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STORIA

MEDIEVALE
MODULO A
PROF. TOGNETTI
SBOBINATURE LEZIONI ONLINE
A.A. 2020/21

(APPUNTI NON RIVISTI DALL’AUTORE)


PROGETTO (SALVA) STUDENTI è un sito creato nel mezzo dell’emergenza Coronavirus.
Questa situazione da subito ci ha spinto a chiederci come potessimo davvero aiutare tantissimi
studenti che hanno bisogno di materiale, appunti, schemi, sbobinature in vista della preparazione
degli esami. E così è nato il sito grazie alla collaborazione con l’ex copisteria One Way (presente
in Cittadella) e l’ex copisteria Mitza Is Stellas (in viale Fra Ignazio) le quali, in questi anni,
hanno raccolto molto materiale (dispense, fotocopie, riassunti, appunti etc.), sempre messo a
disposizione a prezzo di stampa per gli studenti. Le due copisterie sono state fondate da un
gruppo di studenti impegnati nel mondo universitario per la difesa e l’attuazione del diritto allo
studio, e questi hanno accordato la totale disponibilità del materiale per questo momento di crisi.

L’obiettivo è che si crei una rete di condivisione che permetta di far girare e mettere a
disposizione il materiale per preparare gli esami. Più studenti si coinvolgeranno, più ci sarà la
possibilità di reperire il materiale che si desidera e di aiutarci a vicenda!

Importante: il materiale diffuso è fatto da studenti, non distribuito dai docenti e non revisionato
da loro. Per questo motivo, perché questo servizio possa continuare a esistere e ad aiutare gli
studenti, chiediamo la massima discrezione!

Crediamo che in questa situazione, appartenere ad una stessa comunità studentesca si faccia più
evidente e necessario. Siamo tutti in cerca di aiuto e ci dobbiamo venire incontro! Se avete
materiale da mettere a disposizione, potete contattarci alla seguente mail:
studentiunicasos@gmail.com.
È una panoramica che riguarda la storia del mediterraneo e dell’Europa medievale, quindi dalla fine
dell’impero romano d’occidente fino al XV secolo.

TARDO IMPERO ROMANO


Cominciamo con il vedere quali erano le regioni dell’Europa e del mediterraneo controllate dall’impero
romano. Come ci ripetono oggi i giornali e i media di ogni tipo, il mediterraneo è un luogo di incontro e
scontro di civiltà. Ma non è sempre stato cosi, c’è stato un periodo storico in cui il mediterraneo era La
civiltà, nel senso che il cuore pulsante del mondo greco-romano verteva in questa zona del mondo, il cosi
detto mare nostrum. Le popolazioni che vivevano nel mediterraneo si sentivano accomunate da una
cultura, da una mentalità, da un modus vivendi, dai mezzi di sfruttamento della terra, del suolo, da mezzi
di comunicazione e di trasporto molto più di quanto non potesse avvenire con altre popolazioni del nord
Europa o dell’Africa. Un abitante dell’Italia centrale, della Spagna meridionale o dell’attuale Croazia si
sentiva molto più vicino per stile di vita, per alimentazione, per modo di vestirsi, ad un africano o ad un
egiziano di quanto non potesse sentirsi vicino (in realtà lontano) rispetto ad un britannico che pure faceva
parte dell’impero romano, per non parlare poi delle popolazioni che vivevano al nord del Danubio, del
Reno o a est del Reno perché quelli erano barbari, quindi i civilizzati erano gli africani, non i britanni. Il
mediterraneo non era uniforme, c’erano popolazioni semitiche, popolazioni copte, per esempio in Egitto,
poi greci, celti. Questo mondo era delimitato da baluardi naturali e baluardi artificiali. Alcuni erano
contemporaneamente artificiali e naturali, il più famoso è il limes renano-danubiano. La frontiera che
separava l’impero romano dall’Europa barbara correva lungo questi due grandi fiumi europei lasciando
al di fuori la maggior parte dell’odierno mondo tedesco e slavo. La frontiera corsa le zone che oggi noi
consideriamo tipicamente europee. Alcune città erano state costruite proprio in difesa della frontiera,
forse la più famosa è Colonia, città tedesca il cui nome era originariamente colonia agrippina, una città
di frontiera romana. Queste città di frontiera erano abbastanza numerose, erano baluardi difensivi, ma
anche naturali perché attraversare questi grandi fiumi non era una cosa semplice.
Alcuni dei baluardi erano unicamente naturali, per esempio il deserto del Sahara, lì il passaggio della
frontiera per il passaggio dal mondo greco-romano e gli altri era rappresentato da uno spazio in cui non
viveva nessuno, quindi non c’era proprio una frontiera presidiata, semplicemente finiva la civiltà,
finivano le terre coltivabili e si entrava in una terra ostile e prevalentemente disabitata.
Altre frontiere erano unicamente artificiali, pensate al Vallo di Adriano, questa grande costruzione
difensiva che separava la Britannia romana dalla porzione più settentrionale dell’isola che corrisponde
all’odierna Scozia. Per evitare le invasioni dei barbari, celti del nord, gli imperatori del II secolo a.C.
avevano costruito questo grande baluardo difensivo. Ma il punto dove la frontiera rappresentava un
elemento di debolezza era la frontiera orientale perché lì l’impero romano non confinava con popolazioni
barbare ma con un altro grande impero. La frontiera orientale infatti separava l’impero romano
dall’impero sasanide, cioè l’impero persiano, un impero con le sue città, con una sua organizzazione
burocratico fiscale, la sua religione (lo zoorastrismo), la sua cultura, quindi con una organizzazione
complessa. L’impero romano e l’impero persiano sarebbero stati più o meno in guerra a seconda del
periodo per molti secoli. Dalla metà del III secolo fino ai primi decenni del VII, quindi quella è proprio
una frontiera militare che ogni tanto oscilla a seconda delle incursioni e guerre. Dentro queste barriere,
limes più o meno artificiali e più o meno naturali, si trova la civiltà greco romana: una civiltà fatta di
città, perché l’impero greco-romano era una sorta di federazione di municipi, che ricalcavano più o meno
la struttura con cui si governava la capitale. Ogni municipio aveva il suo Senato, i suoi luoghi di
ricreazione, il teatro, anfiteatro, terme, biblioteche, le strade. Quest’area impregnata di città vedeva una
maglia di centri urbani più densa sopratutto in prossimità del mediterraneo, quindi dovete pensare
all’Italia, alle zone dell’attuale Tunisia, Grecia, penisola iberica, Provenza. Mano a mano che ci si
allontanava dal mediterraneo questa maglia diventava sempre più rada. Ci troviamo di fronte a contesti
molto più rurali cioè con una densità abitativa dento i centri urbani molto più modesta, per esempio nella
Gallia centrale le città erano più piccole, meno numerose, a maggior ragione nella Britannia, quelle città
erano poco più che accampamenti, come ci ricorda anche la toponomastica inglese attuale, infatti ci sono
molte città che mantengono il suffisso chester che deriva dal latino castrum, quindi erano poco più che
accampamenti che poi verranno abbandonati nell’alto medioevo. Questo mondo di città non murato è
stato presente fino al 1300 circa e vedranno degradare la densità abitativa in maniera progressiva, quindi
non c’è uno stacco, come invece avverrà nelle città medievali, questo mondo delle città viveva in
larghissima misura di rendite e redditi provenienti dalla terra, quindi le basi economiche di questa
federazione di città erano impegnate largamente nel settore primario cioè sull’agricoltura. I ricchi
vivevano in città ma la loro ricchezza derivava dalla terra, quindi prendevano queste rendite dalla terra e
poi le spendevano nel centro urbano. Quindi che funzioni aveva il centro urbano? Aveva funzioni
politiche, amministrative, raccolta delle imposte, i servizi, per esempio c’erano le scuole che non
esistevano nelle campagne ma esistevano solo in città. Nelle città i ricchi amavano raccogliere il consenso
attraverso l’erogazione di servizi per il tempo libero, come la creazione di biblioteche magari aperte
anche al pubblico, oppure biblioteche pubbliche finanziate da privati. Sono meccanismi che in parte
esistono anche oggi, pensate a quante biblioteche, musei e centri di ricerca esistono negli Stati Uniti e
recano il nome di un benefattore. Questa pratica che viene definita evergesismo (parola di origine greca
che significa “operare per il bene”) connotava i centri eminenti del mondo romano. Le città come luoghi
dove si fa politica, dove si fa amministrazione, dove si erogano i servizi principali, pensate agli acquedotti
che sono opere ingegneristiche incredibilmente avanzate, poi le biblioteche, i teatri, gli anfiteatri e via
dicendo. Quindi una civiltà, questa del tardo impero romano, apparentemente molto avanzata ma che
comincia a mostrare dalla metà del III secolo alcuni segni di debolezza. L’impero crollerà praticamente
200 anni dopo quindi questi segni di debolezza appaiono straordinariamente grandi ai nostri occhi ma
chi sa agli uomini di quel tempo, come se uno ci dicesse che l’Italia non esiste più tra 200 anni, diciamo
“pazienza, 200 anni sono un’enormità”, ma quando parliamo di storia antica ci appaiono una scansione
cronologica molto corta.

Quali sono i segni di debolezza che troviamo a metà del III secolo?

Troviamo nelle zone mediterranee dell’impero tassi di urbanizzazione troppo elevata, sopratutto in
Italia. Cosa significa tasso di urbanizzazione? Significa la porzione di abitanti di una determinata zona
che vivono in un centro urbano. Ora in un centro urbano siamo abituati che i tassi di urbanizzazione sono
superiori al 50% ma nelle società preindustriali raramente si superava il 20%, per un motivo molto
semplice, che stante la tecnologia scarsa di queste società, la percentuale delle persone che dovevano
lavorare nel settore primario, cioè l’agricoltura, doveva essere elevatissima. Se questa manodopera non
lavorava nelle campagne chi forniva poi i mezzi di sussistenza a tutti? E’ un problema. Quindi più persone
vanno a vivere in città più si forma attrito tra chi produce le risorse e chi le consuma. Nell’Italia del II/III
secolo a.C. circa il 25% degli abitanti vivevano in città. E’ tantissimo! Pensate che è più o meno la stessa
percentuale che troviamo nel censimento dell’Italia del 1961, in cui l’Italia era ancora in largissima parte
rurale però c’erano già le ferrovie, le prime macchine a vapore. Questo squilibrio era maggiormente
accentuato dal fatto che in Italia c’era una città con 1milione di abitanti: Roma. 1milione di abitanti è una
cifra pazzesca per le civiltà antiche, medievali e di età moderna. Pensate che in Europa dopo Roma in
quegli anni, non si ha più avuto una città di 1milione di abitanti fino a Londra alla fine 1700. Significa
che Roma era una città incredibilmente grande, qualcosa come dire oggi 20/30 milioni, pensate a Shangai.
Quindi squilibrio tra città e campagna.
C’è il problema, per gli studiosi di oggi, che il ceto dominante a livello politico, a livello economico, a
livello culturale si caratterizzava per un’etica economica che oggi qualsiasi sociologo definirebbe
parassitaria, perché non solo vivevano di rendita ma consideravano giustissimo e degno della massima
considerazione a livello sociale vivere di rendita. Cioè un potente doveva occuparsi di politica, di retorica,
di ozi letterari, non doveva sporcarsi le mani andando a controllare le sue terre, tenere i conti per far si
che aumentasse la produttività, questo non passava minimamente per la testa dei potenti dell’epoca.
Cicerone, nel De Officiis, in età repubblicana, ci dice: “Ignobili sono i guadagni di tutti coloro che
vendono il lavoro delle loro braccia perché in tali casi la mercede stessa è il prezzo del selvaggio, quanto
al commercio in piccola scala è da considerarsi vituperevole, secondo una vasta scale non è da
disprezzarsi del tutto, ma può essere lodato soltanto se usato in modo da procacciasi i mezzi per
acquistare terre e proprietà.” Volete fare i grandi mercanti, i grandi appaltatori, volete trasportare il
marmo e il grano a Roma o in altre città, bene arricchitevi pure però il vostro approdo ultimo deve essere
la terra, l’ozio letterario e l’attività politica, oppure anche la guerra. La mercatura quindi può essere un
trampolino di lancio nella società, ma non un obbiettivo di per se. Naturalmente con una prospettiva di
questo tipo lo sviluppo economico può arrivare solo fino a un certo punto perché non c’è lo stimolo a
migliorare. Il mondo antico era molto all’avanguardia negli studi scientifici, pensate alla scuola di
Alessandria, alla geografia, la matematica molto avanzata, ma queste scienze non venivano applicate
perché non c’era la spinta mentale per applicarle, i mulini ad acqua ce li avevano nella tarda antichità,
ma venivano usati poco, perché non c’era quella spinta imprenditoriale a migliorare i mezzi di
produzione. Questo produce stagnazione.
Somme enormi di denaro, percepite dallo Stato sotto forma di tasse, venivano spese da una parte per
tenere in piedi una burocrazia sempre più ipertrofica e numerosa, dall’altra venivano spese
enormemente per la difesa, per l’esercito. Quando si parla di esercito non si parla semplicemente delle
paghe dei soldati, si parla anche di strade. Le grandi strade romane, che convergono tutte verso Roma,
secondo il famoso detto, son state costruite in primo luogo per motivi militari, la loro larghezza era fatta
apposta per far passare due carri militari che si incrociavano. Quindi c’era tutta una serie di strutture, per
esempio le caserme, c’è tutta una spesa, un budget destinato alla difesa e all’attività militare che
impegnava enormemente le risorse dello stato. Questo era un dei servizi principali per cui era impegnato
l’erario dell’impero.
Poi per l’annona, cioè per il rifornimento alimentare in particolare nelle grandi città, soprattutto Roma,
perché città molto grandi dovevano essere alimentate in continuazione altrimenti tutta questa plebe che
viveva nelle insule, nelle periferie delle metropoli poteva dare luogo a fenomeni di oscillazione sociale,
di disordine pubblico. La famosa politica del panem et circenses: vi diamo il pane con le distribuzioni
gratuite dei cereali e poi vi portiamo al circo, vi facciamo vedere gli spettacoli dei gladiatori. E’ un modo
per tenere sotto controllo la plebe, ma anche questo impegna le risorse. Inoltre sia le armature dei soldati,
sia la costruzione di luoghi pubblici come i fori, sia l’annona, richiedevano l’intervento di quei mercanti
di cui parlava male Cicerone, ma questi lavoravano non tanto per il mercato, per i privati, ma lavoravano
soprattutto sotto commissione statale, era lo Stato che faceva muovere gran parte del commercio
mediterraneo. Come si può pensare che i rifornimenti arrivino dall’Egitto a Roma, che il marmo da
Carrara arrivi in Sicilia, che il grano dalla Tunisia finisca a Roma, che dall’Egitto finisca a Costantinopoli
e via dicendo se non attraverso una commessa forte alle spalle, cioè statale. Specialmente l’impero degli
ultimi secoli è un impero la cui struttura economica è fortemente burocratizzata e statalizzata. Per fare
un paragone si può parlare dell’Unione Sovietica, che muoveva l’economia infatti quando è crollata c’è
stato un impoverimento momentaneo gravissimo in Russia. Il commercio era alimentato dal pubblico,
dallo Stato, che forniva tanti servizi che nel medioevo non ci sarebbero più stati; o assenti o erogati in
forma privata, per esempio l’istruzione, le biblioteche, gli spazi pubblici come le terme e gli anfiteatri,
sono costi pubblici di manutenzione che si accollava lo Stato. Questa economia del tardo impero
romano è fortemente burocratizzata e statalizzata. Mantenere in piedi una struttura del genere è un
impegno molto oneroso, la storia degli ultimi secoli dell’impero romano è la storia di una pressione
fiscale crescente, perché se si deve spendere sempre di più le entrate dovranno crescere. Un altro aspetto
importante è che le finanze dell’impero sono in costante deficit cioè la spesa è superiore all’entrate. I
sovrani allora svalutavano la moneta. All’epoca la svalutazione della moneta avveniva riducendo la
quantità di metallo prezioso della moneta stessa, cioè riducendo l’intrinseco. Le monete prima erano fatte
di metalli preziosi: oro, argento, bronzo (usato principalmente per gli spiccioli). Gli imperatori quando
si trovavano a corto di risorse o pieni di debiti svalutavano la moneta cioè dicevano: da oggi la moneta
ha lo stesso nome di prima soltanto che al posto di avere 9 parti su 10 di argento ne ha 8. Questo però
provocava il fatto che tutti i negozianti, tutti quelli che dovevano farsi pagare per erogare servizi,
chiedevano due monete perché sapevano che l’argento in quella moneta era meno. Le svalutazioni
servivano agli imperatori per ridurre il debito nei confronti dei privati.
Un ultimo aspetto di debolezza è collegato ad un lungo periodo durante il III secolo di anarchia
militare, cioè una sequenza di imperatori fatti e deposti nel giro di un anno, un anno dopo l’altro, spesso
nominati dai propri soldati, dalle guardie di frontiera. C’è un’instabilità permanente, una guerra civile,
quasi una guerra tra bande, tra squadre dell’esercito in Gallia, in Africa, in Italia per circa 50 anni. Dagli
anni 30 fino agli 80 del III secolo. In quel periodo l’impero romano ha rischiato di collassare per via di
questa conflittualità permanente tra imperatori.
Questo periodo di crisi si risolve nel 284 quando sale sul trono l’imperatore Diocleziano. L’imperatore
Diocleziano era originario dell’Illirico, una provincia dell’Europa sud orientale, nello specifico
Diocleziano era originario di Salona, una città le cui rovine si trovano in Croazia a due passi da Spalato.
Ancora oggi a Spalato si conserva un gigantesco palazzo di Diocleziano che è una specie di città da
quanto è grande. Questo palazzo fu eretto negli ultimi anni del suo governo. Non era il primo imperatore
che veniva dall’Illirico, ne sarebbe stato l’ultimo, perché questa zona dell’impero romano che
corrisponde grosso modo a quella dell’est Jugoslavia, cioè Croazia, Serbia, Montenegro, Macedonia, era
una vera e propria fucina di soldati. La gran parte degli ufficiali dell’esercito venivano da questa zona
che non era una della più ricche dell’impero ovviamente, una zona aspra dal punto di vista del suolo, con
montagne, dove la vita militare era percepita come lo strumento principale per fare carriera, quindi tanti
soldati e ufficiali venivano da questa zona dell’impero tra cui Diocleziano, ma anche Costantino sarebbe
venuto da quest’area.
Diocleziano pone fine alla guerra civile, all’anarchia e innesta una serie di cambiamenti strutturali nella
configurazione dell’impero che avranno vita molto lunga soprattutto nell’impero d’oriente, dove
dureranno grosso modo fino al 600, cioè fino all’inizio del VII secolo. Diocleziano riorganizza le
province, separa gli incarichi militari da quelli civili, creando le grandi prefetture, le mega province
dell’impero, imprime una svolta autoritaria e ultra burocratica alle strutture imperiali. Non è il primo
imperatore a imporre questa svolta, ma con lui questa svolta è particolarmente accentuata. Lui impone a
tutti i sudditi dell’impero di adorare la sua figura come se fosse un dio e associa al culto dell’imperatore
il culto mitriatico solare, cioè il culto del dio sole, un culto di derivazione orientale. Badate che
grandissima parte dei culti tardo antichi, anche esoterici vengono dall’oriente, dall’Egitto, dalla Siria,
talvolta anche dalla Persia. Da questo periodo in poi l’imperatore viene adorato come se fosse un dio e i
mitreri si dispongono in varie parti dell’impero, tra cui a Roma, nelle chiesa di San Clemente, costruita
sopra una chiesa tardo antica, quindi si entra nella chiesa romana attraverso delle scale si scende e si
arriva nella chiesa tardo antica, ma sotto il livello della chiesa tardo antica si trovano i resti di un antico
mitreo, prima c’è il mitreo poi hanno costruito la chiesa cristiana nel tardo impero romano poi secoli
dopo hanno costruito una chiesa romanica nel XII secolo. Adorazione della figura
dell’imperatore, lo Stato viene militarizzato, c’è una svolta autoritaria che prende corpo attraverso il
tentativo di rendere ereditari i mestieri, per esempio tuo padre è calzolaio allora anche tu devi fare il
calzolaio. Che senso ha questo irrigidimento della società? Ha uno scopo fondamentale: mantenere
inalterato il reddito fiscale, cioè bloccare la mobilità sociale in modo da essere sicuri del budget imperiale.
Questo dirigismo statale arriva fino a emanare degli editti, cioè leggi imperiali, che vorrebbero fissare i
prezzi e i salari, praticamente in larga parte rimangono una lettera morta perché come sappiamo quando
si cerca di fermare per legge il costo dei beni e dei servizi scatta il meccanismo perché ovviamente
nessuno lavora in perdita. C’è questo sforzo di irregimentare la società che si rivela parzialmente efficace
soprattutto nel legare i coloni agricoli al terreno che coltivavano.
L’altra innovazione fondamentale di Diocleziano consiste nel fondare il sistema tetrarchico. Il sistema
tetrarchico prende corpo con Diocleziano in considerazione del fatto che gli imperatori percepiscono che
l’impero ormai è troppo grande per essere governato da un unico centro. Le differenze tra una zona e
l’altra dell’impero erano ormai evidenti e Diocleziano dice che non è possibile adottare le stesse soluzioni
per tutte le province dell’impero, crea un sistema più duttile, più adatto a tener conto delle differenze e
cosi Diocleziano per la prima volta separa amministrativamente la parte occidentale da quella orientale.
Non solo, ma prevede anche che affianco a lui che è Augusto, ci sia un altro Augusto, cioè un co-
imperatore. Lui sarà dunque l’imperatore d’Oriente ma affianco a lui ci sta un altro augusto d’Occidente.
A loro volta gli augusti nominano dei Cesari cioè dei futuri successori, ogni augusto ha sotto di se un
cesare e arrivati ad una certa età gli augusti si dimettono facendo in questo modo passare al rango di
augusti i cesari i quali a loro volta perpetueranno il sistema nominando nuovi cesari, per questo motivo
si parla di tetrarchia (parola di origine greca che significa “governo dei quattro”). Un Augusto d’Oriente,
un Augusto d’Occidente, un Cesare d’Oriente e un Cesare d’Occidente.
Lui si riserva la parte orientale, non a caso, perché era evidente a tutte le persone che la parte orientale
era la più ricca, la più colta, con più risorse e con le città più grandi. Questo perché la crisi del III secolo
aveva coinvolto maggiormente le regioni occidentali di quanto non fosse invece accaduto per quelle
orientali. In oriente si trovavano città immense, non della stessa grandezza di Roma ma abbastanza
vicino: Alessandria d’Egitto, Antiochia, Efeso, Gerusalemme. Questa è una zona più urbanizzata, le zone
tra l’altro in cui la proprietà terriera era rimasta divisa a vantaggio di una numerosa piccola proprietà,
mentre in Occidente si era diffuso il sistema della villa, cioè queste gigantesche aziende agrarie che
organizzavano il lavoro non più attraverso la manodopera servile che era sempre più ridotta essendo
ridotte le guerre di conquista, ma attraverso la forma del colonnato, cioè terre date a contadini i quali
lavoravano in base ad un contratto. Le ville erano anche luoghi di rappresentazione del potere ma queste
ville c’erano in Campania, in Sicilia, in Sardegna, nella penisola iberica ecc..
Questo impero conosce da un certo momento in poi, mentre sta andando verso la forma di organizzazione
burocratica, conosce la diffusione di una nuova religione monoteista: il cristianesimo. la diffusione del
cristianesimo è una faccenda molto complicata, è avvenuta gradualmente, lentamente e solo da un certo
momento poi il fenomeno quasi a cascata, in maniera esponenziale ha preso corpo in tutto l’impero.
Ancora all’inizio del IV secolo, i cristiani erano nell’impero una minoranza. Il cristianesimo prende corpo
in Palestina nel corso del I secolo, in realtà gran parte dei culti che troviamo attivi nel tardo impero
romano sono di derivazione orientale, alcuni erano esoterici, cioè con riti per iniziati, talvolta anche
temuti dalle autorità perché potevano degenerare in violenza, orge e via dicendo. I culti orientali trovano
una grande sanzione letteraria in un romanzo di età imperiale, cioè “L’asino d’oro” di Apuleio, dove è
proprio descritta una di queste cerimonie per iniziati per aderire a questi culti di Iside o Osiride. Lo stesso
culto mitridatico che era adottato dall’imperatore veniva dal medio oriente. Il cristianesimo si diffonde
soprattutto a partire dalla predicazione di Paolo di Tarso, l’Apostolo. Paolo, in origine Saulo, un ebreo
convertito, è quello che da a svolta alla diffusione del cristianesimo perché è quello che trasforma questo
gruppo di seguaci del Cristo in un gruppo potenzialmente ecumenico. Paolo cosa dice infatti: qua non
c’è più la differenza tra ebrei e greci, circoncisi e incirconcisi, tutti siamo legati a Cristo, è una visione
ecumenica che differenzia l’approccio dei primi cristiani dagli ebrei che invece si riconsideravano il
popolo eletto. Paolo di Tarso dove predica? Sopratutto nelle città ellenizzate dell’oriente, pensate alle
lettere che i ha lasciato a chi sono indirizzate: ai tessalonicesi, agli efesini, agli ateniesi e via dicendo.
Lui si rivolge alle comunità urbane grecofone, poi ci sarà anche la lettera ai romani, ma lui che pure è
cittadino romano (e verrà ucciso come un romano) capace che deve rivolgersi ai centri urbani che contano
nella società del tempo. Il greco era lingua veicolare più importante della porzione orientale dell’impero,
anche in funzionari pubblici delle province orientali parlano il greco perche il latino è conosciuto si, ma
soprattutto dai soldati, è molto più conosciuto il greco. Questo è un lascito plurisecolare dell’impero di
Alessandro Magno. Ad Alessandria parlano il greco, infatti i cittadini di Alessandria si percepivano
diversi rispetto ai contadini dell’Egitto che invece parlavano il copto. Questi contadini chiamavano
“greci” gli abitanti di Alessandria. La stessa cosa avveniva in Siria, dove i contadini parlavano l’aramaico
che è anche la lingua che avrebbe parlato Gesù e che era usata anche dagli apostoli, ma ad Antiochia il
potere, l’amministrazione si gestisce attraverso l’uso del greco, Antiochia prende il nome da Antioco,
generale di Alessandro Magno che fonda la città. Il greco come strumento veicolare più importante per
la diffusione del cristianesimo, infatti il Vangelo è scritto in greco, non c’è nessuna traccia di un vangelo
in ebraico.
Quindi il cristianesimo inizia a diffondersi grazie a Paolo di Tarso, nascono le prime chiese. Le prime
grandi chiese saranno dette “apostoliche” perché legate più o meno simbolicamente con l’attività degli
apostoli. Quindi le prime grandi città dove ci saranno state chiese cristiane sono quelle orientali:
Gerusalemme ,Alessandria, Corinto, Tessalonica, Efeso, Antiochia. Nel Vangelo di Luca negli Atti degli
apostoli, si ricorderà che ad Antiochia si è utilizzata per la prima volta la parola “cristiani”, cioè in questa
città grecofona i cristiani si sono percepiti tali, cioè con questa parola. Nascono le prime organizzazione
istituzionali per governare la comunità dei fedeli e si sviluppa tutta una terminologia legata a questa
nuova religione, che è quasi essenzialmente una terminologia greca. La parola “prete” viene da
presbiteros greco che significa anziano, esperto, quindi in grado di guidare la comunità. Vescovo viene
da episcopos, colui che sorveglia la comunità. Il dicono è colui che assiste il vescovo, il presbitero nel
governo della comunità. Queste comunità cristiane ad incerto momento, quando raggiungono un certo
grado di diffusione, si trovano davanti ad atteggiamenti progressivamente più ostili da parte delle autorità
imperiali: iniziano le persecuzioni anti cristiane.
Le persecuzioni sono state al centro di un ricco filone cinematografico holliwoodiano che pero ha
tramandato una visione delle persecuzioni abbastanza distorta. Intanto i cristiani ci hanno messo un po a
farsi conoscere dalle autorità imperiali, perché all’inizio erano pochi, veniamo dall’oriente come molte
altre religioni del tempo, se creavano disordini spesso venivano assimilati alle comunità ebraiche da cui
erano originati, ma queste avevano un’origine politica, cioè gli ebrei non volevano stare sotto l’impero e
quindi di tanto in tanto si ribellavano. Quindi non era semplicemente un contrasto di natura religiosa, era
un contrasto di natura politica, siccome venivano assimilati agli ebrei venivano percepiti come nemici
dell’impero. Il muro del pianto a Gerusalemme è ciò che rimane della Gerusalemme distrutta dai romani
nel 70 d.C. Distrutta non per motivi religiosi ma perché si erano ribellati alle autorità imperiali.
Queste persecuzioni ci hanno messo un po a strutturarsi nel senso di “ti perseguito in quanto cristiano”.
Quali problemi potevano generare questi cristiani per le autorità imperiali?
Il problema era il rifiuto di adorare l’imperatore come dio, io ti ubbidisco ma non ti adoro come un dio
perché di Dio ce n’è uno solo e non è di questa terra. Come dice anche Cristo nel Vangelo “date a Cesare
ciò che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Quindi mano a mano che la figura dell’impero viene
innalzata in una sorta di piedistallo divino tanto più il contrasto con i cristiani si fa forte. Loro aumentano
di numero e cominciano a dire che è una cosa sacrilega adorare l’imperatore, è una bestemmia, noi
obbediamo, ma non adoriamo l’imperatore. Il problema è che l’impero si tiene insieme nel momento di
crisi quanto si rafforza la figura dell’imperatore, quanto più i soldati si prostrano a terra di fronte
l’imperatore adorandolo come un dio. Quindi i tentativi di tenere in piedi un impero che un po barcolla,
entrano in contrasto con questa religione che si sta diffondendo. Poi c’è anche il problema dell’attività
militare, i cristiani non vogliono usare le armi, ma cosi non obbediscono all’autorità. Insomma c’è tutto
un problema importante. Fino a che si arriva, già nel III secolo, alle prime gradi persecuzioni.
Persecuzioni non per aver commesso un reato ma perché sono cristiani, io ti combatto perché sei
cristiano. Queste persecuzioni indiano alla metà del III secolo, proprio nel momento in cui si verificano
quelle difficoltà di cui abbiamo parlato prima. Certamente l’imperatore che più si è dato da fare da questo
punto di vista è stato Diocleziano. Diocleziano ha organizzato una quantità di arresti e de esecuzioni
quali non c’era mai stato prima. Se voi andaste a cercare le biografe dei principali martiri cristiani, vi
rendereste conto che una bella fetta di questi martiri avrebbero trovato il martirio proprio duranti gli anni
di governo di Diocleziano. Non solo, ma in questo periodo vengono anche organizzate delle forme di
abiura di massa, si arrestano i vescovi: “abiuri? No, allora ti crocifiggiamo” cosi abiuravano. E’ proprio
un attacco in grande stile nei confronti di comunità che ormai erano molto numerose. Siamo tra la fine
del III e l’inizio del IV.
Dopo di che Diocleziano abdica nel 305, ma il suo sistema va subito in tilt, perché lui abdica e così
anche l’altro augusto in Occidente abdica, anche se contro voglia, il problema è che gli eserciti non
accettano il passaggio pacifico, passaggio per cui i cesari sarebbero diventati augusti e a loro volta
avrebbero nominato due cesari. Ma alcuni eserciti decidono che i loro comandati devono essere nominati
Augusto. Questo è quello che succede fra la Britannia e la Gallia, quando un giovane comandante,
Costantino, viene nominato imperatore dai suoi soldati. Così comincia una guerra civile. Mentre si svolge
questa guerra civile che durerà quasi 30 anni, al termine della quale Costantino eliminerà tutti i rivali,
matura l’idea, che non è solo di Costantino, che la persecuzione cristiana è una follia. E’ una follia inutile,
è una follia perché non si possono arrestare tutte queste persone. Stiamo distruggendo la società, inoltre
i cristiani non cambiano idea, ci dicono che abiurano e poi in realtà continuano ad adorare il loro Dio,
alcuni vengono effettivamente condannati alla damnatio ad bestiam, cioè portati negli anfiteatri e fatti
sbranare dalle bestie feroci, non è la norma ma accadeva anche questo. Ad un certo punto tutti questi
aspiranti imperatori in guerra tra loro condividono tutti il pensiero che queste persecuzioni avviate da
Diocleziano debbano essere lasciate cadere, non ha più senso. Ad un certo punto Costantino, che nel
frattempo è diventato imperatore d’Occidente, e Licinio, che è l’imperatore d’Oriente, decidono di
comunicare ufficialmente una decisione che in realtà avevano preso anche i predecessori, cioè che il
cristianesimo è religione tollerata. Il famoso editto di Milano non c’è mai stato, è un’invenzione della
storiografia cristiana che ha cercato di costruire intorno alla figura di Costantino un mito fondamentale
per l’impero cristiano. C’era già nella società l’idea che la persecuzione così com’era stata fatta da
Diocleziano era una cosa abominevole, che metteva in difficolta la società. Nel 312/313 il cristianesimo
è considerato religione tollerata, quindi al pari di tutte le altre religioni presenti nell’impero. Vi ricordo
ancora una volta che i cristianesimo non era affatto la religione prevalente nell’impero, era relativamente
diffusa, forse maggioritaria nelle grande città del mediterraneo, non certo nel bacino occidentale, ancora
meno in Gallia e in Britannia. Lo stesso Costantino all’epoca probabilmente non era nemmeno cristiano.
Poi bisogna considerare anche un’altra cosa i romani non erano così selettivi da un punto di vista
religioso. La civiltà romana era una civiltà che da un punto di vista religioso si caratterizzava per un
sincretismo, gli andavano bene anche gli dei dei Galli, o degli egiziani o dei siriani, li mettevano tutti
insieme nel Pantheon, magari gli davano un loro nome, un nome latino. Erano molto tolleranti da questo
punto di vista, lo scontro con i cristiani verteva su questioni oggettive di governo dell’impero, non
questioni religiose. Nel momento in cui i cristiani dicono che accettano le strutture dell’impero perché
non anche i cristiani vengono tollerati. Costantino è molto probabile che abbia vissuto una parte della
propria vita andando in un tempio pagano o in una chiesa cristiana, per poi gradualmente, ma solo
nell’ultima parte della sua vita, abbracciare in maniera definitiva il cristianesimo. Ma tenete presente che
lui riceverà il battesimo solo nell’ultima parte della sua vita, in un punto di morte, nel 337.
Una cosa importante avviene da Costantino in poi: le chiese cominciano a dominare il paesaggio urbano
della società del tempo. Vengono costruite in età costantiniana le prime grandi basiliche di Roma: San
Pietro in Vaticano, San Giovanni in Laterano, Santa Maria maggiore e via dicendo. Chiese enormi, spesso
realizzate prendendo colonne qua e la in edifici abbandonati o da parti di templi pagani non frequentati.
La Chiesa si da un’organizzazione. La struttura organizzativa che si da la Chiesa nel IV secolo è una
struttura che ricalca le strutture dell’impero romano. E’ un aspetto fondamentale nella storia del
cristianesimo, che lo differenzia da altre religioni monoteiste (l’ebraismo prima e l’islam
successivamente). Il cristianesimo si diffonde all’interno di una società fortemente strutturata,
gerarchizzata, con un proprio ordinamento giuridico, con proprie esecuzioni fiscali ed economiche e via
dicendo, quindi si adatta a quella società, è inevitabile. Oggi noi per indicare un territorio, un distretto
associato ad un vescovo utilizziamo la parola “diocesi”, ma nel IV secolo diocesi erano le piccole
province che si trovano all’interno delle prefetture, quindi cosa fa la Chiesa? Non solo riprende lo schema
della distrettuazione statale, ma riprende anche i nomi. Spesso anche oggi ci sono cariche della Chiesa
che hanno una derivazione romana, perché si è modellata questa struttura ecclesiastica sull’esempio
statale. Nascono le distrettuazioni ecclesiastiche : diocesi, cioè i territori attaccati al vescovo, arcidiocesi,
cioè più diocesi che sono sotto il controllo di un arcivescovo, poi vengono create le grandi sedi patriarcali,
cosi le chiese di eccellenza del tardo impero romano, che dalla fine del IV secolo saranno: Roma,
Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria. La cosiddetta “pentarchia”, infatti come
vedremo sono soprattutto queste sedi patriarcali che organizzano il dibattito teologico, per stabilire ciò
che è ortodosso e ciò che non è ortodosso, e dietro queste sedi patriarcali ci sono a loro volta le diocesi
le arcidiocesi di riferimento.
Il cristianesimo si da quindi una struttura forte, riceve grandi benefici dallo Stato, anche perché a partire
da Costantino tutti gli altri imperatori saranno cristiani, tranne Giuliano, detto l’apostata. Riceveranno
donazioni, esenzioni fiscali, quindi diventeranno degli enti in certi casi molto ricchi e molto influenti
sulla società del tempo. Non ci meravigliamo se una fetta non secondaria del ceto senatorio decide di
abbracciare la carriera ecclesiastica, perché abbracciare la carriera ecclesiastica, al di la di qualsiasi
considerazione di natura spirituale, che ovviamente è importante, viene percepita come qualcosa di
alternativo e di altrettanto importante alla carriera pubblica. Troviamo grandi vescovi, sopratutto dalla
seconda metà del IV secolo, che spesso erano alti funzionari dell’impero. Uno tra tutti è Sant’Ambrogio
di Milano, grande funzionario, oppure erano uomini di straordinaria cultura, noti come sapienti, come
persone influenti, per esempio Sinesio, che viene nominato vescovo a Cirene, una città che oggi di trova
nella Libia orientale, detta Cirenaica, il quale era conosciuto come un grande studioso, che spesso veniva
mandato nella corte imperiale per chiedere esenzioni fiscali per la sua città perché stimato, ricco, sposato.
Questo perché tutte queste norme stringenti che riguardano il matrimonio all’epoca non esistevano, si
raccomandava ma non si imponeva.
Un percorso simile lo ritroviamo anche con Sant’Agostino, che viene dalla zona dell’odierna Algeria
orientale, fa studi di retorica, perché la retorica è la forma più celebrata di educazione del tempo. Fa il
maestro di retorica, conosce Ambrogio, nel frattempo frequenta i bordelli, ha un’amante, ha un figlio e
tutto il resto, poi ha una crisi spirituale, si converte, torna in Africa e lì viene nominato vescovo, darà
anche delle regole per i monaci e via dicendo.
Vediamo queste carriere un pò strane in questo momento di passaggio, persone che si sono formate
secondo il modello antico, con la retorica, del negotium quindi l’attività politica, poi scelgono di entrare
nella Chiesa. Quello che ci interessa è sottolineare come entrare a far parte della chiesa cristiana sia
percepita come una cosa che dà grande prestigio. Si è fatto molto preso a passare dalla fase della
persecuzione a un’età nella quale la Chiesa ha un ruolo importante nella società. Questa trasformazione
è cosi rapida che con l’età di Teodosio, questo imperatore che governa solo la porzione orientale prima,
poi tutto l’impero negli ultimi decenni del IV secolo, si verifica un rovesciamento totale di quello che era
accaduto all’inizio del IV secolo, perché Teodosio emanerà una serie di editti, tra cui quella di
Tessalonica nel 380, in cui di dice che l’unica religione ammessa nell’impero è il cristianesimo, l’unica.
I pagani si devono convertire, si definiscono addirittura “pazzi” i pagani. Cosi molti luoghi di culto
vengono chiusi e molte chiese cristiane vengono costruite smembrando, in certi casi anche violentemente
perché c’erano ancora molti pagani nell’impero, gli edifici, oppure inglobandoli, o riutilizzandoli.
Chiaramente perché in una politica di diffusione di una nuova religione la cosa più semplice è inglobare
una cosa già presente piuttosto che eliminarla, perché l’atto violento provoca sempre sconcerto. Se andate
a Siracusa trovate un duomo che ha una facciata barocca del 600/700 ma se entrate dentro troverete
colonne doriche del V secolo a.C. perché il duomo di Siracusa è stato conseguito innestandosi sopra il
tempio di Atena parthenos, ecco cosa accade nelle grandi città dell’impero.
La Chiesa occupa gli spazi che precedentemente erano degli altri culti. Ci sono addirittura luoghi in cui
si diffonderà il monachesimo dove prima c’erano le vestali, diciamo queste sacerdotesse che facevano
una vita di astinenza sessuale e questi templi delle vestali diventeranno centri monastici femminili, quindi
avranno la stessa funzione esercitata da una religione differente. E’ sopratutto grazie a questa via che il
cristianesimo riesce a prendere corpo. Non dovete pensare che si è trasmesso unicamente attraverso la
via colta, elevata, alla teologia. Molte persone hanno un’alfabetizzazione modesta, non sono in grado di
comprendere tutte le discussioni teologiche, ci arrivano attraverso schemi molto più semplici. Lo schema
più semplice consiste anche nel dire “puoi venire anche qui a pregare, l’importante è che al posto di
adorare Atena, Afrodite ecc.. preghi la Vergine, tanto è facile da un certo punto di vista perché anche
Atena è parthenos cioè vergine”. Il cristianesimo dalla fine del IV secolo è religione di Stato.
L’impero ora è un impero cristiano. Il primato romano è puramente morale, cioè il primato della
chiesa di Roma. Il Papa è un patriarca, cioè un grande vescovo al pari di quanto avviene ad Alessandria,
a Gerusalemme e cosi via. La Chiesa aveva una struttura orizzontale, non verticale, oggi nel mondo
cattolico è la Chiesa di Roma che comanda, è il Papa che nomina i cardinali, i vescovi e via dicendo. C’è
una struttura verticistica impressionante. All’epoca non era così. Sopratutto le chiese importanti avevano
un’enorme autonomia decisionale, infatti poi ci potevano essere dei conflitti di interpretazione del
cristianesimo.
Il tardo impero romano è infatti un periodo durante il quale si avviano i dibattiti teologici infuocati. A
partire dal grande consiglio di Nicea. Nicea si trova oggi alla Turchia nord occidentale. In questo
concilio, convocato da Costantino nel 325 (ricordate che l’imperatore romano fin dall’età di Augusto è
pontefice massimo, quindi anche capo religioso dell’impero), si discute su quali sono le norme ufficiali
della fede. Noi siamo abituati a pensare al cristianesimo come una cosa fatta e blindata, ma non era così.
A parte il fatto che circolavano vangeli che poi verranno definiti apocrifi in cui c’erano delle narrazioni
della vita di Gesù diverse dai quattro vangeli canonici, ma poi la liturgia, la celebrazione della messa,
dell’eucarestia non era tutta uguale, poi ognuno la celebrava nella propria lingua, c’erano differenze
interpretative. Costantino allora convoca questo concilio a Nicea con centinaia di vescovi che arrivano
dal mediterraneo e dice ai vescovi di trovare un modo per lanciare un messaggio inequivocabile così che
non ci siano più fraintendimenti tra ciò che è ortodosso e ciò che non è. Cosi si arriva a standardizzare il
cristianesimo, si fa un processo complesso, in certi casi anche violento. Con il concilio di Nicea viene
per esempio stabilito il Credo, fissata la data della Pasqua, che prima seguiva il sistema ebraico, si
stabilisce che dev’essere la prima domenica successiva alla prima luna piena dell’equinozio di primavera.
Poi viene condannato l’arianesimo, cioè si stabilisce per la prima volta cosa è giusto secondo la fede e
cosa invece è eretico, cioè ciò che è sbagliato. La prima interpretazione che viene condannata come
eretica è quella dell’arianesimo. Questa parola “arianesimo” viene da un sacerdote egiziano, Ario, che
sosteneva che in Gesù fosse presente soprattutto la natura umana, che lui avesse sofferto come uomo
nella croce, e che quindi fosse inferiore a Dio Padre. Nel concilio di Nicea si dice che in Cristo ci sono
due nature in una persona, quindi è contemporaneamente Dio e uomo. Ecco perché poi la dottrina
ufficiale del consiglio di Nicea verrà definita come diofisita, anche questa è una parola greca che significa
due nature in un’unica persona. Naturalmente questo concilio d Nicea non è né il primo né l’ultimo e
certamente non ferma le discussioni intorno alla natura di Cristo, perché dopo aver condannato
l’arianesimo si sviluppa un’altra contesa, sopratutto con la chiesa egiziana e siriana secondo le quali in
Gesù prevale, anzi sarebbe stata unicamente presente la natura divina. Quindi lui non ha sofferto come
uomo, sarebbe stato impossibile, secondo la chiesa egiziana e siriana. Questa posizione prende il nome
di monofisismo, unica natura. Ci saranno conflitti interminabili tra la chiesa diofisita e la chiesa
monofisita. Ci saranno vescovi espulsi con violenza dalla propria diocesi, vescovi arrestati, vescovi presi
a bastonate o sassate dalla popolazione perché queste discussioni che si alimentano nei dibattiti creati da
studiosi e teologi che hanno una formazione particolarmente alta incarnano le esigenze di determinate
province che si sentono soggiogate da vari punti di vista, dal punto di vista politico, dal punto di vista
fiscale, dalle autorità centrali. Quindi si identificano nella protesta, si identificano nel proprio vescovo e
spesso affianco alle istanze spirituali dobbiamo essere in grado di cogliere anche istanze politiche, fiscali.
Si andrà avanti per circa 100 anni con concili, discussioni, condanne. Uno di questi concili più importanti
sarà quello di Clacedonia, 351, in cui il dogma delle due nature sarà fissato in maniera definitiva, infatti
la chiesa ufficiale si identificherà per secoli con il Concilio di Clacedonia.
Un ultimo accenno riguardo la diffusione del cristianesimo lo dobbiamo fare per quanto riguarda un
aspetto particolare della vita religiosa nel tardo impero romano, cioè la diffusione del monachesimo. Ora
forme di vita monastica erano state presenti anche in altre religioni pagane, pensate al pitagorici oppure
era state presenti nelle comunità ebraiche, però il monachesimo Cristiano assume delle caratteristiche
particolari. La parola monachesimo deriva del greco monakos che significa isolato, cioè colui che fa una
scelta di solitudine, in realtà il monachesimo quasi fin dall’origine avrà due aspetti fondamentali: uno è
l’eremitismo. Una vita di radicale solitudine. In tempo relativamente breve si afferma un altro tipo di
esperienza monastica, cioè il cenobitismo. Anche questa è una parola di origine greca: koinnos bios, cioè
vita comune. Sono monaci che fuggono dalla società, fuggono dal peccato, pregano per la salvezza ma
vivono in una comunità in un monastero, in un cenobio. Si danno determinate regole, si danno una guida,
l’abate. Vivono una vita di collettività. Dove nasce questo monachesimo?
Ancora una volta nelle regioni orientali dell’impero, la patria di origine dei grandi eremiti è l‘Egitto.
Qual è il “campione” di questo stile di vita? Sant’Antonio, padre del deserto, un egiziano che vive tra il
III e IV secolo d.C. Questi eremiti fanno una vita straordinariamente dura. Sono rimaste delle opere di
esaltazione dove assistiamo a forme di purificazione allucinanti, persone che rinunciano a dormire, che
non mangiano per giorni, si sottopongo a privazioni inaudite. Questi percorsi sono percorsi pericolosi
anche dal punto di vista della psiche, tanto che ad un ceto punto qualcuno dice no, queste forme “di
eroismo” sono pericolose, anche perché potrebbero incentivare forme di competizione, quindi bisogna
vivere in maniera diversa questa esperienza di rinuncia ai beni, alle ricchezze, ai piaceri; facciamo una
vita collettiva in cui ci sollecitiamo a vicenda, ci aiutiamo gli uni con gli altri. Così un altro egiziano, che
prima di diventare monaco era stato un soldato, Pacomio, santo per la chiesa ortodossa, organizza il
primo cenobio, cioè il primo monastero. Si cominciano a dare le prime regole, con le quali si stabilisce
come e quando si prega, a che ora ci si alza, quanto tempo c’è per andare in bagno, chi deve lavare i
piatti, chi deve cucinare, chi deve lavorare quanto e come. Così tutti i più importanti cenobi cominciano
a darsi delle regole. Il monachesimo nasce nelle province orientali, nell’Egitto, in Siria, in Palestina, poi
arriva in occidente, cosi abbiamo per esempio San Martino, in Gallia. San Martino era un soldato poi
decidere di diventare monaco e di creare un cenobio. Questa tensione monastica poi trova uno sbocco
quando ormai l’impero romano d’occidente è crollato, in San Benedetto. Redige la sua regola alla metà
del VI secolo, senza creare niente di eccezionalmente nuovo perché questa idea che i monasteri dovessero
governarsi in base a delle regole scritte era un pratica ormai consolidata. Esisteva una tradizione
consolidata di monasteri in cui si scrivevano le regole, San Benedetto prende una serie di regole che lui
conosceva soprattutto dai monasteri italiani e attraverso questa fondazione scrivere una regola che poi
risulta la più duttile e la più equilibrata e che verrà maggiormente seguita, però ha una diffusione
importante nell’Europa medievale solo molti secoli dopo, quando Carlo Magno e suo figlio Ludovico il
pio decideranno che i monasteri nell’impero dovranno seguire la regola di San Benedetto. Cosi oggi San
Benedetto è il patrono dell’Unione europea.

