tu mi hai nutrito di latte spirituale, del latte delle tue divine parole. mi hai
sostentato con il solido cibo del Corpo di Gesù Cristo nostro Dio, Unigenito tuo
santissimo, e mi hai inebriato con il calice divino del suo Sangue vivificante, che egli
ha effuso per la salvezza di tutto il mondo.
Tutto questo, Signore, perché ci hai amati e hai scelto come vittima, invece
nostra, il tuo diletto Figlio unigenito per la nostra redenzione, ed egli accettò
spontaneamente; senza resistere, anzi come uno che era destinato al sacrificio, quale
agnello innocente si avviò alla morte da se stesso, perché, essendo Dio, si fece uomo
e si sottomise, di propria volontà, facendosi «obbediente fino alla morte e alla morte
di croce» (Fil 2, 8).
E così, o Cristo mio Dio, tu hai umiliato te stesso per prendere sulle tue spalle
me, pecorella smarrita, e farmi pascolare in pascolo verdeggiante e nutrirmi con le
acque della retta dottrina per mezzo dei tuoi pastori, i quali, nutriti da te, han poi
potuto pascere il tuo gregge eletto e nobile.
Ora, o Signore, tu mi hai chiamato per mezzo del tuo sacerdote a servire i tuoi
discepoli. non so con quale disegno tu abbia fatto questo; tu solo lo sai. Tuttavia,
Signore, alleggerisci il pesante fardello dei miei peccati, con i quali ho gravemente
mancato; monda la mia mente e il mio cuore; guidami per la retta viva come una
lampada luminosa; dammi una parola franca quando apro la bocca; donami una
lingua chiara e spedita per mezzo della lingua di fuoco del tuo Spirito e la tua
presenza sempre mi assista.
Pascimi, o Signore, e pasci tu con me gli altri, perché il mio cuore non mi
pieghi né a destra né a sinistra, ma il tuo Spirito buono mi indirizzi sulla retta via
perché le mie azioni siano secondo la tua volontà e lo siano veramente fino all'ultimo.
54
Tu poi, o nobile vertice di perfetta purità, o nobilissima assemblea della
Chiesa, che attendi aiuto da Dio; tu in cui abita Dio, accogli da noi la dottrina della
fede immune da errore; con essa si rafforzi la Chiesa, come ci fu trasmesso dai Padri.
V. Un insegnamento fedele era sulla sua bocca, non c'era falsità sulle sue labbra;
* con pace e rettitudine ha camminato davanti al Signore.
R. La mano del Signore lo sosteneva, il suo braccio gli dava vigore;
V. con pace e rettitudine ha camminato davanti al Signore.
ORAZIONE
Signore, che in san Giovanni Damasceno hai dato alla tua Chiesa un insigne
maestro della sapienza dei padri, fa' che la vera fede, che egli insegnò con gli scritti e
con la vita, sia sempre nostra forza e nostra luce. Per il nostro Signore.
58
Lo stesso giorno, 4 dicembre
Martirologio: 4 dicembre
Ordinariato militare: Memoria
Per la Marina Militare: Solennità
Per l’Arma di Artiglieria e l’Arma del Genio: Festa
Esistono molte redazioni in greco e traduzioni latine della “passio” di Barbara; si tratta,
però, di narrazioni leggendarie, il cui valore storico è molto scarso, anche perché vi si riscontrano
non poche divergenze. In alcune passiones, infatti, il suo martirio è posto sotto l’impero di
Massimino il Trace (235 – 238) o di Massimiano (286 – 305), in altre, invece, sotto quello di
Massimino Daia (308 –313). Né maggiore concordanza esiste sul luogo di origine, poiché si parla di
Antiochia, di Nicomedia e, infine, di una località denominata “Heliopolis”, distante 12 miglia da
Euchaita, città della Paflagonia.
Nelle traduzioni latine, la questione si complica maggiormente, perché per alcune di esse
Barbara sarebbe vissuta nella Toscana, e, infatti, nel Martirologio di Adone si legge: “In Tuscia
natale sanctae Barbarae virginis et martyris sub Maximiano imperatore”. Ci si trova, quindi, di
fronte al caso di una martire il cui culto fino all’antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in
Occidente; invece, per quanto riguarda le notizie biografiche, si possiedono scarsissimi elementi: il
nome, l’origine orientale, con ogni verisimiglianza l’Egitto, e il martirio. La leggenda, poi, ha
arricchito con particolari fantastici, a volte anche irreali, la vita della martire: si tratta di particolari
che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull’iconografia.
Il padre di Barbara, Dioscuro, fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia
richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di
consacrarsi a Dio. Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il
sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d’acqua vicino alla torre e vi si immerse tre
volte dicendo: “Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Per ordine
del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della S.ma
Trinità.
59
Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di
ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire. Nuovamente
catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente.
Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i
tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla
sanguinare in ogni parte. Durante la notte, continua il racconto seguendo uno schema comune alle
leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il
prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre
piastre di ferro rovente. Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti
cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero
quasi subito. Barbara, portata ignuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante
l’ordine di flagellazione. Finalmente, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso
che eseguì la sentenza. Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò completamente il crudele
padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri.
L’imperatore Giustino, nel sec. VI, avrebbe trasferito le reliquie della martire dall’Egitto a
Costantinopoli; qualche secolo più tardi i veneziani le trasferirono nella loro città e di qui furono
recate nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Torcello (1009). Il culto della martire fu assai
diffuso in Italia, probabilmente importato durante il periodo dell’occupazione bizantina nel sec. VI,
e si sviluppò poi durante le Crociate. Se ne trovano tracce in Toscana, in Umbria, nella Sabina. A
Roma, poi, secondo la testimonianza di Giovanni Diacono (Vita, IV,89), s. Gregorio Magno,
quando ancora era monaco, amava recarsi a pregare nell’oratorio di S. Barbara. Il testo, però, ha
valore solo per il IX sec.; comunque, è certo che in questo secolo erano stati costruiti oratori in
onore di B., dei quali fa testimonianza il Liber Pontificalis (ed. L. Duchesne, II, pp. 50, 116) nelle
biografie di Stefano IV (816-17) e Leone IV (847-55).
Barbara è particolarmente invocata contro la morte improvvisa (allusione a quella del padre,
secondo la leggenda); in seguito la sua protezione fu estesa a tutte le persone che erano esposte nel
loro lavoro al pericolo di morte istantanea, come gli artificieri, gli artiglieri, i carpentieri, i minatori;
oggi è venerata anche come protettrice dei vigili del fuoco. Nelle navi da guerra il deposito delle
munizioni è denominato “Santa Barbara”. La festa di Barbara è celebrata il 4 dicembre.
Papa Pio XII, con Breve Pontificio del 4 dicembre 1951, ha proclamato Santa Barbara
celeste Patrona degli Artiglieri, dei Genieri, dei Marinai e dei Vigili del Fuoco, che trovano
nell’inclita martire un’ausiliatrice preziosa che protegge dai pericoli del fuoco.
È patrona principale della città e della diocesi di Rieti. È venerata nella provincia di
Caltanissetta
A Pisa troviamo in via dei Mille una chiesa dedicata, tra l’altro, a santa Barbara. La chiesa è
documentata dal 780, ma risale nelle forme attuali al 1124, quando fu intitolata alle sante Eufrasia e
Barbara dal cardinale Cristofano Malcondime (è nota anche come chiesa di sant’Eufrasia).
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Santa Eufrasia, vergine e martire di Nocomedia (celebrata dai sinassari bizantini il 19
gennaio e riportata dal Martirologio romano al 13 marzo) è un’altra una cristiana molto pia, vissuta
all’inizio del secolo IV; sotto la persecuzione di Massimiano: fu catturata e al suo rifiuto di
sacrificare agli dei fu consegnata ad un "barbaro" perché ne abusasse. Preferendo perdere la propria
vita piuttosto che la sua castità, ella mise in atto, quello che gli agiografi chiamano "lo stratagemma
della vergine" e che è comune ad alcune altre sante morte allo stesso modo. Per sviare l’aggressore
dal suo proposito Eufrasia disse di conoscere un unguento capace di rendere inviolabile il corpo di
chiunque se ne spalmasse e quindi per rafforzare il suo dire propose al "barbaro" di provarlo su se
stessa.
Ingannato dalle sue parole egli con la spada la colpì violentemente al capo decapitandola.
L’episodio posto al tempo del vescovo s. Autimio è riferito nella "Storia Ecclesiastica" di Niceforo
Callisto.
La chiesa delle sante Eufrasia e Barbara di Pisa, dopo essere stata sotto il patronato della
famiglia Griffi e poi della famiglia San Casciani, dal 1691 passò sotto la giurisdizione della
conventuale dell’Ordine di Santo Stefano. I restauri principali risalgono all'inizio del XVII secolo e
al 1717, quando l’edificio passò ai Teresiani Scalzi dell’Ordine Carmelitano, religiosi esperti nelle
vie dello Spirito, che spesso venivano richiesti dalla curia arcivescovile come confessori e direttori
spirituali. L'interno ad aula unica, inoltre, fu ristrutturato nel XVIII secolo. I lavori si conclusero nel
1730 e la chiesa fu riaperta al culto. I Frati teresiani vi rimasero fino alla soppressione napoleonica
(1810) per poi stabilirsi nel 1816 nell’antica Chiesa di san Torpè.
Nel 1810 l’edificio passò alla Compagnia delle Sacre Stimmate di San Francesco. Un nuovo
restauro venne eseguito nel 1888 per l'interesse di Raffaello Torrini, rettore dell'Università di Pisa.
Fino agli anni Sessanta del XX secolo, prima di essere sconsacrata, è stata occupata dai
Padri Salesiani, i quali gestivano anche un grande oratorio, frequentato da generazioni di ragazzi.
Nel 2011, durante dei lavori di restauro e recupero ad uso didattico ad opera dell'Università
di Pisa, è stata trovata, nei locali attualmente sul retro della chiesa, sotto l'abside, una camera ipogea
a forma di ferro di cavallo con un pozzo centrale e un bancone lungo le pareti con incisi i nomi dei
defunti, tutti del XVIII secolo. Attualmente è in uso all'Università di Pisa ed è sede di una delle sale
studio della biblioteca di Antichistica.
Dal Comune delle vergini o dei martiri con salmodia del giorno dal salterio.
Alcuni membri erano già cristiani prima delle persecuzioni; altri invece furono
introdotti da Cristo nella vera vita nel corso delle persecuzioni stesse. Tutti però
testimoniavano di fronte ai persecutori la loro fede in Cristo e invocavano il suo
nome.
Nel loro ardente desiderio della morte, provocavano i carnefici ad una sola
voce, come se tutti insieme — donne, fanciulli, uomini, bambini, persone di ogni
stato e condizione — corressero verso un bene offerto loro da qualcuno. Conviene
insistere su questo che non è un particolare indifferente, perché di fronte alla lotta o
alla sofferenza colui che vive lavorando duramente non si comporterà certo come chi
ha una vita comoda; la spada e la morte non saranno viste con gli stessi occhi da un
soldato e da un uomo di mondo.
Quanto ai martiri, niente frenò il loro ammirabile slancio, niente impedì loro di
raggiungere tutti la stessa vetta della scienza di Dio. Ma poiché una sola era la forza
che li aveva generati e plasmati, tutti hanno raggiunto il grado di supremo coraggio,
hanno stimato e amato il bene supremo al di là di quanto è possibile alla natura, al
punto da preferirlo alla loro stessa vita. Donne di teatro, uomini dissoluti, tutta una
folla di persone di questo genere, hanno accolto la parola — a tutti rivolta — della
salvezza e hanno cambiato vita, mettendosi in sintonia con il bene, e questo con la
stessa prontezza e facilità con cui avrebbero cambiato maschera.
Tra le schiere dei martiri sono entrati anche molti non battezzati, persone a cui
la Chiesa non aveva dato il battesimo di acqua e che lo Sposo della Chiesa ha voluto
battezzare direttamente. Per molti di loro ha fatto scendere la pioggia dal cielo o
scaturire l'acqua dalla terra e in questo modo li ha battezzati; ma la maggior parte li
ha rigenerati invisibilmente. Se infatti le membra della Chiesa — Paolo o chiunque
altro — compiono quello che manca a Cristo (cfr. Col 1,24), non è strano che quel
che manca alla Chiesa sia lo stesso suo capo a compierlo. Se infatti ci sono delle
membra che sembrano aiutare il capo, a maggior ragione il capo supplirà a ciò che
manca ai membri...
Il battesimo ci deve portare a questo: imitare la testimonianza di Cristo davanti
a Pilato, e il suo coraggio di fronte alla croce e alla morte. Ora questa imitazione può
avvenire sia mediante le figure e i segni sacramentali, sia nella concretezza dell'agire,
quando viene la nostra ora, testimoniando la fede fino a rischiar la vita. In ogni tempo
sono stati cercati dei rimedi ai mali del genere umano, ma solo la morte di Cristo ha
potuto ridarci la salute e la vera vita. Per questo, se si vuole nascere di una nuova
nascita, vivere una vita felice e avere la salute, non c'è altro da fare che valerci del
rimedio offerto da Cristo e, nella misura in cui questo è possibile all'uomo,
62
testimoniare la propria fede, sopportare la passione e accettare la morte. Questa è la
potenza della nuova legge, così nasce il cristiano.
RESPONSORIO
R. Grande lotta ha sostenuto la santa martire Barbara: passando per fuoco e per acqua
ha trovato la salvezza e ha conseguilo la corona di gloria; * fedele all'alleanza di Dio
sacrificò la sua vita.
V. Il Signore la rese torre incrollabile di virtù, dimora della pietà, abitacolo del
coraggio e della castità;
R. fedele all'alleanza di Dio sacrificò la sua vita.
ORAZIONE
Dio onnipotente, che hai dato a santa Barbara una invitta costanza tra i tormenti
del martirio, rendici sereni nelle prove della vita e liberaci da ogni male. Per il nostro
Signore.
63
5 dicembre
La fonte più importante per conoscere la vita di san Saba è la biografia composta da Cirillo
di Scitopoli, monaco della Grande Laura e suo contemporaneo. Saba nacque a Mutalasca presso
Cesarea di Cappadocia nel 439, suddito dell’Impero romano d’Oriente, in una famiglia di cristiani,
che da ragazzo lo mettono agli studi nel monastero di Flavianae, presso Cesarea di Cappadocia
(attuale Kayseri in Turchia). Ne esce con un’istruzione e con il desiderio di farsi monaco. Si scontra
con i suoi, che invece vorrebbero avviarlo alla carriera militare. E la spunta allontanandosi.
Giovanissimo quindi abbracciò la vita monastica dapprima nella sua città natale; poi, nel
457, a Gerusalemme, dove arriva pellegrino sui 18 anni, facendo sempre tappa e soggiorno tra i
monaci: quelli di vita comune, e anche gli anacoreti, nelle loro grotte o capanne. Visse per un certo
tempo nel cenobio di Passarione, poi in quello di Teoctisto.
Trova una guida decisiva nel monaco Eutimio detto “il grande”: ha convertito molti arabi
nomadi, è stato consigliere spirituale dell’imperatrice Eudossia (la moglie di Teodosio II) nella
prima metà del secolo. Con Eutimio, Saba condivide la vita eremitica nei luoghi meno accoglienti:
il deserto della Giordania, la regione del Mar Morto. Assiste poi fino all’ultimo questo suo maestro
(morto intorno al 473.
Dopo un viaggio in Egitto, nel 473 abbandonò il cenobio per la vita solitaria, e dal 478 visse
in una grotta nella valle del Cedron, a 16 chilometri a est di Betlemme sul fianco di Wadi en-Nar.
Qui passò alcuni anni in aspra solitudine, finché cominciarono ad arrivare i primi discepoli che via
via occuparono le grotte circostanti.
Si forma intorno a lui un’aggregazione monastica frequente in Palestina: la laura o lavra
(“cammino stretto”, in greco), che è un misto di solitudine e di comunità, dove i monaci vivono
isolati percinque giorni della settimana, e si riuniscono poi il sabato e la domenica per la
celebrazione eucaristica in comune. Si costituì così la grande laura.
Vivono sotto la guida di un superiore, e dal gennaio fino alla Domenica delle palme
sperimentano la solitudine totale in unaregione desertica.
64
Insieme a lui, nel vallone, i monaci raggiungono il numerodi 150, ma nuovi “villaggi”
nascono in altre partidella Palestina, imitando il suo, che prende il nome diGrande Laura. Nel 492,
Saba viene ordinato sacerdote, e il patriarca Elia di Gerusalemme lo nomina poi archimandrita, cioè
capo di tutti gli anacoreti di Palestina.
Ma non è un capo dolce, Saba. Non fa sconti sulla disciplina e non tutti lo amano: tant’è che
per qualche tempo lui si dovrà allontanare. E andrà a fondare un’altra laura a Gadara, presso il lago
di Tiberiade. Poi il patriarca lo richiama, perché i monaci si sono moltiplicati: c’è bisogno della sua
energia, per la disciplina e per la difesa della dottrina sulle due nature del Cristo, proclamatanel 451
dal concilio di Calcedonia, e contrastata dalla teologia “monofisita”, che nel Signore ammetteva una
sola natura. Scontro teologico, con la politica di mezzo: c’è frattura a Costantinopoli tra
l’imperatore Anastasio e il patriarca; e Saba accorre nella capitale, nel vano tentativo di riconciliarli.
Poi vi ritornerà altre volte. E l’ultima, nel 530 è per lui una fatica enorme: ha quasi
novant’anni. Ma affronta il viaggioper difendere i palestinesi da una dura tassazione punitiva. La
gente lo venera già da vivo come un santo.
E ancora da vivo gli si attribuisce un intervento miracoloso contro i danni di una durissima
siccità. Canonizzato da subito, dunque. E sempre ricordato anche dal grande monastero che porta
ilsuo nome: Mar Saba. È stato per lungo tempo centro di ascesi e di studio; ed esiste tuttora, dopo
avere attraversato tempi di fioritura e di decadenza, di saccheggi e di devastazioni. Saba morì nel
532 al Mar Saba, cioè nel monastero di san Saba, sorto anche per sua mano in una gola selvaggia
fra Gerusalemme e il Mar Morto. La struttura, tra le più antiche del suo genere al mondo ad esser
ancora abitate è occupata da monaci della Chiesa ortodossa orientale.
Alla sua morte, il 5 dicembre 532, Saba aveva fondato sette laure, otto monasteri e tre
ospizi. Aveva desiderato e scelto la solitudine per Dio solo; Dio invece lo volle padre di molti
monaci e sollecito difensore dei poveri e degli oppressi. Intraprese diversi viaggi a Costantinopoli
per far abolire una tassa che pesava duramente sui piccoli commercianti della Palestina; intercedette
presso l’imperatore Giustiniano a favore dei Samaritani esasperati dalle vessazioni imperiali e
ribelli. Non gli mancarono amare prove, anche da parte dei suoi figli; tuttavia alla sua morte la sua
autorità spirituale era indiscussa. Dopo la morte Saba fu subito venerato come santo non solo in
Palestina, ma in tutto l’Oriente e l’Occidente. Il suo corpo riposa nella grande chiesa della sua laura,
ove è stato riportato da Venezia nel 1965.
Dal Comune dei santi: religiosi con salmodia del giorno dal salterio (i benedettini
usano il Comune dei monaci)
SECONDA LETTURA
65
Dalla “Vita di san Saba” scritta da Cirillo di Scitopolis, monaco
(C. 28)
66
RESPONSORIO Sir 45, 3; Sal 77, 70. 71
Benedetto il Dio e Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, che ha incitato la
vostra perfetta eccellenza a comandare al mio niente di mandargli, messe per iscritto,
le vite care a Dio dei santi padri Eutimio e Saba, nostri predecessori […].
Ho già parlato del venerabile padre Eutimio […], ora riferisco per iscritto, sul
nostro illustre padre Saba, i pochi fatti che ho raccolti, mediante grandi cure e pene,
dalla bocca di santi padri veridici che sono stati suoi discepoli e suoi compagni di
lotta, e che fino ad oggi imitano la sua vita ed illuminano i nostri passi secondo Dio.
Saba, angelo in terra, uomo del cielo, maestro sapiente ed esperto, patrono
dell’ortodossia dogmatica, accusatore sincero delle cattive dottrine, prudente
dispensatore di prodigi, moltiplicatore dei talenti divini, investito della virtù dall’alto,
beneplacito a Dio Padre con la cooperazione di Gesù Cristo, per ispirazione del Santo
Spirito, riempì la solitudine con una moltitudine di monaci e costituì sette celebri
monasteri; sosteneva non solo uno ma due vecchi conventi, cioè quelli dei santi padri
Eutimio e Teoctisio.
Ciò nonostante il nostro santo padre Saba raccomandava ai superiori dei suoi
monasteri di non curarsi in alcun modo delle cose temporali, e rammentava loro la
parola del Signore: “Non vi preoccupate, dicendo: Che mangeremo, che berremo, di
che ci vestiremo? Il vostro Padre celeste sa che avete bisogno di tutto ciò. Cercate
anzitutto il regno dei cieli, e tutto ciò vi sarà dato in soprappiù”. Tali erano i
sentimenti e gli insegnamenti del divino vegliardo. Dio, dal canto suo, gli procurava
abbondantemente tutte le risorse, in modo che vi fu più indigenza presso coloro che
contavano sulle loro ricchezze e i loro redditi che nei monasteri di cui egli si
prendeva cura.
È così che il nostro padre Saba fu ornato della corona di giustizia: aveva
combattuto la buona battaglia, aveva terminato la corsa, aveva conservato la fede (cfr.
2Tm 4, 7-8). La sua morte ebbe luogo il 5 dicembre. Il tempo della sua vita nel corpo
è questo. Egli giunse in Palestina a diciotto anni, dimorò nel cenobio diciassette anni
e passò cinquantanove anni nel deserto e nella grande laura. Morì nel
novantaquattresimo anno della sua età.
Essendosi la notizia della sua dormizione sparsa in tutte le vicinanze, si radunò
una folla infinita di monaci e di laici; venne anche il santissimo arcivescovo Pietro
67
coi vescovi che s’erano trovati a Gerusalemme e i notabili della Città Santa. E così la
sua preziosa spoglia fu deposta alla grande laura tra le due chiese, nel luogo dove
aveva visto la colonna di fuoco. Ma, invero, questo santo non è morto, ma dorme,
come uno che ha vissuto una vita irreprensibile ed è stato gradito a Dio, come è
scritto: Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, non le toccherà la morte. In ogni
caso il suo corpo si è conservato intatto fino ad oggi e senza traccia di corruzione.
R. Il tempo si è fatto breve; quelli che usano i beni del mondo, vivano come se non li
usassero pienamente: * passa la figura di questo mondo.
V. Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo.
R. Passa la figura di questo mondo.
ORAZIONE
O Dio, che nell’abate san Saba donasti alla Chiesa un fervido fautore della vita
monastica e un fermo assertore della vera dottrina, concedi a noi di vivere sempre la
verità nella carità, e di servire a te solo nella gioia inalterabile del tuo amore. Per il
nostro Signore.
O Dio, che hai suscitato san Saba come insigne maestro di vita monastica e
difensore della retta fede, donaci di operare sempre la verità nella carità, e di servire
te solo nella gioia perenne. Per il nostro Signore.
68
5 dicembre
Benedettini: Memoria
69
Pio XII, il 5 dicembre 1954 lo beatificò in s. Pietro a Roma.
Dal Comune dei santi: religiosi, con salmodia del giorno dal salterio (i Benedettini
usano il Comune dei monaci)
SECONDA LETTURA
Il dono della vocazione religiosa è il più grande dono, dopo quello del
battesimo; non v’è pericolo alcuno di esagerarne la grandezza, anzi la sublimità. Chi
dice religioso, dice angelo. In cielo vi sono gli angeli che immediatamente sono posti
al servizio di Dio; in terra sono i religiosi che, per servire Dio, hanno rinunziato a
tutto.
Ma i religiosi a questo riguardo hanno un vantaggio anche sopra gli angeli, e ad
essi può applicarsi ciò che il Crisostomo dice parlando della verginità: “Gli angeli
sono spiriti già confermati in grazia, godono della visione beatifica, onde di necessità
ardono di amore di zelo per la gloria di Dio nel divino servizio”. I religiosi invece
portano il peso del corpo, con quella libertà terribile di poter tuttora offendere Dio, ed
il solo lume della fede è quello che li guida a sacrificare tutto, non meno che se stessi,
per servire Dio. Onde il servizio che rendono a Dio i religiosi è in certa guisa
maggiore di quello degli angeli, perché riesce loro più dispendioso.
Gli angeli, dunque, sarei quasi per dire che abbiano pur qualche cosa da
invidiare ai religiosi: il merito di servire Dio pur avendo la possibilità di fare
altrimenti. Quelli che più da vicino alla corte hanno l’onore di servire al principe, si
stimano al certo più felici dei colleghi che lo trattano solo da lontano.
Questi felici e fortunati servi sono per l’appunto i religiosi, che hanno ricevuto
l’onore altissimo di essere introdotti nella stessa casa del Signore per tributargli
continuo servizio. La grandezza del religioso sta tutta nell’essere egli il “servo di
Dio”.
E noi tutti siamo servi di Dio. Se non che, il servo ubbidiente non comanda,
anzi l’unico elemento che costituisce lo stato di servitù è l’obbligo dell’obbedienza, e
dove non è obbedienza non vi può essere vera servitù. Di qui si vede qual peccato
spaventoso e mostruoso sia la disobbedienza, che è l’origine di ogni disordine: il
servo che vuol far da padrone.
Noi dunque che siamo nel numero di questi servi fortunatissimi, abbiamo
ricevuto dalle mani del nostro padre san Benedetto una Regola che determina quale
debba essere il servizio che dobbiamo prestare al Signore. La osserviamo pertanto
noi? L’osservanza della santa Regola è appunto la corrispondenza cheda noi attende
san Benedetto: l’osservanza fornirà tutta la ragione della nostra fiducia nel patrocinio
di san Benedetto non meno che nella protezione di Dio.
70
RESPONSORIO
R. Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese, * Come chi aspetta il
padrone quando torna dalle nozze.
V. Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.
R. Come chi aspetta il padrone quando torna dalle nozze.
ORAZIONE
Signore, nostro Dio, fa’ che imitiamo gli esempi del beato Placido Riccardi,
monaco e sacerdote: così anche noi, partecipando con la pazienza alla passione del
tuo Figlio, meriteremo di condividere la gloria del suo regno. Egli è Dio e vive e
regna.
71
5 dicembre
Nativo di Mantova, nel 1452 era già sacerdote carmelitano della Congregazione Mantovana.
Per 35 anni, nella chiesa carmelitana della sua città, fu direttore spirituale e rettore della
Confraternita della B.V. Maria, per la quale scrisse la regola e gli statuti. Umile e mansueto, fu per
tutti un esempio di preghiera, generosità e fedeltà nel servizio del Signore. Si distinse per il suo
amore all'Eucarestia, centro della sua vita apostolica, e per la devozione mariana. Morì nel 1495.Il
beato Bartolomeo Fanti nacque a Mantova nel 1428 ca. e di lui si sa, che da giovane entrò a far
parte dell’Ordine Carmelitano, nella cosiddetta ‘Congregazione Mantovana’ della sua città.
La Congregazione era scaturita nei primi anni del Quattrocento, quale necessità di riforma
dell’antico Ordine; fu riconosciuta nel 1442 da papa Eugenio IV (1383-1447).
In quel turbolento periodo per la Chiesa Cattolica, che vide operante il devastante Scisma
d’Occidente e il seguente Scisma di Basilea, con papi legittimi e antipapi, eletti da Concili di
vescovi e cardinali in dissenso fra loro, nell’Ordine Carmelitano sorgevano idee di riforma
dell’antica Osservanza, in contrapposizione ad idee di ristabilimento del rigore della primitiva
osservanza della Regola.
È di quel periodo, nel quale Bartolomeo Fanti entrò fra i Carmelitani, la grande figura del
beato Giovanni Soreth (1394-1471), generale di tutto l’Ordine; egli è ricordato soprattutto come
riformatore, cioè per la sua continua opera di ricondurre l’Ordine allo splendore dell’Osservanza
regolare, in un periodo storico particolarmente critico.
In questa attività agì in due direzioni; curando che venissero osservate la Regola e le
costituzioni, ed introducendo nel maggior numero di conventi che poté, l’Osservanza nel suo
significato specifico, riguardo alla povertà ed al raccoglimento interno ed esterno.
Il primo tipo di osservanza veniva dall’alto ed era obbligatorio per tutti, il secondo
proveniva dal desiderio di singoli o di gruppi per una maggiore perfezione; desiderio che il
Generale riconosceva, favoriva e difendeva, anche emanando decreti e privilegi adatti allo scopo.
72
E a questo secondo itinerario appartenne la Congregazione Mantovana, che mostrava intenti
separatisti, fu detta anche “eugeniana”, perché approvata poi da papa Eugenio IV.
Il padre Generale Giovanni Soreth fu generoso e comprensivo con la Congregazione,
favorendo il passaggio ad essa di alcuni conventi e trattando i suoi religiosi con familiarità, tanto da
sembrare il loro priore locale piuttosto che il Generale. Il beato Giovanni Soreth fu anche l’artefice
della fondazione nel 1452, dell’Ordine delle Carmelitane, che si diffuse rapidamente in Spagna e
nei Paesi Bassi.
Ritornando a Bartolomeo Fanti, carmelitano a Mantova, il 28 febbraio 1452 entrò a far parte
della Confraternita della Madonna, che esisteva nella chiesa del Carmine e il 1° gennaio 1460 ne
divenne padre spirituale e rettore, scrivendone anche la Regola e gli Statuti.
La regola scritta da padre Bartolomeo Fanti consta di dodici capitoletti, è molto semplice e
concisa e nello stile richiama quella del primo Ordine dei Carmelitani. Fra l’altro compose gli
statuti della Compagnia del Carmine e un registro di fatti importanti.
Fu rettore e padre spirituale della Confraternita della Madonna, praticamente fino alla morte,
dedicandosi a questo compito con grande fervore e zelo, così come richiedeva allora l’importanza
sociale e religiosa delle Confraternite.
Umile e mansueto, fu per tutti un esempio di preghiera, generosità e fedeltà nel servizio del
Signore. Si distinse per il suo amore all’Eucaristia, centro della vita apostolica, e per la devozione
mariana.
Si ritiene che sia stato anche maestro dei novizi, anche se non è comprovato, perché venne
raffigurato mentre parla con fervore dell’Eucaristia, ad un gruppo di giovani novizi carmelitani.
Morì a Mantova il 5 dicembre 1495; successivamente il suo corpo, ancora incorrotto, ebbe
varie traslazioni: nel 1516 nella Cappella della Madonna; dopo la soppressione del convento nel
1783, fu traslato in S. Marco e da qui nel 1793 nella Cappella della Madonna Incoronata in
cattedrale. Il suo culto come Beato, fu confermato da papa s. Pio X il 18 marzo 1909.
Dal comune dei pastori o dei santi: religiosi, con salmodia del giorno dal salterio.
ORAZIONE.
O Dio, nostro Padre, che hai dato al beato Bartolomeo Fanti la grazia di
promuovere in modo singolare il culto della santissima Eucaristia e la devozione alla
beata Vergine Maria, concedi anche a noi la medesima ricchezza spirituale mediante
la pratica di queste devozioni. Per il nostro Signore,
73
5 dicembre
74
Dopo la morte del Beato Don Rua, nel 1910 Filippo Rinaldi fu rieletto Prefetto e Vicario di
Don Albera, nuovo Rettor Maggiore. Nel 1922 fu eletto egli stesso terzo successore di Don Bosco,
il cui spirito dovette adattare ai tempi nuovi, ruolo che evidenziò maggiormente le sue doti di padre
e la sua ricchezza d’iniziative: cura delle vocazioni, formazione di centri di assistenza spirituale e
sociale per le giovani operaie, guida e sostegno per le Figlie di Maria Ausiliatrice in un particolare
momento della loro storia. Grande impulso diede ai Cooperatori Salesiani, istituì le Federazioni
mondiali degli ex-allievi ed ex-allieve. Lavorando tra le Zelatrici di Maria Ausiliatrice, intuì e
percorse una via che portava ad attuare una nuova forma di vita consacrata nel mondo, che sarebbe
in seguito fiorita nell’Istituto secolare delle “Volontarie di don Bosco”.
L’impulso che egli diede alle missioni salesiane fu enorme: fondò istituti missionari, riviste
e associazioni, e durante il suo rettorato partirono per tutto il mondo oltre milleottocento salesiani.
Compì numerosi viaggi in Italia ed Europa. Dal pontefice Pio XI ottenne l’indulgenza del lavoro
santificato. Maestro di vita spirituale, rianimò la vita interiore dei salesiani mostrando sempre
un’assoluta confidenza in Dio ed un’illimitata fiducia in Maria Ausiliatrice, titolo con il quale la
Madre di Dio è particolarmente invocata dalla Famiglia Salesiana. Il grande salesiano Don
Francesia asserì: “A Don Rinaldi manca solo la voce di don Bosco”.
Il 5 dicembre 1931 a Torino Filippo Rinaldi concluse santamente e silenziosamente la sua
vita terrena, intento a leggere la vita di Don Rua. Il suo processo di canonizzazione ebbe inizio il 5
novembre 1947 e Don Rinaldi fu dichiarato “venerabile” il 3 gennaio 1987. Papa Giovanni Paolo II
lo ha beatificato il 29 aprile 1990 a Roma in Piazza San Pietro. Ancora oggi le spoglie mortali del
Beato Rinaldi riposano nella cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino.
Dal Comune dei pastori o dei santi: religiosi, con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
75
Leggendo quelle primitive Costituzioni presentate da Don Bosco a Pio IX nel
1858, sembra di udire la voce del buon Padre che con grande semplicità e chiarezza
esponeva ai suoi figli le norme secondo cui voleva che si regolassero: non
coercizioni, ma il vincolo della carità fraterna, onde formare un cuor solo per
acquistare la perfezione nell’esercizio di ogni opera di carità spirituale e corporale
verso i giovani, specialmente i più poveri, e nella cura delle vocazioni ecclesiastiche;
non preoccupazioni per le cose materiali, ma ciascuno, pur conservando i propri
diritti, fosse realmente come se nulla più possedesse; non attaccamento alla propria
volontà, ma obbedienza così filiale al Superiore che questi non abbia neppur bisogno
di comandare; non molte pratiche di pietà in comune, ma l’esercizio dell’unione con
Dio nella pienezza della vita attiva, che è il distintivo e la gloria dei suoi figli. Don
Bosco, più che una Società, intendeva formare una famiglia fondata quasi unicamente
sulla paternità soave, amabile, vigilante del Superiore, e sull’affetto filiale, fraterno
dei sudditi; anzi, pur mantenendo il principio dell’autorità e della corrispettiva
sudditanza, non desiderava distinzioni, ma uguaglianza fra tutti ed in tutto.
In tal modo Don Bosco visse praticamente le sue Costituzioni insieme con i suoi
primi figli per ben trent’anni, correggendo, modificando, migliorando e anche
scartando gli articoli ch’egli aveva segnati sul suo manoscritto e che alla prova gli
erano sembrati non adatti o di poca utilità. Non dimentichiamo che la luce di questo
lavoro gli veniva dall’alto; e che perciò quelle modificazioni non intaccavano affatto i
punti fondamentali su cui doveva basarsi la sua Congregazione.
R. Dio vi renda perfetti in ogni bene, perché compiate la sua volontà, * operando in
voi ciò che a lui è gra-dito, per mezzo di Cristo.
V. Vi dia una mente aperta ad intendere la sua legge e i suoi comandi,
R. operando in voi ciò che a lui è gradito, per mezzo di Cristo.
Lodi mattutine
ORAZIONE
Padre d’infinita bontà, tu hai fatto risplendere nel beato Filippo Rinaldi un modello
di vita evangelica gioiosamente donata: concedi a noi di imitarne l’illuminata
iniziativa apostolica, perché, nella quotidiana fedeltà al nostro lavoro, portiamo a
pienezza il tuo progetto d’amore. Per il nostro Signore.
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Vespri
77
5 dicembre
Niels Stensen è un protestante luterano che diventa Vescovo, e a Livorno inizia il cammino
di conversione al cattolicesimo. Era nato in Danimarca, a Copenaghen, il primo di gennaio, secondo
il calendario giuliano (il giorno 11 gennaio, secondo l'attuale calendario gregoriano) dell'anno 1638.
Non ebbe la vocazione «ecclesiastica» di pastore luterano, come suo padre Peter e molti del suo
casato, ma praticava il luteranesimo con fede viva, con entusiasmo religioso e correttezza morale.
Ebbe invece marcata vocazione scientifica. In un secolo geniale e ricchissimo per la filosofia, la
scienza, l'arte, la religione..., partecipò alla più bella avventura del pensiero del suo secolo
scoprendo alcuni segreti della natura e additando nuove mete alla ricerca umana.
Nell'università di Copenaghen studiò lingue, matematica, anatomia e medicina, con grande
profitto. Viaggiò molto, destando nelle maggiori università d'Europa ammirazione e riscuotendo
stima. In una specie di diario, intitolato «Chaos», sul cui primo foglio scrisse «In nomine Jesu», si
legge: «Peccano contro la grandezza di Dio coloro che non vogliono studiare direttamente le opere
della natura... in tal modo si privano della gioiosa osservazione delle mirabili opere di Dio». Aveva
21 anni. A lui, tra le altre, si deve la scoperta del dotto salivare (Dotto di Stenone) e l'affermazione
comprovata che il cuore è un muscolo. A Copenaghen riceverà il titolo di «Anatomicus regius». Per
l'opera «De solido» ottiene il titolo di «Fondatore della geologia», scienza che studia l'evoluzione
della crosta terrestre.
La Toscana è oggetto delle sue esperienze e rileva che tutta questa regione immersa nel
mare, in successive ed alterne vicende, diventa la terra che noi oggi abitiamo. Studia i resti di
animali e di piante (fossili) e dà inizio alla «paleontologia» ed anche alla «cristallografia
geometrica». Fu suo convincimento che «belle sono le cose che si vedono, più belle quelle che si
conoscono, ma più belle assai quelle che non si possono conoscere». Desideroso di visitare l'Italia,
dalla Francia approdò al porto di Livorno nel febbraio 1666. Un avvenimento lo sconvolse: «Era il
24 giugno 1666: festa del Corpus Domini e Livorno celebrava con grande solennità la processione
eucaristica. Passavano, cantando, lunghe file di uomini in tuniche bianche e cordone; e c'erano
gonfaloni e drappi al vento... i gran pavesi delle navi in porto... un gran baldacchino d'oro sorretto
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da dignitari civili con insegne e onorificenze. La gente s'inginocchiava al passaggio dell'Ostensorio
e gli occhi ardevano d'amore fissando quell'Ostia e le teste di prosternavano in adorazione. Da
qualche parte piovevano petali di fiori. Un ragionamento afferrò la sua mente: "o quell'Ostia è un
semplice pezzo di pane e costor che gli fanno tanti ossequi sono pazzi; oppure Essa contiene il vero
corpo di Cristo, e allora perché non l'onoro anch'io?"» (R.Angeli - Niels Stensen).
Il 2 novembre dell'anno seguente passò alla fede cattolica e si dedicò con impegno allo
studio della Teologia, della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa, anche per rispondere a chi lo
accusava di tradimento verso la religione in cui era nato. Otto anni dopo (1675), a Pasqua, ricevette
l'ordinazione sacerdotale nel duomo di Firenze, dove iniziò il suo ministero come Curato.
Non dimenticò mai Livorno, dove spesso tornava per attendere, nella chiesa di S.
Sebastiano, alle confessioni ed alla predicazione a favore degli stranieri che si fermavano in questa
nostra città di mare. Il Signore però lo chiamava ad un servizio più alto e più impegnativo e fu
consacrato Vescovo (1677): allora pellegrinò come pastore di anime e autentico missionario nei
paesi del Nord Europa. Nominato Vicario Apostolico dell'intera Germania nord-occidentale e della
Danimarca - Norvegia, con sede ad Hannover, si distinse per grande carità e gentilezza verso tutti
ed insieme per la fermezza nella difesa della verità cattolica.
Lo stesso filosofo Leibniz lo stimò per la sua «grande pietà e dottrina» nonostante le
personali divergenze circa la riunione delle Chiese, divise da guerre di religione. A Munster, dove
fu inviato come Vescovo «suffraganeo», molto si adoprò e soffrì per il basso livello religioso della
popolazione, la miseria sociale, il carrierismo ecclesiastico e le negligenze del clero per il quale
scrisse il libro «Doveri pastorali».
Fu il Vescovo della carità, della pazienza e del dialogo, ma anche della fermezza come
attesta la sua fuga dalla città per opporsi all'elezione simoniaca del nuovo vescovo residenziale. Si
trasferì ad Amburgo per riassumere gli impegni di Vicario Apostolico; ma, invitato dal duca di
Schweverin, accettò l'umile incarico di costituire in quel paese una comunità cattolica prendendo
cura dei pochi cattolici ivi residenti. Qui visse come semplice prete, tutto dedito al bene altrui,
dimentico di sè, ricco d'amore e nella più grande sofferenza che univa ai dolori di Cristo crocifisso.
Stroncato da una malattia maligna rendeva l'anima a Dio pregando «Gesù, sii il mio Gesù».
Non essendoci un prete cattolico per confessarlo nell’agonia, lui si confessa in pubblico, elencando
a viva voce i suoi peccati. Era il 25 novembre (5 dicembre del calendario gregoriano) del 1628.
Deposto con le vesti pontificali nella cappella del palazzo reale, fu sepolto nella cattedrale luterana
della città. Il Granduca Cosimo III di Toscana, suo grande amico e benefattore, volle dargli
«sepoltura più condegna» e non avendolo potuto avere come Proposto della Collegiata di Livorno,
ne volle almeno la salma nei suoi Stati. Il suo corpo, imbarcato ad Amburgo, approdò al porto della
sua indimenticabile Livorno e, trasferito a Firenze, riposa nella basilia di S. Lorenzo.
Il Papa Giovanni Paolo Il lo ha iscritto tra i «beati» il 23 ottobre 1988. La liturgia ne celebra
la memoria annuale il 5 dicembre.
Dal Comune dei pastori con salmodia del giorno dal salterio.
ORAZIONE
“Ecco, li riconduco dal paese del settentrione” (Ger 31, 8). Le parole del
profeta Geremia, riportate nella liturgia odierna sembrano riferirsi in modo
particolare all’avvenimento che stiamo vivendo in questa Basilica di San Pietro.
Ecco, viene elevato alla gloria degli altari il servo di Dio Niels Stensen, figlio della
Scandinavia, danese di nascita e di nazionalità.
“Ecco, li riconduco dal paese del settentrione e li raduno dall’estremità della
terra” (Ger 31, 8). Le parole del profeta si riferiscono ad Israele, il popolo dell’antica
alleanza. In esse rileggiamo anche la verità sul popolo della nuova alleanza - sulla
Chiesa di Cristo, in cui si radunano i figli e le figlie di tutte le nazioni, da un confine
all’altro della terra. Essi infatti camminano nella peregrinazione della fede e si
orientano verso la celeste Gerusalemme, verso la grande assemblea della comunione
dei santi, dove Dio è tutto in tutti.
Tale cammino ha percorso colui che la Chiesa si accinge ad iscrivere oggi
nell’albo dei beati: tutta la vita di Niels Stensen è stata un instancabile pellegrinare
alla ricerca della verità, di quella scientifica e di quella religiosa, nella convinzione
che ogni scoperta, anche modesta, costituisce un passo avanti verso la verità assoluta,
verso quel Dio da cui tutto l’universo dipende.
Conoscendo quel meraviglioso itinerario spirituale, che è stata la vita di Niels
Stensen, possiamo ben immaginare che egli si sia tante volte identificato col cieco, di
cui parla la pagina evangelica dell’odierna liturgia, e che con lui abbia invocato dal
Maestro divino la possibilità di vedere, di vederci più chiaro. Non nel senso fisico,
certamente: sappiamo che era un osservatore attento delle caratteristiche delle pietre
preziose, a cui il padre lavorava nella sua bottega di orafo; e osservatore acuto egli
era pure delle meraviglie del mondo vegetale ed animale, che con dovizia la natura
gli poneva di fronte.
Ma l’uomo non è dotato soltanto della facoltà conoscitiva fisica; egli possiede
anche la conoscenza intellettiva, assai superiore, perché protesa verso la verità più
profonda delle cose. Esiste inoltre nell’essere umano la facoltà che nella Scrittura è
detta “conoscenza del cuore”, quella visione cioè che procede dal punto più intimo
dell’uomo e che abbraccia tutta la sua realtà - intelletto, volontà, vita affettiva -
aprendola alla trascendente esperienza dell’incontro personale con Dio.
Tanto nell’una quanto nell’altra forma di conoscenza Niels Stensen si rivelò
dotato di particolari talenti: ricercatore appassionato scienziato di primo piano, non
soddisfatto mai delle pure ipotesi e sempre alla ricerca della piena certezza, egli
tuttavia fu mosso soprattutto dall’anelito verso la scoperta della ragione ultima di
ogni cosa: Dio, che non si può trovare neppure con i più sofisticati strumenti della
scienza sperimentale; Dio, nella cui intimità si può entrare soltanto mediante la
“scienza del cuore”.
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In tale scienza era stato educato fin dalla prima infanzia nella sua famiglia da
pii genitori di religione luterana; in essa era stato ulteriormente formato nel corso
degli studi presso la Scuola Latina e l’Università di Copenaghen, ove aveva trovato
un ambiente nel quale la fede era praticata con convinzione ed autenticità. Quali
progressi egli vi abbia fatto è dato intravedere da tutta l’impostazione della sua
ricerca scientifica, come anche dalle scelte concrete operate nella sua vita.
Ammirare le meravigliose bellezze del creato e di lì risalire alla fonte di ogni
bellezza, fu una dimensione fondamentale della sua spiritualità. Lo rivela egli stesso
nel proemio alle sue “Demonstrationes anatomicae”, nelle quali sono raccolti i frutti
delle sue ricerche: “Vero fine dell’anatomia è di procurare che gli osservatori,
mediante il capolavoro del corpo si elevino alla dignità dell’anima e,
conseguentemente, mediante le meraviglie dell’uno e dell’altra, alla conoscenza e
all’amore per il loro Autore” (Niels Stensen “Opera Philosophica”, t. II, 254). Fu
infatti profondo convincimento dello Stensen che “belle sono le cose che si vedono,
più belle quelle che non si possono conoscere” (Niels Stensen “Opera Philosophica”,
t. II, 254).
Spinto da questo anelito a trascendere la conoscenza puramente fenomenica e
scientifica per avventurarsi nel campo sconfinato della verità accessibile solo alla
conoscenza di fede, Niels Stensen estese ed approfondì la sua ricerca teologica e, con
il suo acuto spirito di osservazione e la sua serena oggettività, riuscì a liberarsi
gradualmente da certi pregiudizi contro la religione cattolica dai quali,
inconsciamente e in buona fede, era stato influenzato fin dalla gioventù.
Non ci è dato ora di soffermarci in dettaglio sul lungo “iter” spirituale che
finalmente lo portò ad abbracciare la fede cattolica. Qui interessa solo registrare il
momento in cui superato ormai ogni dubbio ed oscurità, ripieno di gioia interiore
disse il suo “si” a ciò che Dio gli aveva dato di comprendere chiaramente.
Come il cieco del Vangelo, egli aveva supplicato: “Figlio di Davide, abbi pietà
di me”, “Rabbunì, che io veda!”, ed anche a lui Gesù aveva detto: “Va, la tua fede ti
ha salvato. E subito, acquistata la vista, prese a seguirlo”.
Era il grande scienziato che riconosceva Dio come Signore supremo,
accettando di seguirne l’interiore chiamata a donarsi totalmente a Cristo e a mettere le
proprie energie al servizio esclusivo del Vangelo. Fu così che lo Stensen, non
accontentandosi dell’impegno apostolico proprio del laico, volle essere sacerdote,
convinto che ciò non costituisse una frattura nella sua vita e nel suo itinerario, ma
fosse invece un ulteriore passo avanti, verso una donazione più completa di se stesso
al bene dell’umanità.
Consacrato in un secondo tempo Vescovo da san Gregorio Barbarigo, egli si
avviò verso il Nord-Europa per svolgervi, secondo una esplicita disposizione del
Papa, il proprio ministero apostolico. Da allora egli peregrinò come pastore di anime
ed autentico missionario: Hannover, Monaco, Paderborn, Amburgo e finalmente
Schwerin lo videro tutto dedito al bene altrui, dimentico di sé, ricco di amore, anche
nella sofferenza, perché appassionato di Cristo crocifisso, sommo sacerdote, “scelto
fra gli uomini per il bene degli uomini, per aiutare coloro che sono nell’ignoranza”
(Eb 5, 1-3).
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Lo stemma da lui scelto, un cuore sormontato dalla croce, chiaramente
simboleggia e riassume l’orientamento profondo della sua esistenza. Egli volle porre
tutta la sua vita a servizio della croce di Cristo, nella quale vedeva la parola definitiva
dell’amore di Dio per l’umanità.
“Io sono la luce del mondo; chi segue me avrà la luce della vita” (Gv 8, 12). La
convinzione profonda che Cristo era “la luce del mondo” e che solo incontrando lui
l’uomo poteva fruire della “luce della vita”, fu la molla che spinse Niels Stensen a
prodigarsi senza risparmio di energie nell’annuncio del Vangelo. L’anelito
missionario del nuovo beato ha qui la sua spiegazione e la sua sorgente.
Piace sottolineare questa caratteristica della sua vita nell’odierna ricorrenza
della Giornata Missionaria Universale. Il pensiero va oggi con riconoscenza allo
slancio eroico di tante persone che hanno messo generosamente la loro vita a servizio
della diffusione della buona novella. Le loro fatiche e le loro rinunce, le loro gioie e
le loro speranze, trovano eco nel cuore del Papa, come in quello di tutta la Chiesa.
Possano essi sentirsi incoraggiati e sostenuti nel loro lavoro apostolico dalla preghiera
e dal contributo fattivo dei fedeli; così che, grazie al loro perseverante impegno, “la
Parola del Signore si diffonda e sia glorificata” nel mondo intero (2 Ts 3, 1).
L’esempio del nuovo beato sia per loro di stimolo e di conforto.
Niels Stensen fu giustamente definito dal suo intimo amico Francesco Redi un
“pellegrino del mondo”. Nato in Danimarca egli fu spinto dalla sua indole di
ricercatore e di scienziato a percorrere le vie dei Paesi d’Europa fino a raggiungere
Firenze, amata come sua seconda patria. Diventato sacerdote e Vescovo, egli si
rimise nuovamente in cammino, prendendo questa volta la via della Germania, ove si
spese dedicandosi interamente ad aiutare gli uomini a conoscere quel Dio che egli
aveva incontrato attraverso la scienza e nella fede.
La vita dello Stensen è dunque un esempio luminoso di apertura e di dialogo: la
sua missione in un Paese a prevalenza protestante fa comprendere come con la
dirittura, congiunta a signorilità e delicatezza, esemplarità di costumi e santità di vita,
si possano e si debbano stabilire quei rapporti che facilitano la mutua comprensione,
l’amore e l’unità.
Il segreto della sua esistenza sta tutto qui: se egli è famoso per le scoperte fatte
nel campo dell’anatomia, ben più importante è ciò che egli ci addita con le sue scelte
di vita. Niels Stensen, per mezzo della “scienza del cuore”, ha scoperto Dio, creatore
di tutto ciò che esiste e salvatore del mondo, e se ne è fatto appassionato banditore in
mezzo ai fratelli.
Con l’odierna beatificazione si compie un desiderio di molti. Saluto di cuore
tutti coloro che partecipano a questa celebrazione, provenienti dalla Danimarca e
dalla Repubblica Federale di Germania, dalla Repubblica Democratica Tedesca e
dall’Italia, dove Niels Stensen ha vissuto e lavorato. Contemporaneamente il mio
saluto va a quanti sono in Danimarca, sua patria, e negli altri Paesi del Nord. Saluto,
inoltre, scienziati e ricercatori, dovunque e in qualunque campo essi siano impegnati.
Tutti coloro che incontrano Niels Stensen - i suoi contemporanei e noi del XX
secolo - sono da lui invitati a lasciarsi aprire gli “occhi dello Spirito” per la gloria di
Dio, a riconoscere la loro dignità di uomini nella creazione di Dio e a lasciarsi
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arricchire dei doni di luce della grazia. Con la beatificazione la Chiesa mette questa
figura luminosa come esempio sotto gli occhi del nostro tempo. Noi tutti siamo
interpellati per mezzo di Niels Stensen, testimone di Cristo. Egli ci mostra che il
mondo, con tutte le sue bellezze, non ha in se stesso il suo fine ultimo. Egli ci chiama
fuori da un ambiente borghese e indifferente, ci conduce fuori da sistemi ed ideologie
chiusi, verso la sfera della verità e della libertà dei figli di Dio. Ci dice che la fede
umile dei cristiani non si trova mai in un posto sperduto. In particolare saranno
incoraggiati e confortati dal suo esempio i credenti della diaspora. E agli occhi della
cristianità divisa egli si presenterà come appassionato promotore di unità.
Con la beatificazione odierna sono particolarmente lieto di aggiungere un
nuovo astro a quella costellazione di santi che illumina il passato della Scandinavia:
sant’Ansgar, Vescovo di Amburgo-Brema, apostolo del Nord-Europa; san Knud, re e
martire, patrono della Danimarca; san Knud Lavard, duca e martire; sant’Erik, re e
martire, patrono della Svezia insieme con santa Brigida, grande mistica e fondatrice
di un ordine religioso tuttora esistente; sant’Olav, re e martire, patrono di Norvegia;
sant’Henrik, Vescovo e martire, patrono della Finlandia; san Thorlak, Vescovo,
patrono dell’Islanda.
