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Gabriele d'Annunzio

(1863-1938)
1. La Vita
Gabriele d'Annunzio nasce a Pescara (Abruzzo) nel 1863 da una famiglia benestante che gli
permette di frequentare le migliori scuole della sua città. A soli 16 anni pubblica la sua prima
raccolta di poesie, Primo Vere, riscuotendo un discreto successo, tanto da ricevere la proposta di
collaborare con il giornale “Il Fanfulla della domenica”. Nel 1881 si trasferisce a Roma per
frequentare la facoltà di lettere. Inizia un periodo di intensa vita mondana che lo distoglierà anche
dal suo proposito di prendere la laurea. L'opera-simbolo di questa vita sregolata e dedita al lusso è
sicuramente Il piacere. Nel 1891, a causa dei suoi enormi debiti, è costretto a trasferirsi a Napoli
con la moglie e i figli. Qui trascorrerà due anni di “splendida miseria”, segnati anche dalle accuse di
adulterio che gli costeranno la condanna (poi condonata) di 5 mesi di carcere.
Nel 1894 incontra a Venezia la famosa attrice Eleonora Duse, con cui inizierà una storia d'amore
passionale e struggente, che si consumerà nell'arco di pochi anni, quando il poeta, ormai non più
attratto dalla donna per la sua età avanzata, deciderà di abbandonarla. Questa esperienza sarà fonte
di ispirazione per il romanzo Il fuoco, dietro la cui protagonista, la Foscarina, si nasconde proprio la
Duse. Intanto d'Annunzio, trasferitosi a Firenze nel 1898, compie delle scelte politiche azzardate,
passando dall'estrema destra all'estrema sinistra.
Nel 1910, a causa di altri debiti, si trasferisce in Francia, coltivando soprattutto la propria vena
teatrale, e diventando punto di riferimento per il nazionalismo italiano, insieme ai futuristi di
Maniretti. Tornato in Italia nel 1915, si mette a capo del partito interventista, a favore dell'ingresso
dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale. Subito partecipa a diverse spedizioni, una delle quali gli
procura una grave ferita all'occhio. Nel periodo seguente, bendato e quasi del tutto cieco, scrive Il
Notturno. Dopo la fine della guerra d'Annunzio inizia a tenere rapporti con Mussolini, insieme al
quale prenderà l'iniziativa di occupare la città di Fiume, cercando di avere un riscatto per la “vittoria
mutilata”. Ma nel 1919 Mussolini accetta la proposta di Giolitti e ordina il ritiro delle truppe
italiane. Dopo questo affronto d'Annunzio, a partire dal 1921, si ritira in una villa sul Lago di
Garda, la “prigione d'oro”, chiamata dal poeta stesso il “Vittoriale degli italiani”. Proprio in questi
anni si viene a delineare un rapporto contrastante con Mussolini, fatto di reciproca ammirazione ma
anche di aperta ostilità. Il tutto si risolverà col tacito accordo che vede d'Annunzio dominare in
ambito culturale, Mussolini in quello politico.
Proprio nel Vittoriale il poeta passerà gli ultimi anni della sua vita, morendo nel 1938.

2. La formazione culturale
La personalità poetica di d'Annunzio fu caratterizzata sin da subito da un'eccezionale abilità
retorica, che si manifesta già con la pubblicazione di Primo Vere all'età di soli 16 anni, e la
capacità di fare proprie le scoperte letterarie a lui contemporanee, riuscendo così a rispondere,
di volta in volta, alle richieste del suo pubblico. Proprio per questo motivo la sua produzione può
essere considerato un sommario della cultura decadente. Ma nella formazione di d'Annunzio ebbero
un forte peso i classici greci e latini, la letteratura italiana di Carducci e Verga, il Naturalismo
francese di Paul Verlaine, di Victor Hugo e Emile Zola, la letteratura russa di Tolstoj e
Dostoevskij e soprattutto, come vedremo, gli scritti filosofici di Nietzsche.