Lezione 2

Nella lezione di oggi parleremo dell’incontro tra le popolazioni germaniche e l’impero romano, fino alla
formazione dei regni romano barbarici.

Intanto dobbiamo soffermarci sulle caratteristiche di questi popoli germanici, che certamente non
rimangono inalterate e omogenee nel corso dei secoli. Un conto sono le popolazioni germaniche di cui
ci parla Cesare, nel De bello gallico o Tacito nella Germania, o comunque scrittori del primo periodo
dell’impero. Altre sono le popolazioni germaniche del IV e V secolo, poi queste popolazioni sono
tutt’altro che nuclei etnici compatti (questa era al tempo stesso un’invenzione e un’illusione della
storiografia romantica ottocentesca in un periodo nel quale soprattutto in Germania, ma non solo, il
nascente nazionalismo trovava una delle sue radici identitarie più forti proprio nel protagonismo di questi
popoli germanici dell’antichità e della tarda antichità).
Quando noi parliamo di Franchi, Longobardi, di Goti e di Visigoti, dobbiamo pensare a raggruppamenti
intertribali molto eterogenei e generalmente il collante di questi popoli è qualcosa che si afferma nel
tempo, spesso con la creazione di miti fondativi, con una vera e propria invenzione di capostipiti,
probabilmente mai esistiti. Quindi quando parliamo di questi popoli e li indichiamo con questi nomi
dobbiamo pensare che queste compagini etniche erano estremamente eterogenee. Dicevamo prima delle
prime osservazioni di questi popoli germanici dell’età della tarda repubblica o del primo periodo
dell’impero: i riferimenti sono a Cesare e a Tacito. In questo periodo certamente le popolazioni
germaniche con le quali si imbattevano i romani, quelle che gravitavano nell’area del Reno e del Danubio,
avevano un’organizzazione socio economica assai più primitiva rispetto a quella che avrebbero mostrato
molti secoli dopo. Vivevano in larga parte di caccia, di pesca, di agricoltura di rapina. Cosa si intende
con questa? Un’agricoltura che non prevede una residenza stabile in un determinato territorio ma che
sfrutta le risorse di un territorio solo per alcuni anni, per esempio attraverso la pratica del debbio, che
consiste nell’arrivare in un territorio relativamente vergine, incendiare la macchia o la foresta perché la
cenere ha una proprietà fertilizzante e questo permette un’agricoltura abbastanza primitiva, abbastanza
rozza, un’agricoltura con mezzi tecnologici molto modesti; però con questo tipo di agricoltura di rapina
si ha come contro indicazione che il suolo diventa sterile molto presto, proprio perché si tratta di una
pratica che non lascia i suoli a fertilizzare, non prevede grandi dissodamenti, quindi nel giro di qualche
anno il territorio non è più in grado di dare i frutti che dava all’inizio. Queste popolazioni che vivevano
di caccia, di pesca, di agricoltura hanno tendenzialmente il carattere nomade o seminomade, quindi
tendono a spostarsi molto in queste aree dell’Europa centrale.
Queste popolazioni, nomadi o seminomadi, hanno anche un’organizzazione sociale molto rudimentale.
In questo tipo di organizzazione sociale l’essere uomo libero era strettamente associato all’esercizio delle
armi e al possesso di qualche capo di bestiame, o comunque di qualche mezzo che dia la possibilità di
armarsi. La capacità bellica, il valore in battaglia è uno degli aspetti fondanti di questi raggruppamenti
tribali. Non a caso in questo periodo quelli che i latini indicano con il termine di “reges” quindi re, non
sono altro che dei capi militari. Non esiste nessuna forma di dinastizzazione del potere, molti di questi
capi non sono altro che i guerrieri più in vista della tribù più importante, spesso sono nominati come
comandanti in occasione di eventi particolari, per esempio ci si deve spostare in un’altra zona, oppure
quando una tribù entrava in guerra con un popolo confinante e aveva bisogno di un capo. Non si tratta di
un re vero e proprio, ma di un comandante militare, una sorta di primus inter pares. Il valore militare,
l’esercizio delle attività belliche forniscono uno degli elementi pecuniari più importanti attraverso i quali
queste popolazione germaniche si accordano con il mondo greco romano. Può sembrare un paradosso
perché alla fine saranno queste popolazioni a determinare la caduta dell’impero. Com’è possibile che
l’attività militare costituisca uno degli elementi attraverso i quali queste due civiltà entrano in
collegamento? Perché questi guerrieri germanici spesso sono assoldati dall’impero, quindi entrano a far
parte dell’esercito dell’impero in varie forme. In un primo momento, quando la situazione sembra essere
ancora sotto controllo, l’impero romano fa accordi con le popolazioni vicine al di là del Reno e del
Danubio, i cosiddetti federa (al singolare fedus), in modo tale che questi raggruppamenti tribali in seguito
a questo patto e ricevendo anche un tributo, cioè un pagamento in denaro o in natura, si impegnassero a
difendere determinate frontiere, ma a difenderle da chi? Da altre popolazioni che premono, che vogliono
fare scorrerie e via dicendo.
Quindi esistono delle tribù federate all’impero, cioè legate all’impero da un patto di alleanza,
naturalmente temporanea e che in certi casi non verrà nemmeno rispettata, sono questi però gli strumenti
attraverso i quali l’impero cerca di tenere salde le frontiere settentrionali. Questo è ancora un modo di
difendere le frontiere che troviamo molto avanti nei secoli, progressivamente si afferma anche un’altra
pratica oltre a quella di assoldare questi guerrieri germanici, cioè di inquadrarli nell’esercito come soldati
semplici inizialmente, poi più passa il tempo più troviamo anche ufficiali, di basso, di medio, poi di alto
rango nella compagine imperiale. Quindi dal II secondo secolo.C. in poi la quantità di soldati germanici
nell’impero romano non fa altro che aumentare, sopratutto per quanto riguarda le guarnigioni che si
trovano in Britannia, in Gallia, in Italia settentrionale, cioè per le guarnigioni che devono presiedere, che
devono difendere il Limes renano-danubiano. Cosi queste tribù germaniche attraverso la leva militare
entrano in contatto con la civiltà greco-romana, con gli usi, i costumi, la lingua e via dicendo. Alcuni di
questi guerrieri diventeranno cittadini dell’impero. Nell’antica provincia della Pannonia, che corrisponde
più o meno all’Ungheria, alla porzione orientale dell’Austria, in questa zona venne trovata diversi
decenni fa una stele funeraria, che sono degli enormi massi in cui sono incise delle frasi che ricordano la
vita del defunto. Questa stele del III secolo d.C. ritrovata in Pannonia in una località molto vicina
all’odierna Budapest, si trova un’iscrizione che recita le seguenti parole:”francus ego civis miles romanus
in armis” cioè io sono stato un franco ma sono stato un soldato romano nell’arco della mia carriera, quindi
ecco che il servizio militare diventa fondamentale per il travaso di culture tra il mondo greco-romano e
il mondo germanico.
All’inizio del IV secolo quindi in età costantiniana, la maggioranza dei soldati dell’impero aveva una
lontana o vicina origine germanica, quindi vediamo che le frontiere sempre più a rischio erano difese da
soldati che in larga misura erano di origine barbarica. I fenomeni di incontro tra popolazioni germaniche
e popolazioni latine o greche, comunque dell’impero, non è avvenuta soltanto attraverso l’insediamento
nelle zone del limes o attraverso l’esercito, ma anche la religione. Abbiamo parlato della diffusione del
cristianesimo. Queste popolazioni che erano in grandissima parte pagane cominciano ad adottare il
cristianesimo, non tutte, non dovete pensare a fenomeni di conversione di massa ma estremamente
differenziate anche nel tempo, a partire dalla prima metà del IV secolo avremo anche traduzioni della
Bibbia in dialetti germanici, sopratutto in goto, solo che le prime conversioni al cristianesimo delle
popolazioni germaniche avvengono attraverso sacerdoti e missionari ariani. Se vi ricordate abbiamo
parlato del Concilio di Nicea, della condanna dell’arianesimo come eresia. L’arianesimo è quella
interpretazione della figura di Cristo per la quale in Gesù prevarrebbe la natura umana, quindi Gesù
sarebbe inferiore a Dio padre. L’arianesimo era molto forte nell’impero, poi venne condannato del
Concilio di Nicea, però questo è il modo attraverso il quale le popolazioni germaniche confinanti arrivano
al cristianesimo, in particolare i goti, i visigoti e ostrogoti. Questo avrà effetto di lunga durata quando
queste popolazioni entreranno stabilmente nell’impero di Occidente, ci sarà sempre questo problema del
confronto e dello scontro tra questi guerrieri germanici ariani (quindi considerati eretici) e i latini e i greci
del tempo, perché spesso le questioni religiose diventano questioni ereditarie, cioè si associa all’aspetto
religioso tutta una serie di altre caratteristiche culturali, politiche così che non è facile rinunciare a una
propria identificazione sul piano religioso perché questo vorrebbe dire sconfessare la propria identità.
Noi abbiamo queste popolazioni germaniche che regressivamente entrano in contatto con la romanità,
chi più chi meno.
Un momento di svolta fondamentale nei rapporti tra queste popolazioni e l’impero è collegato agli effetti
a cascata provocati in Europa centro orientale dalla migrazione delle orde degli Unni. Gli Unni non sono
una popolazione germanica, sono una popolazione di etnia turco-mongolica, come lo saranno gli Avari,
i Bulgari e poi i mongoli di Gengis khan. Siccome tra l’Asia settentrionale dove ci sono queste immense
steppe e il Mar Nero le barriere naturali sono scarsissime, questa immensa porzione del continente
euroasiatico è stata percorsa per secoli da varie popolazioni nomadi, una di queste è costituita da gli Unni,
che si spostano dall’Asia fino all’Europa centro orientale, spostamenti che sono collegati a saccheggi,
devastazioni, massacri. Questa popolazione quando arriva all’Europa centro orientale determina uno
spostamento delle popolazioni germaniche fino al confine danubiano, sono masse sopratutto di goti che
spaventati dai saccheggi e dalle devastazioni di questa popolazione premono per entrare dentro l’impero.
Si rivolgono agli imperatori, soprattutto a quelli con sede a Costantinopoli, con la seguente motivazione:
noi siamo vostri alleati, più volte abbiamo stabilito dei federa con voi per difendere le frontiere, i nostri
parenti sono presenti nel vostro esercito, avete bisogno di noi e più volte abbiamo prestato servizi per
voi, fateci passare oltre i confini. Non dovete immaginare i goti come guerrieri in questo periodo, siamo
nel 375/6, ma come degli odierni profughi. Sono masse di popolazione gota con vecchi, donne e bambini
che si riversano nel Danubio nella zona che attualmente è a cavallo tra la Bulgaria e la Romania, e
chiedono disperatamente ai funzionari e ai soldati che stanno nelle frontiere di essere traghettati aldilà
del grande fiume. Pian piano questi goti vengono portati e ammassati in veri e propri campi profughi. Le
autorità romane temono tutta questa massa di persone. Infatti quando ci sono i campi profughi i fenomeni
di corruzione sono molto elevati, quindi ci sono vere e proprie tangenti pagate da queste famiglie ai
funzionari dell’impero per essere portati aldilà del Danubio, in più le condizioni igieniche in cui si
ritrovano queste decine di migliaia di goti conducono ad un esito drammatico, perché ammassati li dentro
chiedendo di essere spostati in zone più pacifiche dell’impero, di fronte ad una negazione probabilmente
volontaria dei funzionari, i goti si ribellano. Si ribellano, rompono le barriere dei campi profughi e
dilagano nel territorio dell’Illirico, cioè questa grande provincia balcanica dell’impero. L’esercito
romano decide che forse la soluzione migliore per risolvere il problema dei goti è di affrontarli in
battaglia e farli tutti fuori, solo che accade l’imprevedibile. Nell’anno 378 nei pressi della città di
Adrianopoli (Edirne, città europea più occidentale della Turchia, della Tracia) l’esercito imperiale e lo
stesso imperatore Valente vengono spazzati via dai goti, l’imperatore muore in battaglia, gli
succederà Teodosio.
Questo è un momento di svolta importante perché la battaglia di Adrianopoli ha messo in luce la grande
debolezza della compagine romana. I goti dilagano poi soprattutto nelle zone settentrionali dell’area
balcanica, quindi nell’attuale Croazia. Teodosio è l’imperatore che succede a Valente, sarà inizialmente
solo imperatore d’oriente poi unico unico imperatore sia d’oriente che d'occidente, ma è anche
l’imperatore che ha diviso in maniera definitiva l’impero dopo la sua morte, avvenuta all’inizio del V
secolo. In questo periodo l’impero ha due capitali tra le quali Costantinopoli a est e Milano (Mediolanum)
a ovest, Roma è sempre la città più grande dell’impero, ma non è più capitale. Della Mediolanum romana
è rimasto molto poco, perché la città è stata distrutta tre o quattro volte in modo radicale. Nel periodo di
Teodosio troviamo per la prima volta generali dell’impero che hanno origine germanica, quindi la scalata
nella società di questi soldati ha raggiunto la vetta. Quando Teodosio muore divide il suo impero tra i
suoi due figli, da questo momento in poi la separazione tra Oriente e Occidente sarà definitiva. Nella
porzione orientale, quella più ricca, viene posto il figlio più grande, Arcadio, e viene posto sotto la tutela
di un comandante dell’esercito: il goto Rufino. Nella porzione occidentale dell’impero, l’imperatore è il
più giovane Onorio. Il suo tutor è il comandante dell’esercito: il vandalo Stilicone. Con Onorio la capitale
dell’Impero romano d’occidente viene nuovamente spostata da Milano a Ravenna, che sarà l’ultima
capitale dell’impero romano d’occidente. Se qualcuno è stato a Ravenna si sarà reso conto che la città ha
monumenti e opere di interesse eccezionale per un arco cronologico particolare, il V e il VI secolo, perché
la città non ha più avuto niente di significativo a livello monumentale, niente può stare a paragone con
questi secoli, tra l’altro molti di questi monumenti tardo antichi si trovano su un livello che è leggermente
più basso rispetto all’attuale piano di calpestio, perché Ravenna è una città che è stata costruita in una
zona paludosa, cioè sotto la città scorre l’acqua, quindi lentamente nel corso dei secoli è accaduto che i
monumenti sono leggermente sprofondati. Ravenna si trova in un’area paludosa, non a caso spostano la
capitale in questa città perché in quel periodo le frontiere dell’impero sono sempre più traballanti, allora
si reputa Mediolanum troppo vicina alla frontiera, troppo esposta e facilmente aggredibile, quindi Onorio
ritiene più adatta Ravenna come capitale perché circondata dalle paludi, quindi più difficilmente
attaccabile e perché all’epoca era collegata al mare. Ora Ravenna è a qualche chilometro dal mare, anzi
tra Ravenna e il mare c’è una grandissima pineta, perché siamo di fronte a fenomeni di arretramento della
linea di costa, che poi troviamo anche in altre zone del Mediterraneo. Quindi questa città era protetta
dalle paludi e un canale navigabile collegava il cuore della città con Classe, la parola classis in latino
vuol dire flotta, li c’era ormeggiata la flotta imperiale.
L’ultimo periodo dell’impero romano d’occidente è legato alla città di Ravenna come capitale e il periodo
di Onorio è il periodo nel quale per la prima volta il limes renano viene sfondato in maniera significativa.
Nella notte di Natale del 406, approfittando di un periodo molto freddo, che secondo le cronache del
tempo avrebbe reso ghiacciato il Reno, diverse popolazioni germaniche passano ed entrano in Gallia,
stanziandosi in varie parti di questa grande provincia dell’impero. Poi nel 410 Alarico, comandante dei
Visigoti scende in Italia e saccheggia Roma. Ora questo episodio è un episodio dalla carica simbolica
eccezionale. San Girolamo e grandi intellettuali del tempo erano sconcertati da questi vicenda, i pagani
accusarono i cristiani di essere colpevoli di aver scatenato la collera divina: avete visto abbiamo
abbandonato i nostri dei e avete chiuso i nostri templi, ci avete impedito di pregare gli dei del pantheon
e questi ci hanno punito. Come risposta a queste accuse Sant’Agostino scriverà il De civitate dei, cioè la
città di Dio. In quest’opera dirà che è inutile discutere su questioni militari perché non riguardano la
salvezza delle nostre anime, la città di dio è quella che ci attende nel trascendente, sappiamo già che
l’impero romano si era macchiato di nefandezze, conquistando popoli li aveva ridotti a schiavitù, quindi
è inutile discutere su fenomeni contingenti come il saccheggio di Roma che non riguardano la salvezza
di tutti noi; accusa i pagani di una polemica oltremodo speciosa.
Alarico non è un comandante barbaro, nel senso di non attrezzato culturalmente, è un comandante che
ha assunto caratteristiche romane, lui per un certo periodo aveva ottenuto il titolo di magister militum,
quindi comandante di una parte dell’esercito, quindi perché conduce i suoi visigoti al saccheggio di
Roma? Perché ritiene che l’impero non abbia rispettato i patti sottoscritti da lui con le autorità romane,
sarebbe una sorta di ritorsione per i patti non onorati. In ogni caso questo saccheggio sarà più simbolico
che materiale, non consiste in una vera e propria distruzione della città, se i visigoti entrano restano dentro
la città tre giorni e poi se ne vanno. In larga parte i visigoti e Alarico si sposteranno in Aquitania, cioè
nella porzione sud della Gallia, costituendo uno dei primi regni romano-germaici. A questo punto dopo
il passaggio del Reno nel 406 di truppe germaniche e dopo il sacco di Roma da parte di Alarico nel 410
l’autorità degli imperatori di Ravenna è fortemente limitata. Esercitano un’autorità effettiva solo
sull’Italia, sulle isole del mediterraneo e sull’Africa; la Gallia è perduta, la penisola iberica è perduta,
addirittura la Britannia l’avevano persa prima e volontariamente perché mentre la Gallia e la penisola
iberica sono invase da queste popolazioni, la Britannia era stata abbandonata dalle legioni romani, cioè
alla fine del IV secolo ritenendo impossibile presidiare queste zone, tra l‘altro poco romanizzate e poco
popolate, cioè non giudicando che il gioco valesse la candela, le legioni romane erano state ritirate. Li
non c’è una sconfitta militare, ma un abbandono volontario.
Invece in Gallia e nella penisola iberica, la presenza di un elite romanizzata era imponente. Ancora oggi
se noi guardiamo le zona d’Europa che hanno fatto parte dell’impero di occidente, possiamo renderci
conto che le zone continentali sono caratterizzate da un’adozione di una lingua romanza (spagnolo,
portoghese, francese), l’unica zona che ha fatto parte dell’impero d’Occidente che non ha una lingua
romanza è l’antica Britannia, cioè l’Inghilterra perché le popolazioni celtiche erano state scarsamente
romanizzate e poi la popolazione era demograficamente poco consistente, quindi quando arrivano nel V
secolo le popolazioni germaniche, cioè dalla Germania e dalla Danimarca, cioè gli anglo, i sassoni, e gli
unni praticamente è come se facessero tabula rasa della precedente civiltà romana che era rimasta solo
superficiale, cosa che non avviene in Francia, in Belgio, Portogallo e via dicendo.
Cosa accade in queste zone dove arrivano i guerrieri gremanici? Soprattutto in Gallia e nella penisola
iberica dobbiamo pensare ad un raggruppamento di popolazioni germaniche numericamente modesto,
cioè rispetto alle popolazioni romanizzate questi popoli rappresentano un esigua minoranza. Ci sono
saccheggi e ci sono le devastazioni però poi bisogna trovare delle formule di compromesso per avviare
lentamente e faticosamente fenomeni di integrazione. Di solito questo avviene attraverso l’intervento
mediatore delle autorità ecclesiastiche, sono soprattutto i vescovi delle città che si offrono come
mediatori nei rapporti tra i capi delle popolazioni germaniche e gli esponenti dei grandi proprietari
terrieri, quindi il ceto dirigente dei municipi di queste aree. Una delle forme attraverso le quale si cerca
un modus vivendi molto difficoltoso è quello legato al principio giuridico della ospitalitas. In base a
questo principio giuridico, un terzo delle terre veniva ceduta a questi guerrieri germanici, ma di che terra
si trattava? Era spesso difficile capire di chi fosse la terra e che tipo di terra fosse, ma dobbiamo
immaginare che nel venir meno della struttura statuale romana fosse disponibile anche tanta terra
demaniale, cioè terra pubblica, poi nel V secolo siamo già in una fase di forte regresso demografico,
regresso cominciato già nel III secolo e che andrà avanti fino al VIII secolo, regresso che comporta anche
l’abbandono delle terre marginali, cioè di quelle meno fertili. Quindi in realtà la terra disponibile tra
quella demaniale e quella incolta è abbondante, queste popolazioni non sono numerose, quindi finiscono
per insediarsi in questi territori diventando grandi proprietari terrieri. Dal punto di vista delle risorse
dalle quali traggono le fonti di ricchezza, questi capi si trasformano rapidamente in grandi proprietari
terrieri quindi si stabilizzano nelle aree da loro occupate.
Cosa significa che terre demaniali finiscono nelle mani di soggetti privati? Cosa significa la scomparsa
della struttura statuale?
Significa che il gettito fiscale crolla abbastanza rapidamente, perché queste terre occupate dai guerrieri
non contribuiscono più al gettito fiscale di un determinato territorio. I capi guerrieri anche quando
occupano porzioni coerenti e creano un proprio regno, essendo diventati grandi proprietari terrieri non
sono interessati a mantenere un sistema fiscale di cui ignorano le sottigliezze, troppo complicato per il
loro stile di vita. Quindi nel giro di qualche decennio, venendo meno la fiscalità, vengono meno anche
tutti i servizi che di norma erano erogati dallo Stato, e lo Stato romano erogava tantissimi servizi: la
manutenzione delle strade, la manutenzione dei fiumi, gli acquedotti, tutti gli edifici legati al tempo
libero, l'istruzione. Tutti questi servizi nel giro di un decennio vengono meno perché questi Stati che
ereditano le province dell’impero romano d’occidente non sono Stati a base fiscale, come invece era lo
Stato romano, come sarà l’impero islamico e via dicendo ma sono Stati a base terriera, cioè Stati nei quali
conta quanta terra si possiede, solo la terra permetterà di esercitare un potere effettivo, ma questi Stati a
base terriera erogano servizi minimi.
Abbiamo accennato che l’impero romano aveva un’impronta dirigista molto forte in economia, ma se
viene meno questo Stato con un’impronta cosi forte in economia è chiaro che l’economia stessa crolla.
Chi alimenta gli scambi nel mediterraneo se non ci sono più le commesse di Stato, se questo impero cosi
grande si frammenta in nuclei territoriali sempre più limitati geograficamente. Il commercio si
regionalizza, la moneta tende a rarefarsi come mezzo di scambio, i servizi pubblici sono erogati in
quantità e qualità largamente decrescente, quindi il territorio si degrada: le strade si riempiono di terra e
diventano sempre meno praticabili, i fiumi cominciano a esondare perché nessuno li cura, si formano le
paludi, gli acquedotti non portano più l’acqua e via dicendo e soprattutto dal V secolo in poi crolla il
livello di istruzione generale. L’istruzione rimarrà appannaggio fondamentalmente dei grandi enti
ecclesiastici.
Chi sa leggere e scrivere nell’alto medioevo? Gli uomini di Chiesa perché solo nei grandi monasteri sono
rimaste scuole per insegnare a leggere e scrivere. Tutti gli intellettuali saranno uomini di chiesa. Le élite
laiche saranno analfabete, avremo sovrani che non sapevano né leggere né scrivere.
Abbiamo accennato a forme di compromesso tra le popolazioni germaniche e quelle dell’impero
attraverso l’ospitalitas. Questo permette in molte zone dell’Europa occidentale, alle vecchie élite
romanizzate di mantenere gran perte dei propri possedimenti. Esiste una forma di compromesso tra
l’élite guerriera germanica e l’élite gallo-romanza, iberica e vi dicendo. Questa élite finisce poi per
cambiare stile di vita e caratteristiche. Spesso queste elite latine trovano sempre di più nelle istituzioni
ecclesiastiche un’ancora di rifugio per continuare a mantenere una sorta di egemonia nella società, a tal
punto che spesso la carica vescovile, soprattutto in Gallia, sarà paragonata all’idea di far parte del ceto
senatorio, faccio un esempio specifico che riguarda un vescovo e intellettuale della Gallia del VI secolo:
Gregorio di Tours. Gregorio apparteneva ad un’antica famiglia dell’aristocrazia fondiaria gallo-romana.
Nella seconda metà del VI secolo scrive la storia dei franchi, questa popolazione che ha occupato tutta
l’antica Gallia, lui era vescovo nella Francia centrale, cioè a Tours, e dice “la mia famiglia è una famiglia
di senatori infatti mio zio era vescovo la, mio nonno era vescovo la”, cioè come dire che la carica di
vescovo non è altro che una sorta di proseguimento del titolo di senatore, questi sono elementi strutturali
fondamentai nell’evoluzione dell’Europa post romana. Non a caso è stato ripetuto che il vero erede
culturale, ideologico, e del potere dell’impero romano occidentale è stata la Chiesa. Questa ha conservato
tenacemente la memoria del passato soprattutto continuando a utilizzare e a parlare la lingua latina, anche
questo è fondamentale per tutte quelle zone d’Europa che hanno fatto parte dell’impero d’occidente. Il
latino si evolve in idiomi romanzi, che non vengono scritti ma solo parlati, anche perché la stragrande
maggioranza della popolazione non sa ne leggere ne scrivere. La lingua della comunicazione, veicolare
continuerà ad essere il latino, solo che queste lingua è essenzialmente la lingua della Chiesa.
Parlavamo della Gallia e della penisola iberica, ma tra le grandi province dell’impero romano d’occidente
c’era anche l’Africa, cioè questa zona che oggi fa parte della Tunisia e dell’Algeria. In questa zona negli
anni 30 del 400, si insedia un’altra popolazione germanica: i vandali. Oggi noi utilizziamo la parola
“vandalo” per indicare una persona che in maniera inconsulta distrugge beni dei privati o della
collettività. L’origine di questo termine rimanda per certi versi alle modalità con le quali questo popolo
si è insediato in Africa e poi anche in Sardegna. I vandali negli anni 30 del V secolo occupano la zona di
Cartagine e poi la Sardegna e la Corsica. Le modalità con le quali questo popolo ha gestito il potere in
quest’area del mediterraneo è stata un pò diversa da quello che è accaduto in Aquitania con i Visigoti, in
Gallia con i franchi e via dicendo. Di norma questi vandali hanno preso possesso delle terre senza fare
alcun accordo con le élite locali, anzi abbiamo notizie delle cronache del tempo di chiese e monasteri
incendiati, di requisizioni violente di terre e massacri. Quindi la realtà vandala sopratutto nella zona
africana, molto meno in Sardegna dove poi la loro presenza è stata più rada, nella zona africana la
presenza vandalica è stata particolarmente violenta quindi in una certa misura differente da quello che è
avvenuto nell’Europa occidentale. Quando i vandali occupano l’Africa tolgono all’Italia uno dei
collegamenti più importanti dal punto di vista annonari, questo perché Roma consumava in larga misura
grano africano, quindi quando questi collegamenti vengono interrotti per la penisola italica è un grosso
colpo. Poi tra gli anni 50 e 70 del V secolo anche in Italia finisce per scomparire l’autorità imperiale.
Negli anni 50 viene distrutta quasi interamente la grande città di Aquileia, siamo in Friuli. Aquileia era
una grande metropoli, aveva circa 70mila abitanti. Se uno oggi va ad Aquileia si trova davanti una
basilica in mezzo al nulla perché Aquileia è un paesino minuto ma con un parco archeologico immenso,
perché al tempo era una grandissima città e l’arcidiocesi di Aquileia controllava tutto il Friuli e l’Istria,
quindi un territorio molto ampio. Ad Aquileia è rimasta questa grande basilica romanica ma sotto il piano
romanico è ancora visibile il grandissimo mosaico pavimentale della basilica tardo-antica, un mosaico
grandissimo che dà l’idea dell’importanza della città. Aquileia sarà distrutta dagli Unni di Attila.
Nell’anno 455 sono i vandali partiti da Cartagine, che saccheggiano Roma, questo sacco è molto
più cruento più devastante del sacco di Alarico del 410. Ormai l’autorità imperiale è come se non
esistesse più. Così si arriva all’anno 476 alla deposizione dell’ultimo imperatore: Romolo Augustolo.
Augustolo è un epiteto spregiativo (“il piccolo augusto”) che viene dato dal capo dell’esercito, che è un
comandante germanico: Odoacre.
Odoacre dice “basta con questa finzione politica degli imperatori, qui non comanda lui, comanda io”,
allora lo fa arrestare e rinchiudere nei pressi di Napoli, poi prende le insegne imperiali e le manda al
Costantinopoli, all’imperatore d’oriente Zenone, dicendo riconosco la tua autorità in Italia e mi offro
come tuo delegato. Riconosco formalmente l’autorità in Italia dell’imperatore di Costantinopoli e mi
autorizzo a comandare in Italia.
Qualche anno dopo Zenone decide che Odoacre è diventato un personaggio scomodo e per levarlo di
mezzo pensa di poter utilizzare gli ostrogoti che si trovano nei Balcani settentrionali. La strategia di
Zenone era una strategia che verrà ripercorsa dagli imperatori successivi di Costantinopoli, cioè mettere
i due nemici in contrasto tra loro per farli fuori, l’uso della diplomazia per evitare la guerra.
Zenone pensa che per poter eliminare Odoacre può far leva sugli ostrogoti che si trovano nei Balcani
settentrionali, inducendoli ad invadere l’Italia e occupare quel territorio, infatti Zenone aveva avuto un
sacco di problemi con gli ostrogoti, perché tendevano a debordare e saccheggiare la Grecia, la Tracia e
via dicendo. Zenone aveva anche provato a fare accordi con gli ostrogoti facendosi dare degli ostaggi:
facciamo una tregua, noi vi diamo un tributo però voi ci date i vostri giovani più importanti cosi siamo
sicuri che non ci fate scherzi. Tra questi ostaggi che avevano passato la gioventù “dorata” a
Costantinopoli c’era Teodorico, che nel 489 era diventato il re degli ostrogoti, quindi il comandante di
questo popolo aveva ricevuto per motivi militari un’educazione romana, parlava sia il greco che il latino,
aspetto molto importate. Questi Goti che attraversavano la alpi giulie e arrivano in Italia nel 489 non
erano particolarmente numerosi, più o meno 100mila persone, pero è la prima vera migrazione di un
popolo nell’Italia post romana, perché prima c’erano stati fondamentalmente guerrieri che si erano
spostati, ma non c’era mai stata una migrazione di popolo, non si erano mai spostate donne, bambini,
vecchi e via dicendo. Qui invece abbiamo un vero e proprio spostamento di questi ostrogoti che tendono
ad insediarsi nell’Italia nord orientale e nel medio adriatico. Teodorico arriva in Italia, assedia Ravenna,
dove si trova Odoacre e lo induce dopo un lunghissimo assedio alla resa promettendogli salva la vita, poi
invece lo fa decapitare.
Nel 493 Teodorico diventa re del territorio italiano, lui si presenta come re dei goti ma la sua autorità
va dalle alpi fino alla Sicilia, comprendendo anche una porzione dei Balcani settentrionali. Questi goti
entrano in Italia in maniera abbastanza pacifica, non sono rilevati grandi scontri militari. Teodorico è ben
consapevole del luogo verso cui si sta spostando e vuole coinvolgere nel governo dell’Italia le élite locali
e sa benissimo, grazie alla sua educazione, che i suoi militari non sono in grado di amministrare l’Italia,
non hanno le competenze per far funzionare la macchina amministrativa, non sono in grado di prelevare
le tasse. Allora Teodorico ha questa specie di sogno di far convivere l’elemento goto con quello latino.
Coinvolge nel governo le élite romane, le terre vengono distribuite pacificamente, il sovrano si stabilisce
a Ravenna e porta a corte molti intellettuali latini. Se voi andate a Ravenna troverete una gigantesca
basilica fatta costruire per i goti ariani da Teodorico: Sant’Apollinare nuovo. A Ravenna si trova anche
il mausoleo di Teodorico, cioè la tomba monumentale, certo architettonicamente ha fattezze un po
barbariche ma pensate a un re barbarico che si fa costruire un mausoleo come gli imperatori romani, lui
è completamente inserito culturalmente nel mondo d’Italia.
Vediamo come ci presenta l’incontro tra i goti e i latini uno di quelli intellettuali che durante la gioventù
aveva partecipato al governo dell’Italia, la testimonianza ci viene da Cassio Doro, un grande proprietario
terriero, appartenete all’élite del tempo che entra a far patte nell’amministrazione civile del regno negli
ultimi anni di Teodorico. Ci ha lasciato un’opera intitolata: “Varie” in cui troviamo lettere e descrizioni
di ogni tipo, che hanno un carattere retorico molto forte, volto a segnare un incontro quasi idilliaco tra il
mondo goto e romano.
Ad un certo punto dice: “Ci piace riferire come nella redistribuzione delle terze (cioè della terza parte
delle terre) egli il prefetto del pretorio (cioè l’autorità civile più importante dell’Italia del tempo) unì sia
i possessi sia gli animi dei romani e dei goti. Mentre di solito dalla vicinanza scaturiscono contrasti tra
uomini per questi sembra che la comunione dei poderi sia diventata causa di concordia, accade infatti
che vivendo in comune l’una e l’altra nazione giungano ad avere una sola volontà, ecco un fatto nuovo
e assai lodevole, dalla divisione dei beni è nata concordia, attraverso i danni si è accresciuta l’amicizia
tra i popoli e con la cessione di una parte del territorio si è comprato un difensore in modo che la
generale sicurezza di tutti i beni può essere garantita, una sola legge, una uguale disciplina li unisce”.
Ovviamente qua Cassio Doro calca la mano su questo momento di incontro tra goti e romani, però resta
il fatto che Teodorico divide in maniera molto precisa l’amministrazione dell’Italia: tutto ciò che ha
attinenza con la difesa (la guerra, i porti, le strade) è affidato ai suoi guerrieri, che sono quindi solo
funzionari militari; mentre tutto ciò che ha a che fare con l’amministrazione, con la riscossione delle
tasse, coniazione delle monete è affidato all’élite latina, che rimane in possesso dei propri immensi
latifondi. Questa è la formula di compromesso mediante la quale l’Italia di Teodorico ha ancora una
prosperità che non può avere la Gallia occupata dai franchi o la penisola iberica, perché solo con la
collaborazione delle élite latine del governo civile è possibile mantenere in piedi sistema fiscale, e se
rimane in piedi il sistema fiscale restano ancora in piedi, non tutti ma in larga parte, i servizi. Pensate che
nel periodo di Teodorico si tengono ancora spettacoli negli anfiteatri, quindi vuol dire che un certo stile
di vita romano è ancora in piedi. Se voi vedete i mosaici di Sant’Apollinare nuovo vedrete teorie di santi
che sono raffigurati con l’abito dei senatori romani, c’è ancora una forte impronta romana nel regno di
Teodorico, cosa che invece troviamo meno in altre zone dell’ex impero romano d’occidente. Questo
regno particolarmente fiorente e importante nei primi decenni del VI secolo finirà bruscamente negli anni
30 del 500 per motivazioni di carattere militare, cioè il tentativo sanguinoso e dispendioso
dell’imperatore Giustiniano di Costantinopoli di riconquistare il mediterraneo occidentale. Sarà una
guerra lunghissima e devastante alla quale i goti si opporranno talvolta anche con l’appoggio di
popolazioni locali perché ormai integrati con il territorio che loro amministravano.
Ci sono altri regni che vediamo strutturarsi nella porzione occidentale dell’ex impero fra V e VI secolo.
Abbiamo parlato prima dei vandali che occupano la zona dell’attuale Algeria, Tunisia, Tripolitania e
controllano le isole del mediterraneo occidentale. Un altro regno importantissimo che si va a formare
nell’Europa occidentale è quello dei franchi.
I franchi si insediano inizialmente nella porzione più settentrionale della Gallia, in una zona compresa
grossomodo tra la Senna e l’attuale Belgio. Poi dalla fine del V secolo tenderanno ad occupare quasi tutta
la Gallia, sconfiggendo i visigoti, costringendoli ad andare a sud dei Pirenei dove a loro volta essi
creeranno un altro regno. Questi franchi sono guidati dalla fine del V secolo da un comandante militare
che poi prenderà il titolo di re: Clodoveo. Clodoveo è la forma italianizzata ovviamente. Clodoveo è un
grandissimo guerriero e ha un’intuizione politica eccezionale: i francesi al tempo erano pagani, nemmeno
ariani, quindi avevano una patina romana molto modesta, ma Clodoveo capisce che in Gallia i vescovi
hanno molto potere, hanno potere carismatico sulle persone per via del ruolo religioso, ma hanno anche
molto potere per le terre che possiedono. Intuisce che una possibile alleanza con questi vescovi potrebbe
consolidare il suo potere, quindi si converte da pagano che era al cristianesimo cattolico. Chiedendo a
tutti i suoi guerrieri di fare lo stesso. Badate che quando queste popolazioni si convertono al cristianesimo
la spinta forte non viene tanto dai singoli guerrieri ma dal re, perché il re diventando cristiano assume un
carisma spirituale che prima non aveva, prima era un comandante militare, diventare un re cristiano
significa staccarsi dalla massa dei guerrieri, non è più un primus inter pares ma è uno che comanda perché
Dio vuole cosi. Allora Clodoveo accetta il battesimo e lo fa fare anche ai guerrieri, questa è una svolta
importantissima perché da questo momento in poi i franchi diventeranno interlocutori privilegiati della
Chiesa, prima in Gallia poi nell’Europa occidentale. Vediamo cosa ci dice di questo battesimo Gregorio
di Tours, di cui abbiamo già parlato. Ci narra con enfasi l’episodio del battesimo, che segna una svolta
nel rapporto tra l’élite romana e questo popolo: ”Le piazze erano addobbate con drappi colorati, le chiese
adorne di paramenti bianchi e nel battistero bastoncini di incenso emanavano vapori profumati, mentre
candele odorose mandavano intensi bagliori. Il luogo destinato al battessimo era pervaso di fragranza
divina. Dio infuse con tanta magnificenza la propria grazia nel cuore dei presenti da far loro immaginare
di essere stati trasportati in un paradiso profumato. Re Clodoveo chiese di essere battezzato per primo
dal vescovo. Novello Costantino, egli avanzò verso il fonte battesimale per lavare le vecchie cicatrici
della lebbra e liberarsi, con l’acqua che sgorgava, dalle orrende macchie che aveva portato cosi a lungo
su di se”.
Lui qui equipara Clodoveo, che era un guerriero sanguinario, a Costantino perché come Costantino aveva
innalzato il cristianesimo come religione dell’impero cosi Clodoveo fa lo stesso nella Gallia dei franchi.
Clodoveo segna un punto di svolta epocale per le vittorie militari, per l’occupazione della Gallia e per
la conversione del suo popolo. C’è un problema però legato ai meccanismi successori del potere, perché
tra i franchi non c’era differenza tra la corona e la famiglia, tra il patrimonio del regno e il patrimonio
della famiglia regnante, non fa parte della mentalità lasciare il trono ad un figlio, quindi lascia che la
tradizione faccia il suo corso e siccome gli succedono più figli pensano di dover prendere ciascuno la
propria parte. Quindi cosa succede? Dopo Clodoveo, i figli che si sono ritagliati i loro spazi entrano in
conflitto. Di solito il più forte uccide l’altro e tutta la sua famiglia, ricompatta il regno fino a che il
meccanismo successivo non rimette in questione tutto. Se uno legge la historia francorum di Gregorio
di Tours si trova in un’atmosfera di tragedia, conflitti e guerre civili inarrestabili, quindi Dio ha voluto
che si convertissero alla vera religione ma non è riuscito a mettere fine a questa concezione patrimoniale
del regno per il quale il potere viene continuamente messo in discussione, c’è una guerra dopo l’altra.
Vedremo come questo meccanismo e questa continua lotta interna porterà a lungo andare ad un
indebolimento della dinastia di Clodoveo, (dinastia merovingia, perché si identificano in un antenato che
probabilmente non è mai esistito, un tale Meroveo) questa dinastia si indebolisce, mentre si affermeranno
i grandi maggiordomi di palazzo, fondamentalmente capi militari. Utilizzeranno questa funzione per
sottrarre il potere ai re.
L’ultimo regno di cui parliamo è quel dei Visigoti. Abbiamo detto che i visigoti si stanziano in Aquitania
e li rimangono fino all’inizio del VI secolo, poi sconfitti da Clodoveo devono abbandonare gran parte
della Gallia, tranne alcune zone dei Pirenei, e si trasferiscono nella penisola iberica ed è li che creano un
regno destinato a durare circa 200 anni. Fra l’altro i visigoti, essendo uno dei popoli che prima di altri
erano entrati a contatto con la romanità, sono anche i primi a mettere per iscritto le proprie consuetudini.
Guardate che il rapporto tra queste popolazioni e la scrittura era un rapporto difficile, spesso non hanno
una loro scrittura, imparano a scrivere in latino, non con la lingua che parlavano in origine, quando si
alfabetizzano lo fanno nella lingua dei vinti, delle popolazioni latine. I visigoti della penisola iberica
fanno codificare due tipi di leggi: la cosiddetta “lex visigotorum” che sarebbero le consuetudini del
popolo visigoto, le consuetudini che in precedenza erano state trasmesse solo per via orale, come era di
norma per questi popoli; ma fanno codificare anche il “lex romanavisigotorum”. Che differenza c’è tra
le due? La prima rappresenta le consuetudini tradizionali dei visigoti, magari modificate alla luce del
diritto romano, che si applicano nell’amministrazione della giustizia quando ci troviamo di fronte a due
parti in causa che si richiamano giuridicamente alle leggi visigote. La seconda è un insieme di leggi
basate sul diritto romano ma sono le leggi che si applicano nel regno die visigoti. Questo cosa significa?
che nel regno dei visigoti esiste una sorta di personalità del diritto, cioè uno deve dichiarare quando entra
nel tribunale se si richiama all’ordinamento giuridico dei visigoti o all’ordinamento giuridico di
tradizione romana, questo poteva essere fonte di contrapposizioni quando i due in causa si appellavano
ad ordinamenti diversi. Il fatto che abbiano messo per iscritto sia le consuetudini dei visigoti sia le leggi
romane molto presto dà la dimensione di quanto questo popolo, si rifacesse in larga parte al popolo
romano. Le corone, le vesti che sono rimaste del periodo visigoto hanno una forte somiglianza con le
corone e le vesti che usavano gli imperatori a Costantinopoli, c’è un forte richiamo ai rituali politici,
all’abbigliamento, al modo di presentarsi che si richiamava all’eredità romana.
Anche nel caso dei visigoti, forse anche di più che in Gallia, troviamo una fortissima collaborazione tra
l’élite germanica e i vescovi. Addirittura nel corso del VII secolo, quando i visigoti non sono più ariani
ma sono cattolici, il regno si amministra con la convocazione annuale a Toledo, la loro capitale, di
assemblee alle quali partecipano i grandi guerrieri, funzionari e vescovi. Si riuniscono in questi concili
per prendere le decisioni più opportune per governare il regno. Siamo di fronte alla compenetrazione
nella penisola iberica tra l’elemento germanico e romanzo. Qui, come in larga parte, a partire dal VII
secolo queste popolazioni hanno abbandonato i propri idiomi. C’è una fase in cui sono bilingui poi
diventano tutti romanzi, tranne nella parte nord orientale della Gallia dove invece c’è ancora una
fortissima impronta germanica.
Il regno dei Visigoti che occupava quasi tutta la penisola iberica e una parte meridionale della Francia
durerà circa 200 anni, fino al 711. In questo periodo accade che i musulmani, arabi provenienti dal’Africa,
oltrepasseranno lo stretto di Gibilterra (che prenderà il nome proprio da uno dei comandanti islamici) e
occuperanno quasi tutta la penisola iberica spazzando via qualsiasi resistenza visigota. Non è una
implosione interna che determina la fine del regno visigoto, ma è un evento di portata eccezionale
intercontinentale, cioè la nascita dell’islam, la formazione dell’impero islamico.

Lezione 3

Ieri ci siamo concentrati sull’evoluzione dell’impero romano d’occidente tra il V e VI secolo. Abbiamo
accennato i più importati regno romano-barbarici che si sono venuti a creare in Italia, nella penisola
iberica,, in Gallia.
Oggi spostiamo l’attenzione verso la perte orientale del mediterraneo, dove continua a persistere un
impero romano. L’approccio che teoricamente è stato dato a queste vicende dagli europei, cioè dagli
occidentali, è molto eurocentrico. E’ vero che l’impero romano è crollato, ma non tutto, l’impero che
persiste nel mediteranno occidentale è a sua volta un impero romano, per quanto mutilato. Nessuno a
Costantinopoli per secoli ha mai a pensato di definirsi bizantino, un termine che non esisteva.
A Costantinopoli fino al XV secolo si definivano romani, quello è ancora l’impero romano anche se
molto più ridotto rispetto a quello che era ancora nella metà del V secolo.

