Un clarinetto bresciano rappresenterà l’Italia all’Expo di
Dubai, domenica 5 dicembre, in uno speciale concerto
dedicato ad Astor Piazzolla. E’ il desenzanese Alessandro Carbonare, primo clarinetto dell’Orchestra di Santa Cecilia, per 16 anni solista dell’Orchestre National de France, e poi con l’Orchestra Mozart di Claudio Abbado, i Berliner Philharmoniker, la Chicago Symphony, la Filarmonica di New York; a Dubai si esibirà insieme al bandoneonista salodiano Mario Stefano Pietrodarchi e alla pianista Gloria Campaner. «Noto con piacere come l’immagine del musicista italiano da tempo non coincida più esclusivamente con l’opera lirica – spiega Carbonare –. Mi considero un artista versatile: per anni ho studiato jazz e improvvisazione; sento così profondamente il repertorio klezmer da pensarmi ebreo (in una vita precedente: provo troppa empatia!). Il clarinetto, forse più di altri strumenti, si adatta perfettamente a tutti i generi musicali: è un caleidoscopio di colori, stili, potenzialità. Questa è una sua forza che tendo a sfruttare il più possibile. Il 24 novembre suono in Sala Verdi a Milano, alternando Brahms, Bernstein, Poulenc, una mia fantasia su temi di Gerswhin. Sono un ladro di note». Torna spesso a Desenzano? «Appena posso rientro a trovare mia madre, riscopro luoghi e affetti. Quando dal treno sul viadotto intravedo il lago provo sempre un’emozione grandissima; durante queste “rimpatriate” non manca mai un Pirlo con gli amici. Nel 2015 ho ricevuto la cittadinanza onoraria desenzanese. Però da allora non vi ho più suonato. Il mio primo concerto solistico l’ho tenuto proprio a Brescia diretto da Agostino Orizio. Sono un giramondo: quasi vent’anni a Parigi, lunghe tappe a Berlino, Chicago, New York, Lucerna; insegnamenti a Londra, Tokyo, Pechino, ora sto a Roma. Tengo almeno 120 concerti l’anno e quindi sono costantemente in viaggio. Adesso sento l’esigenza di rallentare. Non voglio morire col clarinetto in mano». Come si trova a Roma? «Molto bene, ci vivo ormai dal 2003. Il livello di Santa Cecilia si è enormemente innalzato; la rivista Gramophon ci ha collocati tra le prime dieci orchestre al mondo. Il lavoro di Anthony Pappano è magnifico, ha sgretolato gli stereotipi del musicista italiano, un po’ svogliato e indolente (alla “Prova d’orchestra” di Fellini, per intenderci). Le prove – durissime – eccedono spesso l’orario: impensabile fino a poco tempo fa. Vi transitano maestri bravissimi, come Daniele Gatti, e ogni anno ospitiamo almeno due o tre giovani direttori per fornire loro un trampolino di lancio: mi ha colpito Lorenzo Viotti, anche tutti gli orchestrali ne hanno avuto un’ottima impressione. Abbiamo recentemente lavorato con Kirill Petrenko, un direttore incredibile, un musicista straordinario. Lavoriamo talmente bene insieme che ha deciso di salire sul podio solo con i Berliner Philarmoniker, la sua orchestra, e con noi qui a Roma». ENRICO RAGGI