L’anno prossimo, se Dio vorrà, mi sarà dato di visitare quei Paesi, e la
beatificazione odierna assume un particolare significato anche in questa prospettiva.
Ecco, dopo secoli di lontananza, giunge a noi da settentrione quasi un grido di tutti
quei santi, uomini e donne, le cui morti sono state inscritte nel libro della vita. Tutti,
mediante la loro vita piena dello Spirito di Cristo, uniti al suo mistero pasquale,
“camminavano e piangevano portando la semente da gettare, ma nel tornare, vengono
con giubilo, portando i loro covoni” (cf. Sal 126 [125], 6). A tutti loro si unisce oggi -
dopo secoli - il beato Niels Stensen.
“Grandi cose ha fatto il Signore per noi” (Sal 126 [125], 3). Ecco il grido dei
santi, e dei beati - figli e figlie del settentrione europeo. In questo grido risuona l’eco
del “Magnificat” mariano: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo
nome” (Lc 1, 49). Questo grido permane nel cuore della Chiesa. Ritorna sulle sue
labbra nei momenti particolarmente solenni, come è questo dell’odierna
beatificazione. Figlio beato della patria danese! Tu ravvivi il coro di quei grandi, che
ti hanno preceduto sulla via della santità. Insieme con loro gridi: “Grandi cose ha
fatto il Signore per noi”. Questo tuo grido venga ascoltato in cielo e sulla terra. Venga
accolto nel cuore dei tuoi fratelli e sorelle di oggi, e susciti in loro abbondanti messi
di bene nella fede, nella carità, nella comunione. “. . . nel tornare, vengono con
giubilo, portando i loro covoni”. Amen!
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6 dicembre
E' un santo che lungo i secoli è entrato prepotentemente nella devozione popolare sia nel
mondo cattolico che in quello ortodosso e ciò a dispetto della storia che poco o nulla si racconta di
lui. San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola
dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra
nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia.
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara,
dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno
riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il
primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del
futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la
tradizione orale al riguardo fosse molto solida.
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il
Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.
Il luogo dove ha esercitato l'episcopato è Myra, oggi Dembre, una località marittima nella
costa orientale della Turchia (allora Licia). Una tradizione non documentata lo vorrebbe presente al
famoso Concilio di Nicea (325). Se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non
compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il
515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz).
Morì verso la metà del IV secolo. È onorato in tutta la Chiesa, soprattutto a partire dal X
secolo. È particolarmente venerato nella Russia e in tutto l’Oriente. Il suo culto ebbe un forte
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influsso da quando le sue reliquie furono portate a Bari nel 1087, dove fu innalzata in suo onore una
stupenda basilica. Infatti nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle
spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta
in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi nel contesto di un programma di
rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del
catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di
un santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e
quindi fonte di benessere economico.
Nel suo nome sono fiorite molte tradizioni popolari e iniziative di carità particolarmente
legate al Natale. E' infatti molto amato dai bambini, in modo particolare da coloro che vivono nelle
regioni del nord d'Europa, che ravvisano in lui il santo buono che ha l'incarico di portare i doni
natalizi con diversi giorni di anticipo sul meno santo Babbo Natale. Riteniamo però che il dono più
grande che egli ha lasciato per sempre alla chiesa, quindi a tutti noi, è l'ortodossia della fede,
soprattutto per quanto riguarda la divinità del Cristo. La sua «deposizione» il 6 dicembre è ricordata
nei riti bizantino e copto.
Nel 1969 con la riforma del calendario romano san Nicola passava da memoria obbligatoria
a memoria facoltativa, ma con Decreto del 4 novembre 2016 la Congregazione per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti ha nuovamente concesso di elevare a obbligatoria la memoria di san
Nicola-Vescovo, decisione rilevante anche dal punto di vista ecumenico.
San Nicola è patrono della Russia e della Grecia. È patrono degli scolari e dei giovani in
genere, e delle ragazze da marito o in pericolo. Protegge i marinai dai naufragi; per la botte di
salamoia, è patrono dei bottai e dei mercanti di vino; poiché ha salvato tre giovani ingiustamente
accusati, è patrono delle vittime di errori giudiziari e degli avvocati. L’Intelligence militare, in
diversi paesi del mondo, lo venera come protettore: In Italia alcune chiese nei reparti di Intelligence
sono a lui dedicate.
A Pisa la chiesa di San Nicola, collocata nel centro storico della città, in prossimità del
fiume Arno, secondo la tradizione fu fondata intorno all'anno Mille dal marchese Ugo di Tuscia. La
più antica testimonianza dell'esistenza della chiesa di San Nicola risale alla fine dell'XI secolo
(1097). Secondo i documenti, il complesso religioso costituito dall'edificio di culto, dal convento e
dall'annesso ospedale dipendeva dall'antico Monastero di San Michele alla Verruca.
L'originale campanile ottagonale, attribuito a Nicola Pisano, il più caratteristico della città dopo
la Torre pendente, risale forse alla seconda metà del XIII secolo ed è leggermente inclinato e
interrato rispetto al piano del calpestio attuale.
Alla fine del Duecento, il complesso passò dai Cistercensi agli Eremitani di Sant'Agostino
(gli agostiniani vi sono tuttora presenti) che, tra il 1297 e il 1313, provvidero ad ampliarlo e a
modificarne l'abside, forse ad opera di Giovanni Pisano. A partire dalla seconda metà del Trecento
fino alla fine del secolo furono eretti gli altari laterali, di patronato delle nobili famiglie pisane. A
partire dal 1572, all'interno della chiesa furono costruite le cappelle laterali e la volta. Intorno alla
metà del XVII secolo, i maestri del legno Ascanio Bazzicaluva e Stefano Ricordati presentarono il
progetto, mai realizzato, di coprire la volta cinquecentesca con un soffitto ligneo a lacunari.
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La chiesa di San Nicola fu restaurata a partire dagli inizi del XVII secolo con l'arrivo della
famiglia Medici. La cappella dell'Annunziata fu rimodernata per volontà di Cristina Lorena, moglie
di Ferdinando II, e quella del Santissimo Sacramento fu progettata da Matteo Nigetti ed edificata
nel 1614. Nel 1828, furono aggiunte altre due cappelle laterali, vicino alla controfacciata.
Nel 1783, la chiesa di San Nicola raccolse la cura d'anime della soppressa chiesa di santa
Lucia de' Ricucchi, che sorgeva a poca. Nel 1787, fu realizzato il Coretto dei Principi, da dove i
Reali potevano seguire la Santa Messa.
Nel XIX secolo, le pareti della chiesa furono ridecorate, grazie al contributo dei Granduchi
per la tribuna reale e dei patroni delle cappelle. Nel 1834, l'ingegner Puccioni redasse una relazione
della chiesa e del suo stato di conservazione. Pochi anni prima, intorno agli inizi del XIX secolo, la
facciata fu restaurata e gli archi ciechi conservati per via della loro antichità.
Durante la Seconda guerra mondiale, l'edificio di culto subì danni al tetto e lesioni alla
facciata, restaurati successivamente. Intorno agli anni Sessanta (1960-1965), venne riaperta la porta
nella porzione di muro di collegamento tra chiesa e campanile. Nel 2017, furono eseguiti lavori di
restauro alla facciata e alla copertura della casa canonica.
L'edificio di culto si affaccia su via Santa Maria e costeggia col fianco destro via San
Nicola: quest'ultima separa la chiesa da Palazzo Reale, a cui è collegata per mezzo di due passaggi
aerei coperti, uno dei quali recentemente ripristinato a seguito dei bombardamenti dell'ultimo
conflitto mondiale. Il retro dell'edificio prospetta su piazza Carrara, mentre il fianco sinistro risulta
costruito in aderenza ai locali della casa canonica. La chiesa conserva dipinti su tavola (la
trecentesca "Madonna col Bambino" di Francesco Traini e "San Nicola salva Pisa dalla peste" del
XV sec.), tele del Maruscelli e del Bilivert e sculture lignee dei secoli XIV-XV ("Crocifisso" di
Giovanni Pisano, "Madonna col Bambino" di Nino Pisano, "Annunciata" di Francesco di
Valdambrino).
L’Intelligence Militare, in diversi paesi del mondo, lo venera come protettore. In Italia
alcune chiese nei reparti di Intelligence sono a lui dedicate. In particolare è patrono delle Unità
Informazioni dell’Esercito Italiano nonché di quello statunitense.
Dal Comune dei pastori con salmodia del giorno dal salterio
Prima il Signore domanda, e non una volta, ma due e tre volte, quello che già
sapeva, se Pietro lo amava; e per tre volte si sente ripetere da Pietro che lo ama; e per
tre volte fa a Pietro la stessa raccomandazione, di pascere le sue pecore. Così alla
triplice negazione che Pietro pronunziò un tempo, fa riscontro ora la triplice
dichiarazione del suo amore, in modo che la lingua non serva all'amore meno di
quanto servì alla paura e non sembri avergli fatto dire più parole la temuta morte che
la vita presente. Sia dunque impegno dell'amore pascere il gregge del Signore, se il
rinnegare il Pastore era stato indizio di paura.
Coloro che pascono le pecore di Cristo con l'intenzione di condizionarle a se
stessi e di non considerarle di Cristo, dimostrano di amare non Cristo, ma se stessi,
spinti come sono dalla cupidigia di gloria o di potere o di guadagno, non dall'amore
di obbedire, di aiutare, di piacere a Dio. Costoro, cui l'Apostolo rimprovera di cercare
il proprio interesse e non quello di Cristo, devono essere messi in guardia dalle parole
che Cristo ripete con insistenza: Mi ami? Pasci le mie pecore (cfr. Gv 21, 17), che
significano: Se mi ami, non pensare a pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, e
pascile come mie, non come tue; cerca in esse la mia gloria, non la tua, il mio
dominio, non il tuo, il mio guadagno, non il tuo, se non vuoi essere del numero di
coloro che appartengono ai «tempi difficili», di quelli cioè che amano se stessi con
tutto quello che deriva da questo amore di sé, sorgente di ogni male.
Coloro, dunque, che pascono le pecore di Cristo, non amino se stessi, per non
pascerle come loro proprie ma come di Cristo. Il male che più di ogni altro devono
evitare quelli che pascono le pecore di Cristo è quello di ricercare i propri interessi
invece di quelli di Gesù Cristo, asservendo alle loro brame coloro per cui fu versato il
sangue di lui. Colui che pasce le pecore di Cristo deve crescere nell'amore di lui al
punto che l'ardore dello spirito vinca anche quel timore naturale della morte, per cui
non vogliamo morire anche quando vogliamo vivere con Cristo. Ma per quanto
grande sia l'orrore della morte lo deve far vincere la forza dell'amore per colui che,
essendo la nostra vita, ha voluto per noi sopportare anche la morte.
Del resto se la morte comportasse poca o nessuna sofferenza, non sarebbe
grande com'è la gloria dei martiri. Se il buon Pastore che diede la sua vita per le sue
pecore suscitò tra esse tanti martiri, quanto più debbono lottare per la verità contro il
peccato fino alla morte, fino al sangue, coloro ai quali egli affidò le sue stesse pecore
da pascere, cioè da formare e guidare. Davanti all'esempio della passione di Cristo
non è chi non veda che i pastori devono stringersi maggiormente vicino al Pastore
imitandolo, proprio perché già tante pecore seguirono l'esempio di lui: dietro a lui,
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unico Pastore, anche i pastori sono pecore sue egli che per tutti accettò di patire, e, al
fine di patire per tutti, si è fatto lui stesso agnello.
R. Il Signore lo rese glorioso davanti ai potenti, gli diede autorità sul suo popolo * e
gli rivelò la sua gloria, alleluia.
V. Lo scelse come suo servo, per guidare il popolo che gli era caro,
R. e gli rivelò la sua gloria, alleluia.
Oppure
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incontro se non avesse abbandonato subito l'inganno, liberando dalla condanna a
morte i tre ufficiali.
RESPONSORIO
ORAZIONE
Assisti il tuo popolo o Dio misericordioso e per l’intercessione del vescovo san
Nicola che veneriamo nostro protettore, salvaci da ogni pericolo nel cammino che
conduce alla salvezza. Per il nostro Signore.
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6 dicembre
Mercedari: Memoria
Un martire vittima dell’integralismo islamico del lontano 1300; Pedro Pascual (nome
spagnolo) nacque a Valencia verso il 1225 e la sua nascita fu attribuita alle preghiere di s. Pietro
Nolasco per i suoi genitori, da lungo tempo sterili.
I suoi primi studi li fece presso i Benedettini; nel 1241 si recò all’Università di Parigi,
compagno di studio di s. Bonaventura e s. Tommaso, si addottorò nel 1249 e ordinato sacerdote.
Tornato a Valenza venne nominato canonico, dedicandosi alla predicazione, finché nel 1250
entrò nell’Ordine di Maria della Mercede, prese ad insegnare teologia e lettere nel convento di
Saragozza, fra i suoi discepoli ebbe anche Sancio figlio del re Giacomo I, che accompagnò poi a
Viterbo dove il giovane venne nominato vescovo di Toledo da papa Clemente IV, il 31 agosto 1266.
Collaborò con Sancio nella direzione della Diocesi, finché questi caduto prigioniero dei
Mori, venne decapitato nel 1275. Negli anni seguenti Pietro Pascasio percorse la Spagna e il
Portogallo, predicando, portando conforto ai cristiani schiavi degli arabi e costruendo vari conventi
dell’Ordine dei Mercedari, fondato da s. Pietro Nolasco il 10 agosto 1218.
Nel 1291 per conto dell’Ordine, partì per Roma, predicando per tutta la Francia e l’Italia,
arrivando ad Orvieto il 26 agosto 1291, dove si trovava il papa Niccolò IV; nel 1296 era di nuovo a
Roma dove il papa Bonifacio VIII, lo nominò vescovo di Jaén, venendo consacrato nella basilica di
S. Bartolomeo all’isola Tiberina.
Tornato in Spagna lavorò per riordinare la sua diocesi, che era senza vescovo da sei anni, a
causa dell’occupazione dei Mori musulmani. E visitando la diocesi venne catturato dagli arabi nel
1297 e trasportato a Granada sede del re musulmano Moley Mahomed che lo fece suo schiavo, ma
essendo tributario diretto del re di Castiglia, gli diede la libertà di girare per la città a confortare gli
schiavi e istruire i cristiani liberi.
Pietro Pascasio comunicò al papa la sua situazione di prigioniero, il quale scrisse alla curia
di Jaén di raccogliere elemosine per la liberazione del vescovo; per due volte fu raccolta la cifra e
per due volte Pietro preferì utilizzarla per la liberazione di donne e fanciulli in pericolo.
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Nel suo stato di semilibertà poté scrivere vari argomenti teologici e dottrinari, specie
sull’immacolato concepimento della Vergine, anticipando di almeno dieci anni la dottrina di
Giovanni Duns Scoto.
Dalle sue opere si vede la sua conoscenza delle lingue parlate in quell’epoca in Europa, ma
anche dell’arabo, dell’ebraico e aramaico; disputava con giudei e musulmani, confutando i loro
errori dottrinari.
I musulmani irritati dagli attacchi alla loro religione e per il fatto che alcuni di loro si
convertivano, lo rinchiusero in una oscura prigione, condannandolo infine alla pena capitale,
decapitandolo il 6 dicembre 1300. Il suo culto fu confermato con un regolare processo, da papa
Clemente X, il 14 agosto 1670; il ‘Martirologio Romano’ lo celebra al 6 dicembre.
Dal comune dei martiri o dei pastori, con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
Nel nome e a gloria di Dio, creatore e redentore nostro, di colui che è, che fu e che
sarà sempre e che ci ha istruiti con le sue parole dicendo: «lo non godo della morte
dell'empio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva » (Ez 33, 11).
Avendo io notato che molti di coloro che vivono in questa schiavitù, a causa dei
grandi peccati in cui si trovano coinvolti, perdono la speranza nella misericordia di
Dio (come Caino il quale, avendo ucciso il suo fratello Abele, si disperò e andò in
perdizione e come Giuda che, per aver tradito il Signore, si disperò e andò ad
appendersi ad un albero); e inoltre, considerando che, per mancanza di istruzione,
ignorano la legge di Cristo e quella ingannatrice dei mori i quali si compiacciono
nell'allontanare i credenti dalla loro fede, ebbi compassione delle anime dei nostri
cristiani che vedevo perdersi perché ignari della verità. Perciò sperando nell'aiuto
della misericordia di Dio e pieno di fiducia nella sua bontà e nell'insegnamento
lasciatoci nel Vangelo: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo; temete
piuttosto colui che ha il potere sui corpi e sulle anime» (cfr. Mt 10,28), tradussi dal
latino in lingua parlata la storia di Maometto come l'ho trovata nei libri scritti da
alcuni nostri storici. Quindi aggiunsi alcuni passi del Vangelo, delle lettere e dei libri
canonici che si leggono nella Santa Chiesa.
Perciò, amici miei, voi impiegherete più proficuamente i vostri giorni e il vostro
tempo nel leggere o ascoltare questo libro, piuttosto che nel raccontare o ascoltare
storielle. Vi prego quindi e vi esorto di conservarlo, di ascoltarlo e di capirlo, perché
troverete in esso le armi con cui difendervi dai nemici della vostra fede; infatti non
può essere considerato buon cristiano chi non si diletta nell'ascoltare la Parola di Dio.
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Siate coraggiosi e consolatevi nel nostro Signore Gesù Cristo per il cui nome
sopportate variamente le catene, il carcere, la fame e molti altri disagi, burle e
sofferenze. Abbiate pazienza e benedite in tutto e sempre il nome del nostro Signore
Gesù Cristo che vi ha resi partecipi delle tribolazioni dei santi i quali soffrirono simili
pene, ed anche più grandi, per lui; poiché come partecipiamo delle tribolazioni,
parteciperemo anche, senz'alcun dubbio, delle consolazioni che ora godono, se
sopportiamo con pazienza la persecuzione. Questo infatti insegna san Paolo: come
siamo partecipi delle sofferenze, così lo saremo anche della consolazione (cfr. 2 Cor
1, 7).
Quando Dio ci percuote e ci mette alla prova, dobbiamo dire come Giobbe: «Se da
Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male? Il Signore ha dato, il
Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore » (Gb 2, l0; 1, 21). Nostro Signore
Gesù Cristo dice: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà
aperto. Quale padre, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra, se gli chiede
un pesce gli darà un serpe, se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi che
siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste
darà lo Spirito Santo e cose buone ai suoi figli che lo invocano» (cfr. Mt 7, 7 ss.; Lc
11, 9 ss.).
Ecco, dunque, amici miei, il consiglio di nostro Signore Gesù Cristo; mettetelo in
pratica, perché,come si dice, è cosa conveniente credere al consiglio del prudente.
Crediamo perciò al Signore, preghiamolo e invochiamolo con insistenza, ed egli ci
ascolterà. E coloro che non sanno leggere, dicano spesso il Padre nostro, l'Ave Maria
e il Credo.
Io ho fiducia che Gesù Cristo, il quale ci ha redenti e riscattati con il suo sangue
prezioso e ci ha liberati dalla tirannia del demonio, ci libererà molto presto dal potere
di questi suoi e nostri nemici e convertirà la nostra tribolazione in letizia, gaudio e
consolazione sia per i nostri corpi e sia per le nostre anime. Amen.
RESPONSORIO
R. Fratelli, siate coraggiosi e consolatevi nel Signore nostro Gesù Cristo, * per il
quale sopportate catene, carceri, fame, sete e molte altre afflizioni.
V. Abbiate pazienza e benedite in tutto e sempre il nome del nostro Signore Gesù
Cristo,
R. per il quale sopportate catene, carceri, fame, sete e molte altre afflizioni.
Lodi mattutine
O Dio, che in san Pietro Pascasio, insigne assertore della Concezione Immacolata
di Maria, hai dato agli schiavi cristiani un maestro e difensore eroico della fede, fa'
che radicati nella tua Parola, ci mostriamo veri figli di Maria, e viviamo
costantemente la fede che opera per mezzo della carità. Per il nostro Signore.
Vespri
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7 dicembre
Nato a Trèviri verso l'anno 340 da una famiglia romana, studiò a Roma e iniziò la sua
carriera pubblica a Smirnio, nell'odierna Iugoslavia. Nel 374 trovandosi a Milano come governatore
delle province del nord Itala, fu improvvisamente eletto vescovo della città e ordinato il 7 dicembre
di quell'anno. Scrupolosissimo nell'adempimento del suo ufficio, rappresenta la figura ideale del
vescovo, pastore, liturgo, e mistagogo.
Aveva scelto la carriera di magistrato – seguendo le orme del papà, prefetto romano della
Gallia – e a trent’anni si trovava già ad essere Console di Milano, città che era allora capitale
dell’Impero. Così, quel 7 dicembre dell’anno 374, in cui cattolici e ariani si contendevano il diritto
di nominare il nuovo Vescovo, toccava a lui garantire in città l’ordine pubblico, e impedire che
scoppiassero tumulti. L’imprevedibile accadde quando egli parlò alla folla con tanto buon senso e
autorevolezza che si levò un grido: «Ambrogio Vescovo!». E pensare che era soltanto un
catecumeno in attesa del Battesimo! Cedette, quando comprese che quella era anche la volontà di
Dio che lo voleva al suo servizio. Cominciò distribuendo i suoi beni ai poveri e dedicandosi a uno
studio sistematico della Sacra Scrittura. Imparò a predicare, divenendo uno dei più celebri oratori
del suo tempo, capace di incantare perfino un intellettuale raffinato come Agostino di Tagaste, che
si convertì grazie a lui. Da Ambrogio la Chiesa di Milano ricevette un’impronta che si conserva
ancor oggi, anche nel campo liturgico e musicale. Mantenne stretti e buoni rapporti con
l’imperatore, ma era capace di resistergli quand’era necessario, ricordando a tutti che «l’imperatore
è dentro la Chiesa, non sopra la Chiesa».
Le sue opere liturgiche, i commentari sulle Scritture, i trattai ascetico- morali restano
memorabili documenti del magistero e dell’arte del governo. Autore di celebri testi liturgici, è
considerato il padre della liturgia ambrosiana.
Sostenne strenuamente i diritti della Chiesa e difese con gli scritti e con l'azione la dottrina
della vera fede contro gli Ariani. Morì il sabato santo 4 aprile del 397.
A Pisa era esistente nel Medioevo una chiesa dedicata a sant’Ambrogio. Le vittoriose
imprese marittime antisaracene del sec. XI avevano rafforzato notevolmente Pisa sia sul piano
politico sia su quello commerciale e avevano prodotto una forte espansione che dette luogo a vistosi
effetti insediativi e urbanistici, quali la ricostruzione della cattedrale nel 1064, dopo la vittoria su
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Palermo, l'edificazione del tempio civico di San Sisto in Cortevecchia nel 1087, dopo la vittoria di
Mahdia e Zawīla, la nascita del Comune e la continuità del Commune colloquium o Forum Pisane
civitatis con la sede della curia marchionale, presso S. Nicola, prima del trasferimento, nel 1161, nel
cuore della civitas presso la chiesa di S. Ambrogio al Castelletto. Documentata a partire da questa
data, la chiesa di Sant’Ambrogio fu parrocchia e cappella particolare dei soldati che stavano a
guardia degli Anziani della Repubblica (Vita di San Ranieri, p. 610).
Nel 1279 vennero prese in affitto dal comune case-torri private per ospitare la residenza
degli Anziani del Popolo, dando inizio agli accorpamenti edilizi della piazza delle Sette vie (odierna
piazza dei Cavalieri), che sfociarono nella costruzione del palazzo degli Anziani, mentre in
prossimità del nucleo originario di Sant’Ambrogio al Castelletto si svilupparono la cancelleria, il
palazzo del Podestà, la zecca, l'archivio degli atti, le varie curie, la camera del Comune; a Pisa
mancò dunque un palazzo Pubblico con forme peculiari, come a Firenze, a Siena e altrove, e si
verificò una certa dispersione degli edifici pubblici nel tessuto urbano. La piazza della chiesa era
ubicata proprio davanti alla piazza del podestà. Si tratta del primo palazzo del podestà, che allora si
trovava a Nord dell’Arno, e per l’esattezza tra via del Castelletto e via Ulisse Dini. La chiesa di
Sant’Ambrogio, che sarà profanata nel 1785, sorgeva nell’angolo Nord Ovest dell’odierna piazza
del Castelletto.
Dal Comune dei dottori della Chiesa con salmodia del giorno dal salterio
SECONDA LETTURA
Hai ricevuto il sacerdozio e, stando a poppa della Chiesa, tu guidi la nave sui
flutti. Tieni saldo il timone della fede in modo che le violente tempeste di questo
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mondo non possano turbare il suo corso. Il mare è davvero grande, sconfinato; ma
non aver paura, perché "E' lui che l'ha fondata sui mari, e sui fiumi l'ha stabilita"
(Salmo 23, 2).
Perciò non senza motivo, fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta
immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile
contro l'infuriare del mare in tempesta. E' battuta dalle onde ma non è scossa e,
sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con
grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza dove accogliere chi è
affaticato. Se tuttavia essa è sbattuta dai flutti sul mare, pure sui fiumi corre, su quei
fiumi soprattutto di cui è detto: I fiumi hanno innalzato la loro voce (cfr. Salmo 92,
3). Vi sono infatti fiumi che sgorgano dal cuore di colui che è stato dissetato da Cristo
e ha ricevuto lo Spirito di Dio. Questi fiumi, quando ridondano di grazia spirituale,
alzano la loro voce.
Vi è poi un fiume che si riversa sui suoi santi come un torrente. Chiunque abbia
ricevuto dalla pienezza di questo fiume, come l'evangelista Giovanni, come Pietro e
Paolo, alza la sua voce; e come gli apostoli hanno diffuso la voce della predicazione
evangelica con festoso annunzio fino ai confini della terra, così anche questo fiume
incomincia ad annunziare il Signore. Ricevilo dunque da Cristo, perché anche la tua
voce si faccia sentire.
Raccogli l'acqua di Cristo, quell'acqua che loda il Signore. Raccogli da più
luoghi l'acqua che lasciano cadere le nubi dei profeti. Chi raccoglie acqua dalle
montagne e la convoglia verso di sé, o attinge alle sorgenti, lui pure, come le nubi, la
riversa su altri. Riempine dunque il fondo della tua anima, perché il tuo terreno sia
innaffiato e irrigato da proprie sorgenti. Si riempie chi legge molto e penetra il senso
di ciò che legge; e chi si è riempito può irrigare altri. La Scrittura dice: "Se le nubi
sono piene di acqua, la rovesciano sopra la terra" (Qo 11, 3).
I tuoi sermoni siano fluenti, puri, cristallini, si che il tuo insegnamento morale
suoni dolce alle orecchie della gente e la grazia delle tue parole conquisti gli
ascoltatori perché ti seguano docilmente dove tu li conduci. Il tuo dire sia pieno di
sapienza. Anche Salomone afferma: Le labbra del sapiente sono le armi della
Sapienza, e altrove: Le tue labbra siano ben aderenti all'idea: vale a dire, l'esposizione
dei tuoi discorsi sia lucida, splenda chiaro il senso senza bisogno di spiegazioni
aggiunte; il tuo discorso si sappia sostenere e difendere da se stesso e non esca da te
parola vana o priva di senso.
ORAZIONE
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O Dio, che nel vescovo sant'Ambrogio ci hai dato un insigne maestro della
fede cattolica e un esempio di apostolica fortezza, suscita nella Chiesa uomini
secondo il tuo cuore, che la guidino con coraggio e sapienza. Per il nostro Signore.
O Dio, che nel vescovo sant’Ambrogio ci hai dato un maestro della fede
cattolica e un esempio di apostolica fortezza, suscita nella tua Chiesa uomini secondo
il tuo cuore che la governino con coraggio e sapienza. Per il nostro Signore.
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8 dicembre
L'8 dicembre la Chiesa universale è in festa perché celebra la solennità più popolare e più
antica in onore della Vergine Maria, venerata da tutti come l’Immacolata Concezione.
Il motivo di tanta gioia: è una verità meno storica che teologica.
La sua spiegazione è più teologica che biblica, perché legata alla predestinazione del Cristo,
suo figlio venturo. Il riferimento biblico è più indiretto che diretto, pertanto, anche la sua storia è
particolare. La si può dividere in tre periodi: nel primo è intuita con fede e devozione in Oriente
(VI-IX sec.); nel secondo è spiegata teologicamente in Occidente (XI-XIV sec.); e nel terzo è
maturata e definita da papa Pio IX, che coronava così un lungo cammino di fede devozione e
scienza con la bolla Ineffabilis Deus dell’8 dicembre 1854.
La ragione teologica è stata proposta e consegnata alla storia dal francescano Giovanni Duns
Scoto all’inizio del 1307, quando, alla Sorbona di Parigi, difese il privilegio mariano facendolo
scaturire strettamente dal Primato assoluto di Cristo, come naturale suo fondamento e come sua
massima espressione di bellezza. E l’uomo del terzo millennio, se resta fedele a tale interpretazione
cristocentrica, potrà goderlo come erede e fruitore incantato meravigliato e grato di questo
Capolavoro di Cristo, come, a sua volta, Cristo è Capolavoro di Dio.
Anche nell’evoluzione storico-teologica del meraviglioso privilegio mariano si possono
distinguere tre momenti: preistoria storia e metastoria. Il primo momento rimanda al disegno divino
rivelato, specialmente da Paolo (Ef 1, 3-6) e già anticipato nel protovangelo (Gn 2, 18; 3, 15); il
secondo momento abbraccia invece tutta l’avventura storico-sacra, che ha, nella pienezza del tempo
(Gal 4, 4), il suo inizio, e sul Calvario, il suo completamento (Gv 19, 26-27); il terzo momento,
infine, rappresenta, con l’Assunzione, il godimento beato della gloria di Dio nei cieli.
L’idea della massima perfezione di Maria Vergine appartiene tecnicamente al secondo
momento storico della continuità esistenziale di Cristo nella sua Chiesa, attraverso i suoi fedeli. La
100
sua definitiva definizione, perciò, ha alle spalle ben XIX secoli di storia! Cronologicamente, le
prime affermazioni generali in suo onore appaiono indirettamente in Oriente nel secolo II nel
Protovangelo di Giacomo, che parla del parto speciale di Anna: il concepimento e la nascita di
Maria. Al di là di ogni considerazione tecnica, il racconto apocrifo contiene anche delle implicite
istanze teologiche in ordine alla santità di Maria, ma non in ordine alla “concezione verginale”; anzi
quando nel IV sec., si comincia a diffondere per devozione l’espressione “concezione verginale”, si
alzano le prime proteste, come quella di Epifanio, che respinge con decisione tale possibilità in
Anna.
E pur quando, nel VII sec., si comincia a usare il termine “immacolata” in riferimento alla
Vergine Maria, come per es., con papa Onorio I, che scrive al Patriarca Sergio di Costantinopoli:
«Cristo, concepito senza peccato dallo Spirito Santo, è pure nato senza peccato dalla santa e
immacolata Vergine Madre di Dio»; o con il Sinodo Lateranense del 649, che al canone 3 recita:
«Sia condannato chiunque non professi secondo i Santi Padri propriamente e in verità Maria, Madre
di Dio, santa e sempre Vergine e Immacolata»; tuttavia il senso del termine “immacolata” resta
sempre di carattere più spirituale-mistico che teologico.
In Occidente, la celebrazione liturgica della festa dell'Immacolata Concezione di Maria, all'8
dicembre, è documentabile in Inghilterra nel secolo XI, ma trovò una certa resistenza nei teologi.
L’avversione non riguardava certamente la Madonna in sé e per sé, che veniva venerata sempre
come la più sublime delle creature in grazia e bellezza, ma la salvaguardia della dottrina universale
della Redenzione di Cristo: “tutti peccarono e tutti attendono la gloria di Dio… tutti peccarono in
Adamo” (Rm 3, 23; 5, 17).
Di conseguenza, se Maria fosse stata “concepita immacolata”, non
avrebbe avuto bisogno della Redenzione, e così la Redenzione non sarebbe stata più universale,
contraddicendo i testi sacri.
Comunque, è bene precisare ancora. La liturgia della festa dell’Immacolata celebrava la
“nascita” immacolata di Maria e non il suo “concepimento” immacolato, ossia riguardava più
l’aspetto spirituale o di santità, che quello teologico. Come a dire: Maria, concepita come tutte le
creature nel peccato originale, sarebbe stata poi purificata dal peccato dalla grazia dello Spirito
Santo, e nata santa, come anche Giovanni Battista.
Nonostante tutto, la festa liturgica si diffonde celermente in Occidente, prima in Francia e
poi in Italia e così nel resto del continente. All’Università di Parigi, per esempio, gli studenti della
Normandia la scelgono come festa patronale o dei normanni; anche i canonici di Lione l’accolsero
di buon grado nel 1140, benché ben presto ricevettero un aspro rimprovero da parte dell’abate
Bernardo di Chiaravalle, che si meravigliava come mai si siano “trovati dei canonici che vogliono
oscurare lo splendore della chiesa di Lione con l’introduzione di una festa che la Chiesa ignora, che
la ragione disapprova e che la tradizione non raccomanda” (Epistola 174, n. 1).
Che la Chiesa di Roma non ancora celebrasse la festa della Concezione di Maria è
documentato anche da Tommaso d’Aquino: “La Chiesa romana, benché non celebri la Concezione
della beata Vergine Maria, tuttavia tollera la consuetudine di quelle chiese che la celebrano” (ST,
III, q. 27, a. 2, ad 3). L’Ordine francescano, invece, decide, nel Capitolo generale di Pisa del 1263,
di celebrarla in tutte le chiese francescane, senza con questo modificare il valore della stessa festa.
Tutti i Teologi dell’Università di Parigi, infatti, erano contrari a tale festa meno per motivi dottrinali
che spirituali, tanto da costituire una specie di “roccaforte dei macolisti”. Nell’Università di Oxford,
al contrario, alcuni Maestri francescani cominciarono ad aprirsi anche al suo valore teologico,
formando le basi per l’ipotesi degli “immacolisti”, pur non avendo ancora trovato delle ragioni
apodittiche per affermarla.
Tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV secolo, nel 1307, la questione dell’Immacolata
Concezione di Maria registra alcune novità importanti, dovute al francescano Giovanni Duns Scoto,
che la considera non più in sé, ma nel contesto più ampio e specifico del Primato cosmico di Cristo,
ossia nella teoria del cristocentrico ontologico, che ha il suo punto di forza nella “predestinazione
assoluta” di Cristo-Uomo, da cui fa scaturire come corollario anche la “predestinazione di Maria”
nell’unico e medesimo decreto divino.
101
Con questo fondamento cristocentrico, Duns Scoto, nella specifica questione “Se la beata
Vergine Maria sia stata concepita nel peccato originale” (Ordinatio, III, d. 3, q. 1: “Utrum beata
Virgo concepta fuerit in peccato originali?”), imposta la sua soluzione intorno a tre argomenti
specifici: possibilità in Dio di potere santificare nel primo istante; valore universale del peccato
originale e valore universale della redenzione di Cristo; e preservazione dal peccato originale della
Madre di Cristo.
La santificazione di Maria, da tutti affermata, precisa Duns Scoto può avvenire in tre modi:
“post aliquod tempus in peccato”, nell’“unum istans temporis“ e nel “numquam temporis”.
Escludendo le due prime ipotesi, ne accetta la terza, ossia la santità di Maria è fuori dal tempo e da
sempre, cioè eterna, che significa: “Dio nel primo istante della creazione di Maria poté darle tanta
grazia quanta ne dà a chiunque riceve la circoncisione o il battesimo”. In altre parole: il primo
istante storico di Maria coincide con il primo istante della grazia. In questo modo, Duns Scoto si è
assicurato la possibilità della “concezione immacolata”.
Circa l’universalità del peccato originale e della redenzione, Duns Scoto approfondisce il
concetto della “redenzione universale” di Cristo, da tutti ugualmente affermata, introducendo la
specifica novità del valore intensivo. In questo modo si assicura la possibilità di poter estendere il
concetto di redenzione a tutti i gradi possibili, da quello estensivo a quello intensivo (o della
“preservazione”). Da notare che il Maestro francescano afferma tale possibilità non per i meriti di
Maria ex se, ma ex merito alterius, cioè di Cristo.
E infine, nel terzo argomento ancora intorno all’universalità della redenzione di Cristo, Duns
Scoto utilizza lo stesso argomento degli avversari e lo ritorce contro di loro dicendo: “Proprio
dall’universalità della redenzione di Cristo si argomenta che Maria non ha contratto il peccato
originale, perché preservata”. E aggiunge: “E’ un bene maggiore preservare qualcuno dal male, che
permettere che egli incorra nel male e poi liberarlo… Allora a Maria Vergine viene conferito un
bene maggiore preservandola dalla colpa originale, che riconciliarla dopo averla contratta”. E
ancora: “Maria più che mai ha avuto bisogno di Cristo redentore… anzi Maria ebbe massimamente
bisogno del Redentore per non contrarre il peccato… E di più, Maria ebbe bisogno di un Mediatore
che prevenisse il peccato per non doverlo mai subire o contrarre”. E conclude da onesto e umile
saggio: “Quale di queste tre possibilità che ho mostrato si sia verificato in Maria, lo sa solo Dio. Ma
se la mia soluzione non contrasta con l’autorità della Chiesa o quella della Scrittura, sembra giusto
che si debba attribuire a Maria ciò che è più eccellente”.
Da quanto esposto velocemente, si può notare che la soluzione di Duns Scoto è determinante
nella storia del dogma. Difatti, già nel 1307, l’Università di Parigi decreta: “l’8 dicembre,
Concezione della Santa Vergine Maria, non si legge in nessuna facoltà”; nel 1325, Giovanni XXII
celebra “con insolita pomposità” la liturgia in onore della Vergine Immacolata, nella città di
Avignone; Sisto IV negli anni 1480 approva l’“Ufficio e la messa in onore della Concezione
Immacolata”, confermandolo solennemente nel 1483. E dopo alterne vicende, anche tragiche, e
innumerevoli consultazioni di teologi, vescovi e cardinali, si giunge a identificare i cinque
argomenti fondamentali su cui basare il dogma: la convenienza, la Scrittura, la Tradizione, la festa
liturgica, il "sensus fidei". E di fronte a un così plebiscito universale della Chiesa tutta, Pio IX, l'8
dicembre del 1854, con la Bolla Ineffabilis Deus, così definisce: “dichiariamo, affermiamo e
definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per
particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore
del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo
concepimento”.
Nella preparazione del I centenario della proclamazione del dogma dell’Immacolata, Pio XII
indice un Anno Mariano (dicembre 1953-dicembre 1954), già preceduto dalla solenne
proclamazione, il 1 novembre 1950, del dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria al cielo
in anima e corpo, in cui le due verità mariane vengono messe in strettissima relazione:
”l’Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria - così recita la Costituzione apostolica
Munificentissimus Deus - terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima
102
e corpo”. E a conclusione delle celebrazioni centenarie, propone con più chiarezza le ragioni
indirette presenti nella Scrittura, con l’enciclica Fulgens corona, dell’8 settembre 1953; in cui
interpreta come una conferma da parte della Vergine, la sua auto definizione rivelata a Bernardetta:
«Io sono l’Immacolata Concezione».
Anche Giovanni Paolo II, nel 150° anniversario della definizione dogmatica
dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine, l’8 dicembre 2014, nella sua omelia, ha voluto
ricordare due cose importanti: la predestinazione di Maria è strettamente legata alla predestinazione
di Cristo, che viene espressa “con un solo e medesimo decreto”; e Maria ha beneficiato in modo
singolare dell’opera di Cristo quale perfettissimo Mediatore e Redentore che ha redenta in modo
specialissimo sua Madre non permettendo al peccato di poterla toccare: difatti è più perfetta la
redenzione preventiva di quella post peccato.
La conoscenza della storia contribuisce a celebrare meglio il mistero della fede.
La solennità dell'Immacolata Concezione della Vergine Maria è da sempre per tutti i
francescani, ma specialmente per i Frati Minori Conventuali, la festa mariana più significativa e
dunque celebrata con grande devozione e partecipazione in tutte le chiese. Lo stesso San Francesco
infatti, come ricordano i biografi, era " animato da indicibile affetto per la Madre del Signore
Gesù", e pose in tal modo le basi del grande amore con il quale l'Ordine Francescano ha venerato
nei secoli la Madre di Dio, la donna che ha dato a Gesù Cristo "la vera carne della nostra umanità e
fragilità ... rendendolo nostro fratello".
S. Antonio pure scrive pensieri e preghiere stupende alla Vergine e in prossimità della morte
chiede con insistenza di essere ricondotto da Camposampiero a Padova solo per ritornare nella
piccola chiesa, annessa al convento, dedicata a S. Maria Mater Domini; morirà intonando un inno
mariano! Senza dubbio, una delle pagine più belle di questa storia di amore e di affetto dei
francescani per la Madre di Dio, è stata scritta dal beato Giovanni Duns Scoto (1265-1308):
scozzese di nascita, morto nel convento di Colonia in Germania (e sepolto nella nostra chiesa
conventuale) , fu un appassionato difensore del privilegio dell'Immacolata Concezione di Maria.
Duns Scoto, con la sua acuta e sottile intelligenza, ha rivelato il mistero della grazia di Dio
che ha avvolto fin dal primo istante della sua esistenza la donna destinata a diventare la Madre del
Redentore, preservandola dal peccato originale. Come non ricordare poi l'amore appassionato e la
devozione filiale per l'Immacolata che sempre animò e sorresse P. Massimiliano Kolbe, il
francescano conventuale martire ad Auschwitz?!
La Beata Vergine Maria Immacolata è Patrona dell'Ordine Francescano, per il quale è colei
che ha mostrato e donato Gesù, colei che nella Chiesa continua a farlo per i francescani noi e per
ogni uomo.
Nel dopoguerra (1950-1960), a Nord di Pisa, sorse il quartiere residenziale dei "Passi". La
necessità di dotare la nuova zona di un luogo di culto portò alla costruzione di una chiesa
prefabbricata. La parrocchia dell’Immacolata ai Passi fu istituita nel 1961 dall'Arcivescovo di Pisa
Mons. Ugo Camozzo. Intorno agli anni Ottanta del Novecento, su progetto dell'architetto pisano
Giuseppe Callea, fu costruito l'attuale edificio di culto, su progetto dell’architetto Giuseppe Callea,
dedicato alla Beata Vergine Immacolata e consacrato il 27 aprile 1986 dall'Arcivescovo di Pisa
Mons. Benvenuto Matteucci.
103
L'edificio fa parte di un ampio complesso che comprende anche la casa canonica e gli
annessi locali parrocchiali. Le linee architettoniche della struttura sono costituite da un
compenetrarsi di volumi in c.a. che si incastrano tra loro, intervallati da vetrate rivolte verso i
giardini circostanti. Assai lontana dalle forme più tradizionali, la chiesa si riconosce esteriormente
grazie alla presenza del campanile, che svetta al centro dell'edificio. Il complesso si trova al centro
di un lotto di terreno tenuto a verde, delimitato dalle vie Cuoco, Giordani e Galiani, privo di
recinzioni ed accessibile da tutti i lati. L'accesso principale tuttavia è previsto da via Cuoco,
attraverso un percorso che conduce al fianco dell’edificio in corrispondenza di uno slargo asfaltato
che funge anche da parcheggio. Non esiste una facciata principale vera e propria, ma soltanto una
zona di ingresso che è preceduta da un alto portico, formato anch'esso dall’ennesimo volume
cubico. Lo stesso campanile, costituito da setti in c.a., non sfugge a questa caratterizzazione sia
materica che volumetrica. La torre non è dotata di campane, ma di semplici altoparlanti. L’interno,
volume al negativo dell’articolazione spaziale esterna, è uno spazio che converge verso l’altare
centrale, intorno al quale sono disposte le gradonate dei fedeli. La cappella feriale così come la
sacrestia e i locali parrocchiali annessi sono disposti tutt’intorno a questo spazio.
Dall’11 luglio 2020, con decreto dell’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto la parrocchia è
stata unita, insieme con quella di san Pio X, alla parrocchia di Santo Stefano Extra Moenia, per
formare un’unica unità pastorale, con quasi 10000 fedeli. Attualmente è la terza per ordine di
grandezza dopo quelle di San Michele degli Scalzi e della Sacra Famiglia.
La Chiesa della Santissima Concezione, nota anche come Santuario della Madonna
dell’Acqua, si trova a Madonna dell’Acqua, frazione del comune di San Giuliano Terme, ma subito
al confine nord del Comune di Pisa. La chiesa custodisce un’effigie miracolosa della Madonna,
protagonista di una vicenda senza dubbio suggestiva. Nel 1642, presso il ponte che superava il
Fosso di Scolo (fiume morto) detto anche di Scorno esisteva un’immagine della Madonna, protetta
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da una marginetta lignea. L’opera, in maiolica, era ritenuta di scuola francese del XVII secolo (altre
fonti l’attribuirebbero ai Della Robbia).
A seguito della conclusione dei lavori di restauro alla chiesa della Santissima Concezione, il
15 settembre 2013, il Santuario di Madonna dell'Acqua è stato inaugurato alla presenza
dell’Arcivescovo di Pisa Mons. Giovanni Paolo Benotto. L'intervento, durato otto mesi, ha
riguardato sia la parte interna che la parte esterna dell’edificio e, in particolare, le strutture murarie,
il tetto, le vetrate, i portoni, il pavimento e gli affreschi.
Jacubieh è un villaggio siriano, raccolto attorno al convento francescano e alla chiesa latina,
titolati ambedue all’Immacolata Concezione. Il Terra Santa College si trova a Gerusalemme, e
accoglie sacerdoti e religiosi che frequentano lo Studium Biblicum Franciscanum. Questa solennità
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ha radici profonde nel cuore e nella mente dei cristiani di Terra Santa. Dirà papa Benedetto XVI
(Udienza generale 7.7.2010): Teologi di valore, come Duns Scoto circa la dottrina sull’Immacolata
Concezione, hanno arricchito con il loro specifico contributo di pensiero ciò che il Popolo di Dio
credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni
dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. È Dio che si rivela ai piccoli, facendoli partecipi dei suoi
misteri: Pensiamo a santa Bernardette Soubirous, aggiunge quindi papa Benedetto.
Per Duns Scoto l’Immacolata Concezione rappresenta il capolavoro della redenzione operata
da Cristo, perché proprio la potenza del suo amore e della sua mediazione ha ottenuto che la Madre
fosse preservata dal peccato originale. I francescani accolsero e diffusero con entusiasmo questa
dottrina. Giovanni Duns Scoto è stato beatificato il 20 marzo 1993 da san Giovanni Paolo II che
l’ha definito cantore del Verbo incarnato e difensore dell’Immacolata Concezione.
Primi Vespri
INNO
107
Spezza i legami agli oppressi,
rendi la luce ai ciechi,
scaccia da noi ogni male,
chiedi per noi ogni bene.
RESPONSORIO BREVE
INTERCESSIONI
O Dio, operatore di prodigi, che hai concesso alla santa Vergine Maria di
condividere, nell'anima e nel corpo, la gloria del Cristo risorto,
— guidaci alla gloria imm ortale.
Tu, che ci hai dato Maria per madre, concedi per sua intercessione la salute ai
malati, il conforto agli afflitti, il perdono ai peccatori,
— dona a tutti pace e salvezza.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che nell'immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna
dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l'hai preservata da ogni
macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te
in santità e purezza di spirito. Per il nostro Signore.
INVITATORIO
INNO
In te vinta è la morte,
la schiavitù è redenta,
ridonata la pace,
aperto il paradiso.
O Trinità santissima,
a te l'inno di grazie,
per Maria nostra Madre,
nei secoli dei secoli. Amen.
PRIMA LETTURA
111
Dalla lettera ai Romani di san Paolo, apostolo 5, 12-21
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il
peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno
peccato. Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può
essere imputato quando manca la legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche
su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il
quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo
morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo
uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini. E non è
accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il giudizio partì da un
solo atto per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la
giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel
solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono
della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la
condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini
la giustificazione che dà vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti
sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno
costituiti giusti.
La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è
abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva
regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per
mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
R. Per colpa di un uomo il peccato entrò nel mondo, perché tutti hanno peccato. *
Non temere, Maria: tu hai trovato grazia davanti a Dio.
V. Il Signore ti ha liberata dalla morte, ti ha protetta contro il nemico.
R. Non temere, Maria: tu hai trovato grazia davanti a Dio.
SECONDA LETTURA
INNO Te Deum
Lodi mattutine
INNO
O Donna gloriosa,
alta sopra le stelle,
tu nutri sul tuo seno
il Dio che ti ha creato.
114
Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o
Israele: "Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi
appartieni.
RESPONSORIO BREVE
INVOCAZIONI
Sole di giustizia, che hai voluto farti precedere da Maria immacolata, mistica aurora
della redenzione,
- fa' che camminiamo sempre nella luce della tua presenza.
Verbo eterno, che hai scelto Maria come arca santa per la tua dimora fra noi,
- liberaci dalla corruzione del peccato.
Salvatore nostro, che hai voluto la Madre tua ai piedi della croce, unita nell'offerta del
sacrificio,
- fa' che comunichiamo, per sua intercessione, al mistero della tua passione e della tua
gloria.
Gesù buono, che mentre pendevi dalla croce, hai dato per madre a Giovanni la
Vergine addolorata,
- concedi a noi la grazia di vivere come suoi veri figli.
Padre nostro.
Oppure:
115
Ringraziamo il nostro Salvatore che in Maria Ver-gine, ci ha dato una mediatrice
potente e pre-ghiamo con fiducia.
Interceda per noi la Madre tua, o Signore.
Salvatore del mondo, che per i meriti della redenzione hai preservato la Madre tua da
ogni contagio di colpa,
— conservaci liberi dal peccato.
Redentore nostro, che in Maria, eletta come santuario dello Spirito Santo, hai posto la
sede purissima della tua dimora fra noi,
— trasformaci in tempio vivo del tuo Spirito.
Verbo eterno, che a Maria, vergine sapiente, hai insegnato a scegliere la parte
migliore,
— aiutaci a cercare sempre la parola di vita eterna.
Re dei re, che hai assunto accanto a te nella gloria, in corpo ed anima, Maria tua
madre,
— fa' che la nostra vita sia sempre orientata verso di te.
Signore del cielo e della terra, che hai incoronato Maria regina dell'universo,
ponendola alla tua destra,
— donaci di condividere la sua gloria.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che nell'immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna
dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l'hai preservata da ogni
macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te
in santità e purezza di spirito. Per il nostro Signore.
Ora media
116
Salmodia complementare; in luogo del salmo 121 si può dire il 128, e in luogo del
126, il 130.
Terza
LETTURA BREVE Ef 1, 4
In Cristo, Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e
immacolati al suo cospetto nella carità.
Sesta
In Cristo noi siamo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera
efficacemente, conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria.
Nona
Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, al fine
di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o
alcunché di simile, ma santa e immacolata.
RESPONSORIO
INTERCESSIONI
Uniti nella preghiera di lode, rendiamo grazie a Dio che ha voluto Maria amata e
venerata da tutte le generazioni. Diciamo con fiducia:
Maria piena di grazia interceda per noi.
Hai reso forte Maria ai piedi della croce e l'hai colmata di gioia nella risurrezione del
tuo Figlio,
- sostienici fra le prove della vita e rafforzarci nella speranza.
In Maria, attenta alla tua parola e serva fedele della tua volontà, ci mostri il modello e
l'immagine della santa Chiesa,
- per sua intercessione rendici veri discepoli del Cristo tuo Figlio.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che nell'immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna
dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l'hai preservata da ogni
macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te
in santità e purezza di spirito. Per il nostro Signore.
119
9 dicembre
Nel dicembre 1531 la Madonna apparve a Guadalupe, in Messico, scegliendo come suo
interlocutore un povero indio, Juan Diego, nato verso il 1474 e morto nel 1548, che prima di
convertirsi al cattolicesimo portava un affascinante nome azteco, Cuauhtlotatzin, che sta a
significare “colui che parla come un’aquila”.
Con lo sbarco degli spagnoli nelle terre del continente latino-americano aveva avuto inizio la
lunga agonia di un popolo che aveva raggiunto un altissimo grado di progresso sociale e religioso. Il
13 agosto 1521 segno’ il tramonto di questa civiltà. Tenochtitlan, la superba capitale del mondo
atzeco, fu saccheggiata e distrutta. L’immane tragedia che ha accompagnato la conquista del
Messico da parte degli spagnoli, sancisce per un verso la completa caduta del regno degli aztechi e
per l’altro l’affacciarsi di una nuova cultura e civiltà originata dalla mescolanza tra vincitori e vinti.
E’ in questo contesto che, dieci anni dopo, va collocata l’apparizione della Madonna a un povero
indio di nome Juan Diego, nei pressi di Città del Messico.