Cosa accade nell’impero romano d’oriente negli stessi secoli in cui si affermano in occidente i regno
romano-germanici.
Intanto dobbiamo dire che quella lunga fase di regresso demografico, di contrazione delle attività
commerciali e manifatturiere, di circolazione della moneta, di crisi economica prolungata che noi
abbiamo visto nell’occidente romano dal III/IV secolo in poi in Oriente è molto meno evidente. La crisi
colpisce prevalentemente le regioni occidentali, molto meno quelle orientali, del resto già di partenza
erano quelle più ricche, più urbanizzate e più colte. Qui infatti si trovavano le città più grandi, dove anche
le istituzioni educative erano più rilevanti, ed è per governare meglio queste ricche province orientali che
gli imperatori da Diocleziano in poi hanno pensato di separare amministrativamente l’impero orientale e
quello d’occidente.
Un punto fondamentale nella storia dell’impero d’oriente e del mediterraneo è la fondazione di
Costantinopoli, odierna Istanbul. Come forse vi renderete conto anche voi non esiste città, paese,
villaggio o frazione in cui qualsiasi guida turistica non vi dirà “questo posto si trova in una posizione
strategica” anche se vi trovate in luogo dove non c’è niente. Nel caso di Costantinopoli questa
affermazione è incredibilmente e straordinariamente vera, per secoli, ancora oggi quella posizione li è un
punto micidiale per i rapporti geopolitici e economici, per questo gli occidentali sono alleati della
Turchia, perché lì ci passa tutto, qualsiasi forma di collegamento tra Asia e Europa. Era cosi già al tempo
di Costantino, la città di Costantinopoli è il punto di contatto tra la civiltà mediterranea e i nomadi delle
steppe, tra la mezza luna fertile (Mesopotamia) e i Balcani e l’Europa. Lì esisteva già fin dall’ottavo
secolo a.C. una piccola colonia greca, Bisanzio, è per questo che gli storici hanno poi usato il termine
Bizantino per indicare l’impero romano d’oriente, ma questa parola Bizantino nell’eta medievale non è
mai esistita e non è mai stata utilizzata. Caso mai gli occidentali nel medioevo per indicare
spregiativamente i bizantini gli chiamavano “i greci”. Ma gli imperatori di Costantinopoli si
consideravano sempre romani e d’altra parte questa parola è entrata anche nell’uso turco e arabo, perché
la parola rum usata dai turchi e arabi per indicare i bizantini deriva proprio da romano. Nell’anno 324
Costantino sconfigge il suo rivale Licinio e diventa imperatore unico. A quel punto decide di costruire
una immensa metropoli che deve anche diventare una sorta di monumento della sua memoria:
Costantinopoli, la città di Costantino. Dopo 6 anni di lavori la città viene inaugurata, nell’anno 330,
ovviamente non è finita, i successori di Costantino la ingrandiranno ancora di più, raddoppierà la sua
superficie tra il IV e V secolo raggiungendo all’inizio del 400 i 1400 ettari, una superficie immensa per
gli standard demografici del tempo. Le mura di Costantinopoli costruite in questo secondo momento,
cioè nella prima metà del V secolo, rimarranno in piedi fino alla conquista turca nel 1453, brandelli di
queste mura si trovano ancora oggi a Istanbul. Questa città viene costruita con l’obbiettivo di replicare
sul Bosforo l’urbanistica di Roma, quindi vengono aperti i fori, le vie porticate, vengono costruite un
aula del senato, un ippodromo. Contemporaneamente vengono costruiti templi pagani e chiese cristiane.
Una città enorme, una seconda Roma. Naturalmente i senatori presenti a Costantinopoli hanno
caratteristiche assai diverse da quelli dei senatori romani. I senatori romani provenivano da famiglie
nobiliari italiche che hanno radici molto antiche quindi hanno un atteggiamento e una politica
relativamente autonoma dagli imperatori. I senatori di Costantinopoli sono tutti di nomina imperiale e
hanno quasi tutti un’origine sociale molto meno legata a un passato lontano, quindi si tratta di un senato
molto più docile, più obbediente e dalle origini assai più umili rispetto a quelle del senato romano, tanto’è
che i senatori romani in questo periodo, che nel IV secolo rappresentano una sorta di roccaforte del
paganesimo antico, considereranno i senatori di Costantinopoli dei bottegai. Ovviamente il termine non
corrisponde alla realtà, non erano certamente dei negozianti, ma è ovvio che questo aggettivo sprezzante
denota una differenza di status, di mentalità tra la vecchia aristocrazia senatoria e questi ceti emergenti
legati alla nuca corte di Costantinopoli.
Costantinopoli diventa anche un grandissimo porto, vengono aperti molti bacini di carenaggio, la città
attrae la popolazione sia dalla parte europea che dalla parte asiatica. All’inizio del V secolo la città
raggiunge i 200mila abitanti, all’inizio del VI secolo raggiunge i 500mila abitanti. Ormai in quest’epoca
Costantinopoli è la città più grande del mediterraneo avendo superato Roma. Infatti molto rapidamente
il patriarca di Costantinopoli diventa un arcivescovo di pari grado rispetto al pontefice di Roma, al
patriarca di Antiochia, di Gerusalemme e di Alessandria.
Anche a Costantinopoli si replica la politica romana del panem et circenses, sopratutto gli spettacoli
dell’ippodromo, nell’ippodromo sono presenti le fazioni dei tifosi, che spesso danno luogo a risse
sanguinose perché queste fazioni sono anche strumenti attraverso i quali l’imperatore tiene buona la
plebe, è un modo per tenere buona la popolazione, l’imperatore ha la sua tribuna nell’ippodromo e spesso
gli imperatori nuovamente intronizzati, che succedono ai loro predecessori, fanno il loro primo ingresso
per essere acclamati della folla nell’ippodromo. Quindi questi spettacoli circensi fanno parte della liturgia
del potere della corte costantinopolitana. Quanto al panem, il grano non arriva dalla Sicilia, dal’Africa o
della Sardegna, come nel caso di Roma ma sopratutto dal’Egitto, il più grande granaio del mediterraneo
antico.
Qui, a Costantinopoli l’imperatore continua e intensifica quella politica di divinizzazione del potere, che
noi abbiamo visto già avviata con l’ultimo grande imperatore pagano: Diocleziano. Gli imperatori a
Costantinopoli diventano una sorta di nume tutelare, e difensori della Chiesa. Sono gli imperatori di
Costantinopoli che convocano i concili ecumenici, a partire da Nicea, poi Efeso, Calcedonia e via
dicendo. C’è una lunga teoria di concili convocati dagli imperatori per decidere ciò che è ortodossia e
ciò che è eresia.
Vediamo una testimonianza relativa a Costantinopoli nel V secolo attraverso questo brano di uno storico
pagano, uno dei pochi rimasti all’epoca: Zosimo.
“Costantinopoli fu ampliata fino a diventare il centro urbano più grande, con il risultato che molti
imperatori venuti dopo di lui (Costantino) la scesero come sede, attirandovi un gran numero di abitanti
provenienti da tutto il mondo: soldati, funzionari, mercanti e gente dedita ad altre attività. Essi hanno
perciò eretto nuove mura, molto più estese di quelle di Costantino e hanno permesso che gli edifici
fossero tanto vicini gli uni agli altri da costringere gli abitanti a vivere stipati nelle case e nelle strade,
dove è pericoloso camminare per la ressa di uomini e animali. Anche il mare circostante è stato riempito
affondando pilastri e costruendovi sopra case che da sole sono sufficienti a formare una grande città”.
Questo fervore edilizio enorme che prende corpo a Costantinopoli.
Questa impero, impregnato con questa nuova capitale mostra tra IV e V secolo segnali di controtendenza
rispetto alla porzione occidentale dell’impero, nonostante la grande sconfitta di Adrianopoli, gli
imperatori d’oriente abilmente riescono a deviare verso ovest tutti questi flussi migratori germanici
mantenendo relativamente al sicuro le frontiere da quella parte dell’impero. Le popolazioni germaniche
finiscono per occupare solo le zone danubiane o quelle zone dei Balcani più vicine all’Istria, la Croazia
per esempio dove si insediano gli ostrogoti. Viceversa in Grecia, nelle zone dell’odierna Bulgaria,
Turchia, Palestina,Egitto non assistiamo a nessuna penetrazione di popolazioni germaniche e anzi da un
certo momento in poi, specialmente nel V secolo, a Costantinopoli troviamo una forte opposizione anti
barbarica, per la quale molti, sopratutto funzionari dell’esercito di estrazione germanica, vengono
allontanati più o meno con la forza. Nel corso di tutto il V secolo la popolazione dell’impero romano
d’oriente cresce, certamente non con i ritmi di Costantinopoli che drena costantemente porzioni di
popolazioni dalle campagne più o meno importanti, ma ci sono i segni di una cerchia demografica e
economia delle province orientali almeno fino agli inizi del VI secolo.
Questa relativa prosperità dell’impero romano d’oriente è all’origine di un disegno straordinariamente
ambizioso portato avanti da uno dei più celebri imperatori di Costantinopoli: Giustiniano. A Ravenna,
nella basilica viene rappresentato insieme ai suoi funzionari, insieme alla moglie (Teodora) e le sue
ancelle. Giustiniano diventa imperatore nell’anno 527. Gia dal 518 era stato cooptato al potere dallo zio
Giustino. Giustino era un uomo proveniente dall’Illirco, provincia balcanica vera e propria fucina di
soldati. Giustino aveva fatto carriera nell’esercito. Giustiniano anche lui a sua volta proveniente
dal’Illirico, in una cittadina non più esistente che si trova nella repubblica della Macedonia del nord, sia
Giustino che Giustiniano erano di madrelingua latina, mentre di norma a Costantinopoli si parlava il
greco. Tutto ciò che è rimasto del latino balcanico lo troviamo ora nella lingua rumena, che è la lingua
romanza più orientale presente in Europa.
Giustiniano non è un militare, è arrivato a corte molto giovane, seguendo lo zio e ha compiuto studi
giuridici, quindi è una persona di cultura più elevata rispetto allo zio che invece ha fatto carriera
nell’esercito.
Nel 527 Giustiniano diventa imperatore e comincia ed elaborare un’ambiziosissima politica che passerà
alla storia con i nome di “renovatio imperi” il rinnovamento dell’impero. Questa politica consisteva nel
tentativo, in parte riuscito, di riconquistare le terre occidentali dell’impero romano. La politica del
renovatio imperi consiste nell’attacco delle milizie di Costantinopoli contro i regni romano-germanici
presenti nel mediterraneo occidentale: gli ostrogoti in Italia, i vandali in Africa, i visigoti in Spagna. La
guerra inizia nel 533, prima pero, cioè nel 532 l’imperatore si salva miracolosamente da una rivolta
popolare scoppiata per via di scontri tra i funzionari e i capi della tifoseria cittadina. Dopo una serie di
risse alcuni capi erano stati arrestati e condannati a morte, alcuni tifosi avevano inscenato delle proteste,
che poi erano scoppiate in vere e proprie rivolte con edifici pubblici incendiati tra cui la prima chiesa di
Santa Sofia, che poi verra ricostruita proprio da Giustiniano. Questa rivolta sarebbe potuta costare caro
a Giustiniano, se solo l’intervento risolutivo della moglie che lo convince a rimanere e trattare con i tifosi
e poi farli massacrare nell’ippodromo dalla cavalleria, impedisce che lo lui facesse una brutta fine. La
mogie era in gioventù un’attrice di mimo quindi per gli standard ecclesiastici del tempo era considerata
praticamente una prostituta. La Chiesa per secoli ha condotto una propaganda culturale molto forte contro
il teatro, contro le rappresentazioni, questa è durata molto a lungo. Lo stereotipo attrice-prostituta è
arrivato quasi fino alle soglie dell’età contemporanea. Pero la moglie di Giustiniano, che lui sposò contro
il parare della corte e contro il parare dei parenti, era dotata di un intuito politico abbastanza sviluppato,
è grazie alla sua diplomazia che l’imperatore si salva da questa rivolta che poi riesce a domande.
Comunque nell’anno 533 comincia la guerra contro i vandali in Africa. Il capo della spedizione è il
generale Belisario. La guerra in Africa è una guerra lampo, dura pochissimi mesi, le ragioni per le quali
il regno vandalo cade abbastanza rapidamente sono da collegare alle modalità con le quali si era formato
e strutturato questo regno: il mancato compromesso, la mancata collaborazione con le élite locali, i
saccheggi delle chiese e dei monasteri, cioè l’occupazione militare della provincia aveva rotto i ponti tra
la minoranza germanica e l’élite latine dell’Africa. Cosi quando arrivano le armate da Costantinopoli il
regno crolla come un casello di carta perché le popolazioni locali si schierano al fianco del comandante
Belisario e dei suoi militari. Una volta conquistata l’Africa i bizantini riprendono il possesso anche della
Sardegna e della Corsica che dipendevano dal regno barbaro di Cartagine. Da questo momento in poi la
Sardegna dipende dal governatore bizantino che sta a Cartagine e cosi sarà fino a quando i musulmani
non occuperanno questa zona dell’odierna Tunisia alla fine del VII secolo. Una volta occupata l’Africa,
nel 535 gli eserciti di Giustiniano partono in Sicilia e cominciano a risalire la penisola, diretti verso
l’occupazione di Ravenna, la capitale del regno ostrogoto. Il problema è che questa guerra ad un certo
punto prende una piega inaspettata perché dal 540 fino al 541 si abbatte in tutto il mediterraneo una
terribile epidemia di peste che fa tra i 20/25mila morti. Questo pone in difficolta l’impero perché dopo il
passaggio della peste iniziano a mancare le risorse finanziarie e anche i soldati necessari per mantenere
in campagna militare permanente l’impero. Ma non è soltanto una questione congiunturale, cioè la peste,
a fermare i bizantini. C’è anche la resistenza dei goti. I goti hanno avuto nelle terre da loro occupate un
atteggiamento molto differente rispetto a quello dei vandali in Africa. Abbiamo parlato della politica di
Teodorico e della gestione dell’amministrazione civile da parte degli intellettuali latini, dalla cultura
politica romana di Teodorico. Non c’era stata un’occupazione violenta del territorio, ma c’era stata una
forma di compromesso, anche se i goti erano ariani e non cattolici. Quindi la guerra si prolunga a
dismisura, è una guerra lunghissima, fatta di distruzioni, saccheggi, Milano viene completante spianata,
Roma e Napoli sono assediate più volte e durante questi assedi per indurre gli assediati a cedere si
compiono opere di distruzione, per esempio degli acquedotti per impedire all’acqua di arrivare dentro la
città, quando passano gli eserciti spesso passa la carestia oltre che alla pestilenza, quindi per circa 20
anni, dal 535 al 554, la penisola italiana è sottoposta a devastazioni e orrori di ogni tipo. Ci da
informazioni in merito di questi eventi Procopio di Cesare, un militare originario di Cesarea in Palestina,
non era un aramaico o un ebreo ma un grecofono, scrive in greco una serie di opere storiche relative al
periodo di Giustiniano, tra cui la Guerra Gotic,a cioè la narrazione della lingua guerra condotta da
Belisario contro la popolazione ostrogota. Ci parla delle carestie e delle devastazioni di questa guerra:
“L’anno avanzava vero l’estate e già il grano cresceva spontaneo, non in tal quantità pero come prima,
ma assai minore; poiché non essendo stato internato nei solchi con l’aratro nè con mano dell’uomo, ma
rimasto in superficie, la terra non poté fecondarne che una piccola parte. Nè essendovi alcuno che lo
mietesse, passata la maturità ricadde giù e niente poi ne nacque. La stessa cosa avvenne pure
nell’Emilia; per lo che la gente di quei paesi, lasciate le loro case, si recarono nel Piceno pensando che
quella regione, essendo marittima, non dovesse essere totalmente afflitta da carestia. Nè meno visitati
dalla fame per la stessa ragione furono gli abitanti della Tuscia; dei quali quanti abitavano i monti,
macinano ghiande di quercia come grano, ne facevano pane che mangiavano. Ne avveniva naturalmente
che i più fossero colti da malattie di ogni sorta, solo alcuni uscendone salvi”.
Il Piceno è una delle zone delle Marche. Tuscia era una regione più grande dell’attuale Toscana perché
inglobava una parte del Lazio. Praticamente mangiando i cibi dei maiali.
Questa guerra distruttiva, lunghissima anche per la resistenza dei goti guidati da un loro capo Totila,
passato poi alla storia come un nefandissimo re nella propaganda bizantina e pontifica, anche perché in
una mossa molto abile sul piano sociale aveva indicato ai coloni assiti dell’Italia dipendenti dei grandi
proprietari terrieri che se si fossero schierati con i goti avrebbero avuto la libertà personale. Questa guerra
termina nei primi anni 50 del 500, Totila troverà la morte nella battaglia di busta gallorum, in Umbria.
Resistenze gote continuarono fino al 455 un po in tutta Italia, fino all’ultima battaglia nei pressi del
Vesuvio, in Cmapania.
A questo punto alla metà degli anni 50, tutta l’Italia fino alle alpi è tornato sotto il controllo di
Costantinopoli, ed è in questo periodo che venne eretta a basilica di San Vitale a Ravenna. E’ una chiesa
impreziosita da mosaici raffinatissimi.
L’Italia trona sotto il controllo dell’impero romano pero questa volta come provincia. Ravenna
continua ad essere la sede massima del potere in Italia ma con funzionari nominati e spediti da
Costantinopoli.
L’ultima zona dove si dirigono le armate di Costantinopoli è la penisola iberica, ma ormai le risorse
dell’impero si stanno esaurendo, sia in termini di fiscalità, sia in termini di uomini. Cosi Giustiniano
riesce a riprendere soltanto una piccola porzione della penisola iberica, cioè la porzione sud orientale,
cioè in larga parte quella che corrisponde all’odierna Andalusia.
Giustiniano pero è famoso non solo per questa lunghe e interminabili campagne militari ma anche per
aver riordinato il diritto romano.
Il diritto romano infatti consisteva in un insieme non omogeneo di testi differenti. Si erano accumulate
nel tempo le leggi degli imperatori, si erano accumulate nei secoli i pareri dei giuristi, le sentenze che
avevano fatto precedente, cioè quelle che noi oggi chiameremo la giurisprudenza. Era indispensabile
raccogliere in un’opera omogenea tutte queste produzioni giuridiche. Ci avevano già provato alcuni
imperatori prima di lui, ma l’operazione era sempre stata incompleta. Giustiniano avvalendosi dei
maggiori studiosi di diritto delle scuole di Alessandria, di Atene e via dicendo, forma un’opera che
prenderà il nome di corpus iuris civlis, il corpo del diritto civile. Questo corpus iuris civilis è formato da
4 parti: la prima parte sono i codex, cioè i codici. La parola codex sta ad indicare un volume, cioè un
libro fatto di pagine rilegate, il libro nell’antichità non esisteva, esistevano i rotoli di papiro, per fare un
codex, cioè un volume di fogli piegati in quattro (da qui la parola quaderno) e poi rilegati bisogna
utilizzare un altro supporto scrittorio, non si può rilegare il papiro perché si sgretola, serve qualcosa di
più resistente: la pergamena, cioè la carta pecora, un supporto praticamente indistruttibile, che non viene
danneggiato dall’umidità e che è fondamentale per confezionare i volumi.
Questo codice racchiude tutti gli editti imperiali, dal II secolo in poi fino all’età di Giustiniano e per
questo occorrono 12 libri.
La seconda parte del iuris civilis è molto più grande, è il Digesto. Il digesto è un’opera composta da 50
libri, che raccoglie i pareri dei giuristi delle sentenze che hanno fatto in precedente. Forse avrete perso
tempo guardando film intuii sul sistema americano e avrete visto che i giuristi americani scavano nei casi
passati per vedere quali sentente hanno fatto presente quelle si chiama giurisprudenza. Nel sistema
anglosassone le sentenze fanno precedente cioè diventano legge, anche il sistema romano funzionava
cosi. Giustiniano per congelare per sempre la possibilità di un giudice di intromettersi nel diritto
dell’impero, raccoglie tutte le sentenze famose e dice che da ora in poi quella è legge e da ora in poi le
sentenze non fanno più precedenti, sarà la legge a stabilire cosa si può fare e cosa non si può fare, pero
nel frattempo raccoglie tutti i giudizi sulle sentenze dal II fino al V secolo.
Un’altra parte dell’opera è costituito dalle novellae costitutiones, sono le nuovi leggi, le leggi fatte da
lui. Nel codice ci sono le leggi fatte in precedenza e le nuove fatte da lui. Le leggi del codice Digesto
sono scritte in latino, lingua del potere e del diritto, pero poi queste dovranno essere tradotte in greco
perche la maggioranza della popolazione dell’impero di Costantinopoli il latino lo consce molto
imperfettamente. Le novelle di solito sono scritte in greco e devono essere tradotte in latino, sono scritte
nella lingua veicolare più importante dell’impero
Un’ultima parte molto più piccola rispetto alle altre è quella formata dalle Istitutiones. Sono un manuale
in cui si spiegano i principi fondamentali del diritto romano, nella sfera privata soprattutto, ma anche
quella pubblica, questioni relative all’eredità, al matrimonio, spostamenti, doti e via dicendo, ancora oggi
nelle facoltà c’è l’insegnamento delle istituzione del diritto romano.
L’eta do Giustiniano è un’eta molto importante perché segna da una parte il punto massimo di espansione
dell’impero romano, questa ambizione di Giustiniano trova in larga misura la sua realizzazione, non
quella che lui aveva sognato, lui lo voleva fino alle coste dell’Atlantico, ma come vedete molte terre
mediterranee sono riconquistate. Il problema è che queste terre sono riconquistate, accompagnate da
questo sforzo di codificazione giuridica che non è estranea alla rinnovatio Imperia ma che va di pari
passo, questa riaffermazione del potere romano nel mediterraneo ha avuto un costo enorme, in termini di
vite e di risorse. L’impero alla morte di Giustiniano nel 565 è stremato e questa debolezza finanziaria e
demografica verra presto scordata dall’impero stesso perché con questa dilatazione enorme nel
mediterraneo l’impero di trova di fronte ad un numero sempre più alto di nemici che premono alle
frontiere.
Inoltre Giustiniano tenta , ancora una volta, di risolvere le contese religiose, che dilaniano le Chiese
dell’impero. Quale contese tra la Chiesa imperiale che si richiama la concilio di Calcedonia e di Nicea e
la chiesa invece monofisita molto forte in Egitto e in Siria.
La vicenda di Giustiniano segna il punto massimo di espansione dell’impero ma pochi anni dopo la sua
morte l’inerzia sembra invertirsi. La prima area dell’impero che si trova in difficoltà è l’Italia. L’Italia
uscita sconvolta dai 20 anni della guerra greco-gotica che ha visto crollare il livello della sua popolazione,
devastare le città più importanti ed è quindi poco presidiata nelle sue frontiere alpine, ed è proprio da li
che arriva la nuova minaccia, la prima di una serie di minacce che arriveranno in tutto l’impero
d’Occidente nei decenni successivi alla morte di Giustiniano.

A cavallo tra il 568 e il 569 entra in Italia un’altra popolazione germanica: i longobardi. I longobardi
sono un popolo dalle caratteristiche molto differenti rispetto ai goti. I goti avevano passato secoli sulle
sponde del mar nero, poi si erano insediati nell’area balcanica, molti avevano militato nell’esercito
romano, Teodorico era stato educato nella corte di Costantinopoli, gli ostrogoti erano i più romanizzati
dei popoli germanici, utilizzavano il latino nella scrittura abitualmente, non hanno problemi ha stabilire
rapporti con le élite romane. I longobardi no, sono un popolo in larga parte ancora nomade. Le origini si
collocano in un’area dell’Europa tra la Germania e la Danimarca, poi si spostano per secoli nel cuore
della Germania da nomadi e arrivano all’inizio del VI secolo, più o meno nel 520, nell’area della
Pannonia, un’area dell’impero che era stata da tempo abbandonata alle popolazioni germaniche. Li i
longobardi vivranno da seminomadi per circa mezzo secolo. Alcuni guerrieri longobardi parteciparono
da mercenari alla guerra romana-gotica, assoldati dall’ultimo generale che conduce l’esercito bizantino
in Italia: Eunuco Narsete. Narsete assolda i soldati longobardi ma ben presto li rimanda indietro perché
li considera totalmente indisciplinati, barbari, devastatori. Nel frattempo pero questi soldati hanno preso
visione di una terra che per quanto devastata è molto più ricca di qualsiasi terra mai visitata in vita loro,
loro non conoscevano la vita urbana, la città, non utilizzavano la scrittura e non conoscevano il latino,
erano arrivati al cristianesimo in forma molto opaca, cioè facevano convivere elementi di cristianesimo
con elementi del paganesimo, legato a quelle delle divinità dei valhalla tedeschi (Odino, Thor e via
dicendo). Non hanno nessuna patina di romanizzazione. Ad un certo punto decidono di spostarsi dalla
Pannonia verso l’Italia nord occidentale. E’ difficile stabilire con le fonti del tempo quanti fossero i
longobardi, probabilmente non più di quanti furono i goti, 150/2mil in tutto. Si spostano con le loro
famiglie, ma bisogna considerare che 1/4 di questi 150/200mila individui sono guerrieri armati no ai
denti, poche nella popolazione longobarda ogni uomo libero doveva portare le armi ed essere un
guerriero, chi non combatte è giusto che perda la propria libertà. I longobardi entrano dalle Alpi gioia,
intorno al 568/569, il loro comandante è Alboino un vero e proprio condottiero militare più che un re.
Occupano alcune zone dell’odierno Friuli, tra cui Forum Iulii che poi nei secoli successivi prenderà il
nome di Cividale del friuli, quella è la prima zona dove i longobardi pongono un loro presidio. Poi
cominciano a scendere verso il Veneto e la Pianta Padana. La loro occupazione è un’occupazione
violenta, l’esercito bizantino è scarsamente presente nel territorio e tende a concentrare le sue difese
nelle città più importanti e lungo le sponde marittime che sono facilmente riferibili con la flotta. I
longobardi non occupano le terre in maniera omogenea, guidata, su una base di una strategia concordata
precedentemente, ancora una volta emerge la differenza con i goti. Infatti, Alboino conduce le schiere
fino l’Italia ma non ha un potere assoluto. La società longobarda è una società fortemente tribalizzata, ci
sono più tribù e generalmente a capo di ciascuna tribù c’è un condottiero che nelle fonti latine viene
indicato come dux, duca, che ha una forte autonomia ripeto l potere di Alboino, quindi dovete
immaginare un popolo che scende in Italia non in maniera univoca, ci sono alcuni che vanno in una
direzione, altri che vanno in un’altra. L’occupazione delle terre quindi è molto irregolare e generalmente
tende ad affondare in corrispondenza della scarsa resistenza della autorità bizantine. Infatti, i longobardi
occupano vaste zone dell’Italia, alcune delle quali non sono nemmeno in collegamento le une con le altre.
La maggior parte delle terre da loro occupate sono quelle dell’Italia settentrionale. La zona più importante
di quelle occupate dai longobardi prenderà il nome da loro: Langobardia, cioè la Lombardia.
La sede principale del potere sarà fissata da Alboino nell’antica città di Ficinum, che poi prenderà il
nome di Pavia.
I longobardi dilagano anche a sud dell’Appennino e occupano la Toscana, che viene collegata con il
regno che verrà a formarsi a Pavia. Questo è il nucleo forte dell’occupazione longobarda in Italia. Il
successivo regno di Pavia: Italia settentrionale e Toscana.
Alcune zone del nord però oppongono maggiore resistenza. Sono la Liguria, che resisterà fino agli anni
30/40 del 600, ed è la zona dove scappa a gambe levate l’arcivescovo di Milano, che per alcuni decenni
risiederà a Genova. L’altra zona di maggiore resistenza è la zona di Ravenna, che poi prenda il nome di
Esarcato, perché a Ravenna era presente l’esarca, cioè un funzionario mandato da Costantinopoli. Questa
zona bizantina dell’antica Emilia, prenderà il nome di Romagna, cioè terra dei romani. Bizantino non
esiste come termine, esiste come termine “romano”.
A sud dell’esarcato, esiste una fascia costiera nel nord delle Marche che prenderà il nome di Pentapoli,
cioè le 5 città: Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona.
Poi come potete vedere esiste questo corridoio che transita attraverso Perugia in Umbria e arriva nel
Lazio. Questa zona romane bizantina, cosi come la Campania (Gaeta, Napoli, Amalfi). I longobardi
occupano anche zone dell’Italia centrale e meridionale. Infatti, vengono a formarsi due dicati che sono
autonomi rispetto a il regno di Pavia, questi due sono il Regno di Spoleto, in Umbria, al quale fanno
riferimento le Marche meridionali e l’Abruzzo. Formano poi il secondo ducato, di Benevento. I duchi di
Benevento controllano la parte interna della Campania, la Puglia centro-settentrionale, la Basilicata e la
Calabria settentrionale, vedete come sono arrivati molto a sud.
Rimangono bizantine la Puglia centro-meridionale, che all’epoca si chiamava Calabria, e la Calabria che
invece all’epoca si chiamava Bruzio, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, pero le ultime sono legate al
regno bizantino di Cartagine. La Corsica verra conquistata dai longobardi, la Sicilia rimane provincia a
se stante.
Questa occupazione dell’Italia è un’occupazione molto dura e violenta. I longobardi non hanno nemmeno
gli strumenti per collegarsi con le élite locali, e infatti il loro arrivo in Italia segna una frattura storica
epocale. Dall’arrivo dei longobardi fino al 1861 l’Italia è stata politicamente divisa, solo per questo i
longobardi rivestono un’importanza straordinaria della storia d’Italia.
Il secondo aspetto fondamentale è che i longobardi con la loro occupazione hanno segnato la parola fine
per quanto riguarda la storia di un ceto sociale eminente, il ceto dei sentori. Un ceto che era sopravvissuto
al regno ostrogoto, che era sopravvissuto con fatica alla lunga guerra delle armate mandate dia
Giustiniano, ma che ancora resisteva nel 568. Nelle aree occupate d longobardi questo ceto sparisce
perché o si obbedisce ai guerrieri germanici o si viene mandati via e le terre sono occupate.
Leggiamo ora qualche breve brano della fonte più importante della storia dei longobardi in Italia, la
Historia Longobardorum di Paolo Diacono. Lui era un longobardo del VIII secolo, non parla più un
idioma germanico, parla un idioma romanzo e scrive in latino, in gioventù è un funzionario della corte
di Pavia, è un’epoca lontana da quella di Alboino. Quando il regno longobardo verrà conquistata da Carlo
Magno Paolo verrà portato in ostaggio in Francia, poi tornerà in Italia e poi farà parte della Scuola
Palatina di Carlo Magno, una sorte di corte di intellettuali (tutti di norma ecclesiastici) che collaborava
con l’imperatore. Paolo Diacono dopo la prigionia in Francia si fa monaco e passa gli ultimi anni della
sua vita a Montecassino, la sede principale del monachesimo benedettino. Quando è li scrive quest’opera
sul suo popolo.
La storia parte dalle origini mitiche, quindi le prime pagine hanno dei fondamenti documentari molto
dubbi, legati a racconti tribali di quando i longobardi stavano nel nord della Germania, diventa più
attendibile mano a mano che ci sia avvicina alla conquista dell’Italia.
Paolo Diacono non è più culturalmente e linguisticamente un longobardo del tempo di Alboino, non parla
più nemmeno un idioma germanico, scrive in latino, è un uomo di chiesa. Quindi lui deve impostare
quest’opera storica nell’ottica del suo regno che ormai non esiste più e nell’ottica della Chiesa. E’
probabile che esistessero delle opere più vicine al periodo della conquista ma di queste fonti non esiste
più niente, quindi l’opera più vicina alla conquista è Paolo Diacono. Ci para degli episodi bellici e delle
conquiste, nel libro II, capitolo 26.
“Della città di Pavia assediata per tre anni, dei longobardi che invadono la Tuscia e dei molti loro alleati
Pavia resistette salda oltre tre anni all’assedio longobardi che si era accampato nei suoi dintorni, nel
settore occidentale più precisamente, mentre Alboino con le avanguardie dilaga in tutta la Toscana,
lasciando stare pero Roma, Ravenna e alcune fortezze situate sul litorale (572). Nè i romani avevano
forze tale da poterglisi opporre perche la pestilenza, scoppiata sotto Narsete, aveva fatto moltissime
vittime nella Liguria (Italia nord-occidentale) e nelle Venezie (Italia nord-orientale),e a quell’anno di
grande abbondanza di cui abbiamo parlato, teneva dietro una terribile carestia. E’ certo che poi Alboino
condusse con se una moltitudine di genti diverse, sottomesse da lui o da altri re.”

Come mai Pavia resiste? Perché Pavia è il terminale della navigazione lungo il Po, i fiumi son stati
navigabili per secoli, ora i fiumi hanno una portata molto minore perché adesso ci sono forme di
drenaggio dell’acqua di qualsiasi tipo. Quindi i bizantini riforniscono la città di Pavia per resistere
all’assedio longobardo.
I longobardi non entrano nella laguna veneta, non c’è quasi niente e forse questo è il motivo per cui non
ci vanno e anche perché è uno degli ambienti più ostili all’insediamento umano, dove pero nei secoli
successivi si svilupperà la più grande città medievale in Europa, cioè Venezia.
Ligura non indica solo la singola regione ma tutta l’Italia nord-occidentale.
“moltitudine di genti diverse” richiamo l’attenzione su questo. Gli storici sopratutto quelli dell’800
pensavano che questi popoli fossero un gruppo omogeneo, invece non è vero, questi popoli sono
differenti che trovano un principio edificante in un sovrano o in un antenato, magari non esistito. Questi
popoli erano un’accozzaglia di tribù differenti che ad un certo punto per motivi contingenti decidono di
mettersi insieme e di obedire ad un comandante.
Alboino trova la morte dopo aver conquistato buona parte dell’Italia settentrionale, nel 572. Le
circostanze della sua morte sono abbastanza drammatiche, pare che durante un banchetto avesse offerto
del vino alla moglie la quale era figlia di un capo germanico che Alboino aveva sconfitto in Pannonia,
adoperando come coppa il cranio del re sconfitto (padre della mogie), è probabile che ricavare una coppa
dal cranio del re sconfitto significa anche prendere la forza del nemico sconfitto in una società tribale.
La moglie organizza l’uccisione del marito, mentre lui fa il bagno mando un servo ad ucciderlo.
Nel 572 succede ad alboino il figlio Clefi, di cui ci parla brevemente Paolo Diacono. Libro II, capitolo
33.

“Del regno di Clefi che fu il secondo re e della sua morte


Tutti i Longobardi d’Italia, con decisione unanime, elessero re in Pavia Clefi, di stirpe nobilissima (572).
Costui uccise molti tra i più influenti romani e molti ne caccio dal’Italia. Dopo un anno e sei mesi
regnava con Messana, sua mogie, fu sgozzato da un servitore del suo seguito (574).”

Questi romani sono i sentori, che avevano le ricchezze.

Dal 574 fino al 578 i Longobardi vivono una stagione di interregno, cioè non ritengono indispensabile
avere un re, ognuno continua per la propri strada. Continuano le incursioni e le devastazioni. Ci dice
sempre Paolo Diacono:
“Dopo la sua morte e per un interregno di dieci anni, i longobardi vissero sotto i duchi. Ognuno di questi
ultimi infatti vernava una città: Zaban, Pavia; Vallari, Bergamo; Alachis, Brescia; Evin, Trento: Gisulfo,
Cividale. E inoltre c’erano trenta altri duchi, ognuno in una sua città. In questo periodo molti nobili
romani vennero uccisi per cupidigia delle loro ricchezze. I superstiti, spartiti tra gli invasori, furono resi
tributi e dovettero pagare ai longobardi la terza parte dei loro raccolti. Per opera di questi duchi a sei
anni dalla calata si Alboino e dei suoi, spogliate le chiese, uccisi i sacerdoti, rase al suolo le città,
sterminate le popolazioni che erano cresciute come messi, gran parte dell’Italia, escluse quelle regioni
gia occupate da Alboino, fu invasa e posta sotto il giogo dei Longobardi”.

I longobardi non conoscevano la civiltà, la vita urbana ma capisco abbastanza velocemente che per
controllare questo territorio è indispensabile porre il potere in un centro urbano. Capiscono in fretta che
l’Italia è una terra di città e quindi per governarla bisogna prendere possesso dei centri urbano. Bisogna
anche ricordare che le città sono le sedi dei vescovi, i vescovi hanno un potere non solo carismatico, non
solo religioso sulle popolazioni ma naturalmente città e vescovi significano molti beni da depredare
anche perché i Longobardi non è che avessero un grande rispetto per la Chiesa cattolica. C’è un breve
elenco nella fonte.
C’è questa fase di interregno, questo è forse il periodo più duro della conquista dei longobardi, come
abbiamo detto molti vescovi fuggono dalle sedi dell’Italia occidentale, per esempio l’arcivescovo di
Roma che si rifugia a Genova, il patriarca di Aquileia scappa a Grado, nella porzione più settentrionale
della laguna veneta. Questo periodo è il punto di massima decadenza economica e demografica
dell’Italia. E’ molto probabile che alla fine del VI secolo l’Italia non superasse i 4milioni di abitanti, una
cifra impressionante che è circa la meta della popolazione dell’Italia nel II secolo d.C. 4milioni di abitanti
intorno all’anno 600.
Dovete immaginare come questo crollo avesse avuto anche un forte impatto sul paesaggio, con boschi
che tornavano ad infoltirsi dove prima c’erano le coltivazioni, paludi che si formavano vicino ai fiumi e
via dicendo. Un ambiente che tendeva a diventare sempre più selvaggio.
Nel 584 i duchi longobardi decidono che è giunto il momento di avere un nuovo re. Quali motivazioni
spingono i longobardi verso questa scelta?
Scelta che avrebbe ridotto la propria sfera d’azione. Il punto è che i longobardi si rendono conto che
senza una guida, senza una struttura politica unita è molto difficile resistere ad eventuali attacchi nemici,
ci sono i franchi alla frontiera nord-occidentale che premono e poi c’è sempre il pericolo di una
controffensiva bizantina. Allora i duchi fanno la scelta di insediare a Pavia un nuovo re: Autari, che era
già stato il duca di Torino.
La creazione della monarchia a Pavia passa attraverso un atto fondamentale: i duchi cedono al nuovo re
Autari metà delle loro terre. Come abbiamo già accennato i regni romano-germanici non sono di norma
Stati a base fiscale, come l’impero romano, come sarà l’impero islamico, ma sono Stati a base terriera,
le imposte o non vengono riscosse oppure quando vengono riscosse sono in natura, quasi mai denaro. Il
denaro circola molto poco, le coniazioni sono occasionali, di circostanza, non alimentano in flusso
omogeneo per gli scambi commerciali ne un flusso sufficiente per le imposte fiscali. Allora come fa un
sovrano se non ha entrate a comandare? Deve avere molta terra, perché è la terra che da prestigio, è la
terra che da potere, solo avendo molta terra un sovrano più ricompensare i suoi fedeli. Ci vogliono molti
patrimoni. I duchi cedono sia i loro poteri sia metà dei loro possedimenti.
Anche su questo ci informa Paolo Diacono, libro II, capitolo 16.
“Del regno di Autari e di quanta sicurezza regnasse ai suoi tempi”
Attenzione! Dice quanta sicurezza, probabilmente qui esagera, quando si analizza una fonte bisogna
sempre stare in guardia. Paolo Diacono vive nell’VIII secolo, ma è sempre longobardo quindi vuole
dimostrare che il regno longobardo ha conosciuto un’evoluzione giusta, un’evoluzione che poi porterà
anche alla conversione al cristianesimo cattolico, quindi alcuni passaggi sono forzati nella sua
interpretazione, nella sua descrizione.
“I Longobardi, dopo essere rimasti per dieci anni sotto il potere dei duchi, infine di comune accordo
decisero di darsi un re nella persona di Autari, figlio di quel Clefi di cui abbiamo parlato in precedenza
(584). Per la dignità di cui era stato insignito, lo chiamarono Flavio: titolo che in seguito fu felicemente
di tutti i re longobardi. Per dare forza e prestigio al trono inoltre i duchi stanziarono metà delle loro
sostanze per la necessità della corte e perche i dignitari avessero di che vivere nell’adempimento dei
loro diversi incarichi. Tuttavia le popolazioni, sempre vessate e tributarie, rimasero distribuite tra i
longobardi invasori. C’era tuttavia questo di straordinario nel regno longobardo: non si avevano
violenze, non si tendevano agguati, nessuno angariava o spogliava a proprio arbitrio, non c’erano furti
ne rapine, ciascuno poteva andarsene dove voleva senza preoccupazioni di sorta”.

Il titolo Flavio era generalmente il titolo degli imperatori romani che richiamava la gens Flavia a cui era
appartenuto l’imperatore Vespasiano, infatti il colosseo è Anfiteatro Flavio. Il fatto che un re longobardo
assuma in questo momento l’epiteto di Flavio sta ad indicare che il longobardi stanno iniziando ad
assimilare le forme romane del potere che inevitabilmente finiscono per suggestionare questi guerrieri.
Titolo che in seguito fu felicemente di tutti i re longobardi.
Anche alla fine bisogna fare un po di tara a queste informazioni.
In ogni caso con Autari nascono i primi funzionari regi, sono i gastaldi. Sono amministrato delle proprietà
della corona. Autari nel frattempo ha sposato una principessa cattolica: Teodolinda, di origine bavarese.
Teodolinda avrà un’importanza enorme nella conversione dei longobardi al cristianesimo cattolico,
infatti prima sarà la moglie di Autari tra il 584 e il 590 poi sposerà il successore di Autari: Agilulfo, che
regnerà dal 590 fino al 616. Attraverso la regina cattolica Teodolinda il Papa del tempo, Gregorio
Magno, cerca di operare perche i longobardi si convertano al cristianesimo cattolico. Infatti, ci sono
rimaste diverse lettere scambiate tra questo papa e la regina longobarda. Gregorio Magno porta questo
epiteto perché ha avuto una grande importanza nella storia ecclesiastica del papato del cristianesimo
cattolico, dell’Italia e dell’Inghilterra. Gregorio apparteneva ad un’antica famiglia del ceto senatorio, una
famiglia che aveva perduto moltissime terre dopo l’occupazione dei longobardi, ma manteneva ancora
una perte dei suoi possedimenti nella parte laziale. Nel 573 Gregorio era stato prefetto della città, quindi
il capo dell’amministrazione dell’urbe. Poi era diventato monaco, aveva trasformato la sua residenza sul
Celio in un monastero, seguendo una prassi comune a aristocratici e aristocratiche romani, che spesso
trasformavano la loro villa in campa o in città in un luogo di vita monastica. Da monaco viene mandato
come ambasciatore a Costantinopoli per trattare la questioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa d’oriente.
Li, a Costantinopoli, dove fa anche fatica ad intendersi perché non parlava molto bene il greco, si rende
comunque conto delle differenze enormi che ci sono da molti punti di vista, anche su quello liturgico tra
la chiesa occidentale e la chiesa orientale. Una volta divenuto papa porta avanti tutta una serie di
innovazioni di grande rilevanza. Forse avrete sentito parlare del canto gregoriano. Il canto gregoriano he
le sue origini nell’epoca di Gregorio Magno, quindi era un pontefice che si interessa anche di liturgia. E’
un pontefice che si interessa molto dell’evangelizzazione, sia delle popolazioni delle campane, alcune
delle quali sono ancora pagane, sia dell’evangelizzazione dei popoli del nord che sono ancora pagani.
Per quanto riguarda la massa di analfabeti con cui si devono confrontare i religiosi del tempo, Gregorio
Magno porta avanti suggerimenti assai interessanti, perché dice attenzione a come parlate nella chiesa,
bisogna utilizzare nelle prediche una lingua comprensibile, quindi non il latino classico che nessuno
capisce più, inoltre è bene realizzare opere monografiche nelle chiese che rappresentino le scene dei
vangeli, in modo tale che anche i fedeli che non sanno leggere possano comprendere almeno visivamente
quello di cui si sta parlando. Inoltre raccomanda quando gli evangelizzatori vanno per convertire le
popolazioni pagane d’Europa di non distruggere i luoghi di culto persistenti, perché questo è contro
producente, quindi la cosa migliore è cercare di convincerli e poi santificare, riconsacrare il luogo di
culto pagano, in modo da spingere le popolazioni locali ad andare a pregare dove già andavano a pregare
solo che in questo caso rivolgendosi alla nuova religione. Sono rimaste centinaia di lettere mandate da
Gregorio ai vescovi in tutta Italia, lettere inviate agli amministratori per possedimenti fondiari in Sicilia,
lettere scritti a monaci e evangelizzatori alcune delle quali vennero inviate da Gregorio in Inghilterra alla
fine del Vi secolo per convertire al cristianesimo le popolazioni pagane degli anglo e dei sassoni. In
quest’epoca segnata da Gregorio Magno e dalla regina Teodolinda i longobardi cominciano lentamente
a convertirsi al cristianesimo cattolico, prima erano ariani ma con forti venature di paganesimo.
Ancora una volta si sofferma su questi avvenimenti Paolo Diacono, libro IV capitolo 6:
“Delle buone azioni della regina Teodolinda
Per questa regina la Chiesa di Dio consegui molti vantaggi. Infatti i longobardi, mentre vivevano ancora
nell’errore della religione pagana, aveva confiscato quasi tutti i beni della chiesa. Ma dopo che il re
(Agilulfo), mosso dalle salutari insistenze di Toedolinda, si fu convertito alla fede cattolica, donò molti
possedimenti alla chiesa di Cristo e restituì all’onore della loro carica i vescovi in cattività e in
avvilizione”.

Queso corrisponde al vero. Negli ultimi anni di Governo Agilulfo riceve la visita da un monaco irlandese,
colombiano, questo monaco ha girato per tutta la Gallia fondando monasteri, che vivevano con regole
irlandesi. Questi monaci irlandesi sentivano questa spinta irrefrenabile alla peregrinazione per
evangelizzare, mentre il monaco benedettino fa il voto di residenza stabile nel monastero il monaco
irlandese ha come missione di mettersi alla prova con un viaggio pericoloso per evangelizzare, per salvare
dalla dannazione le popolazioni. Questo monaco viaggia per tutta l’Italia e arriva nell’Italia settentrionale
e riesce a farsi dare da Agilulfo un grande possedimento nell’Appennino piacentino, li verra fondato uno
dei più importanti monasteri dell’Italia settentrionale: San Colombano di Bobbo. E’ un evento simbolico
perché segna il passaggio, che non è immediato, ma segna il passaggio per i longobardi dal’’arianesimo
al cattolicesimo.

Lezione 4

Abbiamo parlato della presenza longobarda in Italia, della formazione del regno di Pavia e dei ducati di
Spoleto e di Benevento. Abbiamo parlato dell’eta di Teodolinda e del pontefice Gregorio Magno da li
riprendiamo oggi parlando del processo di lenta integrazione tra i longobardi e la popolazione latina.

Questa integrazione segue molteplici binari, innanzitutto quello linguistico. I longobardi quando
arrivano in Italia non hanno la scrittura, parlano un idioma germanico ma già dopo una generazione sono
diventati bilingui, rimarranno in questa condizione di bilinguismo per due o tre generazioni e poi
abbandoneranno completamente l’idioma germanico. Paolo Diacono che scrive nel VIII secolo non parla
più un idioma di tipo tedesco.
Poi l’integrazione segue la strada fornita dalla religione. Quando i longobardi arrivano in Italia sono in
larga parte pagani o cristiani nella forma ariana, quindi l’integrazione deve passare attraverso
l’accettazione del cristianesimo cattolico. Abbiamo visto come già nell’eta di Teodolinda comincino le
prime conversioni al cattolicesimo e abbiamo visto come il sovrano stesso sia ben disposto a finanziare
con donazioni patrimoniali le fondazioni monastiche cattoliche, abbiamo visto il monastero di San
Colombano di Bobbio. Il processo di integrazione segue anche il percorso di acculturazione di questi
guerrieri germanici. Un passaggio fondamentale da questo punto di vista è collegato alla prima messa
per iscritto, alla codificazione delle consuetudini del popolo longobardo. Questa prima codificazione
giuridica è l’Editto di Rotari. L’editto di Rotari è un insieme di norme, per la maggior parte di tipo
penale, messe per iscritto nell’anno 643. Questo editto diventa la prima codificazione giuridica
longobarda a cui faranno seguito altri editti di sovrani successivi. Abbiamo già accennato la messa per
iscritto di codificazione giuridiche da parte di popoli più romanizzati, come per esempio i visigoti nella
penisola iberica. I longobardi ci arrivano più tardi e in forme diverse.
L’editto di Rotari è scritto in latino, sono passati 75 anni circa dall’arrivo dei longobardi in Italia e sono
ormai totalmente bilingui ma stanno lasciando gli idiomi germanici e si rendono conto che mettere per
iscritto le consuetudini non può che avvenire attraverso il latino. D’altra parte il latino era la lingua del
diritto, nessun popolo germanico ha messo per iscritto nella propria lingue le consuetudini, l’ha sempre
fatto attraverso il medium del latino.
Il latino dell’editto di Rotari è un problema, perché a parte il prologo che è corretto dal punto di vista
grammaticale, tutto il resto è sbagliato, i casi non tornano, le desinenze non tornano, i verbi non tornano.
Questo perché? Non per sbagli dei cancellieri o notai che hanno messo per iscritto queste norme
giuridiche, ma perché si è voluto usare un latino che fosse comprensibile, che fosse quindi applicabile. Il
fatto è che nell’Italia longobarda del VII secolo nessuno parlava più il latino dell’impero romano, la
lingua si era evoluta. Quando crollano le istituzioni pubbliche crollano anche le istituzioni culturali,
quindi la lingua evolve rapidamente, perché nessuno controlla la grammatica, nessuno controlla
l’istruzione, tranne piccole scuole legate ad un grande centro ecclesiastico. Quindi la lingua si evolve
rapidamente con il crollo dell’impero romano d’occidente e il latino tende ad andare verso quell’esito
che poi troveremo nel basso medioevo, cioè i volgari.
L’editto di Rotari è scritto in questo latino “sgrammaticato”, ma volutamente sgrammaticato per essere
compreso dagli italiani del tempo.
L’editto come in larga parte altre codificazioni barbariche è composto per la maggior parte di norme di
diritto penale. Queste norme di diritto penale sono caratterizzate da un principio giuridico tipico delle
popolazioni barbariche, il Guidrigildo. Il guidrigildo significa il “valore della persona”. Il diritto penale
longobardo non è un diritto uguale per tutti, ma è differenziato per tutti perché le norme di diritto penale
sono commisurate allo status sociale di chi commette un crimine e di chi lo riceve. Per prima cosa, prima
di stabilire la pena per un determinato crimine bisogna capire chi commette il crimine e chi lo riceve.
L’editto di Rotari emana centinaia di norme che devono tenere conto dello status sociale delle due
persone coinvolte. I guidrigildo più alto è generalmente quello che si deve corrispondere per l’uccisione
di un arimanno. L’arimanno è l’uomo libero in grado di portare le armi e che generalmente possiede
della terra, questi tre elementi sono strettamente interconnessi nella società longobarda, cosi come in
altre popolazioni barbare del tempo. L’equivalente latino della parola arimanno è exercitaris, colui che
combatte, che può far parte dell’esercito. La guerra, la libertà personale e il possesso fondiario sono
strettamente collegate.
Se un arimanno uccideva un altro arimanno poteva risolvere la contesa pagando alla famiglia del morto
la somma 900 monete d’oro. Queste 900 monete erano solo una misura di valore, perché non c’era una
somma cosi grande di monete ne in Italia ne in nessun’altra zona dell’Europa, erano solo un modo per
esprimere un valore, quindi poi quando si andava a compensare la famiglia del morto si doveva dare
qualcosa con un grande valore, della terra, delle vacche, delle pecore e via dicendo. Spesso le monete
hanno il significato di misura di valore ma non di scambio, servono per prezzare le cose ma poi non
vengono fatte circolare.
Ma perché compensare la famiglia dell’ucciso con qualcosa di questo grande valore? Perché in questi
regni romano-germanici il ricorso al guidrigildo viene considerato un mezzo fondamentale per evitare la
faida. La faida era una prassi molto diffusa tra questi popoli, per cui se non ci fosse stata la ricompensa
pecuniaria molto alta di solito le contese venivano risolte con guerre intertribali. Ma in questi regni la
faida è percepita come qualcosa che sconvolge l’ordine sociale e politico, quindi bisogna disciplinare la
violenza in questa società e soprattutto le faide tra i clan più importanti, per questo il guidrigildo è uno
strumento fondamentale. Abbiamo parlato di arimanni, ma naturalmente i crimini possono essere
commessi nei confronti di individui di uno status sociale inferiore. Quindi si trovano delle tariffe
interminabili in questo senso: se un arimanno spacca la testa ad un servo quanto gli deve dare? Dipende
dal lavoro del servo. Ci sono centinaia di norme di questo tipo che servono proprio per disciplinare la
violenza. Il guidrigildo non si può corrispondere se chi commette il crimine è di statu inferiore, cioè se
chi commette il crimine è un servo; se un servo per esempio ferisce un arimanno non può che essere
messo a morte, proprio perché la giustizia non è uguale per tutti. Allora il processo di integrazione dov’è
in questo editto se ci sono norme cosi barbariche dal punto di vista dei romani? Innanzitutto la lingua, le
norme sono scritte in latino e poi c’è l’idea di mettere per iscritto qualcosa che non è un’operazione
banale, perché mettere per iscritto qualcosa vuol dire scolpirlo nel tempo, vuol dire adottare costumi che
si sono conquistati.
Di Rotari ci parla ancora una volta Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum, capitolo 42, libro
4:
“Della morte di Arioaldo, del regno di Rotari e del duca Arichi che inviò suo figlio presso il re
Arioaldo mori dopo aver regnato per dodici anni (635). Salì allora al trono Rotari, brodo di stirpò, uomo
di gran forza, che seguiva le vie della giustizia, ma che tuttavia, staccandosi dall’ortodossia, si macchiò
delle perfidie dell’eresia ariana. Gli ariani infatti, per loro dannazione, sostengono che il Figlio è minore
del Padre e che lo Spirito Santo è minore sia del Padre che del Figlio, mentre noi cattolici crediamo che
il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano d’ugual potestà e pari gloria: unico vero Dio in tre persone.
In quel tempo quasi tutte le città del regno avevano due vescovi: uno cattolico, l’altro ariano. A Pavia,
per esempio, ancor oggi (fine del VIII secolo) si può vedere dove aveva il battistero il vescovo ariano,
titolare della basilica di Sant’Eusebio, pur essendovi in città un altro vescovo, cattolico. Tuttavia il
vescovo ariano di Pavia, Anastasio, convertitosi poi alla fede cattolica resse la Chiesa di Cristo.
Rotari fece raccogliere per iscritto le leggi dei longobardi, affidate soltanto alla tradizione e alla
consuetudine: la raccolta fu chiamata Editto. Correvano allora settantasette anni dalla calata dei
longobardi in Italia, come Rotari stesso afferma nel prologo dell’Editto (643). Fu alla corte di Rotari
che Arichi, duca di Benevento, inviò suo figlio Aione. Che nel viaggio verso Pavia, una volta raggiunto
a Ravenna dalla malizia dei Romani si bevve una bevanda capace di perdere il senno: tanto che da
allora non fu più il più pieno e sano intelletto”.