3. L'ideologia e la poetica
Le opere di d'Annunzio sono caratterizzate principalmente da tre elementi: estetismo, panismo e
superomismo.
L'estetismo, tendenza tipica della letteratura decadente, è un amore indistinto e incondizionato per
il bello in tutte le sue manifestazioni, anche a scapito dei più basilari precetti morali. Tutto questo si
traduce, in campo poetico, in un utilizzo esagerato di artifici retorici e di effetti fonici. In particolar
modo, in d'Annunzio l'estetismo tende verso un piano prettamente egoistico: la bellezza esaltata
attraverso l'arte la si ricerca prima di tutto nella vita del poeta, che diventa essa stessa oggetto di
poesia.
Per quanto riguarda il panismo (da non confondere con il panteismo), tale termine deriva da Pan,
dio pagano della natura, ed indica un senso di totale fusione col mondo naturale circostante.
Tale fusione presenta connotazioni profondamente personali e paganeggianti: la natura è intesa
come una realtà viva in perenne divenire, e il poeta non può fare a meno che adeguarsi a tale
ritmo. Egli sembra quasi “sciogliersi” nel tutto, abbandonando la propria umanità e raggiungendo
uno stato animale o vegetale. Ovviamene è innegabile la matrice classica del panismo: basti pensare
alla poesia bucolica e il suo stretto legame con l'ambiente naturale.
Infine la componente del superomismo rappresenta l'elemento più caratteristico della poetica
dannunziana. Esso si manifesta sin dalle prime opere ma assume una consistenza concreta solo
dopo la lettura, da parte del poeta, di Così parlò Zarathustra, l'opera chiave della filosofia di
Nietzsche. Il superomismo consiste nel credere nell'esistenza di individui, i superuomini appunto,
dotati per natura di caratteristiche tali da garantire loro il dominio sugli altri uomini. Tutto questo si
traduce, in ambito politico, in un'ideologia nazionalista e antidemocratica. Ovviamente si tratta di
una visione distorta dell'oltreuomo (è questa la traduzione più adatta del termine Ubermensch di cui
parla Nietzsche), che in realtà indica l'uomo capace di andare oltre se stesso, o meglio oltre i limiti
della decadenza che lo circonda.

4. L'evoluzione letteraria di d'Annunzio


La fase panica e verista
I tre elementi prima descritti, pur rappresentando una costante in tutte le opere di d'Annunzio,
assumono ruoli più o meno rilevanti nel corso della sua evoluzione poetica. In base
all'atteggiamento via via dominante è possibile distinguere diverse fasi.
La prima di questa è quella del panismo. Già nelle prime raccolte liriche come Primo Vere (1879)
e Canto Nuovo (1882), d'Annunzio mostra un senso di totale fusione con la natura che lo circonda,
carica di energia e vitalità. Il principale modello per queste raccolte è sicuramente Carducci, che
viene ripreso soprattutto da un punto di vista formale tramite l'adozione della metrica “barbara”.
Il forte legame con la natura emerge anche dalle raccolte Terra vergine (1882) e Novelle della
Pescara (1902), ambientate in una campagna abruzzese selvaggia e incolta, dominata da impulsi di
sesso e violenza, molto vicina alla sensibilità “verista”. In particolar modo, nella seconda raccolta si
alternano personaggi dall'umanità pervertita e malvagia, su uno sfondo che si alterna a tratti
all'ambiente campestre e ad altri a quello borghese.

D'Annunzio esteta
La seconda fase, il cui inizio è segnato dal trasferimento a Roma, è quella dell'estetismo. Il poeta,
totalmente assorbito da una vita mondana e sfrenata, si lascia prendere dall'amore per il bello e ne fa
motivo d'ora in avanti costante della sua poetica. L'opera più significativa per comprendere i
caratteri di questa fase è Il Piacere (1888). Il protagonista Andrea Sperelli, giovane esteta
esponente di una nobiltà ormai in via di estinzione, è diviso tra due donne, la cinica Elena Muti e la
più spirituale Maria Ferres. Non sapendo tra chi scegliere, il ragazzo decide di frequentare
entrambe, formando nella sua mente l'immagine di un'unica donna che riassume le caratteristiche di
entrambe. Ma durante un momento di intimità con Maria, Andrea la chiama per errore Elena,
perdendo così non solo la prima ma anche la seconda, non ancora pronta ad una relazione seria.
L'opera si conclude con un Andrea Sperelli avvolto da una solitudine titanica e assoluta.
Dietro l'immagine di questo personaggio si nasconde, in realtà, il poeta stesso, come possiamo
notare dall'attenta analisi, posta all'inizio dell'opera, relativa all'educazione di un esteta. D'altronde,
proprio negli anni romani si viene a delineare il profilo di d'Annunzio “personaggio pubblico”,
diviso tra i divertimenti delle classi più elevate e il disprezzo per la politica del tempo.