Cuauhtlotatzin fu tra i primi a ricevere il battesimo, nel 1524, all’età di cinquant’anni, con il
quale gli fu imposto il nuovo nome cristiano di Juan Diego, e con lui venne battezzata anche la
moglie Malintzin, che prese a sua volta il nome di Maria Lucia. Il neoconvertito si distingueva in
mezzo agli altri per la sollecitudine nel frequentare la catechesi e i sacramenti, senza badare ai
sacrifici che questo richiedeva: si poneva in cammino fin dalle prime ore del giorno per raggiungere
Santiago di Tlatelolco, dove i francescani radunavano gli indigeni per catechizzarli. Rimasto
vedovo dopo solo quattro anni, Juan Diego orienta la sua vita ancora più decisamente verso Dio:
trascorre tutto il suo tempo fra il lavoro dei campi e le pratiche della religione cristiana, fra cui
l’ascolto della catechesi impartita agli indigeni convertiti dai missionari spagnoli. Conduce una vita
esemplare che edifica molti. L'esperienza eccezionale vissuta sul Tepeyac s'inserisce in un’esistenza
gia’ trasformata dalla grazia del battesimo e cementata dall’incontro con la Madre di Dio che ne
potenzia in modo straordinario il cammino di fede, fino a spingerlo ad abbandonare tutto, casa e
terra, per trasferirsi in una casetta che il vescovo Zumàrraga gli ha fatto costruire a fianco della
cappella eretta in onore della Vergine di Guadalupe.
Qui Juan Diego vive per ben 17 anni in penitenza e orazione, assoggettandosi agli umili
lavori di sagrestano, senza mai mancare al suo impegno di testimoniare quanto Maria ha fatto per
lui e può fare per tutti quelli che con affetto filiale vorranno rivolgersi al suo cuore di Madre.
120
La morte lo coglie nel 1548, quando ha ormai 74 anni. La sua fama di santità, che già
l’aveva accompagnato in vita, cresce nel tempo fino ai nostri giorni, finchè nel 1984 si dette
finalmente inizio alla sua causa di beatificazione e si pose mano all'elaborazione della Positio,
orientata a comprovarne non solo il culto, da tempo immemorabile, ma anche a dimostrare le virtu’
del servo di Dio e a illustrarne la vita, separate il più possibile dal fatto guadalupano. Attraverso una
solida base documentale si voleva cioè dimostrare che Juan Diego, per i suoi soli meriti di cristiano,
era degno di assurgere agli onori degli altari, finché – al termine di un complesso iter ecclesiastico -
con il decreto Exaltavit humiles (6 maggio 1990), se ne è finalmente concessa la memoria liturgica,
fissata al 9 dicembre, data della prima apparizione della “Morenita”. Giovanni Paolo II ha
dichiarato beato il veggente Juan Diego nel 1990, per proclamarlo infine santo nel 2002.
Dal Comune dei Santi, per un santo con salmodia del giorno dal salterio
SECONDA LETTURA
La lettura può essere presa dal Comune dei santi. Di seguito si riporta la traduzione
del testo latino.
“Ha innalzato gli umili” (Lc 1, 52): lo sguardo di Dio Padre si è rivolto verso
un umile indigeno messicano, appunto Giovanni Diego, che arricchì con il dono di
rinascere in Cristo, di contemplare il volto della beata Vergine Maria e di prestarsi
all’opera associata per l’evangelizzazione del continente americano. Da questo si
scopre apertamente ciò che siano le parole vere, con le quali l’Apostolo Paolo
insegna il metodo di portare a termine la salvezza divina.
“Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per
ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1
Cor 1, 28-29). Questo beato, il cui nome tramandato è Cuauhtlatoatzin, che signi fica
per sé «aquila parlante», nacque all’incirca nell’anno 1474 nel paese di Cuauhtitlan,
presso il regno comunemente noto come Texcoco. Quando fu adulto e unito in
matrimonio, abbracciò il Vangelo e insieme con la moglie fu lavato con l’acqua
battesimale, proponendosi di vivere alla luce della fede e secondo gli obblighi assunti
davanti a Dio e alla Chiesa.
Nell’anno 1531 nel mese di dicembre, facendo il cammino verso il paese di
Tlatelolco, sulla collina, che è chiamata Tepeyac, si vide la vera Madre di Dio
visibile, che gli diede l’incarico di chiedere al vescovo messicano di erigere un
tempio nel luogo dell’apparizione. Il sacro presule, per le pronte insistenze
dell’indigeno, richiese da lui una prova evidente dell’evento straordinario. Il giorno
121
12 del mese di dicembre la beatissima Vergine Maria si fece visibile per la seconda
volta a Giovanni Diego, lo consolò e lo invitò a recarsi sulla cima della collina
Tepeyac, per raccogliere fiori e riportarli. Benché apparisse un freddo invernale e
l’aridità del luogo, il beato trovò i fiori più belli, che mise nel mantello e portò alla
Vergine. Lei poi gli ordinò di consegnarli al vescovo così, come segno di verità.
Stando davanti a lui, Giovanni Diego aprì il mantello e lasciò cadere i fiori; in
quell’istante apparve sulla tessitura del mantello, mirabilmente impressa, l’immagine
della Vergine di Guadalupe, che da quel momento quindi fu fatta centro spirituale
della nazione.
Costruito il tempio in onore della "Signora dei cieli", il beato, spinto insieme
da altissima pietà, lasciò ogni cosa e spese la vita in quel piccolo santuario e
custodendo i pellegrini da accogliere. Percorse la via della santità nella preghiera e
nella carità, attingendo forza dal convito eucaristico del nostro Redentore, dal culto
alla Madre del Redentore, dalla comunione con la Santa Chiesa e anche
dall’obbedienza ai sacri Pastori. Tutti qui lo cominciarono a conoscere per lo
splendore delle virtù, particolarmente della fede, della speranza, della carità,
dell’umiltà e sono ammirati per il disprezzo delle cose terrene.
Giovanni Diego osservò fedelmente il Vangelo nella semplicità della vita
quotidiana, senza ri fiutare la sua condizione indigena, assolutamente consapevole
che Dio tralascia la distinzione di stirpi o di cultura e invita tutti, af finché siano resi
suoi figli. In questo modo il beato rese più facile la via, per la quale le genti indigene
messicane e del Nuovo Mondo avrebbero iniziato l’incontro con Cristo e con la
Chiesa. Verso l’ultimo giorno della vita avanzò sempre con Dio, che lo chiamò a sé
nell’anno 1548. La sua memoria, che è riferita sempre all’apparizione di Nostra
Signora di Guadalupe, oltrepassa i secoli e raggiunse le diverse regioni della terra.
R/. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ciò che è nulla, *
perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio
V/. Ha spiegato la potenza del suo braccio e ha innalzato gli umili.
R/. Perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio
ORAZIONE
122
9 dicembre
Padre Bernardo di Gesù Silvestrelli, al secolo Cesare, figura che primeggia nella
congregazione dei Passionisti perché considerato come il secondo fondatore, nacque il 7 novembre
1831 a Roma in piazza della Minerva. Il padre, Giantommaso, era un nobile e ricco signore di
Tuscania; la madre, Teresa Gozzani, era marchesa di San Giorgio di Casale Monferrato, in
provincia di Alessandria. Cesare era terzo di sette figli. Venne battezzato lo stesso giorno della
nascita con i nomi di Cesare, Pietro e ricevette la Cresima il 7 giugno 1840. I Silvestrelli avevano
una cappella di famiglia e un precettore ecclesiastico per l’assistenza scolastica e la formazione
cristiana dei figli, studi che per Umberto si conclusero poi al Collegio Romano dei Gesuiti, oltre a
frequentare l’Oratorio del Caravita (1840-1847).
Il 13 agosto 1848 rimase orfano della madre l’11 novembre 1853 del padre.
All’età di 23 anni gli accadde di sostare, durante una battuta di caccia, in un istituto
passionista di Sant’Angelo sul Fogliano. Rimase così profondamente colpito dalla spiritualità che
qui vi regnava da decidere di entrare nell’Ordine fondato da San Paolo della Croce nel 1720.
Entrato nella casa del noviziato passionista di San Giuseppe sul Monte Argentario (GR) il
25 marzo 1854, iniziò il periodo di formazione con il nome di Luigi del Sacro Cuore di Maria il 7
aprile 1854; ma il 3 maggio 1854 fu costretto ad interrompere il noviziato per motivi di salute.
Ottenne dal Superiore Generale la facoltà di essere ospite della comunità della Presentazione,
sempre al monte Argentario e qui studiò teologia.
Fu ordinato sacerdote da Monsignor Giuseppe Molaioni, Vescovo passionista, il 22
dicembre 1855. Continuò lo studio della teologia e decise di affrontare nuovamente il noviziato,
entrando nella casa di Morrovalle il 1° aprile 1856, dove, il 6 settembre arrivò pure Francesco
Possenti, il futuro San Gabriele dell’Addolorata (1838-1862). Emise la professione religiosa il 28
aprile 1857, prendendo di l nome di Bernardo di Gesù. Si perfezionò negli studi sotto la guida del
padre Salviano di San Luigi dal 1857 al 1860.
123
Sono gli anni della persecuzione ai danni della Chiesa da parte dei liberali e dei massoni:
uccisioni, esili, confisca dei beni, occupazione territoriale… il Beato Papa Pio IX e con lui la Chiesa
tutta vengono travolti dal sopruso, dalle calunnie della carta stampata, dalla violenza e dal sangue.
Il 29 maggio 1869 Padre Bernardo è a Roma come Superiore della Casa Generalizia dei Santi
Giovanni e Paolo al Celio e il 19 settembre del 1970 è a fianco di Pio IX per confortarlo e con lui
sale in ginocchio gli scalini della Scala Santa. Il 20 settembre i Bersaglieri assaltano Porta Pia ed è
la fine del potere temporale del Vaticano. Roma diviene capitale d’Italia e Vittorio Emanuele II, il
Re che ha tradito una lunga e intensa storia di fedeltà alla Chiesa intessuta proprio dal Casato che
egli indegnamente ha ereditato e che ora indegnamente rappresenta, prende la residenza ufficiale al
Quirinale, dove avevano abitato trenta Sommi Pontefici, da Gregorio XIII a Pio IX. Con il colle del
Quirinale i papi erano in più agevole contatto con le sedi delle congregazioni pontificie in cui la
Curia si era riarticolata negli ultimi decenni del Cinquecento. Il Quirinale divenne così di fatto la
residenza del Pontefice nella sua qualità di sovrano, complementare a quella del Vaticano, che
costituiva la sede del Papa Vescovo. Con la proclamazione della Repubblica Italiana, il Palazzo
divenne la sede del presidente della Repubblica.
Nonostante le rivoluzioni e la drammatica situazione della Chiesa, Padre Bernardo di Gesù
seppe coordinare al meglio le mansioni che gli spettavano di volta in volta. Fu direttore e insegnante
degli studenti passionisti a Morrovalle dal 1860 al 1864, quindi maestro dei novizi alla Scala Santa
a Roma dal 1865 al 1869, e poi rettore dello stesso Santuario della Scala Santa. Primo consultore
provinciale nel 1876, guidò la Provincia religiosa romana dal 1869 al 1878, anno nel quale il
Capitolo generale dei Passionisti lo elesse Preposito Generale dell’Ordine, per essere poi
nuovamente rieletto per quasi 30 anni, eccetto due brevi interruzioni, fino al 1907. La sua paternità
fu mirabile sia nelle relazioni con le anime, sia negli atti, come dimostrò ampiamente mettendo a
disposizione dell’Ordine, drammaticamente provato dalla soppressione delle corporazioni religiose
voluta dai governi post-unitari, il suo ricco patrimonio familiare.
I Passionisti, grazie alla sua guida, alle sue doti e alla sua munificenza, si risollevò e rifiorì:
aveva trovato sei province religiose al suo arrivo e nel 1905 divennero dodici, mentre i religiosi, da
750 unità giunsero a 1490. Aprì nuove case sia in Italia che oltre confine: Inghilterra, Irlanda,
Francia, Olanda, Belgio, Spagna, Australia, Stati Uniti, Argentina, Messico. Il prodigioso
moltiplicarsi della realtà passionista lo rese un secondo San Paolo della Croce. Fu stimato e
apprezzato da Vescovi e Cardinali e nei suoi confronti, sia Leone XIII (che lo chiamava «santissimo
uomo») che San Pio X (che ai Passionisti diceva: «Voi avete un santo per superiore generale»)
ebbero sempre ammirazione ed affetto. Più volte gli venne offerta la berretta cardinalizia, ma
sempre l’umile Padre Bernardo di Gesù la rifiutò.
Sostenne economicamente non solo il suo Ordine, ma anche, con l’autorizzazione del Papa,
le realtà religiose in difficoltà. Molto attive furono sotto il suo governo le missioni popolari dei
Passionisti. A lui si deve la creazione della Casa di studio attigua alla Scala Santa di Roma, ma
anche l’acquisto del terreno dove s’innalzerà il Santuario della Madonna delle Grazie a Nettuno, poi
consacrato a Santa Maria Goretti (1890-1902), dove riposa. Don Temistocle Signori, canonico della
Collegiata di San Giovanni per quarant’anni, nonché arciprete parroco di Nettuno dal 1882 al 1919,
stabilì con Padre Berarnardo un’intesa spirituale e di apostolato di grande valore. Fu proprio lui, nel
1882, ad invitare a Nettuno i Passionisti, ai quali affidò la cura del Santuario della Madonna delle
Grazie. E fu ancora Don Signori a raccogliere il perdono di Marietta Goretti per il suo assassino
Alessandro Serenelli.
Padre Bernardo di Gesù fu anche autore di molte biografie di religiosi dell’Ordine
passionista e che raccolse in due volumi, datati 1932 e 1938; inoltre redasse il trattato dei
Trattenimenti spirituali ad uso dei Novizi Passionisti.
Ma, ad un certo punto sentì l’urgenza di separarsi dal mondo completamente e di ritirarsi
nella vita contemplativa del convento di Sant’Eutizio di Ferento, là dove aveva conosciuto i
Passionisti. San Pio X accolse a malincuore la sua richiesta di esonerarlo dall’incarico il 7 luglio
1907. Ormai la fama di santità di Padre Bernardo, definito «la Regola vivente», si era estesa, perciò,
124
sapendo della sua presenza nel convento di Ferento (a 5 chilometri dal centro di Soriano nel
Cimino, in provincia di Viterbo) la gente andava a cercarlo continuamente. Fu così che Padre
Bernardo lasciò quel luogo e andò a rifugiarsi, per stare unicamente con Dio, nell’eremo di
Moricone, presso Roma, dove giunse il 16 giugno 1911.
Ma il 9 dicembre 1911, mentre si trovava sulla scalinata dell’eremo, cadde all’indietro. Fu
inutile ogni soccorso e, pregando, morì, come aveva predetto. I suoi resti mortali furono in seguito
traslati dal cimitero di Moricone alla chiesa dei Passionisti il 17 aprile 1931. Trovarono il suo corpo
incorrotto e lo collocarono solennemente in un monumento marmoreo.
La causa di beatificazione venne introdotta il 13 febbraio 1942. Paolo VI approvò le virtù in
grado eroico e lo dichiarò Venerabile il 18 ottobre 1973. Venne riconosciuto il miracolo che aprì la
via alla beatificazione: Giuseppe Gerardi di Nerola fu guarito istantaneamente e completamente da
un cancro all’intestino il 27 maggio 1987. Giovanni Paolo II lo beatificò il 16 ottobre 1988, insieme
al confratello Padre Carlo Houben (1821-1893), poi canonizzato da Benedetto XVI il 3 giugno
2007. Oggi in molti si attende la canonizzazione di Padre Bernardo di Gesù Silvestrelli. Un giorno,
pensando a San Gabriele dell’Addolorata, aveva detto: «Quel ragazzo me l’ha fatta, ma io lo
raggiungerò».
INNO
Ospitato tra i boschi in convento,
la preghiera notturna lo sveglia
e gli pone nel cuore un tormento
di lasciare per sempre il suo mondo.
125
Lode al Padre, a Gesù Redentore
all’amor dello Spirito Santo
che nei secoli eterni risplende
nella luce infinita dei cieli. Amen
SECONDA LETTURA
Dai «Trattenimenti spirituali, ad uso dei novizi passionisi» del beato Bernardo Maria
di Gesù.
(Tratt. VI, pp. 177-179, Roma 1886)
Chi siamo noi? Non ci chiamiamo forse «Passionisti», ossia religiosi della
Passione di Gesù Cristo? Così per certo: tale è il nostro nome; e perché tutto sia
coerente al nome, ecco che andiamo vestiti di una tonaca nera come in segno di lutto,
e portiamo sul petto uno stemma dove è stampato il titolo della Passione di Gesù
Cristo, quasi per mostra della nostra divisa e della nostra bandiera. Tutto ciò v'indica
chiaro, dilettissimi, che la nostra Congregazione si distingue dalle altre religioni in
questo appunto, di professare uno speciale attaccamento, una devozione singolare al
mistero della Passione del divin Redentore.
Aggiungete che da tutti noi, nella professione, si esige, oltre i tre consueti voti
comuni ad ogni religione, se ne faccia un altro, e con esso si prometta a Dio di
propagare con ogni sollecitudine nei cuori dei fedeli questa devozione a Gesù
appassionato. Cosa che pur dimostra chiaramente che tal devozione è la nostra
caratteristica, il nostro distintivo, il fine particolare del nostro Istituto. L'idea di
stabilire questa nuova Congregazione nella Chiesa di Dio venne appunto al nostro
santo Padre e Fondatore per dare uno sfogo all'ardentissimo desiderio che gli
bruciava il cuore di vedere in qualche modo compensato l'amore che ci aveva portato
Gesù Cristo nel patire tanto per noi.
Se il Signore ha dato a voi, dilettissimi, questa vocazione, è un segno evidente
che vi vuole imbevuti in questo spirito, che esige da voi questa devozione particolare.
Vedete là Gesù Cristo Signor nostro che s'incammina co' suoi discepoli all'orto
del Getsemani? Giunto sul limitare di quell'orto licenzia tutti, e tre soli ne sceglie per
recarsi con loro più addentro, ed ivi averli spettatori e compagni delle sue penose
agonie. Vedete ancor là sul Calvario come sceglie il solo Giovanni per farlo partecipe
delle sue ultime testimonianze di amore, e fargli raccogliere i suoi estremi affannosi
sospiri? Ebbene ecco appunto, figlioli, figurata la nostra vocazione; ecco
l'incombenza alla quale siamo stati chiamati, non dirò solo fra i cristiani, ma fra tutti
eziandio i religiosi: di tener cioè una speciale compagnia a Gesù appassionato, di
starcene più d'appresso degli altri al Crocifisso, per assaporare con più gusto l'amaro
126
delle sue pene, per compatire con maggior tenerezza i suoi dolori, e per essere
riscaldati con maggior forza ed efficacia del santo amore di lui.
Ma se ciò è indubitato, voi vedete la legittima conseguenza che ne viene. Infatti
se noi dobbiamo per obbligo di stato tenere compagnia a Gesù penante, compatirlo
nei suoi dolori, ed onorarne la Passione, se a noi incombe in modo speciale di essere
imbevuti di questa devozione, ed acquistare capacità d'imprimerla ancora negli altri,
ne segue per necessità, che dunque siamo obbligati ad usare di quei mezzi che sono
propri ed indispensabili per raggiungere il fine anzidetto. Ora quale altro mezzo più
efficace si può dare fuori dell'orazione? Dell'orazione, dico, fatta col meditare
appunto assiduamente e di proposito questo gran mistero, di un Dio che ha patito ed è
morto per amor nostro? Ecco, miei dilettissimi, la conseguenza legittima della nostra
vocazione.
Iddio ci ha chiamati ad essere Passionisti, dunque dobbiamo attendere con tutta
la premura a riuscire veri devoti della Passione del Signore, intimi compagni di Gesù
appassionato, sinceri e fervorosi amanti del Crocifisso. E perciò bisogna che sopra
ciò facciamo orazione, per acquistare quei lumi che ci debbono far conoscere i
misteri profondi che sono racchiusi nella Passione di Gesù Cristo, e ricavarne insieme
quei motivi che sono capaci di riscaldare il nostro cuore di santo amore.
Lodi mattutine
INNO
Ospitato tra i boschi in convento,
la preghiera notturna lo sveglia
e gli pone nel cuore un tormento
di lasciare per sempre il suo mondo.
INVOCAZIONI
Raccolti nella liturgia di lode, invochiamo Dio nostro Padre perché ci aiuti a servirlo
in santità e giustizia tutti i giorni della nostra vita: Santifica il tuo popolo, Signore.
Hai chiamato il beato Bernardo a seguirti più da vicino nella pratica dei consigli
evangelici,
- attiraci a te, o Signore, con la forza del tuo amore.
Hai ispirato al beato Bernardo di abbandonare tutto per accogliere il tuo amore come
unico bene,
- libera il nostro cuore dalla schiavitù dei beni terreni e donaci di godere la
beatitudine della povertà evangelica.
Hai concesso al beato Bernardo di essere educatore saggio e guida paterna dei suoi
fratelli,
- concedi la tua luce e la sapienza del cuore a quanti sono chiamati a svolgere il
servizio dell’autorità.
Hai dato al beato Bernardo la grazia di servirti con cuore generoso e fedele e di
spendere la sua vita per il bene del prossimo,
- accresci in tutti noi il desiderio di amarti sopra ogni cosa e di servirti nei nostri
fratelli.
Padre nostro
ORAZIONE
Signore, nostro Dio, che nel beato Bernardo Maria, sacerdote, hai infuso un
amore ardente per Cristo Crocifisso e un totale distacco dai bene terreni; per il suo
esempio e la sua intercessione, concedi a noi che, nell’assiduo ricordo della Passione
di Gesù, possiamo godere la beatitudine della povertà evangelica e amare te come
unico e sommo Bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Vespri
INNO
Ospitato tra i boschi in convento,
la preghiera notturna lo sveglia
e gli pone nel cuore un tormento
di lasciare per sempre il suo mondo.
INTERCESSIONI
Dio, nostro Padre, offre a ogni uomo la grazia del suo Figlio Crocifisso e risorto. Per
l'intercessione del beato Bernardo effonda su di noi lo Spirito santificatore e ascolti la
nostra preghiera: Santifica il tuo popolo, Signore.
O Signore, tu hai fatto del beato Bernardo una guida illuminata e paterna dei suoi
fratelli,
- fa' che tutti i pastori della tua Chiesa seguano l'esempio di Cristo buon Pastore.
O Signore, tu ci inviti al distacco dai beni della terra, per aderire a Te con tutto il
cuore,
- donaci di cercare Te Sommo Bene e sorgente di pace e di gioia.
O Signore, tu sei ricco di misericordia e largo nel perdono verso tutti i tuoi figli,
- rivela la luce del tuo volto ai defunti della famiglia passionista e a tutti i defunti.
Padre nostro
Si riportano ancora alcuni insegnamenti del Padre Bernardo di Gesù dove viene
espresso il valore dell’orazione mentale, atto indispensabile al clero, ai religiosi, ai
fedeli, in tutti i tempi.
130
Dai «Trattenimenti spirituali, ad uso dei novizi passionisi» del beato Bernardo Maria
di Gesù.
(cap. I, § 2)
È un difetto pressoché universale il non sapere che cosa sia, e molto più come
si pratichi l’esercizio dell’orazione mentale. Il peggio si è che quasi nessuno si dà
premura d’istruirsene, perché o si disprezza del tutto, o non si crede necessaria,
ovvero si sta persuasi che appartenga esclusivamente ai religiosi ed alle monache.
Quindi l’orazione che sanno fare le persone, anche buone, si riduce alla recita di
preghiere, ossia all’orazione vocale, o tutt’al più alla lettura di qualche libro
spirituale. Quali però e quanti siano i danni che provengono da questa ignoranza, non
si può meglio esprimere che colle parole del profeta Geremia: Desolatione desolata
est omnis terra, quia nullus est qui recogitet corde: tutta la terra è in una lagrimevole
desolazione, perché non v’ha alcuno che riconcentrandosi in sé si applichi alla
considerazione. E difatti da tutti si crede di dover morire, ma da pochissimi si pensa a
prepararvisi, ed a prevedere le conseguenze. Si crede che vi è un inferno; ma
generalmente non si considera che cosa sia, quanto vi si patisce, e che vi si può
cadere da un momento, all’altro. Si crede, ed anche da tutti si spera un paradiso; ma
quasi nessuno pensa a guadagnarselo. Così pure si crede che un Dio ha patito, ed è
morto per noi; ma non si pondera quanto ha patito, e le ragioni per cui egli ha patito.
Si crede che Dio ci ami, ci benefica; ma non si considera l’obbligo gravissimo che si
ha di riamarlo e di servirlo. Insomma ecco il danno che ci viene dal difetto
dell’orazione mentale: si ha la fede, ma una fede sterile; si crede, ma non si opera in
conformità di quello che si crede.
Questa è la ragione per cui non solo tra gl’infedeli, ma eziandio tra i cristiani
regna tanta indifferenza per le cose dell’anima, per cui si fa poco, o niun conto della
legge santa di Dio, si disprezzano le pratiche di religione; a dir breve, questa è la
ragione di tutti i mali che succedono. Non occorre cercarne altre, perché tutte si
riducono a questa: non si riflette, non si considera la verità delle cose eterne e
spirituali, e perciò si cerca soltanto di vivere alla meglio, e poi quel che sarà, sarà. E
notate che non parlo solamente dei semplici secolari, parlo di tutti. Un’anima senza
orazione, diceva S. Teresa, è come un corpo paralitico e storpiato, che sebbene ha
piedi e mani, di essi però non si può servire. E voleva dire: è inutile che: un’anima si
metta in capo di spogliarsi dei vizi, di vincere le cattive abitudini, di scuoprire gli
inganni del demonio, di superare insomma le difficoltà che s’incontrano nella via
dello spirito, se non fa orazione. E se io volessi qui citarvi il sentimento di tutti i santi
e maestri della vita spirituale, udireste che tutti si accordano nel dire la medesima
cosa. Mi basterà citarne un solo, ed è il dottore S. Bonaventura. Sentite come scrive
questo santo: “Se tu vuoi discuoprire le astuzie del demonio, e liberarti dai suoi
inganni, sii uomo di orazione; se vuoi acquistare virtù e fortezza per vincere le
tentazioni, sii uomo di orazione; se vuoi riuscire a mortificare la tua propria volontà, i
tuoi affetti e desiderii disordinati, sii uomo di orazione; se vuoi stare in una santa
allegrezza, e batter con piacere la strada della penitenza, sii uomo di orazione; se vuoi
allontanare dalla tua mente i cattivi pensieri, e le ansietà inquietanti, sii uomo di
131
orazione; se vuoi cibare l’anima tua colla grassezza della divozione, ed averla sempre
piena di buone riflessioni e di santi affetti, sii uomo di orazione; se vuoi fortificare e
confermare il cuor tuo nella via di Dio, sii uomo di orazione; finalmente se vuoi
sradicare da te tutti i vizi, e piantarvi le virtù, sii uomo di orazione: perché
nell’orazione si riceve l’unzione e la grazia dello Spirito Santo, la quale insegna ogni
cosa”. Io non so se possa dirsi di meglio.
132
10 dicembre
Da circa un trentennio la traslazione angelica della Santa Casa di Nazareth a Loreto, così
come raccontato nei secoli dalla tradizione, è stata derubricata a mera leggenda. Le autorità
ecclesiastiche lauretane hanno persino tolto dalla Santa Casa il tabernacolo, rendendo così il luogo
quasi una semplice meta turistica.
Ad ogni modo, è credibile pensare che il trasporto delle Sante Pareti di Nazareth sia
avvenuto per mezzo degli uomini? Usando anche solo un po’ di buon senso, sembrerebbe proprio di
no.
Il 10 dicembre fino al 2019 ricorreva liturgicamente la festa della “miracolosa Traslazione
della Santa Casa di Nazareth a Loreto”. L’istituzione di questa festa, presente da sempre a livello
locale, avvenne nel 1632, fu inserita nel Martirologio Romano da Clemente IX nel 1669 e dotata di
Ufficio e Messa propri, con approvazione della lettura del trasporto miracoloso, da Innocenzo XII
nel 1699.
Benedetto XII la estese allo Stato Pontificio e a tutte quelle diocesi e ordini religiosi che ne
avessero fatto richiesta. Ebbene, nella VI Lezione del Breviario Romano era descritta brevemente la
storia della Traslazione, ricordando i vari spostamenti per mezzo degli angeli.
Ma il trasporto miracoloso delle Sante Pareti non è stato solo confermato dalla liturgia e
dalle raffigurazioni artistiche. Benedetto XV, nel dichiarare la Beata Vergine di Loreto Patrona
degli aviatori nel 1920, riconobbe come autentico il “volo miracoloso” della Santa Casa.
Leone X in un Breve del 1515 scrisse che «è provato da testimoni degni di fede che la Santa
Vergine, dopo aver trasportato per l’onnipotenza divina, la sua immagine e la propria casa da
Nazareth in Dalmazia, (…) la fece deporre per il ministero degli angeli, sulla pubblica via ove
trovasi tuttora».
Per chi non fosse persuaso da questi argomenti, si possono illustrare altre motivazioni. Dal
punto di vista storico-archeologico; infatti, sono indiscutibilmente accertate almeno cinque
133
traslazioni miracolose: a Tersatto (in Dalmazia), ad Ancona, in varie località vicino Loreto e infine
sulla pubblica strada, dove ancor oggi si trova, sotto la cupola dell’attuale Basilica lauretana.
Se davvero il trasporto fosse avvenuto per mano umana, perché la gente avrebbe dovuto
accettare la versione miracolosa dei fatti? E poi, perché così tanti spostamenti umanamente
inspiegabili? Sarebbe stato tecnicamente possibile trasportare così tante volte delle pietre che poi
sono state perfettamente risistemate? E ancora: perché collocare definitivamente la Santa Casa nel
mezzo di quella che allora era una strada pubblica dove, secondo la legge, nulla si doveva costruire,
pena l’abbattimento?
C’è pure un altro elemento da rilevare. La malta con cui le sante pietre sono murate è
proveniente dalla Palestina. Come può questo dato essere compatibile con una ricostruzione
successiva al trasporto su nave? E come è possibile che, a seguito di tanti spostamenti e di
molteplici riedificazioni, non si sia minimamente alterata la perfetta geometria della Santa Casa, che
combacia esattamente con le dimensioni delle fondamenta rimaste a Nazareth?
È stata poi acclarata recentemente la falsità storica del documento che secondo alcuni
proverebbe il trasporto umano delle pietre per mezzo della famiglia Angeli o De Angelis. Tra
l’altro, il testo, fabbricato nell’Ottocento, risalirebbe al 1294, tre anni dopo il miracoloso trasporto
della Santa Casa a Tersatto. E poiché è attestato che nel 1294 questa non era più a Nazareth ma in
Dalmazia, la famiglia Angeli non avrebbe potuto portar via nulla direttamente dalla Palestina, come
invece si è detto.
Ad avvalorare ciò vi è pure un cespuglio, ancora oggi visibile, schiacciato al centro da una
parete della sacra dimora: fatto davvero strano qualora si fosse ricostruito il tutto artificialmente.
Insomma, ci vuole davvero molta più fede a credere nell’intervento umano che non a quello divino.
La venerazione per la Santa Casa di Loreto è stata, fin dal Medioevo, l’origine di quel
peculiare santuario frequentato, ancora oggi, da numerosi fedeli pellegrini per alimentare la propria
fede nel Verbo di Dio fatto carne per noi.
Quel santuario ricorda il mistero dell’Incarnazione e spinge tutti coloro che lo visitano a
considerare la pienezza del tempo, quando Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, e a meditare sia
le parole dell’Angelo nunziante l’Evangelo, sia le parole della Vergine che rispose alla divina
chiamata. Adombrata di Spirito Santo, l’umile serva del Signore è divenuta casa della divinità,
immagine purissima della santa Chiesa.
Il menzionato santuario, strettamente vincolato alla Sede Apostolica, lodato dai Sommi
Pontefici e universalmente conosciuto, ha saputo illustrare in modo eccellente, nel corso del tempo,
non meno di Nazaret in Terra Santa, le virtù evangeliche della Santa Famiglia.
Nella Santa Casa, davanti all’effige della Madre del Redentore e della Chiesa, Santi e Beati
hanno risposto alla propria vocazione, i malati hanno invocato consolazione nella sofferenza, il
popolo di Dio ha iniziato a lodare e a supplicare Santa Maria con le Litanie lauretane, note in tutto il
mondo. In modo particolare quanti viaggiano in aereo hanno trovato in lei la celeste patrona.
Alla luce di tutto questo, il Sommo Pontefice Francesco ha decretato con la sua autorità che
la memoria facoltativa della “Beata Maria Vergine di Loreto” sia iscritta nel Calendario Romano il
10 dicembre, giorno in cui vi è la festa a Loreto, e celebrata ogni anno. Tale celebrazione aiuterà
tutti, specialmente le famiglie, i giovani, i religiosi, a imitare le virtù della perfetta discepola del
Vangelo, la Vergine Madre che concependo il Capo della Chiesa accolse anche noi con sé.
La nuova memoria dovrà quindi apparire in tutti i Calendari e Libri liturgici per la
celebrazione della Messa e della Liturgia delle Ore.
Il Papa Benedetto XV, accogliendo i desideri dei piloti della prima guerra mondiale (1914-
1918) proclamò la Madonna di Loreto Celeste Patrona di tutti gli aviatori con il Breve Pontificio del
24 marzo 1920. Il santo Padre approvò anche la formula di benedizione degli aerei, la cosiddetta
“preghiera dell’aviatore”, che fece inserire nel Rituale Romano.
SECONDA LETTURA
Dalla lettera per il VII centenario del santuario della Santa Casa di Loreto di san
Giovanni Paolo II, papa
(Lettera a Mons. P. Macchi, 15 agosto 1993:
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI/2, 526-537)
La Santa Casa di Loreto non è solo una “reliquia”, ma anche una preziosa
“icona” concreta. La Santa Casa di Loreto è “icona” non di astratte verità, ma di un
evento e di un mistero: l’Incarnazione del Verbo.
L’Incarnazione, che si ricorda dentro codeste sacre mura, riacquista di colpo il
suo genuino significato biblico; non si tratta di una mera dottrina sull’unione tra il
divino e l’umano ma, piuttosto, di un avvenimento accaduto in un punto preciso del
tempo e dello spazio, come mettono meravigliosamente in luce le parole
dell’Apostolo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato
da donna” (Gal 4, 4).
Maria è la Donna, è, per così dire, lo “spazio” fisico e spirituale insieme, in cui
è avvenuta l’Incarnazione. Ma anche la Casa in cui Ella visse costituisce un richiamo
quasi plastico a tale concretezza.
Il ricordo della vita nascosta di Nazaret evoca questioni quanto mai concrete e
vicine all’esperienza di ogni uomo e di ogni donna. Esso ridesta il senso della santità
della famiglia, prospettando di colpo tutto un mondo di valori, oggi così minacciati,
quali la fedeltà, il rispetto della vita, l’educazione dei figli, la preghiera, che le
famiglie cristiane possono riscoprire dentro le pareti della Santa Casa, prima ed
esemplare “chiesa domestica” della storia.
La Santa Casa ricorda, in pari tempo, anche la grandezza della vocazione
alla vita consacrata e alla verginità per il Regno, la quale ebbe qui la sua gloriosa
inaugurazione nella persona di Maria, Vergine e Madre. Ai giovani, poi, che
innumerevoli pellegrinano alla Casa della Madre, vorrei ripetere le parole che ho
rivolto loro in altra occasione: “Camminate verso Maria, camminate con Maria... Fate
riecheggiare nel vostro cuore il suo fiat” (Macerata, 19/6/1993).
Possano i giovani rinnovare, alla luce degli insegnamenti della Casa di Nazaret,
il loro impegno nel laicato cattolico onde riportare Cristo nei cuori, nelle famiglie,
nella cultura e nella società (cf. Ivi).
Il giusto sforzo dei nostri tempi per riconoscere alla donna il posto che le
compete nella Chiesa e nella società trova anch’esso qui un’occasione quanto mai
adatta di approfondimento. Per il fatto che Dio “mandò il suo Figlio nato da donna”
(Gal 4, 4), ogni donna è stata elevata, in Maria, ad una dignità tale che non se ne può
concepire una maggiore (cf. Mulieris dignitatem, 3-5).
135
Nessuna considerazione teorica, poi, potrà mai esaltare la dignità del lavoro
umano quanto il semplice fatto che il Figlio di Dio ha lavorato a Nazaret ed ha voluto
essere chiamato “figlio del falegname” (cf. Mt 13, 55).
Infine, come non accennare alla “scelta dei poveri” che la Chiesa ha fatto nel
Concilio (cf. Lumen gentium, 8) e ribadito sempre più chiaramente in seguito? Le
austere e umili pareti della Santa Casa ci ricordano visivamente che è Dio stesso che
ha inaugurato questa scelta in Maria, la quale, come dice un bel testo conciliare,
“primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, che con fiducia attendono e ricevono
da lui la salvezza” (Laborem exercens, 20).
Sempre a proposito di questo tema della povertà e della sofferenza, un posto
privilegiato hanno avuto nella storia del Santuario i malati che furono tra i primi ad
accorrere pellegrini alla Santa Casa e a diffondere la sua fama tra le genti.
Dove potrebbero essi, del resto, essere accolti meglio, se non nella casa di
Colei che proprio le “litanie lauretane” ci fanno invocare come “salute degli infermi”
e “consolatrice degli afflitti”?
“Possa questo Santuario di Loreto – come ebbe a dire il mio predecessore
Giovanni XXIII durante la sua storica visita – essere sempre come una finestra aperta
sul mondo, a richiamo di voci arcane, annunzianti la santificazione delle anime, delle
famiglie, dei popoli” (AAS 54 [1962] 726).
RESPONSORIO
ORAZIONE
O Dio, che adempiendo le promesse fatte ai Padri hai scelto la Vergine Maria
perché diventasse la Madre del Salvatore, donaci di seguire gli esempi di colei che ti
piacque per la sua umiltà e con la sua obbedienza cooperò alla gioia della nostra
salvezza. Per il nostro Signore.
Colletta riportata nella Terza edizione del Messale Romano (messa votiva)
O Dio, che raccogli nella tua Chiesa la moltitudine dei credenti perché ti
riconoscano, ti amino e ti servano, concedi a noi, per intercessione della beata
Vergine Maria, di celebrare con viva fede il mistero dell’incarnazione, fonte della
nostra salvezza. Per il nostro Signore.
136
PREGHIERA DELL’AVIATORE
Dio di potenza e di gloria, che doni l'arcobaleno ai nostri cieli, noi saliamo
nella Tua luce per cantare, con il rombo dei nostri motori, la Tua gloria e la nostra
passione.
Noi siamo uomini ma saliamo verso di Te, dimentichi del peso della nostra
carne, purificati dei nostri peccati.
Tu, Dio, dacci le ali delle aquile, lo sguardo delle aquile, l'artiglio delle aquile,
per portare, ovunque Tu doni la luce, l'amore, la bandiera, la gloria d'Italia e di Roma.
Fa, nella pace, dei nostri voli il volo più ardito: fa, nella guerra, della nostra
forza, la Tua forza, o Signore, perché nessuna ombra sfiori la nostra terra.
E sii con noi, come noi siamo con Te, per sempre.
V. Signore Dio nostro, che dimori nel cielo e nel nostro cuore, fa' che questa
aeronave, opera dell'ingegno e della tecnica, percorra sicuramente la rotta assegnata;
preserva da ogni pericolo passeggeri e piloti, perché concludano felicemente il loro
viaggio fra i paesi e i popoli del mondo. A te gloria nei secoli. Per Cristo nostro
Signore.
R. Amen.
Oppure:
137
10 dicembre
138
Nel marzo 1891 la Fumagalli si presentò dai Gesuiti di Venezia chiedendo di parlare con
padre Giuseppe Migliavacca, il quale non era in sede. La cosa insospettì i suoi superiori, informati
delle diffide alla presunta suora: per evitare incontri non graditi, trasferirono il 4 aprile 1891 padre
Giuseppe a Trento, allora fuori dall’Italia, e in settembre a Piacenza dove era vescovo monsignor
Giovanni Battista Scalabrini (Beato dal 1997).
A Piacenza, suo malgrado, fu coinvolto nella situazione di divergenze di idee, creatasi fra
papa Leone XIII e i vescovi Scalabrini, Giundani e Bonomelli, conosciuti e stimati da padre
Migliavacca: ciò fece sorgere qualche sospetto di imprudenza da parte sua.
La questione, sommata a quella riguardante la Fumagalli, al cagionevole stato di salute di
lui, al livello medio degli studi e alla mancanza di doti appariscenti, portarono il Padre provinciale
Luigi Cattaneo a convocarlo a Mantova nel febbraio 1892 e a chiedergli le sue dimissioni dai
Gesuiti. La scelta gli fu praticamente imposta il 24 marzo 1892: nonostante i suoi ricorsi, si trovò
fuori dalla Compagnia di Gesù.
Forse invitato dalla Fumagalli, il 25 aprile 1892 era a Torino. Presentato da un suo
confratello all’arcivescovo Davide Riccardi, ebbe da questi l’incarico di predicare gli esercizi
spirituali al gruppo di “Suore della Consolata” della Fumagalli per tentarne il recupero spirituale.
Si trovò così impegnato con loro, perché il vescovo lo incaricò poi di dirigere il “Pio Istituto
di Maria Consolatrice” del quale erano in esame le Regole per l’approvazione e che sarebbe sorto
sulle ceneri dell’istituzione della Fumagalli.
Aiutato da monsignor Giuseppe Casalegno, canonico della cattedrale di Torino, trovò una
nuova sistemazione per le suore nel convalescenziario della Crocetta. Intanto un altro gruppo di
giovani, che erano state coinvolte dalla Fumagalli, erano seguite da don Paolo Biraghi, parroco di
San Gioachimo a Milano.
Per dare alle suore una forma di vita, padre Migliavacca adattò per loro le Regole del
Sommario della Compagnia di Gesù. Come carisma specifico assegnò loro le opere di misericordia,
dirette in particolare verso gli ammalati e gli orfani. La nuova famiglia religiosa, ormai separata da
quella della Fumagalli, si trasferì nelle nuove sedi di Torino e Milano, con il pieno appoggio dei
relativi vescovi.
Nel 1893 si svolsero le prime professioni e la nomina della prima superiora generale: per
questo motivo, viene considerato l’anno di fondazione delle “Suore di Maria SS. Consolatrice”. Fu
scelta questa denominazione per evitare una confusione con la nascente opera del canonico
Giuseppe Allamano (Beato dal 1990), sorta sempre a Torino.
Rimaneva però una questione aperta con la Fumagalli: la mancata restituzione della dote
richiesta da alcune suore, motivo per cui fu portata in tribunale. La stampa anticlericale dell’epoca
la presentò come benefattrice del popolo e fu assolta con formula piena, mentre padre Migliavacca,
nella sua funzione di testimone, ne uscì infangato di calunnie.
Comunque le Curie di Torino e di Milano emisero nei confronti della Fumagalli un decreto
di diffida con disposizioni per i parroci e fedeli, mentre l’istituto delle Suore di Maria SS.
Consolatrice ebbe il decreto di approvazione diocesana a Torino il 20 giugno 1895.
Per meglio seguire la formazione delle nuove suore, padre Migliavacca era andato a vivere a
Milano, dove, nel 1898, erano stati trasferiti il noviziato e la Casa madre. Tuttavia nel 1902, dopo
quasi dieci anni di conduzione della sua fondazione, due suore e una novizia formularono accuse
infamanti su di lui, per cui fu allontanato dalla Congregazione.
Su consiglio del cardinal Andrea Carlo Ferrari, arcivescovo di Milano (Beato dal 1987),
lasciò l’istituto, mentre venivano deposte d’autorità la superiora generale, la provinciale di Milano e
la maestra delle novizie, indicendo nuove elezioni.
Chiese allora di essere ammesso fra i Cappuccini, i quali, dopo aver preso le debite
informazioni, lo ammisero a 53 anni al noviziato nel convento di Lovere (Bergamo). Per
confermare la sua volontà di nascondimento, assunse il nome di padre Arsenio, in onore di uno dei
Padri del Deserto, cui aggiunse quello di Maria. Fece suo anche il motto del medesimo santo:
«Fuge, tace, quiesce», ossia «fuggi [il mondo], taci, sii tranquillo», come vero impegno per la sua
139
nuova vita.
Mite, docile, con la semplicità un bambino, adempì ogni compito come gli altri giovani novizi,
suscitando la loro ammirazione. Il 25 giugno 1903 emise i voti temporanei e fu mandato nel
convento di Borgo Palazzo a Bergamo. Fu confessore stimato, predicatore di esercizi, animatore del
Terz’Ordine francescano e direttore spirituale; emise la professione solenne il 25 giugno 1906.
Tutti ignoravano il suo passato di fondatore, perché avvolse nel silenzio e nel perdono tutto il male
ricevuto e il bene fatto. Quando le suore gli scrivevano, le ringraziava delle notizie e le
raccomandava di «lasciarsi lavorare da Dio» e assicurava loro la sua preghiera.
Ormai superati i 60 anni di vita, padre Arsenio cominciò ad accusare vari malesseri, che non
erano altro se non segni di un’arteriosclerosi avanzata. Il superiore del convento di Bergamo decise
quindi di trasferirlo nell’infermeria. Il 10 dicembre 1909, il frate infermiere vide che l’ammalato
non si era alzato per la celebrazione della Messa e andò a bussare alla sua cella. Dato che non
apriva, entrò da solo e lo trovò ormai morto.
Nel corso degli anni, le Suore di Maria Consolatrice hanno gradualmente preso coscienza
della loro storia e hanno iniziato a coltivare la memoria del loro fondatore. I suoi resti, inizialmente
sepolti nel cimitero di Bergamo, furono traslati nel 1940 a Cepino Imagna. Dal 13 ottobre 1953
riposano nella cappella della Casa madre di Milano, in via Melchiorre Gioia 51.
Dato il crescere della sua fama di santità, si è deciso di aprire la sua causa di beatificazione,
curata dalle Suore di Maria Consolatrice e dai padri Cappuccini, nella diocesi di Milano. Ottenuto il
nulla osta da parte della Santa Sede il 13 novembre 1997, la fase diocesana del processo è stata
aperta il 3 aprile 1998 e si è conclusa il 29 maggio 1999; è stata convalidata il 7 aprile 2000.
La “Positio super virtutibus” è invece stata presentata per la discussione dei consultori storici della
Congregazione per le Cause dei Santi nel 2011 (la cosiddetta Positio con la copertina grigia), ma nel
2012 è stata ripresentata con l’aggiunta della Relazione degli storici (è la Positio con la copertina
rossa).
Sia la riunione dei consultori storici, il 27 settembre 2011, sia i consultori teologi, sia i
cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi hanno dato parere positivo
circa l’esercizio delle virtù eroiche da parte di padre Arsenio.
Ricevendo il prefetto della Congregazione, cardinal Angelo Amato, il 21 gennaio 2016, papa
Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui il fondatore delle Suore di Maria
Consolatrice è stato dichiarato Venerabile.
Come presunto miracolo per la sua beatificazione è stato preso in esame il caso di suor
Ausilia Ferrario, suora di Maria Consolatrice. Il 17 ottobre 1947 si trovava in fin di vita
nell’infermeria della casa di Verghera, in provincia di Varese, malata di tubercolosi polmonare e
intestinale.
Fu portata nella cappella della casa, dov’era esposto il Santissimo Sacramento per l’elezione della
Madre generale. All’ultimo quarto d’ora di adorazione, una suora invitò i presenti a chiedere
l’intercessione del fondatore per la guarigione della consorella. Quando il sacerdote presente diede
la benedizione eucaristica, suor Ausilia si alzò in piedi e si sentì guarita; morì molti anni dopo, di
vecchiaia.
Fu quindi intrapreso, nel gennaio 2000, il processo relativo. Il 31 marzo dello stesso anno il
cardinal Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, ha delegato monsignor Angelo Mascheroni
per la chiusura delle indagini processuali, compiuta il 4 aprile in Casa madre. Il processo è stato poi
convalidato il 18 maggio 2007.
Il 25 febbraio 2016 il congresso dei medici della Congregazione delle Cause dei Santi ha
espresso parere positivo circa l’inspiegabilità scientifica del fatto. Infine, il 20 gennaio 2017, dopo
un anno esatto dalla promulgazione del decreto sulle virtù eroiche, papa Francesco ha autorizzato la
promulgazione del decreto con cui la guarigione di suor Ausilia Ferrario era riconosciuta come
inspiegabile, completa, duratura e ottenuta per intercessione di padre Arsenio.
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La beatificazione del fondatore delle Suore di Maria Consolatrice è stata fissata a sabato 7
ottobre, alle 10, nel Duomo di Milano. A presiedere il rito, come delegato del Santo Padre, il
cardinal Angelo Amato.
Quanto alle suore, nel 1915 hanno ricevuto il Decreto di Lode da parte della Sacra
Congregazione dei Religiosi, e nel 1929 l’approvazione come congregazione di diritto pontificio.
Oltre che in Italia, sono diffuse in Cina, in Africa (Costa d’Avorio, Burkina Faso, Angola) e in
America del Sud (Brasile ed Ecuador). Secondo quanto insegnato dal fondatore, vivono le opere di
misericordia spirituale e corporale tramite numerose opere e organizzazioni.
Dal Comune dei pastori con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
L’umiltà è verità. Coll’umiltà si separa il prezioso dal vile: dà ciò che di Dio a
Dio, da quello che è nostro, per noi. È giustizia: che tutto ciò che abbiamo di bene e
buono riconoscerlo da Dio, perché è tutto suo, e il farlo nostro è un furto di onore e
gloria tolti a Dio stesso e quindi gran peccato è la superbia che fa suo quel che è di
Dio, e perciò come rei di gravissimo peccato, i superbi non possono entrare in
Paradiso.
Chiunque vuol rettamente ragionare e fare i conti giusti e netti di ciò che è
proprio suo, e di ciò che è assolutamente di Dio, troverà che di suo non avrà nulla, ma
che tutto ha ricevuto da Dio - corpo - anima con le loro potenze e facoltà e doti - tutto
è di Dio. L’umiltà è la cosa la più giusta, la più evidente, ma e che cosa è dunque che
non la si pratica? La ragione di ciò è il grande desiderio, la smania che abbiamo di
grandeggiare, di comparire, il desiderio di eccellenza, ecco tutta l’origine de’ nostri
mali, ed è quella che rovinò Lucifero con tutti i suoi angeli.
A questa grandezza, cui noi ci sentiamo trascinati, sì ci arriveremo, ma per altra
via, e non ora; per la via dell’umiltà e nell’altra vita. Noi siam fatti per Iddio, per
esser con lui eternamente beati. Oh quanto ingannati viviamo noi uomini qui in terra
cercando quaggiù onori, ricchezze, piaceri mentre questi non sono che ombre di
quelli che il nostro cuore realmente brama e desidera, e intanto chi si perde in questi e
si pasce d’essi, perde irreparabilmente i veri, gli eterni. E perché ciò? Perché non vi si
pensa veramente, non si meditano le verità eterne, le verità evangeliche.
L’esperienza ce lo mostra continuamente: per quanto uno sia ricco, potente,
onorato, non si trova mai ricco a sufficienza né bastante onorato, né sufficiente
potente, poiché quello che possiede è finito o deficiente e il suo cuore è fatto per
141
l’infinito ed indeficiente. Senti perciò la conclusione di Salomone che, dopo d’aver
gustato e posseduto il possedibile e il godibile, disse che tutto era vuoto, vanità, che
non lo riempiva né saziava perché non siamo fatti per queste piccole grandezze né per
i gusti terreni, ma per i grandi del cielo, ma a questi non ci si può arrivare se non
mediante la giustizia, ossia l’umiltà, coll’esser parati a dar a Dio quel che è di Dio. A
Dio solo l’onore e la gloria, il qual onore e gloria noi gli prestiamo servendolo in
tutto ciò che è di suo beneplacito, e allora con lui regneremo per tutta l’eternità:
servire Dio è regnare.
R/. Il Signore guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie. * Per gli
umili i sentieri di Dio sono verità e grazia.
V/. Praticate la giustizia e la fedeltà, usate pietà e misericordia verso i fratelli.
R. Per gli umili i sentieri di Dio sono verità e grazia.
Lodi mattutine
ORAZIONE
O Dio, che hai dato al beato Arsenio, sacerdote, la grazia di seguire Cristo povero e
umile, concedi anche a noi che, esercitando le opere di misericordia, viviamo con
fedeltà la nostra vocazione e con il tuo aiuto superiamo ogni avversità. Per il nostro
Signore.
Vespri
Ant. al Mag. Quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me, dice il Signore.
142
10 dicembre
Divenire santi è vocazione di ogni uomo e donna che viene a questo mondo. I Servi di Maria
hanno vissuto questa nobile fatica in seno alla Chiesa di Cristo; gli esiti di tale avventura sono
variopinti quanto mai, proprio perché lo Spirito Santo tutto rinnova senza mai ripetersi. I santi si
somigliano, ma nessuno è uguale all’altro (Il cammino dei Servi di Maria, Servitium editrice, 2001).
E nella lunga e variopinta galleria dei santi e beati dell’Ordine dei Servi di Maria, fondato
nel 1233 dai laici fiorentini Santi Sette Fondatori, Bonfiglio, Amadio, Bonagiunta, Manetto,
Sostegno, Uguccione, Alessio, è da ricordare la figura del Beato Girolamo Ranuzzi, che nacque
verso il 1410 a Sant’Angelo in Vado, attuale provincia di Pesaro-Urbino; la famiglia Ranuzzi (o
Ranucci, secondo la grafia dei documenti contemporanei) era benestante ma non facoltosa come lo
divenne più tardi, quando passò al rango della nobiltà; suo padre Antonio era dal 1404 guardia del
Comune per la parrocchia di S. Eusebio, distante due km da S. Angelo in Vado.
Ancora adolescente entrò nel convento dei Servi di Maria di S. Angelo in Vado, da dove poi
si trasferì per il periodo degli studi si crede a Bologna, dove si applicò alla filosofia e teologia,
conseguendo il grado di baccelliere e dopo essere stato ordinato sacerdote, ritornò al suo convento
d’origine.