Rotari è l’ultimo re ariano, tutti gli altri saranno cattolici. Quella che ci segnala Paolo Diacono è una
particolarità interessante: per diversi decenni ci sono chiese arane e chiese cattoliche.
Rotari inaugura questo filone della codificazione giuridica longobarda.
L’elemento più significato dell’integrazione tra longobardi e italici è quello della religione cioè la
conversione al cristianesimo cattolico. Questa avviene progressivamente per tutto il VII secolo, fino a
che nella prima metà del VIII possiamo dire che la stragrande maggioranza dei longobardi si è convertita
alla fede cattolica. Non solo, ma il più importante dei sovrani longobardi del’VIII secolo che governerà
per oltre 30 anni a Pavia, Liutprando, si darà un gran da fare per presentarsi agli occhi dei suoi sudditi
quale campione della fede e difensore della Chiesa. Per esempio facendo donazioni patrimoniali agli
ecclesiastici, promuovendo l’erezione di nuove chiese . Ancora una volta di questo fenomeno abbiamo
una testimonianza da parte di Paolo Diacono. Tenete conto che l’Historia Longobardorum si interrompe
proprio con la figura di Liutprando, cioè non arriva al momento in cui il regno longobardo crollerà, per
tutta una serie di motivi, per cui l’opera si interrompe con questo lungo regno di Liutprando, di cui Paolo
Diacono ci dice:
“Questo gloriosissimo principe, nei diversi luoghi dove soleva vivere costruì molte basiliche in onore di
Cristo. Eresse il monastero del beato Pietro che è chiamato “Cielo d’oro”, fuori delle mura di Pavia.
Fece costruire un monastero, il “Berceto”, anche sulla cima del monte Bardone. In Olona, a Cristo e in
onore di Sant’Anastasio martire, fece innalzare una splendida chiesa con una bella scalinata,
aggregandole anche un monastero. Parimenti edificò chiese in onore di Dio in altri luoghi. Ne fece
costruire una, in onore di Dio Salvatore, anche nella reggia istituendo inoltre (ciò che nessun altro re
aveva mai avuto) un collegio di sacerdoti e di chierici che gli celebrassero quotidianamente gli uffici
divini.
Liutprando, dopo trentun anni e sette mesi di regno, compì il corso della sua vita in cui era già avanzato
e venne sepolto nella basilica del beato Adriano martire dove riposa anche suo padre (744). Fu un uomo
di grande saggezza, prudente nelle decisioni, molto pio e amante della pace. Valoroso in guerra,
clemente con i rei, casto, pudico, oratore pronto, generoso nelle elemosine, pressoché ignaro di lettere
e tuttavia degno d’essere paragonato ai filosofi, premuroso del benessere del popolo e attento
legislatore. Agli inizi del regno occupò moltissime fortezze dei Bavari; poi, confidando più nella
preghiera che nelle armi, conservo con somma attenzione buone relazioni con i Franchi e con gli Avari”.

Vediamo qui come si passa dai re ariani e saccheggiatori di chiese a re cattolici.


Liutprando ha incrementato l’editto di Rotari aggiungendo nuove leggi.
Questo giudizio di Diacono è un giudizio un pò sopra le righe, che enfatizza alcuni aspetti sopratutto
quelli legati alla difesa della chiesa. Questi giudizi, almeno in parte, non è che corrispondano al vero, era
amante della pace? Insomma, dal punto di vista dei vescovi di Roma, dei papi, non lo era tanto, perché
inaugura una politica aggressiva nei confronti della residua presenza bizantina nella penisola, il che
significa cercare di attaccare tanto l’esarcato di Ravenna quanto il ducato di Roma. Liutprando inoltre ha
avuto a che fare anche con a Sardegna, anche se i longobardi non hanno mai conquistato l’isola, a
differenza della Corsica, perché ha avuto a che fare con la Sardegna? Sopratutto con Cagliari, perché ad
un certo punto vennero mandate a Cagliari delle navi per farsi consegnare dietro pagamento la salma di
Sant’Agostino. Sant’Agostino era stato sepolto a Ippona, odierna Algeria nord-orientale, sua città natale
ma quando i musulmani occupano questa zona, già bizantina, accade che alcuni cristiani dell’Africa
scappano verso la Sardegna portandosi dietro a salma che non si voleva finisse nella mani degli infedeli.
Quindi la salma di Sant’Agostino arriva a Cagliari, siamo alla fine del VII secolo. Dopo di che però
cominciano le incursioni dei musulmani verso la Sicilia e la Sardegna quindi c’è di nuovo il timore che
la salma di Sant’Agostino possa finire nelle mani degli infedeli. Quindi Liutprando un pò per sentito
personale, un pò per propaganda politica ponendosi come difensore della Chiesa si premura di mandare
queste navi per farsi dare la salma. Riesce ad ottenerla, la porta a Pavia e la fa seppellire nel monastero
di San Pietro dove si trova ancora oggi la salma di Sant’Agostino. Vedete quanto sia cambiata la politica
di presentarsi sempre più raffinata di questi re longobardi. Il successore di Liutprando, di cui non ci parla
Paolo Diacono perché si ferma al 744 (anno della morte di Liutprando), è Astolfo. Nell’anno 750 decide
che è giunto il momento di eliminare i bizantini dall’Italia settentrionale conquistando l’esarcato di
Ravenna. Prima di lanciare l’esercito verso la Romagna emana altre disposizioni, un brevissimo editto,
in cui spiega come debbano arruolarsi i soldati. In questi regni l’esercito non è composto dai soldati, i
soldati sono quelli assoldati, cioè pagati, stipendiati; in questi regni l’esercito è “di popolo” cioè tutti
coloro che hanno una certa ricchezza, terra fondamentalmente, devono provvedere ad armarsi e
combattere, quindi i costi ricadono tutti su i soldati. Quindi Astolfo in previsione di questa invasione
della Romagna prescrive quali sono le norme per armarsi in funzione della ricchezza. Cioè chi possiede
tot terra dovrà avere un certo tipo di armatura, chi ne possiede di meno avrà un altro tipo di armatura e
via dicendo. La cosa da segnalare in questo editto di Astolfo del 750 è che non esiste nessun tipo di
distinzione etnica tra longobardi e latini, questo significa che l’esercito longobardo nella metà del VIII
secolo viene reclutato sulla base della ricchezza, è questo l’unico discrimine, l’unico elemento ma se
l‘elemento etnico non è minimamente considerato e se i longobardi sono tutti cattolici è chiaro che ormai
siamo arrivati in un punto di non ritorno nell’integrazione tra coloro che avevano antenati germanici e
coloro che avevano antenati latini.
Astolfo porta l’esercito in Romagna, sconfigge gli esarchi, cioè i funzionari bizantini a Ravenna e occupa
non solo l’esarcato, quindi la Romagna, ma anche la pentapoli, quindi la fascia costiera delle Marche
settentrionali. Questo mette in grande allarme i vescovi di Roma, i quali cominciano a mettere in atto una
propaganda anti longobarda, cominciano a mandare lettere a grandi sovrani sovrani d’Europa sopratutto
ai franchi per spiegare quanto i longobardi fossero nemici della chiesa, pagani e barbari. Questo non è
vero, da un punto di vista religioso le affermazioni della Chiesa di Roma sono totalmente false, ma molto
utili per screditare i longobardi.
Perché la Chiesa di Roma aveva bisogno di screditare i Longobardi?
Perché quei territori lì, della Romagna e delle Marche, non erano della Chiesa di Roma, lo Stato della
Chiesa non esisteva, il Lazio non era un territorio della Chiesa ma dell’impero bizantino. Il fatto è che i
bizantini consideravano l’Italia come una terra difficile da gestire, lontanissima ormai, quindi dedicavano
pochissimi sforzi a gestirla con le loro risorse e spesso delegavano. Di questa delega avevano approfittato
moltissimo i papi da Gregorio Magno in poi, i quali di fatto, ma non di diritto, comandavano sul territorio
laziale. Non solo, ma aspiravano ad esercitare una forma di egemonia politica su tutta l’Italia meridionale,
sopratutto in quelle zone che erano rimaste formalmente sotto Bisanzio (Marche, Romagna, laguna
veneta e via dicendo).
Come i vescovi con il vuoto dl potere bizantino si erano abituati ad esercitare un potere di fatto si
rendevano anche conto che i tentativi dei longobardi di unificare il loro potere dalle Api fino alla Calabria,
eliminando tutte le residuali presenze bizantine, sottomettendo i ducati di Spoleto e di Benevento,
avrebbe trasformato i vescovi di Roma in vescovi del re di Pavia. Quindi era un problema eminentemente
politico, i papi non volevano finire sotto il governo politico dei re di Pavia, che erano perfettamente
cattolici. A quel punto i papi imbastiscono tutta questa propaganda che poi porterà all’arrivo in Italia dei
Franchi, prima con Pipino il breve e successivamente con Carlo Magno.
E la politica dei papi segna una strategia di lunghissimo corso, sulla quale avrebbe avuto modo di
soffermasi anche Macchiavelli, il quale all’inizio del 500 dirà:”La Chiesa di Roma non è mai stata cosi
forte da sottomettere interamente l’Italia, ma è stata abbastanza forte da tenerla divisa”.
Noi abbiamo parlato per l’Italia di questo periodo sopratutto dei regni longobardi, che da Rotari in poi
occuperanno anche la Liguria e la Corsica.
Alcune zone però, sopratutto le isole, rimangono bizantine.
Cosa accade in queste terre?
Abbiamo detto che da un punto di vista politico, molte di queste province sono lasciate a se stesse, non
tanto la Sicilia, la Calabria e la Puglia, dove continua ad arrivare la flotta imperiale e i funzionari, dove
si continua ad utilizzare il greco.
Però nella laguna veneta, nel Lazio e in Sardegna cosa accade? Se il supporto da Costantinopoli è debole
è chiaro che le élite locali devono provvedere autonomamente alla ripresa. Ogni frontiera è una zona
d’attrito, perché c’è sempre il tentativo di occupare le zone vicine, quindi la frontiera è una frontiera
bellica. Per tanto le élite locali anche se non spazzate via devono attrezzare per la difesa, quindi lo stile
di vita cambia radicalmente: si provincializza, crolla il livello culturale di questa élite e a fare la differenza
è l’attitudine alla guerra, anche qui le élite devono abbandonare gli otia tardo antichi e occuparsi alla
difesa militare del territorio. Cosi poi si arriva tra VII e VIII secolo in cui non c’è più una sostanziale
differenza di stile di vita tra le élite longobarde e le elite bizantine. Sono tutte élite portate al
combattimento, entrambe spinte a radicarsi in territori limitati e con un tipo di istruzione molto modesta.
Nelle zone dove i bizantini fanno più fatica a portare soldati, risorse dal mediterraneo orientale comincia
ad avviarsi nel VIII secolo un processo di autonomia politica. Significa che le cariche pubbliche, per
esempio il titolo di duca o altri, sono sempre confermate da Costantinopoli ma tendono ad essere ricoperte
sempre di più da funzionari scelti localmente. Cioè mentre prima i funzionari arrivavano dalle province
orientali, quindi magari erano funzionari che parlavano il greco e non conoscevano il latino, dal VIII
secolo troviamo funzionari bizantini in Sardegna, a Napoli, nella laguna veneta che però sono espressione
di scelte locali, delle aristocrazie locali. Questo è il primo passo di un processo che porterà dal IX secolo
in poi allo sganciamento di queste realtà periferiche da Costantinopoli. Queste repubbliche diventeranno
spesso dei titoli principeschi ereditari, per esempio a Napoli dove nel IX, nel X e nel’XI secolo
continuiamo ad avere dei duchi che si proclamano sudditi di Costantinopoli e datano i documenti della
cancelleria locale all’anno del tale imperatore di Bisanzio, ma che di fatto governano come se fossero
dei principi indipendenti. Formalmente richiamano questo collegamento con Bisanzio, ma nei fatti
governano autonomamente e il titolo ducale è diventato un titolo principesco, cioè che passa da padre in
figlio. Questo è quello che avviene a Napoli, ad Amalfi e a Gaeta. A Rivoalto (Venezia) il titolo ducale
non diventerà una carica ereditaria, ma una carica elettiva vitalizia, quello che in veneziano si chiama il
doge, che viene dalla parola dux latina. All’inizio del IX secolo i dogi veneziani sono scelti tra gli
aristocratici della laguna, la carica è vitalizia e c’è sempre questo formale riferimento a Costantinopoli.
Il fenomeno riguarda anche la Sardegna, anche se per la mancanza di fonti scritte è tutto più nebuloso
rispetto a quello che avviene a Napoli o a Venezia ma l’esito finale è del tutto identico. Cioè all’inizio
del XI secolo noi troviamo in Sardegna dei giudici, questi giudici, che sono 4 e che si sono ritagliati il
governo dell’isola, hanno dinastizzato una carica pubblica di origine bizantina, perché i giudici nel VI e
VII secolo era degli alti funzionari dell’isola mandati da Costantinopoli, poi anche qui ci sarà la scelta su
base locale e alla fine questo titolo diventa un titolo principesco.
Vediamo come l’Italia nel corso del VIII secolo conosca cambiamenti importanti e questi tendono ad
andare verso uno spostamento del baricentro politico e culturale dell’Italia verso ovest, tagliando alcuni
collegamenti con l’est, cioè con l’impero bizantino.
Un momento importante che segna un distacco dalla Chiesa di Roma da quella di Costantinopoli e che
poi è alla base della scelta dei vescovi di Roma nel cercare un’alleanza con i franchi, è quello legato alla
iconoclastia. Basta dire che si tratta di una controversia religiosa legata al culto delle immagini sacre,
cioè la rappresentazione iconografica della Vergine, dei santi e via dicendo e si materializza in aspre
contese nell’impero bizantino e poi nei rapporti tra gli imperatori di Costantinopoli e i vescovi di Roma.
Cioè gli imperatori bizantini del VIII secolo portano avanti una politica di distruzione delle immagini
sacre, considerate sacrileghe. Ci interessa un solo aspetto cioè che la Chiesa di Roma si ribella a questa
politica di distruzione delle immagini sacre allora gli imperatori di Bisanzio puniscono la Chiesa di Roma
attraverso due sistemi: la sottrazione all’arcivescovo di Roma del controllo di varie diocesi dell’Italia
meridionale e dei Balcani. Ogni arcivescovo aveva sotto di se una serie di diocesi, nel caso di Roma le
diocesi erano tantissime, in Calabria, in Puglia, nel Balcani in Sicilia, il controllo di Roma arrivava fino
a Tessalonica. Dal quel momento in poi tutte quelle diocesi che si trovano nel territorio imperiale
finiranno sotto il controllo del patriarca di Costantinopoli, quindi punizione dal punto di vista del
controllo della distrettazione ecclesiastica. Ma non solo: gli imperatori operano anche dal punto di vista
fiscale, confiscando i patrimoni, cioè la ricchezza privata della Chiesa di Roma sopratutto in Sicilia. In
Sicilia la Chiesa controllava centinaia di aziende agricole, quando c’era una carestia a Roma i papi
mandavano le navi in Sicilia, raccoglievano il grano nelle proprie aziende agricole, facevo arrivare questo
grano a Roma e sfamavano la popolazione, e questo faceva parte della politica di prestigio della Chiesa
romana.
Confiscando le terre gli imperatori di Bisanzio puniscono i papi ma con queste punizioni i vescovi di
Roma si rendono conto che di fonte al pericolo longobardo è inutile rivolgersi ai bizantini, perché hanno
dimostrato di andare contro gli interessi della Chiesa di Roma. Allora i papi faranno un’altra scelta: si
rivolgeranno verso un popolo più barbaro dei longobardi, i Franchi e chiameranno in Italia prima Pipino
il Breve e poi Carlo Magno.

Ora spostiamoci in un altro contesto geografico e culturale. Abbiamo accennato, parlando della
rinnovatio imperi di Giustiniano, dell’espansione dell’impero romano d’oriente con guerre condotte in
Africa, in Italia, nella penisola iberica. L’impero esce stremato dai questi decenni di conflitti.
L’impero bizantino a partire dalla fine del VI secolo è sulla difensiva pressoché ovunque. E’ sulla
difensiva nei Balcani, perché non ha le risorse sufficienti per impedire la penetrazione a sud del Danubio
dei popoli slavi. Anche qui popoli analfabeti, pagani, abituati a vivere sullo stato quasi nomade, con un
tipo di organizzazione sociale tribale. Questi popoli cominciano a sconfinare a sud del Danubio e ad
occupare gran parte dei Balcani. Quindi tra VI e VII secolo gran parte dell’urbanesimo balcanico, già
debole, finisce per scomparire. Nell’alto medioevo le città sono tutte scomparse, le uniche che si salvano
dall’invasione delle popolazioni slave sono le città della costa o quelle di costa dell’Albania (Zara,
Durazzo). Fuori da questa linea di costa tutti i Balcani interni sono occupati dagli slavi, che arriveranno
fino alla Grecia. Quindi l’impero è sulla difensiva sui Balcani, con la perdita di molte zone.
Poi sopratutto verso la prima metà del VII secolo i bizantini devono affrontare una minaccia forse anche
più pericolosa, cioè la guerra contro l’impero persiano della dinastia dei Sassani. Si tratta di una guerra
che occuperà gli imperatori di Costantinopoli, sopratutto l’imperatore Eraclio, che governa dal 610 fino
al 641. Questa guerra occuperà l’imperatore Eraclio per 20 anni, dal 610 fino al 630. E’ una guerra molto
lunga, logorante. All’inizio i persiani sembrano avere la meglio occupando anche la Siria, la Palestina
(dove trafugheranno l’icona della vera croce per portata nella loro capitale), l’Egitto e con l’aiuto degli
Avari e degli Slavi giungono ad assediare Costantinopoli nell’anno 626. La città si salva per miracolo,
anche con il concorso della Chiesa che fa fondere molti gioielli per reperire le risorse per pagare i soldati.
Eraclio è deciso a cambiare l’inerzia della guerra portando i propri eserciti prima in Armenia e poi
nell’alta Mesopotamia. Eraclio riesce a sconfiggere i persiani e alla fine riesce a riconquistare le province
della Siria, della Palestina e dell’Egitto. Quindi una guerra che apparentemente lascia nel 630 le cose
com’erano nel 610. Però questa guerra dura 20 anni e non passa senza conseguenze: entrambi gli imperi
ne escono stremati. Questa è la premessa per spiegare ciò che avviene nel medio oriente e nel
Mediterraneo pochi anni dopo la fine del conflitto tra bizantini e persiani.
Praticamente dal nulla un popolo che non era mai stato protagonista di tutto la storia antica costruisce
uno dei più grandi imperi mai esisti: l’impero islamico.
L’impero islamico è collegato alla nascita di una nuova religione monoteista. La nascita di questa nuova
religione monoteista è strettamente collegata alla figura di Maometto, un personaggio che nasce alla
Mecca intorno al 570. Questa zona è in larghissima parte, sopratutto nella zona centrale, una zona terribile
per quanto riguarda le condizioni favorevoli all’insediamento umano, ci sono zone desertiche,
intervallate da sporadiche oasi, quindi zone dove l’agricoltura sedentaria non si è mai potuta praticare.
Gli abitanti della maggior parte della penisola arabica conducono una vita seminomade all’insegna del
commercio carovaniero, dell’allevamento del bestiame minuto e della razzia. I valori del coraggio e della
fierezza sono determinanti in queste tribù che vivono in aree non facili. Le tribù sono chiamate Umbe e
composte da beduini che letteralmente sono gli “abitanti del deserto”. Queste tribù di seminomadi, di
allevatori, di mercanti sono gestite da consigli di anziani che trasmettono oralmente le tradizioni tribali,
la tradizione in arabo è chiamata Sunna, da cui poi deriva la parola “sunnita” per indicare la versione
ortodossa dell’Islam. A capo di ogni tribù c’è un Sahid che vuol dire capo o comandante. In questa Arabia
pre islamica la donna è considerata un bene di famiglia, cioè qualcosa che può essere acquistato con il
matrimonio, ve lo dico perché l’idea che la condizione femminile sia particolarmente degradata
nell’islam è in larga misura non corretta, nel senso che non è stato l’islam a dire che si potevano scambiare
le donne con oggetti o animali, questo era già presente nell’Arabia del tempo, gli elementi della società
arabica pre islamica finiscono inevitabilmente per trovarsi nella religione che si diffonde in questi spazi.
Quando si parla di religione teniamo sempre presente la realtà in cui si diffonde.
Una zona dove l’agricoltura è poco sviluppata ma dove esiste una corrente commerciale importante
perché la penisola arabica è una sorta di cerniera tra l’oceano indiano e il mediterraneo, sopratutto per
secoli è stato un punto di passaggio obbligato del traffico delle spezie.
E’ una realtà molto particolare; l’Arabia al tempo di Maometto era una realtà molto eterogenea dove
convivono molti culti politeisti. Uno dei luoghi più importanti della religiosità pre islamica è la Mecca
perché alla Mecca esiste un meteorite che all’epoca, ma anche oggi, veniva considerato un oggetto sacro,
la cosiddetta pietra nera. Dal punto di vista scientifico è un meteorite, i musulmani dicono che quello è
un dono dell’arcangelo Gabriele ad Abramo.
La Mecca che è la patria di Maometto è una città importante prima dell’islam per ragioni commerciali
ed è un luogo molto importante anche dal punto di vista religioso. Il clan che governa alla Mecca è il
clan dei Quraysh, che è un raggruppamento di più tribù di cui faceva parte anche Maometto, e trae il
potere e il prestigio proprio da questo duplice controllo dei luoghi di culto, tra cui la pietra nera e dei
traffici commerciali.
Maometto rimane presto orfano all’interno di una famiglia non molto importante del clan Quraysh, anche
se il nonno è stato per molti anni custode di una fonte d’acqua, questo può far sorridere ma in una zona
desertica in cui l’acqua è molto scarsa chi controlla una fonte non può appartenere ad una famiglia di
secondo rango.
L’Arabia pre islamica è per la maggior parte politeista ma non totalmente, non tutti gli arabi sono
politeisti, ci sono anche comunità cristiane e comunità ebraiche principalmente nella zone più
settentrionale dell’Arabia, cioè quel che poi finisce per debordare verso la Siria e la Palestina, siamo in
un’area di grande differenziazione dal punto di vista religioso. E’ importante tenere presente queste
minoranze cristiane ed ebraiche perché avranno una grandissima influenza sulla predicazione di
Maometto. Maometto sposa una ricca vedova, considerata una delle donne sante dell’islam, perché
essendo ricca permette a Maometto di impegnarsi con minore intensità nel suo lavoro e dedicarsi alla
riflessione spirituale. Purtroppo le fonti riguardanti la biografia di Maometto sono tarde rispetto al VII
secolo e spesso anche contraddittorie, cosi noi arriviamo al paradosso che non siamo nemmeno sicuri
che Maometto sapesse leggere e scrivere, che non è una banalità considerando che è il creatore di una
nuova religione monoteista. In ogni modo la possibilità che questa vedova offre a Maometto, lo mette in
condizione di riflettere sulla religione e gli permette di entrare in contatto con le comunità cristiane ed
ebraiche. Nell’anno 610 avviene la cosiddetta rivelazione. Mentre si trova nel deserto Maometto trova
rifugio notturno in una grotta, nella notte tra il 26 e il 27 del mese lunare arabo di Ramadan (il calendario
arabo è un calendario lunare, che si basa quindi su ciclo un di 354/355 giorni all’anno). In questa notte
Maometto riceve la visione dell’Arcangelo Gabriele, è la cosiddetta notte del destino. Successivamente
dichiarerà di aver ricevuto dall’arcangelo Gabriele il messaggio di Dio (Allah, che significa letteralmente
il Dio, non è un nome proprio) con tutta una serie di indicazioni connesse.
Negli anni Maometto dichiarerà di aver ricevuto anche altre indicazioni di Dio e quindi di considerare se
stesso un profeta, cioè colui che parla non di propria iniziativa ma colui che parla dando voce alla volontà
divina.
Maometto predica il monoteismo, che è in contrasto con tutta la tradizione islamica precedente, quindi
non è una cosa di poco conto.
Si considera un profeta, l’erede di una lunga tradizione ebraica, considera se stesso l’ultimo profeta di
Dio mentre il primo vero profeta è Abramo, perché nella genesi è il primo degli ebrei che rinuncia al
politeismo e abbraccia Jahvè, cioè l’unico Dio. Per Maometto ci saranno altri profeti collegati alla
religione ebraica, tutti i profeti della Bibbia, anche Gesù, Gesù è un punto fondamentale nell’Islam.
Almeno inizialmente Maometto e i suoi seguaci non si percepiscono in alcun modo un’alternativa al
cristianesimo o all’ebraismo, ma si percepiscono come un’alternativa totale rispetto ai politeisti, che sono
degli idolatri.
Il messaggio del cristianesimo è lo stesso, solo che nella concezione di Maometto il messaggio veicolato
attraverso la sua voce è quello finale. Dio ha parlato da Abramo in poi, l’ultimo attraverso il quale manda
un messaggio sono io.
Islam significa letteralmente sottomissione alla volontà divina, Muslim è il fedele, il credente nell’unico
Dio. Che Maometto si percepisse come l’ultimo dei profeti ce lo dice anche il fatto che fino all’anno 624
nei momenti in cui pregava invitava i suoi seguaci a pregare con lo sguardo rivolto verso Gerusalemme,
da un certo momento in poi dopo il 624/625 decide che il luogo verso cui si deve orientare lo sguardo
durante la preghiera è la Mecca.
I cristiani e gli ebrei sono considerati dei popoli che hanno ricevuto la rivelazione divina attraverso testi
scritti.
Un momento di passaggio fondamentale nella vita di Maometto è la cosiddetta Egira, la fuga dalla mecca
il 16 Luglio del 622. Fugge perché sta rischiando, perché la predicazione per le piazze contro i santuari
pagani ha messo in fibrillazione i capi, che decidono che è meglio liberarsi di Maometto che sta turbando
l’ordine costituito.
Maometto scappa in un luogo, a diverse centinaia di kilometri a nord-ovest dalla Mecca, dove la moglie
aveva delle terre. Questo luogo in origine si chiamava Yathrib poi diventerà Medinat an-nabit cioè la
città del profeta. A Medina Maometto costituirà una vera e propria comunità di credenti, in cui l’aspetto
religioso, politico e anche l’amministrazione della giustizia sono fortemente compenetrati. Questo è un
elemento molto importante. L’unica regione monoteista in cui l’aspetto giuridico è in larga parte estraneo
alla religione è il cristianesimo, perché il cristianesimo si è sviluppato in una società con delle istituzioni
molto forti che erano quelle dell’impero romano, quindi non può entrare negli aspetti della vita
amministrativa e della fiscalità. Sia l’ebraismo che l’islam si sono sviluppati in contesti politici deboli,
nel caso dell’Islam debolissimi, non c’erano delle istituzioni forti. Nella prima comunità islamica
l’elemento religioso, la giustizia e la politica sono fortemente collegate perché queste istituzioni sono
nate CON l’Islam, non prima.
A Medina nasce questa prima comunità di credenti, questa è spesso in rotta con gli abitanti della Mecca,
le relazioni tra i due sono spesso conflittuali, è come se ci fosse una guerriglia continua. Questa fase di
conflittualità è accompagnata da una diffusione dell’islam in vaste zone dell’Arabia, fino a che nel 628 i
capi clan della Mecca, stufi di questa guerra interminabile, decidono di aprire le porte a Maometto e di
convertirsi all’islam. Da questo momento in poi la conversione a questa nuova religione sarà rapidissima,
nel giro di pochi anni tutta l’Arabia passerà a questa nuova religione monoteista.

I principi fondamentali ella’Islam


Sono contenuti in largissima parte nel Corano che significa letteralmente “recitazione”, cioè è un testo
che deve essere recitato, è scritto in modo tale da essere mandato a memoria. Il Corano è stato messo per
iscritto circa 20 anni dopo la morte di Maometto. Lui muore nel 632, quindi negli anni 50 per opera dei
Califfi, si decide di mettere per iscritto i pilastri fondamentali dell’Islam sulla base di ciò che Maometto
aveva raccontato.
Il Corano è composto da 114 capitoli chiamati Sure. Queste Sure sono di lunghezza decrescente, le più
lunghe sono all’inizo e le più corte alla fine. Il Corano è scritto in lingua araba, una lingua diffusissima
a livello parlato ma poco utilizzata per la scrittura, nelle Sure si riprendono moltissimi aspetti del Vecchio
Testamento. E’ anche presente la nascita di Gesù nella capanna, cioè il presepe e Gesù compare in
moltissime Sure del Corano perché è considerato un grande profeta. Maria è considerata una donna santa
dell’Islam. Ovviamente quello che i musulmani non riconoscono è che Gesù sia figlio di Dio, per loro è
solo un profeta.
I principi fondamentali sono:
Shadada= la doppia professione di fede. Cioè c’è un unico Dio e il suo ultimo profeta è Maometto
Salah= la preghiera, che individualmente ogni musulmano dovrebbe recitare 5 volte al giorno con uno
strumento che lo separa dal suolo, per esempio un tappeto, e lo sguardo rivolto verso la città della Mecca.
C’è anche la preghiera collettiva, una volta alla settima (venerdì) in un luogo che poi prenderà il nome
di moschea, cioè è un edificio sacro dove la preghiera è gestita da uno studioso di testi sacri detto Iman.
Ramadan= mese del digiuno. Il digiuno è considerato una specie di battaglia contro i propri istinti
peggiori, si ricollega al mese sacro per eccellenza, cioè quello in cui avviene la notte del destino, la
rivelazione dell’arcangelo Gabriele. Il Ramadan prescrive che non si possa né bere né mangiare né avere
rapporti sessuali per un mese durante le ore di luce, si può consumare soltanto quando è buio.
Pellegrinaggio alla Mecca, cioè l’adorazione della pietra nera.
Zakah= elemosina di purificazione, cioè ogni persona dotata di un patrimonio è obbligata moralmente a
versare alla comunità un decimo del reddito annuo per finanziare attività di assistenza.
Jihad= la guerra santa. Qui non c’è mai stato accordo nemmeno tra gli studiosi musulmani sul significato
da attribuire a questo termine. Per alcuni è la guerra per l’espansione della fede, che inizialmente doveva
essere rivolta contro i politeisti, per altri sarebbe una guerra contro i propri istinti peggiori, contro il male.

L’Islam almeno per buna parte della sua storia si presenta come un perfezionamento delle varie religioni
monoteiste, pertanto dove i musulmani perdono il potere e instaurano una dominazione obbligano tutti i
politeisti a convertirsi, la pena è la morte. Gli ebrei e i cristiani possono continuare a praticare i loro culti,
sono considerati Dhimmi, cioè protetti. Ebrei e cristiani possono continuare ad avere i loro luoghi in cui
pregare a patto che paghino una tassa, una sorta di licenza per continuare ad essere ebrei e cristiani ma
non sono perseguitati, perché sono considerati popoli del Libro e quindi facenti parte idealmente della
stessa famiglia.

Lezione 5

Abbiamo parato dell’origine dell’islam e dei pilastri di questa religione.


Ci interessa particolarmente la storia dell’islam perché gli arabi convertiti a questa nuova religione
monoteista pochissimi anni dopo la morte del profeta avrebbero dato luogo a una delle più grandi
conquiste politiche e militari nella storia.