Una fase di ripiegamento


Dai primi anni Novanta dell'Ottocento inizia una fase di ripiegamento durante la quale
d'Annunzio, ormai stanco dei ritmi sfrenati che conduce, decide di riscoprire la propria purezza,
mettendosi alla ricerca dei luoghi della sua infanzia. Si tratta di una piccola pausa all'interno del
suo ardore passionale, dettata dal bisogno di tregua e di raccoglimento. Tale scelta è sicuramente
il risultato della lettura di romanzi appartenenti alla letteratura francese ma soprattutto a quella russa
e in particolar modo di Dostoevskij. Si tratta di opere in cui dominano atmosfere cupe in cui si
svolgono veri e propri drammi umani. Ma ancora una volta d'Annunzio, legato com'è alla propria
poetica, decide di non piegarsi a questi modelli, ma piuttosto di piegare quest'ultimi a sé,
cogliendone solo gli aspetti più morbosi e superficiali.
Questa fase di ripiegamento è testimoniata, per quanto riguarda i romanzi, da due opere: Giovanni
Episcopo (1891) e l'Innocente (1891-1892).
Nella prima, il protagonista, nonché voce narrante, Giovanni Episcopo, dopo aver scoperto del
tradimento della moglie Ginevra, decide di assassinare l'amante di quest'ultima per poi dover
assistere passivamente alla morte dell'amato figlio Ciro.
L'Innocente gira ancora una volta intorno ad una storia di tradimento: il protagonista, Tullio Hermil
scopre che il figlio avuto dalla moglie Giuliana non è suo. Così, con la complicità della moglie,
decide di ucciderlo, esponendolo in una gelida notte di Natale.
Nell'ambito della poesia lirica questa nuova fase si esprime invece con la raccolta Poema
paradisiaco (1893) il cui titolo deriva dalla parola greca paràdeisos, che letteralmente significa
“giardino”. Proprio l'elemento del giardino ritorna nei titoli delle tre poesie principali della raccolta:
Hortus conclusus (Giardino chiuso), Hortus larvarum (Giardino delle larve) e Hortulus animae
(Piccolo giardino dell'anima). Il giardino da una parte simboleggia la natura, vista come ambiente
selvaggio e violento, ma dall'altro è un chiaro richiamo all'innocenza e alla purezza dell'infanzia.

La fase del superomismo


L'elemento del superuomo si fa sentire con maggiore insistenza nelle opere composte nell'arco di
tempo che va dal 1893 al 1909.
Tra i romanzi ricordiamo: Il trionfo della morte (1894), Le vergini delle rocce (1895) e Il fuoco
(1896).
Il primo, ambientato nella campagna abruzzese, ha come protagonista Giorgio Aurispa, un esteta
alla maniera di Andrea Sperelli, perdutamente innamorato della giovane Ippolita Sanzio. La storia
d'amore dei due avrà però dei risvolti tragici: entrambi si uccideranno, lanciandosi insieme da una
scogliera.
Le vergini delle rocce è il vero manifesto dell'ideologia del superuomo: Claudio Cantelmo, deciso
a mettere al mondo un vero superuomo, vuole sposare una delle tre vergini dell'aristocrazia dei
Capece-Montaga, ma non otterrà i risultati sperati. Una delle tre sorelle, Massimilla, preferirà la via
del convento; un'altra, Anatolia, decide di dedicarsi alla famiglia; l'ultima, Violante, appare troppo
orgogliosa e superba per accettare l'amore di Claudio.
Infine ne Il fuoco si racconta la storia d'amore tra Stelio Effrena e la fascinosa attrice Foscarina
(dietro cui si cela Eleonora Duse, amante di d'Annunzio). Ma Stelio, dopo aver conosciuto un
vecchio Wagner, comprende di non essere del tutto appagato da questo amore e decide di dedicarsi
alla poesia e al teatro, unici mezzi tramite i quali l'uomo potrà effettivamente diventare un
superuomo.
Invece in ambito lirico, la raccolta che più di tutte può essere considerata espressione di questa fase
è quella delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi.