La prima notizia documentata della sua presenza a Sant’Angelo tra i Servi di Maria, è del
1449, riguardante il capitolo del suddetto convento, convocato dal ‘teologo baccelliere fra’
Girolamo’, vicario del padre provinciale fra’ Michele Ambrosi.
Altro documento attestante la sua presenza nel convento di S. Angelo in Vado, è una sua
sottoscrizione ad un contratto del 20 novembre 1454. Ambedue questi documenti, citati nei processi
canonici del 1774, finirono smarriti durante i trasferimenti degli archivi conventuali, a seguito della
soppressione napoleonica.
Fra’ Girolamo da Sant’Angelo in Vado, fu senz’altro uomo di dottrina, infatti vari suoi
celebri contemporanei lo citano nelle loro opere storiche come il “baccelliere”, dal titolo conseguito
per i suoi studi nelle Università ecclesiastiche del tempo.
Il celebre duca Federico d’Urbino, ricorreva ai suoi consigli per gli affari più importanti e ne
venerò poi sempre la memoria, quando, come risulta da successivi documenti del 1471 e 1478, il
duca Federico sostava in detto convento, rendendo omaggio alla tomba del beato.
143
I suoi confratelli contemporanei e successivi al beato Girolamo, ne narrarono la fama di
asceta, di rigoroso penitente, di consigliere persuasivo, che era molto viva a S. Angelo in Vado; una
locale tradizione indica la grotta dove fra’ Girolamo Ranuzzi, viveva i suoi periodi di eremitaggio,
posta lungo la strada che porta alla Montata, proprio dove sorge l’edicola della Vergine detta
“Madonnina di Pagnignò”.
Sotto il generalato di fra’ Nicolò da Perugia (1427-1461), le monache presero a svilupparsi
con rinnovato fervore anche nell’Ordine dei Servi di Maria; e proprio nel 1462 il “beato baceliere”
iniziò la fondazione del monastero femminile di S. Maria delle Grazie in S. Angelo in Vado.
L’8 marzo 1466, il suo nome compare col titolo di “baccelliere”, in testa ad una lista dei frati
del convento di Sant’Angelo, in un documento del Comune, che chiedeva loro la vendita di un
appezzamento di terreno, per riparare una strada dissestata completamente dall’alluvione del vicino
fiume Metauro.
Questo fa posizionare la data della sua morte nel 1468 ca. e d’allora una folla di popolo si
recò al suo sepolcro per raccomandarsi alla sua intercessione.
Poco dopo la sua morte, crescendo la fama dei miracoli, fra’ Girolamo fu acclamato santo a
voce di popolo; il suo corpo incorrotto, si conserva sotto l’altare maggiore della Chiesa di S. Maria
dei Servi, ove ancora oggi è venerato dai fedeli.
Dopo un lungo iter processuale, il suo culto fu confermato il 1° aprile 1775 da papa Pio VI
con il titolo di beato; il Martirologio Romano lo celebra l’11 dicembre.
Dal Comune dei pastori o dei santi: religiosi, con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
Dice il Signore: «Voi siete la luce del mondo. Non può restare nascosta una
città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio,
ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5, 14-
15).
Sale della terra ha chiamato il Signore i suoi discepoli, perché dì celeste
sapienza hanno condito i cuori degli uomini, resi insipidi dal demonio. Ora li
definisce anche luce del mondo perché, illuminati da lui che è la vera ed eterna luce,
sono diventati, a loro volta, luce che splende nelle tenebre. Poiché lui è il sole di
giustizia, chiama giustamente anche i discepoli luce del mondo: è per essi, infatti,
come attraverso raggi luminosi, che si è diffuso in tutto il mondo lo splendore della
sua conoscenza e, alla chiara luce della verità, le tenebre si sono dissolte dal cuore
dell’uomo. Illuminati da essi, anche noi, da tenebre che eravamo, siamo divenuti luce,
144
come dice l’apostolo: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore;
comportatevi perciò come figli della luce» (Ef 5, 8). E ancora: «Non siete figli della
notte né delle tenebre, ma siete figli della luce e figli del giorno (1 Ts 5, 5). Anche
san Giovanni lo afferma nella sua lettera quando dice: «Dio è luce» (1 Gv 1, 5), e chi
rimane in Dio è nella luce, «come anch’egli è nella luce» (1 Gv 1,7). Perciò, lieti di
essere stati liberati dalle tenebre dell’errore, dobbiamo sempre camminare nella luce,
come figli della luce.
Ha detto inoltre il Signore: «Non può restare nascosta una città collocata sopra
un monte» (Mt 5, 14). Per città egli vuole indicare qui la Chiesa, come è attestato in
molti passi delle divine Scritture, e in modo particolare da David quando dice: «Di te
si dicono cose stupende, città di Dio» (Sal 86, 3). E ancora: «Il fiume impetuoso
rallegra la città di Dio» (Sal 45, 5). E di nuovo: «Come avevamo udito, così abbiamo
visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; Dio l’ha fondata
per sempre» (Sal 47, 9). E per mostrare chiaramente che proprio di questa città egli
parla, lo Spirito Santo ha citato anche il monte: «Nella città del nostro Dio, sul suo
monte santo» (Sal 47, 2).
Nella città collocata sopra il monte, quindi, è indicata la Chiesa, fondata sulla
fede nel Signore e Salvatore nostro, gloriosa nei cieli. Superando per l’azione dello
Spirito, l’umile condizione della debolezza terrena, essa si è manifestata a tutto
l’universo ricoperta di gloria, non più sotto i veli dell’annuncio della legge mosaica,
ma nella libera predicazione della dottrina evangelica.
Il Signore prosegue poi dicendo: «Non si accende una lucerna per metterla
sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella
casa» (Mt 5, 15). Cerchiamo di vedere il senso anche di quest’altra espressione del
Signore. Si sa che la lucerna si accende non per nasconderla sotto il moggio o per
oscurarne in qualche modo il chiarore; in tal caso non avrebbe alcuna utilità. Si
accende invece sul lucerniere perché, rimanendo in posizione elevata, dissipi il buio
della notte fonda e gioisca della sua luce chi si trova nella casa. li Signore ce lo
ricorda, perché ci rendiamo conto di essere stati infiammati dal dono della fede e
illuminati dalla luce dello Spirito.
Così risplenderemo spiritualmente, come lucerna, con le opere della fede e
della giustizia, illuminando con la luce della verità quelli che si trovano nelle tenebre
dell’errore. Perciò l’apostolo dice: «Tra questi dovete splendere come astri nel
mondo, tenendo ferma la parola di vita» (Fil 2, 15-16).
La lucerna spirituale, che è stata accesa per la nostra salvezza, deve sempre
brillare in noi. Possediamo infatti la lucerna della parola divina e della grazia
spirituale, di cui David ha detto: «Lampada ai miei passi è la tua parola e luce sul mio
cammino» (Sal 118, 105).
R. Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, * perché vedano le vostre opere
buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
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V. Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore
Gesù,
R. perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei
cieli.
Oppure:
ORAZIONE
Interceda per noi, o Signore, il beato Girolamo, nel quale hai profuso i doni
dello Spirito Santo, perché, ripieni della sapienza di Cristo, operiamo sempre con
maturità di giudizio. Per il nostro Signore.
146
10 dicembre
147
La preoccupazione verso i poveri fu dunque l’altro risvolto della sua passione missionaria.
Non appena eletto superiore, intuì l’utilità di introdurre nell’Italia settentrionale le Figlie della
Carità, congregazione nata dal carisma caritativo di San Vincenzo e Santa Luisa de Marillac,
dispersasi all’epoca della rivoluzione francese e riorganizzatasi passata quest’ultima. Le apparizioni
della Medaglia Miracolosa verificatesi nel 1830 a Santa Caterina Labouré, novizia tra le Figlie della
Carità, possono a ragione essere considerate origine della nuova fioritura che stava investendo
questa comunità. L’intelligenza del Durando consistette nell’intuirlo. Esigette dunque la loro
presenza in Piemonte e nel 1833, accolte dal re Carlo Alberto, iniziarono a divenire responsabili di
vari ospedali, sia quelli militari in Torino e Genova, sia quelli civili in Carignano, Castellamonte e
Torino. Nel 1855 ebbe addirittura il coraggio di inviarle nelle retrovie della guerra di Crimea, a cui
partecipò l’esercito sardo, per soccorrere i feriti. Allo stesso tempo, diffuse l’associazione mariana
della Medaglia Miracolosa tra le giovani e da essa non tardarono a nascere nuove vocazioni: nel
giro di soli dieci anni presero vita 20 fondazioni e si aggregarono 260 suore. Il numero delle
vocazioni era così elevato che nel 1837 re Carlo Alberto dovette mettere a loro disposizione il
convento torinese di San Salvario. Con il crescere delle suore Padre Durando poté dotare la città di
Torino di una vera e propria rete di centri di carità, detti “Misericordie”, da cui le suore con le
Dame di Carità partivano per il servizio a domicilio ed il soccorso dei poveri. Attorno alle
Misericordie si formarono svariate opere come i primi asili per i bambini poveri, laboratori per
ragazze ed orfanotrofi. La loro opera di assistenza tra i malati e i poveri, insieme all’assunzione di
svariate opere educative, fece delle Figlie della Carità preziose collaboratrici dello sviluppo del
cattolicesimo sociale in Italia.
Nel 1837, appena trentaseienne, fu nominato visitatore della Provincia del Nord-Italia dei
missionari vincenziani, carica che occupò per 43 anni ininterrotti sino alla morte. Dovette di
conseguenza diminuire la sua partecipazione alle missioni, in quanto gran parte del suo tempo
venne assorbito dall’organizzazione della congregazione dei missionari vincenziani e dalla
predicazione di esercizi spirituali ai sacerdoti ed ai chierici diocesani di Torino. La qualità della sua
direzione spirituale attirò l’attenzione anche di nuove fondazioni che andavano costituendosi nella
capitale sabauda. L’arcivescovo monsignor Fransoni gli affidò la direzione delle suore di San
Giuseppe, appena giunte in Italia. Contribuì alla redazione delle regole delle Suore di Sant’Anna,
fondate dal Servo di Dio Carlo Tancredi Falletti, marchese di Barolo. Divenne guida spirituale delle
clarisse cappuccine del nuovo monastero di Santa Chiara. La Serva di Dio Giulia Colbert, moglie
del suddetto marchese di Barolo, che aveva fondato un monastero per il recupero di ragazze
perdute, le Suore penitenti di Santa Maria Maddalena, volle il Durando come consigliere per la
costituzione delle regole e direttore dell’opera nascente.
Ma l’evento che lo caratterizzò indelebilmente, come accade per le opere di Dio, avvenne
senza averlo voluto il 21 novembre 1865, festa della Presentazione di Maria: Padre Durando poté
affidare alla Serva di Dio Luigia Borgiotti le prime postulanti della nuova “Compagnia della
Passione di Gesù Nazareno”, meglio conosciute come “Suore Nazarene”. Alle giovani che si erano
rivolte a lui, desiderose di consacrarsi a Dio ma prive di alcuni requisiti canonici per entrare nelle
comunità religiose, egli diede loro il compito di servire i sofferenti come membra doloranti di Cristo
crocifisso, andando ad assisterli a domicilio, giorno e notte.
Padre Durando si spense infine a Torino il 10 dicembre 1880, all’età di 79 anni. I suoi resti
mortali furono significativamente tumulati in quel “Santuarietto della Passione”, annesso alla chiesa
della Visitazione in Torino, ove la comunità delle Nazarene si era nutrita della devozione alla
passione del Signore per immettersi missionariamente nel servizio dei sofferenti.
La causa di beatificazione, iniziata a Torino nel 1928 e continuata a Roma con il processo
apostolico nel 1940, a portato il 1° luglio 2000 al riconoscimento delle virtù eroiche, il 20 dicembre
2001 all’approvazione di un miracolo ottenuto per sua intercessione ed il 20 ottobre 2002 alla
beatificazione ad opera di papa Giovanni Paolo II.
Tocca ora alla sua figlia prediletta percorrere la strada che la porterà alla gloria degli altare.
Luigia (Luisa) Borgiotti nacque in Torino il 16 Febbraio 1802. Sin dalla giovane età sentì molta
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devozione per la Passione di Gesù. Desiderosa di dedicare la sua vita ad opere benefiche, nel 1834
entrò nella Compagnia delle Umiliate di Torino, il cui compito principale consisteva nel visitare ed
aiutare i malati del vecchio ospedale di San Giovanni e poi di recarsi a far visita ai malati nelle case.
Quando nel capoluogo piemontese il beato padre Marcantonio Durando, ispirato dalla Divina
Providenza, decise di fondare la comunità delle Nazarene per l’assistenza a domicilio dei malati, in
particolare della zona Crocetta, desiderò porre proprio Luisa Borgiotti quale superiora e guida.
Considerata dunque cofondatrice, svolse il compito affidatole per otto anni, sino alla sua morte
sopraggiunta in Torino il 23 febbraio 1873. I suoi resti mortali riposano ancora oggi nel
“Santuarietto della Passione”, annesso alla chiesa torinese della Visitazione, accanto alle spoglie del
beato padre fondatore.
Dal Comune dei pastori, con salmodia del giorno dal salterio
SECONDA LETTURA
RESPONSORIO Gv 4, 16. 7
R. Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi. * Chi sta nell’amore dimora in
Dio e Dio in lui.
V. Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio.
R. Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio in lui.
Lodi mattutine
INVOCAZIONI
Nel ricordo del Beato Marco Antonio Durando, rivolgiamo la nostra preghiera a
Cristo Redentore, perché, uniti al mistero della sua passione, viviamo e portiamo ai
nostri fratelli il dono della salvezza:
Benedici la tua famiglia, Signore.
Benedetto sii tu, o Gesù Salvatore del mondo, che non hai ricusato di subire la
passione e la croce per noi,
— e ci hai redenti con il tuo sangue prezioso.
Fa’ che portiamo sempre e ovunque nel nostro corpo la tua passione,
— perché si manifesti in noi la tua vita immortale.
Redentore di tutti, che in questo giorno ci chiami a cooperare alla tua opera di
salvezza,
— rendici segno della tua grazia verso il nostro prossimo.
Rivolgi il tuo sguardo di bontà ai malati e ai sofferenti, che hai associato alla tua
croce,
— sentano il conforto della tua presenza.
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Padre nostro.
ORAZIONE
Vespri
INTERCESSIONI
La gioia della celebrazione del Beato Marco Antonio Durando e il ricordo della sua
vita di donazione ai fratelli ci ottenga dal Padre celeste la luce e la forza di una
dedizione piena alla nostra vocazione di servizio alla carità:
Sostieni, Signore, il nostro servizio.
Padre nostro.
151
11 dicembre
La familiarità del nome di Damaso è legata alla grande suggestione che da millenni, le
Catacombe romane hanno esercitato sui cristiani. Perché Damaso, Papa del IV secolo e Santo della
Chiesa, fu il più antico esploratore e archeologo delle catacombe romane.
Spagnolo d'origine, ma probabilmente nato a Roma verso l’anno 305, Damaso venne eletto
Papa, non senza contrasti, nel 366. Infatti, la sua elezione fu gravemente turbata dallo scisma di
Ursino (o Ursicino). Su testimonianza di Ammiano Marcellino sappiamo che il popolo si divise in
due fazioni, che lottarono tra loro con spirito irriducibile: basti pensare che in un solo giorno, nella
basilica di Sicinino si contarono ben 137 morti.
La pace costantiniana aveva consentito ai Cristiani di costruire liberamente chiese e grandi
basiliche. Furono perciò abbandonati gli antichi e nascosti luoghi di culto che, vuotati dalle reliquie
dei " Santi " sembravano destinati a cadere in rovina.
Papa Damaso riportò la tradizione verso le Catacombe, facendo eseguire lavori dì consolidamento e
di ampliamento. Egli impedì così gli effetti irreparabili del completo abbandono di quei sepolcreti
sotterranei.
Via via che rintracciava e identificava le tombe dei Martiri, Papa Damaso, che era buon
letterato le contrassegnava con epigrafi poetiche esaltanti le virtù di quegli antichi compagni di
fede, noti o ignoti.
Non si pensi però che il Papa se ne stesse quasi nascosto dentro le Catacombe, a comporre le
sue elaborate e poetiche epigrafi. Al contrario, fu Pontefice degno del proprio tempo, e tenne alto il
prestigio della Chiesa romana, in un'epoca ricca di personaggi altissimi, come Sant'Ambrogio di
Milano, San Girolamo e Sant'Agostino.
La passione di archeologo era nutrita, in Damaso, da una profonda pietà, e la sua azione apostolica
era guidata da un alto senso di responsabilità. Sotto di lui si consolidò l'autorità della Chiesa
romana, e l'eresia ariana venne quasi a spegnersi.
Davanti all'Imperatore, egli affermò sempre, con serena fermezza, l'" autorità della Sede Apostolica
", secondo l'espressione coniata proprio sotto di lui. Fu lui che ordinò a San Girolamo la traduzione
latina e la revisione della Bibbia; fu lui che ottenne, a Roma, la separazione dello Stato dal
152
Paganesimo. Seppe legare alla Sede Apostolica tutte le Chiese e ottenne dal potere civile il massimo
rispetto.
Onorando la memoria dei Martiri, nelle Catacombe, egli affermava l'unicità e la continuità di
quella Chiesa per la quale i testimoni della fede avevano versato il proprio sangue; ribadiva la
sovranità dello spirituale sul temporale, esaltando non i grandi del mondo, ma i campioni di Cristo.
Nella cosiddetta Cripta dei Papi, da lui esplorata nelle Catacombe di San Callisto, egli
scrisse, alla fine di una lunga iscrizione: " Qui io, Damaso, desidererei far seppellire i miei resti, ma
temo di turbare le pie ceneri dei Santi ". Sì preparò infatti la sepoltura, con umiltà e discrezione, in
un luogo solitario, lungo la Via Ardeatina. Morì nel 384.
Dal Comune dei pastori con salmodia del giorno dal salterio
SECONDA LETTURA
R. Preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi santi. * Egli ha cura delle loro
ossa; neppure uno andrà perduto.
V. Il Signore li ha circondati di onore:
R. egli ha cura delle loro ossa; neppure uno andrà perduto.
ORAZIONE
O Dio, fortezza e corona dei tuoi santi, concedi anche a noi, sull’esempio del
papa san Damaso, amoroso cultore delle memorie dei martiri, di onorare e imitare i
gloriosi testimoni della nostra fede. Per il nostro Signore.
Concedi a noi, o Signore, di celebrare sempre i meriti dei tuoi martiri che il
santo papa Damaso ci insegnò ad amare e custodire. Per il nostro Signore.
154
11 dicembre
Maravillas Pidal y Chico de Guzmán, questo il suo nome da laica, nacque a Madrid il 4
novembre 1891 da una famiglia profondamente cristiana; il padre Luis Pidal y Mon, secondo
marchese di Pidal, a quel tempo era ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede.
Sentì la chiamata alla vita religiosa sin dalla fanciullezza, pertanto Maravillas mise in pratica
tutte le virtù cristiane, che coronò con la sua entrata nel 1919, nel monastero delle Carmelitane
Scalze di El Escorial (Madrid), dove pronunciò i voti il 7 maggio 1921.
Nei primi anni della sua vita religiosa nel monastero, vide realizzato il suo ardente desiderio
di una vita umile e appartata.
Nel 1923 quando ancora era professa di voti temporanei, si sentì ispirata in diverse occasioni
dal Signore, a fondare un monastero carmelitano nel Cerro de los Angeles (Getafe) luogo dove nel
1919, il re Alfonso XIII aveva inaugurato un monumento al Cuore di Gesù e aveva fatto la
consacrazione della Spagna al Sacro Cuore di Gesù.
Il 19 maggio 1924 lasciava l’Escorial, trasferendosi con tre religiose e per ubbidienza ai
superiori, fondò il monastero a Getafe, territorio allora ricadente nell’archidiocesi di Madrid,
attualmente sede di nuova diocesi.
Nominata prima priora della nuova Comunità dal vescovo di Madrid, il 31 ottobre del 1926,
poté vedere inaugurato il monastero sorto accanto al monumento di Cristo Re, che seppe animare
con fortezza e dolcezza, instaurando una fedeltà teresiana totale, un grande spirito apostolico, un
senso profondo dell’ideale contemplativo.
Pur rispettando la clausura, visse la sua vita contemplativa interessandosi delle necessità dei
bisognosi; inoltre grande era il suo amore per la Croce che rasentava l’eroismo, per penitenza dormì
per più di 35 anni per sole tre ore al giorno, vestita e seduta per terra con la testa appoggiata al letto.
Nel 1933 otto sue suore fondarono un monastero di clausura a Kottayam in India, dove
vorrebbe recarsi lei stessa, ma ne viene impedita dai superiori.
A causa della rivoluzione spagnola, che tanto insanguinò la Spagna, con la persecuzione e
l’odio contro chiunque avesse a che fare con la religione, madre Maria Maravillas de Jesus, il 22
luglio 1936, è costretta a lasciare il monastero con tutte le religiose.
155
Accolte dapprima dalle Orsoline francesi di Getafe, nell’agosto seguente ripara in una casa
di Madrid e poi attraverso Valencia, Barcellona, Port-Bou, Lourdes, rientrano dall’altra parte della
Spagna, stabilendosi nell’antico eremo dell’Ordine Carmelitano a Las Batuecas (Salamanca).
Nel maggio 1939 viene riaperto il monastero del Cerro de los Angeles e da lì partiranno le
suore da lei guidate, che grazie alla meravigliosa fioritura di vocazioni carmelitane, apriranno varie
Case a Mancera (1944), Duruelo (Avila) nel 1947, Cabrera (1950), Arenas de San Pedro (1954),
Cordova (1956), Aravaca - Madrid (1958), La Aldehuela (1961), Malaga (1964); infine restaurò e
potenziò nel 1966, il monastero dell’Incarnazione di Avila e la casa di s. Teresa.
Grazie alle molte vocazioni, attirate dalla sua forte personalità, poté mandare nel 1954, tre
sue suore al monastero di Cuenca (Ecuador) bisognoso di rinforzo. Fece costruire un convento e
chiesa per i Carmelitani Scalzi in provincia di Toledo; la gente la chiamò “la santa Teresa de Jesus
del XX secolo”.
Si ritirò nel 1961 nel convento di La Aldehuela (Madrid) da dove in grande povertà, dirigeva
il movimento e la vita regolare dei tanti monasteri, con la sua parola materna ed il suo esempio; nel
1972 la Santa Sede approvò l’Associazione di S. Teresa, da lei costituita per i suoi monasteri, di cui
fu eletta presidente, associazione impegnata in iniziative sociali.
Nel 1967 aveva promosso la fondazione a Ventorro di collegi per bambini privi di scuole;
nel 1969 poté consegnare 16 case prefabbricate ad altrettante famiglie di baraccati.
Tra il 1972 ed il 1974 aiuta e sostiene la costruzione di un rione di 200 abitazioni, con la
chiesa e le opere sociali, a Perales del Rio, collaborando con il parroco locale. Con la bontà di
coloro che si fidavano di lei e della sua opera, aiutò la costruzione della nuova clinica per religiose e
monache a Pozuelo di Alarcón (Madrid).
Fu colpita da una polmonite il Venerdì Santo del 1967 e da allora andò sempre più
indebolendosi, anche se non si risparmiava nella fedeltà alla Regola ed alle Costituzioni.
Morì santamente dopo breve malattia l’11 dicembre 1974 nel monastero della Aldehuela
(Madrid); donna notissima per le sue virtù e le sue capacità umane, Madre Maravillas lasciò una
traccia notevole con il suo spirito di orazione contemplativa, con il desiderio di aiutare la Chiesa e
con l’anelito di salvare gli uomini, che la resero fedelissima alla sua vocazione e autrice coraggiosa
di grandi opere per la gloria di Dio.
La sua spiritualità si esprimeva nella preghiera continua, nell’eccezionale povertà sua e dei
suoi monasteri, nella vita austera sostenuta dal lavoro, che permetteva di mantenersi e di aiutare
così, anche grandi iniziative ecclesiali, sociali e benefiche, che ancora parlano di lei.
La sua salma riposa nella poverissima cappella del monastero di La Aldehuela, la causa
canonica fu introdotta il 19 giugno 1980, è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II il 10 maggio
1998, in Piazza S. Pietro a Roma.
Il 4 maggio 2003, lo stesso pontefice l’ha canonizzata proclamandola santa a Madrid, con la
partecipazione di una immensa folla.
Dal Comune delle vergini o delle sante: religiose con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
156
Ieri, domenica, nel salire la scala per andare in coro alla Messa cantata, raccolta, sì,
ma senza alcun pensiero particolare, udii chiaramente dentro di me: «Mia delizia è
stare con i figli degli uomini» (cfr. Pr 8,31). Intesi che queste parole, che mi
impressionarono fortemente, non erano tanto rivolte a me, ma erano una specie di
richiesta che il Signore mi faceva affinché mi offrissi interamente a favore delle anime
che Egli tanto bramava. Vidi chiaramente, non so come, la fecondità nell’attrarre le
anime a Dio da parte di un’anima che si santifica, e ciò mi commosse tanto profonda-
mente che mi offrii con tutta l’anima al Signore per questo scopo, nonostante la mia
povertà, con tutti i patimenti del corpo e dell’anima. Mi parve allora che questa offerta
fosse cosa buona, ma che ancor più importante fosse quella di abbandonarmi alla
volontà divina, interamente e completamente, affinché il Signore facesse in me quanto
desiderava, e accettassi allo stesso modo sia il dolore che la gioia. Mi parve di intender-
e che non gradisse tanto il maggior sacrificio, quanto il compimento preciso e amoroso
di tale volontà, anche nei più piccoli particolari. In ciò intesi molte cose che non so
spiegare, e come Egli desiderasse che fossi molto attenta in questo compimento, che mi
avrebbe portato molto lontano nel sacrificio e nell’amore.
Mi offrii in modo tale che niente avrei rifiutato, neppure l’inferno se lì fosse
possibile amare il Signore, anche se poi mi sento tanto codarda. Pensando a quanto
Egli ha fatto per le anime, mi sembrava mi dicesse che non poteva fare di più, ma che
per mio mezzo lo avrebbe potuto fare. Nel provare questo immenso desiderio del
Signore per la salvezza delle anime, mi pareva spaventoso non volersi offrire a Dio,
affinché Lui possa realizzare completamente la sua opera nell’anima e così renderla,
nonostante la sua povertà, feconda per donarle quanto Egli desidera.
Quale tesoro mi offriva il Signore nel darmi questa vita nel Carmelo! Tutto in essa
è disposto con semplicità, ma in modo tale che, vivendola fino in fondo, posso realiz-
zare tutto. Sentii come questo sia il cammino della Carmelitana, secondo l’esempio di
Maria, come sia nostro dovere farci bambini, essere veramente poveri, sacrificati,
umili, nulla. Sentii molto profondamente come Gesù ci offra nella sua vita continui
esempi di sacrificio, di umiliazione, di annichilimento, e non lo comprendiamo; sentii
la sua misericordia e lo zelo delle anime in questo cammino. Mi sembrava anche di
intendere che molte di queste luci non venivano date solo per me, ma anche per
guidare le mie sorelle. La sola cosa che faccio, molte volte al giorno, è dire al Signore
che voglio vivere solo per amarlo e piacergli, desiderare quanto Lui vuole, e come
Lui lo vuole.
℞. Vergine prudente che, vegliando, sei andata incontro allo sposo con la lampada
accesa, * entra al banchetto delle nozze eterne.
℣. Desidero compiere la tua volontà, la tua legge è nel mio intimo.
℞. Entra al banchetto delle nozze eterne.
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Lodi mattutine
ORAZIONE
O Dio, che hai attratto santa Maria Maravillas di Gesù ai segreti del Cuore del tuo
Figlio, concedi a noi, per la sua intercessione e il suo esempio, che, sperimentando la
gioia del tuo amore, cooperiamo alla salvezza delle anime. Per il nostro Signore.
Vespri
158
11 Dicembre
Nato a Firenze verso il 1100, fu inviato a Parigi per farvi i suoi studi. Attirato dalla fama di
san Bernardo e colpito dalle sue esortazioni agli studenti, nel 1131 prese l'abito nell'abbazia di
Chiaravalle.
Nel 1134 fu inviato alla fondazione dell'abbazia di Himmerod, nella diocesi di Treviri
(Renania). Si fece ben presto notare per le sue eminenti virtù e per il dono dei miracoli di cui fu
favorito. Guariva i malati, metteva in fuga i demoni, prediceva l'avvenire.
All'epoca dello scisma di Ottaviano, quando l'imperatore Federico Barbarossa, che aveva
abbracciato il partito dell'antipapa, cacciò dall'impero tutti i Cistercensi che avevano riconosciuto
Alessandro III, Davide ottenne, con le sue sole preghiere, che la sua badia fosse risparmiata.
Morì l'11 dicembre 1179. La sua grande fama di santità fece si che fosse sotterrato nella sala
del capitolo. Nel 1204 i suoi resti furono trasferiti nella chiesa e deposti nell'altare di marmo
dedicato in suo onore.
Nel 1699 il capitolo generale di Citeaux autorizzò i monaci di Himmerod a celebrare la sua
festa, come del resto si faceva da secoli. Nel 1734 il canonico Brocchi di Firenze, che doveva
pubblicare la Vita di Davide, ottenne da Clemente XII l'autorizzazione ad esporre alla venerazione
dei fedeli alcune reliquie del suo santo compatriota che gli erano state donate. Quando l'abbazia di
Himmerod fu soppressa nel 1802, le reliquie di Davide furono trasferite a Treviri, e quando i
Cistercensi tornarono a Himmerod nel 1919, una parte fu loro restituita.
Dal comune dei santi: religiosi con salmodia del giorno dal salterio (i Cistercensi
usano il comune dei monaci)
RESPONSORIO
R. Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi * e troverete ristoro per le
vostre anime.
V. Prendete il mio giogo su di voi, e imparate da me che sono mite ed umile di cuore,
R. e troverete ristoro per le vostre anime.
ORAZIONE
O Dio, che hai donato al tuo servo Davide la forza di abbandonare tutto per
consacrarsi interamente a te nella via della perfezione, concedi che anche noi, in
povertà di spirito e in umiltà di cuore ti possiamo servire nei fratelli. Per il nostro
Signore.
161
12 dicembre
Con gli oltre venti milioni di pellegrini che lo visitano ogni anno, il santuario di Nostra
Signora di Guadalupe, in Messico, e’ il più frequentato e amato di tutto il Centro e Sud America.
Sono pellegrini di ogni razza e d'ogni condizione - uomini, donne, bambini, giovani e anziani - che
vi giungono dalle zone limitrofe alla capitale o dai centri più lontani, a piedi o in bicicletta, dopo ore
o, più spesso, giorni di cammino e di preghiera.
L’apparizione, nel XVI secolo (1531), della “Virgen Morena” all’indio Juan Diego è un
evento che ha lasciato un solco profondo nella religiosità e nella cultura messicana. La basilica ove
attualmente si conserva l'immagine miracolosa e’ stata inaugurata nel 1976. Tre anni dopo e’ stata
visitata dal papa Giovanni Paolo II, che dal balcone della facciata su cui sono scritte in caratteri
d'oro le parole della Madonna a Juan Diego: “No estoy yo aqui que soy tu Madre?”, ha salutato le
molte migliaia di messicani confluiti al Tepeyac; nello stesso luogo, nel 1990, ha proclamato beato
il veggente Juan Diego, che e’ stato infine dichiarato santo nel 2002.
Che cosa era accaduto in quel lontano secolo XVI in Messico? Con lo sbarco degli spagnoli
nelle terre del continente latino-americano aveva avuto inizio la lunga agonia di un popolo che
aveva raggiunto un altissimo grado di progresso sociale e religioso. Il 13 agosto 1521 aveva segnato
il tramonto di questa civiltà, quando Tenochtitlan, la superba capitale del mondo atzeco, fu
saccheggiata e distrutta. L’immane tragedia che ha accompagnato la conquista del Messico da parte
degli spagnoli, sancisce per un verso la completa caduta del regno degli aztechi e per l’altro
l’affacciarsi di una nuova cultura e civiltà originata dalla mescolanza tra vincitori e vinti. E’ in
questo contesto che, dieci anni dopo, va collocata l’apparizione della Madonna a un povero indio di
nome Juan Diego, nei pressi di Città del Messico. La mattina del 9 dicembre 1531, mentre sta
attraversando la collina del Tepeyac per raggiungere la citta’, l’indio e’ attratto da un canto
armonioso di uccelli e dalla visione dolcissima di una Donna che lo chiama per nome con tenerezza.
La Signora gli dice di essere "la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del verissimo ed unico
Dio" e gli ordina di recarsi dal vescovo a riferirgli che desidera le si eriga un tempio ai piedi del
colle. Juan Diego corre subito dal vescovo, ma non viene creduto.
162
Tornando a casa la sera, incontra nuovamente sul Tepeyac la Vergine Maria, a cui riferisce il
suo insuccesso e chiede di essere esonerato dal compito affidatogli, dichiarandosene indegno. La
Vergine gli ordina di tornare il giorno seguente dal vescovo, che, dopo avergli rivolto molte
domande sul luogo e sulle circostanze dell’apparizione, gli chiede un segno. La Vergine promette di
darglielo l’indomani. Ma il giorno seguente Juan Diego non puo’ tornare: un suo zio, Juan
Bernardino, è gravemente ammalato e lui viene inviato di buon mattino a Tlatelolco a cercare un
sacerdote che confessi il moribondo; giunto in vista del Tepeyac decide percio’ di cambiare strada
per evitare l’incontro con la Signora. Ma la Signora è la’, davanti a lui, e gli domanda il perche’ di
tanta fretta. Juan Diego si prostra ai suoi piedi e le chiede perdono per non poter compiere l’incarico
affidatogli presso il vescovo, a causa della malattia mortale dello zio. La Signora lo rassicura, suo
zio e’ gia’ guarito, e lo invita a salire sulla sommita’ del colle per cogliervi i fiori. Juan Diego sale e
con grande meraviglia trova sulla cima del colle dei bellissimi "fiori di Castiglia": è il 12 dicembre,
il solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano allora vigente, e né la stagione nè il luogo, una
desolata pietraia, sono adatti alla crescita di fiori del genere. Juan Diego ne raccoglie un mazzo che
porta alla Vergine, la quale pero’ gli ordina di presentarli al vescovo come prova della verita’ delle
apparizioni. Juan Diego ubbidisce e giunto al cospetto del presule, apre il suo mantello e all’istante
sulla tilma si imprime e rende manifesta alla vista di tutti l’immagine della S. Vergine. Di fronte a
tale prodigio, il vescovo cade in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina dopo Juan Diego
accompagna il presule al Tepeyac per indicargli il luogo in cui la Madonna ha chiesto le sia
innalzato un tempio. Nel frattempo l’immagine, collocata nella cattedrale, diventa presto oggetto di
una devozione popolare che si è conservata ininterrotta fino ai nostri giorni. La Dolce Signora che si
manifesto’ sul Tepeyac non vi apparve come una straniera. Ella infatti si presenta come una
meticcia o morenita, indossa una tunica con dei fiocchi neri all’altezza del ventre, che nella cultura
india denotavano le donne incinte. E’ una Madonna dal volto nobile, di colore bruno, mani giunte,
vestito roseo, bordato di fiori. Un manto azzurro mare, trapuntato di stelle dorate, copre il suo capo
e le scende fino ai piedi, che poggiano sulla luna. Alle sue spalle il sole risplende sul fondo con i
suoi cento raggi. L'attenzione si concentra tutta sulla straordinaria e bellissima icona guadalupana,
rimasta inspiegabilmente intatta nonostante il trascorrere dei secoli: questa immagine, che non e’
una pittura, nè un disegno, nè e’ fatta da mani umane, suscita la devozione dei fedeli di ogni parte
del mondo e pone non pochi interrogativi alla scienza, un po’ come succede ormai da anni col
mistero della Sacra Sindone.
La scoperta piu’ sconvolgente al riguardo e’ quella fatta, con l’ausilio di sofisticate
apparecchiature elettroniche, da una commissione di scienziati, che ha evidenziato la presenza di un
gruppo di 13 persone riflesse nelle pupille della S. Vergine: sarebbero lo stesso Juan Diego, con il
vescovo e altri ignoti personaggi, presenti quel giorno al prodigioso evento in casa del presule. Un
vero rompicapo per gli studiosi, un fenomeno scientificamente inspiegabile, che rivela l’origine
miracolosa dell’immagine e comunica al mondo intero un grande messaggio di speranza. Nostra
Signora di Guadalupe, che appare a Juan Diego in piedi, vestita di sole, non solo gli annuncia che e’
nostra madre spirituale, ma lo invita – come invita ciascuno di noi - ad aprire il proprio cuore
all'opera di Cristo che ci ama e ci salva. Meditare oggi sull'evento guadalupano, un caso di
“inculturazione” miracolosa, significa porsi alla scuola di Maria, maestra di umanita’ e di fede,
annunciatrice e serva della Parola, che deve risplendere in tutto il suo fulgore, come l'immagine
misteriosa sulla tilma del veggente messicano, che la Chiesa ha recentemente proclamato santo.
Nel 1910, Pio X proclamò la Vergine di Guadalupe patrona di tutta l'America Latina.
Dal Comune della Beata Vergine Maria con salmodia del giorno dal salterio
163
SECONDA LETTURA
La lettura può essere presa dal Comune della B.V.M. Di seguito si riporta una
traduzone non ufficiale del testo latino.
Nell’anno 1531, nei primi giorni di dicembre, accadde che un indio povero e
gentile, il cui nome, secondo la tradizione, era Juan Diego, abitante a Cuauhtitlan, ma
dipendente dai religiosi di Tlatelolco per quanto riguarda la cura spirituale, un sabato,
di mattina assai presto, stava recandosi a Tlatelolco per la preghiera e la catechesi.
Quando giunse nei pressi del colle chiamato Tepeyac già albeggiava. Udì allora sul
colle un canto. Quando il canto s’interruppe e si fece un profondo silenzio, sentì che
dalla sommità del colle una voce lo chiamava: «Amatissimo Juan Diego!». Senza
esitazione osò salire verso il luogo da cui proveniva la voce.
Appena giunto alla sommità del colle, vide una signora che stava lì in piedi e lo
invitava ad avvicinarsi. Quando fu di fronte a Lei, restò molto colpito dal suo
affascinante aspetto: il suo vestito risplendeva come il sole. In quel luogo la Vergine
gli dichiarò la sua volontà. Gli disse: «Sappi, figlio amatissimo, che io sono Santa
Maria, la perfetta sempre Vergine, la Madre del verissimo Dio, dell’Autore della vita,
che ha creato ogni cosa e nel quale tutte le cose sussistono, del Signore del cielo e
della terra. Intensamente voglio, ardentemente desidero che in questo luogo mi venga
edificato un tempio, dove io possa rivelarlo a dargli lode, donare il mio amore, la mia
compassione, il mio aiuto, la mia protezione, perché, in verità, io sono la vostra
Madre buona: tua, di tutti voi che abitate questa terra e di tutti quegli uomini che mi
amano, mi cercano e mi invocano con devozione e fiducia. Qui ascolterò il loro
pianto e i loro lamenti. Mi prenderò a cuore tutte le loro pene e porrò rimedio ad ogni
loro dolore. E perché si possa realizzare il mio desiderio, recati al palazzo del
vescovo a Città del Messico. Gli dirai che io ti mando per rivelargli che voglio che mi
sia edificata qui una casa, che mi sia costruito in questa valle un tempio».
Entrato in città, si diresse subito al palazzo del vescovo. Il suo nome era Juan
de Zumárraga, dell’Ordine di san Francesco. Quando il vescovo ebbe ascoltato Juan
Diego, mostrando di non credergli per niente, gli disse: «Figlio mio, torna un’altra
volta e ti ascolterò. Rifletterò bene su cosa sia opportuno fare della tua volontà e del
tuo desiderio».
Un altro giorno Juan Diego vide la Regina scendere dal colle da dove lo stava
guardando. Ella gli venne incontro presso il colle, lo trattenne e disse: «Ascolta, figlio
mio, non temere e non si turbi il tuo cuore e non preoccuparti né dell’infermità di tuo
zio, né di qualsiasi altra difficoltà. Non sono forse io qui la tua Madre? Non stai forse
sotto la mia ombra e la mia protezione? Non sono forse io la tua fonte di vita e di
gioia? Non sei forse nel mio grembo, tra le mie braccia? Cos’altro di più ti è dunque
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necessario? Niente deve affliggerti e turbarti. Sali – disse –, figlio amatissimo, sulla
cima del colle, dove mi hai visto e dove ti ho parlato. Lì troverai una grande varietà di
fiori. Tagliali e raccoglili, poi scendi e portali alla mia presenza».
Juan Diego scese quindi di corsa e portò alla Regina del Cielo i fiori che aveva
raccolto. Quando li vide, ella li prese nelle sue mani venerabili; poi li ripose nel
mantello di Juan Diego dicendogli: «Figlio amatissimo, questi fiori costituiscono il
segno che tu devi portare al vescovo. Tu sei mio fedele messaggero, a te affido questo
compito. Ti comando con molto rigore di aprire il tuo mantello unicamente alla
presenza del vescovo, solo a lui mostrerai ciò che porti. Gli racconterai che ti ho
ordinato di salire sulla sommità del colle per tagliare fiori e gli riferirai tutto ciò che
hai visto e ammirato, affinché creda e si decida ad edificare il tempio che desidero».
Appena la Regina del Cielo ebbe finito di parlare, Juan Diego si mise di nuovo
in cammino sulla strada che porta a Città del Messico. Procedeva contento perché era
sicuro che questa volta ogni cosa sarebbe andata bene. Giunto alla presenza del
vescovo si prostrò e raccontò quanto aveva visto e il motivo per il quale era stato
inviato a lui. Gli disse: «Signore, ho eseguito quanto mi hai ordinato. Sono andato a
dire alla mia Signora, Regina del Cielo, Santa Maria Madre di Dio, che chiedevi un
segno per potermi credere e dare il via alla costruzione del tempio nel luogo indicato
dalla Vergine stessa. E le ho detto anche che ti avevo dato la mia parola di venirti a
portare un qualche segno della sua volontà. Ella ha accolto benevolmente il tuo
desiderio e la tua richiesta. Ed oggi, di buon mattino, mi ha nuovamente inviato
presso di te».
Quindi aprì il suo bianco mantello, in cui erano deposti i fiori raccolti, e non
appena questi si sparsero per terra, subito sul mantello si disegnò e si manifestò alla
vista di tutti l’amata Immagine della perfetta Vergine Santa Maria, Madre di Dio,
nella forma e figura in cui la vediamo oggi nel tempio eretto ai piedi del Tepeyac.
Accorse allora l’intera città: tutti vedevano la venerabile immagine, si
meravigliavano, l’ammiravano come opera divina, pregavano. Quel giorno lo zio di
Juan Diego disse infine che la celeste Signora gli aveva fatto conoscere il titolo con
cui la veneranda Immagine avrebbe dovuto essere invocata: «Santa Maria sempre
Vergine di Guadalupe».
R/. Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto
i suoi piedi; * sul suo capo una corona di dodici stelle.
V/. Gioiscano gli angeli, esultino gli arcangeli nella Vergine Maria.
R/. Sul suo capo una corona di dodici stelle.
Amatissimi figli, desideriamo unire la nostra voce a questo inno filiale che il
Popolo messicano eleva oggi alla Madre di Dio. La devozione alla Vergine
Santissima di Guadalupe deve essere per tutti una costante e particolare esigenza di
autentico rinnovamento cristiano. La corona che la Madre di Dio attende da tutti voi
non è tanto una corona materiale, ma una preziosa corona spirituale, formata da un
profondo amore per Cristo, e al tempo stesso da un sincero amore per tutti gli uomini:
i due comandamenti che riassumono il messaggio evangelico. È la stessa Vergine
Santissima che con il suo esempio ci guida in questi due cammini.
In primo luogo, ci chiede di fare di Cristo il centro e il culmine di tutta la nostra
vita cristiana. Lei stessa si nasconde, con suprema umiltà, affinché la figura di suo
Figlio appaia agli uomini con tutto il suo ineguagliabile fulgore. Perciò la stessa
devozione mariana raggiunge la sua pienezza e la sua espressione più esatta quando è
un cammino verso il Signore e rivolge a Lui l’amore più grande, come Lei ha saputo
fare conciliando in uno stesso impulso la tenerezza di Madre e la pietà di creatura.
Inoltre, e proprio perché amava così profondamente Cristo, la nostra Madre ha
rispettato appieno questo secondo comandamento che deve essere la norma di tutte le
relazioni umane: l’amore per il prossimo. Che delicato e bell’intervento di Maria
nelle nozze di Cana, quando spinge Gesù a compiere il suo primo miracolo di
trasformare l’acqua in vino, solo per aiutare quei giovani sposi! È un vero segno del
costante amore della Vergine Santissima per l’umanità bisognosa, e deve essere un
esempio per tutti quanti desiderano considerarsi veramente suoi figli.
Un cristiano non può non dimostrare la sua solidarietà per risolvere la
situazione di coloro ai quali ancora non è giunto il pane della cultura o l’opportunità
di un lavoro dignitoso e giustamente remunerato: non può restare insensibile finché le
nuove generazioni non troveranno un modo per tradurre in realtà le loro legittime
aspirazioni e finché una parte dell’umanità sarà esclusa dai vantaggi della civiltà e del
progresso. Perciò, in questa festa così importante vi esortiamo di cuore a dare alla
vostra vita cristiana un marcato senso sociale, come chiede il Concilio, che vi faccia
stare sempre in prima linea in tutti gli sforzi per il progresso e in tutte le iniziative per
migliorare la situazione di quanti sono nel bisogno. Vedete in ogni uomo un fratello,
e in ogni fratello Cristo, di modo che l’amore verso Dio e l’amore per gli uomini si
uniscano in un unico amore, vivo e operante, che è il solo a poter redimere le miserie
del mondo, rinnovandolo nella sua radice più profonda: il cuore dell’uomo.
Chi ha molto, che sia consapevole del suo obbligo di servire e di contribuire
con generosità al bene di tutti. Chi ha poco o non ha nulla, che, mediante l’aiuto di
una società giusta, si sforzi di superarsi e di elevarsi, così da cooperare al progresso di
quanti vivono nella sua stessa situazione. E tutti sentite il dovere di unirvi
fraternamente per aiutare a forgiare quel mondo nuovo a cui l’umanità anela.
È questa la corona che vi chiede la Vergine di Guadalupe, è questa la fedeltà al
Vangelo di Colei che ha saputo essere l’esempio eminente.
166
Su voi, amatissimi figli, imploro fiducioso la materna benevolenza della Madre
di Dio e Madre della Chiesa, affinché continui a proteggere il vostro Paese e lo
orienti sempre più lungo i cammini del progresso cristiano, dell’amore fraterno e
della pacifica convivenza.
R. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta
la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. * Se uno dice: “Io amo Dio”
e non ama suo fratello, è un bugiardo.
V. Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me.
R. Se uno dice: “Io amo Dio” e non ama suo fratello, è un bugiardo.
ORAZIONE
O Dio, Padre di misericordia, che hai affidato il tuo popolo alla materna
protezione della santissima Madre del tuo Figlio, fa’ che tutti coloro che invocano la
beata Vergine di Guadalupe ricerchino con fede più ardente il progresso dei popoli
sulla via della giustizia e della pace. Per il nostro Signore
167
13 dicembre
Gli atti del martirio di Lucia di Siracusa sono stati rinvenuti in due antiche e diverse
redazioni: l’una in lingua greca il cui testo più antico risale al sec. V (allo stato attuale delle
ricerche); l’altra, in quella latina, riconducibile alla fine del sec. V o agli inizi del sec. VI ma
comunque anteriore al sec. VII e che di quella greca pare essere una traduzione.
La più antica redazione greca del martirio contiene una leggenda agiografica edificante,
rielaborata da un anonimo agiografo due secoli dopo il martirio sulla tradizione orale e dalla quale è
ardua impresa sceverare dati storici. Infatti, il documento letterario vetustiore che ne tramanda la
memoria è proprio un racconto del quale alcuni hanno messo addirittura in discussione
l'attendibilità. Si è giunti così, a due opposti risultati: l’uno è quello di chi l’ha strenuamente difesa,
rivalutando sia la storicità del martirio sia la legittimità del culto; l’altro è quello di chi l’ha del tutto
biasimata, reputando la narrazione una pura escogitazione fantasiosa dell’agiografo ma non per
questo mettendo in discussione la stessa esistenza storica della Santa, come sembrano comprovare
le numerose attestazioni devozionali, cultuali e culturali in suo onore.
Sia la redazione in greco sia quella in latino degli atti del martirio hanno avuto da sempre
ampia e ben articolata diffusione, inoltre entrambe si possono considerare degli archetipi di due
differenti ‘rami’ della tradizione: infatti, dal testo in greco sembrano derivare numerose
rielaborazioni in lingua greca, quali le Passiones più tardive, gli Inni, i Menei, ecc.; da quello in
latino sembrano, invece, mutuare le Passiones metriche, i Resumé contenuti nei Martirologi storici,
gli Antifonari, le Epitomi comprese in più vaste opere, come ad es. nello Speculum historiale di
Vincenzo da Beauvais o nella Legenda aurea di Iacopo da Varazze.
I documenti rinvenuti sulla Vita e sul martirio sono vicini al genere delle passioni epiche in
quanto i dati attendibili sono costituiti solo dal luogo e dal dies natalis. Infatti, negli atti greci del
martirio si riscontrano elementi che appartengono a tutta una serie di composizioni agiografiche
martiriali, come ad es. l’esaltazione delle qualità sovrumane della martire e l’assenza di ogni cura
per l’esattezza storica. Tuttavia, tali difetti, tipici delle passioni agiografiche, nel testo greco di
Lucia sono temperate e non spinte all’eccesso né degenerate nell’abuso. Proprio questi particolari
accostano gli atti greci del martirio al genere delle passioni epiche.
Sul piano espositivo l’andamento è suggestivo ed avvincente, non mancando di trasmettere
al lettore emozioni e resoconti agiografici inconsueti attraverso un racconto che si snoda su un
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tessuto narrativo piuttosto ricco di temi e motivi di particolare rilievo: il pellegrinaggio alla tomba
di Agata (con il conseguente accostamento Agata/Lucia e Catania/Siracusa); il sogno, la visione, la
profezia e il miracolo; il motivo storico; l’integrità del patrimonio familiare; la lettura del Vangelo
sull’emorroissa; la vendita dei beni materiali, il Carnale mercimonium e la condanna alla
prostituzione. Infatti è stretta la connessione tra la dissipazione del patrimonio familiare e la
prostituzione per cui la condanna al postrìbolo rappresenta una legge di contrappasso sicché la
giovane donna che ha dilapidato il patrimonio familiare è ora condannata a disperdere pure l’altro
patrimonio materiale, rappresentato dal proprio corpo attraverso un’infamante condanna,
direttamente commisurata alla colpa commessa; infine, la morte.
Il martirio incomincia con la visita di Lucia assieme alla madre Eutichia, al sepolcro di
Agata a Catania, per impetrare la guarigione dalla malattia da cui era affetta la madre: un
inarrestabile flusso di sangue dal quale non era riuscita a guarire neppure con le dispendiose cure
mediche, alle quali si era sottoposta. Lucia ed Eutichia partecipano alla celebrazione eucaristica
durante la quale ascoltano proprio la lettura evangelica sulla guarigione di un’emorroissa. Lucia,
quindi, incita la madre ad avvicinarsi al sepolcro di Agata e a toccarlo con assoluta fede e cieca
fiducia nella guarigione miracolosa per intercessione della potente forza dispensatrice della vergine
martire. Lucia, a questo punto, è presa da un profondo sonno che la conduce ad una visione onirica
nel corso della quale le appare Agata che, mentre la informa dell’avvenuta guarigione della madre
le predice pure il suo futuro martirio, che sarà la gloria di Siracusa così come quello di Agata era
stato la gloria di Catania. Al ritorno dal pellegrinaggio, proprio sulla via che le riconduce a
Siracusa, Lucia comunica alla madre la sua decisione vocazionale: consacrarsi a Cristo! A tale fine
le chiede pure di potere disporre del proprio patrimonio per devolverlo in beneficenza. Eutichia,
però, non vuole concederle i beni paterni ereditati alla morte del marito, avendo avuto cura non solo
di conservarli orgogliosamente intatti e integri ma di accrescerli pure in modo considerevole. Le
risponde, quindi, che li avrebbe ereditati alla sua morte e che solo allora avrebbe potuto disporne a
suo piacimento. Tuttavia, proprio durante tale viaggio di ritorno, Lucia riesce, con le sue insistenze,
a convincere la madre, la quale finalmente le da il consenso di devolvere il patrimonio paterno in
beneficenza, cosa che la vergine avvia appena arrivata a Siracusa.