In pochi decenni gli arabi escono dalla penisola arabica e conquistano tutto il medio oriente, l’Africa
mediterranea, vaste regioni del centro Asia per arrivare in Europa con la conquista della penisola iberica,
quindi un impero quello che si realizza nel corso del VII secolo che va dall’Indo cioè dall’odierno
Pakistan fino alle sponde atlantiche della penisola iberica e dell’Arica settentrionale.
Questo processo inizia a realizzarsi all’indomani della morte di Maometto, prima però che questo si
realizzi si pone nel mondo islamico il problema della successione. Maometto aveva detto che lui era
l’ultimo profeta, quindi dal punto di vista religioso non potevano esserci più profeti, però la comunità
islamica aveva comunque bisogno di una guida. La guida politica e la guida religiosa coincidono, quindi
ci voleva qualcuno che prendesse le redini del mondo islamico, facendo le funzioni che aveva svolto
precedentemente Maometto.
Questa guida prenderà il nome di Califfo, che significa letteralmente “sostituto”, cioè il sostituto del
profeta. Per la verità dopo la morte di Maometto questo termine si trova alternato con un altro termine
Amir almuminin che significa comandante dei fedeli. Quindi il califfo o il comandante dei credenti
prende il posto del profeta. Il primo di questi califfi è il suocero di Maometto Abu Bakr. Lui è il primo
che avvia la Jihad, cioè le spedizioni a nord della penisola arabica, verso le terre dell’impero bizantino
da una parte e verso l’impero persiano dall’altra. Abu Bakr inaugura un periodo che è stato definito dagli
storici del califfato elettivo, cioè il califfo è un comandate che è scelto dalla cerchia dei vecchi seguaci
del profeta ma che non può trasmettere il potere in via ereditaria. Questa fase comincia nel 632 con Abu
Bakr e termina nel 660 con Alì, che invece è il genero di Maometto, avendo sposato la sua figlia Fatima.
Quindi il primo califfo è Abu Bakr (632-634), segue Omar (634-644), poi Othman (644-656) e in fine
Ali (656-660). Tutti questi fanno parte della cerchia originaria dei seguaci del profeta a Medina, dove lui
aveva creato il primo nucleo della comunità islamica. L’artefice delle conquiste più importanti è il califfo
Omar, che conquista Gerusalemme, la Siria, l’Iran, l’Iraq, l’Egitto.
Queste conquiste sono rese possibili dalla debolezza dei due imperi che si erano scontrati in una guerra
di 20 anni. L’impero bizantino e l’impero persiano avevano combattuto duramente indebolendosi a
vicenda. Specialmente l’impero persiano esce fiaccato da questa guerra e quando arrivano le armate
dall’Arabia non riesce a opporre la benché minima resistenza. Nel giro di pochi anni la Mesopotamia e
la Persia finiscono nelle mani dei califfi, è una conquista incredibilmente rapida. Per quanto riguarda
l’impero bizantino, anche se era uscito vincitore dalla guerra con i persiani, mostra segni di debolezza
militare e aveva un grosso problema di coesione interna dell’impero, che era minata dai conflitti di natura
religiosa. In particolare l‘Egitto e la Siria vedevano la presenza di maggioranze monofisite, cioè che
pensavano che in Cristo ci fosse unicamente la presenza divina. Questa posizione era fortemente
avversata dalla chiesa di Costantinopoli e spesso sacerdoti, vescovi monofisiti erano stati rimossi con la
forza dai soldati o dai funzionari mandati dalla capitale. La questione monofisita era diventata una
questione politica, le popolazioni copte e siriane dell’impero facevano di questa posizione teologia un
fattore identitario e anche uno strumento attraverso il quale protestare contro il centralismo di
Costantinopoli, la fiscalità imposta da Costantinopoli e via dicendo.
La questione teologica diventa una sorta di magnete che coagula intorno a se qualsiasi forma discontento
contro il governo centrale. Il risultato è che quando arrivano queste armate islamiche molte popolazioni
siriane e egiziane non si oppongono alla loro presenza, anzi alcuni salutano l’invasione araba come un
evento liberatorio che elimina il giogo di Costantinopoli in queste province, come si può vedere da un
breve passo in cui un intellettuale monofisita siriano saluta l’arrivo degli arabi nella sua terra. Questo
scrittore ci dice:
“Quando Egli (Dio) vide che la misura dei peccati dei romani era colma da traboccare suscitò i figli di
Ismaele e li attrasse al di qua della loro terra meridionale. Tuttavia, è stato stringendo un accordo con
loro che noi ci siamo assicurati la nostra liberazione. E questo non è stato un piccolo vantaggio, l’essere
liberati dal regno tirannico dei romani”.
“Figli di Ismaele” ci dice nel testo. Nella Genesi Abramo e sua moglie Sara sono molto anziani e non
riuscivano ad avere figli, Abramo però ha un figlio con la schiava Agar che si chiama Ismaele.
Successivamente con le preghiere Sara ha un figlio, Isacco, e cosi la schiava e il figlio Ismaele vengono
abbandonati nel deserto. Per cui dal punto di vista mitologico si interpreta la discendenza di Ismaele con
gli arabi, cioè coloro che sono stati abbandonati nel deserto a sud della Terra Santa.
Possiamo anche vedere come non è una vera e propria guerra quella condotta dai califfi volta a sterminare
i cristiani, tutt’alto, questa è una guerra di conquista militare. Durante le conquiste militari si possono
fare accordi con le popolazioni locali, se queste accettano il dominio degli arabi non c’è nessun problema,
si può tranquillamente rimanere cristiani o ebrei pagando una tassa.
Quindi conquista delle terre persiane e delle terre bizantine.
Per l’impero di Costantinopoli questo sarà un colpo durissimo, se pensiamo che l’Egitto era una delle
province più ricche dell’impero ed era anche il granaio di Costantinopoli.
In queste zone occupate dagli arabi non assistiamo a nessun tentativo di conversione forzata, a meno che
questi non fossero politeisti, come avviene per esempio in alcune zone orientali dell’impero persiano. La
maggioranza delle popolazioni continua ad essere cristiana per molti decenni. Non solo, ma i documenti
prodotti dall’amministrazione musulmana in queste province spesso sono bilingue se non trilingue. Cioè
nell’Egitto della seconda metà del VII secolo, troviamo documenti dei comandanti locali scritti in arabo,
greco e copto, per tener conto della pluralità linguistica dei sudditi.
Nei primi decenni della conquista continuano ad amministrare, a presiedere gli uffici quelle stesse
famiglie che esercitavano ruoli pubblici nell’impero bizantino e nell’impero persiano, cioè non c’è una
sostituzione dell’apparato amministrativo. Il passaggio è molto lento, prima che l’Egitto, prima che la
Siria siano arabizzati e queste terre siano totalmente convertite all’Islam ci vorranno secoli. Bisogna
arrivare al X/XI secolo perché la maggioranza di queste province si converta all’Islam.
Significa che gli arabi in queste zone non sovvertono l’ordine politico e sociale, non sconvolgono la
macchina amministrativa ma la fanno propria, non occupano le terre, lo Stato islamico mantiene la
tradizione e si conferma uno stato a base cristiana. I capi incamerano le entrate che devono servire a
remunerare i guerrieri che combattono su vari fronti, ma questi guerrieri non occupano le terre, anzi
spesso occupano specifici quartieri di città già importanti oppure fondano nuove città, per esempio in
Iraq ci sono molte città di fondazione araba. Nonostante l’espansione fosse stata motivata da ragioni
religiose non è un’espansione che avviene all’insegna del totale fanatismo, c’è una visione di
compromesso che permette agli arabi musulmani di fare proprio tutto il patrimonio culturale, scientifico
e politico delle terre che si trovano ad occupare.
Parlavamo del periodo dei califfi, del califfato elettivo, che è il periodo in cui si fanno più conquiste ma
è anche il periodo in cui i seguaci di Maometto tendono a scontrarsi per avere la supremazia. Infatti, sia
Othman che Alì moriranno di morte violenta per gli scontri legati alla cerchia originaria di Medina. Alì,
genero di Maometto, porta avanti l’idea che il califfato non può essere una cosa che può ricoprire
chiunque. Il califfato funzionando come guida religiosa deve essere appannaggio unicamente dei parenti
del profeta, lui era un parente acquisito avendo sposato la figlia di Maometto. Si crea un raggruppamento
intorno ad Alì che sottolinea questo aspetto, cioè che si può essere califfi solo se si ha un collegamento
di parentela con il profeta. Questo raggruppamento prenderà il nome di Shi’at Alì, cioè il partito di Alì.
Questo partito esiste ancora oggi, sono gli Sciiti. Ancora oggi in alcuni paesi musulmani prevale l’idea
che la guida debba avere un collegamento di parentela con il profeta. Il più grande paese sciita attuale è
l’Iran, cioè la Persia. Si contrappongo agli Sciiti i Sunniti, cioè quelli legati alla tradizione, infatti Sunna
significa in arabo tradizione. La stragrande maggioranze dei musulmani sono sunniti. Una delle
differenze tra Islam sciita e islam sunnita è che l’Islam sciita ha anche un’organizzazione di tipo clericale,
un’organizzazione gerarchica.
Questi sconti tra sunniti e sciiti saranno molto duri e sanguinosi, Alì sarà ucciso nell’anno 660.
Queste contrapposizioni interne si formano in concomitanza delle grandi conquiste militari. Nel 660
termina il periodo del califfato elettivo perché prende il potere un parente Othman tal Muawiya e inaugura
la dinastia degli Omayyadi che governeranno l’impero dal 660 al 750. Nel periodo degli Omayyadi le
conquiste proseguono ulteriormente. I musulmani occuperanno la Tripolitania, cioè la porzione più
occidentale dell’odierna Libia poi la Tunisia, l’Algeria il Marocco. Nel 711 un comandante berbero
islamizzato (berberi sono gli antichi abitanti dell’Africa mediterranea) tale Tariq (in realtà è un nome
persiano, in italiano Dario) varca lo stretto e porta le armate islamiche nella penisola iberica sconfiggendo
il regno dei visigoti. Questo stretto prenderà il nome proprio da questo comandante berbero “montagna
di Tariq” quindi Gibilterra. C’è una grande espansione verso ovest sbarcando nell’area dell’Africa
occidentale che poi prenderà il nome di Magrheb. Viceversa ad est i musulmani arrivano nel cuore
dell’Asia centrale. Poi arrivano fino al Pakistan, in India, quindi un’espansione grandissima. Nel periodo
omayyade la capitale religiosa è sempre la Mecca, ma la capitale politica viene spostata da Medina a
Damasco, questo spostamento ha un significato politico evidente. Damasco è una città antica con una
grande tradizione, dove la popolazione parla il greco e dove si può governare l’impero con più agio. Qui
verrà costruita la prima moschea. Risiedendo in una grande città dell’ex impero d’oriente i califfi
assumono anche le liturgie del potere degli imperatori bizantini e si aprono alla cultura ellenistica, greca,
cominciano le traduzioni di Aristotele, dei filosofi, dei matematici, dei medici, sedimentando tutte le
conoscenze della cultura antica nel mondo islamico. L’espansione omayyade si interrompe nel 750
quando una congiura di palazzo porta al rovesciamento di questa dinastia e al massacro quasi totale dei
membri della famiglia. Solo pochissimi membri della dinastia omayyade si salveranno da questa congiura
di palazzo e uno tra questi fuggirà nella penisola iberica fondando poi alla fine del VIII secolo un emirato
autonomo rispetto al governo centrale.
Le ragioni della rivolta sono da ricercare nel diminuito consenso dei musulmani nei confronti della
dinastia, perché nei decenni sono aumentati i musulmani presenti nell’impero ma per tutta l’epoca
omayyade solo i musulmani arabi possono occupare le cariche all’interno dell’impero. Quindi esistono
dei musulmani di serie A che sono gli arabi e i musulmani di serie B, i cosiddetti Mavali, i neo convertiti
che di solito non sono arabi ma reclamano una partecipazione politica maggiore.
La famiglia degli Abbasidi fa leva su questo scontento per eliminare la dinastia omayyade e prenderne il
posto. Gli Abbasidi diventano la dinastia che più a lungo ha governato l’impero islamico, dal 750 fino al
1258. Spostano nuovamente la capitale dell’impero fondando una nuova gigantesca metropoli nel cuore
della Mesopotamia, cioè Bagdad. Per costruire Bagdad, tra gli anni 50 e 60 del VIII secolo, pare siano
stati impiegati circa 100mila operai quindi una cifra spaventosa per creare una città immensa. Nel periodo
Abbaside terminano le grandi conquiste, nel mediteranno: le conquiste musulmane nel periodo Abbaside
si limitano alla Sicilia e a Creta però comincia la grande fioritura culturale, scientifica ed economica che
farà dell’Islam un punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo commerciale di molti centri italiani
come Venezia, Genova, Pisa. In questi secoli (VIII, IX e X) il mediterraneo vede la compresenza di
civiltà a differente grado di sviluppo economico, culturale e scientifico, un polo primitivo e
sottosviluppato cioè l’Europa occidentale e un polo sviluppato cioè il mondo islamico e il mondo
bizantino. I musulmani recepiscono l’eredità culturale del mondo bizantino e del mondo persiano. Mentre
nell’occidente le monete ormai non circolano più, nell’oriente le monete circolano copiosamente, gli
scambi commerciali sono floridi e l’agricoltura è in espansione, anzi sono stati i musulmani a portare una
serie di piante che non esistevano nell’antichità classica: canna da zucchero, gli agrumi, i meloni, alcune
piante industriali (per esempio i gelsi). Rivitalizzano il commercio delle spezie che aveva subito un
momento di caduta con il crollo dell’impero romano d’occidente, commercio di tessuti, e infatti molti
nomi di tessuti hanno ancora nomi che rimandano a quest’epoca musulmana. Hanno portato anche il
cotone. Stiamo parlando di una civiltà fiorente che rivitalizza alcune aree del mediterraneo entrate in
crisi. Stiamo parlando di un mondo che fa propria la civiltà urbana; gli arabi venivano dal deserto, erano
nomadi ma si adattano benissimo al contesto urbanizzato dell’impero bizantino e persiano e fonderanno
a loro volta nuove città. Le città musulmane erano grandi in certi casi 10 volte più delle grandi città
europee, per esempio il Cairo era 4/5 volte più grande di Roma, lo stesso Cordova nell’Andalusia
meridionale.
Un mondo fiorente che porta avanti importati studi di matematica, infatti la parola algebra è una parola
che rimanda al mondo scientifico islamico medievale, che coltiva gli studi di medicina, di filosofia, la
riscoperta di Aristotele avverrà proprio grazie all’intermediazione musulmana. Aristotele era stato
tradotto dal siriano o dal copto in arabo, poi studiosi cristiani vissuti tra XI/XII secolo in Sicilia o nella
penisola iberica cominciano a tradurre nuovamente questi testi, testi di grandi medici arabi o grandi
commentatori di Aristotele. Traducono dall’arabo al latino e torna ad essere uno dei punti centrali della
riflessione culturale dell’Europa occidentale attraverso questa via. Fino all’XI/XII secolo il cuore della
civiltà mediterranea batte a sud non a nord. Questo è anche il luogo di ambientazione di una grandissima
opera letteraria islamica: le mille e una notte. E’ una raccolta gigantesca di favole create tra l’VIII e XII
secolo con ambientazione mesopotamica, persiana, indiana comunque tutte collegate a questa ecumene
musulmana e sono tutte ambientate a Bagdad dove un principe, un califfo si è messo in testa di sposare
e uccidere tutte le fanciulle vergini per vendicarsi di un torto subito dalla moglie che lo ha tradito Ad un
certo punto incontra una ragazza che per sopravvivere racconta una storia ogni notte, per mille giorni,
per tre anni di fila, alla fine viene salvata dal marito. Queste favole sono interessanti perché ci fanno
vedere la mentalità, gli usi e i costumi di queste civiltà musulmane. Troviamo scene drammatiche, ma
anche banchetti dove le donne ballano e gli uomini bevono vino, anche se nel Corano c’è scritto che non
si può bere il vino, questo ci permette di avere una visione meno fanatica della civiltà islamica del
periodo.
In ogni caso questo mondo musulmano pare dominare la scena dalla fine VII secolo in poi.
In questo stesso periodo l’Europa, ripiegata su se stessa, conosce sviluppi diversi, molto più continentali
e meno mediterranei. Cioè in questi secoli matura una realtà che prima non esisteva cioè il concetto di
Europa che indissolubilmente è associato alle zone centro occidentali del continente, cioè un’Europa
impegnata tra i grandi fiumi che corrono tra la Francia e la Germania. Nasce in questo periodo l’idea di
un’Europa franco tedesca che sarà poi alla base dell’odierna Unione Europea perché l’impero creato dai
franchi in questo periodo aveva come cuore quelle zone in cui oggi si trovano le istituzioni dell’Unione
Europea, Bruxelles, Strasburgo e siamo proprio nelle zone di giunzione tra l’Europa romanza francese
e l’Europa tedesca e fiamminga.
Questa Europa prende corpo intorno al mondo franco che giungerà ad egemonizzare una buona parte del
continente all’inizio del VIII secolo.
Gli artefici della creazione di un nuovo impero, che poi prenderà il nome di “romano”, non sono però i
franchi della dinastia dei Merovingi (quella inaugurata da Clodoveo nel V secolo), ma a creare questo
nuovo impero romano saranno i discendenti di alti funzionari dello Stato, cioè i Carolingi detti anche
pipinidi per via del nome di alcuni membri della famiglia. I franchi avevano una concezione patrimoniale
dello Stato, questo significa che quando un sovrano veniva meno il regno e le terre del regno venivano
spartite tra tutti gli eredi maschi sopravvissuti, cioè non esisteva l’idea che il potere fosse qualcosa di
impersonale e che le istituzioni fossero separate dalla famiglia regnante. Alla morte di Clodoveo i figli
si trovano a gestire contemporaneamente il potere, spesso scontrandosi e scatenando guerre civili a
ripetizione. Questo schema di composizione e scomposizione del regno va avanti per molto tempo, fino
a quando nella seconda metà del VII secolo emergono come figure guida i maggiordomi di palazzo, oggi
li potremo definire come i signori della guerra, i comandanti militari dei vari regni guidano l’esercito in
battaglia e hanno il controllo amministrativo delle terre fiscali, dello Stato. Questi maggiordomi abusano
del loro potere e utilizzano la terra del regno per contrarre alleanze con vari guerrieri presenti nelle
province. In questo modo si creano delle fedeltà personali armate che non rispondo più al re ma rispondo
ai maggiordomi di palazzo.
Queste clientele armate sono definite nelle fonti del tempo Truspi, questa parola ha un’evidente origine
germanica e troviamo la stessa radice della parola nell’inglese trust, che significa monopolio, forza.
Queste truspe rappresentano le armate che i maggiordomi si palazzo di sono procurati utilizzando le terre
demaniali, dandole i concessione ai guerrieri. Queste concessioni sono sempre temporanee e revocabili,
la fedeltà militare è strettamente legata a questo beneficio temporaneo. Coloro che entrano nella fedeltà
di questi maggiordomi sono identificati con il termine Bassus, che significa ragazzo, cioè qualcuno che
entra al servizio di qualcun altro. Accade che questi maggiordomi diventano più potenti del sovrano.
Il fenomeno è particolarmente marcato in una zona del regno franco, la cosiddetta Austrasia perché per
via di queste continue scomposizioni e per via delle guerre civili, il regno vedeva dei grossi
raggruppamenti a capo dei quali c’era sempre un maestro di palazzo, queste zone sono l’Aquitania, cioè
l’odierna Francia sud occidentale, la Borgogna, zona della Francia vicino alla Svizzera, la Neustria, cioè
la zona dell’odierna Francia nord occidentale, e in fine la zona più importante dal nostro punto di vista
cioè l’Austrasia, zona che corrisponde oggi al Belgio, Renania, quindi zone in cui le popolazioni sono
bilingue, parlano da una parte l’idioma romanzo e dall’altra un idioma germanico. In questa zona i
maestri di palazzo sono espressi da una famiglia che poi gli storici hanno definito con il termine di
pipinide perché l’antenato più famoso Pipino di Heristal che assume un’importanza politica eccezionale
nel regno franco alla fine del VII secolo. Questa famiglia di pipinidi aveva la maggior parte delle terre
nelle Ardenne, una zona collinare prevalentemente in Belgio ma che tende a debordare verso l’Olanda e
la Germania, in questa zona bilingue di frontiera c’era il cuore del potere dei pipinidi. Pipino di Heristal,
che vive tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo comincia a presentarsi come vero detentore del potere
pubblico nel regno. Attraverso alleanze matrimoniali è riuscito a mettere le mani anche nella carica di
maggiordomo di palazzo di Neustria e dell’Aquitania e di fatto lui è l’unico maggiordomo di palazzo del
regno, l’esercito franco risponde praticamente solo a lui e non ai re della dinastia merovingia. Successore
di Pipino di Heristal, dal 714 in poi è suo figlio Carlo, detto poi Martello, per via della sue battaglie
vittoriose. E’ lui che guida l’esercito franco nella Francia occidentale per respingere l’avanzata
musulmana. Si tratta di musulmani che venivano dalla penisola iberica e compivano scorrerie in Gallia
con l’obbiettivo di conquistare anche queste zone. Carlo Martello sconfigge i musulmani nel 732 e li
ricaccia aldilà dei Pirenei.
Quello che è importante è che non è il sovrano della dinastia merovingia a cacciare i musulmani ma il
maggiordomo di palazzo con il suo esercito privato.
Il figlio di Carlo martello, Pipino detto il Breve, succede al padre nel 741. Per la verità Carlo martello ha
due figli, uno è Pipino il breve, l’altro è Carlo Manno. Carlo Manno presto si farà monaco e andrà a
Montecassino a passare i suoi ultimi anni di vita. Questo permetterà al figlio di Carlo Martello di prendere
da solo le redini del potere. A questo punto decide che è il momento di eliminare la finzione giuridica,
cioè togliere di mezzo l’ultimo discendente della dinastia merovingia e prenderne il posto a tutti gli
effetti, facendosi proclamare re. Per fare questo Pipino il breve ha bisogno di una fonte di legittimazione
perché altrimenti sarebbe solo un colpo di stato. Questa fonte di legittimazione gli viene dal mondo
ecclesiastico. In realtà Pipino il breve si presentava come protettore della Chiesa, aveva attirato in
Austrasia tutta una serie di monaci provenienti dall’Inghilterra, quindi coadiuvava quest’opera di monaci
evangelizzatori e si presentava agli occhi della chiesa franca come difensore degli interessi del mondo
ecclesiastico. Intorno al 750 Pipino manda un’ambasceria al pontefice romano per chiedergli se è giusto
che comandi chi ha il titolo ma non ha le facoltà oppure se sia giusto che il titolo regio vada a chi
effettivamente riesce ad esercitarlo. Il Papa risponde che è giusto che abbia il titolo di re colui che riesce
davvero ad esercitare questa funzione. Pipino il Breve, forte di questo sostegno del Papa che poi
incoronerà Pipino con l’olio santo come i re della Bibbia, prende l’ultimo discendente della dinastia
merovingia Federico III lo fa rapare a zero, sbarbare e chiudere in un monastero. Questo rituale del taglio
di capelli e della barba è un rituale di degradazione del potere perché in questi regni romano-barbarici
avere capelli e barba lunga avevano un significato simbolico molto forte, il valore militare era legato ad
una chioma fluente e una barba folta. E’ come se lo avesse disarmato, un vero passaggio di potere.
Vediamo questa vicenda sintetizzata negli Annali del regno dei franchi, cioè una narrazione anno per
anno delle vicende in cui si parla di questa ambasceria:
“Bucardo vescovo di Wurzburg e il cappellano Fulrado furono inviati a papa Zaccaria per interrogarlo
sulla questione dei re di Francia, che in quel tempo non avevano l’effettivo potere regio: era un bene o
no? Il papa Zaccaria fece rispondere a Pipino che era meglio che fosse detto re colui che esercitava un
effettivo potere che non chi era primo di vero potere regale. E affinché non si turbasse l’ordine delle
cose, ordinò con l’autorità apostolica che Pipino fosse fatto re.”
Come vedete Pipino manda due ambasciatori, ma sono due uomini di chiesa, un vescovo e un cappellano,
bisogna mandare degli ambasciatori che siano in grado di parlare nella curia pontificia, bisogna mandare
ambasciatori che sappiamo parlare, leggere e scrivere il latino, quindi non c’è alternativa agli ecclesiastici
perché solo loro conoscono questa lingua.
Diversi decenni dopo queste vicende tale Eginaldo funzionario di Carlo Magno, scrivendo la vita di Carlo
Magno accenna a quello che era il comportamento e lo stile degli ultimi re merovingi. Ovviamente
presenta la vicenda in modo tale da giustificare il passaggio di potere, quindi mette in ridicolo gli ultimi
re merovingi, che sono passati alla storia con l’appellativo di “tre buoni a nulla”.
In questa vita di Carlo magno Eginaldo codice:
“All’infuori del titolo, il re non aveva altra soddisfazione che quella di sedere sul suo trono, colla sua
lunga chioma e la sua barba pendente, farvi figura di sovrano, dare udienza agli ambasciatori dei diversi
paesi, e incaricarli, quando partivano, di trasmettere in suo nome le risposte che gli erano state suggerite
e magari anche dettate. Tolto il titolo reale, divenuto inutile, e gli incerti mezzi di sussistenza che il
maggiordomo gli concedeva come voleva, il re non aver si duo che un piccolo dominio, di modestissimo
reddito, con una casa e pochi servitori a sua disposizione per fornirgli il necessario. Quando il re doveva
viaggiare, saliva sopra una carretta tirata da buoi e guidata da un boaro secondo il costume rustico. In
tal equipaggio il re era solito andare al palazzo e presentarsi all’assemblea pubblica del suo popolo e
ritornare poi alla sua abitazione. L’amministrazione e tutte le misure e decisioni da prendere, tanto
all’interno che per l’estero, erano di competenza esclusiva del maestro di palazzo.”
Dei re buoni a niente giustamente rimpiazzati dai pipinidi, almeno questa è la propaganda ufficiale
dell’età carolingia che cerca di giustificare il colpo di stato.
Perché il papa ha appoggiato questo colpo di stato?
I franchi erano già una grande potenza infatti controllavano tutta l’odierna Francia, il Belgio e una parte
della Germania, avevano promosso opere di evangelizzazione verso le popolazioni germaniche, però il
problema dei pontefici romani di quel periodo non era ancora legato ad una visione ampia di tutte queste
vicende, ma erano ancora concentrati su una visione del tutto italiana. All’epoca, metà del VIII, il
problema dei papi erano i re longobardi, cioè la volontà di tutti questi sovrani di eliminare tutti gli
interstizi bizantini presenti nella penisola e creare un regno compatto dalle Alpi fino alla Calabria, in
questo contesto il papa avrebbe dovuto obbedire ai re di Pavia. Non potendo rivolgersi ai bizantini, deboli
e in rotta con la Chiesa di Roma per via della iconoclastia, i pontefici fanno una scelta azzardata, cioè
quella di puntare a una alleanza politica con i pipinidi. Pipino il Breve subito dopo l’incoronazione scende
in Italia, passando dalla Val di Susa, i guerrieri di Pipino irrompono nella pianura padana, sconfiggono
le armate di Astolfo che è costretto a lasciare l’esarcato. Pipino ritorna in Gallia, Astolfo riprende
l’esarcato, Pipino scende una seconda volta in Italia e sconfigge definitivamente Astolfo e lo obbliga a
concedergli la Romagna e le Marche. A questo punto Pipino il Breve ottiene queste terre e ne fa dono
ai pontefici di Roma, siamo nel 754. Questo è storicamente e simbolicamente l’origine dello stato della
Chiesa, cioè la donazione dell’esarcato e della pentapoli da parte di Pipino ai pontefici romani. Gli
imperatori di Bisanzio mandano ambascerie per protestare contro questa indebita donazione, ma la loro
debolezza non permette di contrastare la decisione del re franco. In questo periodo, subito dopo aver
ottenuto l’esarcato e la pentapoli, nella cancelleria pontificia viene elaborato il documento che è a tutti
gli effetti il più famoso falso documento della storia medievale europea, cioè la Donazione di
Costantino. Cioè la cancelleria pontificia capisce che è giunto il momento per spingere le ambizioni
politiche su un proscenio molto più vasto. Alcuni esperti cancellieri elaborano un documento in cui si
dice che l’imperatore Costantino nell’intento di formare il nuovo impero ha ceduto alla Chiesa di Roma
tutto l’impero d’Occidente, ma soprattutto l’Italia. Questo documento sarà ritenuto vero, autentico fino
al XV secolo quando uno dei primi filologi Lorenzo Valla dimostrerà che quel documento non può essere
del IV secolo ma è del VIII. Mentre faceva questo non stava più nel regno della chiesa ma a Napoli.
Dante credeva alla donazione di Costantino anche se critica fortemente il documento. Questo documento
falso ha avuto un’importanza eccezionale perché molti credevano che questo documento fosse vero,
perché non avevano gli strumenti culturali per identificarlo come falso, nessuno era in grado di smentire
questo documento.
I re longobardi si sono spaventati di fronte all’irruzione dei franchi perché è evidente che si tratta di una
potenza superiore. L’ultimo sovrano, Desiderio, cerca di correre ai ripari dando le proprie figlie in
matrimonio ai figli di Pipino il breve. Uno dei figli di Pipino il breve sarà Carlo detto Magno.
Carlo una vota diventato re dei franchi ripudia la moglie e sotto suggerimento di papa Adriano I attacca
Desiderio e il regno longobardo. I franchi dilagano nella pianura padana e assediano Pavia nel 774.
Desiderio si arrende, viene portato prigioniero in Francia ma non ucciso, poi molti degli ostaggi
longobardi, tra cui anche Paolo Diacono torneranno in Italia. Tra il 774 fino all’anno 800 Carlo porterà
il titolo di rex francorum et longobardorum. Inizialmente i funzionari del regno longobardo non sono
sostituiti poi nel 766 dopo una rivolta dei duchi, questi vengono estromessi e nelle varie città vengono
posti dei funzionari franchi: i Conti. La guerra contro i longobardi viene giustificata sul piano religioso:
i longobardi erano nemici della Chiesa quindi dovevano essere eliminati dal potere, anche perché
l’irruzione dei franchi in Italia non comporta uno spostamento di popolo ma semplicemente l’arrivo di
alcuni guerrieri che si insediano nella città prendendo il potere. I franchi saranno sempre in guerra, quella
con i longobardi sarà solo la prima. Ogni guerra ha una motivazione che rimanda alla sfera religiosa. La
guerra contro i musulmani nella penisola iberica, che è contro gli infedeli, questa avrà un esito modesto
e porterà alla creazione di una provincia di confine: la Marca ispanica, che corrisponde alla Catalogna
settentrionale e alcune zone della Navaglia. Oggi Carlo Magno è considerato una specie di eroe a Girona.
E’ nel contesto di questa guerra santa contro gli infedeli che si compie l’episodio che viene celebrato
nella Chanson de Roland, la morte del perfetto paladino. Questa guerra non porta grandi risultati perché
i musulmani sono troppo forti. Un altro luogo dove le armate franche combattono a lungo è la Sassonia,
cioè la Germania del nord. Fanno guerra per evangelizzare questi popoli, infatti i sassoni sono pagani e
i franchi mandano i monaci per evangelizzarli ma i sassoni li respingono. Non accettano il cristianesimo
con le buone e decidono di fare guerra.
L’esercito dei franchi entra in queste zone, ci sono villaggi distrutti e deportazioni di massa. Vediamo
cosa dice in proposito un capitolare emanato da Carlo Magno, i capitolari sono leggi che hanno valore
per tutto l’impero, e sono varate in occasione di assemblee annuali, per le quali Carlo Magno consigliava
ai suoi soldati più importanti di digiunare una sera prima e presentarsi di buon mattino. Chiede di
digiunare perché Carlo sapeva benissimo che i suoi soldati spesso mangiavano smodatamente e bevevano
smodatamente, perché nell’ethos di questi guerrieri mangiare e bere molto era considerato un simbolo di
forza, il guerriero associava alla forza la capacità di mangiare quasi bestialmente. Carlo Magno allora
per essere sicuro che si svolgesse pacificamente l’assemblea e che tutti fossero sobri per prendere le
giuste decisioni raccomandava il digiuno. In questi placiti, le assemblee, venivano prese le decisioni più
importanti per l’impero, potevano riguardare qualsiasi argomento, anche quello religioso perché la
Chiesa era considerata parte integrante dello stato.
Quello che ci interessa è ciò che si dice a proposito della Sassonia nel Capitulare de partibus Saxonie:
“Se uno segue riti pagani e fa si che il corpo di un uomo morto sia consumato dal fuco paghi con la sua
vita. Se c’è qualcuno della gente sassone che si nasconde fra gli altri senza essere battezzato, e se rifiuta
di farsi battezzare e vuole esimere e rimanere pagano, che muoia. Se qualcuno viene riconosciuto
infedele al nostro signore il re, sia punito con la pena di morte.”
La conquista viene seguita dalla costruzione di diocesi, di monasteri, di battesimi di massa. Altri luoghi
di combattimento saranno quelli dell’Europa centro orientale, per intenderci l’Austria, dove erano
presenti gli Avari, una popolazione di origine turco-mongolica, pagani che facevano razzie sia verso la
Baviera, sia verso l’Italia sia verso l’impero bizantino. Anche questo popolo quindi doveva essere
attaccato e convertito oppure sconfitto. Di questa guerra ci parla Eginardo, cioè il biografo di Carlo
Magno il quale ci dice:
“Fu depredato tutto il denaro assieme agli altri tesori. A memoria d’uomo nessuno ricorda che i Franchi
abbiano ottenuto in nessun’altra guerra mossa contro di loro un bottino e ricchezze maggiori. Sino ad
allora si era ritenuto che fossero quasi poveri. Tuttavia, dopo aver trovato cosa tanto oro e argento nel
palazzo del re, e dopo aver sostenuto un bottino cosi prezioso in combattimento, si potè pensare che i
Franchi avessero sottratto a ragione agli Unni ciò che essi avevano depredato a torto ad alti popoli.”
Per i franchi l’oro è qualcosa di sconvolgente perché nell’Europa del tempo non girava molto. Qua dice
Unni ma fa riferimento agli Avari, c’è una confusione terminologica, perché sono sempre popolazioni
che vengono dal’Asia. A questo punto dopo aver sconfitto anche gli Avari, il regno franco va dalla
Danimarca fino all’Italia centrale e poi dai Pirenei fino alla Boemia. Quando Carlo sconfigge i
longobardi, i pontefici provano a giocare la carta della Donazione di Costantino, Carlo riconosce i diritti
della Chiesa di Roma ma di fatto occupa tutta l’Italia centro settentrionale, cosi mette le mani anche sul
ducato di Spoleto.
Questo territorio fino all’800 era guidato da Carlo magno che portava il titolo di re dei franchi e re dei
longobardi. Ma dal natale dell’anno 800 Carlo Magno porta il titolo di imperatore romano, legittimato
dalla Chiesa di Roma. In quell’anno il pontefice, Leone III fugge da Roma dirigendosi in Germania dove
in quel momento si trova Carlo, perché l’aristocrazia locale lo vuole processare con l’accusa di spergiuro
e adulterio. Giurare il falso è una cosa molto grave, perché quando si giurava si giurava toccando le sacre
scritture, I Vangeli, quindi era una sorta di bestemmia giurare il falso. Però questa vicenda non è insolita
perché per secoli il titolo di vescovo di Roma era soggetto a un forte contrasto politico interno
all’aristocrazia perché le nome canoniche fino alla fine del XI secolo erano ambigue, cioè dalla tarda
antichità il pontefice doveva essere eletto dal clero e dal popolo. Ma a questo punto il problema è chi è
da considerarsi clero di una città e invece popolo, bisogna considerare tutti? Una scritta così ambigua
lasciava spazio a molte interpretazioni. Di norma il popolo era rappresentato dai potenti di una città,
quindi la carica vescovile diventava oggetto di contrasti. Leone III fugge dalla città per evitare di farsi
processare, Carlo torna a Roma con il papa, convoca un’assemblea e chiede al papa se le accuse per cui
lo vogliono processare sono infondate e di rispondere toccando i Vangeli. Il papa risponde di essere
innocente e Carlo lo assolve, facendo arrestare tutti quello che lo avevano accusato. Questo dà l’idea del
potere effettivo di Carlo.
Qualche giorno dopo, nella notte di Natale dell’anno 800, il pontefice metterà in testa a Carlo una corona
e lo proclamerà imperatore romano.
Come si legge nel Liber Pontificalis, che è un’opera enorme dove vengono narrate le vite dei papi. Si
dice:
“Il venerabile e benefico pontefice incoronò con le sue stesse mani Carlo, con una corona preziosissima.
Accadde allora che i Romani, vedendo come Carlo aveva difeso e amato la Santa Romana Chiesa e il
suo vicario, tutti insieme ad alta voce, ispirati da Dio e dal beato Pietro- colui che ha le chiavi per il
regno dei cieli- esclamassero:”A Carlo, piissimo Augusto incoronato da Dio, grande e pacifico
imperatore, vita e vittoria!”
Sottolineiamo che Carlo non poteva evitare di essere un imperatore romano, solo i vescovi di Roma
potevano ipotizzare che un re barbaro potesse diventare un imperatore romano. Cioè, Carlo diventa
imperatore per il suo esercito e per la forza delle sue armi ma con l’apporto ideologico e culturale della
Chiesa di Roma, senza questa non poteva diventare imperatore, l’ideologia che sta alla base dell’impero
di Carlo Magno è ecclesiastica. Senza questo appoggio sarebbe stato impossibile ricreare un impero
romano. Dal’800 in poi abbiamo due imperatori che si dichiarano romani, uno che sta a Costantinopoli
e l’altro che gira per tutta l’Europa e ha questa sede un po miserrima dal punto di vista demografico che
è Aquisgrana, nel cuore della Renania.
Lezione 6

Abbiamo visto come la legittimazione politica, ideologica, religiosa delle guerre di conquista portate
avanti dai franchi sia stata resa possibile grazie all’intermediazione ecclesiastica e con un ruolo
fondamentale esercitato dalla chiesa di Roma. Vediamo come era strutturato questo impero di Carlo
Magno, quale fosse il livello di organizzazione amministrativa e la prassi gestionale.

Uno potrebbe pensare che ci fosse un sistema abbastanza omogeneo dalla Sassonia all’Italia centrale,
dai Pirenei fino al bacino del fiume Elba, ma in realtà è solo apparente. Questo impero ho una patina di
omogeneità solo per quanto riguarda il diritto pubblico, ma per esempio per il diritto privato molte zone
continuano ad utilizzare le tradizioni giuridiche già presenti, quindi per esempio in Italia il diritto privato
prevalente continua ad essere quello longobardo. Quindi il diritto pubblico e le istituzioni ecclesiastiche
sono ciò che tiene in piedi questo grande impero, che ha enormi differenze anche dal punto di vista
linguistico, demografico, della presenza o meno del fenomeno urbano.
Le province che reggono l’amministrazione periferica dell’impero:
Di norma le province dell’impero sono i Comitati, che noi chiamiamo anche contee. Il comitatus
corrisponde grossomodo ad un’odierna provincia italiana e tende a corrispondere con la distrettuazione
ecclesiastica della diocesi. Questo significa che in Italia i comitati vengono collegati di norma alle città,
questo è difficile che avvenga nelle porzioni settentrionali dell’impero, perché le città o non ci sono o
sono scomparse, quindi troviamo comitati o diocesi che insistono su territori prevalentemente rurali. A
capo di ogni comitatus vi è un Conte. Questi conti sono funzionari pubblici che hanno sopratutto lo scopo
di organizzare la difesa militare del territorio, il reclutamento dell’esercito e l’amministrazione della
giustizia, riscuotono le imposte nelle loro province molto imperfettamente. Le imposte dirette non
esistono, esistono solo imposte indirette, cioè ci sono prelievi sui consumi e gli scambi ma anche in questi
caso sono sporadici e in larga misura in natura, la moneta circola molto poco. Questi Conti prevalgono
nell’ordinamento amministrativo dell’impero, ma in alcune zone dell’impero esistono province più
grandi e compatte, per esempio nelle zone di confine. Abbiamo visto che la guerra di Carlo contro i
musulmani nella penisola iberica aveva portato alla formazione di una nuova provincia di confine: la
marca ispanica. Questo è il nome delle grandi province di confine la Marca, a capo della quale viene
posto un Marchese. Abbiamo una marca ispanica, ma abbiamo anche una Marca Orientale, che
corrisponde al territorio dell’attuale Austria. Anche una regione italiana Le Marche rimanda a questa
tradizione carolingia. Poi ci sono, anche se molto poche, regioni più grandi che hanno una omogeneità
linguistica e di tradizioni culturale e via dicendo, oppure che ereditano distrettuazioni precedenti, per
esempio abbiamo il Ducato di Baviera, ducato di Spoleto, a capo di queste si trovano i duchi.
Questi funzionari hanno una connotazione prevalentemente militare, appartengono tutti all’aristocrazia
guerriera del mondo franco. A volte Carlo magno si è appoggiato a dei funzionari non franchi come
avviene in Italia nel periodo successivo alla conquista nel 774, ma poi c’è una rivolta dell’aristocrazia
longobarda e tutti i funzionari vengono sostituiti e arrivano questi conti franchi. Dovete immaginare
qualche centinaia di funzionari franchi. Una connotazione militare perché la funzione pubblica di norma
viene data in gestioni a questi guerrieri come una sorta di ricompensa per il loro servizio. C’è una
differenza però da sottolineare, cioè che i duchi, i marchesi, i conti non necessariamente sono vassalli
dell’imperatore, la loro connotazione principale è quella di essere funzionari pubblici, che è una cosa
diversa da avere un legame vassallatico. Il legame vassallatico è un rapporto di tipo personale che impone
un rituale attraverso il quale il bassus si inchina e giura fedeltà al signore il quale pone la spada sulle
spalle del suo vassallo e poi lo rialza e li da l’oscurum, cioè il bacio sulla bocca simbolo di fedeltà. Però
questo legame può esserci o non esserci, non è l’aspetto significativo, l’aspetto importante è che questi
guerrieri messi a capo delle province son funzionari pubblici. Solo che c’è un problema: non essendo
l’impero di Carlo magno e dei suoi successori uno Stato a base fiscale, come era stato l’impero romano,
esiste il problema di come stipendiare questi funzionari.
Questi funzionari non sono stipendiati, perché non esistono le risorse e le entrate fiscali per pagarli, per
questo motivo viene concessa loro la gestione del patrimonio del fisco cioè demaniale in modo che
traggano da questo patrimonio le fonti di ricchezza. Allora arriviamo ad una situazione abbastanza
confusa. Nell’Alto medioevo pubblico e privato tendono a sovrapporsi continuamente. Immaginate allora
una provincia governata da un conte, che è un grande guerriero e che dispone di terra sua nella provincia
e magari ha ricevuto anche un beneficio dall’imperatore e quindi dispone anche di terra statale da cui
trarre le risorse, allora questo conte trae la sua remunerazione per la funzione pubblica dalle terre
demaniali ma anche dalle sue private e tende a considerare tutte queste fonti di ricchezza come se fossero
tutte private.
Poi c’è un altro aspetto, quello legato alla giustizia. Il duca, il conte o il marchese è la massima autorità
anche in campo giudiziario, presiede i tribunali, che sono delle specie di assemblee che emettono
sentenze, cioè i placiti giudiziari. Essendo lui l’autorità principale quando condanna qualcuno, quando
impone una multa o una confisca tutti i beni vanno a lui, perché è funzionario pubblico. Questo tribunale
è pericoloso per molti, perché si è giudicati da una persona che si arricchisce multandoli, quindi i tribunali
dei conti sono dei luoghi pericolosi specialmente per i piccoli proprietari terrieri che sono alla mercé dei
potenti del luogo. L’abuso e la privatizzazione delle cariche pubbliche sono degli elementi quasi
intrinseci all’ordinamento imperiale, è difficile controllare l’attività di questi conti e dei marchesi, che
tengono inevitabilmente a operare nella provincia che amministrano come se fossero dei re locali. Carlo
Magno era perfettamente consapevole delle difficoltà e dei pericoli di questo sistema ma non lo poteva
cambiare più di tanto perché funzionari non stipendiati spesso finiscono fuori controllo, allora aveva
istituito una procedura, quella dei missi dominici, cioè funzionari itineranti, che giravano a coppia, un
laico militare e un ecclesiastico. Questi giravano da contea a contea per controllare l’operato dei conti,
raccogliere testimonianze e via dicendo. Immaginatevi questa burocrazia itinerante che si sposta da una
parte all’altra per controllare l’operato dei funzionari provinciali. Ma, considerando anche i mezzi di
trasporto e le vie di comunicazione del tempo, non era facile controllare tutte le province tutti gli anni,
anzi era praticamente impossibile. Considerate inoltre che le grandi strade romane non esistevano più,
quindi tutte le vie di comunicazione sono difficilmente percorribili. Questo impero è enorme e difficile
da gestire, lo stesso sovrano quando non era in guerra si spostava in continuazione, proprio per controllare
i suoi funzionari, cosi Carlo Magno e la sua burocrazia di corte tendeva a spostarsi in continuazione.
Ogni funzionario pubblico, quando Carlo arrivava a corte, era obbligato ad alloggiare a sue spese il
sovrano con il suo seguito e dare alimentazione a tutte le cavalcature della corte itinerante. La capitale
dell’impero era Aachen, Aquisgrana, la parte della Renania vicino al Belgio, zona dell’antica Austrasia.
Ad Aachen Carlo Magno fece costruire una cappella palatina, cioè una cappella imperiale, invitando i
suoi architetti a seguire il modello architettonico della chiesa di Ravenna di San Vitale. Ad Aquisgrana
era presente una burocrazia molto ridotta. Accanto alla cappella era presente il palatium. La parola
palatium rimanda al palatium per antonomasia cioè quello romano, il Palatino, che per secoli era stato la
sede degli imperatori romani. Li ad Anche troviamo cancellieri cappellani, tutti ecclesiastici perché sono
gli unici in grado di maneggiare adeguatamente il latino, la retorica , strumenti di comunicazione,
persuasione. Nella capitale ci sono anche i conti palatini, cioè quelli che aiutano direttamente il sovrano
nella gestione dell’impero, Orlando, quello che viene celebrato nella letteratura francese eran conte
palatino, cioè uno di quelli che stazionavano nel palatium imperiale. Questo impero cosi debole nelle sue
strutture di governo, era tenuto in piedi oltre che dalle strutture ecclesiastiche anche dalla gestione
amministrativa dei sovrani, che è particolarmente intensa. Carlo Magno e suo figlio Ludovico il Pio
hanno lasciato moltissimi capitolari, cioè leggi emanate nei placiti di primavera, emanate per capitoli. I
capitolari carolingi venivano emanati per argomenti più vari, si occupavano di gestione dei patrimoni
fondiari dello Stato o degli enti ecclesiastici, è questo il caso del Capitulare de villis, che spiega come
devono essere amministrate le terre dello Stato e della Chiesa. Sia dello Stato che della Chiesa perché
per Carlo Magno questi due enti sono la stessa cosa. Le leggi si occupano indifferentemente di
ordinamento pubblico e di ordinamento ecclesiastico, perché quest’ultimo è ordinamento pubblico, non
c’è differenza. E’ attraverso questo Capitulare che si può capire come venivano gestite le grandi aziende
di proprietà dello stato o della chiesa, quindi anche dei grandi proprietari laici. Questo sistema di gestione
delle grandi aziende è poi passato alla storia come sistema curtense, un sistema basato su una gestione
bipartita, cioè suddivisa due fondi. Da una parte abbiamo la grande riserva signorile, la cosiddetta pars
dominica, cioè la parte del signore dove lavorano gli schiavi e i servi, dove sono presenti anche pascoli
e patri incolte, dall’altra parte vi è invece la pars massaricia, cioè la parte data in concessione a coloni,
chiamati anche massari, che potevano essere o di condizione servile, quindi servi accasati su questi
poderi, o coloni di condizione libera. I massai dovevano corrispondere ai proprietari delle terre dei canoni
fissi o parziali, di norma questi canoni sono in natura, inoltre dovevano determinate prestazioni di lavoro
o in un tot di giorni alla settimana o durante un determinato periodo dell’anno nella riserva padronale.
Quindi le due parti delle aziende agrarie erano fortemente compenetrate, perché i coloni dovevano ai
proprietari non solo dei canoni ma anche delle prestazioni di lavoro che sono meglio conosciute con il
termine francese corvee (il lavoro obbligatorio nella riserva padronale).
I capitolari di Carlo Magno si occupano anche di giustizia, del reclutamento dell’esercito,
dell’ordinamento ecclesiastico, cioè di come si devono comportare i vescovi, che compito hanno nella
società del tempo, ad un certo punto emanerà anche dei capitolari in cui si spiega che nelle chiese
cattedrali deve esistere un collegio di canonici e il capitolo dei canonici, cioè quel luogo in cui si riunisce
il collegio dei sacerdoti che ha il compito di coadiuvare, di aiutare il vescovo nella gestione della diocesi.
Carlo Magno e suo figlio legiferano anche sulla vita dei monaci, cioè come si devono comportare, cosa
devono fare, quale regola devono seguire, infatti ci sono più monasteri che si danno delle regole, la legge
di San Benedetto comincia ad affermarsi per le sue qualità nel corso del VII secolo. Alla fine del VIII
Carlo magno si fa mandare una copia della regola per leggerla e eventualmente falla adottare da tutti i
monasteri dell’impero. Il suo successore, cioè Ludovico il pio, mentre è re di Aquitania conosce un
monaco benedettino della Francia meridionale, un monaco di origine visigota che poi diventa abate e
prende il nome di Benedetto. Questo monaco diventa il consigliere principale di Ludovico il pio ed è lui
che redige dei capitolari, dal 816 al 817, che prescrivono per legge a tutti i monasteri dell’impero
l’adozione della regola di San Benedetto. Quindi è per volontà imperiale che i monaci finiscono per
adottare questa regola. C’è questa forte intromissione della legislazione imperiale in ambito ecclesiastico.
A proposito di quanto abbiamo detto vediamo due brani relativi alla forte compenetrazione tra
l’imperium e il sacerdotium. Il primo brano è relativo ad una lettera inviata da Carlo Magno a Leone III
nel 796, pochi anni prima di essere incoronato imperatore. Carlo fa scrivere:
”Il nostro compito è difendere, con l’aiuto della benevolenza divina, dall’esterno la Chiesa di Cristo
dall’irruzione dei pagani e dalle devastazioni degli infedeli e rafforzare dall’interno il riconoscimento
della fede cattolica. Il vostro compito, invece, o Santo Padre, è questo: innalzate le mani come Mose in
aiuto del nostro esercito, in modo tale che il popolo cristiano, guidato da Dio, possa ottenere ovunque
la vittoria contro i nemici grazie alla vostra intercessione e in nome del nostro signore Gesù Cristo possa
irradiarsi in tutto il mondo.”
Vedete Carlo Magno spiega al papa qual è il suo compito. Il sostegno ecclesiastico non è solo religioso,
spirituale ma è anche culturale e di questo Carlo è pienamente consapevole. Carlo, come tutti i sovrani
del tempo non era particolarmente istruito, aveva un’infarinatura di latino ma non poteva che avvalersi
di funzionari. Ad un certo punto in questa lettera della fine del VII secolo scrive ad un abate tedesco:
“Carlo, per grazia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei Romani, all’abate Baugulfo e a
tutta la congrega, ad anche ai fedeli a te affidati, con i nostri oratori, nel nome di Dio onnipotente,
mandiamo un cordiale saluto. Sia noto alla devozione vostra a Dio gradita, che noi, insieme con i fedeli,
abbiamo ritenuto essere utile che i vescovadi ed i monasteri, a noi affidati col favore di Cristo, oltre alle
occupazioni originarie ed alle conversazioni della santa religione, debbano anche intraprendere lo
studio delle lettere, secondo la capacità d’insegnare che ciascuno, per dono divino, possiede. Per qual
cosa esortiamo voi non solo a non negligere gli studi delle lettere, ma anche, con intenzione umilissima
e a Dio gradita, ad appenderli a gara, acciocché più facilmente e rettamente possiate penetrare i misteri
delle divine scritture.”
Carlo nominava lui personalmente i vescovi e gli abati più importanti, riconosce e spinge gli alti
ecclesiastici dell’impero a svolgere un ruolo educativo, di fatto gli unici posti d’istruzione dell’Europa
sono le scuole delle cattedrali, cioè le scuole che volgono la loro attività educativa presso un centro
diocesano.
Accanto alle scuole cattedrali esistono, anche se poche, scuole monastiche, cioè legate a grandi
fondazioni, come San Vincenzo da Volturno in Molise e altri. Carlo ha come intellettuali di corte solo ed
esclusivamente ecclesiastici, abbiamo nominato Paolo Diacono, un alto intellettuale è il vescovo
anglosassone Alcuino di York. Questi monaci ed ecclesiastici dell’eta carolingia promuovono, sotto
suggerimento dell’imperatore, una vasta campagna di copiatura dei testi classici. Negli scriptoria, cioè
nelle officine in cui si scrive all’interno dei monasteri, vengono copiati numerosi testi della classicità
latina. E’ grazie ai monaci dell’eta carolingia che si è conservato in larga parte quel patrimonio di
letteratura antica che ancora oggi possiamo studiare. Senza quest’opra di copiatura di massa gran parte
di questo patrimonio sarebbe andato perduto. Quindi in questi monasteri non si studiava unicamente la
Bibbia, il Vangelo o i padri della Chiesa, ma spesso, anche se con finalità diverse dalle nostre oggi, si
leggeva e si studiava Cicerone, Quintiliano, Seneca, poeti come Ovidio, Orazio. Solo attraverso questa
intermediazione questo patrimonio è arrivato a noi. Nel 400 gli umanisti si mettono a cercare nelle varie
biblioteche monastiche i manoscritti antichi, quando rintracciano questi codici pensano che i codici siano
stati realizzati nell’antichità non nel IX secolo. Quindi quando iniziano a stampare le opere della classicità
adottano quel modo di realizzare le lettere che secondo loro era quello antico solo che quella antichità è
alto medievale, quindi i caratteri della stampa sono i caratteri della scrittura carolina. Voi scrivete e legge
nella scrittura dell’età di Carlo magno.
Questa riforma culturale è qualcosa che vive ancora oggi.
Carlo poi attua, alla fine de VIII secolo un’altra riforma dalla vita lunghissima, la riforma riguarda la
moneta.
Abbiamo detto più volte che l’Europa occidentale dell’alto medioevo è un luogo economicamente
arretrato, scarsamente popolato, con poche città, le tasse dirette quasi non esistono più, la moneta circola
molto poco, spesso le poche monete che ci sono vengono tesaurizzate, oppure si fonde l’oro e si crea un
gioiello. Inoltre nell’impero di Carlo Magno le miniere attive, che sono pochissime, sono quasi tutte
d’argento. Allora Carlo decide che ci saranno solo monete d’argento e decide che l’unica moneta
dell’impero sarà il denarus, il denaro d’argento, una moneta che pesava 1,7 grammi, il peso più o meno
dei nostri 2 centesimi.
Carlo magno riforma anche i pesi e le misure. Accade che questa moneta è l’unica, pensate ad un sistema
monetario in cui esiste un solo sistema di pagamento. Questa moneta ha un certo potere d’acquisto che
non è modesto ma nemmeno altissimo. Come paragone possiamo dire che è come se voi aveste una
banconota da 100, non potete comprare il pane con quella perché non vi possono dare il resto.
Questa moneta quindi non circola molto perché non va bene per gli scambi piccoli e non è nemmeno
adatta per gli scambi grandi, quindi spesso è impiegata non tanto come mezzo di pagamento ma come
misura di valore, cioè si prestano i servizi e le merci con riferimento a quella moneta ma poi il pagamento
avviene per baratto. Avere un’unica misura è un problema, così nell’epoca di Carlo Magno si inventano
i multipli del denaro. Vengono inventati per un motivo specifico: le monete hanno tutte una lega (rapporto
tra metallo prezioso e metallo non prezioso, di solito le monete non sono mai tutte di metallo prezioso),
si stabilisce che da una libbra come unità di peso di circa 400 grammi con una determinata lega d’argento
si possono coniare 240 pezzi di denaro. Allora si stabilisce anche che uno dei multipli del denaro sia la
libbra, che vale 240 denari. Quindi la libbra assume due significati, quello di peso e moneta, un modo di
contare. La parola libbra comincia ad indicare una moneta, questa è l’origine della parola lira.
Questa riforma sarà seguita anche dai sovrani anglosassoni in Inghilterra (puond, pondus latino, quindi
incidica sia un peso che una moneta).
Dall’eta di Carlo Magno fino a Napoleone, all’introduzione del sistema metrico decimale gran parte
dell’Europa utilizza il metodo per cui 240 denari fanno una libbra. Quindi sono riforme che hanno vita
lunghissima.
Questo impero che viene ereditato da Ludovico il pio nel 814, per pura casualità non viene smembrato.
Carlo Magno prima di morire (morirà a 70 anni che non è normale per un uomo del medioevo, la vita era
molto più corta) aveva previsto che il suo regno fosse diviso tra i suoi figli secondo lo schema tipico del
regno franco. La chiesa era contraria a questa prassi, ma in ogni caso tutti i suoi figli morirono tranne
Ludovico il pio che quindi gli succede.
Ludovico ha questo eponimo per il forte interessamento che dimostra per la Chiesa e per le istituzioni
ecclesiastiche. E’ lui che fa emanare i capitolari sulla regola di San Benedetto, è lui che concede a enti
ecclesiastici particolarmente ricchi dei diplomi di immunità, che sono concessioni dell’imperatore a
favore di monasteri, chiese o altri enti ecclesiastici, per cui nelle terre dell’ente i funzionari pubblici non
possono entrare per nessuna ragione. Queste immunità sono delle isole giurisdizionali. E’ una forma di
tutela che l’imperatore accorda ad alcuni enti ecclesiastici perché sa che questi enti essendo molto ricchi
e essendo spesso militarmente indifesi, possono fare gola ai funzionari provinciali che abusando del loro
potere possono entrare in queste terre e fare quello che vogliono. Questi diplomi di immunità rientrano
in quella politica di controllo dei funzionari pubblici. C’è un’attenzione molto forte nei confronti delle
istituzioni ecclesiastiche, che devono però all’imperatore obbedienza assoluta. Nel 824 Ludovico,
insieme a suo figlio maggiore Lotario, che nel frattempo è diventato re d’Italia, impongono alla chiesa
di Roma la constituito romana. In questa costituzione romana si dice che il nuovo papa prima di essere
scelto e nominato deve giurare fedeltà al sovrano, altrimenti non può esserci la proclamazione. Ludovico,
contrariamente al padre, avrebbe voluto trasformare la carica di imperatore, sganciandola dalla prassi
politica franca, cioè Ludovico voleva che il titolo imperale passasse unicamente al primo genito, in modo
tale da garantire una maggiore stabilità alla struttura imperiale. Il problema è che Ludovico ha più figli e
questi reclamano la loro fetta di potere. Quindi negli ultimi anni di regno di Ludovico il pio, che morirà
nel 840, inizierà una guerra civile tra i figli e l’imperatore. Questa guerra continua anche dopo la morte
di Ludovico, perché Lotario che era il primo genito entra in contrasto con gli altri due figli superstiti,
cioè Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico. La guerra civile riprende, Carlo il cavo che controlla
sopratutto la porzione occidentale dell’impero, quella che diventerà poi la Francia, e Ludovico il
germanico che controlla la porzione orientale, cioè tedesca, si alleano per affrontare militarmente Lotario,
che ha il titolo di imperatore. Lotario viene sconfitto più volte ed è costretto a riconoscere le ragioni dei
fratelli.
Cosi si arriva nel 843 con il tratto di Verdun alla spartizione in tre dell’impero. Da una parte abbiamo
il regno dei franchi occidentali guidati da Carlo il calvo che comprende circa i 2/3 dell’odierna Francia.
Poi abbiamo il regno dei franchi orientali, che comprende una grande parte dell’attuale Germania e
dell’Austria e poi una singolare, lunga striscia di territorio che comincia dall’Olanda, attraversa le attuali
zone della Sassia, della Lorena, della Svizzera, della Borgogna per arrivare in Provenza e unirsi al regno
di Italia. Questa zona tra l’Olanda e Roma è sotto il controllo di Lotario. Questa zona prenderà il nome
da Lotario e sarà chiamata Lotaringia, da cui deriva la Lorena.
Lotario mantiene questa striscia di territorio e l’Italia, che è il luogo dove avviene la consacrazione
dell’imperatore, cioè a Roma.
Durante la guerra civile accade anche un fatto rilevante dal punto di vista delle lingue europee, perché a
Strasburgo, città tedesca (ora fa parte della Francia) nel 842 si incontrano gli eserciti alleati di Ludovico
e Carlo il cavo. I guerrieri di Carlo il calvo parlano una lingua che può essere simile al francese. I guerrieri
di Ludovico il germanico parlano un idioma tedesco, come fanno a intendersi? Chi comanda i guerrieri
giura nella lingua dell’altro, per farsi comprendere. Cosi arriviamo nel giramento di Strasburgo a quello
che abbiamo detto, ci dice infatti:
“Dunque, il 14 febbraio Ludovico e Carlo s’incontrarono nella città chiamata un tempo Argentaria, oggi
popolarmente Strasburgo, e si scambiarono i giuramenti qui di seguito riportati, Ludovico in lingua
romanica e Carlo in lingua tedesca. E prima di giurare, arringarono come segue le rispettive schiere,
l’uno in lingua tedesca, l’altro in lingua romanica.”
Non leggiamo tutto il giuramento, ma solo una delle sue parti, quando prende la parola Carlo, dopo
Ludovico. Ecco come era riscritto l’idioma parlato nel regno franco alata met del IX secolo, una sorta di
antenato del francese: “Pro Deo amur et pro christian pollo et nostro comune salvament, d’ist di in avant,
in quant Deus savir et podir me dunat, si salvari eo cist meon frare Karlo et in aiudha et cadauna cosa,
si cum om per dreit son franar salvar dift, in o quid il mi altresì fate et ab Ludher nel plaid nunquam
prindrai, qui, meno vol, cist meon fradre Karle in damno sit.”
Un pò si capisce, è una forma molto corrotta del latino. Il giuramento che c’è sotto è invece redato in
antico tedesco, ma non lo vediamo.
Questo documento oltre ad essere una pietra miliare nella storia delle lingue dell’Europa continentale ci
fa anche toccare con mano quanto questo impero avesse dei punti di debolezza, non solo dal punto
amministrativo e fiscale ma anche da un punto di vista delle tradizioni culturali, della lingua. Questo
spiega la grande rilevanza degli uomini di chiesa, perché è impossibile capirsi se tutti parlano lingue
diverse e se nessuno sa leggere e scrivere, bisogna utilizzare questi uomini di chiesa che sono gli unici
in grado di farsi intendere ovunque perché parlano una lingua veicolare. Nell’impero di Carlo magno il
latino è qualcosa di ancora più importante dell’inglese oggi perché è l’unico modo per farsi intendere.
Queste guerre civili minano la compattezza dell’impero. Il titolo imperiale ereditato da Lotario, passerà
poi al figlio, Ludovico II, che sarà re dal 855, al 875. Poi il titolo di imperatore passa per via
dell’estinzione della linea di Ludovico II, a Carlo il calvo, che negli ultimi anni della sua vita torna a
ricoprire un ruolo unico nel regno, ma è una breve parentesi. Nel 887 un nipote di Carlo il cavo, Carlo
detto il grosso viene deposto dai grandi dell’impero, cioè viene dichiarato indegno di ricoprire il titolo di
imperatore dagli alti funzionari provinciali. Da questo momento in poi l’impero di Carlo magno non
esisterà più. Nato alla fine del VIII secolo, l’impero finisce con la deposizione idi Carlo il grosso nel 887.
Si vengono a creare in sostituzione dell’impero di Carlo, tre regni: L’impero di Germania, che è la
continuazione del regno di franchi orientali; il regno di Francia, che è la continuazione del regno dei
franchi occidentali; il regno di Italia, che segue la tradizione politica dai re longobardi di Pavia. In tutti e
tre i casi abbiamo alti funzionari provinciali che approfittano della debolezza della dinastia per farsi
proclamare re, ognuno nel proprio territorio, perché anche in Italia è il marchese del Friuli che nel 888
viene proclamato dai suoi guerrieri re d’Italia.
Perché Carlo il grosso viene deposto? Come ha fatto l’impero di Carlo magno a disintegrarsi? In parte
l’abbiamo visto, per le rivalità interne alla dinastia, per la guerra civile condotta dai figli di Ludovico il
pio, ma questo non basta a spiegare cosa sta avvenendo, anche perché i tre regni formati avranno grandi
difficoltà a mantenere in piedi l’ordinamento pubblico, alla fine del IX secolo e per tutto il X. Ciò che è
evidente è che le istituzioni pubbliche stanno vacillando, fino a crollare nel X secolo, cioè in questo
periodo ciò che viene meno è ciò che noi consideriamo lo Stato, l’ordinamento pubblico. Perché lo Stato
va in mille pezzi? Perché qui non esistono istituzioni forti come troviamo negli altri imperi?
L’impero di Carlo Magno è debole strutturalmente fin dalle sue origini, i suoi funzionari provinciali sono
strutturalmente portati a esercitare spinte centrifughe rispetto al governo centrale, cioè tendono a
trasformare la loro funzione pubblica in un dominio dinastico, cioè il funzionario pubblico non essendo
stipendiato, non essendo sottoposto ad un controllo stretto da parte della burocrazia centrale tende ad
abusare del proprio potere, nella gestione delle terre, nell’amministrazione della giustizia, nel controllo
dell’ordine pubblico. Questi tendono a patrimonializzare la carica pubblica, a trasformarsi da funzionari
a nobili. Noi infatti utilizziamo ampiamente la parola duca, conte e marchese per indicare dei nobili, cioè
degli aristocratici sanciti nella loro posizione da un punto di vista giuridico. Questo è ciò che succede
con il crollo dell’impero carolingio, quando i funzionari privatizzano la carica, la rendono dinastica ed
ereditaria da padre a figlio. Quindi uno degli elementi di debolezza dell’impero era proprio il suo
ordinamento pubblico fragile. L’ordinamento è fragile perché la struttura socio economica è debole, è un
impero grande con una economia primitiva, tutta incentrata sull’agricoltura e con un sistema fiscale
debolissimo. Nell’ambito di questa realtà, l’incredibile e straordinaria importanza che ha la terra
nell’esercizio del potere fornisce a questi funzionari un’arma formidabile. Loro controllano la terra anche
dal punto di vista gestionale del demanio diventano quasi da subito dei ras locali. Ma la spinta centrifuga
non è esercitata soltanto dai funzionari, è esercitata anche da altri soggetti e questo viene fuori in
particolare quando è necessario allestire un esercito per difendere un territorio. Carlo mango aveva avuto
buon gioco nel gestire la sua aristocrazia perché aveva condotto solo guerre di conquista, che significa
bottino, prestigio, fedeltà. Tanto più vinceva le guerre tanto più i soldati gli erano fedeli e riconoscenti
in virtù del bottino accumulato, ma quando i successori devono invece difendere il territorio allora i nodi
vengono al pettine, perché non esisteva un esercito stabile, quindi difendere la frontiera era una faccenda
complicata che spesso era demandata ai funzionari. Nel mondo franco i guerrieri combattono una
stagione, qualche settimana, al massimo qualche mese, poi devono essere ricompensati in qualche modo
e tornare alle loro terre. Ma una volta realizzato l’impero il problema è difendere le frontiere, ma non c’è
nessuno che le difenda perché questi guerrieri non stanno ai confini a difendere, perché nessuno gli
remunera per questo servizio. Questo è uno degli spetti fondamentai che emergono nel corso del IX
secolo quando l’impero deve fronteggiare degli assalti. Questi attacchi vengono sia da sud che da nord.
Dal nord il pericolo e gli attacchi vengono dal mondo scandinavo, sono i cosiddetti normanni o vichinghi,
pirati pagani che provengono dalle coste della Danimarca e della Norvegia. Questi vichinghi si muovono
con barche molto lunghe e strette, saccheggiano le coste e sono pure capaci di risalire i grandi fiumi,
attaccano i grandi patrimoni ecclesiastici, incendiano i monasteri, arrivano anche a Parigi e la
saccheggiano. Le autorità imperiali sono incapaci di fermare i vichinghi perché non c’è un esercito
stabile, quindi gli imperatori più passa il tempo più sono screditati agli occhi dei propri sudditi. Ma le
scorrerie non vengono solo dal nord. Le scorrerie vengono anche da sud ad opera dei pirati saraceni.
Abbiamo visto che i musulmani alla fine del VII secolo conquistano il territorio che poi prendere il nome
di Maghreb, dal 824 i musulmani della Tunisia invadono la Sicilia. Sbarcano a Marsala, che è un nome
arabo che significa posto di Alì e poi con il passare dei decenni invadono tutta l’isola, facendo di Palermo
la loro capitale. I musulmani terranno la Sicilia dal IX secolo fino alla seconda metà del XII. Lasceranno
molte tracce, specialmente nella toponomastica, cioè nei nomi delle città. La Sicilia diventa il bastione
offensivo più settentrionale del mondo islamico. Dalla Sicilia, dalla zona della Tunisia, arrivano continue
scorrerie verso le coste italiane del Tirreno, la Sardegna, la Corsica, la Liguria, la Provenza. Ad un certo
punto guerrieri musulmani occupano anche Taranto e Bari, facendone delle vere e proprie roccaforti
nell’Italia meridionale. Creano anche una fortezza alle foci del fiume Garigliano e giungono a creare una
fortezza anche in Provenza. Da queste basi i saraceni conducono scorrerie nell’interno dell’Italia, nella
Francia, arrivando fino a saccheggiare il monastero svizzero di San Gallo. Sono incursioni devastanti,
nel 845 i musulmani mettono a sacco Roma, la città è saccheggiata dagli infedeli ed è in seguito a
questo sacco che verranno costruite le mura intorno al Vaticano, chiamata la cinta leonina, perché voluta
dal papa Leone. Viene saccheggiata Montecassino, incendiata l’abbazia molisana di San Vincenzo di
Volturno. Insomma i saraceni diventano padroni del Tirreno e del mar Ligure. L’impero di Carlo magno
deve affrontare queste incursioni da nord e i saccheggi a sud. L’impero è militarmente incapace di far
fronte a questi problemi, davanti ai quali emerge il ruolo politico militare del grande possesso fondiario.
Da una parte abbiamo dei funzionari che vanno per conto loro e creano le proprie basi di potere, dall’altra
abbiamo grandi enti ecclesiastici o proprietari laici dotati di molta terra che cominciano ad organizzare
la difesa militare di un territorio ristretto, ma siccome dispongono di molte terre riescono a crearsi delle
clientele armate remunerando i guerrieri con concessioni di terre. Quindi per il fatto che, al contrario
dello Stato centrale, riescono a difendere un territorio si arrogano il diritto di esercitare le funzioni
pubbliche. Cioè dalla fine del IX secolo in poi emerge una fletola di poteri locali che finiscono per
sostituirsi all’autorità centrale, lo Stato va in pezzi. Dal IX secolo anche nei regni che sopravvivono dal
regno di Carlo magno abbiamo una situazione analoga, cioè l’emergere di quella che viene definita come
signoria di banno, o signoria territoriale, cioè poteri locali che si sostituiscono al potere centrale. E’
qualcosa di insolito nella storia dell’Europa che una miriade di poteri locali finisce per sostituirsi a potere
centrale.
Vediamo un paio di esempi per comprendere meglio, gli esempi riguardano tutti l’Italia. Questi mostrano
che i re, deboli, incapaci di fronteggiare le incursioni dei saraceni e degli ungari (cavalieri che vengono
dal cuore dell’Asia), devono cedere pezzi di potere pubblico, perché per loro è sempre meglio riconoscere
un potere locale, perché significa stabilire un contatto giuridico, piuttosto che lasciare la situazione alla
deriva.
Il primo documento fa riferimento ad una concessione di incastellamento, cioè di fortificazione, disposta
dal re Verengario e già marchese del Friuli al monastero di San Teodota di Pavia:
”Diamo facoltà di costruire sui beni e i possedimenti del monastero alcuni castelli, nei luoghi opportuni,
con bertesche, merli difensivi, aggeri e fossati e tutto quanto possa impedire le ostilità dei pagani (gli
Ungari), e concediamo di poter tagliare e sbarrare le strade pubbliche che sono intorno ai castelli,
previa donazione, in cambio, di altri luoghi di passaggio pubblico.”
I castelli sono villaggi murarti e di norma la fortificazione non è in pietra, la parola che si trova in questi
documenti è castrum, al plurale castra, che in questo caso non è solo l’accampamento ma è proprio un
villaggio fortificato. Il re sta cedendo a questo monastero la difesa militare del territorio e concede la
costruzione di qualsiasi fortificazione, quindi lo stato centrale aliena pezzi i potere pubblico.
Ultimo esempio: Ugo e Lotario, re di Italia, alienano al conte Aleramo la pienezza dei diritti pubblici in
un villaggio del Piemonte sud-occidentale (935)
“Concediamo inoltre al suddetto nostro fedele Aleramo e ai suoi eredi, nel villaggio denominato Ronco
e sia tutti gli arimanni (uomini liberi in grado di portare le armi) che vi risiedono, il potere di coercizione
ed ogni autorità pubblica e di giustizia, quale apparteneva per consuetudine all’autorità pubblica e ai
nostri messi: e come sinora venivano al palcito (riunione periodica in cui si amministrava la giustizia)
alla nostra presenza, o del nostro conte palatino o di un qualunque altro messo, cosi facciano alla
presenza del suddetto nostro fedele.”
Questi sovrani deboli della prima metà del X secolo sono disposti ad emanare questi diplomi in cui in
pratica si mette in vendita ai più potenti pezzi di ordinamento dello Stato.