La produzione teatrale
I temi del superomismo sono presenti anche (e soprattutto) nella produzione teatrale di D'Annunzio,
in cui ritroviamo in generale tutti i temi letterari precedentemente affrontati: la passione amorosa,
l'esaltazione della natura, spesso selvaggia e aggressiva (come si nota dalle accurate descrizioni di
scene particolarmente violente e sanguinose). La caratteristica fondamentale di queste opere è il
progressivo allontanamento dai temi veristi (comunque presenti nelle prime opere vd. La fiaccola
sotto il moggio): d'Annunzio vuole appositamente allontanarsi dalla realtà, descrivendo, attraverso
la musica e la danza, un mondo ideale in cui si possa manifestare la sua vena poetica.
L'apertura al mondo teatrale è dovuto principalmente a due fattori: da una parte d'Annunzio è
influenzato dalla relazione amorosa con la Duse (per la quale scrive Il sogno d'un mattino di
primavera), dall'altra, durante un viaggio in Grecia del 1895, rimane affascinato dalla cultura
classica. Quest'ultima, d'altra parte, aveva conosciuto un nuovo sviluppo proprio verso la fine
dell'Ottocento, grazie ai ritrovamenti delle rovine della città di Troia ad opera dell'archeologo
Heinrich Scliemann. Di ispirazione classica sono opere teatrali quali La città morta, La Gioconda o
La Gloria; altri componimenti riprendono tematiche storiche come Francesca da Rimini (in cui
viene rievocata la vicenda amorosa della ragazza, già trattata da Dante nell'Inferno); d'Annunzio,
inoltre, si riallaccia esplicitamente al teatro tragico greco scrivendo opere come Fedra; ma le opere
teatrali sicuramente più riuscite sono quelle ambientate nella campagna abruzzese. Tra queste
ricordiamo La fiaccola sotto il moggio (in cui risulta chiara l'influenza verista e naturalista) e
soprattutto La figlia di Iorio. Quest'ultima è una tragedia in tre atti che si apre con il gesto eroico
del pastore Aligi, che salva la giovane Mila, figlia del mago Iorio, accusata da un gruppo di
contadini di essere una strega. La fanciulla, condotta in casa del pastore, rischia di essere violentata
dal padre di Aligi che ancora una volta non esita a salvare la ragazza uccidendo il suo stesso
genitore. Per evitare che l'uomo venga punito per parricidio, Mila si assume le colpe dell'omicidio e
viene bruciata viva.

Il Notturno: l'ultimo d'Annunzio


Dopo l'incidente aereo del 1916 d'Annunzio, costretto a vivere nella più totale oscurità, si allontana
progressivamente alle tematiche precedentemente affrontate, cercando anche in letteratura il buio
che avvolge il mondo, il mistero e soprattutto la morte. Le pagine di diario di questo periodo sono
raccolte nell'opera Il Notturno. Tuttavia i critici hanno notato come questa maggiore introspezione
sia tipica non solo del Notturno, ma in generale di tutte le opere degli ultimi anni. Proprio per
questo motivo si parla di fase notturna. Le opere di questo periodo sono maggiormente evocative e
simboliche, la sintassi si frammenta, scompaiono i lunghi periodi a favore dell'essenziale.
Tra gli scritti di questa fase ricordiamo La faville della maglio, una raccolta di frammenti (il
termine “faville” fa riferimento proprio ai frammenti incandescenti che si creano lavorando i
metalli) che rielaborano precedenti pagine di diari. In uno di questi frammenti d'Annunzio,
riprendendo le parole di Rimbaud, si definisce un “poeta-veggente”, capace di osservare il buio
dell'esistenza e di esprimere, attraverso la sua poesia, l'Invisibile.
Un'altra opera notturna è il Libro segreto, un prosimetro (opera in cui si alternano prosa e versi) che
manifesta chiaramente la malinconia e il cupo fallimento esistenziale che caratterizzano gli ultimi
anni della vita del poeta.