Però, la notizia dell’alienazione dei beni paterni arriva subito a conoscenza del promesso
sposo della vergine, che se ne accerta proprio con Eutichia alla quale chiede anche i motivi di tale
imprevista quanto improvvisa vendita patrimoniale. La donna gli fa credere che la decisione era
legata ad un investimento alquanto redditizio, essendo la vergine in procinto di acquistare un vasto
possedimento destinato ad assumere un alto valore rispetto a quello attuale al momento
dell’acquisto e tale da spingerlo a collaborare alla vendita patrimoniale di Lucia. In seguito il
fidanzato di Lucia, forse esacerbato dai continui rinvii del matrimonio, decide di denunciare al
governatore Pascasio la scelta cristiana della promessa sposa, la quale, condotta al suo cospetto è
sottoposta al processo e al conseguente interrogatorio. Durante l’agone della santa e vittoriosa
martire di Cristo Lucia, emerge la sua dichiarata e orgogliosa professione di fede nonché il
disprezzo della morte, che hanno la caratteristica di essere arricchiti sia di riflessioni dottrinarie sia
di particolari sempre più cruenti, man mano che si accrescono i supplizi inflitti al fine di esorcizzare
la vergine e martire dalla possessione dello Spirito Santo. Dopo un interrogatorio assai fitto di
scambi di battute che la vergine riesce a contrabbattere con la forza e la sicurezza di chi è ispirato
da Cristo, il governatore Pascasio le infligge la pena del postrìbolo proprio al fine di operare in
Lucia una sorta di esorcismo inverso allontanandone lo Spirito Santo. Mossa dalla forza di Cristo, la
vergine Lucia reagisce con risposte provocatorie, che incitano Pascasio ad attuare subito il suo tristo
proponimento. La vergine, infatti, energicamente gli dice che, dal momento che la sua mente non
cederà alla concupiscenza della carne, quale che sia la violenza che potrà subire il suo corpo contro
la sua volontà, ella resterà comunque casta, pura e incontaminata nello spirito e nella mente. A
questo punto si assiste ad un prodigioso evento: la vergine diventa inamovibile e salda sicché,
nessun tentativo riesce a trasportarla al lupanare, nemmeno i maghi appositamente convocati dallo
spietato Pascasio. Esasperato da tale straordinario evento, il cruento governatore ordina che sia
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bruciata, eppure neanche il fuoco riesce a scalfirla e Lucia perisce per spada! Sicché, piegate le
ginocchia, la vergine attende il colpo di grazia e, dopo avere profetizzato la caduta di Diocleziano e
Massimiano, è decapitata.
Pare che Lucia abbia patito il martirio nel 304 sotto Diocleziano ma vi sono studiosi che
propendono per altre datazioni: 303, 307 e 310. Esse sono motivate dal fatto che la profezia di
Lucia contiene elementi cronologici divergenti che spesso non collimano fra loro: per la pace della
chiesa tale profezia si dovrebbe riferire al primo editto di tolleranza nei riguardi del cristianesimo e
quindi sarebbe da ascrivere al 311, collegabile, cioè, all’editto di Costantino del 313; l’abdicazione
di Diocleziano avvenne intorno al 305; la morte di Massimiano avvenne nel 310. È, invece,
accettata dalla maggioranza delle fonti la data relativa al suo dies natalis: 13 dicembre. Eppure, il
Martirologio Geronimiano ricorda Lucia di Siracusa in due date differenti: il 6 febbraio e il 13
dicembre. L’ultima data ricorre in tutti i successivi testi liturgici bizantini e occidentali, tranne nel
calendario mozarabico, che la celebra, invece, il 12 dicembre. Nel misterioso calendario latino del
Sinai il dies natalis di Lucia cade l’8 febbraio: esso fu redatto nell’Africa settentrionale e vi è
presente un antico documento della liturgia locale nel complesso autonoma sia dalla Chiesa di
Costantinopoli che da quella di Roma, pur rivelando fonti comuni al calendario geronimiano.
Assai diffusa è a tutt’oggi la celebrazione del culto di Lucia quale santa patrona degli occhi.
Ciò sembra suffragato anche dalla vasta rappresentazione iconografica, che, tuttavia, è assai
variegata, in quanto nel corso dei secoli e nei vari luoghi si è arricchita di nuovi simboli e di varie
valenze. Ma è stato sempre così? Quando nasce in effetti questo patronato e perché? Dal Medioevo
si va sempre più consolidando la taumaturgia di Lucia quale santa patrona della vista e dai secc.
XIV-XV si fa largo spazio un’innovazione nell’iconografia: la raffigurazione con in mano un
piattino (o una coppa) dove sono riposti i suoi stessi occhi. Come si spiega questo tema? È, forse,
passato dal testo orale all’iconografia? Oppure dall’iconografia all’elaborazione orale? Quale
l’origine di un tale patronato? Esso è probabilmente da ricercare nella connessione etimologica e/o
paretimologica di Lucia a lux, molto diffusa soprattutto in testi agiografici bizantini e del Medioevo
Occidentale. Ma, quali i limiti della documentazione e quali le cause del proliferare della tradizione
relativa all’iconografia di Lucia, protettrice della vista? Si può parlare di dilatazione dell’atto di
lettura nell’immaginario iconografico, così come in quello letterario? E tale dilatazione nei
fenomeni religiosi è un atto di devozione e fede? È pure vero che la semantica esoterica data al
nome della santa di Siracusa è la caratteristica che riveste, accendendola di intensa poesia, la figura
e il culto di Lucia, la quale diventa, nel corso dei secoli e nei vari luoghi una promessa di luce, sia
materiale che spirituale. E proprio a tale fine l’iconografia, già a partire dal sec. XIV, si fa interprete
e divulgatrice di questa leggenda, raffigurando la santa con simboli specifici e al tempo stesso
connotativi: gli occhi, che Lucia tiene in mano (o su un piatto o su un vassoio), che si
accompagnano sovente alla palma, alla lampada (che è anche uno dei simboli evangelici più diffuso
e più bello, forse derivato dall’arte sepolcrale) e, meno frequenti, anche ad altri elementi del suo
martirio, come ad es. il libro, il calice, la spada, il pugnale e le fiamme. È anche vero che le
immagini religiose possono essere intese sia come ritratti che come imitazione ma non bisogna
dimenticare che prima dell’età moderna sono mancati riferimenti ai suoi dati fisiognomici, per cui
gli artisti erano soliti ricorrere alla letteratura agiografica il cui esempio per eccellenza è proprio la
Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, che rappresenta il testo di riferimento e la fonte di gran parte
dell’iconografia religiosa. In tale opera il dossier agiografico di Lucia -che si presenta come un
testo di circa tre pagine di lunghezza- è preceduto da un preambolo sulle varie valenze etimologiche
e semantiche relative all’accostamento Lucia/luce: Lucia è un derivato di luce esteso anche al valore
simbolico via Lucis, cioè cammino di luce.
I genitori di Lucia, essendo cristiani, avrebbero scelto per la figlia un nome evocatore della
luce, ispirandosi ai molti passi neotestamentari sulla luce. Tuttavia, il nome Lucia in sé non è
prerogativa cristiana, ma è anche il femminile di un nome latino comune e ricorrente tra i pagani. Se
poi Lucia significhi solo «luce» oppure più precisamente riguarda i «nati al sorger della luce (cioè
all'alba)», rivelando nel contempo anche un dettaglio sull'ora di nascita della santa, è a tutt’oggi, un
170
problema aperto. Forse la questione è destinata a restare insoluta? Il problema si complica se poi si
lega il nome di Lucia non al giorno della nascita ma a quello della morte (=dies natalis): il 13
dicembre era, effettivamente, la giornata dell'anno percentualmente più buia. Per di più, intorno a
quella data, il paganesimo romano festeggiava già una dea di nome Lucina. Queste situazioni hanno
contribuito ad alimentare varie ipotesi riconducibili, tuttavia, a due filoni: da un lato quello dei
sostenitori della teoria, secondo la quale tutte le festività cristiane sarebbero state istituite in luogo
di preesistenti culti pagani, vorrebbero architettata in tale modo anche la festa di Lucia (come già
quella di Agata). Per i non credenti tale discorso può anche essere suggestivo e accattivante,
trovando terreno fertile. Da qui a trasformare la persona stessa di Lucia in personaggio
immaginifico, mitologico, leggendario e non realmente esistito, inventato dalla Chiesa come calco
cristiano di una preesistente divinità pagana, il passo è breve (persino più breve delle stesse già
brevi e pallide ore di luce di dicembre!). Dall’altro lato quello dei credenti,secondo i quali, invece,
antichi e accertati sono sia l’esistenza sia il culto di Lucia di Siracusa, che rappresenta così una
persona storicamente esistita, morta nel giorno più corto dell'anno e che riflette altresì il modello
femminile di una giovane donna cristiana, chiamata da Dio alla verginità, alla povertà e al martirio,
che tenacemente affronta tra efferati supplizi.
Nel Breviario Romano Tridentino, riformato da papa Pio X (ed. 1914), che prima di salire al
soglio pontificio era patriarca di Venezia, è menzionata la traslazione delle reliquie di Lucia alla
fine della lettura agiografica, così come ha evidenziato Andreas Heinz nel suo recente contributo.
A Siracusa un’inveterata tradizione popolare vuole che, dopo avere esalato l’ultimo respiro,
il corpo di Lucia sia stato devotamente tumulato nello stesso luogo dell martirio. Infatti, secondo la
pia devozione dei suoi concittadini, il corpo della santa fu riposto in un arcosolio, cioè in una
nicchia ad arco scavata nel tufo delle catacombe e usata come sepolcro. Fu così che le catacombe di
Siracusa, che ricevettero le sacre spoglie della Santa, presero da lei anche il nome e ben presto
attorno al suo sepolcro si sviluppò una serie numerosa di altre tombe, perché tutti i cristiani
volevano essere tumulati accanto all’amatissima Lucia. Ma, nell'878 Siracusa fu invasa dai Saraceni
per cui i cittadini tolsero il suo corpo da lì e lo nascosero in un luogo segreto per sottrarlo alla furia
degli invasori. Ma, fino a quando le reliquie di Lucia rimasero a Siracusa prima di essere
doppiamente traslate (da Siracusa a Costantinopoli e da Costantinopoli a Venezia)? Fino al 718 o
fino al 1039? È certo che a Venezia il suo culto era già attestato dal Kalendarium Venetum del sec.
XI, nei Messali locali del sec. XV, nel Memoriale Franco e Barbaresco dell’inizio del 1500, dove
era considerata festa di palazzo, cioè festività civile. Durante la crociata del 1204 i Veneziani lo
trasportarono nel monastero di San Giorgio a Venezia ed elessero santa Lucia compatrona della
città. In seguito le dedicarono pure una grande chiesa, dove il corpo fu conservato fino al 1863,
quando questa fu demolita per la costruzione della stazione ferroviaria (che per questo si chiama
Santa Lucia); il corpo fu trasferito nella chiesa dei SS. Geremia e Lucia, dove è conservato
tutt’oggi.
A Pisa è stata dedicata a santa Lucia la nuova chiesa costruita nel quartiere di Porta a Mare.
Il 31 agosto 1943 la città di Pisa fu bombardata da velivoli Boeing B-17 della United States Army
Air Forces, riportando gravi danni al centro abitato e alle infrastrutture ferroviarie nonché un
171
numero di morti tra la popolazione civile stimato tra 982 e 2.500 vittime. Il primo gruppo di
bombardieri detto Flight Leader giunse in prossimità della città ed iniziò a sganciare le prime
bombe sulla centrale elettrica di Porta a Mare. Sulla fabbrica della Saint Gobain caddero 367 bombe
che provocarono 56 morti tra gli operai, quasi tutti rimasti uccisi durante la pausa pranzo. In circa 7
minuti Pisa fu colpita da 1100 ordigni per un totale di oltre 400 tonnellate di esplosivo. Il numero
delle vittime oscilla tra 982 e, più probabilmente, 2500, moltissime delle quali non furono mai
ritrovate. Furono colpite 2500 case, i lungarni furono semidistrutti, la stazione fu rasa al suolo ed il
quartiere di Porta a Mare fu polverizzato. Furono gravemente danneggiate anche le chiese
di Sant'Antonio, San Paolo a Ripa d'Arno, il monastero delle Benedettine e la cappella di
Sant’Agata. Nel dopoguerra si sviluppò un nuovo quartiere residenziale. Intorno alla chiesa di Santa
Lucia vergine e martire. Il 26 settembre 1972 l’Arcivescovo di Pisa Benvenuto Matteucci elevò la
chiesa di Santa Lucia a parrocchia.
Dal Comune dei martiri o delle vergini con salmodia del giorno dal salterio
SECONDA LETTURA
(Cap. 12, 58. 74-75; 13, 77-78;PL 16, 281. 283. 285-286)
Mi rivolgo a te, che vieni dal popolo, dalla gente comune, ma appartiene alla
schiera delle vergini. In te lo splendore dell'anima si irradia sulla grazia esteriore
della persona. Per questo sei un'immagine fedele della Chiesa.
A te dico: chiusa nella tua stanza non cessare mai di tenere fisso il pensiero su
Cristo, anche di notte. Anzi rimani ad ogni istante in attesa della sua visita. E' questo
che desidera da te, per questo ti ha scelta. Egli entrerà se troverà aperta la tua porta.
Sta' sicura, ha promesso di venire e non mancherà alla sua parola. Quando verrà,
colui che hai cercato, abbraccialo, familiarizza con lui e sarai illuminata. Trattienilo,
prega che non se ne vada presto, scongiuralo che non si allontani. Il Verbo di Dio
infatti corre, non prova stanchezza, non è preso da negligenza. L'anima tua gli vada
incontro sulla sua parola, e s'intrattenga poi sull'impronta lasciata dal suo divino
parlare: egli passa via presto.
172
E la vergine da parte sua che cosa dice? «L'ho cercato ma non l'ho trovato; l'ho
chiamato ma non mi ha risposto» (Ct 5, 6). Se così presto se n'è andato via, non
credere che egli non sia contento di te che lo invocasti, lo pregasti, gli apristi la porta:
spesso egli permette che siamo messi alla prova. Vedi che cosa dice nel Vangelo alle
folle che lo pregavano di non andarsene: «Bisogna che io porti l'annunzio della parola
di Dio anche ad altre città, poiché per questo sono stato mandato» (cfr. Lc 4, 43).
Ma anche se ti sembra che se ne sia andato, và a cercarlo ancora.
E' dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo. Anzi te l'ha già
insegnato se ben comprendi ciò che leggi: «Avevo appena oltrepassato le guardie,
quando trovai l'amato del mio cuore. L'ho stretto forte e non lo lascerò» (Ct 3, 4).
Quali dunque i mezzi con cui trattenere Cristo? Non la violenza delle catene, non le
strette delle funi, ma i vincoli della carità, i legami dello spirito. Lo trattiene l'amore
dell'anima.
Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la
sofferenza. E' più facile spesso trovarlo tra i supplizi del corpo, tra le mani dei
persecutori. Lei dice: «Poco tempo era trascorso da quando le avevo oltrepassate».
Infatti una volta libera dalle mani dei persecutori e vittoriosa sui poteri del male,
subito, all'istante ti verrà incontro Cristo, né permetterà che si prolunghi la tua prova.
Colei che così cerca Cristo, che ha trovato Cristo, può dire: «L'ho stretto forte e non
lo lascerò finché non lo abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza della mia
genitrice» (cfr. Ct 3, 4). Che cos'è la casa, la stanza di tua madre se non il santuario
più intimo del tuo essere?
Custodisci questa casa, purificane l'interno. Divenuta perfettamente pulita, e
non più inquinata da brutture di infedeltà, sorga quale casa spirituale, cementata con
la pietra angolare, si innalzi in un sacerdozio santo, e lo Spirito Paraclito abiti in essa.
Colei che cerca Cristo a questo modo, colei che così prega Cristo, non è abbandonata
da lui, anzi riceve frequenti visite. Egli infatti è con noi fino alla fine del mondo.
RESPONSORIO
R. Nella prova, Dio l'ha resa gradita a sé, e gloriosa davanti agli uomini. Di fronte ai
potenti parlava con sapienza, * e il Dio dell'universo l'ha amata.
V. La vergine Lucia ha preparato nel suo cuore una lieta dimora per il suo Dio,
R. e il Dio dell'universo l'ha amata.
Lodi mattutine
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ORAZIONE
Vespri
174
14 dicembre
Giovanni nacque a Fontiveros non lontano da Avila nel 1542 in una famiglia ricca di amore
ma povera di mezzi materiali. È interessante notare il perché di tutto questo. Il padre, Gonzalo de
Yepes, apparteneva ad una nobile e ricca famiglia di Toledo. Nei suoi viaggi d’affari incontrò
Caterina, una tessitrice, orfana, povera e bella. Innamoratosi di lei, la sposò, per amore e contro la
dura volontà dei parenti, ricchi, che per questo lo diseredarono. Gonzalo così diventò poverissimo,
tanto che è Caterina stessa ad accoglierlo nella sua casetta, e ad insegnargli il mestiere di tessitore.
Il loro matrimonio d’amore fu allietato dalla nascita di tre figli.
L’amore tra loro era grande, ma anche la povertà. Giovanni, il terzogenito, rimase presto
orfano: Caterina dopo aver ricevuto uno sdegnoso rifiuto di aiuto dai parenti del marito, cercò
lavoro a Medina del Campo, importante centro commerciale. Qui Giovanni fece i suoi primi studi e
nello stesso tempo accettò di fare dei piccoli lavori: fu così apprendista sarto, falegname,
intagliatore e pittore. Fece anche l’infermiere, sempre amorevole con i malati: in questo modo si
pagava gli studi che contemporaneamente faceva nel collegio dei Gesuiti. Terminati brillantemente
questi, nel 1563 entrò nell’Ordine Carmelitano: era ormai Fra Giovanni di San Mattia.
Proprio per la sua intelligenza e la serietà di vita, i superiori lo inviarono a Salamanca, nella
famosa Università. Qui Giovanni non solo crebbe nella conoscenza della filosofia e teologia, ma
intensificò anche la propria vita spirituale, fatta di preghiera, di lunghe ore di contemplazione
davanti al tabernacolo e di ascesi pratica. Si sentiva portato alla vita contemplativa ed è per questo
che stava meditando di cambiare Ordine ed entrare tra i Certosini.
Ma poco prima di essere ordinato sacerdote, ecco l’incontro provvidenziale con una
affascinante monaca carmelitana di nome Teresa di Gesù, di quasi trent’anni più di lui. Questa era
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una donna dalla forte personalità arrivata ormai alla piena maturità spirituale. Vi era giunta
attraverso un lungo travaglio vocazionale e spirituale e proprio in quegli anni stava lavorando con
successo alla riforma delle Carmelitane. In quel periodo stava anche pensando di estendere la
riforma al ramo maschile dell’Ordine. Questo era molto importante per Teresa, perché gli uomini
potevano legare la contemplazione del mistero di Dio alla missione. Potevano lavorare cioè non
solo alla propria santificazione nel chiuso del convento ma anche per quella degli altri. Teresa
espose a Giovanni il proprio progetto di riforma e gli chiese nello stesso tempo di soprassedere alla
decisione di cambiare ordine. E questi accettò.
Nel 1568, Teresa finalmente riuscì a fondare il primo convento maschile, a Duruelo, presso
Avila. Giovanni (che da questo momento si chiamerà Giovanni della Croce) iniziava così una forma
di vita religiosa, condividendo con Teresa l’ideale di riforma della vita carmelitana. Anzi fu lei
stessa a cucirgli il primo saio di lana grezza. Nascevano così i Carmelitani Scalzi.
Nel 1572, Teresa venne nominata priora del grande convento di Avila (non riformato), con
130 monache, alcune delle quali erano poco sante e molto turbolente. E volle accanto a sé per la
loro rieducazione spirituale proprio Giovanni della Croce: confessore e direttore spirituale delle
monache. I risultati spirituali furono brillanti grazie all’opera congiunta dei due santi riformatori.
Ma nello stesso tempo, erano cresciuti anche i rancori e l’opposizione di alcuni carmelitani non
riformati. C’era chi con il diavolo, molto interessato al naufragio del progetto, remava contro questa
riforma. E ben presto si fecero sentire. Duramente e dolorosamente. Per un tragico intreccio fatto di
incomprensioni, di giochi di potere, di dispute sulla giurisdizione religiosa, di ambizioni personali
mascherate da argomenti teologici e difficoltà di comunicazione (lettere in ritardo).
Ma mentre Teresa (che aveva protettori molto in alto, addirittura in Filippo II) non venne
toccata, la cattiveria umana si scatenò contro il povero Giovanni. Per ordine superiore, sotto
l’accusa di essere un frate ribelle e disobbediente, fu arrestato e incarcerato in un convento a
Toledo. Gli lasciarono in mano solo il breviario. Fu maltrattato, umiliato e segregato in un’angusta
prigione, con poca luce e molto freddo. Nove mesi di prigione: a pane e acqua (e qualche sardina),
con una sola tonaca che gli marciva addosso, con il supplemento di sofferenza (flagellazione) ogni
venerdì nel refettorio davanti a tutti.
Divorato dalla fame e dai pidocchi, consumato dalla febbre e dalla debolezza, dimenticato
da tutti. Ma non da Teresa (che protestò vigorosamente anche in alto, ma invano) e tanto meno da
Dio. Sì Dio non solo non lo aveva dimenticato, anzi era sempre stato con lui, con la sua grazia.
Giovanni sapeva che anche nella notte della prigione Dio era nel suo cuore, presentissimo in ogni
istante.
E il miracolo avvenne. In una situazione che per molti versi e per molte persone poteva
essere di collasso psico fisico e di naufragio spirituale, Giovanni della Croce (possiamo immaginare
per un “input” dall’alto) compose, con materiale biblico, le più calde e trascinanti poesie d’amore,
ricche di sentimenti, di immagini e di simboli. Vivendo in Dio e di Dio anche in quelle circostanze,
egli attingeva così a Lui, fonte perenne di ogni novità e creatività, “anche se attorno era notte”.
Alla vigilia dell’Assunta del 1578, fuggì coraggiosamente dal carcere, rischiando seriamente
la vita, qualora fosse stato preso.
Le sofferenze inaudite di 9 mesi di carcere non furono vane. Infatti, due anni dopo, i
Carmelitani Scalzi ottennero il riconoscimento da Roma, che significava autonomia. Giovanni della
Croce era finalmente libero di espletare il suo ministero con tutte le sue qualità di cui era dotato,
influendo positivamente tutti: confratelli e monache Carmelitane (e molti laici) che lo conobbero o
che lo ebbero come superiore o come confessore e direttore spirituale, negli anni seguenti fino alla
morte.
Fu inviato anche al sud della Spagna, in Andalusia, dove il clima, la natura, l’assenza di
contrasti e il successo della riforma di Teresa di Gesù (e sua) gli diedero il tempo e l’ispirazione per
comporre la maggior parte delle opere di spiritualità, tanto da farne uno dei grandi maestri nella
Chiesa.
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Tra i suoi scritti ricordiamo, oltre il già citato Cantico Spirituale in poesia, la Salita al Monte
Carmelo e la Notte Oscura. Pur avendo una solida formazione filosofica e teologica (il che lo
aiutava certamente), ciò che Giovanni ha scritto non è tanto il risultato di sistematiche ricerche in
biblioteca quanto il frutto della propria esperienza ascetica e spirituale.
Morì a 49 anni tra il 13 e il 14 dicembre 1591 a Ubeda.
La liturgia nel calendario Romano generale è dal Comune dei dottori della Chiesa con
salmodia del giorno dal salterio e le uniche parti proprie sono la seconda lettura
dell’Ufficio delle letture e l’Orazione. Si riporta qui il testo del Proprio carmelitano,
dove è solennità.
Primi Vespri
INNO
Cantiamo il mistero dell’unione:
colui che è puro e libero nel cuore,
soltanto in Dio pone la sua gioia,
e sale il monte nell’oscurità.
Oppure dal Comune dei pastori o un altro inno o canto adatto approvato dall’autorità
ecclesiastica.
SALMO 112
SALMO 145
RESPONSORIO BREVE
℞. Dio, che separò la luce dalle tenebre, * rifulse nei nostri cuori.
Dio, che separò la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori.
℣. Per farci conoscere la gloria di Cristo,
rifulse nei nostri cuori.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Dio, che separò la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori.
INTERCESSIONI
Cristo Signore, che hai arricchito il tuo servo Giovanni con la sapienza della croce,
– infiamma del tuo amore coloro che nella Chiesa hanno il compito di insegnare e
governare.
Cristo, luce vera, che ti riveli nella notte della fede ai poveri in spirito,
– mostra il tuo volto a chi è nelle tenebre e ti cerca con cuore sincero.
180
Cristo, unico maestro, che sveli le profondità del tuo mistero a coloro che ti amano e
ti cercano,
– concedi la sublime scienza della carità a coloro che hai chiamato alla tua imitazione
nel Carmelo.
Cristo, vittorioso in cielo, circondato da tutti i santi,
– concedi ai nostri defunti il riposo e la pace eterna nella tua gloria.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che hai guidato san Giovanni della Croce, nostro Padre, alla santa
montagna che è Cristo, attraverso la notte oscura della rinuncia e l’amore ardente
della croce, concedi a noi di seguirlo come maestro di vita spirituale, per giungere
alla contemplazione della tua gloria. Per il nostro Signore.
O Dio, che hai reso il santo presbitero Giovanni [della Croce] maestro della
rinuncia perfetta di sé e appassionato discepolo della croce, concedi a noi di restare
sempre saldi nella sua imitazione per giungere alla contemplazione eterna della tua
gloria. Per il nostro Signore.
INVITATORIO
INNO
Dov’è che sei nascosto?
Amato, tu gemente mi hai lasciato,
fuggendo come un cervo,
avendomi ferito.
Gridando ti ho cercato: eri partito.
Rivelati presente,
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mi uccida il veder la tua bellezza;
la pena dell’amore
tu sai che non si cura
se non con la visibile presenza.
Io l’anima ti ho dato,
ho messo tutti i beni al tuo servizio;
non guardo più il gregge,
non ho più alcun pensiero,
è solo nell’amare il mio esercizio.
Oppure dal Comune dei pastori o un altro inno o canto adatto approvato dall’autorità
ecclesiastica.
SALMO 15
Proteggimi, o Dio: *
in te mi rifugio. __
Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore, *
senza di te non ho alcun bene».
SALMO 33
I (2-11)
II (12-23)
PRIMA LETTURA
Ringraziate con gioia il Padre, che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei
santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose,
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce,
185
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere
cattive; ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per
presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui; purché restiate fondati e
fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale
è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo, e del quale io, Paolo, sono
diventato ministro.
Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che,
dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi
di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da
generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la
gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della
gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno
con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e
lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.
Per quanto siano molti i misteri e le meraviglie scoperte dai santi dottori e
intese dalle anime sante nel presente stato di vita, tuttavia ne è rimasta da dire e da
capire la maggior parte e quindi c`è ancora molto da approfondire in Cristo. Questi
infatti è come una miniera ricca di immense vene di tesori, dei quali, per quanto si
vada a fondo, non si trova la fine; anzi in ciascuna cavità si scoprono nuovi filoni di
ricchezze.
Perciò san Paolo dice del Cristo: «In Cristo si trovano nascosti tutti i tesori
della sapienza e della scienza» (Col 2, 3) nei quali l`anima non può penetrare, se
prima non passa per le strettezze della sofferenza interna ed esterna. Infatti, a quel
poco che è possibile sapere in questa vita dei misteri di Cristo non si può giungere
senza aver sofferto molto, aver ricevuto da Dio numerose grazie intellettuali e
186
sensibili e senza aver fatto precedere un lungo esercizio spirituale, poiché tutte queste
grazie sono più imperfette della sapienza dei misteri di Cristo, per la quale servono di
semplice disposizione.
Oh, se l`anima riuscisse a capire che non si può giungere nel folto delle
ricchezze e della sapienza di Dio, se non entrando dove più numerose sono le
sofferenze di ogni genere riponendovi la sua consolazione e il suo desiderio! Come
chi desidera veramente la sapienza divina, in primo luogo brama di entrare veramente
nello spessore della croce!
Per questo san Paolo ammoniva i discepoli di Efeso che non venissero meno
nelle tribolazioni, ma stessero forti e radicati e fondati nella carità, e così potessero
comprendere con tutti i santi quale sia l`ampiezza, la lunghezza, l`altezza e la
profondità e conoscere l`amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza per essere
ricolmi di tutta la pienezza di Dio (cfr. Ef 3, 17). Per accedere alle ricchezze della
sapienza divina la porta è la croce. Si tratta di una porta stretta nella quale pochi
desiderano entrare, mentre sono molti coloro che amano i diletti a cui si giunge per
suo mezzo.
R. Occhio non vide, orecchio non udì, né mai entrò in mente umana, * ciò che Dio ha
preparato per quelli che lo amano.
V. A noi fu rivelato, per mezzo del suo Spirito,
R. ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano.
Oppure
℞. Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, *
veniamo trasformati in quella medesima immagine, secondo l’azione dello Spirito del
Signore.
℣. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
℞. Veniamo trasformati in quella medesima immagine, secondo l’azione dello Spirito
del Signore.
ORAZIONE
O Dio, che hai guidato san Giovanni della Croce alla santa montagna che è
Cristo, attraverso la notte oscura della rinuncia e l'amore ardente della croce, concedi
a noi di seguirlo come maestro di vita spirituale, per giungere alla contemplazione
della tua gloria. Per il nostro Signore.
O Dio, che hai reso il santo presbitero Giovanni [della Croce] maestro della
rinuncia perfetta di sé e appassionato discepolo della croce, concedi a noi di restare
188
sempre saldi nella sua imitazione per giungere alla contemplazione eterna della tua
gloria. Per il nostro Signore.
Lodi mattutine
INNO
O fiamma viva dell’amore,
teneramente tu ferisci
dell’anima il centro più profondo!
Poiché non porti più dolore,
se è tuo volere, ormai, finisci:
il velo togli a questo dolce incontro!
189
3 ant. Con cantici spirituali
cantate e inneggiate al Signore
Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a
viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo
trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello
Spirito del Signore.
RESPONSORIO BREVE
Oppure:
INVOCAZIONI
Supplichiamo Cristo, capo e sposo della Chiesa, che oggi ci allieta con la festa di san
Giovanni della Croce, e diciamo insieme:
Tu sei il re della gloria, o Cristo.
Unica Parola del Padre, pronunciata dall’eternità nel silenzio e incarnata nella
pienezza dei tempi,
– fa’ che ascoltiamo nell’intimo le tue parole, per custodirle e tradurle nelle opere.
Sapienza del Padre, che ci riveli il tuo amore nell’annientamento della Croce,
– fa’ che i redenti dal tuo Sangue rimangano uniti intimamente a te.
Immagine perfetta del Padre, in cui sono rivelati e donati tutti i misteri dell’Amore
eterno,
– fa’ che, purificati e trasformati dallo Spirito, risplendiamo dell’inaccessibile tua
luce.
Gioia immensa del Padre, che in te guarda benigno tutti gli uomini,
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– fa’ che siamo perfetti e misericordiosi come il Padre celeste.
Primogenito di ogni creatura, grazie a cui il Padre creò e redense l’universo,
– fa’ che passiamo dalle realtà visibili all’invisibile tua bellezza e, fatti voce di ogni
creatura, ti glorifichiamo.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che hai guidato san Giovanni della Croce alla santa montagna che è
Cristo, attraverso la notte oscura della rinuncia e l'amore ardente della croce, concedi
a noi di seguirlo come maestro di vita spirituale, per giungere alla contemplazione
della tua gloria. Per il nostro Signore.
O Dio, che hai reso il santo presbitero Giovanni [della Croce] maestro della
rinuncia perfetta di sé e appassionato discepolo della croce, concedi a noi di restare
sempre saldi nella sua imitazione per giungere alla contemplazione eterna della tua
gloria. Per il nostro Signore.
Ora media
Terza
Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato
secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.
Sesta
Nona
Nella speranza siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più
oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se
speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
Secondi Vespri
INNO
Beato cercatore
del volto dell’Altissimo,
sei martire nell’anima,
sei mistico dottore.
Cantore dell’amore
con scritti luminosi,
ci insegni a seguire
le orme dell’Amato.
Tu scruti e ci riveli
del monte la salita,
la notte della fede,
la fiamma dell’amore.
Ci apri il mistero
del Verbo di Dio Padre,
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che tutto dice e dona,
e compie ogni parola.
SALMO 14
SALMO 111
193
Beato l’uomo che teme il Signore *
e trova grande gioia nei suoi comandamenti.
Potente sulla terra sarà la sua stirpe, *
la discendenza dei giusti sarà benedetta.
In lui ci ha scelti *
prima della creazione del mondo,
per trovarci al suo cospetto, *
santi e immacolati nell’amore.
194
Ci ha predestinati *
a essere suoi figli adottivi
per opera di Gesù Cristo, *
secondo il beneplacito del suo volere.
A lode e gloria
della sua grazia, *
che ci ha dato
nel suo Figlio diletto.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue
cesserà e la conoscenza svanirà. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è
imperfetto scomparirà. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò
perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose:
la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
RESPONSORIO BREVE
195
℞. Forte come la morte è l’amore. * Le sue fiamme sono fuoco del Signore.
Forte come la morte è l’amore. Le sue fiamme sono fuoco del Signore.
℣. Chi ci separerà dall’amore di Cristo?
Le sue fiamme sono fuoco del Signore.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Forte come la morte è l’amore. Le sue fiamme sono fuoco del Signore.
INTERCESSIONI
Glorifichiamo Dio Padre, che con il Figlio ci ha donato lo Spirito, perché, resi
partecipi della natura divina, testimoniamo nel mondo il suo amore. Preghiamo
insieme e diciamo:
Per intercessione di san Giovanni, ascoltaci Signore.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che hai guidato san Giovanni della Croce alla santa montagna che è
Cristo, attraverso la notte oscura della rinuncia e l'amore ardente della croce, concedi
a noi di seguirlo come maestro di vita spirituale, per giungere alla contemplazione
della tua gloria. Per il nostro Signore.
O Dio, che hai reso il santo presbitero Giovanni [della Croce] maestro della
rinuncia perfetta di sé e appassionato discepolo della croce, concedi a noi di restare
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sempre saldi nella sua imitazione per giungere alla contemplazione eterna della tua
gloria. Per il nostro Signore.
Cari fratelli e sorelle, oggi vorrei parlare di un altro importante Santo spagnolo,
amico spirituale di santa Teresa, riformatore, insieme a lei, della famiglia religiosa
carmelitana: san Giovanni della Croce, proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Pio
XI, nel 1926, e soprannominato nella tradizione Doctor mysticus, “Dottore mistico”.
Giovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros,
vicino ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La
famiglia era poverissima, perché il padre, di nobile origine toledana, era stato
cacciato di casa e diseredato per aver sposato Catalina, un'umile tessitrice di seta.
Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la madre e il
fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e
culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos, svolgendo anche alcuni umili
lavori per le suore della chiesa-convento della Maddalena. Successivamente, date le
sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima come infermiere
nell'Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a
Medina del Campo: qui Giovanni entrò diciottenne e studiò per tre anni scienze
umane, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara
la propria vocazione: la vita religiosa e, tra i tanti ordini presenti a Medina, si sentì
chiamato al Carmelo.
Nell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città,
assumendo il nome religioso di Giovanni di San Mattia. L’anno seguente venne
destinato alla prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e
filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per celebrare
la sua Prima Messa circondato dall'affetto dei famigliari. Proprio qui avvenne il
primo incontro tra Giovanni e Teresa di Gesù. L’incontro fu decisivo per entrambi:
Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel ramo maschile
dell'Ordine e propose a Giovanni di aderirvi “per maggior gloria di Dio”; il giovane
sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa, tanto da diventare un grande sostenitore
del progetto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte
per inaugurare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura
avvenne il 28 dicembre 1568 a Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con
Giovanni formavano questa prima comunità maschile riformata altri tre compagni.
Nel rinnovare la loro professione religiosa secondo la Regola primitiva, i quattro
adottarono un nuovo nome: Giovanni si chiamò allora “della Croce”, come sarà poi
universalmente conosciuto. Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa, divenne
confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove la Santa era
priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale, che arricchì
197
entrambi. Α quel periodo risalgono anche le più importanti opere teresiane e i primi
scritti di Giovanni.
L’adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni anche
gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua
incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell'Antica Osservanza di Toledo, a
seguito di una ingiusta accusa. Il Santo rimase imprigionato per mesi, sottoposto a
privazioni e costrizioni fisiche e morali. Qui compose, insieme ad altre poesie, il
celebre Cantico spirituale. Finalmente, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì
a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel monastero delle Carmelitane Scalze
della città.
Santa Teresa e i compagni riformati celebrarono con immensa gioia la sua
liberazione e, dopo un breve tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in
Andalusia, dove trascorse dieci anni in vari conventi, specialmente a Granada.
Assunse incarichi sempre più importanti nell'Ordine, fino a diventare Vicario
Provinciale, e completò la stesura dei suoi trattati spirituali. Tornò poi nella sua terra
natale, come membro del governo generale della famiglia religiosa teresiana, che
godeva ormai di piena autonomia giuridica. Abitò nel Carmelo di Segovia, svolgendo
l'ufficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da ogni responsabilità
e destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava per il
lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in un convento solitario vicino a Jaén,
dove si ammalò gravemente. Giovanni affrontò con esemplare serenità e pazienza
enormi sofferenze. Morì nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591, mentre i
confratelli recitavano l'Ufficio mattutino. Si congedò da essi dicendo: “Oggi vado a
cantare l'Ufficio in cielo”. I suoi resti mortali furono traslati a Segovia. Venne
beatificato da Clemente X nel 1675 e canonizzato da Benedetto XIII nel 1726.
Giovanni è considerato uno dei più importanti poeti lirici della letteratura
spagnola. Le opere maggiori sono quattro: Ascesa al Monte Carmelo, Notte oscura,
Cantico spirituale e Fiamma d'amor viva.
Nel Cantico spirituale, san Giovanni presenta il cammino di purificazione
dell’anima, e cioè il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a
sentire che ama Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d'amor
viva prosegue in questa prospettiva, descrivendo più in dettaglio lo stato di unione
trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da Giovanni è sempre quello del fuoco:
come il fuoco quanto più arde e consuma il legno, tanto più si fa incandescente fino a
diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e
“pulisce” l'anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita
dell'anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria
dell'unione con Dio nell'eternità.
L’Ascesa al Monte Carmelo presenta l'itinerario spirituale dal punto di vista
della purificazione progressiva dell'anima, necessaria per scalare la vetta della
perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. Tale purificazione
è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l'azione
divina, per liberare l'anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla volontà di
Dio. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio dev’essere totale,
198
inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo
delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l'intenzione, la
memoria e la volontà. La Notte oscura descrive l'aspetto “passivo”, ossia l'intervento
di Dio in questo processo di “purificazione” dell'anima. Lo sforzo umano, infatti, è
incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle
abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente.
Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e
lo dispone all'unione d'amore con Lui. San Giovanni definisce “passiva” tale
purificazione, proprio perché, pur accettata dall'anima, è realizzata dall’azione
misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di fuoco, consuma ogni impurità. In
questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una
notte oscura.
Queste indicazioni sulle opere principali del Santo ci aiutano ad avvicinarci ai
punti salienti della sua vasta e profonda dottrina mistica, il cui scopo è descrivere un
cammino sicuro per giungere alla santità, lo stato di perfezione cui Dio chiama tutti
noi. Secondo Giovanni della Croce, tutto quello che esiste, creato da Dio, è buono.
Attraverso le creature, noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in esse ha
lasciato una traccia di sé. La fede, comunque, è l’unica fonte donata all'uomo per
conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino. Tutto quello che
Dio voleva comunicare all'uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne.
Gesù Cristo è l’unica e definitiva via al Padre (cfr Gv 14,6). Qualsiasi cosa creata è
nulla in confronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere
all'amore perfetto di Dio, ogni altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore
divino. Da qui deriva l'insistenza di san Giovanni della Croce sulla necessità della
purificazione e dello svuotamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta
unica della perfezione. Questa “purificazione” non consiste nella semplice mancanza
fisica delle cose o del loro uso; quello che rende l'anima pura e libera, invece, è
eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come
centro e fine della vita. Il lungo e faticoso processo di purificazione esige certo lo
sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tutto quello che l'uomo può fare è
“disporsi”, essere aperto all'azione divina e non porle ostacoli. Vivendo le virtù
teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di crescita della
fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purificazione e con
la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui. Quando si giunge a questa
meta, l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma
che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la
ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera
unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato
supremo l'anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le
creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall'amore divino e si
rallegra completamente in esso.
Cari fratelli e sorelle, alla fine rimane la questione: questo santo con la sua alta
mistica, con questo arduo cammino verso la cima della perfezione ha da dire qualcosa
anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa vita di oggi, o è
199
un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono realmente
intraprendere questa via della purificazione, dell'ascesa mistica? Per trovare la
risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san Giovanni della
Croce non è stata un “volare sulle nuvole mistiche”, ma è stata una vita molto dura,
molto pratica e concreta, sia da riformatore dell'ordine, dove incontrò tante
opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere dei suoi confratelli, dove era
esposto a insulti incredibili e a maltrattamenti fisici. E’ stata una vita dura, ma
proprio nei mesi passati in carcere egli ha scritto una delle sue opere più belle. E così
possiamo capire che il cammino con Cristo, l'andare con Cristo, “la Via”, non è un
peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa
che renderebbe ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è
una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un
grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le
molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere
amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce
che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un'opera nostra,
molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire e finestre della nostra anima
perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare Dio perché proprio nell'apertura
alla sua luce si trova forza, si trova la gioia dei redenti. Preghiamo il Signore perché
ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti
e la vera redenzione. Grazie.
200
15 dicembre
Il beato di cui parliamo, è ancora oggetto di studi approfonditi circa la sua individuazione
storica, specie dei primi anni di appartenenza all’Ordine dei Servi di Maria, perché vi furono nel suo
tempo più frati omonimi, vissuti nello stesso convento di Pistoia e in altri conventi toscani; questo
provocò di essere confuso con i suddetti frati omonimi.
Ad ogni modo si dà qui una versione, che contempla gli elementi caratteristici che gli sono
stati attribuiti e che godono di unità di trama e logico sviluppo.
Bonaventura Bonaccorsi nacque a Pistoia verso il 1250. Secondo una tradizione riferita dal
cronista dell’Ordine dei Servi di Maria, Michele Poccianti, san Filippo Benizi († 1285), in
occasione di un Capitolo generale celebrato a Pistoia nel 1276, si adoperò per comporre le lotte
intestine della città. Quel pacifico intervento, ebbe come benefico effetto che molti, essendosi
riconciliati, chiesero di indossare l’abito dei Servi di Maria, ponendosi sotto la guida del santo
propagatore dell’Ordine e fra loro c’era anche Bonaventura Bonaccorsi, esponente della fazione
ghibellina.
La tradizione dice ancora, che san Filippo Benizi e fra Bonaventura da Pistoia, dettero inizio
alla Compagnia di Disciplina dei Rossi, così detta per il colore del mantello, composta dai neo-
convertiti; poi Bonaventura divenne sacerdote e s. Filippo chiese la sua collaborazione nell’azione
che aveva intrapreso presso la Curia papale, per conseguire la sopravvivenza dell’Ordine,
minacciato di scioglimento, secondo il canone XXIII del Secondo Concilio di Lione del 1274.
Fra’ Bonaventura l’accompagnò, insieme a fra’ Lotaringio da Firenze, dal papa Martino IV
nel suo ultimo anno di pontificato; si sa inoltre che nel 1285, fra Bonaventura allora priore ad
Orvieto, diede un prestito di diciotto fiorini d’oro allo stesso padre Filippo, impegnato in un altro
viaggio presso il nuovo papa Onorio IV.
Il Beato Bonaventura lo si ritrova citato nei documenti esistenti, specie del periodo più
intenso della sua vita, che fece seguito alla morte di s. Filippo Benizi, avvenuta il 22 agosto 1285;
così è citato nel 1289 come padre provinciale, che paga un debito al padre generale, per il convento
di Foligno e a marzo del 1289 risulta come priore di Montepulciano.
Dal 6 agosto 1300 fu priore a Bologna e in questo stesso periodo, ebbe l’incarico di
procuratore da parte del Capitolo Generale di Pistoia per l’acquisto del monastero di S. Elena a
Bologna.
201
Ancora il 10 settembre dello stesso anno, durante il suo priorato, furono consacrati il
chiostro, il cimitero, la piazza e il parlatorio, adiacenti la chiesa dei Servi in Borgo S. Petronio, alla
presenza del Generale dell’Ordine, Andrea Balducci.
Nel 1307 era priore a Pistoia; ma fu il convento di Montepulciano che lo vide di più come
priore, usufruendo della sua attiva opera; infatti era lì nel 1288-89, nel 1296, nel 1306 e accolse
nell’Ordine molti religiosi e oblati, fra cui alcuni futuri Beati.
Fra tutti il personaggio più illustre che ebbe rapporti con padre Bonaventura, fu sant’Agnese
da Montepulciano fondatrice di un convento sotto la regola di S. Agostino, alla quale egli fu guida
spirituale; a lui si attribuisce la composizione di “un trattato di gratia, che è nel convento di Siena”.
Bonaventura da Pistoia morì il 14 dicembre 1315 ca, probabilmente ad Orvieto, dove il suo
corpo fu sepolto e dove è rimasto fino al 22 aprile 1915, quando fu trasferito nella chiesa della S.ma
Annunziata di Pistoia, dove tutt’ora è venerato.
Il culto fu approvato da papa Pio VIII il 23 aprile 1822, la festa liturgica si celebra nel
supposto giorno della morte, che secondo gli “Annali” è il 14 dicembre.
In un affresco dei primi anni del sec. XVI, posto nella Chiesa dei Servi di Maria di Orvieto,
opera di un seguace di Luca Signorelli, fra’ Bonaventura è raffigurato insieme ad altri undici santi e
beati dell’Ordine.
Sulla vita, le opere, le origini del beato, esiste una vasta bibliografia storica, accumulatosi
nei secoli.
SECONDA LETTURA
Figli miei, conservatevi fedeli nell’amicizia coi vostri fratelli, perché nelle
vicende umane nulla vi è di più bello dell’amicizia. Gran conforto è avere in questa
vita uno cui poter aprire il proprio cuore, cui manifestare i tuoi segreti e affidare
quanto ti addolora, perché nelle prosperità gioisca con te, nelle sventure ti compianga,
nelle persecuzioni ti infonda coraggio. Come fu grande l’amicizia di quei fanciulli
ebrei! neppure la fiamma della fornace ardente li poté separare (Dn 3, 8-23). Bene
disse David: «Saul e Gionata, amabili e gentili, né in vita né in morte furono divisi»
(2 Sam 1, 23).
È questo il frutto dell’amicizia, che a causa di essa non venga meno la fede.
Non può infatti essere amico dell’uomo chi è infedele a Dio. L’amicizia è custode
della pietà, maestra dell’uguaglianza: il superiore si rende uguale all’inferiore e
l’inferiore al superiore. È proprio l’amicizia che riesce a creare l’unità anche tra
quelli che provengono da condizioni diverse e hanno differenti mentalità.
202
L’inferiore non dovrà mancare di autorità, quando occorra; né il superiore
d’umiltà. Questi l’ascolti da pari a pari e l’altro, da amico, ammonisca, rimproveri,
mosso non da superbia ma da cordiale amore.
L’ammonizione non sia aspra né il rimprovero offensivo; perché l’amico deve
guardarsi non solo dall’adulazione ma anche dall’insolenza. Cosa è infatti un amico,
se non un compagno amorevole cui ti unisci così intimamente da fondere il tuo animo
con il suo e farne di due uno? A lui ti affiderai come a te stesso senza ombra di
timore, nulla gli chiederai di disonesto per il tuo proprio interesse.
L’amicizia infatti non è mercenaria, ma dignitosa e piena di amabilità. Virtù è
l’amicizia, non guadagno; perché nasce non dal denaro, ma dalla grazia e non viene
offerta all’incanto, ma sgorga da una gara di benevolenza.
Per lo più sono migliori le amicizie tra i poveri che tra i ricchi: anzi i ricchi,
spesso, non hanno amici, mentre i poveri ne hanno molti. Non c’è infatti vera
amicizia dove regna l’adulazione che ti inganna; molti cercano di rendersi amici i
ricchi con adulazioni, mentre con il povero nessuno usa sotterfugi. Chi dona al
povero non lo fa per secondi fini e la sua amicizia non nasconde ombra di invidia.
Che c’è di più prezioso dell’amicizia, che è comune agli angeli e agli uomini?
Anche Gesù dice: «Fatevi degli amici con le ingiuste ricchezze, perché vi accolgano
nelle dimore eterne» (Lc 16, 9). Il Signore stesso si fa nostro amico, benché siamo
suoi servi; dice infatti: «Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv
15, 14). E ci ha lasciato il modello dell’amicizia: fare la volontà dell’amico,
confidargli i segreti del cuore e conoscere quelli dell’amico. Apriamo a lui il nostro
cuore ed egli, a sua volta, apra il suo a noi; dice il Signore: «Vi ho chiamati amici,
perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15).
L’amico, perciò, se è vero amico, nulla nasconde: effonde il suo cuore, come il
Signore Gesù rivelava i misteri del Padre.
Oppure:
Fece o disse solo ciò che stimò gradito a Dio e utile agli uomini
ORAZIONE
Infondi nei tuoi servi, o Dio onnipotente, il dono della prudenza, per cui il
beato Bonaventura mirabilmente rifulse nella guida dei suoi frati e delle vergini a te
consacrate. Per il nostro Signore
204
16 dicembre
Nel 1638, è giunto al trono di Torino Carlo Emanuele II, il quale migliora l’amministrazione
e riforma in senso più moderno gli ordinamenti militari. Ma il Piemonte rimane sotto la tutela
francese, che rallenta ogni iniziativa politica. La città di Torino però è ricca di una grande fede
saldamente radicata nelle famiglie, nelle parrocchie, nei monasteri. Anzi è il tempo in cui nascono
nuove fondazioni di case religiose.
In questo clima, il 7 gennaio 1661, ultima di 11 figli del conte Giovanni Fontanella di
Baldissero e di Maria Tana di Santena, nasce Marianna. Piccolissima, viene a conoscere che la sua
mamma è della medesima famiglia, originaria di Chieri – da cui un secolo prima, era nata Marta
Tana, la madre esemplare di San Luigi Gonzaga (1568-1591), il principe mantovano che per seguire
Gesù, vergine, obbediente e povero, tra i Gesuiti, aveva rinunciato alla sua cospicua eredità e ai
titoli nobiliari. Luigi, vero angelo in carne, aveva immolato la sua vita a 23 anni, a servizio tra gli
appestati di Roma ed era già stato proclamato santo.
Marianna cresce tenendo davanti agli occhi e al cuore Luigi Gonzaga come modello e
intercessore. Lo imita nella fede, nella carità nella libata purezza, nella dedizione a Gesù. La sua
formazione di ragazza è intensamente cristiana, arricchita da una tenerissima devozione alla
Madonna e a San Giuseppe.
Nel medesimo tempo, ella sa che cosa si vive e si soffre a Torino e nei rapporti tra gli Stati
d’Europa, spesso in guerra tra loro per motivi dinastici e di supremazia militare ed economica. Per
tutta la vita, il suo sguardo sarà continuamente rivolto a Dio, come all’Unico, e alla storia del suo
tempo, su cui sa di poter essere influente almeno con la forza della preghiera e dell’offerta – ciò che
non è poco.
A 14 anni, è orfana di padre, però sta maturando la chiamata da Dio, il progetto di
consacrarsi a Lui nel Carmelo, affascinata dall’ideale di Santa Teresa d’Avila e di San Giovanni
della Croce. Proprio i Savoia, il 30 aprile 1639, hanno fondato a Torino il monastero delle
Carmelitane di Santa Cristina, che l’attira fortemente.
Con notevole fermezza, Maria entra in questo monastero. Il 19 novembre 1675, veste l’abito
religioso e diventa suor Maria degli Angeli.
Nell’anno di noviziato, si infervora nella sua nuova vita e si innamora tutta di Gesù e il 26
dicembre 1676, nel tempo natalizio, assai caro alla Tradizione carmelitana, emette la professione.
Ha solo 15 anni, ma per un dono singolare di Dio, già cammina velocemente verso la vetta
205
della santità. Su questa via, suor Maria presto s’incontra con la sofferenza: ella accetta tutte le prove
con fiducia e serenità, con eroismo, lasciandosi affinare nell’anima e nella vita, puntando decisa alla
mistica trasfigurazione in Gesù. La sua vita di preghiera e di unione con Lui, spesso trabocca nelle
consorelle e su tutti coloro che spesso vengono alla grata del monastero in cerca della sua preghiera
e del suo consiglio.
Suor Maria è assai addentro alla realtà di Dio e pure conosce l’umanità e la storia del suo
tempo. Gode giovanissima, di fama di santità. La stimano a fondo le consorelle che si fidano di lei
come di un angelo inviato da Dio. La stimano i concittadini, la città di Torino.
Nel 1694, è eletta priora: ha solo 33 anni: per eleggerla, si è dovuta chiedere la dispensa
apostolica, ma viene confermata in tale carica altre tre volte, segno della sua autorevolezza. Non
potendo più essere eletta, sarà maestra delle novizie e le sorelle “più piccole” troveranno davvero in
lei una madre e una guida verso la santità.
Quando Vittorio Amedeo II, uscito di minorità, assume il governo nel 1684, la pressione
della Francia è forte più che mai: re Luigi XVI, padrone di Pinerolo e di Casale, pensa di far leva
sul Piemonte per accrescere l’egemonia della Francia sull’Italia. Quando le pretese francesi si fanno
intollerabili, Vittorio Amedeo risponde dichiarando guerra: la sorte delle armi gli è avversa, ma egli
guadagna prestigio con l’accortezza politica.
Intanto al Carmelo di Santa Cristina, Madre Maria degli Angeli prega e ottiene dal Signore
la fine della guerra e la liberazione di Torino. Il re di Francia lascia libero il Piemonte. Maria ascrive
la vittoria all’intercessione di San Giuseppe e fa proclamare lo sposo di Maria, patrono della città.