Lezione 7
Abbiamo parlato della crisi dell’impero carolingio e della disgregazione anche nei regni formati dopo la
caduta. Abbiamo visto che anche in questi regni il potere centrale trova molte difficoltà a tenere le redini
del governo. Crisi del potere centrale è evidente quando i sovrano dimostrano di non essere all’altezza
del territorio e di non poter tutelare i propri sudditi, non avendo un esercito adatto alla difesa, perché i
guerrieri non era stipendiati. Dalla fine del IX secolo l’impero è disgregato e in ogni regno assistiamo a
fenomeni abbastanza simili, quindi lo sgretolarsi del potere centrale e l’emergere di poeti su scala locale.
Questi poteri sono di natura molto varia, possono essere vari funzionari pubblici, grandi enti ecclesiastici,
grandi proprietari terrieri laici. In generale le formazione di questi poteri locali, che li storici definiscono
come signoria di banno, signoria di castello, sono poteri che sgretolano il potere dei sovrani. I sovrani
cercano di salvare il possibile emanando dei diplomi, cioè dei documenti di pergamena abbastanza
solenni, per delegare il potere ai funzionari per la difesa del territorio, questo serve per dare una parvenza
di legame tra quello che è il titolare dei poteri, cioè il re e i funzionari che eseguono le sue prerogativa.
Questi sovrani del X secolo in tutti e tre i regni emanano questi diplomi e non legiferano più perché non
hanno più l’autorevolezza per questo.
L’mergere di poteri locali non è la conseguenza del feudalesimo. I conti, i marchesi e i duchi sono
funzionari pubblici, potevano talora avere dei rapporti personali con il sovrano, quindi un legame
vassallatico, ma non era obbligatorio che questo avvenisse, e la maggior parte dei funzionari pubblici
non avevano questo legame con l’imperatore. Viceversa questi legami di natura vassallatica si
dispongono dopo la fine dell’impero carolingio, cioè non è il feudalesimo all’origine della caduta
dell’impero, ma è una sua conseguenza, perché se esercitare il potere sui territori diventa complicato
ecco che il rapporto personale, vassallatico finisce per sostituirsi al rapporto che potremmo definire
normale, tra il sovrano e i funzionari. Questi legami cominciano a diffondersi dopo la fine dell’impero
carolingio, visto che le istituzioni pubbliche vengono meno sono sostituite da una sorta di legame di
fedeltà personale. Il sovrano investe totalmente questi potenti di poteri di natura pubblica attraverso un
legame feudale perché è l’unica alternativa possibile ad una situazione completamente fuori controllo.
Questo è quello che avviene nell’Italia settentrionale, in Francia, nei PaesiBassi e i Germania.

Concentriamoci ora sul rapporto tra gli enti locali e le potestà universali (impero e papato) nell’Italia del
X secolo.
L’Italia ha una particolarità in più rispetto al resto dell’Europa, cioè che la sua porzione centro
settentrionale ha fatto parte dell’impero carolingio, ma la sua parte centro meridionale e insulare è fuori
da questa tradizione politica, eppure consce dinamiche centrifughe rispetto al potere centrale che sono
simili.
Nell’Italia del X secolo convivono realtà politiche, culturali e giuridiche molto differenti, è una realtà
davvero molto sfaccettata: da una parte è evidente la tradizione franca, dall’altra parte si ricollega al
mondo bizantino e dall’altra ancora al mondo islamico.
Italia centro settentrionale è quasi tutta riferita nel Regno di Italia, con capitale a Pavia, che ha fatto
prima parte del regno longobardo e poi del regno carolingio. Nell’Italia settentrionale esiste una
porzione di territorio che invece, almeno storicamente, è sotto il controllo della Chiesa di Roma. Il potere
effettivo della chiesa di Roma è del tutto teorico e si concentra principalmente nel territorio laziale dove
la gran parte della terra è di proprietà privata della Chiesa, infatti dalla seconda metà del VIII secolo una
buona parte delle terre demaniali, dell’impero bizantino sono finite nelle mani della Chiesa. E’ su questa
zona che i papi esercitano un potere politico effettivo.
Ci sono altre zone ancora bizantine, alcune solo sulla carta, altre lo sono effettivamente; sulla carta nel
senso che dal punto di vita giuridico sono bizantine ma non dal punto di vista effettivo, perché il controllo
è ormai sfuggito agli imperatori, per esempio la Sardegna, la laguna veneta, qui l’autorità è bizantina
ma nei fatti è esercitata da autorità locali.
Viceversa ci sono terre che continuano ad essere governate da funzionari bizantini e queste sono la
Puglia, la Basilicata e la Calabria. In realtà tra la fine del IX secolo e l’inizio del X i bizantini
riconquistano la Puglia settentrionale, la Basilicata (terra del basileus cioè dell’imperatore di
Costantinopoli) e la Calabria settentrionale, quindi c’è tutta questa zona che è sotto il controllo dei
bizantini, poi però emergono poteri locali legati al passato longobardo, infatti questa era la terra del
Ducato di Benevento, che poi conosce una sorta di guerra civile interna che porta alla formazione di
nuovi ducati. Questa disgregazione politica porta alla formazione di grandi signorie locali che sono legate
a grandi enti ecclesiastici, due sono quelli principali: Montecassino e San Vincenzo di Volturno.
Nell’Italia del X secolo esiste anche un’altra realtà, cioè quella della Sicilia islamica.
La Sicilia era stata invasa nel IX secolo e totalmente conquistata nel X secolo e farà parte dell’impero
islamico. Dal punto di vista demografico, economico, culturale rappresentava in larga parte una civiltà
più evoluta rispetto alle altre parti dell’Italia, per esempio circolavano le monete d’oro, Tarì.

Concentriamoci sul Regno di Italia, perché conosce una lunghissima fase di guerra civile, che permette
la proliferazione di poteri locali e costituirà la premessa dell’arrivo in Italia di un potere germanico.
Dopo la distruzione dell’impero carolingio, quindi dal 887 in avanti, conosce contese interminabili tra i
vari principi, i quali non sono altro che i discendenti di grandi funzionari pubblici del regno carolingio.
Vediamo inizialmente come re d’Italia Berengario, già marchese del Friuli e lui è il primo dei re d’Italia
che inaugura tutta una serie di concessioni ai potenti per mantenere le redini del potere politico. Il potere
di Berengario è sfidato dai duchi di Spoleto, Ugo e Lamberto. Poi per un breve tempo il regno d’Italia è
preda di un re tedesco Arnolfo di Carinzia, poi entrano sulla scena a partire dagli anni 20/30 del X secolo
i Conti di Provenza, i quali a loro volta diventano re di Italia, insomma si va avanti a colpi di stato in
questa guerra civile interminabile, fino a che non scende in Italia, con un grosso esercito, un grande re di
Germania, Ottone I.
Ottone I scende in Italia negli anni 50 del X secolo. Ottone godeva di granissimo prestigio perché è
riuscito dopo battaglie numerose, a sconfiggere gli Ungari, questo popolo proveniente dalla zona uralica,
gli ungari pagani avevano operato per decenni numerose devastazioni sia in Germania che in Italia.
Questo sovrano ha sposato tale Adelaide, che è la moglie, ormai rimasta vedova, di uno dei re d’Italia,
Lotario. Adelaide reclamava la sua eredità di potere che era sfidata invece da Belingario, già marchese
di Ivrea in Piemonte. Ottone I scende in Italia per sostenere le rivendicazioni politiche della moglie
Adelaide. Scende nella penisola sconfigge Belingario e nell’anno 961 si fa incoronare re dItalia.
Nell’anno successivo va a Roma e viene incoronato dal papa Giovanni XII Sacro romano imperatore,
cioè Ottone I avendo sposato la legittima erede al trono d’Italia, prima è nominato re d’Italia e poi
Imperatore romano. Ricostruisce l’impero che era già stato di Carlo Magno. Da un punto di vista
culturale, ideologico è l’erede della tradizione carolingia, ma da un punto di vista politico e territoriale
ci sono differenze marcate. Intanto tutta la porzione del vecchio regno dei franchi occidentali non fa parte
dell’impero, quello ormai è regno di Francia, però rispetto all’impero di Carlo magno ci sono terre oltre
il fiume Elba, strappate alle popolazioni slave. Fa parte dell’Impero di Ottone il regno di Italia e l’Istria
e una porzione dell’Austria.
Tradizione politica che rimanda a Carlo magno ma la geografia politica è molto diversa.
Ottone I viene incoronato da papa Giovanni XII, questo papa aveva solo 23 anni ed era stato eletto
pontefice a 16 anni. Ottone due mesi dopo essere diventato imperatore lo depone, lo ritiene inadeguato
alla funzione spirituale e morale, di guida dell’impero.
Qui emergono alcuni elementi contraddittori ma che contraddistinguono il governo imperiale della casa
di Sassonia. La legittimazione non può che venire dalla Chiesa di Roma e gli imperatori faranno un
grande uso di ecclesiastici nel governo dell’impero.
Giovanni XII apparteneva alla famiglia più importante dell’aristocrazia romana, i Conti di Tuscolo, il
padre si chiamava Alberico II e di fatto era il capo della città e come capo controllava tantissimi enti
ecclesiastici e per questo controllava grandissima parte del territorio laziale, infatti la terra del Lazio
centrale apparteneva alla Chiesa di Roma. La nonna di Giovanni XII, Marozia, era stata a sua volta colei
che comandava a Roma, si era sposata tre volte, uno di questi matrimoni era stato con un re d’Italia.
Quindi all’origine dell’importanza di questa famiglia c’era stata questa donna che era riuscita a ottenere
un notevole potere in Italia e soprattutto a Roma. Questo per dire che era quella famiglia che sceglieva i
papi a Roma. Questa prassi per cui i potenti scelgono chi far sedere nel seggio pontificio non era
esclusivamente romana, la norma canonica era ambigua e per questo si esponeva alle interpretazioni più
varie.
Ottone I quindi utilizza il papato per farsi proclamare imperatore però poi decide che questo papa non è
in grado di fornire un supporto morale, spirituale adeguato. Allo stesso tempo Ottone si appoggia alla
rete delle diocesi italiane per riaffermare il potere imperiale in Italia. Il problema principale infatti per
gli imperatori carolingi era che i funzionari tendevano ad abusare del potere locale e vincolarsi al
controllo centrale e trasmettere la funzione publica per via ereditaria. Ottone I concede poteri di natura
pubblica, cioè affida la carica pubblica a vescovi, in modo tale che una volta deceduto il vescovo il potere
tornasse all’imperatore. Vedremo che questa delega non avrà il risultato desiderato perché i vescovi
interpreteranno questa delega non ad personam ma ad istituzione quindi sarà difficilmente revocabile. Si
comincia nel 900, il primo diploma sarà emanato da Berengario in favore del vescovo di Reggio Emilia,
la concessione consiste nell’incastellamento, cioè la possibilità di fortificare le città con nuove mura e
proteggere alcuni villaggi con palizzate e via dicendo. Abbiamo poi nel 904 Bergamo e Asti, nel 905
Treviso, poi Como, Padova, Pavia e Trieste. Inizialmente i poteri concessi sono solo di incastellamento
e nel caso di Asti anche l’immunità dei terreni ecclesiastici per evitare gli abusi dei funzionari pubblici,
per cui i funzionari non possono entrare nelle terre della Chiesa, poi ci sono anche concessioni per il
mercato, di diritto di battere moneta, ma è sopratutto nell’età ottomana che troviamo la concessione dei
pieni poteri, cioè dei diritti sovrano, cioè che la città e il suo territorio l’imperatore cede ai vescovi tutti
i diritti pubblici, cioè la giustizia, la difesa e cosi via. Vediamo un documento che si riferisce al primo di
questi i diplomi in cui l’imperatore Ottone concede i pieni poteri sulla città al vescovo di Parma:
”In nome della santa e indivisibile Trinità, Ottone, imperatore Augusto per disposizione della divina
Provvidenza concediamo e permettiamo e dal nostro diritto e dominio trasferiamo nel di lui diritto
completamente e gli affidiamo le mura della città e quanto fuori da ogni parte della città per lo spazio
di tre miglia e le strade regie e il corso delle acque e tutto il territorio coltrato ed incolto ivi giacente e
tutto ciò che appartiene allo stato. Per di più concediamo anche tutti gli uomini che abitano dentro la
medesima città o entro i confini sopraindicati; ogni volta che abbiamo un’eredità od u acquisto o una
famiglia, tanto entro il contado di Parma che entro i contadi vicini non debbano corrispondere alcuna
prestazione da lì ad alcuna persona del nostro regno, né osservare il placito di chiunque se non del
vescovo della chiesa di Parma che sarà in carica da quel tempo, ma abbia io vescovo la stessa chiesa
licenza, come il conte nel nostro palazzo, di definire e deliberare e decidere tutte le cose”
Le mura sono sottoposte a importanti opere di manutenzione, perché tra le scorrerie dei saraceni e degli
ungari e le guerre civili, quindi nei contesti urbani si sente fortemente l’esigenza di migliorare le strutture
difensive. L’imperatore cede al vescovo il potere di questo territorio poi specifica che gli vengono
affidate anche le strade regie, il corso delle acque con tutti i diritti annessi, come il diritto di pesca, il
diritto di attracco, e tutto ciò che appartiene allo Stato, al demanio. Il contado è un’unità carolingia di
territorio sotto l’amministrazione del conte.
Il vescovo di Parma quindi diventa la massima autorità politica, il plagio giudiziario diventa di fatto il
tribunale al quale verranno sottoposti tutti i cittadini di Parma e vedrete come ci sarà una sovrapposizione
tra la competenze del vescovo e del conte, che non ha più il potere di amministrare la giustizia in città,
ma soltanto nel resto del contado. Dovete immaginare come il potere effettivo sia tutt’altro che diviso in
maniere limpida, cioè ci sono zone di forte sovrapposizioni dal punto di vista giurisdizionale, tra autorità
concorrenti, tra autorità legittimate da un diploma regio e tra autorità non legittimate che però esercitano
un potere concorrente.
Quindi Ottone si appoggia alla rete dei vescovi dell’Italia centro settentrionale. Riprende lo zelo
missionario ed evangelizzatore che era già stato proprio dei carolingi, nelle zone dell’estremo oriente
dell’impero vengono create nuove diocesi. Ottone si ripresenta come difensore della Chiesa, della fede,
porta anche avanti una politica culturale attraverso i monasteri e le grandi cattedrali. Ottone I si arroga il
diritto di controllare in qualche modo la Chiesa di Roma. Dall’età di Ludovico il pio c’era stata la causa
per la quale il pontefice doveva giurare fedeltà all’imperatore (824). Ottone I appena fatto imperatore lui
dispone che il papa prima di essere consacrato, non deve solo limitarsi a giurare fedeltà all’imperatore
ma doveva anche essere giudicato dall’imperatore. Viene scelto il pontefice dal clero e dal popolo
romano, ma prima di entrare in carica l’imperatore lo deve sottoporre al suo vaglio. Ottone I passerà
diversi anni della sua vita in Italia, porterà avanti dei tentativi di espansione verso il mezzogiorno d’Italia.
I principi longobardi di Benevento, di Caprio e di Salerno saranno costretti a diventare suoi vassalli per
non perdere il proprio territorio. Ottone riesce anche a sigillare un’alleanza politico-matrimoniale con
l’imperatore di Costantinopoli facendo sposare suo figlio ed erede, Ottone II, ad una principessa
bizantina, sperando di poter portare avanti una più efficace politica bizantina nell’Italia meridionale.
Nel 972 Ottone I muore e gli succede Ottone II. Lui passerà alcuni anni della sua vita in Germania, per
cercare di riportare all’ordine la situazione visto che alcuni grandi vassalli imperiali si sono ribellati al
suo potere, poi una volta sistemata la situazione in Germania scende in Italia e cerca di eserciate un potere
effettivo sia nel mezzogiorno, sia nell’estremo sud della Calabria con l’intento di eliminare la presenza
islamica dalla Sicilia. Nel 982 l’imperatore Ottone II si scontra in Calabria con un grosso esercito
musulmano, questa battaglia segna una grande sconfitta per le armate tedesche, pare anche che i bizantini
abbiano aiutato i musulmani, e cosi si arriva alla sconfitta di Ottone II. A causa delle ferite riportare in
battaglia morirà di li a poco. Nel 983 muore e l’unico figlio erede al trono, Ottone III ha soltanto tre
anni, quindi non può governare e finisce sotto tutela. Sotto la tutela della madre, imperatrice bizantina, e
sotto la tutela di ecclesiastici romani. Quando arriva a 16 anni Ottone III viene incoronato imperatore, e
contrariamente al padre e al nonno, vivrà solamente in Italia, avendo un’educazione poco germanica e
molto più orientale. Fisserà la sua residenza sul Palatino. Il palatino era stato per molti secoli il luogo di
residenza degli imperatori romani, Ottone III coltiva un segno molto romano del potere e molto poco
germanico. Nel 999 riesce a far nominare papa il suo maestro, colui che l’aveva educato che era un
monaco francese Gerbert d’Acrillac che prenderà il nome di Silvestro II.
Ottone si rivelerà un imperatore debole, governerà per pochi anni perché morirà molto giovane e negli
ultimi anni della sua vita, cioè tra il 1002 e il 1004 scoppierà nel territorio una grande rivolta degli
aristocratici insofferenti del potere imperiale. Nel 1004, alla morte di Ottone III il regno d’Italia è
piombato di nuovo nel caos e nella guerra civile. 20 anni dopo, cioè nel 1024, lo stesso palazzo regio di
Pavia viene assaltato e dato alle fiamme. Il regno di Italia si mostra un luogo dove gli imperatori fanno
molta fatica ad imporre la loro autorità. I poteri locali si dispiegano in questa parte di Europa attraverso
forme molto differenti. In Germania o in Francia il potere è in mano a dei grandi funzioni pubblici che
hanno dinastizzato la carica, di monasteri o dei grandi proprietari terrieri, ma nell’Italia c’è anche il
problema che una porzione importante di poteri locali è legata alla persistenza del fenomeno urbano.
Abbiamo visto come gli imperatori abbiano delegato i poteri pubblici ai vescovi, ma anche i vescovi si
dimostrano non più facilmente controllabili rispetto a duchi, conti o marchesi. Anzi i vescovi hanno la
particolarità di gestire il potere in ambito cittadino appoggiandosi alle famiglie dell’aristocrazia cittadina.
L’aristocrazia urbana è un fenomeno molto italiano e poco europeo. Nelle altre province la nobiltà, cioè
tutti quelli che nelle fonti latine iniziano ad essere definiti con il termine di milites (che significa
combattente a cavallo), gli aristocratici risiedono esclusivamente in contesti rurali, fissano la propria
residenza nelle campagne e da qui esercitano il proprio potere giudiziario e politico.
L’Italia è un caso a se, la città è sopravvissuta alla crisi economica, politica, demografica e continua ad
avere un ruolo centrale. I vescovi risiedono in città, si appoggiano a questi gruppi di milite che risiedono
all’intero delle mura urbane, esercitano il loro ruolo sociale e politico nella città. Questo fenomeno è
esclusivamente italiano e fa da scenario ad un evento che cambia in maniera radicale il legame
vassallatico dei provinciali non solo in Italia ma in tutta Europa. Lo scenario ha come centro Milano,
che è sempre stata una città importante dal puto di vista politico e sappiamo che per un certo periodo è
stata capitale dell’impero d’occidente. Continua ad essere sede di arcivescovo, che ha un potere enorme,
controlla patrimoni familiari immensi. L’arcivescovo di Milano sarà sempre una grande potenza, non
solo ecclesiastica ma anche politica ed economica e bisogna tenere conto che le terre lombarde sono le
terre più fertili di quel tempo. L’arcivescovo di Milano alla fine del X secolo per ricompensare le famiglie
che l’hanno aiutato a diventare arcivescovo procede a insoldare tutta una serie di impieghi delle
campagne milanesi, costituendo un gruppo consolidato di sui vassalli, che prenderanno il nome di
Capitanei. Questo fenomeno non si trova solo a Milano, ma qui è particolarmente accentuato. A Milano
nella prima metà del XI secolo abbiamo una serie di vassalli vescovili. Questi hanno il diritto di
trasmettere per eredità le proprie terre, da padre a figlio, questo perché le investiture portate avanti
dall’arcivescovo sono paragonate alle investiture dei sovrani, cioè sono servi di primo livello e, dalla fine
del IX secolo per via di una capitolare emanato da Carlo il Calvo quando era imperatore, sono servi che
si possono trasmettere in eredità. Sono pochi i servi di primo livello però i capitani milanesi godono di
questa prerogativa. I capitani, che sono grandi proprietari terrieri ma risiedono in città per creare a loro
volta un gruppo di fedeli armati hanno provveduto ad affidare una porzione delle proprie terre a vassalli,
quelli che nelle fonti latine del tempo sono identificati come i valvassori. Questi servi di secondo livello
invece non si possono trasmettere le terre in eredità perché sono concessioni a termine. Questi vassalli di
secondo livello, che son molto più numerosi dei capitani si ribellano, cioè scatenano una vera e propria
guerra civile a Milano e nelle campagne lombarde per rivendicare il carattere ereditario anche dei loro
benefici. Si arriva ad uno scontro armato che coinvolge quasi tutta la cittadinanza milanese e molti
aristocratici che risiedono nelle campagne, dovrà intervenire anche l’imperatore Corrado II per risolvere
la situazione. A questo scopo emana un diploma che avrà conseguenze su tutto il feudalesimo europeo.
Questo documento è l’Edictum de beneficiis regni italici chiamato anche Constitutio de feudis e sancisce
per sempre il carattere ereditario di tutti i benefici, da questo momento in poi quando un vassallo riceverà
un beneficio da un signore non potrà più essere provato di quello, a meno che non si possa provare che
il vassallo ha commesso un crimine, violando il legame di fedeltà. Questo crimine prenderà il nome di
fellonia, e colui che commette il crimine è il fellone. Ancora oggi esistono reati che ricadono sotto il
nome di fellony, specialmente nel regno inglese. Solo in questo caso le terre possono essere sottratte.
Nell’editto emanato dall’imperatore tedesco Corrado II nel 1037 si dice:
“Nel nome della santa e indivisibile Trinità, Corrado per grazia di Dio imperatore augusto. A tutti i
fedeli della chiesa santa di Dio e nostri, presenti e futuri, vogliamo sia noto che, per riconciliare gli
animi dei Signori e dei valvassori, e affinché siano sempre concorsi e fedelmente e devotamente servano
noi e i loro Signori, ordiniamo e fermamente decretiamo che nessun vassallo di vescovi, abati, badesse,
marchesi, conti ecc… perda senza una colpa determinata e provata il suo feudo ma solo secondo la
consuetudine dei nostri predecessori e il giudizio dei suoi pari.
1. Se una contesa sarà sorta tra un Signore e un vassallo, anche quando i pari abbiano giudicato che
egli deve essere privato del suo feudo, se egli avrà detto che la decisione è ingiusta e fatta per odio,
mantenga il suo feudo, finché il Signore e colui che egli accusa vengano con i pari alla nostra
presenza ed ivi la causa sia terminata con giustizia, ecc.
2. Ordiniamo pure che se un valvassore, sia dei maggiori che dei minori, se ne andasse da questo
mondo, il figlio abbia il feudo. Se poi non avrà figli, ma un nipote da un figlio maschio, ugualmente
questi abbia il feudo, mantenendo l’uso dei valvassori maggiori di dare cavalli ed armi ai propri
Signori. Se non avrà lasciato un nipote, ma un fratello legittimo da parte del padre, anche se questi
avesse offeso il Signore, qualora volta dargli soddisfazione ed essere suo vassallo, abbia il feudo
che fu già di so padre.
3. Inoltre in ogni maniera proibiamo che un Signore osi fare cambio del feudo dei sui vassalli senza il
loro consenso.”
La lezione che possiamo trarre è che in Italia nel proliferare dei poteri di natura locale quelli che fanno
perno sulla dimensione urbana son quelli più efficaci, quelli che hanno un risvolto politico più clamoroso.
La città esercita una funzione politica che oltralpe è molto meno evidente. Questo emerge da tutta una
serie di documenti ecclesiastici che si propongono di classificare la società del tempo.
Vediamo tre documenti legati o al mondo monastico oppure episcopale della Francia del Nord, vedremo
come per questi ecclesiastici la società del tempo può essere facilmente inquadrata in una schema
trinitario. Questo schema trinitario può essere identificato cosi: da un parte ci sono quelli che pregano e
si curano della salvezza delle anime dei sudditi, e sono o i sacerdoti o i monaci; dall’altra ci sono quelli
che esercitano le armi, i guerrieri, i sovrani, che sono ricchi e potenti e hanno il compito di proteggere
gli altri; in fine ci sono coloro che lavorano, fondamentalmente la terra. Questo è uno schema sociale
molto semplice che non contempla articolazioni sociali particolarmente raffinate. Questo schema è
possibile che sia stato formulato in questo modo perché in questa zona dell’Europa il fenomeno urbano
è quasi impalpabile e non ha un rilievo sufficiente per la dinamica politica del tempo. Questo schema
trinitario attraverso il quale gli ecclesiastici inquadrano la società del tempo è uno schema che risente
enormemente della dimensione religiosa, spirituale. Il numero 3 è il numero perfetto per definizione, gli
schemi trinitari sono schemi molto familiari ai monaci e ai sacerdoti. E’ attraverso questo schema che
abati e monaci cercano di inquadrare la società, che è una società violenta, anarchica, nella quale i sovrani
tendono ad essere sempre meno rispettati dai funzionari pubblici, una società in cui i poteri locali
emergono disordinatamente. Siamo davanti ad uno schema interpretativo della società del tempo, quello
che gli ecclesiastici della Francia del nord vorrebbero che fosse.
Il primo documento è l’Apologeticus, della fine X secolo, ed è redato dal monaco Abbone, di Fleury.
Questo dice:
”Sappiamo che nella santa Chiesa universale tutti i fedeli, di entrambi i sessi, sono distinti in tre ordini
o gradi di vita…il primo è l’ordine dei coniugati, maschi e femmine; il secondo è l’ordine dei continenti
e delle vedove; il terzo è quello delle vergini e delle monache. Analogamente gli uomini -limitandoci ad
essi- sono ordinati in tre gradi o ordini: il primo è quello dei laici; il secondo è quello dei chierici; il
terzo è quello dei monaci…Detto questo, veniamo a parlare del primo ordine, cioè dei laici. Di costoro,
alcuni sono contadini, altri guerrieri. Ai contadini spetta sudare nel lavoro dei campi e nelle varie opere
dell’agricoltura, da cui riviene il sostentamento all’intera comunità dei fedeli. Ai guerrieri spetta
contestarsi degli stipendi della milizia, astenersi dalle rivalità nel grembo della madre comune (ovvero
la Chiesa), combattere con prontezza i nemici della santa Chiesa di Dio.”

Il primo ordine è quello più basso nella scale sociale, sono quelli sposati, che non sono riusciti a contenere
il desiderio sessuale. Il secondo ordine, quindi ci stiamo elevando nella scale, è quello di chi ha fatto una
scelta più o meno obbligata di astinenza. Il terzo, quindi siamo al livello più elevato, è quello delle vergini
e delle monache. Delle donne non si parla perché non hanno a che fare con la politica del tempo.
Per quanto riguarda i laici possono essere solo o contadini o guerrieri, quindi c’è una dicotomia netta.
Alcuni sono i potenti, altri i contadini, non c’è niente in mezzo. Schemi molto semplici che danno un
rilievo molto grande ai monaci come guida della società.
Un altro documento è un componimento poetico: il Carmen ad Rodbertum regem Fracorum, l’autore è
Adalberone, vescovo di Laon, è imparentato anche con la casa regnante, nel 1025 scrive quest’opera.
Questa è strutturata con la forma di dialogo ed è impostato come una sorta di botta e risposta tra sovrano
e vescovo.
“Vescovo. Di nascita gli uomini sono tutti uguali, e unica è la casa di Dio, retta da una sola legge. Una
sola è la fede, ma triplice è l’ordine degli uomini. La legge una distingue infatti due condizioni diverse:
nobile servi, che non sono tenuti a osservare le stesse leggi, Due personaggi occupano il primo posto:
uno è il re, l’altro l’imperatore; dal loro governo è assicurata la solidità dello stato. Gli altri (nobili)
non sono soggetti ad alcun potere, purché si astengano dai crimini proibiti dallo scettro del re. Essi sono
guerrieri, che proteggono le chiese e difendono tutto il popolo, grandi e piccoli, garantendo in eguale
maniera la sicurezza di tutti e la propria. Diversa è la condizione dei servi.
Re. Razza infelice, che non possiede nulla se non a prezzo della propria fatica. Chi potrebbe enumerare,
contandoli con i segni dell’abaco, gli addestramenti, le attività, le fatiche dei servi?
Vescovo. I servi forniscono tutti i tesori e vesti; nessun uomo libero potrebbe vivere senza di loro.
Quando c’è il loro lavoro, si desiderano ricchezza e proprietà; il re e i vescovi sembrano servi dei servi
( cioè dipendono da loro). E’ il servo a nutrire il signore, che a sua volta pretende di nutrirlo.
Re. Alle lacrime e ai gemiti dei servi non c’è fine.
Vescovo. Dunque la casa di Dio, che si crede una, è divisa in tre. Alcuni pregano, altri combattono, altri
ancora lavorano; uniti fra di loro, non possono essere separati. Tutti si reggono sul compito dei primi;
i secondi e i terzi con le loro attività sovvengono tutti. Unico e triplice è dunque il legame che li tiene
insieme: e fu in questo modo che la legge potè trionfare, il mondo godere della pace. Ma languiscono
ora le leggi svanisce la pace. I costumi degli uomini si corrompono, l’ordine è stravolto. Stringi forte la
lancia, o re, e soccorri il mondo, serrando contro i malvagi e redini della giustizia.”

Quando parla dei guerrieri in realtà sta esprimendo un desiderio, perché i guerrieri talvolta proteggevano
le chiese ma più spesso le chiese le danneggiavano, poi non è vero che difendono tutto il popolo,
avrebbero dovuto ma sappiamo che magari difendevano i propri contadini, ma li difendevano per
dominarli, per obbligarli a servirli.
Apro una piccola parentesi per dire che nel riferimento amministrativo della città di Pavia, redatto intorno
al 1000 ad un certo punto si parla di persone strane che vengono in città e vendono le loro merci, queste
persone sono i veneziani. In questo rifermento amministrativo non si può fare a meno di scrivere: “questa
gente non ara, non semina, non disdegna, non fa le cose normali”, perché i veneziani che si sono
sviluppati in un ambiente d’acqua hanno scelto l’unica strada possibile: il commercio.
In questo sistema emerge anche la preoccupazione del vescovo per il disordine che sta prendendo corpo
nel regno di Francia.

L’ultimo documento è sempre della parte nord della Francia, ed è tratto dalle Gesta episcoporum
cameracensium, di Gerardo, vescovo di Cambrai. Quest’opera tratta la biografia dei vescovi di Cambrè,
estremo nord della Francia. Le biografie di vescovi si trovano anche a Roma, a Ravenna, a Napoli,
insomma è un genere letterario molto diffuso. Parlare del vescovo significa anche parlare della grandezza
della città.
Si parla di Geraldo, che era nipote di Adalberone, che abbiamo visto prima.
Ad un certo punto, in questa biografia, si mettono in bocca parole a questo vescovo Gerardo, che avrebbe
detto:
“(Il vescovo Gerardo) mosto fin dalle origini il genere umano era stato diviso in tre gruppi: uomini che
pregano; uomini che lavorano i campi; uomini che combattono. Dimostrò poi, con molta chiarezza, che
ciascuna di queste categorie fornisce sostegno alle altre due. “Gli uomini di preghiera, liberi da impegni
mondani, si dedicano interamente a Dio; ma devono ai guerrieri la sicurezza del loro santo ozio, e alla
fatica dei contadini il cibo corporale che li nutre. A loro volta i contadini sono elevati fino a Dio dalle
preghiere dei sacerdoti, e difesi dalle armi dei guerrieri. I guerrieri da parte loro, ricevo sostentamento
dei redditi dei campi e dalle tasse sugli scambi, mentre la santa preghiera degli uomini pii, che essi
difendono, espia la violenza delle loro armi. Cosi si sostengono reciprocamente.”

Continuiamo a vedere che non ci sono intermedi, non si parla di artigiani, di medici o di altro; non si
parla nemmeno di città.
L’ozio è santo perché gli uomini di chiesa con la loro preghiera assicurano la salvezza eterna, questo non
è un ruolo da sottovalutare, questo ruolo è straordinariamente amplificato dall’idea che le preghiere dei
monaci potessero condurre tutti alla salvezza eterna, e pensavano che una volta morti le preghiere
avrebbero permesso di passare meno tempo in purgatorio, questo aspetto si vede anche nell’opera di
Dante.
Questo schema trinitario non lo ritroviamo in nessuna opera letteraria italiana, perché è una situazione
molto diversa in cui non ci sono solo questi tre ordini ma ci sono notai, medici, artigiani e cosi via.
Questo schema trinitario è forte in area francese e in area anglosassone, lo schema avrà forme di
applicazione molto varie ma di grandissima durata. Troveremo nel basso medioevo le rappresentanze
parlamentari all’interno dei regni dimora prederanno la forma trinitaria, se pensiamo alla Francia, con gli
Stati generali, dal 300 in poi abbiamo queste rappresentanze espresse attraverso le gerarchie
ecclesiastiche, la nobiltà e il popolo (che di norma rappresenta la borghesia urbana). Questo schema
durerà fino alla rivoluzione francese, che scoppierà nel 1789. I medioevo lunghissimo che arriva alle
soglie dell’età contemporanea.