5. La lingua e lo stile
Come abbiamo visto nella sua attività letteraria D'Annunzio si concentra principalmente sulla
parola, tanto da affermare con fermezza che Il verso è tutto. Con queste parole il poeta vuole
sottolineare che solo attraverso un'attenta elaborazione linguistica è possibile cogliere il senso
stesso della poesia.
Le scelte lessicali di d'Annunzio si orientano in base a quattro principi:
1. la ricerca di parole “preziose” e peregrine, spesso espresse in forme arcaiche;
2. l'utilizzo di termini dialettali e tecnici;
3. il ricorso a neologismi;
4. la ricerca di un effetto musicale.
Proprio la musicalità lessicale è un elemento che caratterizza l'intera produzione dannunziana,
anche quella in prosa, come possiamo notare dalle numerose figure retoriche utilizzate dal poeta.
Ovviamente il senso lirico raggiunge la massima manifestazione in poesia, dove d'Annunzio riesce
effettivamente a raggiungere quel concetto di “poesia pura” tanto ricercato dai poeti del tempo: la
musicalità del verso deve riuscire a rappresentare l'armonia e la vivacità della natura stessa.
Infine la varietà dello stile dannunziano è dovuta al fatto che in esso si rispecchiano i turbamenti e
gli sviluppi psicologici del poeta stesso, come possiamo notare dal rinnovamento di tono presente
nelle opere notturne.
6. Le Laudi
Tra le opere liriche di d'Annunzio degne di attenzione sono le laudi, in cui si esprimono
chiaramente i tre motivi fondamentali della poetica dannunziana: estetismo, superomismo e
soprattutto il panismo.
Il titolo completo della raccolta è Le Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi, con il quale
d'Annunzio sottolinea come l'eroismo del superuomo si esprimi in tutti gli aspetti del creato. Il titolo
inoltre richiama alle Laudi di San Francesco, con le quali si ringraziava il Signore per i suoi doni
naturali. In realtà d'Annunzio è ben lontano dalla vena cristiana di San Francesco, e il suo intento è
quello di rappresentare l'aspetto divino della Natura, con dei toni mistici e paganeggianti.
In origine le Laudi dovevano essere 7 (una per ogni stella delle Pleiadi) ma d'Annunzio arrivò a
comporne solo 5 che riportano i nomi delle stelle corrispondenti: Maia, Elettra, Alcyone, Merope e
Asterope.

Alcyone
Il libro più celebre dell'intera raccolta è il terzo, Alcyone, che rappresenta il momento più alto della
poesia italiana. Esso fu composto soprattutto nell'estate del 1902 trascorsa in Versilia e proprio
l'estate rappresenta il filo conduttore dell'intera opera, che si apre con la Pioggia nel pineto, che
descrive l'inizio della stagione estiva, e si chiude con la fine della stagione stessa.
Il libro si compone di cinque sezioni, in cui si descrivono le diverse fasi dell'estate, affrontando temi
diversi con stili diversi. Le sezioni sono intervallate da 4 ditirambi che, riprendendo le definizioni di
Nietzsche, rappresentano i momenti dionisiaci della raccolta, mentre nelle diverse sezioni si esprime
lo spirito apollineo.

Le tematiche
Il tema principale del libro è quello del panismo, già affrontato nelle prime raccolte poetiche e
successivamente sarà ripreso nella fase notturna in cui la Natura viene associata non più alla Vita
ma alla Morte. Tra le pagine poetiche possiamo scorgere una vera e propria filosofia. Secondo
d'Annunzio nel corso dei secoli l'uomo ha vissuto nell'ombra, allontanandosi dalla Natura e dai miti
in cui essa si esprimeva. Proprio per questo motivo egli esorta gli uomini a ritrovare il loro fanciullo
interiore, l'unico capace di cogliere la perfetta fusione degli esseri con la Natura circostante. In
realtà si tratta di un tentativo destinato a fallire perché, come afferma esplicitamente il poeta, gli
uomini non sono più capaci di compiere questa trasformazione panica. Ciò nonostante egli finge per
un momento che questo passaggio sia possibile e che si verifichi proprio nell'estate descritta in
Alcyone, un'estate che diventa metaforicamente un tempio panico, in cui i riti vengono presenziati
dal poeta-sacerdote e dalla sua amata Ermione.
Proprio l'amore è uno dei temi principali della raccolta. Insieme a questo ricordiamo:
– il tema del silenzio, espresso dal “Taci” della Pioggia nel pineto, essenziale per allontanarsi
dalla civiltà chiusa all'esperienza panica e per ascoltare la voce della Natura;
– il tema del mito, al quale d'Annunzio si accosta in tre modi diversi: riprendendo
pedissequamente la tradizione (come nel mito di Icaro), rinnovandola (come nel mito di
Dafne che non si limita a trasformarsi in alloro ma si tramuta anche in oleandro), creandone
di nuovi (come quello di Versilia);
– il tema della metamorfosi che rappresenta la perfetta fusione dell'Io con la Natura;
– il tema acquatico e marino, che, come quello della trasformazione, suggerisce un senso di
fusione accompagnato però da una profonda purificazione;
– il tema della parola, centrale in tutta la produzione dannunziana: solo il poeta può praticare i
riti panici perché solo lui, attraverso la parola, è capace di esprimere il significato stesso
della Natura.
Il tutto è descritto con un linguaggio elevato ed aulico, accompagnato da frequenti figure retoriche.
Ciò dimostra il desiderio di sperimentazione da parte di d'Annunzio e l'esaurimento dei repertori
metrico-stilistici tradizionali.

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