I piccoli e i grandi di Torino crescono nell’ammirazione e nella stima per la santa monaca, in
primo luogo gli stessi Reali di Savoia, che diventano suoi confidenti. Ma i suoi prediletti sono gli
umili e i poveri. È nota a tutti per il suo amore alla patria, alla Chiesa e al Papa, al sacerdozio
cattolico, amore vissuto con la preghiera continua a la silenziosa immolazione, in unione con il
Crocifisso.
Nel 1702, Madre Maria degli Angeli diventa fondatrice, aprendo a Moncalieri, un altro
Carmelo, dedicato a San Giuseppe. È una vera figlia di Santa Teresa d’Avila, di cui zela
l’osservanza piena della Santa Regola e dei consigli, impegnandosi a rassomigliarle nell’offerta
della sua vita per la Chiesa e per la conversione del mondo a Gesù.
Presto, benché assetata di preghiera e di nascondimento, si trova a essere di nuovo alla
ribalta sul piano internazionale, come diremo oggi. Nel 1706, Torino è di nuovo assediata dai
francesi per quattro mesi. Se Pietro Micca si sacrifica per impedire ai francesi l’ingresso nella città,
Maria degli Angeli si rivolge alla Madonna per ottenere la protezione di Torino: il 7 settembre 1706,
le forze unite del principe Eugenio di Savoia riportano, com’ella ha predetto, una decisiva vittoria e
la fuga dei francesi.
È molto lieta, Maria, quando per ringraziare della vittoria, sul colle di Superga, viene
innalzato alla Madonna il Santuario che le era stato promesso con voto nell’ora del pericolo. Ella da
sempre, ha una tenerissima devozione alla Madonna, invocata sotto i titoli più belli a Torino, primo
fra tutti quello di Consolatrice. La onora con il Rosario, la imita nelle virtù più alte, soprattutto nello
zelo apostolico per la salvezza delle anime.
Per questo, ella offre a Dio le sofferenze che non le mancano mai, segno, secondo la dottrina
cattolica, vissuta con particolare ardore da Santa Teresa, della predizione di Dio che così associa i
suoi amici al Figlio suo Crocifisso.
Quando le è richiesto, Maria, arricchita di singolari doni di Dio, illumina i fratelli con le
lettere di incoraggiamento e di consiglio, come vera maestra: in questi scritti risplende lo stile
autobiografico, la sua vita angelica, la sua dottrina.
In questo periodo, nel pieno della sua maturità umana e spirituale, il Signore la favorisce di
grazie mistiche straordinarie, cui ella corrisponde con una generosità senza riserve, facendosi
davvero “tutta a tutti”, con umiltà, dedizione, spirito di servizio, attenzione delicata ai bisogni delle
sorelle, sollecitudine amorosa per la loro crescita spirituale, fedeltà piena al carisma dell’Ordine,
con una particolare predilezione per la Santa Madre Teresa, per la quale nutre una singolare
206
devozione e dalla quale è ricambiata con eccezionali favori.
Ma la sua santità brillò soprattutto nell’amore ardente per le anime. Alimentato
dall’esperienza forte della preghiera, sostenuto dalla penitenza generosa e da una carità ardente, il
suo zelo si concretizzò “in opere ed opere” a favore di chiunque avesse avuto bisogno del suo aiuto
o della sua preghiera. La fama della sua santità varcò presto le soglie della clausura, soprattutto per
le frequenti visite al monastero da parte delle principesse reali e del loro seguito.
Persone di ogni ceto e categoria ricorrevano a lei per consiglio o per interporre la sua
intercessione presso il Signore. Tra questi si distinguevano Madama Reale, la Duchessa e lo stesso
Vittorio Amedeo II. Desiderosa di sfuggire a tale notorietà e spinta dal desiderio di fondare un
nuovo Carmelo che potesse accogliere le giovani che non potevano essere ricevute a Santa Cristina
per mancanza di posti, avviò allo scopo trattative con i Superiori e con la Corte.
Superate innumerevoli difficoltà, il 16 settembre 1703 ebbe la gioia di vedere inaugurato il
Carmelo di Moncalieri, senza però potervisi trasferire per l’opposizione dei Savoia che avevano
esercitato forti pressioni sui Superiori per impedire che la Madre si allontanasse da Torino. Di qui
continuò a provvedere le monache di Moncalieri del necessario, occupandosi della loro formazione
spirituale e vigilando con cuore di madre sul buon andamento della comunità.
Il 16 dicembre 1717, a soli 56 anni, va incontro a Dio. Appena cinque anni dopo, si inizia la
causa di beatificazione. Il 5 maggio 1778, Papa Pio VI, ne proclama le virtù eroiche. Pio IX, il 25
aprile 1865, la iscrive tra i beati del cielo.
San Giovanni Bosco, nel 1866, ne scrive la biografia che diffonde tra le sue “Letture
Cattoliche” proponendola come modello di santità e di amore cristiano alla patria. La sua festa si
celebra il 16 dicembre, chiedendo per noi a Dio per la sua intercessione: “Fa’ che viviamo con
purità evangelica per averti sempre ospite in noi, tempio della tua gloria”.
Dal suo monastero, come ognuno di noi del resto lo può essere con la preghiera, era stata
una meravigliosa protagonista di storia: di storia cristiana.
Dal Comune delle vergini o delle sante: religiose con salmodia del giorno dal salterio.
SECONDA LETTURA
Coloro che amano veramente Dio, amano tutto ciò che è buono, desiderano tutto
ciò che è buono, favoriscono tutto ciò che è buono, lodano tutto ciò che è buono, si
uniscono sempre ai buoni, li aiutano e li difendono; non amano altro che la verità e
ciò che è degno di essere amato. Pensate che sia possibile, per chi ama veramente
Dio, amare cose vane? Su di lui non hanno alcun potere le ricchezze, i piaceri del
mondo, gli onori. Non conosce né contese né invidie. Tutto perché non vuole altro se
non accontentare l’Amato. Muore dal desiderio di esserne riamato; pertanto fa
consistere la sua vita nel cercare il modo di riuscirgli più gradito. Potrà mai
nascondersi tale amore? Oh, l’amore di Dio – se veramente amore – non si può na-
scondere! Se non mi credete, guardate san Paolo e la Maddalena: il primo, cioè san
207
Paolo, in tre giorni cominciò a dimostrare di essere malato d’amore; la Maddalena fin
dal primo giorno. E com’era evidente il loro amore! È vero che può essere maggiore
o minore, pertanto si rivela in proporzione della sua forza: molto, se è grande; poco,
se è piccola; ma poco o molto, se è amore di Dio, si riconosce sempre.
Come si potrebbe nascondere un amore così forte, così giusto, che va sempre
aumentando, che nulla è capace di estinguere? Esso poggia su tal fondamento che è la
certezza di essere ricambiato da un amore di cui non si può dubitare, perché si è
manifestato tanto chiaramente, con tormenti e pene così grandi e con tanto
spargimento di sangue, fino all’immolazione della vita, proprio perché non ci restasse
alcun dubbio su di esso.
Piaccia a Sua Maestà di concederci l’amore divino, prima di farci lasciare questa
vita, perché sarà d’incredibile conforto nel momento della morte pensare di dover
essere giudicate da chi abbiamo amato sopra ogni cosa. Potremo presentarci sicure
circa l’esito del processo dei nostri debiti: non sarà andare in terra straniera, ma nella
propria patria, poiché è quella di chi tanto amiamo e che a sua volta ci ama tanto.
Lodi mattutine
ORAZIONE
O Dio, che ti compiaci di stabilire la tua dimora in coloro che ti servono con cuore
semplice e puro, per intercessione della beata Maria degli Angeli fa’ che viviamo con
purezza evangelica per averti sempre ospite in noi, tempio vivo della tua gloria. Per il
nostro Signore.
Vespri
208
16 dicembre
Appartenente alla nobile famiglia Testa, Cherubino nacque ad Avigliana (Torino) nel 1451.
Abbracciata ben presto la vita religiosa, vestì l'abito degli Eremitani di s. Agostino nel locale
convento dell'Ordine, fondato dal b. Adriano Berzetti da Buronzo. Qui condusse, sino alla fine della
sua breve esistenza, un'austera vita di mortificazione e di santità, improntata sempre a un profondo
spirito di obbedienza e a un'immensa pietà, distinguendosi, inoltre, per la sua purezza e per la
particolare profonda devozione alla Passione di Cristo, tanto da trascorrere gran parte della sua
giornata piangendo, in estatica contemplazione di Gesù crocifisso.
Cherubino si spense, ventottenne, il 17 settembre 1479 nello stesso convento aviglianese,
appena nove mesi dopo la sua ordinazione sacerdotale. Si narra che, nel momento in cui esalò
l’ultimo respiro, le campane del luogo si misero a suonare da sole prodigiosamente, quasi ad
annunziare il felice transito dell'anima sua in paradiso.
In un dipinto esistente un tempo nel chiostro dell'antico convento agostiniano di Tolentino,
nelle Marche, il beato Cherubino era raffigurato con l'aureola, un giglio geminato sul cuore e un
crocifisso nella mano destra; sotto l’immagine si poteva leggere la seguente iscrizione: Beatus
Cherubinus de Aviliana, conventus S. Augustini Avilianae magnus splendor. La ragione per cui
veniva rappresentato con il giglio germogliante dal cuore è spiegata da taluni antichi scrittori
agostiniani, quali, ad es., il Torelli e l’Elsen, col fatto che, avvertendo i suoi confratelli un soave
olezzo sprigionarsi dal suo sepolcro ogni qualvolta vi passavano davanti per recarsi in coro, fu
deciso di esumare il corpo del beato per trasferirlo in una più degna sepoltura. All'apertura del
sepolcro si vide che un odoroso giglio era spuntato miracolosamente dal suo cuore.
Tali prodigi, verificatisi dopo la sua morte, favorirono l’immediata affermazione del culto in suo
onore, conservatosi sempre vivo nel tempo, così da ottenere solenne conferma da parte di Pio IX, il
21 settembre 1865. Le sue spoglie mortali sono esposte alla venerazione dei fedeli nella chiesa
parrocchiale dei santi Giovanni e Pietro in Avigliana. E’ un luminoso esempio e modello dei
giovani sacerdoti e religiosi.
209
La sua memoria liturgica ricorre il 17 settembre, mentre l'Ordine degli Agostiniani lo ricorda
il 16 dicembre.
Dal comune dei Pastori: per un sacerdote, oppure dal comune dei Santi: per un
religioso, con salmodia del giorno dal salterio.
ORAZIONE
O Signore, Dio della vita, nel giovane beato Cherubino ci hai dato l’esempio di
una vita gioiosamente donata a te; concedi ai giovani la grazia di trovare nel tuo
Figlio Gesù il senso della loro esistenza. Egli è Dio e vive e regna.
210
16 dicembre
SAN DAVIDE, RE
E TUTTI I SANTI ANTENATI DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO
Davide era il più giovane dei sette figli di Isai, della tribù di Giuda. Era ancora giovanissimo
quando Samuele fu mandato da Dio alla casa di suo padre per eonsacrarlo re in luogo di Saulle.
Chiamato dalla montagna dove pascolava il gregge paterno, venne alla presenza di Samuele che,
con olio benedetto, lo consacrò re in mezzo ai suoi fratelli.
Da quel giorno lo spirito del Signore si posò in particolar maniera sopra Davide. Al
contrario, Saulle fu assalito da uno spirito di tristezza e di malinconia che ben spesso lo faceva dare
in furore.
Davide suonava l'arpa con grande maestria e cantava bene: fu quindi chiamato alla corte,
fatto scudiere e con l'armonia del suono e con la melodia del canto dissipava la tristezza di Saulle.
Mentre Davide si trovava alla corte, ci fu guerra fra Israeliti e Filistei. Per evitare spargimento di
sangue, un uomo filisteo, alto più di tre metri, chiamato il gigante Golia, avanzava verso gli Israeliti
e diceva: “Se c'è qualcuno tra voi che voglia venir a battersi con me avanzi”.
Poi diceva: “Io oggi ho disprezzato le schiere del Dio d'Israele”. E così per 40 giorni.
Davide, uditolo, esclamò: “Chi è questo incirconciso che ardisce insultare il popolo del Signore? Io
andrò a combattere contro di lui”. Prese la fionda e il bastone, andò incontro al gigante, e con la
fionda scagliò una pietra che colpì Golia in fronte e lo fece stramazzare a terra. Davide gli fu sopra:
gli sfoderò la spada e gli troncò il capo.
Saulle non si rallegrò per la vittoria, anzi, preso da invidia, cercava la morte di Davide, che
per sfuggirla andò per i deserti esclamando: “Chi confida nell'Altissimo vive in sicurezza e nulla
teme”.
Morto Saul, Davide, con grande zelo, condusse il popolo alla virtù e al timor di Dio. Diede
splendore al culto divino; e, innalzato un magnifico padiglione sul monte Sion, vi fece trasportare
l'Arca dell'Alleanza.
Peccò anche, ma pianse i suoi peccati, fece penitenza, rimproverato dal profeta Natan,
detestò i suoi errori e accettò la punizione di Dio.
Vicino a morte chiamò il figlio Salomone e gli disse: “Mio caro, cammina nelle vie del
Signore, osserva i suoi comandamenti ed egli ti concederà un felice successo nelle tue imprese”.
Poco dopo finì in pace i suoi giorni.
211
Altissimo poeta, cantò, nei Salmi immortali il dolore, il pentimento, la speranza, la fede.
Profeta, vide nell'alta mente illuminata da Dio il Giusto condannato, ucciso, trionfante, e mille anni
prima narrò al mondo la passione e la risurrezione di Cristo.
Invitatorio
PRIMA LETTURA
Samuele andò a Rama e Saul salì a casa sua, a Gàbaa di Saul. Samuele non
rivide più Saul fino al giorno della sua morte; ma Samuele piangeva per Saul, perché
il Signore si era pentito di aver fatto regnare Saul su Israele.
Il Signore disse a Samuele: “Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho
ripudiato perché non regni su Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da
Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re”. Samuele rispose:
“Come posso andare? Saul lo verrà a sapere e mi ucciderà”. Il Signore soggiunse:
“Prenderai con te una giovenca e dirai: “Sono venuto per sacrificare al Signore”.
Inviterai quindi Iesse al sacrificio. Allora io ti farò conoscere quello che dovrai fare e
ungerai per me colui che io ti dirò”. Samuele fece quello che il Signore gli aveva
comandato e venne a Betlemme; gli anziani della città gli vennero incontro trepidanti
e gli chiesero: “È pacifica la tua venuta?”. Rispose: “È pacifica. Sono venuto per
sacrificare al Signore. Santificatevi, poi venite con me al sacrificio”. Fece santificare
anche Iesse e i suoi figli e li invitò al sacrificio. Quando furono entrati, egli vide Eliàb
e disse: “Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!”. Il Signore replicò a
Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché
non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede
il cuore”. Iesse chiamò Abinadàb e lo presentò a Samuele, ma questi disse:
“Nemmeno costui il Signore ha scelto”. Iesse fece passare Sammà e quegli disse:
“Nemmeno costui il Signore ha scelto”. Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi
sette figli e Samuele ripeté a Iesse: “Il Signore non ha scelto nessuno di questi”.
Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose Iesse: “Rimane ancora il
più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge”. Samuele disse a Iesse: “Manda a
prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. Lo
mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse
il Signore: “Àlzati e ungilo: è lui!”. Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in
212
mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.
Samuele si alzò e andò a Rama.
R. Ho portato aiuto a un prode, ho esaltato un eletto tra il mio popolo. * La mia mano
è il suo sostegno.
V. Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato.
R. La mia mano è il suo sostegno.
SECONDA LETTURA
Matteo iniziando il suo scritto dice: Libro della generazione di Gesù Cristo
figlio di Davide, figlio di Abramo (Mt, 1-1). E quindi questo proemio già per se
stesso sarebbe stato sufficiente per la comprensione di ciò che noi ora ricerchiamo.
Ma egli non si fermò ad esso, poiché proseguí il suo discorso fino allo sposo di
Maria. Da parte sua Luca dopo la narrazione del battesimo del Salvatore, facendo per
un poco una digressione al suo discorso, scrive così: Fra questi vi era anche Gesù, che
incominciando il suo ministero aveva circa trent’anni ed era, come si credeva, figlio
di Giuseppe, figlio di Eli, figlio di Mattàn, figlio di Levi, figlio di Melchi (Lc, 3, 23-
24), e così via in linea ascendente fino a Set figlio di Adamo, figlio di Dio (Lc, 3, 38).
Invece i meravigliosi evangelisti necessariamente allora tracciarono la
genealogia di Giuseppe, che era detto da tutti padre di quel figlio. Infatti se, avendolo
trascurato, essi avessero tracciato la genealogia da parte della madre, ciò – oltre ad
essere sconveniente – sarebbe stato anche estraneo all’usanza delle divine Scritture,
per la quale precedentemente nessuno era stato presentato con una genealogia di
derivazione femminile. Quindi utilmente gli evangelisti, derivando la genealogia di
Giuseppe da Davide per il motivo ora addotto, contemporaneamente vi affermano che
anche la Vergine Maria nacque da Davide, poiché attraverso la stirpe del marito essi
presentano anche quella della moglie conformemente alla legislazione di Mosé da noi
citata poco più sopra, la quale dice ai figli d’Israele: “Non vi aggirerete intorno di
tribù in tribù, poiché i figli d’Israele si congiungeranno ciascuno nell’eredità della sua
tribù paterna” (cfr. Nm 36, 8-9), e le parole seguenti.
Mentre queste cose stanno così, d’altra parte è ben chiaro che Giuseppe era
giusto e viveva secondo la legge. E vivendo sotto la legge, egli non poteva aspirare ad
una donna proveniente da altra parte se non dalla tribù da cui egli derivava. E questa
era quella di Giuda, dello stesso popolo e della stessa famiglia di quella di Davide.
Infatti queste erano le prescrizioni della legge. E dunque se Giuseppe era di Giuda,
dell’eredità e della famiglia di Davide, come non è naturale che, da parte sua, anche
213
Maria derivasse da quelli stessi? E cioè fosse della medesima tribù di Giuda e del
medesimo popolo di Davide da cui derivava anche Giuseppe, dato che la legge ora
ricordata da una parte proibiva le mescolanze con altre tribù e, di contro ordinava di
contrarre le unioni dall’eredità e dalla gente della propria tribù.
R. Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato. * La mia
mano è il suo sostegno.
V. Su di lui non trionferà il nemico, né l’opprimerà l’uomo perverso.
R. La mia mano è il suo sostegno.
Lodi mattutine
Davide rispose al Filisteo: “Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con
l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele,
che tu hai sfidato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io
ti abbatterò e ti staccherò la testa e getterò i cadaveri dell’esercito filisteo agli uccelli
del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele”.
RESPONSORIO BREVE
INVOCAZIONI
Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Davide, ancora tende il suo braccio per salvarci; per
questo preghiamo:
Venga il tuo regno, Signore.
Padre nostro.
ORAZIONE
Signore Gesù, che ti sei fatto figlio di Davide perché ci chiamassimo e fossimo
figli di Dio, donaci di crescere sempre più nello spirito di adozione per conseguire la
gloria eterna di figli. Tu che vivi e regni.
Vespri
Dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: “Io ti ho preso
dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele.
Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e
renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra”.
RESPONSORIO BREVE
INTERCESSIONI
Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Davide, sempre visita e redime il suo popolo; per
questo preghiamo:
Venga il tuo regno, Signore.
215
Buon Pastore del gregge di Dio,
— vieni a riunire tutti gli uomini nella tua Chiesa.
La libertà che hai guadagnato ai redenti, a prezzo della tua morte in croce,
— ci guidi a essere a servizio gli uni degli altri mediante la carità.
Padre nostro.
216
16 dicembre
217
Mentre era una prima volta vicario generale della Congregazione lombarda (novembre 1480
apr. 1483) venne affidato alla Congregazione il convento di Santa Sabina di Roma, come pure la
riforma del convento di Sant' Eustorgio di Milano, che, purtroppo, non ebbe alcun effetto. Nel 1495,
da priore di Bologna, fu nuovamente chiamato alla direzione della Congregazione.
In questo periodo, con Breve di Alessandro VI del 9 settembre 1495, gli fu demandata la
causa contro Girolamo Savonarola e la riassunzione dei conventi di San Marco di Firenze e di San
Domenico di Fiesole nella Congregazione lombarda donde erano usciti. Il Maggi era stato amico e
confessore del Savonarola e quindi la sua testimonianza poté essere favorevole all'imputato. A
Genova, ove in qualità di vicario generale era in visita al convento di Santa Maria di Castello, ebbe
modo di conoscere santa Caterina Fieschi Adorno, per cui dai genovesi è ricordato come il
«confessore» della santa.
Morto tra l'agosto e il novembre 1496 ebbe sepoltura nella chiesa di Santa Maria di Castello.
Nel 1797 i suoi resti mortali conservati incorrotti vennero traslati dall'antico a un nuovo altare. La
fama di santità e la testimonianza di miracoli portarono all'istruzione del processo, iniziato nel
1753, e coronato dall'approvazione del culto da parte di Clemente XIII, il 15 apr. 1760. La sua festa
si celebra il 16 dicembre mentre nella diocesi di Brescia è ricordato il 7 novembre.
Dal comune dei pastori o dei santi: religiosi con salmodia del giorno dal salterio.
ORAZIONE
O Dio, che hai fatto del beato Sebastiano il tuo confessore, meraviglioso per il
suo singolare zelo nella pratica della disciplina e della perfezione evangelica,
concedici, ti supplichiamo, che mortificati nel corpo a sua imitazione, e vivificati
nello spirito, possiamo raggiungere i premi eterni.
218
17 – 23 dicembre
O Sapientia, O Sapienza,
quae ex ore Altissimi prodiisti, che esci dalla bocca dell'Altissimo,
attingens a fine usque ad finem, ed arrivi ai confini della terra,
fortiter suaviterque disponens omnia: e tutto disponi con dolcezza:
veni ad docendum nos viam prudentiae. vieni ad insegnarci la via della prudenza.
220
O Adonai, O Adonai,
et dux domus Israël, e condottiero di Israele,
qui Moyse in igne flammae rubi che sei apparso a Mosè tra le fiamme,
apparuisti, e sul Sinai gli donasti la legge:
et ei in Sina legem dedisti: redimici col tuo braccio potente.
veni ad redimendum nos in brachio
extento.
221
O Emmanuel, O Emmanuele,
Rex et legifer noster, nostro re e legislatore,
expectatio gentium, speranza delle genti,
et Salvator earum: e loro Salvatore:
veni ad salvandum nos, vieni e salvaci,
Domine, Deus noster. Signore, nostro Dio.
222
17 dicembre
Trinitari: Solennità
223
L’ordine soccombe poi alle soppressioni regie e rivoluzionarie del Sette-Ottocento, ma
rinasce nel XIX secolo, con case impegnate in Europa e in America nelle missioni, assistenza
ospedaliera e ministero. Manca una storia completa dei riscatti: il religioso che vi lavorava, padre
Domenico dell’Assunta, fu ucciso nella guerra civile spagnola (1936) e il materiale andò perduto.
Ricordiamo tuttavia un nome: quello di Miguel de Cervantes, futuro autore di Don Chisciotte.
Catturato da un pirata albanese e venduto sul mercato di Algeri nel 1575, sarà liberato cinque anni
dopo dal trinitario spagnolo fra Juan Gil.
Si riporta di seguito l’Ufficio della Solennità dal Proprio dei Trinitari. Al di fuori
della Congregazione della SS. Trinità, essendo la ricorrenza durante le ferie maggiori
di Avvento si può fare la commemorazione con le regole previste nei Principi e
Norme.
Primi Vespri
INNO
Tu per l’oppressa libertà t’accendi,
che Cristo col sangue da ai redenti;
strappi gli schiavi e i miseri difendi
dalle catene.
SALMO 145
225
1 ant. Il Signore dal cielo ha guardato la terra;
per ascoltare il gemito degli schiavi
e per liberare i condannati a morte.
SALMO 146
Lodate il Signore: †
è bello cantare al nostro Dio, *
dolce è lodarlo come a lui conviene.
In lui ci ha scelti *
prima della creazione del mondo,
per trovarci, al suo cospetto, *
santi e immacolati nell’amore.
Ci ha predestinati *
a essere suoi figli adottivi
per opera di Gesù Cristo, *
secondo il beneplacito del suo volere,
a lode e gloria
della sua grazia, *
che ci ha dato
nel suo Figlio diletto.
Oppure:
Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un
pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni
degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il
prossimo tuo come te stesso.
RESPONSORIO BREVE
R. Giovanni ha spezzato le catene dei prigionieri; * li ha redenti dalla schiavitù.
Giovanni ha spezzato le catene dei prigionieri; li ha redenti dalla schiavitù.
V. Per farli entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio,
li ha redenti dalla schiavitù.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Giovanni ha spezzato le catene dei prigionieri; li ha redenti dalla schiavitù.
INTERCESSIONI
Fratelli, nella solennità del nostro santo Fondatore, Giovanni de Matha, riuniti in un
cuor solo nel suo spirito e nel suo amore, eleviamo alla Santa Trinità la nostra
preghiera di lode e di gloria:
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Padre Santo, nel nome del Figlio tuo, effondi lo Spirito Paraclito sulla tua Chiesa,
— perché la custodisca nel cammino della verità e dell’amore.
228
Figlio unigenito, tu che hai spezzato le antiche catene, libera i redenti da ogni forma
di schiavitù,
— perché, con la grazia dello Spirito Santo, rimaniamo in te come veri figli di
Dio.
Spirito divino, padre dei poveri e consolatore degli infelici, dona libertà ai prigionieri,
conforto ai sofferenti, fiducia ai disperati, consolazione a quelli che piangono ai mesti
letizia, agli infermi la speranza e la salute:
— perché tutti quelli che credono al vangelo di Gesù, cerchino il Padre e vivano
nel suo amore.
Manda, Signore, operai alla tua messe, perché ammaestrino gli uomini e li battezzino
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
— e li confermino in comunione vitale a questo mistero, nella fede, nella
speranza e nella carità.
Dio, Padre dei viventi, dona ai nostri fratelli, parenti, benefattori e a tutti i defunti la
pienezza della redenzione,
— perché siano ammessi alla tua gloria, dove il tuo Figlio e lo Spirito Santo
regnano con te in eterno.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio Padre, che nella tua immensa bontà, hai colmato il nostro santo Padre
Giovanni della misericordia redentrice del tuo Figlio e dell’amore ardente del divino
Spirito, fa che, seguendo i suoi esempi sulla via del vangelo, diventiamo veri
adoratori della Santa Trinità e fervidi operatori di carità e di pace. Per il nostro
Signore.
Oppure:
O Dio, che hai colmato il nostro santo Padre Giovanni dei doni ineffabili della
fede e della carità, concedi a noi, suoi figli, di seguire fedelmente i suoi esempi nel
229
servizio di liberazione dei fratelli, per la maggior gloria della divina Trinità. Per il
nostro Signore.
____________________________________________________________________
INVITATORIO
Oppure
____________________________________________________________________
INNO
Creati per la gloria del tuo nome,
redenti dal sangue del tuo Figlio,
segnati dal sigillo dello Spirito,
noi t’invochiamo: salvaci, o Signore!
Oppure:
Da Cristo è prediletto
per l’amore ai fratelli,
ai quali tutto dona,
perfino la sua vita.
O Cristo Salvatore,
redenti dal tuo sangue,
con voce nuova, il canto
leviamo verso il cielo.
O Trinità beata,
oceano di pace,
a te la nostra lode,
te canti il nostro amore. Amen.
SALMO 101
I (2-12)
231
Non nascondermi il tuo volto; †
nel giorno della mia angoscia
piega verso di me l'orecchio. *
Quando ti invoco: presto, rispondimi.
Veglio e gemo *
come uccello solitario sopra un tetto.
Tutto il giorno mi insultano i miei nemici, *
furenti imprecano contro il mio nome.
II (13-23)
SALMO 106
I (1-16)
Dal libro del profeta Isaia 61, 1-4; 62, 10-12; 63, 7-8
RESPONSORIO
Oppure:
RESPONSORIO
SECONDA LETTURA
Innocenzo, vescovo, servo dei servi di Dio: al diletto figlio Giovanni, ministro,
e ai frati della Santa Trinità, salute e apostolica benedizione.
Posti, per divina clemenza, sulla sede apostolica, ci sentiamo in dovere di
accogliere e soddisfare i pii desideri che fioriscono dalla radice della carità:
specialmente quando si cerca Gesù Cristo e si antepone il bene comune all’utilità
personale.
In verità, quando tu, diletto figlio in Cristo, fra Giovanni, ministro, ti
presentasti a noi e ci sottoponesti con umiltà il tuo progetto, chiedendo che fosse
concepito per divina ispirazione, chiedendo che fosse confermato dall’autorità
apostolica, noi, per meglio conoscere il tuo desiderio fondato in Cristo, fuori del
quale non vi può essere stabile fondamento, credemmo opportuno rinviarti con nostre
lettere, al venerabile nostro fratello il vescovo di Parigi e al diletto figlio l’abate di
san Vittore perché, conoscendo essi meglio di noi il tuo desiderio, ci informassero
circa il tuo progetto e la sua attuazione, come anche circa l’istituzione dell’Ordine e il
suo regolamento di vita, per poter così concedere con maggior sicurezza ed efficacia
la nostra approvazione.
Poiché ora, come abbiamo chiaramente appreso dalle loro lettere, sembra
evidente che voi cercate più gli interessi di Cristo che i vostri, noi, perché possiate
godere dell’apostolica protezione, con l’autorità della presente, concediamo a voi e ai
vostri successori la Regola secondo la quale dovete vivere; il cui contenuto
trasmessoci, accluso nelle lettere del vescovo e dell’abate suddetti, decretiamo che
resti per sempre inalterato, insieme alle aggiunte da noi disposte e da te richieste. E
237
perché il tenore della Regola sia più evidente, abbiamo voluto che fosse qui appresso
riportata:
Nel nome della santa e individua Trinità. I Frati della casa della Santa Trinità,
vivano nell’obbedienza al prelato della loro casa, che si chiamerà ministro, in castità
e senza nulla di proprio.
Dividano in tre parti uguali tutte le cose di qualsiasi lecita provenienza; e in
quanto due parti saranno sufficienti, compiano con esse opere di misericordia, e
provvedano al sobrio sostentamento di se stessi e di quelli che vivono con loro. La
terza parte, invece, sia riservata per la redenzione degli schiavi, incarcerati dai pagani
per la fede in Cristo, o versando un prezzo ragionevole per la loro redenzione, oppure
versandolo per il riscatto degli schiavi pagani, affinché poi, mediante un ragionevole
scambio e in buona fede, sia liberato lo schiavo cristiano in cambio con quello
pagano, tenendo conto della posizione e della condizione delle persone…
Tutte le chiese di questo Ordine vengano intitolate al nome della Santa Trinità
e siano di semplice struttura, ecc.
A nessuno è lecito infrangere questa pagina della nostra concessione e
costituzione, né di andare temerariamente contro di essa.
Dato dal Laterano, il 17 dicembre dell’anno 1198 dall’Incarnazione del
Signore, e primo del pontificato del papa Innocenzo III.
RESPONSORIO
R. A te lode, a te gloria, a te grazie nei secoli, o beata trinità, * che inviasti Giovanni,
nostro Padre, a liberare gli schiavi e a mostrarci il cammino della carità.
V. Benedetto il tuo santo e glorioso nome, degno di lode e di gloria nei secoli, o beta
Trinità,
R. che inviasti Giovanni, nostro Padre, a liberare gli schiavi e a mostrarci il cammino
della carità.
Oppure:
Racconto anonimo del secolo decimo terzo: “Sulla fondazione dell’Ordine della
Santissima Trinità”
(Bibliot. Nazion. Di Parigi: cod. ms. lat. 9753, fol 10, V)
Giovanni vide il Signore che teneva nelle sue mani due uomini con catene ai piedi
Questo fu l’inizio e lo scopo per il quale fu istituito l’Ordine della Santa Trinità
e degli schiavi; questo il miracolo e l’ispirazione della sua fondazione.
C’era a Parigi un buon chierico, reggente in teologia, di nome Prevostino, che
godeva reputazione di filosofo; sotto di lui iniziò e poi resse la stessa facoltà di
teologia, un altro maestro, che si chiamava Giovanni di Provenza: uomo timorato di
Dio, che serviva il Signore giorno e notte.
238
Fin dalla fanciullezza egli portava in cuore un forte desiderio di abbracciare la
vita religiosa, senza però precisa idea in quale famiglia entrare. Per la sua assiduità al
servizio di Dio, veniva spesso schernito dai suoi compagni, ed allora, pensando come
conservare la pace con loro e meglio servire Dio, decise di accedere al sacerdozio, e
di fatto si fece ordinare, avendo così un motivo più plausibile per recitare la Liturgia
delle Ore e dedicarsi più liberamente alla preghiera.
Pregava insistentemente e con amore perché il Signore gli volesse indicare in
quale famiglia religiosa fosse meglio entrare. Intanto, giunto in giorno della sua
prima messa, pregò il vescovo di Parigi, l’abate di san Vittore e il suo maestro
Prevostino di voler partecipare alla celebrazione. Erano inoltre presenti alla cerimonia
tutti i grandi di Parigi. Durante la celebrazione dell’Eucaristia, al momento della
consacrazione, supplicò ancora il Signore di volergli benevolmente indicare in quale
ordine religioso dovesse entrare per la sua salvezza. Nell’alzare gli occhi al cielo,
vide la gloria di Dio e il Signore che teneva nelle sue mani due uomini con le catene
ai piedi; dei due, uno era nero e deforme, l’altro bianco e macilento. Poiché indugiava
lungamente nella consacrazione, il vescovo, l’abate e il maestro Prevostino con tutti
gli altri presenti si domandavano con stupore che cosa stesse accadendo. Guardando
verso il cielo, sia il vescovo che l’abate e il maestro Prevostino videro la stessa cosa e
glorificarono il Signore; poi lo destarono ed egli, riavutosi, continuò la celebrazione.
Terminata la messa, gli chiesero che cosa avesse visto; egli manifestò la
visione avuta e glorificò il Signore. Allora anche gli altri testimoniarono di aver avuto
la stessa visione. Riflettendo Giovanni dentro di sé, e poi con il vescovo di Parigi e
l’abate di san Vittore sul significato della visione, stabilirono la Regola secondo la
quale dovevano vivere e tutte le altre cose in essa contenute. Poi, desiderando il
vescovo e gli altri che detta Regola fosse approvata dal Papa, il vescovo stesso scrisse
al Santo Padre, dicendo che il latore della lettera era degno di fede, perché la visione
era vera, e consegnò la lettera al maestro Giovanni di Provenza. Giovanni a sua volta,
si mise presto in viaggio verso Roma, passando per una località chiamata Cerfroid.
Ivi dimoravano quattro eremiti, essi gli domandavano con insistenza dove andasse e
perché volesse andare a Roma; alle loro insistenze, egli rivelò loro il motivo. Allora
gli eremiti, lieti per tale notizia, affinché l’Ordine e il suo scopo potessero essere
realizzati, offrirono a Dio e all’Ordine se stessi e quanto avevano. Quindi, il maestro
Giovanni, andò a Roma, si presentò al Papa, gli mostrò le lettere commendatizie, e gli
narrò la visione avuta. Il Papa non gli credette e lo reputò pazzo insieme al vescovo
che attestava tali cose. Giovanni se ne tornò a Parigi. Ma non molto tempo dopo,
anche il Papa, mentre celebrava, ebbe la stessa visione del maestro Giovanni e,
spiacente per non aver accolto la sua richiesta, mandò dei messi per rintracciarlo e
perché lo riconducessero presto alla sua presenza; ma i messi non lo trovarono.
Allora il Papa sciamò: Che me lo mandi il Signore!
Più tardi, quel sant’uomo, tornato a Roma, fu ricevuto dal Papa ed ottenne
quanto desiderava. Siano rese grazie a Dio!
Così, nell’anno 1198 ebbe inizio l’Ordine della Santissima Trinità.
RESPONSORIO
239
R. A te lode, a te gloria, a te grazie nei secoli, o beata trinità, * che inviasti Giovanni,
nostro Padre, a liberare gli schiavi e a mostrarci il cammino della carità.
V. Benedetto il tuo santo e glorioso nome, degno di lode e di gloria nei secoli, o beta
Trinità,
R. che inviasti Giovanni, nostro Padre, a liberare gli schiavi e a mostrarci il cammino
della carità.
INNO Te Deum
Lodi mattutine
INNO
O Gesù redentore,
immagine del Padre,
luce d’eterna luce,
accogli il nostro canto.
O Trinità beata,
dell’amor tuo infiammaci
perché l’orme del Padre
seguiamo con ardore.
240
L’amor che l’animava,
infondi in noi, o Padre,
speranze nuove suscita
di sante avite glorie.
Te la voce proclami,
o Trinità santissima,
te canti il nostro cuore,
te adori il nostro spirito. Amen.
241
Oppure:
Sciogli le catene inique, togli i legami del giogo, rimanda liberi gli oppressi e
spezza ogni giogo; dividi il pane con l’affamato, introduci in casa i miseri, senza
tetto.
RESPONSORIO BREVE
Oppure:
INVOCAZIONI
A Dio uno e trino: Padre e Figlio e Spirito Santo, che vive in mezzo a noi, eleviamo
con amore la nostra lode e la nostra preghiera:
A te lode, a te gloria, a te ringraziamenti, o beata Trinità!
Figlio unigenito, che hai pregato il Padre perché ci donasse lo Spirito Paraclito,
— fa che resti sempre con noi e ci confermi nella verità e nella carità.
Spirito divino, che gridi incessantemente nei nostri cuori: Abbà, Padre!
— Rendici docili alla tua azione di grazia, e fa che ci sentiamo in te figli del
Padre, e diventiamo per te coeredi di Cristo per l’eternità.
O Cristo, hai mandato lo Spirito che procede dal Padre, perché ti rendesse
testimonianza davanti al mondo,
242
— fa che, illuminati dalla sua verità, e fedeli allo spirito del santo Fondatore,
professiamo apertamente il tuo vangelo e siamo con te “ostie di lode” gradite al
Padre.
Trinità Santa: Padre e Figlio e Spirito Santo, concedi a noi tutti che siamo consacrati
in modo speciale al tuo mistero, di amarti con tutto il cuore,
— per avere in dono te, che sei l’Amore, donaci di bene operare, perché tutta la
nostra vita sia per te una lode di gloria.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio Padre, che nella tua immensa bontà, hai colmato il nostro santo Padre
Giovanni della misericordia redentrice del tuo Figlio e dell’amore ardente del divino
Spirito, fa che, seguendo i suoi esempi sulla via del vangelo, diventiamo veri
adoratori della Santa Trinità e fervidi operatori di carità e di pace. Per il nostro
Signore.
Oppure:
O Dio, che hai colmato il nostro santo Padre Giovanni dei doni ineffabili della
fede e della carità, concedi a noi, suoi figli, di seguire fedelmente i suoi esempi nel
servizio di liberazione dei fratelli, per la maggior gloria della divina Trinità. Per il
nostro Signore.
Ora media
Terza
Sesta
Ant. Ogni creatura sarà liberata, nella gloria dei figli di Dio.
Nona
243
Ant. Il Signore mandò Giovanni
per alleviare la miseria degli oppressi,
ad asciugare le lacrime dei poveri.
SALMO 71
I (1-11)
II (12-19)
SALMO 81
245
Io ho detto: «Voi siete dei, *
siete tutti figli dell'Altissimo».
Eppure morirete come ogni uomo, *
cadrete come tutti i potenti.
Alle altre Ore, salmodia complementare; in luogo del salmo 125 si può dire il salmo
128.
Terza
Dopo aver creduto in Cristo, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che
era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa
redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria.
Sesta
Ant. Ogni creatura sarà liberata, nella gloria dei figli di Dio.
Nona
246
LETTURA BREVE Col 1, 13-14
Il Signore ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del
suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei
peccati.
Secondi Vespri
INNO
A te, Trinità santa,
sciogliamo lieti un cantico,
per onorar con giubilo
il nostro Padre inclito.
Il Redentor glorifica
con operare affabile,
e dei fratelli in vincoli
terge le amare lacrime.
247
La Trinità ci renda
strumenti di sua gloria,
un cantico di lode,
d’amore senza fine. Amen.
SALMO 114
SALMO 125
Nell'andare, se ne va e piange, *
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo, *
portando i suoi covoni.
249
Cristo è immagine del Dio invisibile, *
generato prima di ogni creatura;
è prima di tutte le cose *
e tutte in lui sussistono.
Figlioli, questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo
Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi
osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo
che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Oppure:
Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore
di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi:
egli ci ha fatto dono del suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il
Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque riconosce che
Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. Noi abbiamo riconosciuto e
creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e
Dio dimora in lui.
250
RESPONSORIO BREVE
R. Da questo abbiamo conosciuto l’amore: * perché egli ha dato la sua vita per noi.
Da questo abbiamo conosciuto l’amore: perché egli ha dato la sua vita per noi.
V. Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli,
perché egli ha dato la sua vita per noi.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Da questo abbiamo conosciuto l’amore: perché egli ha dato la sua vita per noi.
INTERCESSIONI
A Dio Padre, che ha mandato il suo Figlio a salvare tutti gli uomini, e rinnova ogni
cosa nello Spirito Paraclito, eleviamo la nostra umile preghiera:
Sii propizio, Signore, a questa tua famiglia, e accendi in noi il fuoco del tuo amore.
Figlio unigenito, generato dal Padre nei secoli eterni e fatto uomo per opera dello
Spirito Santo, insegnaci la via che conduca al Padre,
— e rinnova i nostri cuori con l’effusione dello Spirito e con la tua parola.
Spirito divino, che gridi incessantemente nei nostri cuori: Abbà, Padre: guarisci gli
ammalati, consola gli afflitti, aiuta quanti sono perseguitati per Cristo,
— dona la libertà agli schiavi, e concedi a tutti salute, consolazione e salvezza.
Signore, nel quale abbiamo esistenza, energia e vita, riempici di gioia e di pace nella
fede, per intercessione del nostro santo Padre Giovanni,
— conferma nell’amore la famiglia trinitaria, e raccoglila nell’unità dello Spirito,
mediante il vincolo della pace.
Tu, che per mezzo del Tuo Figlio ci hai dato lo Spirito Santo, donaci sante vocazioni
— e rendi noi tutti degni del nome che portiamo.
Tu che sei il Dio della vita, ricordati dei nostri fratelli, parenti, benefattori defunti, e
di tutti coloro, che segnati dal tuo Spirito, hanno lasciato nella pace questo mondo,
— ammettili tutti nella gloria con il tuo Figlio Gesù Cristo.
Padre nostro.
251
ORAZIONE
O Dio Padre, che nella tua immensa bontà, hai colmato il nostro santo Padre
Giovanni della misericordia redentrice del tuo Figlio e dell’amore ardente del divino
Spirito, fa che, seguendo i suoi esempi sulla via del vangelo, diventiamo veri
adoratori della Santa Trinità e fervidi operatori di carità e di pace. Per il nostro
Signore.
Oppure:
O Dio, che hai colmato il nostro santo Padre Giovanni dei doni ineffabili della
fede e della carità, concedi a noi, suoi figli, di seguire fedelmente i suoi esempi nel
servizio di liberazione dei fratelli, per la maggior gloria della divina Trinità. Per il
nostro Signore.
252
21 dicembre
Pietro Kanijs (Canisio, nella forma latinizzata) nasce a Nimega, in Olanda, l’8 maggio 1521.
Questa città, ora olandese, a quel tempo apparteneva al ducato di Geldern e perciò si trovava ancora
nel territorio dell’Impero tedesco.
La sua famiglia faceva parte del patriziato della città e il padre era stato nove volte
borgomastro. Pietro ha perciò la possibilità di studiare diritto canonico a Lovanio e diritto civile a
Colonia La madre di Pietro, che morì dopo la nascita del terzo figlio, viene ricordata da Pietro
stesso, che era il figlio maggiore, per la sua fede: “Poco prima della sua morte la madre ammonì il
suo sposo di fuggire la nuova fede, che allora si diffondeva nella nostra patria, e di tenersi
assolutamente saldo nella fede cattolica.” Parlando dei suoi anni giovanili Pietro dice ancora: “Io ho
trovato spesso in quel tempo una particolare gioia nei quadri dei santi e nelle funzioni liturgiche;
perciò servivo volentieri la Messa il giorno di festa.”
A Colonia, a quindici anni ottenne il baccelierato in Belle arti (filosofia) e l’anno seguente la
licenza, che lo abilitava a insegnare. Poi, per volere del padre, cominciò gli studi di diritto canonico
a Lovanio, ma ben presto tornò a Colonia, pensando in un primo tempo di entrare con un amico
nella Certosa. Nel 1540 si impegnò con un voto ad osservare il celibato perpetuo.
Certamente ebbe grande influsso nella sua educazione anche la sua guida spirituale,
Nikolaus von Essche, che lo esortò, nel periodo dei suoi studi a Colonia, a condurre una vita
virtuosa, a confessarsi spesso e a leggere ogni giorno un brano evangelico, da cui avrebbe dovuto
ricavare una frase che lo avesse particolarmente colpito, su cui meditare per tutta la giornata (...e se
lo facessimo anche noi?...).
Nel 1543 Pietro ebbe l’occasione di fare gli Esercizi spirituali ignaziani, grazie all’incontro
con Pietro Favre, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola. Fu un momento decisivo: in
quell’occasione infatti Pietro maturò la decisione di entrare nella Compagnia di Gesù, fu ordinato
diacono nel 1544 e ricevette la consacrazione sacerdotale nel 1546.
Avendo acquisito un’ottima reputazione come teologo, fu impiegato in controversie con
alcuni Vescovi dell’Impero, che sembravano inclinare alla riforma e fu invitato al Concilio di
Trento. Trascorse un periodo in Italia e Ignazio di Loyola lo inviò a insegnare a Messina.
Nel 1549 fece a Roma la professione solenne. In seguito fu destinato ai territori dell’Impero
e gli fu affidata la sua grande missione: la restaurazione cattolica nella Germania travagliata dalla
253
riforma protestante. Divenne così, tramite la fondazione di collegi, la riforma di varie università, i
catechismi, gli scritti teologici e le missioni diplomatiche uno dei più significativi riformatori della
Chiesa nella Germania del XVI secolo. Fu definito da Leone XIII “Secondo Apostolo della
Germania”, dopo san Bonifacio martire (672-755).
Uno dei principali mezzi per quest’opera era l’istruzione e l’educazione dei giovani,
soprattutto dei chierici, così da poter disporre di sacerdoti teologicamente formati da destinare alla
predicazione e all’apostolato. Così facendo, Pietro Canisio sosteneva e diffondeva le disposizioni
del Concilio di Trento, che aveva stabilito l’apertura dei seminari per la formazione dei chierici.
Alla sua intensa attività di predicatore, rivolta a fedeli di tutti i ceti, si collega quella di
scrittore e di autore del famoso catechismo: dapprima, nel 1555 il Catechismus major, che era
destinato alle classi superiori dei collegi e agli studenti universitari e che, per comodità di
apprendimento, si componeva di duecentotredici domande e altrettante risposte; l’anno successivo
pubblicò il Catechismus minimus, accessibile anche agli strati meno colti della popolazione e ai
bambini; nel 1558 uscì infine il Catechismus parvus (piccolo), che si collocava a metà strada tra il
primo e il secondo e condensava le conoscenze fondamentali della fede cattolica in centoventidue
domande. In questo modo Canisio non solo aveva contrapposto ai catechismi di Lutero qualcosa
che stava sul loro stesso piano, ma aveva creato un manuale che fu poi usato per diversi secoli (e al
quale si rifà anche il catechismo di Pio X) nell’insegnamento della dottrina cattolica: i Catechismi,
ancora vivente Pietro Canisio, furono pubblicati oltre duecento volte e tradotti in molte lingue e
nell’ambito linguistico tedesco, fino al sec. XIX il termine Kanisi indicava senz’altro il catechismo.
Nel 1556 Ignazio di Loyola, pochi mesi prima di morire, stabilì di erigere una nuova
provincia dell’ordine, comprendente la Germania, l’Austria e la Baviera e ne affidò il governo,
come primo superiore, a Pietro Canisio. Il 27 aprile fu la data scelta dalla Compagnia di Gesù per la
creazione di questa nuova Provincia gesuita dell'Europa Centrale.
Sempre in questo periodo, Canisio fu impegnato spesso nelle dispute che contrapponevano
teologi protestanti e teologi cattolici; nel 1558 fu inviato dal papa in Polonia, come teologo del
nunzio di quella regione; nel 1562 fu nuovamente chiamato al Concilio di Trento e nel 1565 Pio IV
lo nominò nunzio, con l’incarico di promulgare e diffondere i decreti tridentini in Germania.
Mantenne l’incarico di superiore generale fino al 1569 e da quel momento fino al 1577 si
impegnò, su incarico di Pio V, a confutare gli errori contenuti nelle Centurie di Magdeburgo, la
grande storia ecclesiastica protestante.
Pietro Canisio trascorse l’ultimo periodo della sua vita, dal 1580 al 1597, in Svizzera,
chiamato a fondare il Collegio Saint-Michel, a Friborgo. Qui continuò la sua instancabile attività di
predicatore, fermo, ma anche conciliatore e mai polemico.
Ebbe la geniale idea, lui straniero, di proporre gli esempi di vita cristiana di Svizzeri
attraverso i secoli, pubblicando, tra il 1586 e il 1596, una serie di biografie di santi che avevano
operato in Svizzera. Cercava di fortificare i suoi amici svizzeri nella loro esperienza religiosa,
dando loro il gusto di Dio attraverso coloro che, tra i loro antenati, erano stati esempi di vita
cristiana: Nicolao della Flüe, Meinrado, Fridolin, Yta, Beato, Maurizio e Orso... (ho stuzzicato la
vostra curiosità?...)
Canisio non cerca di distinguere leggenda e storia: vuole semplicemente edificare i suoi
fedeli e informarli in merito alla dottrina cattolica, che è presentata nelle biografie tramite degli
excursus.
Il suo motto era: Persevera. Per lui questo significava essere paziente, insistendo tuttavia
sull’essenziale. Non si perse in polemiche inutili: il suo lavoro fu essenzialmente costruttivo e
positivo nella catechesi, nell’insegnamento, nell’annuncio della Parola di Dio e nella confessione
individuale.
Dopo anni di sofferenze fisiche, morì a 77 anni nella sua camera nel nuovo edificio del
Collège Saint-Michel, la domenica 21 dicembre 1597. Fu canonizzato nel 1925 da Pio XI, che lo
proclamò Dottore della Chiesa.
254
Nel 1926 mons. Aurelio Bacciarini, vescovo di Lugano, acquistava la proprietà dell’ex
Collegio Internazionale Baragiola di Riva S. Vitale, per farne un Istituto che operasse in favore di
ragazzi ticinesi con problemi scolastici e di comportamento. Ne cedette la proprietà e la gestione ai
sacerdoti dell’Opera don Guanella, congregazione di cui lui stesso aveva fatto parte prima di essere
chiamato a dirigere la diocesi ticinese, e volle che il nuovo Istituto fosse intitolato al catechista ed
educatore san Pietro Canisio.
“Il santo prestò particolare attenzione ai giovani, nella cui formazione intellettuale e
religiosa vedeva un presupposto essenziale per un futuro cattolico della Germania. (...)
Un’esperienza così incoraggiante ci fa comprendere quale grande significato potrebbe rivestire
attualmente una scuola permeata dallo spirito del Vangelo, strettamente connessa alla vita della
Chiesa e impegnata in alti ideali culturali. Così cari Fratelli, vi raccomando vivamente la
promozione dell’istituzione scolastica cattolica (...). Chi serve i giovani, serve il futuro della Chiesa
e della cultura. Per questo un’educazione giovanile basata sulla Chiesa è un servizio indispensabile
per una feconda fioritura culturale e religiosa della Germania, per la quale vale anche la pena di fare
sacrifici di carattere finanziario ed ideale. (...) Pietro Canisio non aveva a cuore solo i “grandi” della
Chiesa e della politica. Si rivolgeva anche ai “piccoli”, in particolare ai bambini. (...) Quando ne
aveva l’occasione, si dedicava personalmente a istruire i bambini nella fede. (...) Se una coscienza
matura presuppone una solida cultura, una salda conoscenza della fede è necessaria affinché l’uomo
sia in grado, nel corso della sua vita, che oggi talvolta lo fa sentire come se camminasse sull’orlo di
un precipizio, di distinguere fra il vero e il falso, il bene e il male, la via verso la santità e la strada
sbagliata.” (Lettera ai Vescovi tedeschi in occasione del quarto centenario della morte di san Pietro
Canisio)
Pietro Canisio nacque l’8 maggio, festa di San Michele del monte Gargano, e di san Michele
fu molto devoto, tanto che la principale chiesa dei gesuiti tedeschi a Monaco è la Michelkirche, una
delle più belle chiese del Rinascimento tedesco. Anche la chiesa di Friborgo, accanto al collegio, fu
da lui dedicata a San Michele. E San Michele è l’arcangelo patrono della Baviera.
I Gesuiti celebrano la memoria obbligatoria il 27 aprile. Nello stesso giorno viene celebrato
in Germania. Nel Martirologio e nel calendario universale la celebrazione è invece il 21 dicembre,
come commemorazione, in quando cade nelle ferie maggiori di Avvento.
LETTURA
R. Ogni maestro della Legge, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un
padrone di casa: * trae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.