Lezione 8

Piu volte, fin dalla prima lezione, abbiamo sottolineato come la Chiesa tardo antica e alto medievale
fosse una chiesa orizzontale, quindi una chiesa che non aveva una struttura verticistica, non ha un vertice
ben definito, esiste un primato morale di Roma ma non esisteva una struttura definita.
Questa trasformazione della chiesa occidentale in una struttura verticistica, cioè in una monarchia
assoluta, avviene attraverso un passaggio epocale che si verifica nel corso del XI secolo. Tra le
conseguenze del crollo del potere centrale vi sono quelle riguardanti le crisi dell’ordinamento
ecclesiastico. La crisi dell’ordinamento ecclesiastico è determinata dalla ingerenza generalizzata dei
poteri laici negli affari della Chiesa. E’ chiaro che venuto meno l’impero ed essendo molto deboli i regni,
spesso la gestione delle diocesi, delle chiese e parrocchie è governata da criteri clientelari di reclutamento
degli ecclesiastici, per esempio abbiamo parlato della pesante ingerenza dei conti di Tuscolo per quanto
riguarda il seggio pontificio. Questi criteri clientelari nell’amministrazione delle diocesi, dei monasteri e
cosi via erano diffusi ovunque, non era solo l’aristocrazia urbana che metteva il vescovo nella gestione e
nella selezione del personale ecclesiastico urbano. Qualcosa di più avveniva all’interno delle signorie di
castello, dove addirittura i signori fondavano nuove chiese e investivano degli ordini ecclesiastici i figli,
i nipoti, gli amici e via dicendo. Questa era una prassi molto diffusa ovunque.
Dall’altra parte vescovi e abati a volte sono vittime dell’assenza di un potere centrale, quindi vittime dei
signori locali, ma spesso vediamo vescovi e abati che partecipano al giro politico. Cioè si formano proprie
signorie che si avvalgono di clientele armate a loro volta, abbiamo visto come esempio l’arcivescovo di
Milano.
Assistiamo ad un fenomeno di grande decadenza morale, spirituale e spesso anche culturale del clero in
età post carolingia. Questa grave decadenza è qualcosa che turba in particolare alcuni uomini di Chiesa
ispirati da uno spirito riformatore. Inizialmente i riformatori sono sopratutto uomini legati al mondo
monastico, questi monaci riformatori che parlano di una necessaria forma radicale di riforma del clero,
appuntano le loro critiche sopratutto su due gravi peccati. Questi due sono la simonia e il concubinato.
La simonia è il termine che rimanda a Simon mago, un personaggio negli atti degli Apostoli il quale,
secondo quanto si narra, avrebbe chiesto a San Pietro quale fosse la forma che lui voleva per vendergli i
doni dello Spirito Santo, quindi questo mago diventa una sorta di emblema del peccato molto diffuso tra
il X e XI secolo, cioè la compravendita delle cariche ecclesiastiche. La simonia sarebbe quel peccato
capitale per il quale qualcuno ottiene un’ordinazione sacerdotale in virtù del pagamento di una somma
di denaro, di favori politici, della concessione di terre patrimoniali. Tutto questo ha a che fare con una
pesantissima ingerenza dei laici nelle questioni della chiesa. Questo è un aspetto sul quale si scagliano le
feroci critiche dei riformatori. L’altra questione è quella del concubinato. Il concubinato si intende che
gli ecclesiastici hanno delle amanti, la faccenda però è più complicata di cosi, perché il clero non era
tutto composto da celibi, non esisteva un divieto esplicito per il matrimonio dei religiosi. I monaci
facevano voto di castità, ma per quanto riguarda i sacerdoti non esisteva un divieto canonico, sancito
dalle norme ecclesiastiche, tanto’è che noi abbiamo anche documenti relativi al matrimonio tra donne
italiane e sacerdoti.
Quindi se nel caso della simonia è evidente cosa anima i riformatori, cioè la volontà che le cariche
religiose siano assegnate in maniera regolare, nel caso del concubinato la proposta riformatrice è più
complicata. Anche perché questo cambiamento dello status dei religiosi, che si avrà nell’Europa cattolica
dal XI secolo in poi, è qualcosa che non avviene nella cristianità orientale, cioè il basso clero bizantino
si può sposare, ancora oggi. Questo divieto del matrimonio che viene imposto nel XI secolo è una novità
perché la cristianità orientale, quella ortodossa, non l’ha adottato, per cui ancora oggi il basso clero
ortodosso può sposarsi. Il problema è che nell’Europa del tempo gli enti ecclesiastici, in particolare quelli
legati alla diocesi, si trovano a gestire patrimoni fondiari assai proficui e anche cariche di natura pubblica
importante. Se si fosse continuato a concedere agli uomini di chiesa sarebbe stato a repentaglio l’intero
patrimonio della chiesa, perché ogni sacerdote tendeva a lasciare qualcosa ai propri figli, quindi era una
questione di integrità patrimoniale, che spingeva i monaci ad imporre il divieto di matrimonio a tutti i
chierici.
I monaci riformatori sono guidati da delle élite monastiche, un’avanguardia del movimento riformatore
della chiesa ha un luogo di origine, questo luogo è Cluny, in Borgogna. Nel 910 viene fondato un nuovo
monastero, questo viene fondato per iniziativa di monaci benedettini francesi i quali si proponevano di
ripristinare la regola benedettina, che molti monasteri della Francia dell’età post carolingia seguivano in
maniera molto blanda, cioè la disciplina in molti monasteri si era fortemente allentata. Formano quindi
il monastero in cui la regola sarà seguita alla lettera, c’è in queste riforme sempre un ritorno alle origini.
Questo monastero viene formato in seguito alla venuta del gruppo di monaci in Borgogna e l’incontro
con il signore del luogo, cioè Guglielmo, duca di Aquitania, che controllava le terre nella Francia
meridionale e in Borgogna. Guglielmo di Aquitania possedeva un’immensa riserva di caccia, lui vuole
accogliere questi monaci e permettere la costruzione del monastero. I monaci riescono a convincere
Guglielmo a concedere anche tutta la riserva di caccia. L’atto fondativo di questo monastero, la
donazione patrimoniale del duca si è conservata e qui si può capire l’intento del benefattore e dei
beneficiari. L’intento del monastero fatto secondo la volontà di questo potente aristocratico non doveva
essere soggetto della giurisdizione del vescovo locare. Questa era una cosa abbastanza strana, perché
tutti i monasteri cadevano in qualche modo sotto la giurisdizione del vescovo, ma Guglielmo voleva
sottrarre questa sua nuova fondazione dalle mire dei potenti del luogo. Nell’atto fondato si dice “il
monastero sia direttamente soggetto ai santi Pietro e Paolo”, che significa che sarà direttamente soggetto
al papa e concede un diploma di immunità, cioè la possibilità di rifiutare l’accesso a funzionari pubblici
e a funzionari ecclesiastici. Questo monastero gode di una enorme autonomia, riceve poi molte donazioni
da parte di privati e grazie al prestigio di cui gode riesce a “figliare” cioè crea una serie di fondazioni
dipendenti, chiamate priorati. Questi si trovano in Francia, in Italia e in altre zone dell’Europa. Si crea
una vera e propria rete di monasteri dipendenti dalla casa madre. Una rete abbastanza gerarchizzata,
perché i priorati sono controllati dall’abbazia madre, ogni priore è scelto dall’abbazia madre. Ci sono
anche altri monasteri che sono indipendenti dal monastero di Cluny, ma dichiarano di voler seguire le
loro consuetudini. Mentre i priorati sono dipendenti dalla casa madre queste abbazie non hanno un
rapporto di subordinazione gerarchica, si trovano in una posizione più autonoma, più orizzontale.
Dell’abbazia di Cluny oggi rimane poco e niente.
Questi monaci cluniacensi, seguono la regola di San Benedetto, ma hanno delle caratteristiche particolari.
Hanno una grande esuberanza liturgica, i monaci cluniacensi pregano cantando quasi tutto il giorno,
hanno dei maestri di canto, delle persone che si specializzano nelle musica e passano la maggior parte
delle giornate a fare messe cantate. Facendo cosi avranno meno tempo, meno forza per portare avanti dei
lavori manuali, per cui la regola benedettina del lavoro per loro si traduce in lavoro principalmente di
natura liturgica. Celebravano tante messe a causa delle donazioni numerosissime che avevano ricevuto,
infatti spesso le donazioni erano legate alla celebrazione di messe in suffragio dei benefattori, quindi
spesso esistevano degli abituari, cioè dei libri dei morti in cui era registrato il nome e la data di morte del
benefattore e si sapeva che quel giorno si doveva dire una messa cantata per l’anima del defunto, quindi
era proprio un lavoro la celebrazione dei benefattori con messe cantate. Sono stati i monaci cluniacensi
che hanno promosso il giorno dei morti, il 2 Novembre. Questi monasteri si segnalavano anche per le
numerose distribuzioni di pasti ai poveri. Stiamo parlando di una congregazione monastica di grande
prestigio, un ordine colto che sfornava intellettuali, e che fu diretta da monaci longevi, capaci di dirigere
la casa madre anche per 45 anni di fila e quindi di imprimere una politica molto chiara all’ordine stesso.
Non pochi dei riformatori del XI secolo provenivano dalle fila dei monaci cluniacensi. Avremo anche
dei papi provenienti dall’ordine cluniacense, tra questi Urbano II, colui che alla fine del XI secolo
proclamerà la prima crociata, cioè il primo pellegrinaggio armato verso la Terra Santa.
Non esiste soltanto l’ordine cluniacense alla base dei movimenti riformatori, alcuni monaci riformatori
non sono di tradizione francese, ma sono legati a nuove fondazioni monastiche italiane, tra queste due
sono le principali: la congregazione dei camaldolesi e la congregazione dei vallombrosani.
La congregazione dei camaldolesi fa riferimento a Camaldoli, città che si trova sul crinale appenninico
fosco-romagnolo. A Camaldoli viene portata a compimento la lunga esperienza monastica di un monaco
ravennate, Romualdo. Questo monaco compie le sue prime esperienze monastiche nel monastero di San
Apollinare, monastero nelle campagne di Ravenna. Là conduce uno stile di vita cenobitica ma poi
viaggerà molto, presentando anche forme di vita eremitica, nelle varie zone dell’Italia e nei Pirenei.
A Camaldoli nei primi anni del XI secolo Romualdo sperimenta una forma molto particolare di vita
monastica, perché prevede la compresenza di un monastero e di un eremo. Nel monastero i monaci fanno
una vita comunitaria seguendo la regola benedettina, nell’eremo ogni monaco sta per conto suo, in una
propria cella e si incontrano solo una volta alla settimana nella chiesa dell’eremo stesso. Camaldoli risulta
particolare perché il monastero si trova ad 800 metri di quota, l’eremo a 1100 metri, in pieno Appennini.
Stiamo parlando di esperienze monastiche volutamente lontane dalle città, lontano dalla corruzione,
scegliendo luoghi difficili per l’insediamento umano. L’esperienza è singolare anche perché Romualdo
ha presente la debolezza dell’uomo, quindi prevede che ci possa essere sia il cenobio, dove è più facile
vivere una vita di rinuncia condividendo l’esperienze, sia l’eremo dove invece solo i forti possono
compiere un’esperienza di solitudine e di ascesi.
L’avanguardia riformatrice dell’Italia però sono i vallombrosari, legati alla fondazione di Santa Maria di
Vallombrosa che si trova alla quota di 1000 metri, sul massiccio del prato magno che è quella lunga
catena montuosa che obbliga il corso dell’Arno a compiere un percorso particolare. Il fondatore di
Vallemobrosa è un nobile fiorentino, Giovanni Gualberto che diventa monaco, scopre che il proprio abate
è simoniaco, cioè ha comprato la carica, va allora a denunciare il fatto al vescovo ma scopre che il
vescovo stesso è simoniaco. Lui per protesta decide di abbandonare la sua abbazia, insieme ad altri
monaci e di andare nelle campagne di prato magno. Da li conducono una battaglia ideologica, di
propaganda e politica, contro il vescovo di Firenze e altri vescovi simoniaci. Questi camaldolesi e
vallombrosiani non sono degli alieni, in Sardegna ci sono ancora oggi chiese vallombrosane, cioè legati
al monastero di Vallombrosa e chiese camaldolesi, la più famosa è la Basilica di Saccargia in provincia
di Sassari.
Stiamo parlando di congregazioni che hanno fatto la storia del monachesimo italiano dal XI secolo in
poi, e sono questi monaci che hanno riportato la Sardegna nell’alveo della cristianità occidentale, perché
la Sardegna avendo fatto parte dell’impero bizantino, aveva dei costumi molo più simili a quelli di
Costantinopoli, greci e via dicendo. Ci sono varie fondazioni monastiche italiane, una molto importante
è quella di Fonte Avellana nelle Marche, anche qui siamo in un montagna.
La riforma che è legata inizialmente ad ambienti monastici, ha anche in certi casi un forte sostegno da
parte dei laici, sopratutto esponenti delle città più importanti dell’Italia. Ancora una volta emerge
l’importanza della città di Milano, abbiamo infatti l’esempio più evidente della contestazione laica per
un arcivescovo ritenuto simoniaco. Questa protesta che sfocia in certi casi in episodi di guerra civile
prende il nome di Pataria. Prende questo nome perché il patarino indicava qualcuno che faceva
compravendita di stracci, di abiti usati, quindi ha un intento di denigrazione, perché questi contestatori
del potere vescovile, questi accusatori erano equiparati a questo venditore da parte dell’arcivescovo e
della curia, quindi questa parola serviva per denigrare questi contestatori, che erano tutt’altro che
straccioni perché sappiamo che tra i patarini milanesi vi erano notai, medici, ricchi artigiani.
Leggiamo un brano pre capire come si articola la rivolta a Milano. La fonte che ora vediamo è la biografia
della sofferenza di Arialdo, che era il capo della pataria milanese, è stata redatta da un monaco
vallombrosano, Andrea da Strumi.
“Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3)”. Al contrario invece, come potete
constatare, i vostri sacerdoti si ritengono più beati se possono diventare più ricchi nei beni terreni, più
alti nell’edificare torri e palazzi, più superbi nella ricerca degli onori, più belli nella ricercatezza e
nell’eleganza delle vesti. Come vedete, si sposano pubblicamente, alla stregua dei laici; come i laici
scellerati, si danno continuamene agli stupri (nel senso di rapporti sessuali fuori dal matrimonio), e si
dimostrano tanto più valenti nel commettere simili nefandezze, quanto meno sono oppressi dalla fatica
del lavoro quotidiano: evidentemente riescono a vivere di sola grazia divina! Cristo invece nei suoi
ministri ricerca e desidera cosi grande purezza che non solo condanna il peccato impuro quando è
effettivamente commesso, ma persino nell’intenzione del cuore; dice infatti: Chi guarderà una donna per
desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt 5, 28).”
Esiste un movimento di riforma che parte nei monasteri, che in Italia può prendere anche la forma di
movimenti laici di contestazione. Bisogna sottolineare anche che i primi passi della riforma vera e propria
avviene per opera dell’imperatore di Enrico III, che governa dal 1039 al 1056. Che la riforma sia avviata
dell’imperatore è del tutto normale, perché qualche imperatore che avesse dei segni di grandezza doveva
preoccuparsi del comportamento degli uomini di Chiesa.
Anche Enrico III che è imperatore tedesco della casa di Franconia, si preoccupa del mondo ecclesiastico,
appoggia l’opera dei monaci. Cosi nel 1049 impone un papa tedesco, che prenderà il nome di Leone IX.
Da questo momento in poi noi avremmo una lunga linea di pontefici provenienti dal mondo germanico.
Leone IX, papa che viene dalla Lorena e che governerà per 5 anni fino al 1054, avvia un dibattito che
avrà un’importanza enorme, cioè il dibattito inerente alla libertas eclesiae, cioè la libertà della Chiesa,
libertà da qualsiasi ingerenza dei poteri che non siano quelli della chiesa stessa. Il dibattito verte su questa
questione: se la chiesa vuole essere sicura di poter scegliere i propri vescovi, i suoi chierici, i suoi vescovi,
gli arcivescovi, se vuole essere sicura di poter scegliere le persone più adatte per lo scopo spirituale che
si prefigge, sarebbe molto opportuno che la scelta fosse tutta sua, cioè che nessun laico potesse mettere
bocca nella scelta delle cariche spirituali, nemmeno l’imperatore. Al contempo si discute tra i riformatori
di fonte al problema delle ordinazioni simoniache, perché da Leone IX in poi comincia ad esaminare
decreti che i monaci, vescovi, sacerdoti simoniaci debbano essere deposti, nel momento in cui si dimostra
che sia trovato il peccato. Si scopre però che la simonia è cosi tanto diffusa che venire a capo della
faccenda non è semplice, sopratutto nel caso in cui ci si trovi davanti a sacerdoti ordinati regolarmente,
senza peccato ma da vescovi che sono arrivati a quella carica per via simoniaca. Secondo i radicali, anche
questi sacerdoti sarebbero dovuti essere deposti, secondo i moderati, che poi avranno la meglio, non si
potevano deporre; prima di tutto perché in questo modo tutte le istituzioni ecclesiastiche sarebbero
crollate e secondo si commetterebbe un peccato, perché un sacerdote ordinato canonicamente non può
essere ordinato una seconda volta canonicamente, cioè un sacramento non può essere impartito due volte
se è lo stesso.
Si forma nuovamente una grande discussione nell’ambito della chiesa di Roma nello stesso periodo in
cui matura il distacco tra la chiesa cattolica di Roma e la chiesa cattolica orientale, il cosiddetto scisma
d’oriente, siamo nel 1054.
Dopo il 1056 il processo riformatore conosce una forte accelerazione, perché muore l’imperatore Enrico
III e suo figlio è un bambino, non in grado di controllare la situazione per cui è le chiesa di Roma che
prende le redini del processo riformatore. La chiesa di Roma che nel frattempo sta affrontando un
problema politico molto spinoso, che è quello legato alla formazione di un potere forte normanno
nell’Italia meridionale.
Uno dei papi del periodo, Niccolò II è famoso per aver emanato dei decreti sia relativi alla decadenza dei
vescovi e sacerdoti simoniaci, sia per l’elezione dei pontefici romani. Il papa infatti, come qualsiasi altro
vescovo del tempo era eletto sulla base di una formulazione ambigua, cioè quella che prevedeva che il
vescovo dovesse essere eletto da una non molto formalizzata assemblea di clero e popolo.
Niccolò II invece stabilisce dl 1059 in poi che il papa possa essere eletto soltanto da un collegio dei
chierici, cioè il collegio dei cardinali, i titolari delle chiese cardine di Roma e delle campagne circostanti.
Quindi Nicolò II crea il collegio cardinalizio e attribuisce a questo collegio l’esclusiva per quanto
riguarda la scelta del papa. Questa riforma è ancora in vigore. Nel decreto di Niccolò II si legge:
“La vostra beatitudine consce, o dilettissimi fratelli e coepiscopi, come, morto il nostro pio predecessore
Stefano, questa sede apostolica che per volere divino io servo, abbia soggiaciuto a molte percosse e
offese… e la nave del sommo pescatore era quasi costretta ad affondare per l’infierire delle procelle..
per ciò abbiamo decretato che, morendo il pontefice di questa romana chiesa universale, dapprima i
cardinali preti; e il rimanente clero e popolo diano il consenso alla nuova elezione, di modo che, per
paura che il veleno della venalità non penetri con qualche pretesto, gli uomini della Chiesa siano i primi
a promuovere l’elezione del pontefice e gli altri seguano…Lo eleggano dal grembo della chiesa romana
stessa, vise vi si trova uno adatto, e, se non si rinviene in essa, sia preso sa un’altra. Salvo il debito onore
e la riverenza al diletto figlio nostro Enrico che ora è re, e si spera sarà imperatore con l’aiuto di Dio.”
Forte accelerazione del processo riformatore che va di pari passo di un accresciuto potere della chiesa
romana rispetto a tutte le altre sedi vescovili dell’Europa. Un altro passo decisivo nella riforma svolto
dal pontefice Gregorio VII, che è papa dal 1073 al 1075. Non solo approfondisce il tema della libertas
eclesiae ma giunge addirittura il primato temporale, cioè politico, del papa della chiesa di Roma. Cioè
ribalta totalmente i rapporti gerarchici tra regnum e sacerdoti che erano andati configurando dal 61 in
poi, tutti gli imperatori erano intervenuti egli affari della chiesa perché ritenevano che il potere
dell’imperatore fosse superiore a quello della chiesa. Gregorio invece dirà che il potere della chiesa
romana è superiore a qualsiasi altro potere che esiste sulla faccia della terra. Quindi anche il potere
temporale, militare esiste per delega papale, il papa può tutto, può anche deporre l’imperatore e
scomunicarlo.
Queste posizioni sono riassunte in un documento molto sintetico: Dictatus Papae, del 1075. Qui tra le
altre cose viene detto:
”Solo il romano pontefice sia stato detto universale. Solo lui possa deporre o riabilitare i vescovi. Solo
lui possa usare le insegne imperiali. A lui sia lecito deporre gli imperatori. Nessun capitolo e nessun
libro si abbia come canonico senza autorità di lui. Egli non sia giudicato da alcuno. Nessuno osi
condannare un appellante alla Sante sede. Le cause di maggiore importanza di qualsiasi chiesa siano
avocate alla Santa sede. La chiesa Romana giammai errò, né mai errerà, e ciò per autorità dei sacri
testi. Essa può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso i dominanti perversi.”

Queste prese di posizione sono assolutamente rivoluzionarie. Nel frattempo la violenza in molte città
italiane divampa, perché lo scontro tra riformatori e vescovi simoniaci si mescola con le dinamiche
politiche delle città, con scontri davvero cruenti, come nel caso di Milano. Abbiamo Arialdo, il capo
della pataria e viene fatto arrestare dall’arcivescovo di Milano, torturato e in seguito ucciso. Nel
documento di Andrea da Strumi, monaco vallombrosano, viene narrata questa vicenda.
“Sguainate dunque le spade, uno gli afferrò un orecchio e l’alto l’altro, dicendogli:”Dì, o furfante, se il
nostro signore è vero arcivescovo”. Ed egli rispose: ”Non lo è né mai lo fu, perché né ora si trova in
esso un comportamento che sia degno di un arcivescovo, né mai lo si trovò”. Allora senza alcuna pietà
gli tagliarono entrambe le orecchie. Ma Arialdo, elevati gli occhi al cielo, disse: ”Ti ringrazio, o Cristo,
che oggi ti sei degnato annoverarmi fra i tuoi martiri”. Quelli ripresero ad interrogarlo se Guido fosse
vero arcivescovo. Ma egli, mantenendo la sua consueta fermezza d’animo rispose:”Non lo è”. E subito
gli fu tagliato via il naso con il labbro superiore. Quindi gli furono cavati entrambi gli occhi. Poi gli
troncarono via la mano destra, dicendo:”Questa è la mano che vergava le lettere dirette ai Roma!”. E
ancora gli amputarono completamente il membro virile, dicendo “Fino ad oggi sei stato predicatore
della castità d’ora in avanti sarai anche casto”. Infine gli strapparono fuori dalla gola la lingua,
dicendo: “Finalmente taccia questa lingua che mise scompiglio nelle famiglie dei chierici e le disperse”.
E cosi quella santa anima fu liberata dalla carne; il corpo poi in qualche modo fu seppellito in quel
luogo.

Questi episodi violenti sono particolarmente numerosi. Per esempio nel 1082 alcuni monaci
vallombrosani, già sottoposti alle violenze dei signori, portano avanti una campagna accusatoria verso il
vescovo, Pietro Mezza barba, fino a organizzare una vera e propria ordaria, cioè una prova legata al
diritto divino, consiste in una passeggiata nei carboni ardenti. Questa viene organizzata nel monastero
delle campagne fiorentine, Abazzia a Settimo, cioè sette miglia dalla città. Un monaco vallombrosano
sfida il vescovo, accusandolo di essere simoniaco ed è talmente sicuro che dice di poter camminare sui
carboni ardenti senza sentire niente, lo sfida a fare lo stesso. Il monaco non subisce conseguenze, il
vescovo invece si mostra nel monastero, ma è circondato da una folla immensa e questo vuole dire che
l’ondata di riforma contro i simoniaci sta prendendo le forme anche di una guerra civile tra le fazioni
politiche presenti nelle città. Si arriva poi allo scontro tra Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV.
Negli stessi anni in cui Gregorio VII scrive il dictatus papa Enrico IV diventa maggiorenne e viene
nominato imperatore, non capendo bene il documento del papa, nomina vescovi, abati, soprattutto in
Germania. A questo punto si arriva allo scontro tra le due potenze. Il papa minaccia Enrico IV di
scomunica, l’imperatore convoca una grande assemblea di vescovi tedeschi, in Germania, a Worns, nel
1076. Fa dichiarare da questi vescovi tedeschi deposto il papa. Il papa allora lo scomunica, che significa
togliere la comunione. Ma un imperatore che è scomunicato non è più legittimato a esercitare alcun
potere. L’imperatore è nei guai e viene invogliato dai suoi consiglieri a chiedere perdono al papa. Va a
chiedere perdono nel castello di Canossa, perché lì si trovavano il papa, la sua fida alleata, Matilde di
Canossa marchesa di Toscana, signora di Modena e di Mantova e l’abate di Torì, Ugo.
Lì di inverno l’imperatore si reca in vesti da penitente con la cenere in testa, rimane fuori dal castello per
tre giorni e per tre notti e chiede il perdono del papa, che alla fine gli viene concesso. Solo che una volta
perdonato torna di nuovo sui suoi passi. Torna in Germania, convoca un’assemblea ancora più vasta di
quella degli anni precedenti, fa dichiarare deposto Gregorio VII e nomina un antipapa. L’antipapa prende
il nome di Clemente III il quale prima di diventare papa è arcivescovo di Ravenna e solitamente gli
arcivescovi di Ravenna non hanno buoni rapporti con la chiesa di Roma da Pipino il breve in poi. Nel
1080 Enrico IV scende a Roma, portandosi dietro il nuovo papa e con i soldati invade la città. Gregorio
VII si rifugia nel Castell Sant’angelo e aspetta che la furia delle truppe passi, nel frattempo chiede aiuto
ai suoi alleati normanni. Loro arrivano in soccorso del papa, si ritirano le truppe imperiali, prelevano
Gregorio VII e lo porta nelle sue terre, cioè a Salerno, dove Gregorio VII morirà e verrà sepolto. Tra i
successori di Gregorio VII vi è il pontefice Urbano II. Quindi adesso ci sono due papi: uno è Clemente
III che sta a Roma con l’appoggio delle truppe imperiali, l’altro è il papa canonico che però non può stare
a Roma, perché la si trova l’antipapa supportato dalle truppe imperiali.
Tra questi papi regolari, canonici che non possono ridiede a Roma vi è Urbano II, monaco cuniacense, e
sarà papa dal 1088 fino al 1099. E’ un papa che gira molto, cerca di riprendere i collegamenti con i
vescovi, perché questa contesa aveva messo a dura prova i rapporti tra la chiesa di Roma e le sedi
diocesane dove erano presenti i titolari. Cerca di intessere una rete diplomatica per riportare sotto
l’obbedienza romana tutta una serie di vescovi. Durante questi viaggi si trova in Alivornia, e lì nel 1095
proclamerà il primo pellegrinaggio penitenziale armato per liberare la Terra Santa, questo documento è
considerato l’atto fondiario delle crociate.
Successore di Urbano II è Pasquale II, che sarà in carica dal 1099 fino al 1118. Ceca di trovare un accordo
con l’impero, nel quale non c’è più Enrico IV che nel frattempo è deceduto, ma suo figlio Enrico V.
L’accordo che cerca Pasquale II si materializza nel 1111, nella città si Sutri, a Viterbo. A Sutri Pasquale
II avrebbe fatto un accordo che prevedeva che l’imperatore smettesse di investire i chierici dei poteri
spirituali e i chierici dovevano rinunciare ai diritti pubblici (all’amministrazione della giustizia, a
controllare militarmente un tritolo, a riscuotere le imposte). E’ una grossa rinuncia quella che promette
Pasquale, molti lo accusano di un atto sconsiderato, perché non hanno più poteri. Pasquale II cosi è
costretti a ritornare sui suoi passi e ritirare l’accordo. Enrico V lo arresta, si ritorna nel caso. Il successore
di Pasquale II riesce a trovare la giusta formula di compromesso, che per la verità avvantaggia più la
chiesa di Roma che l’imperatore. Questo accordo viene sancito con il Concordato di Worns in cui si dice:
“In nome della Santa Trinità. Io Enrico V per grazia di Dio imperatore Augusto dei Romani, per amore
di Dio e della Santa Chiesa di Romana e del signore il papa Callisto e per il bene della mia anima,
rimetto a Dio, ai Santi Apostoli di Dio Pietro e Paolo e alla Santa Cattolica Chiesa ogni investitura con
anello e scettro, e concedo che in tutti le chiese del mio regno abbia luogo la elezione canonica e la
libera consacrazione.
Io Callisto vescovo, servo dei servi di Dio, al diletto figlio Enrico per grazia di Dio imperatore Augusto
dei romani, concedo che l’elezione dei vescovi e degli abati nel regno di Germania abbia luogo in sua
resina senza simonia e senza violenza. L’eletto poi riceverà da te, per mezzo dello scettro le regalie, e
faccia quelle cose che perciò a buon diritto deve a te. Il consacrato nelle altri parti dell’impero entro sei
mesi riceva le regalie da te per mezzo dello scettro e faccia quelle cos che perciò a buon diritto deve a
te; salvo quei diritti che si sa essere di pertinenza della chiesa.”
In Germania quindi la scelta dei vescovi avverrà per scelta dei canonici della cattedrale ma il momento
in cui viene scelto il vescovo è il momento in ci può presenziare l’imperatore con i suoi funzionari, con
la possibilità di dare ai vescovi degli incarichi pubblici, l’imperatore può condizionare la scelta del
vescovo. Viceversa in Italia e in Borgogna la scelta del vescovo è sempre del collegio dei canonici della
cattedrale ma la presenza dell’imperatore e dei suoi funzionari per affidare ai vescovi incarichi pubblici
può avvenire solo dopo 6 mesi. Cosi diventa evidente che in questa zona l’imperatore non può
condizionare la scelta dell’ordinario diocesano. Si afferma la prassi per la quale il vescovo è scelto dal
collegio dei canonici in tutte le zone dell’impero.
Questo concordato di Worns metterà la fine ai conflitti, che nella storia sono passati con il termine di
lotta per le investiture e avvia il momento in cui il papa si afferma come vertice della chiesa cattolica
occidentale.
E’ dopo il concordato di Worns che cominciano a tenersi a scadenza regolare i concili ecumenici
lateranensi, nel palazzo di Laterano a Roma. La sede del papa a quel tempo era San Giovanni in Laterano.
I concili servono a oberare la cristianità occidentale, la chiesa di Roma comincia a tenere le fila di tutte
le diocesi della chiesa occidentale. Si dota oltre che di una cancelleria molto laboriosa, anche di una
tesoreria chiamata reverenda camera apostolica. Questa diventa dal XII secolo in poi diventa la più
grande tesoreria d’Europa. Questo perché cominciano a versare tributi alla chiesa di Roma molti vassalli,
i monasteri sottoposti direttamente al controllo di Roma e inoltre si afferma la prassi per cui i vescovi
devo andare a Roma per visitare le chiese di San Pietro e di San Paolo, e devono lasciare un contributo
alla chiesa. Inoltre si afferma in questo periodo l’istituto delle decime per la crociata, cioè una tassa che
ogni diocesi deve pagare alla chiesa di Roma per contribuire ai pellegrinaggi armati contro gli infedeli.
Quindi l’esito ultimo della riforma è quello di un forte accentramento del potere della chiesa romana
rispetto a tutte le altre diocesi che poi porterà alle nomine dei vescovi non più effettuati dai canonici delle
diocesi ma direttamente dal papa.
In questo stesso periodo prende corpo la codificazione del diritto canonico, cioè del diritto della chiesa,
la parola canonico in greco vuol dire regola, il diritto viene raccolto in un’unica opera intorno al 1140 da
un monaco camaldolese, tale Graziano, il qual vive e studia a Bologna e che pubblica il decretum,
chiamato anche Concordia discordarntium canone, cioè Concordia dei canoni discordanti, una raccolta
di circa 4000 testi attinenti alla chiesa ecclesiastica. Questo diventa il testo base per l’insegnamento del
diritto ecclesiastico.

Lezione 9

Parliamo di fenomeni legati alla demografia, urbanesimo, commercio.


Parliamo di una lunga fase di espansione economica e demografica che caratterizza il mediterraneo e
l’Europa dal X fino all’inizio del XIV secolo. Stiamo parlando di una fase di crescita in cui gli inizi non
sono perfettamente definibili perché nelle fonti relative al periodo iniziale di crescita sono scarse,
modeste. Abbiamo indizi sparsi. Una cosa si può dire con certezza: la crescita demografica e la crescita
economica è iniziata prima dell’anno 1000, almeno un secolo prima. Questa fase di crescita dura 400
anni. La popolazione riprendere a crescere per varie motivazioni:
Un elemento non secondario è la fine delle grandi pestilenze, che generalmente arrivavano dall’Asia,
storicamente le pandemie vengono da quelle zone dell’Asia dove la popolazione è più densamente
presente. Queste ondate pestilenziali progressivamente scompaiono perché i rapporti politici e
commerciali si rarefanno e le ondate migratorie verso l’Europa tendono a diradare. Un altro elemento
almeno fino al XII secolo è una migliore alimentazione, una dieta più variegata di ceti umili. Nelle società
pre industriali la stragrande maggioranza della popolazione spende quasi tutto quello che ha per
alimentarsi. Nell’alto medioevo proprio per la caduta demografica abbiamo una situazione alimentare
particolare, perché queste vaste terre incolte permettono di sfruttare la terra meno intensiva, ma permette
anche di deperire l’alimentazione attraverso la caccia, la pensa, l’allevamento allo stato brado, in libertà
totale. Poi dobbiamo immaginare che la cultura del grano non è cosi diffusa, ci sono culture alternative,
cereali minori, magari meno buoni ma con una resa maggiore. Nell’alto medioevo c’è un equilibrio tra
l’uomo e l’ambiente che è favorevole ad un’alimentazione più variegata. Questo permette di resistere
meglio alle malattie. Infatti dobbiamo tenere presente che ciò che conta in quel periodo non è il tasso di
natalità, perché tutti facevano molti figli, ma un bambino su tre non arrivava a compiere un anno, perché
non riusciva a superare tutte le infezioni che normalmente colpiscono i bambini, e inoltre mancavano le
medicine, ma anche dopo l’anno i pericoli erano neurosi. E’ la mortalità che incide sui trend demografici.
Questa popolazione del IX e X secolo si trova nell’ambiente più favorevole per la sua crescita e infatti
inizia a crescere. Ci sono vari segni di questa crescita, per esempio le trasformazioni che avvengono nelle
aziende agrarie, per esempio nelle curtis. Esisteva una grande riserva padronale e poi tutta una serie di
poderi dati in concessione ai contadini, troviamo nelle aziende agrarie fenomeni come la riduzione
progressiva della riserva padronale, le cui terre sono date in concessioni, e poi mani (cioè unità poderali)
che vengono spezzettate, perché la pressione demografica sta aumentando allora si dividono i terreni e
su queste terre si lavora più intensamente, questo è un sintomo dell’aumento della pressione demografica.
Piu che un indizio è fornito dal fatto che sappiamo che terre precedentemente incolte (boschi) vengono
messe a coltura. Questo fenomeno lo troviamo in tutta Europa, in alcune zone è più accentuato, per
esempio in Germania, in Polonia, Paesi Bassi, dove ci sono zone paragonabili a regioni che vengono
completamente modificate dal punto di vista paesaggistico nel giro di uno o due secoli. Nelle zone dove
l’insediamento umano ha una tradizione molto più lunga (Italia) il fenomeno è meno appariscente.
C’è inoltre la nascita di nuovi insediamenti rurali che spesso sono collegati a questa nuova valorizzazione
del suolo e ripresa del popolamento in centri urbani già esistenti che si erano fortemente contratti nell’alto
medioevo. Ci sono anche documenti che fanno riferimento a commerci non più a scala locale ma
regionale, quando vediamo circolare la moneta è ovvio che siamo in una fase avanzata della crescita
demografica perché questa crescita oltre ad innescare un aumento della produzione agricola sviluppa un
ampliamento dei rapporti commerciali e quindi monetari.
I dati che abbiamo non sono precisi, non potrebbero esserlo ma i dati del tempo ci dicono che in Europa
intorno al 1000 vivevano circa 40milioni di abitanti, una cifra molto bassa ma molto più elevata rispetto
al 600/700. All’inizio del 1300, quindi al termine della fase espansiva, in Europa vietano circa 70mila
abitanti, quindi la popolazione è quasi raddoppiata. Per qualche area d’Europa abbiamo dei riferimenti
affidabili, facciamo il confronto tra Inghilterra e Italia.
In Inghilterra alla fine del XI secolo viveva poco più di 1milione di abitanti, in un’area in cui oggi
vivono 45milioni di abitati, nella prima metà del 300 vivevano circa 4milioni di abitanti, una bella
crescita in percentuale ma molto bassa rispetto agli standard nostri. In Italia si pensa che sia arrivata
sotto i 4mila abitanti nel punto di massima decadenza demografica, quindi intorno al 600/700, dopo la
guerra greco-gotica e le devastazioni dei longobardi, poi intono al 1000 si pensa che avesse tra i 5 e i
6milioni di abitanti, quindi già in evidente crescita. All’inizio del 1300 la popolazione italiana superava
i 12milioni di abitanti. In percentuale la crescita inglese è più forte di quella italiana. L’Italia dell’inizio
del 300 è l’area più ricca e più densamente abitata di tutta l’Europa.
La crescita demografica è accompagnata dall’espansione dell’agricoltura, che è la risposta principale del
sistema economico, più dal punto di vista estensivo che intensivo, che vuol dire che la crescita della
popolazione e quindi l’aumento della domanda dei beni di prima necessità è soddisfatta dall’aumento
della produzione, ma non tanto della produttività. Produzione indica ciò che si produce, la produttività è
il rapporto tra ciò che ci investe in un determinato settore e ciò che si ottiene. Non c’è stato nell’alto
medioevo un grande aumento della produttività, ma si mette a coltura più terra. Si arriva ai grandi
disboscamenti e alla scompare della grande riserva padronale ed ecco perché nei Paesi Bassi assistiamo
ad una grandissima opera di bonifica del territorio. Risposta di tipo estensivo che serve per rispondere
alla domanda. I protagonisti delle opere di bonifica del territorio sono i contadini, ma questi spesso sono
stati spinti dai proprietari, che hanno dimostrato uno spirito imprenditoriale. I proprietari hanno tutti
partecipato alla valorizzazione del territorio, si stipulano contratti agrari con il contadino concessionario
che deve estendere la superficie coltivata e in cambio non deve pagare i frutti. Questi contratti ad
mediorandum sono sempre più diffusi da X secolo in poi. Ci sono anche interventi di principi e di grandi
aristocratici, oppure da governi con i comuni, i comuni si fanno promotori di opere di bonifica, prendono
delle terre comunali e le lottizzano a favore di privati a patto che investano i loro capitali per valorizzare
il suolo. L’aumento dello spazio coltivato si porta dietro la creazione di nuovi insediamenti rurali,
sappiamo che nelle campagne intorno a Parigi, sono stati fondati almeno 500 nuovi villaggi, Piu o meno
nello stesso periodo nella pianura padana sono stati creati 200 insediamenti in più. Non di rado la
creazione di questi nuovi centri è incentivata dai proprietari che spingono i contadini a trasferirsi in queste
nuove zone attraverso facilitazioni fiscali esenzioni da tributi, esenzioni di natura giuridica e cosi via.
Da un esempio parigino della prima metà del XII secolo, in questa fonte il protagonista è un abate
francese che dirigeva il grande monastero di Saint Denis.
Ha promosso la ricostruzione della basilica di Saint Denis, luogo importantissimo per la storia della
Francia, perché li sono seppelliti moltissimi sovrani di Francia, questa è la chiesa della monarchia
francese. Un abate moto importante che si da da fare anche per creare nuovi villaggi. Nel documento si
dice:
“Presso Valle Crisone abbiamo fondato un villaggio, costruendo una chiesa e una casa e facendo
dissodare con l’aratro la terra incolta. Quanta fatica questo debba costare saprà chi si accingerà a
incrementare il villaggio, dove gia sono circa 60 ospiti e moli altri vorranno venire, se qualcuno bi
provvederà. Questo luogo era infatti come una spelonca di ladroni, con un territorio deserto oltre due
miglia, del tutto improduttivo per la nostra chiesa e adatto soltanto, per la vicinanza dei boschi, a far
riparo ai briganti e ai loro manutengoli. Per questo abbiamo stabilito che i nostri fratelli si rechino lì a
servizio di Dio, affinché negli antri, nei quali prima abitavano i dragoni, sorga il verde della canna e
del giunco.”
Anche le grandi fondazioni monastiche partecipano alla valorizzazione dei suoli. Questo lo vediamo
molto bene anche attraverso il ruolo che hanno esercitato alcuni monaci benedettini, in particolare modo
i benedettini cistercensi. Questi sono monaci benedettini che prendono il loro nome da una fondazione
della fine del XI secolo in Borgogna, Citeaux. Sono monaci che sono legati nel XII secolo al grande
pensatore Bernardo di Chiaravalle. Questi monaci sono molto importanti perché hanno portato avanti un
approccio quasi imprenditoriale creando tutta una serie di fattorie, identificate con il nome di Granche,
che in italiano prendono il nome di Grange. Questi monaci si facevano un vanto di risiedere in luoghi
disabitati, che spesso avevano bisogno di essere dissodati, per esempio l’abbazia di Fossanova. In Italia
la valorizzazione dei suoli è stata accompagnata da un intervento molto importante dei proprietari
fondersi risiedenti in città, questo si vede molto bene nell’area dello sviluppo dei comuni, quindi da Roma
in su, perché qui gran parte delle proprietà fondiarie finiranno nelle mani dei cittadini, saranno loro che
collegando l’attività agricola al mercato urbano a imporre nuovi contratti agrari. I contatti agrari erano
basati su scadenze temporali ravvicinate in modo tale da adeguare i vasti colonici al variare dei prezzi e
dell’andamento economico, il contratto agrario medievale italiano che ha avuto una maggiore diffusione
è il contratto di mezza dria. Il contratto di mezza dria è stato abolito soltanto intorno al 1950, ha origine
nel XII secolo nelle campagne Fiorentine, verrà poi adottato più massicciamente nel XIII secolo. La
mezza dria vede la compartecipazione alla valorizzazione del suolo da parte del proprietario e del
contadini, i quali si devino dividere i finanziamenti e spartirsi i redditi, questo tipo di contrato ha una
durata breve e può essere rinnovato. Non dura più di 5 anni ed è funzionale alle esigenze dei proprietari
fondiari cittadini che volino regolare la produzione in funzione del mercato cittadino.
Espansione agricola e aumento della produzione ma non della produttività, perché non c’è stato un
significativo scarto tecnologico tra l’alto medioevo e il basso medioevo, pero qualcosa è cambiato. Nel
documento che abbiamo visto prima si parla dell’aratro, quello in questione è l’aratro pesante, quello con
il vomere di ferro, trainato almeno da una coppia di buoi, capace di solcare in profondità i suoli questa è
un’invenzione medievale. Questa invenzione noi la troviamo presente nell’Europa continentale, quindi
Germania, Francia, Inghilterra e nell’Italia padana, nelle zone mediterranee questa invenzione non è
arrivata, questo perché il regime delle piogge non favorisce l’utilizzo di questa invenzione, perché può
essere controproducente. E’ un’invenzione importante ma che viene utilizzata soltanto nell’Europa
continentale. Un’altra invenzione importante è la ferratura degli animali, per esempio ferrare gli zoccoli
dei cavalli, il giogo che si mette sulle spalle dei buoi.
Altre invenzioni importanti, che non risalgono al medioevo ma la loro applicazione si, sono il mulino a
vento e mulino ad acqua, che non incidono tanto sull’agricoltura ma sulla trasformazione dei prodotti
agricoli, la macinazione dei cereali se effettuata da uomini è molto meno redditizia rispetto a quella
effettuata dal mulino. Ci sono altre innovazioni di tipo organizzativo. Proprio per la grande disponibilità
della terra si faceva a coltura una parte delle terre coltivabili e l’altra la si lasciava a riposo, quindi il 50%
delle terre coltivabili non veniva usata. Nel medioevo la rotazione dei terreni è più efficiente perché i
terreni vengono divisi almeno in tre parti se non in più, per cui la parte lasciata a riposo tende a contrarsi,
di solito fino al 30%, si razionalizza l’organizzazione dei fondi in modo da aumentare la produzione.
Tutto questo produce un piccolo aumento di produttività rispetto all’alto medioevo. Tutta questa grande
espansione dell’agricoltura si porta dietro anche trasformazioni importanti nello stile di vita dei contadini
nei consumi, e nella dieta dei contadini. Piu si va avanti nella bonifica del territorio più diminuiscono le
aree dove si cacciava, dove si pescava, dove di andava a raccogliere i frutti spontanei nei boschi. La
caccia diventa qualcosa riservata ai proprietari, ai potenti. Piu si estendono i campi di cereali più i
cittadini tenendo a mangiare pane, polente, zuppe fatte di cereali, la carne esce dal consumo dei contadini,
fino a raggiungere il minimo all’inizio del 300. Altri aspetti importati sono da collegarsi al rapporto tra i
proprietari terrieri e i cittadini, alla commercializzazione dei prodotti delle campagne e via dicendo, per
esempio la diffusione dei canoni in denaro rispetto ai canoni in natura. Questi secoli, dal X fino al XIV
secolo, sono interessati anche da importati, macroscopici cambiamenti avvenuti in ambito commerciale
e finanziario. L’attività commerciale e finanziaria è lontana dagli standard moderni solo da un punto di
vista quantitativo, da un punto di vista qualitativo la differenza non è cosi significativa, anzi noi oggi
continuiamo ad utilizzare tutta una serie di strumenti che hanno un’origine medievale, per esempio il
conto corrente in banca, gli assegni, le società tengono i loro bilanci con un sistema contabile (la
ragioneria in partita doppia) che ha un’origine medievale, alcune società hanno origini medievali. Gran
parte di queste innovazioni commerciali e finanziarie medievali hanno una specifica patria di origine: le
città toscane del 200 e del 300.
Nell’alto medioevo le attività commerciali erano rarefatte, erano o occasionali oppure estremamente
concentrate in luoghi molto ristretti oppure in casi molto sporadici poteva esserci un commercio
internazionale il quale però era un commercio collegato sopratutto ai sovrani, commercio di lusso.
Nell’alto medioevo l’attività commerciale non è nemmeno considerata un’attività onorevole, le élite alto
medievale, quindi guerrieri o ecclesiastici, non si interessano delle attività commerciali perché sono
considerate disonorevoli, molto spesso queste sono esercitate dagli ebrei, perché sono i marginati della
società, spesso si danno ad attività legate al commercio, oppure alla medicina. Nel basso medioevo la
situazione cambia perché le attività commerciali si diffondo e in alcune zone d’Europa il commercio
diventa l’attività che rende di più, che garantisce i maggiori profitti e finisce anche per plasmare alcune
società in cui il commercio diventa l’attività più prestigiosa, naturalmente sono realtà localizzate, se
consideriamo il contesto europeo le aree in cui il commercio assume un’importanza notevole sono poche.
Il luogo per eccellenza di questa rivoluzione commerciale è l’Italia centro settentrionale, sopratutto
Venezia, Genova, la Toscana e alcune grandi città della Lombardia e del Veneto. Nel basso medioevo
nasce una figura che prima era inesistente, cioè il mercante di professione, un mercate che viaggia
molto, comunica a darsi delle strutture societarie, comincia ad avere dei rappresentanti, dei dipendenti e
organizza una rete, che arriva al termine della lunga fase di sviluppo. I mercanti viaggiano molto sia per
mare che per terra. Vediamo un esempio che fa riferimento ad una grande arteria commerciale
dell’Europa basso medievale che è quella costituita dalla via Francigena, che è una grande arteria stradale
cosi chiamata perché collegava Roma con la Francia e i Paesi Bassi, partiva da Roma, passava da Viterbo,
passava da Siena e poi da lì passava da Valdelsa dove sorgevano importanti castelli nei quali il ceto
dirigente non era formato da cavalieri ma da uomini d’affare (San Gimigniano). La via francigena entrava
poi nel territorio Lucchese, prendeva la via del mare, superava l’Appennino, entrava nel territorio di
Parma, passava da Piacenza (città di mercanti e di banchieri), passava da Asti, poi o verso la Valle
d’Aosta o sulla val di Susa, in ogni caso si entrava nel territorio francese e l’obbiettivo era quello di
arrivare o a Parigi o verso le fiere della Champagne. Le fiere venivano tenute a partire dal XI secolo nella
regione della Champagne Ardenne, tutta questa zona era sotto il controllo del Conte di Champagne di
Brì. Erano 4 i luoghi di fiera, i più importanti erano Troyes e Provins, in queste zone della Francia i
mercati italiani si incontrano con i mercanti francesi, delle fiandre e via dicendo. Probabilmente aveva
lavorato in queste zone della Francia anche Pietro di Bernardone, il quale era il padre di Francesco
d’Assisi, lui era un uomo che aveva viaggiato molto e quando torna a casa sua trova un figlio appena
nato al quale la moglie aveva dato il nome di Giovanni, lui pero avendo viaggiato molto in Francia dove
spesso si vendevano i panni franceschi, decide che il figlio sarà invece battezzato Francesco, questa è
l’origine del nome del patrono d’Italia, Francesco, cioè francese.
Le fiere della Champagne diventano il luogo d’eccellenza per li scambi in Europa, queste sono protette
dal conte di Champagne che da una serie di garanzie ai mercanti che vengono da tutta Europa. Ad un
certo punto queste fiere si esauriranno perché i mercanti italiani smetto di viaggiare, si formano le loro
filiali, le loro sedi stabili nelle città dove vendono, comprano e dominano il mercato. Il cuore
dell’economia europea batteva in Italia e i mercanti e i banchieri erano gli uomini d’affari più importanti
del continente. All’inizio del 300 i grandi mercanti italiani aprono filiere a Londra, a Brugge altre anche
che a Parigi. Questo si può vedere anche nel documento scritto in volgare preso da un manuale per
mercanti, redatto intorno al 1340 da un mercante, tale Francesco Pegolotti, che lavorava per la società
più importante del tempo, la compagnia dei bardi. Una società fiorentina che aveva circa 25 filiali in tutta
Europa e per il quale lavorava anche il padre di Boccaccio.
Pegolotti descrive Brugge in questi termini:
“In Bruggia si à due grandissime magioni a modo di grandissimi palagi, le quali magici si appellano
“alle”, e nell’una alla si vendono pure panni di lana interi, e non s’apre se non 3 dì della settimana,
cioè ‘l mercoledì e ‘l venerdì e ‘l sabato; e nell’altra alla si vendono panni lani interi e a tagli e a tutte
maniere che l’uomo volesse avere, e tutta la settimana sta aperta…Il poto di mare di Bruggia si è alle
Schiuse, che è nella villa che è alla marina del mare del porto di Bruggia, ove tutta la mercatantia si
carica e discarica nelle nave o cocche o galee o altri nobili; la quale bille delle Schiuse ene di lunge da
Bruggia 3 leghe di Fiandra, cioè da 9 in 10 miglia. Entra la villa di Schiuse e la villa di Bruggia è una
villa si à una villa che si chiama il Damo, la quale villa del Damo si è in sun una piccola riviera che va
dal Bruggia alle Schiuse, per la quale riviera tutta la mercantia va e viene per piccoli navili da Bruggia
alle Schiuse e dalle Schiuse e dalle Schiuse a Bruggia; e nella villa del Damo alla villa di Bruggia si à
una lega fiamminga, cioè 3 miglia. I borghesi di Bruggi possono comperare e non osano rivedere in
Bruggia nella mercanti che comperato avessero in Bruggia sotto pena di 5 lire di grossi tornesi
d’argento per ogni volta, e alla terza volta sono sbanditi e che è sbandito di Bruggia si è sbandito di
tutta la Fiandra”
Teniamo presente che a Brugge si parlava in fiammingo, ma questa era ritenuta una lingua popolare,
quindi tutte le persone di una certa cultura dovevano parlare francese e tutti i mercanti italiani
interloquivano con i fiamminghi in francese.
Le merci arrivano al porto che è distante qualche chilometro da Brugge, si scaricano le merci, che sono
state portate o sulle navi, o sulle cocche, sulle galee o su altre, qua si sta divulgando sulla tipologia delle
navi utilizzate al tempo. Le navi o cocche sono navi tonde, sarebbero le antenate delle caravelle o dei
galeoni, cioè che vanno solo a vela, hanno delle murate molto alte e delle stive molto capienti e hanno
un rapporto tra lunghezza e larghezza di 3:1 (quindi abbastanza panciute) e particolarmente adatte a
portare merci voluminose e ingombranti, come il sale. Poi ci sono le galee, che sono navi tipicamente
mediterranee, veneziane e sono navi molto allungate con un rapporto tra lunghezza e larghezza di 7:1,
navi che vanno sia a vela che a remi, una galea è piena di rematori (70/80 rematori), quindi è anche una
nave con dei costi di manodopera elevati, però la galea è molto più sicura, perché è più difficile da
attaccare, perché i rematori possono trasformarsi in guerrieri in caso di attacco. Quando i mercanti
trasportavano le merci bisognava fare una scelta, c’erano tutta una serie di calcoli che bisognava fare per
trasportare le merci.
Una 15 di kilometri separa Brugge dal porto, tra il porto e la città si trova Damo, cioè diga. I residenti di
Brugge possono vendere nella città, ma tutti gli altri mercanti possono comprare una cosa o vendere una
cosa che hanno portato loro, ma non possono vendere una cosa che hanno comprato a Brugge, questa è
una forma di protezionismo.
Tornese vuol dire una moneta coniata a Tours. Talmente è importante la città di Brugge che è come se
un mercante che venisse espulso da Brugge sarebbe espulso da tutta la contea.