V. Nel cuore del saggio risiede la sapienza, e potrà istruire gli ignoranti:
R. trae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.
ORAZIONE
O Dio, che hai suscitato in mezzo al tuo popolo san Pietro Canisio, sacerdote
pieno di sapienza e di carità, per confermare i fedeli nella dottrina cattolica, concedi a
quanti cercano la verità la gioia di trovarti e a coloro che credono la perseveranza
nella fede. Per il nostro Signore.
O Dio, che per difendere la fede cattolica hai reso forte nella virtù e saldo nella
dottrina il santo presbitero Pietro [Canisio], per sua intercessione concedi a quanti
cercano la verità la gioia di trovare in te il loro vero Dio, e al popolo dei credenti la
perseveranza nella fede. Per il nostro Signore.
256
Cari fratelli e sorelle, oggi vorrei parlarvi di san Pietro Kanis, Canisio nella
forma latinizzata del suo cognome, una figura molto importante nel Cinquecento
cattolico. Era nato l’8 maggio 1521 a Nimega, in Olanda. Suo padre era borgomastro
della città. Mentre era studente all’Università di Colonia, frequentò i monaci
Certosini di santa Barbara, un centro propulsivo di vita cattolica, e altri pii uomini
che coltivavano la spiritualità della cosiddetta devotio moderna. Entrò nella
Compagnia di Gesù l’8 maggio 1543 a Magonza (Renania – Palatinato), dopo aver
seguito un corso di esercizi spirituali sotto la guida del beato Pierre Favre, Petrus
Faber, uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola. Ordinato sacerdote nel
giugno 1546 a Colonia, già l’anno seguente, come teologo del Vescovo di Augusta, il
cardinale Otto Truchsess von Waldburg, fu presente al Concilio di Trento, dove
collaborò con due confratelli, Diego Laínez e Alfonso Salmerón.
Nel 1548, sant’Ignazio gli fece completare a Roma la formazione spirituale e lo
inviò poi nel Collegio di Messina a esercitarsi in umili servizi domestici. Conseguito
a Bologna il dottorato in teologia il 4 ottobre 1549, fu destinato da sant'Ignazio
all'apostolato in Germania. Il 2 settembre di quell'anno, il '49, visitò Papa Paolo III in
Castel Gandolfo e poi si recò nella Basilica di San Pietro per pregare. Qui implorò
l'aiuto dei grandi Santi Apostoli Pietro e Paolo, che dessero efficacia permanente alla
Benedizione Apostolica per il suo grande destino, per la sua nuova missione. Nel suo
diario annotò alcune parole di questa preghiera. Dice: “Là io ho sentito che una
grande consolazione e la presenza della grazia mi erano concesse per mezzo di tali
intercessori [Pietro e Paolo]. Essi confermavano la mia missione in Germania e
sembravano trasmettermi, come ad apostolo della Germania, l’appoggio della loro
benevolenza. Tu conosci, Signore, in quanti modi e quante volte in quello stesso
giorno mi hai affidato la Germania per la quale in seguito avrei continuato ad essere
sollecito, per la quale avrei desiderato vivere e morire”.
Dobbiamo tenere presente che ci troviamo nel tempo della Riforma luterana,
nel momento in cui la fede cattolica nei Paesi di lingua germanica, davanti al fascino
della Riforma, sembrava spegnersi. Era un compito quasi impossibile quello di
Canisio, incaricato di rivitalizzare, di rinnovare la fede cattolica nei Paesi germanici.
Era possibile solo in forza della preghiera. Era possibile solo dal centro, cioè da una
profonda amicizia personale con Gesù Cristo; amicizia con Cristo nel suo Corpo, la
Chiesa, che va nutrita nell'Eucaristia, Sua presenza reale.
Seguendo la missione ricevuta da Ignazio e da Papa Paolo III, Canisio partì per
la Germania e partì innanzitutto per il Ducato di Baviera, che per parecchi anni fu il
luogo del suo ministero. Come decano, rettore e vicecancelliere dell’Università di
Ingolstadt, curò la vita accademica dell’Istituto e la riforma religiosa e morale del
popolo. A Vienna, dove per breve tempo fu amministratore della Diocesi, svolse il
ministero pastorale negli ospedali e nelle carceri, sia nella città sia nelle campagne, e
preparò la pubblicazione del suo Catechismo. Nel 1556 fondò il Collegio di Praga e,
fino al 1569, fu il primo superiore della provincia gesuita della Germania superiore.
In questo ufficio, stabilì nei Paesi germanici una fitta rete di comunità del suo
Ordine, specialmente di Collegi, che furono punti di partenza per la riforma cattolica,
per il rinnovamento della fede cattolica. In quel tempo partecipò anche al colloquio di
257
Worms con i dirigenti protestanti, tra i quali Filippo Melantone (1557); svolse la
funzione di Nunzio pontificio in Polonia (1558); partecipò alle due Diete di Augusta
(1559 e 1565); accompagnò il Cardinale Stanislao Hozjusz, legato del Papa Pio IV
presso l’Imperatore Ferdinando (1560); intervenne alla Sessione finale del Concilio
di Trento dove parlò sulla questione della Comunione sotto le due specie e dell’Indice
dei libri proibiti (1562).
Nel 1580 si ritirò a Friburgo in Svizzera, tutto dedito alla predicazione e alla
composizione delle sue opere, e là morì il 21 dicembre 1597. Beatificato dal beato
Pio IX nel 1864, fu proclamato nel 1897 secondo Apostolo della Germania dal Papa
Leone XIII, e dal Papa Pio XI canonizzato e proclamato Dottore della Chiesa nel
1925.
San Pietro Canisio trascorse buona parte della sua vita a contatto con le
persone socialmente più importanti del suo tempo ed esercitò un influsso speciale con
i suoi scritti. Fu editore delle opere complete di san Cirillo d’Alessandria e di san
Leone Magno, delle Lettere di san Girolamo e delle Orazioni di san Nicola della
Fluë. Pubblicò libri di devozione in varie lingue, le biografie di alcuni Santi svizzeri e
molti testi di omiletica. Ma i suoi scritti più diffusi furono i tre Catechismi composti
tra il 1555 e il 1558. Il primo Catechismo era destinato agli studenti in grado di
comprendere nozioni elementari di teologia; il secondo ai ragazzi del popolo per una
prima istruzione religiosa; il terzo ai ragazzi con una formazione scolastica a livello
di scuole medie e superiori. La dottrina cattolica era esposta con domande e risposte,
brevemente, in termini biblici, con molta chiarezza e senza accenni polemici. Solo nel
tempo della sua vita sono state ben 200 le edizioni di questo Catechismo! E centinaia
di edizioni si sono succedute fino al Novecento. Così in Germania, ancora nella
generazione di mio padre, la gente chiamava il Catechismo semplicemente il Canisio:
fu realmente il catechista della Germania, ha formato la fede di persone per secoli.
È, questa, una caratteristica di san Pietro Canisio: saper comporre
armoniosamente la fedeltà ai principi dogmatici con il rispetto dovuto ad ogni
persona. San Canisio ha distinto l'apostasia consapevole, colpevole, dalla fede, dalla
perdita della fede incolpevole, nelle circostanze. E ha dichiarato, nei confronti di
Roma, che la maggior parte dei tedeschi passata al Protestantesimo era senza colpa.
In un momento storico di forti contrasti confessionali, evitava - questa è una cosa
straordinaria - l’asprezza e la retorica dell’ira - cosa rara, come ho detto, a quei tempi
nelle discussioni tra cristiani, - e mirava soltanto alla presentazione delle radici
spirituali e alla rivitalizzazione della fede nella Chiesa. A ciò servì la conoscenza
vasta e penetrante che ebbe della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa: la stessa
conoscenza che sorresse la sua personale relazione con Dio e l’austera spiritualità che
gli derivava dalla devotio moderna e dalla mistica renana.
E' caratteristica per la spiritualità di san Canisio una profonda amicizia
personale con Gesù. Scrive, per esempio, il 4 settembre 1549 nel suo diario, parlando
con il Signore: “Tu, alla fine, come se mi aprissi il cuore del Sacratissimo Corpo, che
mi sembrava di vedere davanti a me, mi hai comandato di bere a quella sorgente,
invitandomi, per così dire, ad attingere le acque della mia salvezza dalle tue fonti, o
mio Salvatore”. E poi vede che il Salvatore gli dà un vestito con tre parti che si
258
chiamano pace, amore e perseveranza. E con questo vestito composto da pace, amore
e perseveranza, il Canisio ha svolto la sua opera di rinnovamento del cattolicesimo.
Questa sua amicizia con Gesù - che è il centro della sua personalità - nutrita
dall'amore della Bibbia, dall'amore del Sacramento, dall'amore dei Padri, questa
amicizia era chiaramente unita con la consapevolezza di essere nella Chiesa un
continuatore della missione degli Apostoli. E questo ci ricorda che ogni autentico
evangelizzatore è sempre uno strumento unito, e perciò stesso fecondo, con Gesù e
con la sua Chiesa.
All’amicizia con Gesù san Pietro Canisio si era formato nell’ambiente
spirituale della Certosa di Colonia, nella quale era stato a stretto contatto con due
mistici certosini: Johann Lansperger, latinizzato in Lanspergius, e Nicolas van
Hesche, latinizzato in Eschius. Successivamente approfondì l’esperienza di
quell’amicizia, familiaritas stupenda nimis, con la contemplazione dei misteri della
vita di Gesù, che occupano larga parte negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio. La sua
intensa devozione al Cuore del Signore, che culminò nella consacrazione al ministero
apostolico nella Basilica Vaticana, trova qui il suo fondamento.
Nella spiritualità cristocentrica di san Pietro Canisio si radica un profondo
convincimento: non si dà anima sollecita della propria perfezione che non pratichi
ogni giorno la preghiera, l’orazione mentale, mezzo ordinario che permette al
discepolo di Gesù di vivere l’intimità con il Maestro divino. Perciò, negli scritti
destinati all’educazione spirituale del popolo, il nostro Santo insiste sull’importanza
della Liturgia con i suoi commenti ai Vangeli, alle feste, al rito della santa Messa e
degli altri Sacramenti, ma, nello stesso tempo, ha cura di mostrare ai fedeli la
necessità e la bellezza che la preghiera personale quotidiana affianchi e permei la
partecipazione al culto pubblico della Chiesa.
Si tratta di un’esortazione e di un metodo che conservano intatto il loro valore,
specialmente dopo che sono stati riproposti autorevolmente dal Concilio Vaticano II
nella Costituzione Sacrosanctum Concilium: la vita cristiana non cresce se non è
alimentata dalla partecipazione alla Liturgia, in modo particolare alla santa Messa
domenicale, e dalla preghiera personale quotidiana, dal contatto personale con Dio. In
mezzo alle mille attività e ai molteplici stimoli che ci circondano, è necessario trovare
ogni giorno dei momenti di raccoglimento davanti al Signore per ascoltarlo e parlare
con Lui.
Allo stesso tempo, è sempre attuale e di permanente valore l’esempio che san
Pietro Canisio ci ha lasciato, non solo nelle sue opere, ma soprattutto con la sua vita.
Egli insegna con chiarezza che il ministero apostolico è incisivo e produce frutti di
salvezza nei cuori solo se il predicatore è testimone personale di Gesù e sa essere
strumento a sua disposizione, a Lui strettamente unito dalla fede nel suo Vangelo e
nella sua Chiesa, da una vita moralmente coerente e da un’orazione incessante come
l’amore. E questo vale per ogni cristiano che voglia vivere con impegno e fedeltà la
sua adesione a Cristo. Grazie.
259
22 dicembre
L'Ordine dei frati predicatori (Ordo fratrum praedicatorum) è un istituto religioso maschile
di diritto pontificio: i frati di questo ordine mendicante, detti comunemente domenicani,
pospongono al loro nome la sigla O.P.
L'ordine sorse agli inizi del XIII secolo in Linguadoca a opera dello spagnolo Domenico di
Guzmán con il fine di lottare contro la diffusione del catarismo, la più importante eresia medievale:
Domenico e i suoi compagni scelsero di contrastare le dottrine eretiche sia attraverso la
predicazione sia attraverso l'esempio di una severa ascesi personale, vivendo in povertà e mendicità.
Poiché per confutare le dottrine eterodosse era necessario che i predicatori, oltre a essere
esemplarmente poveri, avessero anche una solida preparazione culturale, i conventi domenicani
divennero importanti centri di studi teologici e biblici: appartennero all'ordine alcuni dei più
importanti teologi medievali, come Tommaso d'Aquino e Alberto Magno.
La forma di vita di Domenico e dei suoi compagni venne approvata solennemente da papa
Onorio III con le bolle del 22 dicembre 1216 e del 21 gennaio 1217.[2] Le principali finalità
dell'ordine sono la propagazione e la difesa del cattolicesimo mediante la predicazione,
l'insegnamento e la stampa.
260
Il 22 dicembre 1216 papa Onorio III, da poco succeduto a Innocenzo III, emanò la bolla
“Religiosam vitam”, mediante la quale approvò la comunità di Domenico come compagnia di
canonici regolari posta sotto la protezione della Sede Apostolica; con la seconda bolla “Gratiarum
omnium largitori” del 21 gennaio 1217 il pontefice riconobbe l'originalità del carisma di Domenico
e approvò la sua fraternità come ordine religioso, detto dei frati predicatori.
Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai diletti figli Domenico, priore di San
Romano di Tolosa, e ai suoi frati presenti e futuri, professi nella vita regolare, in
perpetuo.
È opportuno che coloro che hanno scelto la vita religiosa ricevano la protezione
e la tutela apostolica, affinché l'incursione temeraria di alcuni o li allontani dal loro
regolare proposito di comportarsi da religiosi o indebolisca, Dio non voglia, l'energia
o il vigore della santa religione.
In vista di ciò, amati figli nel Signore, Noi assentiamo graziosamente alle
vostre giuste suppliche e riceviamo sotto la protezione di San Pietro e nostra la chiesa
di San Romano, nella quale siete totalmente dedicati al servizio divino, e lo
confermiamo con il privilegio del presente scritto.
E in primo luogo stabiliamo certamente che l'ordine canonico, che è lì istituito
secondo Dio e secondo la Regola di Sant'Agostino, sia mantenuto e conservato nello
stesso luogo in ogni tempo in modo inviolabile.
Comandasi, inoltre, che tutti i possedimenti o qualsiasi bene che la suddetta
chiesa attualmente possiede giustamente e canonicamente, e anche quelli che in
futuro potrai ricevere o da concessioni pontificie, o da donazioni di re o principi, o
dalle oblazioni dei fedeli, o in qualsiasi altra giusta maniera, siano conservati saldi e
nella loro integrità a favore tuo e dei tuoi successori. E tra questi, vorremmo fare una
menzione esplicita del luogo in cui si trova la chiesa: del luogo dove si trova la
suddetta chiesa con tutti i suoi beni, della chiesa di Prouil con i suoi beni, del
villaggio di Casseneuil con tutti i suoi beni e della chiesa di Santa Maria di Lescure
con tutti i suoi beni, dell'ospedale chiamato Arnaud-Bernard con i suoi beni, della
chiesa di Santa Maria di Lescure, con tutti i suoi beni, dell'ospedale chiamato
Arnaud-Bernard, con i suoi beni, della chiesa della Santa Trinità di Loubens, con i
suoi beni, e le decime piamente e provvidenzialmente concesse a voi dal nostro
venerabile fratello Fulco, vescovo di Tolosa, con il consenso del suo capitolo, come è
pienamente contenuto nelle sue lettere.
Nessuno presuma di esigere da voi o di prendere con la forza le decime dai
nuovi frutti dei vostri frutteti, coltivati con le vostre mani e a vostre spese, o dal
pascolo dei vostri animali.
261
È certamente lecito per voi ricevere gratuitamente e senza impegno chierici e
laici che, fuggendo dal mondo, desiderano entrare nella vita religiosa, e anche
trattenerli tra voi senza alcuna contraddizione.
Proibiamo, inoltre, che nessuno dei vostri frati, avendo fatto la professione
nella vostra chiesa, osi lasciare il vostro gruppo senza il permesso del suo priore, a
meno che non sia per entrare in una religione più austera. Che nessuno, tuttavia, osi
trattenere uno che si separa da voi senza la previsione delle vostre lettere dimissorie.
Nelle chiese parrocchiali che avete, vi è permesso scegliere i sacerdoti e
presentarli al vescovo diocesano, e se saranno ritenuti idonei, il vescovo affiderà loro
la cura delle anime, in modo che essi rispondano a lui per le cose spirituali e a voi per
quelle temporali.
Stabiliamo inoltre che nessuno può imporre nuovi e ingiusti prelievi o
contributi alla vostra chiesa o promulgare su di voi o sulla suddetta chiesa sentenze di
scomunica o interdetto, a meno che non sia data una ragionevole e manifesta causa.
In caso di interdetto generale, vi è permesso di celebrare i servizi divini a porte
chiuse, senza suonare le campane e a bassa voce, ma gli scomunicati e gli interdetti
sono esclusi.
Ma il crisma, l'olio sacro, la consacrazione degli altari o delle basiliche, le
ordinazioni dei chierici promossi agli ordini sacri, li riceverete dal vescovo
diocesano, se è certamente un cattolico e ha la comunione e la grazia della Sede
romana, e se è disposto a offrirveli senza alcuna malizia. Altrimenti, avete licenza di
andare quando volete da qualsiasi vescovo cattolico che abbia la grazia e la
comunione della Sede Apostolica, ed egli vi darà ciò che gli viene chiesto, avendo già
la nostra autorità.
Stabiliamo anche che la sepoltura nel suddetto luogo sia libera, affinché
nessuno possa ostacolare coloro che hanno deciso di esservi sepolti, mossi dalla
devozione o che lo hanno espresso nelle loro ultime volontà. Quelli scomunicati o
sotto interdetto non possono essere sepolti lì.
Alla tua morte, ora priore del suddetto luogo, o alla morte dei tuoi successori,
nessuno sia nominato superiore con nessun tipo di astuzia o violenza, a meno che non
sia la persona che i frati, di comune accordo o almeno con il consenso della
maggioranza o della parte più sana, hanno scelto secondo Dio e secondo la Regola di
S. Agostino.
Confermiamo anche le antiche libertà e immunità e le ragionevoli usanze
concesse alla vostra chiesa e osservate fino ad oggi; le riteniamo buone e sanciamo
che debbano essere osservate nella loro integrità in ogni tempo.
Decretiamo che a nessuno, chiunque sia, sia permesso di disturbare la suddetta
chiesa in modo sconsiderato o di osare di usurpare i suoi possedimenti o di trattenere
ciò che è stato usurpato, di comprometterli o di affaticarli con qualsiasi tipo di
ingombro o vessazione. Tutte queste cose saranno conservate nella loro integrità tra
coloro ai quali sono state concesse per il loro governo o sostegno e date in uso, ma si
terrà conto dell'autorità apostolica o della giustizia secondo il diritto canonico del
vescovo.
262
Pertanto, se in futuro qualsiasi persona, ecclesiastico o laico, avendo
conoscenza di questa pagina della nostra costituzione, dovesse incautamente tentare
contro la stessa, essendo stato avvertito una seconda e una terza volta, a meno che
non corregga la sua offesa in modo soddisfacente, incorrerà nella perdita del suo
potere e del suo onore, sarà riconosciuto colpevole del giudizio divino e sarà degno di
essere privato del santissimo corpo e sangue di Dio e del nostro Signore e Redentore
Gesù Cristo, ed è soggetto a punizione nell'ultimo giudizio.
La pace di nostro Signore Gesù Cristo sia su tutti coloro che conservano i diritti
del suddetto luogo, e che già sulla terra ricevono i frutti delle buone azioni e davanti
al giudice supremo trovano le ricompense della pace eterna. Amen. Amen. Amen.
263
23 dicembre
264
Ma ciò che spinge la gente di Cracovia a “gridarlo santo” dopo la morte sono le lezioni di
amore che teneva lungo le strade e nelle case, tra malnutriti e ammalati. Nel 1600, papa Clemente
VIII lo proclama venerabile, e il suo corpo viene più tardi trasferito nella chiesa di Sant’Anna in
Cracovia. Nel 1767, papa Clemente XIII lo iscrive tra i santi. Al ricordo di Giovanni è consacrata
una cappella nella chiesa di San Floriano, dove a metà del XX secolo iniziava il suo servizio di
vicario parrocchiale il giovane sacerdote Karol Wojtyla.
In Polonia viene ricordato il 20 ottobre. È stato proclamato patrono dell'arcidiocesi di
Cracovia, degli insegnanti delle scuole cattoliche e della “Caritas”.
LETTURA
(2 febbr. 1767: Bullarii romani continuatio, IV, pars II, Pratis, 1843, pp. 1314-1316).
Nessuno può contestare che il beato Giovanni da Kety si stato trovato degno di
essere annoverato fra quei pochi uomini illustri che emergono per dottrina e per
santità, che hanno non solo insegnato, ma anche realizzato quanto insegnavano e che
difesero contro gli avversari l'ortodossia della fede. Infatti egli insegnò,
nell'accademia di Cracovia, una scienza appresa da purissima sorgente, mentre in
quei tempi, in altri paesi non molto lontani, serpeggiavano eresie e scismi; inoltre si
adoperò per proporre al popolo, mediante la predicazione, una forma più santa, di
vita, che egli stesso confermava con l'umiltà, la castità, la misericordia, le penitenze
corporali e tutte le altre virtù del sacerdote integerrimo e dell'operaio instancabile.
In questo modo non solo diede decoro e fama al corpo insegnante di quella
accademia, ma lasciò anche un benefico esempio a tutti quelli che avrebbero svolto
un simile compito: perché cerchino di compiere con sollecitudine il loro dovere di
docenti e si sforzino di insegnare, con ogni cura e mezzo, insieme alle altre discipline,
anche la scienza della santità, a gloria e lode di Dio solo.
La rispettosa esattezza con la quale si occupava delle cose di Dio si univa
all'umiltà, per cui, sebbene nella scienza superasse facilmente tutti, si riteneva
inferiore e mai si preferiva agli altri; desiderava anzi di essere tenuto in poco conto e
disprezzata da tutti e sopportava lietamente coloro che lo denigravano e lo
disprezzavano.
All'umiltà si accompagnava una rara semplicità, degna di un fanciullo. Perciò
le sue azioni e le sue parole erano limpide, senza inganni; quello che teneva chiuso in
cuore appariva anche nelle parole. Se per caso sospettava di avere offeso qualcuno
con le sue parole per amore della verità, prima di recarsi all'altare domandava,
pregando, perdono, non tanto del suo quanto dell'errore degli altri. Durante il giorno
poi, dopo aver compiuto il suo dovere, subito dal liceo si recava direttamente alla
chiesa dove, davanti al Cristo nascosto nell'Eucaristia, trascorreva lunghe ore nella
265
contemplazione e nella preghiera. Sempre aveva solo Dio nel cuore, solo Dio sulla
bocca.
R. Spezza il tuo pane con chi ha fame, conduci in casa tua il povero senza tetto: allora
la tua luce sorgerà come l’aurora, * davanti a te camminerà la tua giustizia.
V. Vesti chi è nudo, non disprezzare chi è della tua stessa carne:
R. davanti a te camminerà la tua giustizia.
Lodi mattutine
ORAZIONE
Vespri
266
IL TEMPO DI NATALE
La festa del Natale è ignota ai Padri dei primi 3 secoli e manca una tradizione autorevole
circa la data della sua istituzione. La prima traccia del Natale risale al Commentario su Daniele di
sant'Ippolito di Roma, datato al 203-204, molti anni prima delle testimonianze di analoghe festività
del Sole Invitto. Altri riferimenti poco certi sulla festività del Natale risalgono al IV secolo. La
prima menzione certa della Natività di Cristo con la data del 25 dicembre risale invece al 336, e la si
riscontra nel Chronographus, redatto intorno alla metà del IV secolo dal letterato romano Furio
Dionisio Filocalo.
Le origini storiche della festa non sono note e sono state spiegate con varie ipotesi. Si è
sostenuto che la sua data venne fissata al 25 dicembre per fare coincidere la festa del Solstizio
Invernale (Natalis Solis Invicti) con la celebrazione della nascita di Cristo, indicato nel Libro di
Malachia come nuovo "sole di Giustizia" (cfr. Malachia III,20), tuttavia sia Tertulliano che più tardi
Papa Leone I attestano il fastidio e la riprovazione dei vertici della Chiesa nei confronti dei cristiani
che perpetuando le usanze pagane manifestavano una venerazione nei confronti del Sole.
In particolare papa Leone I afferma: «È così tanto stimata questa religione del Sole che
alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la
scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente.
Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I
cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei.» (Papa Leone I, 7°
sermone tenuto nel Natale del 460 - XXVII - 4)
D'altronde, la teoria dell'assimilazione della festa del Sol Invictus compare per la prima volta
solo dopo quasi 1000 anni, e si ritrova nella chiosa che un anonimo commentatore fa di uno scritto
del vescovo siriano Jacob Bar-Salibi. Inoltre, sono da considerare le numerose attestazioni,
antecedenti il 274, della convinzione di larga parte della comunità cristiana che Gesù Cristo fosse
nato il 25 dicembre. La data in questione è infatti attestata da Ippolito di Roma nel Commentario a
Daniele, 4.23.3; Evodio (secondo vescovo della Chiesa di Antiochia), in una epistola in parte
riportata da Niceforo Callisto nella sua Storia ecclesiastica, II, 3; Alessandro vescovo di
Gerusalemme, morto nel 251, secondo la testimonianza di Vittorino (fine III secolo), vescovo di
Poetovii (oggi Ptuj) riportata da Girolamo; Giovanni Crisostomo, che nell'omelia sul Natale di
nostro Signore Gesù Cristo (Εἰς τὸ γενέθλιον τοῦ Σωτῆρος ἡµῶν Ἰησοῦ Χριστοῦ) scrive che la data
del 25 dicembre era ben nota fin dall'inizio in Occidente; Teofilo, terzo vescovo di Cesarea
marittima, come riportato in Historia Ecclesiae Christi (o Centurie di Magdeburgo), cent. II. cap.
VI.
Per questi motivi si è scritto che fu Aureliano che decise di festeggiare il Sol Invictus il 25
dicembre - ossia in una data che sino a quel momento non aveva avuto alcun rilievo nel calendario
festivo pagano - in un ultimo tentativo di creare un’alternativa pagana - e dunque di rivitalizzare una
267
religione ormai morente - ad una data già da tempo divenuta significativa per una religione cristiana
di crescente popolarità.
Sono state proposte anche soluzioni diverse, sia in relazione a influenze ebraiche sia a
tradizioni interne al cristianesimo. Secondo taluni le diverse ipotesi possono coesistere. La
tradizione cristiana ha basi comuni con quella popolare e contadina, dal momento che più o meno
nello stesso periodo si celebravano una serie di ricorrenze e riti legati al mondo pagano: infatti
nell'antica Roma dal 17 al 23 si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell'agricoltura,
durante i quali avvenivano scambi di doni e sontuosi banchetti.
Come già detto, secondo alcuni osservatori il solstizio d'inverno e il culto del "Sol Invictus"
nel tardo impero romano hanno avuto un ruolo nell'istituzione e nello sviluppo del Natale, ma la
festa non si sovrappone alle celebrazioni per il solstizio d'inverno e alle feste dei saturnali romani,
in quanto questi ultimi duravano dal 17 al 23 dicembre. Ciò che è vero è che già nel calendario
romano il termine Natalis veniva impiegato per molte festività, come il Natalis Romae (21 aprile),
che commemorava la nascita dell'Urbe, e il Dies Natalis Solis Invicti, la festa dedicata alla nascita
del Sole (Mitra), introdotta a Roma da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222) e ufficializzato per la
prima volta da Aureliano nel 274 d.C. con la data del 25 dicembre. È soprattutto quest'ultima festa a
polarizzare l'attenzione degli studiosi. Se già verso il 200 era ampiamente diffusa nelle comunità
cristiane dell'oriente greco la celebrazione del 6 gennaio come giorno della nascita di Gesù,
successivamente si registra il prevalere della data del 25 dicembre. Secondo qualcuno ciò si
spiegherebbe con la grande popolarità, al tempo, della devozione al Sole Invitto.
I due poli che racchiudono il tempo di Natale (il Natale e l’Epifania) costituiscono un segno
di comunione fra le Chiese d'Oriente e d'Occidente, perché l'Epifania è una delle festività che
l'Oriente celebra con più solennità: è stata istituita alla fine dell'era delle persecuzioni per
commemorare la manifestazione del Signore nella carne (Epifania significa: apparizione,
illuminazione, manifestazione, chiarezza, ed è vicina al termine teofania); la festività è centrata
sulle tre manifestazioni di Gesù nel mondo: l'adorazione dei Magi, la teofania del battesimo e il
primo miracolo a Cana, su sollecitazione della Vergine.
La Chiesa d'Oriente ha ripreso la festività del Natale dall'Occidente; la Chiesa d'Occidente
ha ripreso l'Epifania dall'Oriente, conservandone il nome greco, ma ciascuna delle due metà della
Chiesa conserva le sue preferenze. Per l'Epifania, l'Occidente ha conservato dell'Oriente soprattutto
l’enfasi sulla manifestazione ai pagani nell'adorazione dei Magi, dal momento che la celebrazione
del battesimo è oggetto di una festività particolare.
Il tempo di Natale comincia con l'apertura della festività, la sera della vigilia del 25
dicembre, e arriva fino alla domenica che segue l'Epifania, dedicata alla commemorazione del
Battesimo del Signore. Nella liturgia latina, Natale è la celebrazione della gioia dell'Incarnazione,
ma in relazione con l'eterna nascita (la generazione senza inizio) del Verbo di Dio che era presso il
Padre. Di qui l'importanza data al prologo di san Giovanni.
Dopo varie vicissitudini, nel nostro attuale calendario la Festa del Battesimo di Gesù si
celebra la domenica dopo l'Epifania, che è l'ultima di questo ciclo e prima del Tempo ordinario. La
sua accoglienza in Occidente è recente. Nella domenica successiva (seconda per annum) dal
Vangelo di Giovanni si leggono le altre prime manifestazioni di Gesù: la testimonianza del Battista
che indica l’“Agnello di Dio”, le vocazioni dei primi discepoli e le nozze di Cana. L'inizio del
ministero di Gesù, ulteriore manifestazione, viene mostrata nel riprendere la lettura dei Sinottici
(questa volta l'inizio della vita pubblica), nella terza domenica. In tal modo queste tre domeniche
costituiscono un'irradiazione dell’Epifania. Nella domenica dell'anno A, che segue alla festa del
battesimo del Signore, seconda del Tempo ordinario, viene proclamato il Vangelo delle nozze di
Cana, che narra la manifestazione di Cristo nella sua divinità.
Il primo gennaio a Roma (nel IV sec. il capodanno era alle calende di marzo), otto giorni
dopo il Natale, si faceva l'ufficiatura penitenziale della Missa ad prohibendum ab idolis1 , in
contrapposizione alle feste licenziose dei Saturnali, che esercitavano una certa attrattiva sui
cristiani.
268
In seguito al Concilio di Efeso (431), l'ottavo giorno dopo il Natale ebbe una festa che
intendeva onorare la maternità della Madre di Dio ( Natale Sanctae Mariae), la più antica
commemorazione mariana di tutto l'Occidente. Come riflesso del Concilio, infatti, che aveva
riconosciuto a Maria il titolo di Theotokos, fu edificata sull'Esquilino la prima Basilica mariana
dell'Occidente, S. Maria Maggiore. A imitazione del "presepe" di Betlemme e a motivo dell'influsso
della liturgia di quella basilica, nel VI sec. vi si annesse la cripta ad Praesepe; questo oratorio
divenne presto popolare. Come avveniva a Betlemme, a Natale si cominciò a celebrarvi
un'eucaristia notturna.
Nel 1921 Benedetto XV istituì la Festa della Santa Famiglia, la domenica dopo l'Epifania;
dal 1969 fu trasferita nella domenica dopo il Natale.
Un gruppo di feste, risalenti al IV-V sec., commemora alcuni santi come primi partecipi del
Mistero pasquale di Cristo: il diacono Stefano, primo imitatore-testimone di Cristo martire
(emblematico di tutta la categoria, con il titolo di "protomartire", ossia colui che per primo ha
testimoniato Cristo con il sangue); l'evangelista Giovanni, festeggiato nel Tempo di Natale perché
nei suoi scritti ebbe modo di scrutare in profondità il mistero dell'incarnazione del Logos, Verbo del
Padre; gli Innocenti, partecipi ante factum della redenzione.
Una prassi propria dell'Epifania riguarda l'annuncio della data della Pasqua. Si tratta di una
tradizione antica, risalente a Nicea: il Patriarca di Alessandria aveva l'incarico di darne l'annuncio
alla cristianità con l'enciclica detta "festale", datata all'Epifania.
Il Tempo di Natale costituisce una prolungata memoria della maternità divina, verginale,
salvifica, di colei la cui «illibata verginità diede al mondo il Salvatore»: infatti, nella solennità del
Natale del Signore, la Chiesa, mentre adora il Salvatore, ne venera la Madre gloriosa; nell’Epifania
del Signore, mentre celebra la vocazione universale alla salvezza, contempla la Vergine come vera
sede della Sapienza e vera Madre del Re, la quale presenta all’adorazione dei magi il Redentore di
tutte le genti (cfr. Mt 2,11); e nella festa della santa famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (30
dicembre) guarda con profonda riverenza la santa vita che conducono nella casa di Nazaret Gesù,
Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Maria sua madre, e Giuseppe, uomo giusto (cfr. Mt 1,19). Nel
ricomposto ordinamento del periodo natalizio ci sembra che la comune attenzione debba essere
rivolta alla ripristinata solennità di Maria SS. Madre di Dio: essa, collocata secondo l’antico
suggerimento della liturgia dell’urbe al primo giorno di gennaio, è destinata a celebrare la parte
avuta da Maria in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne deriva per la
«Madre santa..., per mezzo della quale abbiamo ricevuto... l’Autore della vita»; ed è, altresì,
un’occasione propizia per rinnovare l’adorazione al neonato Principe della pace, per riascoltare il
lieto annuncio angelico (cfr.Lc 2,14), per implorare da Dio, mediatrice la Regina della pace, il dono
supremo della pace (Marialis cultus, 5).
269
25 dicembre
Con il Natale tutti i cristiani celebrano la nascita del Figlio di Dio che si fece uomo.
L’Incarnazione del Verbo di Dio segna l’inizio degli “ultimi tempi”, cioè la Redenzione
dell’Umanità da parte di Dio. Rallegratevi, oggi è nato il Salvatore.
La Chiesa celebra con la solennità del Natale la manifestazione del Verbo di Dio agli
uomini. E’ questo infatti il senso spirituale più ricorrente, suggerito dalla stessa liturgia, che nelle
tre Messe celebrate oggi da ogni sacerdote offre alla nostra meditazione "la nascita eterna del Verbo
nel seno degli splendori del Padre (prima Messa); l'apparizione temporale nell'umiltà della carne
(seconda Messa); il ritorno finale all'ultimo giudizio (terza Messa)" (Liber Sacramentorum).
Un antico documento, il Cronografo dell'anno 354, attesta l'esistenza a Roma di questa festa
al 25 dicembre, che corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d'inverno, "Natalis Solis
Invieti", cioè la nascita del nuovo sole che, dopo la notte più lunga dell'anno, riprendeva nuovo
vigore.
Celebrando in questo giorno la nascita di colui che è il Sole vero, la luce del mondo, che
sorge dalla notte del paganesimo, si è voluto dare un significato del tutto nuovo a una tradizione
pagana molto sentita dal popolo, poiché coincideva con le ferie di Saturno, durante le quali gli
schiavi ricevevano doni dai loro padroni ed erano invitati a sedere alla stessa mensa, come liberi
cittadini. Le strenne natalizie richiamano però più direttamente i doni dei pastori e dei re magi a
Gesù Bambino.
In Oriente la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che vuol
dire "manifestazione"; poi anche la Chiesa orientale accolse la data del 25 dicembre, come si
riscontra in Antiochia verso il 376 al tempo del Crisostomo e nel 380 a Costantinopoli, mentre in
Occidente veniva introdotta la festa dell'Epifania, ultima festa del ciclo natalizio, per commemorare
la rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano. I testi della liturgia natalizia, formulati in
un'epoca di reazione alla eresia trinitaria di Arlo, sottolineano con accenti di calda poesia e con
rigore teologico la divinità del Bambino nato nella grotta di Betlem, la sua regalità e onnipotenza
per invitarci all'adorazione dell'insondabile mistero del Dio rivestito di carne umana, figlio della
purissima Vergine Maria ("fiorito è Cristo ne la carne pura", dice Dante).
L'Incarnazione di Cristo segna la partecipazione diretta degli uomini alla vita divina. La
restaurazione dell'uomo mediante la spirituale nascita di Gesù nelle anime è il tema suggerito dalla
270
devozione e dalla pietà cristiana che, al di là delle commoventi tradizioni natalizie fiorite ai margini
della liturgia, ci invita a meditare annualmente sul mistero della nostra salvezza in Cristo Signore.
Da qualche anno si è diffuso anche nelle parrocchie l’uso di cantare all’inizio della Messa
della notte del Natale del Signore la Calenda, che corrisponde al testo del Martirologio Romano per
il 25 dicembre. Originariamente tale annuncio trovava posto nella liturgia monastica all’ora di
Prima, soppressa nell’attuale ordinamento. Eseguito in forma cantata, esso giova indubbiamente a
dare una connotazione festosa e quasi di “sorpresa” ai riti di introduzione.
Il testo della Calenda può essere eseguito o al termine dell’Ufficio delle Letture, che
lodevolmente può essere celebrato in preparazione alla Messa della Notte, o di una veglia di
preghiera, oppure all’inizio della celebrazione eucaristica, dopo il canto d’ingresso, il saluto e una
debita introduzione. L’atto penitenziale viene omesso e subito dopo si esegue l’inno festivo (Gloria)
che ha la sua origine remota nel racconto lucano della nascita del Signore.
Per quanto riguarda il luogo della nascita di Gesù, dopo i vangeli, la più antica testimonianza
(verso la metà del secondo secolo) è del filosofo e martire Giustino, originario dell’odierna Nablus,
in Palestina: Al momento della nascita del bambino a Betlemme, Giuseppe si fermò in una grotta
prossima all’abitato e, mentre si trovavano là, Maria partorì il Cristo e lo depose in una mangiatoia,
dove i Magi venuti dall’Arabia lo trovarono. La menzione della Grotta come abitazione di fortuna
va riconosciuta come un’eco della viva tradizione locale, attestata nell’antichissimo apocrifo detto
Protovangelo di Giacomo (secondo secolo), ripetuta da Origene (terzo secolo), e alla base di tutta la
storia successiva del santuario. È la Grotta che fu circondata dalle magnifiche costruzioni
dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena (poco dopo il 325 d.C.), come narra lo storico
Eusebio di Cesarea, contemporaneo ai fatti. Nel 386, san Girolamo si stabilì nei pressi della
basilica, con altri seguaci dando così inizio al culto latino a Betlemme. Questa prima basilica fu
sostituita nel sesto secolo da quella che vediamo ancora oggi e le cui pareti, in epoca crociata
(dodicesimo secolo) furono abbellite di preziosi mosaici dai fondi incrostati d’oro e di madreperla,
dei quali rimangono ampi frammenti.
I francescani, a Betlemme dal 1347, non hanno più grandi possedimenti in basilica, ma
continuano a svolgervi il culto quotidiano.
Non potendosi svolgere nella basilica, la liturgia delle Ore si svolge nell’adiacente chiesa di
santa Caterina. Nel primo pomeriggio il Patriarca è accolto in basilica dal Guardiano della fraternità
francescana insieme ai superiori Greco-ortodosso e Armeno-ortodosso, quindi passa nella chiesa di
santa Caterina dove si cantano i primi Vespri seguiti dalla Processione quotidiana alla Grotta della
Natività. La sera, all’inizio della Messa della Notte, viene cantato l’Ufficio delle Letture. La
Liturgia delle Ore del Giorno di Natale non viene cantata in pubblico. Tutta la Liturgia si svolge
secondo il modo romano. Lo Statu Quo non permette la celebrazione pubblica della Liturgia delle
Ore in basilica.
CALENDA
Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio creò
il cielo e la terra e plasmò l’uomo a sua immagine; e molti secoli da quando, dopo il
diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere tra le nubi l’arcobaleno, segno di alleanza
e di pace; ventuno secoli dopo che Abramo, nostro Padre nella fede, migrò dalla terra
di Ur dei Caldei; tredici secoli dopo l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto sotto la
guida di Mosè; circa mille anni dopo l’unzione regale di Davide; nella
sessantacinquesima settimana secondo la profezia di Daniele; all’epoca della
centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno settecentocinquantadue dalla
fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano
Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio
dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta, concepito
per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla
Vergine Maria, fatto uomo: Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne.
E si conclude con:
V. Benediciamo il Signore
R. Rendiamo grazie a Dio
O Padre, che ci allieti ogni anno con l’attesa della nostra redenzione, concedi
che possiamo guardare senza timore, quando verrà come giudice, il tuo unigenito
272
Figlio che accogliamo in festa come redentore. Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo,
vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra contempliamo i suoi misteri, di
partecipare alla sua gloria nel cielo. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Signore, Dio onnipotente, che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto
uomo, fa’ che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro
spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Giorno:
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine e in modo più
mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo
Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. Egli è Dio, e vive e regna
con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
273
26 dicembre
Primo martire cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù.
Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste, e morì lapidato. In lui si realizza in modo esemplare la
figura del martire come imitatore di Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne proclama la
divinità, gli affida il suo spirito, perdona ai suoi uccisori. Saulo testimone della sua lapidazione ne
raccoglierà l'eredità spirituale diventando Apostolo delle genti.
La celebrazione liturgica di s. Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo
il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites
Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio.
Così al 26 dicembre c’è s. Stefano primo martire della cristianità, segue al 27 s. Giovanni
Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi il 28 i ss. Innocenti, bambini
uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme; secoli addietro anche
la celebrazione di s. Pietro e s. Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il Natale, venendo poi
trasferita al 29 giugno.
Del grande e veneratissimo martire s. Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse
greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e
religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.
Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu uno dei
primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e
fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di Gerusalemme.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415
un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile
vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale
lo toccò chiamandolo tre volte per nome.
Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che
volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente
Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini.
274
Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che
istruì s. Paolo, i compagni erano il protomartire s. Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino,
san Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a s. Stefano e s. Abiba suo figlio seppellito vicino a
Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio
testamentario.
Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò
lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in
piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.
Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di s. Stefano per il mondo conosciuto di allora, una
piccola parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il
26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.
Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba; poi
la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono
effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi
proliferati nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma
soprattutto a Roma, dove si pensi, nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di S. Paolo
fuori le Mura, un braccio a S. Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a S. Luigi dei Francesi, un terzo
braccio a Santa Cecilia; inoltre quasi un corpo intero nella basilica di S. Lorenzo fuori le Mura.
La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al
protomartire santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415.
Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano
una trentina, delle quali la più celebre è quella di S. Stefano Rotondo al Celio, costruita nel V secolo
da papa Simplicio.
Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato
sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste liturgica dei diaconi; suo attributo sono le
pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono
dei tagliapietre e muratori.
A Gerusalemme, al di là della Porta dei Leoni (o di santo Stefano), una chiesa dei greco-
ortodossi custodisce il luogo del martirio di santo Stefano. Il suo arresto, il processo, e l’inizio della
persecuzione contro la Chiesa è narrato da Atti 6, 8-15; 7; 8,13: Lo trascinarono fuori della città e si
misero a lapidarlo. Alcuni gradini scavati nella roccia che sta sotto la spianata del Tempio, indicano
l’antica via di accesso alle mura, e trovano continuità nella roccia dove si venera il luogo del
martirio, una grotta/cappella ornata di dipinti murali che illustrano la vita del santo.
Qui i francescani compiono una peregrinazione il giorno dopo il Natale, sempre molto
partecipata da pellegrini e fedeli locali.
A santo Stefano ben si addice l’affermazione di Tertulliano: il sangue dei martiri è seme di
nuovi cristiani, perché fu dopo la sua lapidazione che gli apostoli, chiusi nel Cenacolo, escono dalle
mura della Città e la Chiesa di Gerusalemme si espande fino ai confini del mondo, diventa
missionaria, diventa la Chiesa universale. Il simbolo di questa trasformazione è ben sintetizzato
dalla croce di Terra Santa: una grande croce centrale simboleggia la Chiesa madre e quattro croci
richiamano i quattro punti cardinali dove, da Stefano in poi, il sangue dei martiri ha disseminato i
cristiani.
La tomba di santo Stefano si venera presso la chiesa dei Domenicani, a lui titolata.
A Pisa la chiesa dei Santi Stefano e Lorenzo sorge nella parte settentrionale della città,
appena fuori del perimetro murario, in corrispondenza di Porta a Lucca. Il titolo della parrocchia è
stato in passato accompagnato dagli appellativi "extra moenia" o "oltr'Ozeri" (la denominazione più
comune attualmente è “Santo Stefano extra moenia”). Gli appellativi sono derivati dalla
collocazione della chiesa fuori delle mura urbane del XII secolo, ancora esistenti, o al di là del
fiume Auser (Ozeri).
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La prima attestazione documentaria dell'esistenza della chiesa di Santo Stefano risale all'XI
secolo: si tratta di un testamento datato 28 maggio 1085, conservato nell'Archivio arcivescovile di
Lucca, in cui tal Guido del fu Ugo donava alla chiesa un certo numero di beni e proprietà. Annesso
alla chiesa, sorgeva il monastero benedettino femminile, poi ceduto alla congregazione di
Camaldoli. Il vicino ospedale di San Lazzaro, che garantiva assistenza ai poveri, agli infermi e ai
pellegrini, compare nelle fonti a partire dal 1180. Gli altari della chiesa furono consacrati nel 1122
(s.p.). Nel corso del Duecento, si registra un ingrandimento della chiesa, che fu ampliata verso Est.
L'allungamento fu realizzato in laterizio. Da una veduta del XIV secolo, conservata presso
l'Archivio Storico Diocesano di Pisa, la chiesa di Santo Stefano appariva lunga e stretta, con protiro
antistante e rosone centrale.
Nel 1458, per volontà di Papa Pio II, il monastero fu soppresso e le monache trasferite in
altro luogo. Nel 1461 la chiesa di Santo Stefano, l'annesso monastero e il vicino ospedale di San
Lazzaro furono concessi all'Università dei Cappellani del Duomo, che ne conservarono il patronato
fino al 1975. Il monastero andò distrutto nella prima metà del XV secolo, mentre la chiesa
sopravvisse anche se in cattivo stato di conservazione. A partire dal 1462, i Cappellani del Duomo
elessero un parroco per la cura d'anime della comunità che orbitava intorno alla chiesa di Santo
Stefano.
Nel XVII secolo l'edificio di culto versava in pessime condizioni, a causa del disinteresse dei
Cappellani del Duomo. Nel corso del XVIII secolo, l'edificio fu sottoposto ad alcuni interventi,
consistenti soprattutto nella costruzione di alcune stanze dietro la tribuna dell'Altare maggiore. Tra
il 1792 e il 1794, la chiesa fu sottoposta a radicali trasformazioni strutturali: l'edificio fu accorciato
nella parte absidale e l'orientamento fu invertito, passando da Ovest a Est. I lavori sono ricordati
nell'epigrafe ottocentesca inserita nella navata sinistra. L’eliminazione dell’abside consentì
l’edificazione della facciata attuale. L'interno conserva colonne e capitelli romanici zoomorfi.
Nel 1821 la chiesa di Santo Stefano venne trasformata in Prioria. Nel 1936, fu iniziata la
costruzione del campanile su disegno dell'ingegnere Renato Lotti. A partire dalla metà del XX
secolo, la chiesa fu sottoposta a nuovi restauri: nel 1948 fu abbattuto l'Altare maggiore
settecentesco e realizzato il nuovo pavimento in marmo; nel 1962 la chiesa fu "ripulita" e, nel 1971,
il vecchio organo fu smantellato. Nel 1975, su invito di Mons. Waldo Dolfi, i Cappellani del
Duomo rinunciarono al loro patronato sulla chiesa di Santo Stefano e pertinenze. Nel 1978, la
chiesa venne rinnovata: il presbiterio fu modificato secondo le disposizioni conciliari, le colonne,
intrappolate entro pilastri settecenteschi, furono finalmente liberate e l'intonaco rimosso per
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riportare alla luce il paramento in laterizi e le tracce dell'edificio romanico fino a quel momento
celate. Nei primi anni del Duemila, la chiesa di Santo Stefano extra moenia è stata sottoposta a
lavori di restauro e risanamento conservativo alla copertura. Nel 2014 sono stati eseguiti lavori di
manutenzione straordinaria della casa canonica
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INVITATORIO
Ant. Cristo Signore, nato per noi, ha dato a Stefano la corona di gloria: venite,
adoriamo.
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1 ant. Stefano, pieno di Spirito Santo, vide nel cielo la gloria di Dio, e Gesù alla
destra del Padre.
2 ant. Caduto in ginocchio, Stefano gridò a gran voce: Signore Gesù, non imputare
loro questo peccato.
3 ant. Non potevamo resistere alla sapienza di Stefano, e allo Spirito che parlava in
lui.
PRIMA LETTURA
Il martirio di Stefano
O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete
resistenza allo Spirito Santo (Es 32, 9); come i vostri padri, così anche voi. Quale dei
profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che
preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e
uccisori; voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete
osservata».
All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di
lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di
Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il
Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime
turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono
fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi
di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva:
«Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore,
non imputar loro questo peccato». Detto questo morì.
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RESPONSORIO
R. Stefano, servo di Dio, lapidato dai Giudei, vide i cieli aperti, e vi entrò: * beato
l'uomo a cui il cielo si schiude.
V. Lo travolgeva una tempesta di sassi, ma dal cielo splendeva per lui la gloria di
Dio:
R. beato l'uomo a cui il cielo si schiude.
SECONDA LETTURA
Ieri abbiamo celebrato la nascita nel tempo del nostro Re eterno, oggi
celebriamo la passione trionfale del soldato.
Ieri infatti il nostro Re, rivestito della nostra carne e uscendo dal seno della
Vergine, si è degnato di visitare il mondo; oggi il soldato, uscendo dalla tenda del
corpo, è entrato trionfante nel cielo.
Il nostro Re, l'Altissimo, venne per noi umile, ma non poté venire a mani
vuote; infatti portò un grande dono ai suoi soldati, con cui non solo li arricchì
abbondantemente, ma nello stesso tempo li ha rinvigoriti perché combattessero con
forza invitta. Portò il dono della carità, che conduce gli uomini alla comunione con
Dio.
Quel che ha portato, lo ha distribuito, senza subire menomazioni; arricchì
invece mirabilmente la miseria dei suoi fedeli, ed egli rimase pieno di tesori
inesauribili.
La carità, dunque, che fece scendere Cristo dal cielo sulla terra, innalzò Stefano
dalla terra al cielo. La carità che fu prima nel Re, rifulse poi nel soldato.
Stefano quindi per meritare la corona che il suo nome significa, aveva per armi
la carità e con essa vinceva dovunque. Per mezzo della carità non cedette ai Giudei
che infierivano contro di lui; per la carità verso il prossimo pregò per quanti lo
lapidavano. Con la carità confutava gli erranti perché si ravvedessero; con la carità
pregava per i lapidatori perché non fossero puniti.
Sostenuto dalla forza della carità vinse Saulo che infieriva crudelmente, e
meritò di avere compagno in cielo colui che ebbe in terra persecutore.
La stessa carità santa e instancabile desiderava di conquistare con la preghiera coloro
che non poté convertire con le parole.
Ed ecco che ora Paolo è felice con Stefano, con Stefano gode della gloria di
Cristo, con Stefano esulta, con Stefano regna. Dove Stefano, ucciso dalle pietre di
Paolo, lo ha preceduto, là Paolo lo ha seguito per le preghiere di Stefano.
Quanto è verace quella vita, fratelli, dove Paolo non resta confuso per
l’uccisione di Stefano, ma Stefano si rallegra della compagnia di Paolo, perché la
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carità esulta in tutt’e due. Sì, la carità di Stefano ha superato la crudeltà dei Giudei, la
carità di Paolo ha coperto la moltitudine dei peccati, per la carità entrambi hanno
meritato di possedere insieme il regno dei cieli.
La carità dunque è la sorgente e l’origine di tutti i beni, ottima difesa, via che
conduce al cielo. Colui che cammina nella carità non può errare, né aver timore. Essa
guida, essa protegge, essa fa arrivare al termine.
Perciò, fratelli, poiché Cristo ci ha dato la scala della carità, per mezzo della
quale ogni cristiano può giungere al cielo, conservate vigorosamente integra la carità,
dimostratevela a vicenda e crescete continuamente in essa.
RESPONSORIO
R. Ieri il Signore Gesù è nato in questo mondo, perché oggi Stefano nascesse alla vita
del cielo; è venuto sulla terra, * perché Stefano entrasse con lui nella gloria.
V. Il nostro Re, vestito di carne umana, è uscita dal grembo della Vergine, ed è
venuto nel mondo,
R. perché Stefano entrasse con lui nella gloria.
INNO Te Deum
Lodi mattutine
1 ant. A te si stringe l’anima mia, Signore, mentre il corpo è lapidato per te.
2 ant. Stefano vide i cieli aperti, e vi entrò: beato quest’uomo, a cui il cielo si schiude.
3 ant. Vedo i cieli aperti, e Gesù alla destra della potenza di Dio.
Gli apostoli dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il
servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona
reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi,
invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». Piacque questa
proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo.
RESPONSORIO BREVE
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R. Mia forza, * mio canto è il Signore.
Mia forza, mio canto è il Signore.
V. E' lui la mia salvezza:
mio canto è il Signore.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Mia forza, mio canto è il Signore.
Ant. al Ben. Le porte del cielo si aprono a Stefano; per primo è coronato con la gloria
dei martiri.
INVOCAZIONI
In unione con i santi martiri, uccisi a causa del Vangelo, celebriamo e invochiamo il
nostro Salvatore, testimone fedele di Dio Padre:
Ci hai redenti con il tuo sangue, o Signore.
Per i tuoi martiri, che confessarono la fede sino all'effusione del sangue,
- dà a noi una fede pura e coerente.
Per i tuoi martiri, che seguirono le tue orme sul cammino della croce,
- fa' che sosteniamo con fortezza le prove della vita.
Padre nostro.
ORAZIONE
Donaci, Signore, di esprimere nella vita il mistero che celebriamo nel giorno
natalizio di santo Stefano primo martire e insegnaci ad amare anche i nostri nemici
sull'esempio di lui che morendo pregò per i suoi persecutori. Per il nostro Signore.
Donaci, o Padre, di esprimere con la vita il mistero che celebriamo nel giorno
natalizio di santo Stefano primo martire e insegnaci ad amare anche i nostri nemici
sull’esempio di lui, che morendo pregò per i suoi persecutori. Per il nostro Signore.
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Ora media
Salmi del giorno corrente dal salterio, antifone del tempo di Natale (fino all’Epifania)
Terza
Il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli
stesso vi ristabilirà. Dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e
saldi. A lui la potenza nei secoli. Amen!
Sesta
LETTURA BREVE Gc 1, 12
Beato l'uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova
riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.
Nona
Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli
occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro
partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace.
Vespri
Tutto dell’ottava di Natale come indicato per il 26 dicembre. Dove la festa di Santo
Stefano si celebra come solennità. Le antifone, la lettura breve e il responsorio breve
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sono come alle Lodi mattutine; l’inno, i salmi, il cantico e le intercessioni dal
Comune di un martire.
Cari fratelli e sorelle, avevo meditato con voi le figure dei dodici Apostoli e di
san Paolo. Poi abbiamo cominciato a riflettere sulle altre figure della Chiesa nascente
e così oggi vogliamo soffermarci sulla persona di santo Stefano, festeggiato dalla
Chiesa il giorno dopo Natale. Santo Stefano è il più rappresentativo di un gruppo di
sette compagni. La tradizione vede in questo gruppo il germe del futuro ministero dei
‘diaconi’, anche se bisogna rilevare che questa denominazione è assente nel Libro
degli Atti. L’importanza di Stefano risulta in ogni caso dal fatto che Luca, in questo
suo importante libro, gli dedica due interi capitoli.
Il racconto lucano parte dalla constatazione di una suddivisione invalsa
all’interno della primitiva Chiesa di Gerusalemme: questa era, sì, interamente
composta da cristiani di origine ebraica, ma di questi alcuni erano originari della terra
d'Israele ed erano detti «ebrei», mentre altri di fede ebraica veterotestamentaria
provenivano dalla diaspora di lingua greca ed erano detti «ellenisti». Ecco il
problema che si stava profilando: i più bisognosi tra gli ellenisti, specialmente le
vedove sprovviste di ogni appoggio sociale, correvano il rischio di essere trascurati
nell'assistenza per il sostentamento quotidiano. Per ovviare a questa difficoltà gli
Apostoli, riservando a se stessi la preghiera e il ministero della Parola come loro
centrale compito decisero di incaricare «sette uomini di buona reputazione, pieni di
Spirito e di saggezza» perché espletassero l'incarico dell’assistenza (At 6, 2-4), vale a
dire del servizio sociale caritativo. A questo scopo, come scrive Luca, su invito degli
Apostoli i discepoli elessero sette uomini. Ne abbiamo anche i nomi. Essi sono:
«Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone,
Parmenàs e Nicola. Li presentarono agli Apostoli, i quali, dopo aver pregato,
imposero loro le mani» (At 6,5-6).
Il gesto dell’imposizione delle mani può avere vari significati. Nell’Antico
Testamento il gesto ha soprattutto il significato di trasmettere un incarico importante,
come fece Mosè con Giosuè (cfr Nm 27,18-23), designando così il suo successore. In
questa linea anche la Chiesa di Antiochia utilizzerà questo gesto per inviare Paolo e
Barnaba in missione ai popoli del mondo (cfr At 13,3). Ad una analoga imposizione
delle mani su Timoteo, per trasmettergli un incarico ufficiale, fanno riferimento le
due Lettere paoline a lui indirizzate (cfr 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6). Che si trattasse di
un’azione importante, da compiere dopo discernimento, si desume da quanto si legge
nella Prima Lettera a Timoteo: «Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non
farti complice dei peccati altrui» (5,22). Quindi vediamo che il gesto dell’imposizione
delle mani si sviluppa nella linea di un segno sacramentale. Nel caso di Stefano e
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compagni si tratta certamente della trasmissione ufficiale, da parte degli Apostoli, di
un incarico e insieme dell’implorazione di una grazia per esercitarlo.
La cosa più importante da notare è che, oltre ai servizi caritativi, Stefano
svolge pure un compito di evangelizzazione nei confronti dei connazionali, dei
cosiddetti “ellenisti”, Luca infatti insiste sul fatto che egli, «pieno di grazia e di
fortezza» (At 6,8), presenta nel nome di Gesù una nuova interpretazione di Mosè e
della stessa Legge di Dio, rilegge l’Antico Testamento nella luce dell’annuncio della
morte e della risurrezione di Gesù. Questa rilettura dell’Antico Testamento, rilettura
cristologica, provoca le reazioni dei Giudei che percepiscono le sue parole come una
bestemmia (cfr At 6,11-14). Per questa ragione egli viene condannato alla
lapidazione. E san Luca ci trasmette l'ultimo discorso del santo, una sintesi della sua
predicazione. Come Gesù aveva mostrato ai discepoli di Emmaus che tutto l'Antico
Testamento parla di lui, della sua croce e della sua risurrezione, così santo Stefano,
seguendo l'insegnamento di Gesù, legge tutto l'Antico Testamento in chiave
cristologica. Dimostra che il mistero della Croce sta al centro della storia della
salvezza raccontata nell'Antico Testamento, mostra che realmente Gesù, il crocifisso
e il risorto, è il punto di arrivo di tutta questa storia. E dimostra quindi anche che il
culto del tempio è finito e che Gesù, il risorto, è il nuovo e vero “tempio”. Proprio
questo “no” al tempio e al suo culto provoca la condanna di santo Stefano, il quale, in
questo momento — ci dice san Luca— fissando gli occhi al cielo vide la gloria di Dio
e Gesù che stava alla sua destra. E vedendo il cielo, Dio e Gesù, santo Stefano disse:
«Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (At
7,56). Segue il suo martirio, che di fatto è modellato sulla passione di Gesù stesso, in
quanto egli consegna al “Signore Gesù” il proprio spirito e prega perché il peccato
dei suoi uccisori non sia loro imputato (cfr At 7,59-60).
Il luogo del martirio di Stefano a Gerusalemme è tradizionalmente collocato
poco fuori della Porta di Damasco, a nord, dove ora sorge appunto la chiesa di Saint-
Étienne accanto alla nota École Biblique dei Domenicani. L'uccisione di Stefano,
primo martire di Cristo, fu seguita da una persecuzione locale contro i discepoli di
Gesù (cfr At 8,1), la prima verificatasi nella storia della Chiesa. Essa costituì
l'occasione concreta che spinse il gruppo dei cristiani giudeo-ellenisti a fuggire da
Gerusalemme e a disperdersi. Cacciati da Gerusalemme, essi si trasformarono in
missionari itineranti: «Quelli che erano stati dispersi andavano per il paese e
diffondevano la Parola di Dio» (At 8,4). La persecuzione e la conseguente
dispersione diventano missione. Il Vangelo si propagò così nella Samaria, nella
Fenicia e nella Siria fino alla grande città di Antiochia, dove secondo Luca esso fu
annunciato per la prima volta anche ai pagani (cfr At 11,19-20) e dove pure risuonò
per la prima volta il nome di «cristiani» (At 11,26).
In particolare, Luca annota che i lapidatori di Stefano «deposero il loro
mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo» (At 7,58), lo stesso che da
persecutore diventerà apostolo insigne del Vangelo. Ciò significa che il giovane
Saulo doveva aver sentito la predicazione di Stefano, ed essere perciò a conoscenza
dei contenuti principali. E san Paolo era probabilmente tra quelli che, seguendo e
sentendo questo discorso, «fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di
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lui» (At 7, 54). E a questo punto possiamo vedere le meraviglie della Provvidenza
divina. Saulo, avversario accanito della visione di Stefano, dopo l’incontro col Cristo
risorto sulla via di Damasco, riprende la lettura cristologica dell'Antico Testamento
fatta dal Protomartire, l'approfondisce e la completa, e così diventa l'«Apostolo delle
Genti». La Legge è adempiuta, così egli insegna, nella croce di Cristo. E la fede in
Cristo, la comunione con l'amore di Cristo è il vero adempimento di tutta la Legge.
Questo è il contenuto della predicazione di Paolo. Egli dimostra così che il Dio di
Abramo diventa il Dio di tutti. E tutti i credenti in Gesù Cristo, come figli di Abramo,
diventano partecipi delle promesse. Nella missione di san Paolo si compie la visione
di Stefano.
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non
bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della
fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile
disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al
punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare
dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme. Soprattutto,
santo Stefano ci parla di Cristo, del Cristo crocifisso e risorto come centro della storia
e della nostra vita. Possiamo comprendere che la Croce rimane sempre centrale nella
vita della Chiesa e anche nella nostra vita personale. Nella storia della Chiesa non
mancherà mai la passione, la persecuzione. E proprio la persecuzione diventa,
secondo la celebre frase di Tertulliano, fonte di missione per i nuovi cristiani. Cito le
sue parole: «Noi ci moltiplichiamo ogni volta che da voi siamo mietuti: è un seme il
sangue dei cristiani» (Apologetico 50,13: Plures efficimur quoties metimur a vobis:
semen est sanguis christianorum). Ma anche nella nostra vita la croce, che non
mancherà mai, diventa benedizione. E accettando la croce, sapendo che essa diventa
ed è benedizione, impariamo la gioia del cristiano anche nei momenti di difficoltà. Il
valore della testimonianza è insostituibile, poiché ad essa conduce il Vangelo e di
essa si nutre la Chiesa. Santo Stefano ci insegni a fare tesoro di queste lezioni, ci
insegni ad amare la Croce, perché essa è la strada sulla quale Cristo arriva sempre di
nuovo in mezzo a noi.
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Alle riunioni dei suoi discepoli, ormai vecchissimo, veniva trasportato a braccia, ripetendo
soltanto “Figlioli, amatevi gli uni gli altri” e a chi gli domandava perché ripeteva sempre la stessa
frase, rispose: “ Perché è precetto del Signore, se questo solo si compia, basta”.
Fra tutti gli apostoli e i discepoli, Giovanni fu la figura più luminosa e più completa, dalla
sua giovinezza trasse l’ardore nel seguire Gesù e dalla sua longevità la saggezza della sua dottrina e
della sua guida apostolica, indicando nella Grazia la base naturale del vivere cristiano.
La sua propensione più alla contemplazione che all’azione, non deve far credere ad una
figura fantasiosa e delicata, anzi fu caldo e impetuoso, tanto da essere chiamato insieme al fratello
Giacomo ‘figlio del tuono’, ma sempre zelante in tutto.
Teologo altissimo, specie nel mettere in risalto la divinità di Gesù, mistico sublime fu anche
storico scrupoloso, sottolineando accuratamente l’umanità di Cristo, raccontando particolari umani
che gli altri evangelisti non fanno, come la cacciata dei mercanti dal tempio, il sedersi stanco, il
piangere per Lazzaro, la sete sulla croce, il proclamarsi uomo, ecc.
Giovanni è chiamato giustamente l’Evangelista della carità e il teologo della verità e luce,
egli poté penetrare la verità, perché si era fatto penetrare dal divino amore.
Il suo Vangelo, il quarto, ebbe a partire dal II secolo la definizione di “Vangelo spirituale”
che l’ha accompagnato nei secoli; Origene nel III secolo, per la sua alta qualità teologica lo chiamò
‘il fiore dei Vangeli’.
Gli studiosi affermano che l’opera ebbe una vicenda editoriale svolta in più tappe; essa parte
nell’ambiente palestinese, da una tradizione orale legata all’apostolo Giovanni, datata negli anni
successivi alla morte di Cristo e prima del 70, esprimendosi in aramaico; poi si ha un edizione del
vangelo in greco, destinata all’Asia Minore con centro principale la bella città di Efeso e qui
collabora alla stesura un ‘evangelista’, discepolo che raccoglie il messaggio dell’apostolo e lo adatta
ai nuovi lettori.
Inizialmente il vangelo si concludeva con il capitolo 20, diviso in due grandi sezioni; dai
capitoli 1 a 12 chiamato “Libro dei segni”, cioè dei sette miracoli scelti da Giovanni per illustrare la
figura di Gesù, Figlio di Dio e dai capitoli 13 a 20 chiamato “Libro dell’ora”, cioè del momento
supremo della sua vita offerta sulla croce, che contiene i mirabili “discorsi di addio” dell’ultima
Cena. Alla fine del I secolo comparvero i capitoli finali da 21 a 23, dove si allude anche alla morte
dell’apostolo.
All’inizio del Vangelo di Giovanni è posto un prologo con un inno di straordinaria bellezza,
divenuto una delle pagine più celebri dell’intera Bibbia e che dal XIII secolo fino all’ultimo
Concilio, chiudeva la celebrazione della Messa: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio….”.
L’Apocalisse come già detto è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento e conclude il
ciclo dei libri sacri e canonici riconosciuti dalla Chiesa, il suo titolo in greco vuol dire
‘Rivelazione’.
Denso di simbolismi, spesso si è creduto che fosse un infausto oracolo sulla fine del mondo,
invece è un messaggio concreto di speranza, rivolto alle Chiese in crisi interna e colpite dalla
persecuzione di Babilonia o della bestia, cioè la Roma imperiale, affinché ritrovino coraggio nella
fede, dimostrandolo con la testimonianza.
È un’opera di grande potenza e suggestione e anche se il linguaggio e i simboli sono del
genere ‘apocalittico’, corrente letteraria e teologica molto diffusa nel giudaismo, il libro si
autodefinisce ‘profezia’, cioè lettura dell’azione di Dio all’interno della storia.
Colori, animali, sogni, visioni, numeri, segni cosmici, città, costellano il libro e sono gli
elementi di questa interpretazione della storia alla luce della fede e della speranza.
Il libro inizia con la scena della corte divina con l’Agnello - Cristo e il libro della storia
umana e alla fine dell’opera c’è il duello definitivo tra Bene e Male, cioè tra la Chiesa e la Prostituta
(Roma) imperiale, con la rivelazione della Gerusalemme celeste, dove si attende la venuta finale del
Cristo Salvatore.
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Di Giovanni esistono anche tre ‘Epistole’ scritte probabilmente a Efeso, che hanno lo scopo
di sottolineare e difendere presso determinati gruppi di fedeli (o uno solo, con la terza) alcune verità
fondamentali, che erano attaccate da dottrine gnostiche.
San Giovanni ha come simbolo l’aquila, perché come si credeva che l’aquila potesse fissare
il sole, anche lui nel suo Vangelo fissò la profondità della divinità.
È il patrono della Turchia e dell’Asia Minore, patronato confermato da papa Benedetto XV
il 26 ottobre 1914; giacché Gesù gli affidò la Vergine Maria, è considerato patrono delle vergini e
delle vedove; per i suoi grandi scritti è patrono dei teologi, scrittori, artisti; per il suo supplizio
dell'olio bollente, protegge tutti coloro che sono esposti a bruciature oppure hanno a che fare con
l’olio, quindi: proprietari di frantoi, produttori di olio per lampade, armaioli; patrono degli
alchimisti, è invocato contro gli avvelenamenti e le intossicazioni alimentari.
Anche i “Quattro Cavalieri dell’Apocalisse” che rappresentano conquista, guerra, fame,
morte, sono un suo simbolo. In Oriente il suo culto aveva per centro principale Efeso, dove visse e
l’isola di Patmos nel Dodecanneso dove fu esiliato e dove nel secolo XI s. Cristodulo fondò un
monastero a lui dedicato, inglobando la grotta dove l’apostolo ricevette le rivelazioni e scrisse
l’Apocalisse.
In Occidente il suo culto si diffuse in tutta Europa e templi e chiese sono a lui dedicate un
po’ dappertutto, ma la chiesa principale costruita in suo onore è S. Giovanni in Laterano, la
cattedrale di Roma.
Inizialmente i grandi santi del primo cristianesimo Stefano, Pietro, Paolo, Giacomo,
Giovanni, erano celebrati fra il Natale e la Circoncisione (1° gennaio); poi con lo spostamento in
altre date di s. Pietro, s. Paolo e s. Giacomo, rimasero solo s. Stefano il 26 dicembre e s. Giovanni
apostolo ed evangelista il 27 dicembre.
A Pisa la chiesa di San Giovanni al Gatano (o dei Gaetani) si trova nel quartiere di Porta a
Mare. La prima attestazione documentaria dell'esistenza della chiesa di San Giovanni è conservata
in una bolla di Papa Adriano IV dell'anno 1156, dalla quale risulta che la chiesa era dipendente dal
Capitolo della Primaziale. La chiesa di San Giovanni Evangelista fu fondata nel 1139 da Gherardo
Gaetano di Ugo, della famiglia consolare dei Gaetani, e alla moglie Druda, da cui derivò il nome e
sotto il cui patronato rimase fino al 1824, e che la donarono al capitolo della cattedrale di Pisa. Fu
costruito poco fuori delle mura della città e della Porta detta “Maris”, cioè del mare, o “a Mare”,
che poi appellò il rione. Ne giustificò la sede anche un itinerario di rilievo diretto a San Piero a
Grado e al distretto occidentale di Pisa.
Nonostante ciò, ebbe nei dintorni viuzze e stradine ben tenute che partivano dall’Arno e
attraversavano prati e campi coltivati con grandi case poderali. Fu prossimo anche un monastero
detto di San Bernardo dove dimorarono delle monache benedettine cistercensi, trasferite nel
Quattrocento in città per maggior sicurezza e lì rimaste fino alle soppressioni di Napoleone.
Nel 1153, i canonici della cattedrale affidarono l'officiatura della chiesa di San Giovanni al
monastero vallombrosano di San Paolo a Ripa d'Arno. L'edificio fu ricostruito ed ampliato nel corso
del XVI secolo.
San Giovanni mantenne a lungo lo status di parrocchia, o cappella, come si diceva
comunemente, e ebbe giurisdizione su un territorio vasto ma poco popolato che andava oltre Porta a
Mare. Dai suoi stati di anime, cioè dagli elenchi parrocchiali degli abitanti, si trova che questi
ascendevano, dal Quattrocento alla seconda metà del Settecento, a circa 150-200 individui. Nei
secoli successivi il numero aumentò velocemente.
Nel XVIII secolo, la chiesa era costituita da una navata unica, dotata di tre altari: il maggiore
in legno, il secondo dedicato alla Vergine in marmo e l'ultimo dipinto su parete. Esternamente il
prospetto principale si presentava con facciata intonacata, adiacente al cimitero. Dalla visita
pastorale dell'Arcivescovo di Pisa Mons. Ranieri Alliata, avvenuta nel 1807, la chiesa risultava
dotata di tre altari in legno, di cui quello maggiore, costruito poco prima, risultava decorato con un
affresco di San Giovanni. L'altare in cornu epistolae accoglieva invece un'ancona marmorea del XV
secolo, commissionata da Antonio dei Gualandi canonico. Tra il 1839-1841, l'edificio di culto fu
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abbattuto e ricostruito su progetto dell'ingegnere Gaetano Becherucci. Contemporaneamente, la
casa canonica fu ampliata ed eretto il nuovo campanile. Internamente, la chiesa fu dotata di quattro
nuovi altari, eseguiti nel 1840 da Paolo Gemignani. Terminati i lavori, il nuovo edificio fu
benedetto il 21 dicembre 1841.
In tempi vicini ai nostri infatti la chiesa si trovò, quasi eccezionalmente, al centro di un rione
suburbano, Porta a Mare, diventato frenetico a causa di notevoli e rapidi cambiamenti. Nel 1889 la
società francese Saint Gobain costruì la fabbrica pisana di “Specchi e lastre di vetri” e qui, nel 1892,
si aprì la strada a una ferrovia che portava a Marina di Pisa, detta dai cittadini il Trammino e oggi
smantellata. Né si può dimenticare nel 1929 la costruzione della via conte Fazio, nuova strada a sud
dell’argine dell’Arno. San Giovanni in sostanza divenne l’importante centro di un quartiere di
lavoratori. I suoi abitanti conobbero tuttavia tempi di miseria e disperazione. Lo testimoniò lo
scrittore-poeta del posto Furio Bartorelli, ricordando proprio il suono delle campane: “Gli uomini e
le donne del rione bestemmiavano orribilmente, ma tutti amavano le campane della chiesa.
Suonavano all’alba e al vespro e scandivano l’ordinotte che creava silenzi e paure [la prima ora
dopo il tramonto, prima del buio che non era rischiarato da luce elettrica]; nei mattini festivi
impazzivano, e davano luce e gioia nel sabato santo: un coro a tre voci che si rincorrevano nell’aria
in onde di meravigliosa armonia”.
Durante la seconda guerra mondiale furono rubate le campane furono rubate, poi il 31
agosto 1943 giunse l’apocalisse a Porta a Mare. I bombardamenti aerei distrussero tutto il rione e le
sue industrie. “La dove fioriva la vita, dove il sudore della fronte santificava il lavoro, mucchi di
terra e di pietre …”, ricorda una relazione del tempo. La chiesa fu rasa al suolo. Dopo la guerra si
ricostruirono la Saint Gobain e le altre fabbriche.
Rinacque pure la chiesa di San Giovanni, ma, stranamente, la si volle fare diversa e, se un
tempo era stata conservata piccola e “umile”, questa volta fu progettata avendo in mente un
monumento grandioso. L'arcivescovo di Pisa mons. Vettori caldeggiò presso la Pontificia
Commissione per l'Arte Sacra il bando di concorso per la costruzione della nuova chiesa di San
Giovanni al Gatano. Svoltosi nel 1947, il concorso vide la partecipazione di quarantasette
concorrenti; la giuria era formata da rappresentanti della Commissione per l'Arte Sacra, del
ministero dei Lavori pubblici, dell'Arcidiocesi di Pisa e dell'Ordine degli Architetti. Relatore fu il
prof. Corrado Mezzana. L'esame dei progetti avvenne per eliminazioni successive: dieci progetti
furono scartati per la cattiva impostazione architettonica o per gravi difetti di presentazione; altri
quattordici vennero eliminati per eccesso di monumentalità e per l'insufficiente studio di
ambientazione dell'opera. Dopo una terza eliminazione restarono in gara sedici progetti tra i quali
uno doveva essere proclamato vincitore, cinque sarebbero stati da officiare per altrettante chiese
dell'arcidiocesi e dieci da segnalare, per eventuali incarichi, all'episcopato italiano. Risultò vincitore
del concorso il progetto dell'architetto Saverio Muratori, "per l'impostazione sanamente moderna
dell'edificio sacro e per la lodevole ambientazione". In particolare, Muratori intendeva rispettare nel
progetto i valori storici e culturali del luogo, ispirandosi al filone romanico pisano riletto in chiave
contemporanea. Per questo motivo la chiesa è stata giudicata "così pisana e così "vera" nel suo
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volume, nei suoi spazi, nelle sue strutture e nei suoi materiali" da avere "una grande importanza
storica, culturale e morale, prima che estetica (...) nei confronti con l'intera cultura architettonica
del nostro secolo”. Nel 1957 era stato portato a termine il rustico della chiesa, che venne
definitivamente completata nei primi anni sessanta.
La nuova chiesa, dotata di cinque altari (di cui il maggiore in marmo e gli altri in gonfolina),
è stata consacrata il 4 maggio 1963 dall'Arcivescovo di Pisa Mons. Ugo Camozzo. È anche
considerata come un importante monumento-sacrario ai caduti nei bombardamenti su Pisa della
seconda guerra mondiale
Le campane erano già state rifuse nel 1951, ma fatte ricostruire uguali per qualche tempo
sono state sistemate per terra, quale ornamento e ricordo di tempi passati. Il bombardamento del 31
agosto 1943 distrusse completamente la chiesa ottocentesca, ma risparmiò il campanile, che fu solo
parzialmente danneggiato. Nel dopoguerra, il progetto di ricostruzione del Muratori previde anche
l'erezione di una nuova torre campanaria che, tuttavia, non fu mai realizzata e il vecchio campanile
pericolante venne abbattuto nel 1966. I lavori al tempio andarono avanti per altri decenni. Il 7
maggio 1984 avvenne la definitiva sistemazione della facciata tramite i lavori di consolidamento
delle strutture in cemento armato e con la messa in opera dell’ornamento a orditura dei caratteristici
72 pilastrini di travertino di Rapolano chiaro, stuccato e lucidato.
Nel giugno 2019 infine la storia di questa chiesa di campagna, promossa quasi a cattedrale e
dotata di un immenso peso che si appoggia su delle fragili basi, si è conclusa. Un cedimento
strutturale delle fondamenta sta facendo scivolare lentamente verso l’Arno la chiesa. E a quanto
pare il problema sarebbe legato alle origini dell’edificio sacro piuttosto recente come costruzione. Il
suolo sottostante ha ceduto e l’edificio è diventato instabile anche nelle travature. Pare che non ci
siano rimedi e che l’abbandono sia l'unica soluzione possibile.
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INVITATORIO
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SALMO 18 A
SALMO 63
lo colpiscono di sorpresa *
e non hanno timore.
SALMO 96
PRIMA LETTURA
Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo
veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani
hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo
veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso
il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo
annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra
comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché
la nostra gioia sia perfetta.
Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è
luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e
camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se
camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli
altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.
Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in
noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati
e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui
un bugiardo e la sua parola non è in noi.
Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto.
Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma
anche per quelli di tutto il mondo.
Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti.
RESPONSORIO 1 Gv 1, 2. 4; Gv 20, 31
R. Annunziano a voi la vita eterna, che era presso il Padre ed è apparsa tra noi: questo
vi scriviamo, perché abbiate la gioia, * e la vostra gioia sia perfetta.
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V. Tutto questo fu scritto, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio; e
perché credendo abbiate la vita nel suo nome,
R. e la vostra gioia sia perfetta.
SECONDA LETTURA
«Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo
veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita»
(cfr. 1 Gv 1, 1). Chi è che tocca con le mani il Verbo, se non perché «il Verbo si è
fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi?» (cfr. Gv 1, 14).
Il Verbo che si è fatto carne, per poter essere toccato con mano, cominciò ad
essere carne dalla Vergine Maria; ma non cominciò allora ad essere Verbo, perché è
detto: «Ciò che era fin da principio». Vedete se la lettera di Giovanni non conferma il
suo vangelo, dove ora avete udito: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso
Dio» (Gv 1, 1).
Forse qualcuno prende l'espressione «Verbo della vita» come se fosse riferita a
Cristo, ma non al corpo di Cristo toccato con mano. Ma fate attenzione a quel che si
aggiunge: «La Vita si è fatta visibile» (1 Gv 1, 2). E' Cristo dunque il Verbo della
vita.
E come si è fatta visibile? Esisteva fin dal principio, ma non si era ancora
manifestata agli uomini; si era manifestata agli angeli ed era come loro cibo. Ma cosa
dice la Scrittura? «L'uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77, 25).
Dunque la vita stessa si è resa visibile nella carne; si è manifestata perché la
cosa che può essere visibile solo al cuore diventasse visibile anche agli occhi e
risanasse i cuori. Solo con il cuore infatti può essere visto il Verbo, la carne invece
anche con gli occhi del corpo. Si verificava dunque anche la condizione per vedere il
Verbo: il Verbo si è fatto carne, perché la potessimo vedere e fosse risanato in noi ciò
che ci rende possibile vedere il Verbo.
Disse: «Noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era
presso il Padre e si è resa visibile» (1 Gv 1, 2), ossia, si è resa visibile fra di noi; o
meglio, si è manifestata a noi.
«Quello dunque che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi» (1
Gv 1, 3). Comprenda bene il vostro amore: «Quello che abbiamo veduto e udito, lo
annunziamo anche a voi». Essi videro il Signore stesso presente nella carne e
ascoltarono le parole dalla bocca del Signore e lo annunziarono a noi. Anche noi
perciò abbiamo udito, ma non abbiamo visto.
296
Siamo dunque meno fortunati di coloro che hanno visto e udito? E come mai
allora aggiunge: «Perché anche voi siate in comunione con noi»? (1 Gv 1, 3). Essi
hanno visto, noi no eppure siamo in comunione, perché abbiamo una fede comune.
«La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste
cose vi scriviamo, perché la vostra gioia sia perfetta» (cfr. 1 Gv. 1, 3-4). Afferma la
pienezza della gioia nella stessa comunione, nello stesso amore, nella stessa unità.
RESPONSORIO
R. Ecco Giovanni, che durante la cena posò il capo sul petto del Signore: * apostolo
beato, a lui fu rivelato il mistero di Dio.
V. Dal cuore stesso di Cristo attinse l'acqua viva del vangelo:
R. apostolo beato, a lui fu rivelato il mistero di Dio.
INNO Te Deum
Lodi mattutine
[Davanti ai capi del Sinedrio] Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto
innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo
tacere quello che abbiamo visto e ascoltato».
RESPONSORIO BREVE
INVOCAZIONI
Edificati sul fondamento degli apostoli per formare il tempio vivo di Dio, preghiamo
con fede:
Ricordati, Signore, della tua Chiesa.
Padre, tu hai voluto che gli apostoli fossero i primi testimoni del Figlio tuo risorto,
- concedi a noi di essere testimoni della sua risurrezione.
Tu, che hai mandato il tuo Figlio per seminare il seme della tua parola,
- concedi una messe abbondante agli operai del Vangelo.
Padre nostro.
ORAZIONE
O Dio, che per mezzo del santo apostolo Giovanni ci hai dischiuso le
misteriose profondità del tuo Verbo, donaci intelligenza e sapienza per comprendere
l’insegnamento che egli ha fatto mirabilmente risuonare ai nostri orecchi. Per il
nostro Signore.
Ora Media
298
Salmi del giorno corrente dal salterio, antifone del tempo di Natale (fino all’Epifania)
Terza
E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli
uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo
quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi
supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Sesta
Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli.
Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel
Signore.
Nona
Gli apostoli se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per
amore del nome di Gesù. E ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di
insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo.
Vespri
Cari fratelli e sorelle, prima delle vacanze avevo cominciato con piccoli ritratti
dei dodici Apostoli. Gli Apostoli erano compagni di via di Gesù, amici di Gesù e
questo loro cammino con Gesù non era solo un cammino esteriore, dalla Galilea a
Gerusalemme, ma un cammino interiore nel quale hanno imparato la fede in Gesù
Cristo, non senza difficoltà perché erano uomini come noi. Ma proprio per ciò perché
erano compagni di via di Gesù, amici di Gesù che in un cammino non facile hanno
imparato la fede, sono anche guide per noi, che ci aiutano a conoscere Gesù Cristo,
ad amarLo e ad avere fede in Lui. Avevo già parlato su quattro dei dodici Apostoli:
su Simon Pietro, sul fratello Andrea, su Giacomo, il fratello di San Giovanni, e l’altro
Giacomo, detto “il Minore”, che ha scritto una Lettera che troviamo nel Nuovo
Testamento. Ed avevo cominciato a parlare di Giovanni l’evangelista, raccogliendo
nell’ultima catechesi prima delle vacanze i dati essenziali che delineano la fisionomia
di questo Apostolo. Vorrei adesso concentrare l’attenzione sul contenuto del suo
insegnamento. Gli scritti di cui oggi, quindi, ci vogliamo occupare sono il Vangelo e
le Lettere che vanno sotto il suo nome.
Se c'è un argomento caratteristico che emerge negli scritti di Giovanni, questo
è l'amore. Non a caso ho voluto iniziare la mia prima Lettera enciclica con le parole
di questo Apostolo: “Dio è amore (Deus caritas est); chi sta nell'amore dimora in Dio
e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16). E’ molto difficile trovare testi del genere in altre
religioni. E dunque tali espressioni ci mettono di fronte ad un dato davvero peculiare
del cristianesimo. Certamente Giovanni non è l'unico autore delle origini cristiane a
parlare dell'amore. Essendo questo un costitutivo essenziale del cristianesimo, tutti gli
scrittori del Nuovo Testamento ne parlano, sia pur con accentuazioni diverse. Se ora
ci soffermiamo a riflettere su questo tema in Giovanni, è perché egli ce ne ha
tracciato con insistenza e in maniera incisiva le linee principali. Alle sue parole,
dunque, ci affidiamo. Una cosa è certa: egli non ne fa una trattazione astratta,
filosofica, o anche teologica, su che cosa sia l’amore. No, lui non è un teorico. Il vero
amore infatti, per natura sua, non è mai puramente speculativo, ma dice riferimento
diretto, concreto e verificabile a persone reali. Ebbene, Giovanni come apostolo e
amico di Gesù ci fa vedere quali siano le componenti o meglio le fasi dell'amore
cristiano, un movimento caratterizzato da tre momenti.
Il primo riguarda la Fonte stessa dell’amore, che l’Apostolo colloca in Dio,
arrivando, come abbiamo sentito, ad affermare che “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16).
Giovanni è l'unico autore del Nuovo Testamento a darci quasi una specie di
definizione di Dio. Egli dice, ad esempio, che “Dio è Spirito” (Gv 4,24) o che “Dio è
luce” (1 Gv 1,5). Qui proclama con folgorante intuizione che “Dio è amore”. Si noti
bene: non viene affermato semplicemente che “Dio ama” e tanto meno che “l'amore è
Dio”! In altre parole: Giovanni non si limita a descrivere l'agire divino, ma procede
fino alle sue radici. Inoltre, non intende attribuire una qualità divina a un amore
generico e magari impersonale; non sale dall’amore a Dio, ma si volge direttamente a
302
Dio per definire la sua natura con la dimensione infinita dell'amore. Con ciò Giovanni
vuol dire che il costitutivo essenziale di Dio è l’amore e quindi tutta l'attività di Dio
nasce dall’amore ed è improntata all'amore: tutto ciò che Dio fa, lo fa per amore e con
amore, anche se non sempre possiamo subito capire che questo è amore, il vero
amore.
A questo punto, però, è indispensabile fare un passo avanti e precisare che Dio
ha dimostrato concretamente il suo amore entrando nella storia umana mediante la
persona di Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto per noi. Questo è il secondo
momento costitutivo dell'amore di Dio. Egli non si è limitato alle dichiarazioni
verbali, ma, possiamo dire, si è impegnato davvero e ha “pagato” in prima persona.
Come appunto scrive Giovanni, “Dio ha tanto amato il mondo (cioè: tutti noi) da
donare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Ormai, l'amore di Dio per gli uomini si
concretizza e manifesta nell'amore di Gesù stesso. Ancora Giovanni scrive: Gesù
“avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). In virtù
di questo amore oblativo e totale noi siamo radicalmente riscattati dal peccato, come
ancora scrive San Giovanni: “Figlioli miei, ... se qualcuno ha peccato, abbiamo un
avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è propiziazione per i nostri peccati,
e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1 Gv 2,1-2; cfr 1
Gv 1,7). Ecco fin dove è giunto l'amore di Gesù per noi: fino all'effusione del proprio
sangue per la nostra salvezza! Il cristiano, sostando in contemplazione dinanzi a
questo “eccesso” di amore, non può non domandarsi quale sia la doverosa risposta. E
penso che sempre e di nuovo ciascuno di noi debba domandarselo.
Questa domanda ci introduce al terzo momento della dinamica dell’amore: da
destinatari recettivi di un amore che ci precede e sovrasta, siamo chiamati
all’impegno di una risposta attiva, che per essere adeguata non può essere che una
risposta d’amore. Giovanni parla di un “comandamento”. Egli riferisce infatti queste
parole di Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come
io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Dove sta la novità
a cui Gesù si riferisce? Sta nel fatto che egli non si accontenta di ripetere ciò che era
già richiesto nell'Antico Testamento e che leggiamo anche negli altri Vangeli: “Ama
il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18; cfr Mt 22,37-39; Mc 12,29-31; Lc 10,27).
Nell’antico precetto il criterio normativo era desunto dall’uomo (“come te stesso”),
mentre nel precetto riferito da Giovanni Gesù presenta come motivo e norma del
nostro amore la sua stessa persona: “Come io vi ho amati”. E’ così che l'amore
diventa davvero cristiano, portando in sé la novità del cristianesimo: sia nel senso che
esso deve essere indirizzato verso tutti senza distinzioni, sia soprattutto in quanto
deve pervenire fino alle estreme conseguenze, non avendo altra misura che l’essere
senza misura. Quelle parole di Gesù, “come io vi ho amati”, ci invitano e insieme ci
inquietano; sono una meta cristologica che può apparire irraggiungibile, ma al tempo
stesso sono uno stimolo che non ci permette di adagiarci su quanto abbiamo potuto
realizzare. Non ci consente di essere contenti di come siamo, ma ci spinge a rimanere
in cammino verso questa meta.
Quell'aureo testo di spiritualità che è il piccolo libro del tardo medioevo
intitolato Imitazione di Cristo scrive in proposito: “Il nobile amore di Gesù ci spinge
303
a operare cose grandi e ci incita a desiderare cose sempre più perfette. L'amore vuole
stare in alto e non essere trattenuto da nessuna bassezza. L'amore vuole essere libero
e disgiunto da ogni affetto mondano... l'amore infatti è nato da Dio, e non può
riposare se non in Dio al di là di tutte le cose create. Colui che ama vola, corre e
gioisce, è libero, e non è trattenuto da nulla. Dona tutto per tutti e ha tutto in ogni
cosa, poiché trova riposo nel Solo grande che è sopra tutte le cose, dal quale
scaturisce e proviene ogni bene” (libro III, cap. 5). Quale miglior commento del
“comandamento nuovo”, enunciato da Giovanni? Preghiamo il Padre di poterlo
vivere, anche se sempre in modo imperfetto, così intensamente da contagiarne quanti
incontriamo sul nostro cammino.
306
28 dicembre
I Santi Innocenti, che onoriamo come martiri fin dai primi secoli, primizia di tutti coloro che
avrebbero versato il loro sangue per Dio e per l’Agnello sono, venerati a tre giorni dal Natale del
Signore, i piccoli di cui parla l’evangelista Matteo: Erode mandò ad uccidere tutti i bambini che
stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo
che aveva appreso con esattezza dai Magi (Mt 2,13-18).
A Betlemme, dalla chiesa di Santa Caterina, accanto alla basilica della Natività, si scende ad
un complesso di grotte che comprende quella dove si trova l’altare dei Santi Innocenti. Qui si
evidenziano tre ambienti sepolcrali nei quali sono scavati molti loculi: sono le tombe dei devoti che
nei primi secoli vollero essere sepolti presso il luogo della Natività.
Il dolore innocente e il bisogno di convertirci alla misericordia, alla mitezza e alla
compassione, ci conducono a questa grotta e a questo altare dove i Santi Innocenti prendono il volto
dei bambini che oggi muoiono vittime della violenza in tanti luoghi del mondo. Qui viene celebrata
la solenne liturgia che li ricorda: alla sera dei primi Vespri i frati vanno processionalmente alla
Grotta della Natività per il Bacio della Roccia, e il 28 dicembre la concelebrazione Eucaristica
riunisce francescani e fedeli nel ricordo dei piccoli Martiri.
Gli innocenti che rendono testimonianza a Cristo non con le Parole, ma con il sangue, ci
ricordano che il martirio è dono gratuito del Signore. Le vittime immolate dalla ferocia di Erode
appartengono, insieme a santo Stefano e all'evangelista Giovanni, al corteo del re messiniaco e
ricordano l'eminente dignità dei bambini nella Chiesa.
____________________________________________________________________
INVITATORIO
Ant. Cristo Signore, nato per noi, ai santi Innocenti ha dato la corona del martirio:
venite, adoriamo.
307
Ufficio delle letture
PRIMA LETTURA
R. Gioia per il mio popolo: * non si udranno più voci di pianto e grida di angoscia.
V. Non vi sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore: io faccio nuove tutte le
cose.
R. Non si udranno più voci di pianto e grida di angoscia.
SECONDA LETTURA
INNO Te Deum
Lodi mattutine
INNO
Salve, candidi fiori dei martiri,
che sulla soglia stessa della vita
l'ira del persecutore travolse
come il turbine le rose nascenti.
310
Così dice il Signore: «Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro:
Rachele piange i suoi figli, rifiuta d'essere consolata perché non sono più».
RESPONSORIO BREVE
INVOCAZIONI
Gloria a Cristo che ha vinto la prepotenza dei tiranni con la pacifica schiera dei santi
Innocenti. A lui si innalzi la nostra voce di lode:
Ti acclama, Signore, la candida schiera dei martiri.
Hai mandato davanti a te i santi Innocenti come primizie del tuo regno,
- non permettere che veniamo esclusi dal convito della tua gloria.
Padre nostro.
ORAZIONE
311
Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a
parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che
professiamo con le labbra. Per il nostro Signore.
O Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole ma con il
martirio, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le
labbra. Per il nostro Signore.
Ora Media
Salmi del giorno corrente dal salterio, antifone del tempo di Natale (fino all’Epifania)
Terza
Sesta
Si son consunti per le lacrime i miei occhi, le mie viscere sono sconvolte;
mentre vien meno il bambino e il lattante nelle piazze della città.
Nona
Dice il Signore: «Trattieni la voce dal pianto, i tuoi occhi dal versare lacrime,
perché c'è un compenso per le tue pene, c'è una speranza per la tua discendenza».
Vespri
313
29 dicembre
LETTURA
314
Dalle «Lettere» di san Tommaso Becket, vescovo
(Lett. 74: PL 190, 533-536)
R. Una corona di giustizia hai ricevuto dal Signore; * ti riveste un manto di gloria, e
dimora in te il Santo d’Israele.
V. Hai combattuto la buona battaglia, hai terminato la tua corsa; ora ti è stata
consegnata la corona di giustizia;
R. ti riveste un manto di gloria, e dimora in te il Santo d’Israele.
INNO Te Deum
Lodi mattutine
Ant. Chi odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna.
ORAZIONE
O Dio, che hai dato a san Tommaso Becket vescovo il privilegio di versare il
sangue per la giustizia e la libertà della Chiesa, concedi anche a noi di essere pronti,
per amore del Cristo, a perdere la vita in questo mondo per ritrovarla nel regno dei
cieli. Per il nostro Signore.
O Dio, che hai dato al santo martire Tommaso [Becket] il privilegio di versare
con grande coraggio il suo sangue per la giustizia, concedi a noi, con la sua
intercessione, di rinnegare per Cristo la nostra vita in questo mondo, per poterla
ritrovare nel regno dei cieli. Per il nostro Signore
Vespri
Ant. Nel regno dei cieli è la dimora dei santi, il loro riposo è l’eternità.
316
31 dicembre
Ordinato vescovo della Chiesa di Roma nell’anno 314, resse le sorti della Chiesa sotto
l’imperatore Costantino quando lo scisma dei Donatisti e l’eresia ariana provocavano grandissimi
danni al popolo cristiano.
Silvestro è il primo Papa di una Chiesa non più minacciata dalle terribili persecuzioni dei
primi secoli. Nell’anno 313, infatti, gli imperatori Costantino e Licinio hanno dato piena libertà di
culto ai cristiani, essendo papa l’africano Milziade, che è morto l’anno dopo. Gli succede il prete
romano Silvestro. A lui Costantino dona come residenza il palazzo del Laterano, affiancato più tardi
dalla basilica di San Giovanni, e costruisce la prima basilica di San Pietro. Il lungo pontificato di
Silvestro (21 anni) è però lacerato dalle controversie disciplinari e teologiche, e l’autorità della
Chiesa di Roma su tutte le altre Chiese, diffuse ormai intorno all’intero Mediterraneo, non è ancora
affermata. Costantino, poi, interviene nelle controversie religiose (o i vescovi e i fedeli lo fanno
intervenire) non tanto per “abbassare” Silvestro, ma piuttosto per dare tranquillità all’Impero.
(Tanto più che lui non è cristiano, all’epoca; e infondata è la voce secondo cui l’avrebbe battezzato
Silvestro).
Costantino indice nel 314 il Concilio occidentale di Arles, in Gallia, sulla questione
donatista (i comportamenti dei cristiani durante la persecuzione di Diocleziano) e sempre lui, nel
325 indice il primo Concilio Ecumenico di Nicea, dove si approva il Credo checontro le dottrine di
Ario riafferma la divinità di Gesù Cristo («Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa
sostanza del Padre»).
Nel Concilio di Arles e di Nicea papa Silvestro non ha alcun modo di intervenire: gli
vengono solo comunicate, con solennità e rispetto, le decisioni prese.
Morì nel 335 e fu sepolto nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria. Appena morto, fu il
primo a ricevere il titolo di «Confessore della fede». Questo titolo, dal IV secolo in poi, verrà
attribuito a chi, pur senza martirio, ha trascorso una vita sacrificata a Cristo.
Silvestro è un Papa anche sfortunato con la storia, e senza sua colpa: per alcuni secoli,
infatti, è stato creduto autentico un documento, detto “donazione costantiniana”, con cui
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l’imperatore donava a Silvestro e ai suoi successori la città di Roma e alcune province italiane; un
documento già dubbio nel X secolo e riconosciuto del tutto falso nel XV.
Un anno dopo la sua morte, a papa Silvestro era già dedicata una festa al 31 dicembre;
mentre in Oriente lo si ricorda il 2 gennaio.
A Pisa un complesso comprendente una ex chiesa dedicata a San Silvestro si trova in una
irregolare piazzetta alberata presso i lungarni (piazza san Silvestro),
Passato al Demanio Indisponibile dello Stato, il complesso di san Silvestro ha vissuto varie
traversie: fu affidato al Ministero degli Interni che lo utilizzò come carcere minorile (istituto di
Correzione per Minori “Pietro Thouar”); successivamente fu utilizzato come scuola. Vittima quindi
di progressivo degrado è poi finito in stato di pressoché totale abbandono. Gli Amici dei Musei e
Monumenti Pisani ne hanno poi avviato il progressivo recupero.
Il complesso (che ha una superficie complessiva di circa 9000 metri quadrati) è stato
assegnato nel 2001 dal Demanio alla Scuola Normale in uso perpetuo e gratuito e, anche se ancora
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in fase di restauro in molte sue parti, ospita il NEST (National Enterprise for nanoScience and
nanoTechnology) e dal 2016 parte del laboratorio SMART.
Grazie ai fondi ottenuti nel 2003 e nel 2008 provenienti dal riparto dell’8 per mille a diretta
gestione statale, il cantiere di restauro, diretto dalla locale Soprintendenza, ha recuperato la
splendida facciata della ex chiesa e la fiancata romanica della stessa. È stato inoltre consolidato e
restaurato il magnifico campanile e recuperato il loggiato nord del primo chiostro, concesso in
comodato il 1 gennaio 2009 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali all’associazione degli
Amici dei Musei e Monumenti Pisani. La chiesa, oggi sconsacrata, è adibita a laboratorio di
restauro di opere d'arte.
Alla conclusione dei lavori di restauro, finanziati anche dalla Cassa di Risparmio di Pisa, è
stato riportato a nuova vita un monumento pisano sconosciuto ai più: lo scalone monumentale e gli
affreschi tardo-settecenteschi (1786-1793) che ornano l’interno del complesso e che rappresenta
uno dei migliori esempi, se non l’unico, di trompe-oil a Pisa. Si tratta di una pittura scenografica
che attraverso giochi di illusione fa credere all’osservatore di guardare oggetti reali: le pareti del
vano dello scalone sono decorate con affreschi raffiguranti tre donne dietro a una balaustra secondo
una prospettiva che dà la sensazione che lo scalone si affacci su una terrazza esterna. Alla
originalità dell’opera non corrisponde la certezza dell’attribuzione degli affreschi. Storicamente
attribuiti a Bartolomeo Busoni (1685-1730), gli affreschi potrebbero essere opera di Pasquale
Cioffo artista napoletano attivo a Pisa a fine ‘700 (anche nella contigua chiesa di S. Silvestro). Le
figure femminili (che rappresentano le tre virtù teologali) sono di Giovanni Battista Tempesti che
collaborò spesso con Cioffo (per esempio nella Villa Roncioni a Pugnano).
LETTURA
La pace costantiniana
R. La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un
corpo solo; siate riconoscenti. * Voi tutti in Cristo siete una cosa sola.
V. Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli:
R. voi tutti in Cristo siete una cosa sola.
INNO Te Deum
Lodi mattutine
Ant. Non siete voi a parlare, ma parla in voi lo Spirito del Padre,
ORAZIONE
Assisti, Signore, il tuo popolo, che confida nell’intercessione del papa san
Silvestro I, perché, nel cammino della vita, goda sempre della tua guida e giunga
felicemente alla città dei santi. Per il nostro Signore.
Assisti, Signore, il tuo popolo, che confida nell’intercessione del santo papa
Silvestro, perché, compiendo sotto la tua guida il cammino della vita presente,
ragiunga felicemente quella eterna. Per il nostro Signore.
322
323
Domenica tra l’ottava di Natale
o 30 dicembre
Quando la solennità del Natale ricorre in domenica, la festa della santa Famiglia si
celebra il 30 dicembre e non ha primi Vespri
Il Natale ci ha già mostrato la Sacra Famiglia raccolta nella grotta di Betlemme, ma oggi
siamo invitati a contemplarla nella casetta di Nazareth, dove Maria e Giuseppe sono intenti a far
crescere, giorno dopo giorno, il fanciullo Gesù. Possiamo immaginarla facilmente (gli artisti
l’hanno fatto spesso) in mille situazioni e atteggiamenti, mettendo in primo piano o la Vergine santa
accanto al suo Bambino, o il buon san Giuseppe nella bottega di falegname dove il fanciullo impara
anche il lavoro umano, giocando. Ma possiamo anche intuire l’avvenimento immenso che a
Nazareth si compie: poter amare Dio e amare il prossimo con un unico indivisibile gesto! Per Maria
e Giuseppe, infatti, il Bambino è assieme il loro Dio e il loro prossimo più caro. Fu dunque a
Nazareth che gli atti più sacri (pregare, dialogare con Dio, ascoltare la sua Parola, entrare in
comunione con Lui) coincisero con le normali espressioni colloquiali che ogni mamma e ogni papà
rivolgono al loro bambino. Fu a Nazareth che gli «atti di culto dovuti a Dio» (quelli stessi che
intanto venivano celebrati nel grandioso tempio di Gerusalemme) coincisero con le normali cure
con cui Maria vestiva il Bambino Gesù, lo lavava, lo nutriva, assecondava i suoi giochi. Fu allora
che cominciò la storia di tutte le famiglie cristiane, per le quali tutto (gli affetti, gli avvenimenti, la
materia del vivere) può essere vissuto come sacramento: segno reale e anticipazione di un amore
Infinito.
La festa della Sacra Famiglia nella liturgia cattolica, nel secolo XVII veniva celebrata
localmente; papa Leone XIII nel 1895, la fissò alla terza domenica dopo l’Epifania “omnibus
potentibus”, ma fu papa Benedetto XV che nel 1921 la estese a tutta la Chiesa, fissandola alla
domenica compresa nell’ottava dell’Epifania; papa Giovanni XXIII la spostò alla prima domenica
dopo l’Epifania; attualmente è celebrata nella domenica dopo il Natale o, in alternativa, il 30
dicembre negli anni in cui il Natale cade di domenica.
324
La celebrazione fu istituita per dare un esempio e un impulso all’istituzione della famiglia,
cardine del vivere sociale e cristiano, prendendo a riferimento i tre personaggi che la componevano,
figure eccezionali sì ma con tutte le caratteristiche di ogni essere umano e con le problematiche di
ogni famiglia.
A Pisa la chiesa della Sacra Famiglia sorge nel quartiere di Cisanello, a Nord-Est del centro
storico di Pisa nella zona denominata Pisanova.
La parrocchia fu istituita il 29 giugno 1983 dall'arcivescovo Benvenuto Matteucci nella
nuova area residenziale di Pisanova. Il 5 maggio 1985 vennero celebrate la benedizione e la posa
della prima pietra del complesso, progettato dall’arch. Mons Simone Giusti (futuro vescovo di
Livorno). Nell'ottobre del 1986 fu montata la struttura portante dell'edificio e nel febbraio dell'anno
successivo fu messa in opera la copertura di rame. Il complesso parrocchiale fu consacrato
dall'Arcivescovo Benvenuto Matteucci il 3 luglio 1988.
L'ampio portale vetrato è inquadrato da due paraste laterali. Internamente la chiesa presenta
un'aula unica a forma di esagono irregolare, introdotta da un vestibolo. Il presbiterio, sollevato di
due gradoni rispetto al resto dell'aula, è posizionato al vertice dell'asse maggiore, mentre sull'asse
minore si aprono, a destra, un accesso secondario e, a sinistra due finestre a nastro verticali. In
controfacciata, sono disposti gli spazi della sacrestia e della cappella laterale utilizzata per le
confessioni. Sulla parete sinistra dell’aula, vicino all'area presbiteriale, si sviluppa la cappella del
Santissimo Sacramento, adoperata come cappellina feriale.
325
Tutto dal Proprio del Tempo di Natale
O Dio, che nella santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa’ che
nelle nostre famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti
insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine. Per il nostro Signore
Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito
Santo, per tutti i secoli dei secoli.
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