Lezione 10

Abbiamo letto un brano relativo a Brugges redatto da un mercante. Si parla dei velieri che attraccano nel
porto, abbiamo visto che conosce perfettamente i velieri che arrivano nelle fiandre per la maggior parte
provenienti dal mediterraneo. La navigazione in epoca basso medievale conosce vasti cambiamenti
tecnici, o legati all’introduzione di elementi che rendono la navigazione più sicura, per esempio la
bussola, i portolani, cioè quei manuali che dirigono l’entrata e l’uscita nei porti, le carte nautiche, il
timone posto a poppa. Tutti questi elementi non si trovano nell’alto medioevo, tutte queste innovazioni
permettono alle navi di navigare meglio, con una stiva di maggior capienza, con maggior sicurezza e
questo permette anche di sfidare il mare aperto o di navigare durante i mesi invernali. Questo aspetto è
da tenere presente perché il commercio, sopratutto per volumi consistenti e nei grandi spazi, è veicolato
sopratutto attraverso i trasporti via acqua (via mare e via fiume). Con più difficoltà le merci vengono
spostate via terra perché non esiste uno strumento paragonabile alle navi. I mercanti italiani portavano le
loro merci via mare, quindi passando attraverso lo stretto di Gibilterra, o lungo i fiumi. Via terra i trasporti
erano più complicati, più lenti e anche più rischiosi, perché passare le frontiera era molto facile ma la
sicurezza non era garantita e significava anche pagare dazi, gabelle, pedaggi e i trasporti avvenivano
generalmente a dorso di mulo, che è il vettore principale con cui si portano le merci via terra. E’ difficile
trasportare merci per lunghi tratti con questo sistema, anche perché ci vogliono più muli, quindi il costo
si dilata, è molto più conveniente trasportare via mare.
Le merci su cui si articola il commercio basso medievale sono merci di lusso, destinate ad un consumo
di nicchia, che non erano scomparse nell’alto medioevo, sono gioielli, profumi, stoffe di seta, le spezie.
Sono tutte destinate all’uso dei ceti abiti, i sovrani i nobili. Il consumo di spezie merita un cenno
particolare. La cucina medievale è una cucina fortemente speziata, le spezie arrivavano dall’India, alcune
(come i fiori di Garofano) arrivavano dalle Lontane Molunche, stiamo parlando di zone che fanno parte
dell’Indonesia. Queste spezie prima di arrivare in Europa facevano dei giri lunghissimi, erano portate
dall’Asia verso il mediterraneo attraverso due canali: il mar rosso oppure il golfo persico, in entrambi i
casi le spezie arrivano in aria mediorientale specialmente grazie al commercio portato avanti dai mercanti
musulmani, sopratutto arabi, che sfruttano i montoni per fare lunghi viaggi di andata e di ritorno. Venezia
era particolarmente specializzata nel commercio delle spezie, i suoi riferimenti in questo campo erano
Costantinopoli e Alessandria. I veneziani avevano cominciato molto presto a commerciare con queste
zone, la chiesa di San Marco era in origini un edificio religioso molto piccolo, eretto per volontà di un
doge, Giustiniano Partigiaco, per dare adeguata sistemazione alla salma di San Marco, salma che i
veneziani avevano rubato ad Alessandria dove si trovava nel IX secolo, quindi sappiamo che da molto
presto i veneziani iniziarono gli scambi commerciali con Alessandria. I veneziani attraverso le loro galee
loro navi portano le loro spezie in tutti i porti del mediterraneo e poi anche nei porti atlantici, della
Francia, dell’Inghilterra ma i loro partner commerciali principali sono i tedeschi. I tedeschi, che vivono
nella parte meridionale della Germania, vanno a Venezia per comprare le spezie e i veneziani dai tedeschi
comprano metalli, sopratutto l’argento. Circolano beni di lusso, in quantità molto superiore rispetto
all’Alto medioevo, poi iniziano a circolare prima a livello regionale poi sovraregionale e infine
continentale alcun alimenti strategici.
Una delle merci che comincia a circolare molto di più è il grano. Il grano nell’alto medioevo circola
pochissimo, perché l’agricoltura è votata all’autoconsumo, il contadino tende a mangiare ciò che
produce. Nel basso medioevo invece con l’aumento della popolazione e l’aumento delle città vi è una
necessità nuova di spostare il grano dalle zone più fertili verso le zone dove vi è una più forte domanda,
perché il numero dei consumatori è più elevato. Le zone che si vanno specializzando nelle produzioni
massicce di grano sono la Sicilia, dove vanno i mercanti genovesi, in Sardegna, in Provenza dove vi sono
suoli particolarmente adatti a questo tipo di produzione. I veneziani vanno a prendere il grano in Puglia
oppure in altre zone dell’impero bizantino. Il grano torna ad essere una merce che circola sui grandi
spazi, soprattutto quando si sviluppa il fenomeno delle carestie, quando i raccolti non sono soddisfacenti,
quando i prezzi aumentano a dismisura, questi sono fenomeni che si verificano intorno al 200 e nella
prima metà del 300, quando l’espansione demografica tocca il suo culmine. Il grano che arrivava in Italia
non proveniva dall’Egitto, il grano egiziano circolava ma sopratutto nelle zone arabe perché era molto
complicato far arrivare il grano in Italia dal’Egitto.
Il sale è un’altra merce importante, è uno degli elementi fondamentali oltre che per condire gli alimenti
anche per conservarli. Il sale era uno degli stumenti principali per conservare gli alimenti, specialmente
la carne. Il sale diventava anche uno strumento legato alla fiscalità perché i sovrani spesso comprano il
sale e poi lo vendevano ai prezzi che decidevano loro. Nel mediterraneo ci sono moltissime zone di
produzione del sale, moltissimi giacimenti salini lungo le coste, per esempio in Romagna, in Puglia, in
Sicilia, in Sardegna, a Ibiza, a Setubal (Portogallo) e altre zone. Comincia a circolare molto anche il vino,
che può circolare perché una della invenzioni medievali è quella della botte a tenuta stagna, che
impedisce al vino di andare in aceto molto meglio di quanto non facessero le anfore antiche. Ci sono
molte varietà di vino, il consumo era altissimo, quantità enormi venivano bevute al tempo, più di un litro
al giorno per ognuno. La gradazione dei vini era molto più bassa rispetto alla nostra, l’idea di far
invecchiare i vini è recente. Alcuni vini erano più pregiati di altri, per esempio nell’Italia meridionale si
producevano dei vini chiamati vini greci, che erano molto forti, ed erano considerati un lusso. Una
grandissima corrente di esportazione di vino aveva a che fare con la Francia sud occidentale e
l’Inghilterra, per secoli la nobiltà inglese ha bevuto vino francese, che proveniva dalla Francia sud
occidentale, dal porto di Bordeaux, un porto che per secoli ha gravitato intorno al commercio del vino.
Ci sono delle aree del mediterraneo che si vanno serializzando nlls produzione di varie merci, questo è
un aspetto molto importane, anche per la Sardegna (il campidano è diventata una zona di produzione
cerealicola sopratutto quando si è sviluppata una domanda estera che richiedeva quello), la grande
diffusione della cerealicoltura in questa zona esegeta in età romana alle grandi esigenze di Roma, poi ne
basso medioevo è determinata dai mercanti pisani, che inseriscono questa produzione sarda in un circuito
mercantile di tipo mediterraneo. Pisa non è sul mare ma bisogna pensare che nel medioevo era molto più
vicina al mare rispetto ad oggi, e godeva di un’infrastruttura portuale molto importante, poi nei solo
questa zona ha subito un processo di interamente, la linea di costa è avanzata verso il mare, ed è per
questo che nell’età moderna è stata costruita la città di Livorno con un nuovo porto.
Abbiamo parlato del commercio di beni di lusso, in parte di beni alimentari e grandi correnti commerciali
riguardano poi le manifatture tessili. I centri tesili sono legati alla lavorazione della lana, legati alla
produzione di seta, e di tele. Partiamo dall’industria laniera, che è di gran lunga la più importante
dell’Europa basso medievale della prima età moderna. Tutte le città avevano produzioni laniere,
naturalmente in alcune era più sviluppata, in altre c’era un artigianato che produceva stoffe che poi
venivano vendute in circuiti mercantili locali. Ci sono delle aree d’Europa che raggiungono una
specializzazione industriale laniera particolarmente evidente, cioè la lavorazione, il confezionamento, di
stoffe destinate ad un commercio internazionale, si tratta quindi di stoffe pregiate, per le quali bisogna
impiegare materie prime adatte. Sono due le aree locali in cui la lavorazione raggiunge livelli
d’eccellenza, da una parte l’area dell’estremo nord della Francia e i Paesi Bassi e dall’altra l’Italia centro
settentrionale, cioè l’Italia comunale. La zona in cui prima che altrove si sviluppa un industria laniera
votata al commercio internazionale, è l’area delle Fiandre, li già all’inizio del 200 si producevano stoffe
di alta qualità, utilizzando la lana inglese, che è la lana migliore di tutta l’Europa basso medievale. Questi
panni erano chiamati franceschi perché inizialmente gli italiani li compravano alle fiere dello
Champagne, cioè in Francia, quindi comprandoli in Francia veniva naturale chiamarli cosi. Nel 300 gli
italiani cominciano a imitare le stoffe fiamminghe, città come Firenze, Milano, Verona, utilizzando anche
loro la lana inglese. Queste stoffe sono quelle che circolano maggiormente nell’Europa. Un industria
tessile ha bisogno anche di altre materie prime oltre che alla lana, per esempio i coloranti, che girano
tantissimo, alcuni che hanno origine animale (che si formano con gli insetti essiccati, ridotti in polvere)
altri vegetale (per esempio la robbia, il guardo). I coloranti possono venire dal Mar Nero, dalla Grecia,
dalla Spagna, da molte zone del mediterraneo, per quanto riguarda i coloranti vegetali queste sostanza
tintorie attirano l’attenzione dei produttori agricoli, moltissimi campi anche in Italia erano coltivati a
guado. Circola ampiamente anche una merce che serviva per fissare i coloranti nei tessuti, c’era il
problema che dopo aver tinto una stoffa la tintura potesse svanire, si utilizzava un mordente particolare,
l’allume, che è un minerale. I giacimenti dell’allume si trovava in Asia, nell’Italia meridionale o nella
Spagna meridionale, poi nella seconda metà del 400 i papi scopriranno grandi miniere giallume vicino a
Civitavecchia. L’attività tessile si sviluppa anche intorno al cotone, non è sviluppata quanto quella del
cotone però. La pianta non esisteva in età antica, una pianta che ha bisogno di caldo infatti si sviluppa in
Italia soltanto in Sicilia, portata dagli arabi. La materia prima viene lavorata in Italia nei centri della
Lombardia, che si vengono specializzando nella produzione dei pustagno, che è una parola di origine
araba, gli italiani hanno imitato un tipo di tessuto originariamente di fabbricazione islamica. Un’altra
zona specializzata nella produzione delle stoffe di cotone è la Germania. Nelle zone della Baviera, zone
della Germania danubiana, ci sono stati tedeschi che hanno imitato le produzioni lombarde. La seta
invece è un’industria di lusso e molto di nicchia. In Italia vi è un solo centro specializzato che è Lucca,
poi ci sono altri centri di produzione di seta che sono fuori dall’Europa cattolica, per esempio ce ne son
in Grecia, nell’impero bizantino quindi, e altri invece nelle aree che erano sotto il controllo islamico, le
aree dell’Andalusia. Perché le produzioni di seta fino il XII secolo è una produzione o bizantina o
islamica, perché in quei secoli queste civiltà hanno un grado di sviluppo, la ricchezza e una domanda
sufficienti per stimolare la produzione di stoffe di seta. Lucca fino dall’inizio del 200 fino alla metà del
300 è stata la città più importante d’Europa per quanto riguarda la produzione di testi di seta. Si era
specializzata nella produzione di stoffe ricercate, e lo faceva importando la seta dal medioriente e
riforniva le corti d’Europa con queste stoffe raffinatissime. Conoscerà un notevole sviluppo in Italia tra
la fine del 300 e per tutto il 400, allora si svilupperanno industrie anche a Venezia, a Napoli, a Genova,
a Firenze, a Bologna, a Milano.
Circolano anche molti metalli, sia preziosi che non. Partiamo dall’oro, che è molto scarso nell’Europa
alto medievale, ma nell’alto medioevo vengono scoperti altri giacimenti d’oro, che si trova nell’Europa
centro orientale, in terre che ora fanno parte della Slovacchia e dell’Ungheria. Tutte terre che facevano
parte del regno ungherese, che sopratutto negli ultimi due secoli del medioevo è un regno molto grande,
che comprendeva la Slovacchia, una parte della Romania, buona parte della Serbia e quasi tutta la
Croazia, quindi un regno molto importante e ricchissimo di giacimenti minerali. Buona parte dell’oro
che circolava in Europa proveniva da li. Molto oro arrivava anche dall’Africa. L’oro viene utilizzato sia
per effettuare pagamenti, per fare gioielli, sia per creare nuove monete.
Si estrae in quantità maggiori rispetto all’alto medioevo anche l’argento. L’argento è molto più presente
in Europa di quanto non sia presente l’oro. Circola sotto forma i lingotti ma sopratutto di monete. Anche
in Sardegna c’era un giacimento d’argento, e grandi quantità dell’argento che girava in Europa basso
medievale proveniva da lì. I giacimenti in questa zona della Sardegna porteranno poi alla creazione di un
villaggio, Villa di Chiesa, da parte del Conte Ugolino, e questa città è collegata a questa rivoluzione
commerciale. Tantissimi giacimenti di argento si trovano in area germanica, ma in queste zone si trovano
anche giacimenti ferrosi, così come nell’area alpina. Tutti questi metalli possono essere integrati in vari
modi. Il ferro dà luogo a tutta una serie di lavorazioni, che sono inizialmente rurali, cioè il passaggio dal
minerale al ferro, metallo puro; poi c’è la fase di trasformazione urbana, cioè cosa fare con questo metallo
prue, di solito strumenti, armi, tutta una serie di attrezzi che nell’alto medioevo erano poco diffusi. La
guerra fornisce un grande stimolo per i lavoratori del metallo, alcune città si specializzano nella
produzione di armi, in Italia abbiamo il più grande centro di produzione di armi, cioè Milano.
I metalli preziosi vengono usati per le monete, abbiamo detto che nell’epoca carolingia veniva coniato
soltanto una moneta, il denaro, esistevano monete anche per contare, ma non erano coniate, quando il
commercio si rimette in movimento, quindi da X secolo in poi, c’è un bisogno crescente di moneta come
metto di pagamento, il baratto non basta più, serve qualcosa che sia più facilmente accettabile e sopratutto
accettato da tutti, è questo il vero problema. I metalli disponibili però non sono sufficienti, si aprono le
miniere, ma queste non forniscono metallo sufficiente che la crescita della domanda richiederebbe. Si
scava sempre di più ma per mettere più moneta in circolazione si svaluta la moneta, si svaluta la lega, le
monete diventano più piccole, più leggere, tendono ad ossidarsi, perché essendoci meno argento dentro
c’è un processo di ossidazione più forte. Il problema si forma perché queste monete sempre più piccole
obbligano i mercanti di viaggiare portandosi dietro delle casse enormi con queste monete. Allora alcuni
mercanti decidono che è giunto il momento di affiancare ai denari, che hanno un potere d’acquisto ormai
molto basso, una nuova moneta. Questa nuova moneta la inventano i veneziani, alla fine del XII secolo,
decidono che si può continuare a coniare il denaro, ma quello va bene solo per le transizioni di piccolo
taglio, è necessario disporre di una nuova moneta con un più alto potere d’acquisto, il “denaro grosso”,
quindi il vecchio denaro prende il nome di “denaro piccolo”, è questa l’origine della parola spiccioli.
Dalla fine del XII secolo a Venezia, che poi verrà imitati dalle altre regioni, ci sono due tipi di monete: i
denari grossi e i denari piccoli. Il vecchio denaro è sempre più piccolo e più svalutato e il denaro grosso,
che invece vale circa 20/30 denari piccoli è usato peri commercio grosso. Poi qualcun altro ha deciso che
era giunto il momento di fare un salto di qualità e tornare a coniare le monete d’oro, che avevano quindi
un potere d’acquisto ancora maggiore, anche perché l’oro valeva 15/20 volte più dell’argento. Nella metà
del 200, nel 1252, i fiorentini, con il loro fiorino e i genovesi con il loro genovino reintroducono la
monetazione aurea; questo perché grazie ai loro commerci sono venuti in contatto con tanto oro, nel loro
caso non veniva dalle miniere ungheresi ma dal’Africa. Anni più avanti anche i veneziani conieranno
una loro moneta, cioè il ducato, che fa riferimento alla massima autorità della città che è il doge, il duca.
Questo è un cambiamento molto importante nella monetazione.
Tutto il commercio ruota su una figura sociale, professionale che era sconosciuta nell’età alto medievale
e che per molti aspetti era sconosciuta nell’età antica, questa figura è quella del mercante di professione.
La figura del grande mercante, cioè di colui che si interessa di attività commerciali a 360° e quindi
commercia stoffe, i metalli, sostanze tintorie e cosi via è una figura tipicamente basso medievale. Infatti
si parla spesso, per reti grandi uomini d’affari, di mercanti banchieri, perché fanno un pò di tutto,
commercino, acquistano anche navi, fanno attività i prestito, quindi affiancano all’attività commerciali
quella bancaria. Il mercante, l’uomo d’affare, il capitalismo commerciale finanziario ha un’origine basso
medievale specialmente in Italia, in un primo momento solo nei centri portali, Venezia, Genova, Pisa,
poi anche le città del centro Siena, Firenze, Milano e via dicendo. Ora vediamo due documenti che ci
fanno capire come funzionava il commercio via mare, che abbiamo a Genova e a Venezia. Questo
commercio via mare era impegnato su viaggi di andata e ritorno, cioè le società che si costituivano tra i
mercanti, avevano una durata molto breve, non duravano anni. I mercanti andavano da un notaio e i due
o più contraenti si decidevano a finanziare un’impresa, che doveva avere la durata di un viaggio di andata
e di ritorno, quindi qualche mese, mai più di un anno. In questi contratti di norma c’è un socio
finanziatore, che mette il capitale ma non viaggia, e un socio viaggiatore, che invece viaggia e o mette
una piccola parte del capitale o addirittura non lo mette, ma mette il suo lavoro, la sua esperienza ed è lui
che rischia, quindi ha diritto ad una remunerazione che non è proporzionale alla sua quota di capitale,
perché deve essere remunerato anche il suo lavoro, il suo rischio.
Vediamo una fonte, una è un contratto redato da un notaio a Genova nel XII secolo. Questa società si
chiama società di mare, abbiamo un socio che mette 2/3 del capitale ma non viaggia, abbiamo un socio
che invece viaggia e mette 1/3 del capitale, quando torna il ricavato dev’essere diviso a metà. Vediamo
come funziona il contratto che è molto schematico e molto semplice. Si elencano prima di tutto i
testimoni:
“Testimoni Bonifacio del Volta, Guglielmo Battifoglia e Oglerio macellaio di Pomar. Io Stefano
correggiario ho ricevuto da te Guglielmo merciaio, fratello mio, in società lire 5 e soldi 7 contro le quali
metto soldi 53 e mezzo (ovvero lire 2 soldi 13 e mezzo). Questa società porto in Sardegna per concludere
affari e di lì a Genova. Il profitto e il capitale che in essa ci sarà e che Dio mi concederà metterò in tuo
potere e, detratto il capitale, divideremo a metà.”
Il correggiario è un fabbricante di cinture, di oggetti di cuoio. Il contratto si presenta come una ricevuta
di un credito. E’ un commercio che vende un pò di tutto, ed è una società di fratelli questa. Utilizza i
capitali per andare in Sardegna.
Vediamo un altro contratto redatto a Venezia nel 1224, il contratto è fatto Rialto, il nucleo originario più
antico di Venezia, quindi il luogo dell’area degli affari.
“Anno 1224, mese di marzo, Rialto.
Per me e per i miei eredi io Michele Emo di San Leonardo dichiaro di aver ricevuto da te Giovanni di
Santo Stefano, per te e i tuoi eredi, duecento lire di denari veneziani con i quali dovrò negoziare per
terra e per mare dovunque mi sembrerà bene, secondo la licenza data dal signore doge e dal consiglio
per tutto il tempo da oggi fino al prossimo venturo inverno. Ed entro trenta giorni da quando sarò tornata
Venezia, direttamente o per mio messo, dovrò a te Badoer o ad un tuo agente qui in Rialto tutto il suddetto
capita con tre parti di tutto il guadagno che da lì il Signore ci avrà dato con giusta ragione e senza frode,
trattenendo per me la quarta parte di detto guardano. La perdita tuttavia sarà tua nel caso di naufragi,
Se non osserveò l cose suddette, allora sarò tenuto , on i miei eredo, a dare a te, ed ai tuoi eredi, il doppio
della somma cha hai dato in terre e caso.”
La penale del doppio della somma è una penale che è ancora presente nei contratti. Anche il notaio, il
rogito, la caparra sono del Medioevo. Queste società sono legate a raggi di andata e di ritorno, ben diverse
sono le società che si creano nelle zone interne, che hanno strutture più complesse perché sono fatte per
durare anni. Sono formate da molti più soci e i contratti sono fatti per durare lunghi periodi di tempo,
hanno un personale dipendente, un affare molo complicato e si chiamavano compagnie, dal punto di vista
della struttura richiamano quelle che oggi si chiamano società in nome collettivo (SNC). Nella
compagnia medievale i soci sono tutti responsabili illimitatamente, quindi se fallisce la compagnia
devono rivendere tutto per ripagare i creditori, queste sono le compagnie che danno natale alle più grandi
case d’affare. Sono sopratutto queste compagnie, che nascono in Toscana all’inizio del 200, che creano
le filiali nelle più importanti città europee. La presenza di queste compagnie italiane in grandi città
europee è ancora oggi testimoniata dalla toponomastica di alcune vie, per esempio Lombard street a
Londra, oppure a Parigi Rue de Lombard (la strada dei lombardi), Lombardo è la parola impiegata per
definire i grandi mercanti italiani.
Questo mondo delle società italiane del 200 e del 300 che ha generato una serie di strumenti che
utilizziamo ancora oggi: gli assegni, le polizze assicurative, il sistema con cui si tengono i bilanci, le
cambiali. Spesso i giornali utilizza la parola medioevo come alibi, per infilare tutte le cose negative nel
medioevo, come se fosse la fonte di tutti i mali del mondo moderno, ma non ci rendiamo conto che i
secoli tra XI e il XV sono stati in realtà secoli di grande creatività, non solo nell’arte ma anche nell’ambito
finanziario, commerciale, nell’economia.
Tutta questa crescita economica ha una connessione importantissima nella cultura, nell’istruzione, nella
scuola, nella diffusione della matematica. Vediamo un breve brano di quello che può essere considerato
il primo trattato di matematica in Europa. Questo trattato ha il nome di Liber Abbaci, il libro dell’abaco,
è stato scritto all’inizio del 200 da un pisano, Leonardo Fibonacci, lui non si chiamava cosi nel senso che
i cognomi non erano standardizzati quindi lui era Leonardo figlio di Fibonaccio. Questo Leonardo passa
la sua gioventù in un posto che attualmente si trova nell’Algeria orientale, questo posto è Bejaia, in
italiano Bugia, in questa città portuale del Maghreb alla fine del XII secolo Leonardo segue il padre il
quale lavorare presso la comunità pisana in questo porto algerino. Pisa in questo periodo era una grande
potenza commerciale e aveva magazzini, quartieri interi a volte nelle varie città che erano stati concessi
loro dalle potenze bizantine, islamiche e via dicendo. Il padre quindi va a lavorare per Pisa in questa città
e si porta dietro i figlio per fargli fare esperienza. Qua Leonardo va a scuola dove ci sono maestri
musulmani, che gli insegnano l’algebra, cioè la matematica e utilizzano un sistema di numerazione
sconosciuto in Italia, i cosiddetti numeri arabi, che in realtà sono di origine indiana, ma sono stati gli
arabi a portare questo tipo di numerazione nel mediterraneo, e poi attraverso Fibonacci in Europa. La
trasmissione di conoscenze scientifiche che passa attraverso una cultura laica, e questa era una novità,
che punta ad avere conoscenze che siano utili per il mondo professionale, perché tenere la contabilità è
importantissimo per i mercanti. Vediamo cosa dice la fonte di Leonardo:
“Essendo mio padre stato nominato dalla patria (il comune di Pisa) pubblico scriba per i mercanti pisani
nella dogana di Bugia (oggi in Algeria), quando io ancora ero bambino mi fece andare presso di sé, in
vista dell’utilità e dei vantaggi futuri, e volle che io lì mi trattenessi per un certo tempo e che vi fossi
istruito. Là introdotto, con magistero mirabile, nell’arte delle nuove figure (cioè cifre) degli indiani; la
scienza di quell’arte tanto più delle altre mi piacque e mi rivolsi ad essa con intelletto; poi, tutto ciò che
intorno ad essa si studiava nei suoi vari modi in Egitto, Siria, Grecia, Sicilia e Provenza, nelle quali
regioni commerciali ebbi modo di viaggiare, appresi per mezzo dello studio e della disputa. Cosi
abbracciando più strettamente lo stesso metodo degli indiani, e più strettamente studiandolo,
aggiungendo qualcosa di mio e qualcosa anche apportando delle sottigliezze dell’arte geometria di
Euclide, l’insieme di questo libro, quanto più chiaramente potei, in XV capitoli mi affaticai a comporre,
dimostrano con prove certe quasi tutto ciò che vi inserii, affinché fuori, secondo questo metodo più effetto
di altri, si istruiscano con desiderio in questa scienza, in particolare la gente latina fino ad ora del tutto
priva di quella.”
Quelle regioni che sono nominate nella fonte sono la rete commerciali di Pisa in quel periodo.
Euclide nell’alto medioevo era scomparso, queste è un’altra conoscenza che viene portata dai musulmani.
Vedete come la diffusione delle attività commerciali abbia prodotto importanti trasformazioni anche a
livello culturale, i laici studiano di più, si istruiscono non si accontentano più di saper solamente leggere
e scrivere ma vogliono imparare l’algebra, la matematica e altre scienze che possono servire per svolgere
professioni che prima non esistevano.
Abbiamo parlato della diffusione di scienze e tecniche dal mondo islamico faccio riferimento ad un
passaggio dal punto di vista culturale, che è quello dell’introduzione in Europa di un nuovo supporto
scrittorio, cioè un nuovo appoggio su cui scrivere. Nell’antichità classica si scriveva sulle tavolette cerate,
sui papiri, sulla pietra ma certamente le biblioteche erano composte di rotoli di papiro, quello era il
supporto scrittorio principale. Nell’alto medioevo in Europa si diffonde la pergamena, cioè un supporto
scrittorio derivante dalla pelle ovina lavorata, è molto più costosa del papiro ma è praticamente
indistruttibile. La pergamene è costosa, quindi nell’alto medioevo che è un periodo in cui si scrive di più
ci vuole qualcosa che costi meno, che faccia risparmiare, perché la pergamena è tropo costosa. Gli italiani
scoprono che i musulmani stanno utilizzando un supporto scrittorio molto più economico, cioè la carta.
La carta è un’invenzione cinese che arriva nel mediterraneo attraverso i musulmani. Gli italiani copiano
il modo in cui i musulmani fanno la carta, che non è il modo nostro di ora, cioè con gli stracci, gli stracci
da buttar via, che venivano trattati e sottoposti a varie lavorazioni fino a quando non si otteneva un
prodotto denso, poi c’era un processo di lavorazione che portava alla formazione del foglio. Il primo
centro manifatturiero che ha prodotto fogli di carta nella prima metà del 200 è stato a Fabriano. Gli
italiani hanno preso questa innovazione, l’hanno diffusa in altri centri della penisola finche non si è
diffusa in tutta Europa.

Lezione 11

La realtà che abbiamo descritto nelle lezioni precedenti, cioè la crescita demografica, la rinascita delle
città, la formazione di nuovi villaggi, la riprese delle attività mercantili con un vero proprio un boom
economico, costituisce lo sfondo il cui si collocano diverse esperienze politiche il cui minimo comune
denominatore è rappresentato dalla formazione di nuovi poteri centrali forti, cioè la rinascita dello Stato.
Dopo l’impero carolingio l’Italia e l’Europa si era frantumata in una pletora incommensurabile di
differenti giurisdizioni, migliaia di poteri locali che rispondevano o ad un ente ecclesiastico, o ad un
funzionario pubblico che aveva dinastizzano la carica oppure a titolari di poteri vescovili. Questa
frantumazione nel corso del basso medioevo viene progressivamente ridotta dalla ricostituzione di poteri
centrali forti. Nell’Europa la ricostituzione del potere centrale avviene attraverso la monarchia, le
cosiddette monarchie feudali dal XI, XII secolo in poi, così avviene in Francia, in Inghilterra, nella
penisola iberica, in Ungheria, in Polonia, nell’Italia meridionale, così non avviene nell’Italia centro
settentrionale. In questa zona dell’Europa mediterranea la costituzione di un potere centrale passa
attraverso il modello della città stato. Questo modello non è nuovo, è già stato presente nella Grecia
classica, anche se stiamo parlando di città decisamente più grandi di quelle dell’antica Grecia e non del
tutto dipendenti. Le città dell’Italia centro settentrionale anche quando si daranno un ordinamento
comunale dovranno sempre riconoscere almeno formalmente un potere centrale superiore che è
rappresentato dall’impero, l’impero sacro e romano ricostituito dalla dinastia Ottoniana sullo scorcio del
X secolo. La ricostruzione dello Stato passa attraverso il fenomeno urbano e non troviamo nel resto
dell’Europa poteri urbani cosi forti come in Italia da Roma in su, questo perché in questa zona dell’Italia
il potere imperiale è debole, a tratti evanescente e quindi permette il proliferare di tanti poteri concorrenti,
il primo tra questi è quello che si esercita nelle città. Il fenomeno comunale, che è un fenomeno di scala
continentale, ha la specificità tutta italiana per la quale il fenomeno comunale si realizza in pieno sul
piano politico. Mentre fuori dalla penisola italiana il fenomeno comunale si limita a autonomie di tipo
amministrativo, mai di tipo politico il fenomeno urbano fuori dall’Italia è più modesto per cui il potere
delle città è limitato, si trovano concorrenti molto forti nelle aristocrazie locali e nei signori, quindi non
ha la capacità di agire su spazi che non siano quelli interni al perimetro murario; sopratutto oltre alla
differenza di scala dal punto di vista della popolazione c’è una differenza sostanziale da un punto i vista
dell’articolazione sociale, cioè in Itala i potenti anche nell’alto medioevo non hanno mai abbandonato
del tutto la città, contrariamente a ciò che è avvenuto oltralpe, dove l’aristocrazia vive nelle campane. La
città in Italia non solo è il luogo dell’amministrazione ma anche dell’esercizio del potere. Se l’aristocrazia
continua a risiedere nelle città è chiaro che col tempo eserciterà un potere che la esula dalle cinta murarie
urbane, quindi la città italiana ha naturalmente una proiezione verso il proprio contado, proprio perché
dentro le mura risiedono molti e ricchi proprietari terrieri. Il fenomeno urbano quindi qui è più marcato
e questo potere si sposa con la debolezza del potere imperiale.
Il fenomeno comunale si manifesta nelle terre del regno d’Itala a partire dalla fine del XI secolo, per
certificare l’esistenza del comune gli storici si appellano alla presenza nella documentazione del tempo
dell’attestarne del collegio consolare, cioè per dire che un comune esiste o non esiste gli storici verificano
se nella documentazione di quella città esiste un riferimento alla presenza della magistratura collegiale
dei consoli, quando si trova il riferimento vuol dire che è nato il comune, è nata una nuova forma di
gestione del potere pubblico.
Per capire le origini dei comuni bisogna ritornare alla riforma della chiesa e alla lotta per le investiture.
Lo scontro tra i riformatori e i vescovi simoniaci in qualche caso ha preso la forma della lotta di fazione,
in qualche caso quella della guerra civile, pensiamo al caso di Milano. Il periodo della lotta delle
investiture è un periodo segnato da violenze urbane e caos politico, c’è l’esigenza di mettere ordine in
questa situazione confusa e pericolosa. Il ceto dirigente della città decide di realizzare delle istituzioni
nuove che si occupino della cosa pubblica. Questo ceto dirigente è composto dai milites, che non significa
soldati ma si traduce con il termine “cavalieri”, cioè combattenti a cavallo. Nella lingua italiana non si
distingue tra cavalieri quindi quelli che tecnicamente sono guerrieri e combattono, e cavalieri addobbati,
cioè che hanno ricevuto un’investitura feudale e quindi sono stati nobilitati. Nella maggioranza dei casi
i milites urbani del XI secolo sono combattenti a cavallo, cioè non c’è un riconoscimento formalizzato
feudalmente dal punto di vista cetuale, è una classe sociale aperta, è identificato soltanto da uno stile di
vita particolare, uno stile di vita improntato alla guerra combattuta a cavallo. Uno stile di vita che
presuppone una mentalità, per la maggior parte violenta e sopraffattrice, ma presuppone anche un certo
grado allenamento perché per combattere a cavallo bisogna allenarsi. Per condurre questo stile di vita,
per permettersi l’armatura e il cavallo da guerra bisogna anche aver una certa ricchezza, una certa rendita
e questa proviene per lo più da possessi fondiari importanti sopratutto nel contatto, cioè nelle campagne
che circondano la città. Sono questi milites che danno il via alle istituzioni comunali, spesso il passaggio
politico può anche non essere percepito come traumatico o rivoluzionario dai contemporanei perché il
ceto dominante che crea le istituzioni comunali è lo stesso ceto che forniva supporto ai vescovi, che prima
governavano nelle città, infatti spessissimo i vescovi per il controllo della città si appoggiavano alle
famiglie urbane più importanti. Esiste un legame tra il vescovo e la potente famiglia della milizia.
Questo ceto crea nel XI secolo la magistratura collegiale dei consoli, la prima città nella quale sono
attestati i consoli è la città di Pisa, siamo negli anni 80 del XI secolo. Uno dei primi documenti nei quali
sono attestati i consoli ha a che fare con privilegi di natura doganale e portuale concessi alla città di Pisa
dal giudice del Logudoro, cioè dalla massima autorità che governa questa porzione della Sardegna.
Spesso la nascita dei consoli è legata ad eventi politici o diplomatici importanti, quando si deve fare un
trattato di pace, fare un’alleanza con un altro potere, quando si dichiara guerra; così avviene nel caso di
Pisa quando si mandano questi nuovi rappresentanti per trattare di agevolazioni doganali e portuali. Pisa
viene seguita prima da Genova, da varie città lombarde poi il fenomeno si diffonde in tutta la Toscana,
Emilia, Veneto per arrivare nell’Umbria, nelle Marche e nel Lazio. Almeno fino all’inizio del XII secolo
le città che hanno istituzioni comunali sono anche quelle della Provenza, che fa parte del Sacro romano
impero non della Francia, hanno istituzioni comunali anche le città dell’Istria. L’aristocrazia cittadina si
dà propri rappresentanti cioè i consoli, questo implica un importante presa di coscienza politica e una
memoria storica altrettanto importante, perché c’è un richiamo evidente alla tradizione repubblicana della
Roma antica, questa aristocrazia cittadina non è composta da letterati ma nemmeno da ignoranti, si ha
una certa memoria storica, che non può non ricollegarsi alla Roma antica.
Essendo il consolato una magistratura collegiale i consoli devono essere di numero pari, spesso sono più
di due, possono essere 4,6 o 8, si arriva a casi nel XII secolo in cui ce ne sono 20. I consoli possono stare
in carica per un tempo molto limitato: sei mesi, al massimo un anno. Le cariche hanno una durata cosi
breve per garantire la rotazione, per garantire al ceto dirigente che nessuna famiglia cercherà di
impossessarsi di tutto il potere della città, tanto è vero che non solo dopo sei mesi o un anno decano ma
i parenti stretti dei consoli appena usciti di carica non possono ricoprire la carica, c’è una grande paura
che una famiglia possa prendere il possesso della carica, dinastizzarla e imporre in città un potere di tipo
signorile.
Grazie a questa costante rotazione c’è una grandissima partecipazione al potere, perché se le cariche
vanno rinnovate di continuo molte famiglie possono gestire la cosa pubblica.
Di norma i consoli esercitano poteri militari, gestiscono l’ordine pubblico, possono emanare
provvedimenti e convocano le sedute giudiziarie, che ricalcano gli schemi di età carolingia, cioè i placiti,
dove la giustizia non è amministrata da un tribunale, un giudice, ma è una giustizia di tipo competitivo,
non del tribunale, significa che la giustizia veniva amministrata su principi equitativi, cioè sulla base di
ciò che sembrava equo, quindi era più un’assemblea che un tribunale vero e proprio. Se la giustizia viene
amministrata così il peso sociale di ogni componente assume una grandissima importanza.
Quindi i conti avevano vasti poteri, ma questi tendevano a sovrapporsi con quelli del vescovo perché in
alcune città i vescovi non avevano perduto il potere, mantenevano il controllo su alcune imposte. A
Verona ancora oggi vengono conservate due porte delle mura tardo antiche una delle due si chiama porta
dei borsari, questo nome ha a che vedere con la Verona primo comunale perché i borsari riscuotevano
per conto del vescovo le gabelle alle porte. In altre città rimaneva al vescovo la bassa giustizia, cioè la
giustizia civile, mentre la giustizia penale era amministrata dai consoli. C’è un periodo di vari decenni in
cui c’è una sovrapposizione di giurisdizione, ci sono varie realtà. Di norma poi il vescovo ha un ruolo
importante in politica estera; anche quando il potere dei consoli è effettivo, non di rado accade che il
comune incarica il vescovo di compiere missioni diplomatiche per conto del comune stesso, perché è la
massima autorità religiosa, perché controlla molte terre, perché è una persona di cultura, insomma il
vescovo continuerà ad avere un ruolo molto importante nella città.
I consoli provenivano quasi sempre dal ceto della milizia, ma non è scritto da nessuna parte che i consoli
debbano essere dei milites, tant’è che accanto ai milites troviamo anche consoli che appartengono ad altri
ceti, per esempio che svolgono attività mercantili, di libera professione, oppure medici, notai, giudici.
L’acceso al consolato non è sancito giuridicamente in base ai ceti, l’accesso è aperto, anche se i milites
esercitano una chiara egemonia. Teniamo presente che i milites ricoprono una buona percentuale della
città, circa il 10/20% della cittadinanza, è un ceto abbastanza largo. I consoli quando entrano in carica
devono giurare fedeltà di fronte ad una assemblea di maschi adulti, in grado di portare una qualsiasi arma,
che abbiano una residenza in città da un certo numero di anni e che siano in regola con il pagamento di
tasse. Quindi la residenza, la contribuzione fiscale e la ricchezza permettono ai maschi adulti di figurare
in un’assemblea chiamata Parlamentum, oppure Arengo. A questa assemblea che veniva convocata
eccezionalmente partecipano molti individui, perché permetteva a circa 1/4 dei maschi adulti di figurare,
quindi stiamo parlando di una rappresentanza politica molto vasta, poi per gli standard europei era
vastissima. Esisteva una dialettica politica tra i consoli e le assemblee che venivano convocate quando si
doveva fare una guerra, quando si dovevano imporre tasse speciali, quando si doveva fare l’entrata in
carica dei consoli e via dicendo.
I comuni quasi dalle origini mostrano una volontà di sottomettere tutto l’antico contado, questo dimostra
ancora una volta che i governanti del tempo avevano una notevole memoria storica e una coscienza
politica, perché il ceto governante si prefigge di presentasi di fronte a qualsiasi altro potere concorrente
come l’erede del conte di età carolingia, i consoli si presentano come eredi dei conti, pertanto non solo
vogliono esercitare una piena giurisdizione all’interno della città ma anche controllare tutto l’antico
comitatus. Solo che nelle aree rurali tra XI e XII secolo esistevano una massa eterogenea di presenze
signorili, sopratutto nelle zone più distanti dalle città troviamo tantissimi villaggi incastellati dove
l’autorità pubblica è quella del signore, è una geografia molto frastagliata. Ad un certo punto il problema
politico principale dell’Italia si manifesta nello scontro tra alcune di queste città comunali, sopratutto
quelle dell’Italia, in particolare modo dell’area lombarda e veneta, e l’imperatore Federico I della casa
sveva, il quale diventa re di Germania e poi imperatore negli anni 50 del XII secolo.
Federico I si prefiggeva di fare quello che più o meno nello stesso periodo stavano facendo i sovrani
francesi, inglesi, iberici, cioè ripristinare un forte controllo del potere centrale a detrimento di tutti i poteri
locali che nel frattempo si erano formati. Con l’aggiunta nel caso di Federico che lui era titolare di un
potere universale, perché l’impero era sacro e voluto da Dio quindi potenzialmente senza limiti. Il potere
imperiale è un potere universale nel medioevo. Federico I fa capire subito le sue intenzioni quando nel
1153 convoca una Dieta, un’assemblea a Costanza per far capire a vescovi, signori che l’imperatore non
è più disposto a tollerare abusi di potere, ogni potere deve giurare fedeltà all’impero, impegnarsi a pagare
i tributi dovuti e a restituire tutti gli iuria regalia, cioè tutti i poteri pubblici che fino a quel momento
hanno occupato abusivamente. Mentre lui convoca l‘assemblea arrivano nella Germania meridionale
alcuni rappresentanti delle città lombarde, di Lodi, di Como per chiedere l’aiuto dell’imperatore contro
Milano, che li stava tiranneggiando, l’imperatore scende in Italia con un suo esercito e lì prende coscienza
di come è maturato il fenomeno delle città stato in Italia.
Vediamo una testimonianza di sconcerto provato da Federico e le sue truppe che è fornita dallo zio di
Federico, Ottone di frisinga, vescovo tedesco, lui si sofferma sulla realtà socio politica delle città italiane.
Lui ha come esempio Milano che è il caso più macroscopico proprio perché Milano è la città più popolata
e potente del periodo. Ottone ci dice:
“Nell’organizzazione delle città e nella conduzione della cosa pubblica imitando ancora la solerzia degli
antichi romani. Amano infine con tale forza la libertà che, per evitare i soprusi di autorità unica,
preferiscono essere governati da un regime di consoli piuttosto che da quello imperiale. E siccome fra
loro ci sono tre ceti, ciao tre capitani, valvassori e il popolo, per reprimere la prepotenza non scelgono
questi consoli da un ceto solo, ma da tutti e tre, e, per evitare che siano preda della libidine del potere,
quasi tutti gli anni li sostituiscono.”
Tre ceti, fa riferimento alla particolare organizzazione sociale milanese, cioè capitani (vassalli
dell’arcivescovo), i valvassori (vassalli di secondo livello) e il popolo.
Questo per un vescovo tedesco è una situazione stranissima. L’imperatore scende in Italia, passa da Roma
e poi torna nel nord d’Italia e lì nel 1154 convoca una prima Dieta a Roncaglia, che è un castello nelle
campagne di Piacenza. Nella Dieta da ordini ai rappresentati dei comuni che l’unico potere pubblico è
quello imperiale, non c’è altro potere, qualsiasi altro potere può continuare ad esistere solo tramite un
giuramento di fedeltà all’imperatore, con il pagamento dei tributi, la restituzione di tutti gli abusi e via
dicendo. I milanesi cercano di corrompere l’impero con versamenti di denaro, ma vengono rimandati
indietro. L’imperatore però non ha un potere tale da piegare militarmente Milano e le altre città ribelli
per cui si limita a compiere un’azione esemplare, cioè punirne uno per educarne cento. Cosi le truppe
imperiali procedono all’assedio e alla distruzione di Tortona, una piccola città lombarda, dopo di che
l’imperatore torna in Germania. Torna in Italia nel 1158 con un grosso esercito, convoca una seconda
Dieta a Roncaglia e fa venire lì i maestri di diritto dell’Università di Bologna, i quali insegnano diritto
giustinianeo, nel quale c’è scritto chiaramente che la fonte del diritto è l’imperatore, è per questo che
Federico I si avvale della consulenza di questi maestri. Li convoca a Roncaglia e li fa redigere la
Constitutio de Regalibus. I maestri di Bologna hanno una convenienza perché l’imperatore emana una
costituzione per cui dice che i maestri universitari e gli studenti universitari finche frequentano
l’università godono del privilegio del foro, cioè del privilegio di scegliere il tribunale, potendo scegliere
di non farsi giudicare dalle autorità locali ma dal tribunale ecclesiastico, godono dello status giuridico
clericale, questo per loro è molto importante perché non di rado studenti o professori avevano problemi
con le autorità locali, perché la popolazione studentesca era fonte di ricchezza per proprietari di taverne,
per proprietari di immobili, ma potevano costituire un problema di disordine pubblico. I maestri di
Bologna garantiscono a se stessi e agli studenti (che pagavano profumatamente) il privilegio del foro,
per questo motivo partecipano alla Constitutio de Regalibus.
La costituzione delle regalie, cioè sui diritti regi, i diritti pubblici, qui l’imperatore fa mettere per iscritto
e fa comprendere bene chi comanda, ciò l’imperatore, gli altri devono obbedire. Infatti troviamo scritto:
“Le regalie sono da considerarsi quelle qui di seguito elencate: le arimannie, le vie pubbliche, i fiumi
navigabili e quelli dai quali derivano canali navigabili, i porti, i tributi che si percepiscono sulle rive dei
fiumi, le esazioni che comunemente si chiamano telonei, le monete, i compendi delle multe e delle pene,
i beni vacanti e quelli che per legge vengono tolti agli indegni, eccetto quello che sto concerti a qualcuno
con speciale provvedimento e i beni di coloro che contraggono nozze incestuose nonché i beni dei
proscritti e dei condannati, secondo quanto dispongono le recenti costituzioni, le prestazioni di angurie
e parancare, di carri e di navi e le imposizioni straordinarie a favore della maestà regia, la potestà di
creare magistrature per amministrare la giustizia, le zecche e i pubblici palazzi nelle città in cui esistono
per tradizione, i redditi della pesca e delle saline, i beni dei rei di lesa maestà e la metà dei tesori trovati
in un luogo sacro o in terre di pertinenza dell’imperatore, se questi non avrà collaborato al loro
ritrovamento; altrimenti tutto spetta a lui.”
Le arimannie sono proprio le terre pubbliche, le monete indica il diritto di coniare, infatti molte città
avevano iniziato a batter moneta senza chiedere il permesso dell’imperatore e tutte le entrate non finivano
più nelle casse imperiali ma nelle casse comunali.
Una fonte di entrata di molti comuni era legata ai diritti della pesca, per cui l’imperatore dice che questi
sono di pertinenza dell’imperatore.
Nella Dieta di Roncaglia l’imperatore fa presente ai comuni che loro non possono esistere se non come
enti sottomessi all’impero.
Alcuni comuni accettano le disposizioni imperiali altre fanno un totale ostruzionismo, una tra queste è
Milano che si pone a capo della rivolta di alcune città dell’area lombarda.
In questo periodo il papa, Alessandro III, temendo una presenza troppo forte dell’impero in Italia si
schiera dalla parte dei comuni ribelli.
Si passa allo scontro politico militare, scoppia la guerra tra alcuni comuni e l’impero, nel 1162 le truppe
imperiali assediano per vari mesi Milano, costringono i cittadini alla resa e poi operano la distruzione
quasi totale della città, si tratta della seconda radicale distrutta di Milano, dopo quella avvenuta nel VI
secolo durante la guerra greco gotica. Leggiamo un brano di una cronaca milanese in cui si parla della
distruzione della città, la cronaca di Otto Morena ci dice:
“L’imperatore ordinò ai consoli di Milano che entro il termine di otto giorni tuti gli abitanti, uomini e
donne, abbandonassero la città di Milano, Si videro dei milanesi, con la morte nel cuore, cercare rifugio
a Pavia, a Lodi, persino a Bergamo e a Como, o in qualsiasi altra città della Lombardia. Ma i più si
tennero nelle adiacenze stesse della città, al di la dei fossati. Speravano nella clemenza dell’Imperatore;
una volta entrato in città, pensavo essi, ci lascerà tornare alle nostre case e vivervi come prima. Egli
ordinò agli abitanti di Lodi di distruggere subito la porta d’Oriente, comunemente detta porta d’Arienzo,
incaricò quelli di Cremona della demolizione della porta Romana, detta porta Ticinese quelli di Pavia,
di quella di Vercelli quelli di Novara, di quella di Como e quelli di Como, alla gente di Serpio e di
Martesana abbandonò Portanuova. Tutti posero una tale rabbia nel distruggere che la domenica delle
Palme l’opera di demolizione aveva raggiunto quello che al primo colpo di piccone si sarebbe potuto
sperare di riuscire a distruggere solo in capo a due buoni mesi. Ed è mia convinzione che il
cinquantesimo di Milano non sopravvissuto alla distruzione. Rimasero tuttavia quasi tutte le mura
esterne, costruite con grande cura e cinte da circa cento torri, opra di cui non si è vista l’eguale in Italia,
salvo forse a Roma.”
Tutti i cittadini vengono fatti evacuare, molti finiscono per accasarsi fuori dalle mura urbane. La
distruzione di Milano apparentemente segna un passo in avanti nella strategia imperiale, ma in realtà si
tratta della classica Vittoria di Pirro, cioè una vittoria che ha ricadute negative molto gravi, perché in
virtù della vittoria contro Milano l’imperatore riesce ad avere la meglio su alcune città, manda i propri
funzionari, che fanno capire che alla città che gli ospitano quanto duro può essere il controllo imperiale,
sia per la perdita dell’autonomia politica, ma anche per l’imposizione di tasse, tutta una serie di
avvenimenti che mettono in all’erta tutta l’Italia settentrionale, decidono che la presenza imperiale è
troppo ingombrante, troppo pericolosa. Così si vengono a formare delle leghe per combattere contro
l’imperatore. Nel 1167 viene formata la Societas Lombardiae, la lega lombarda, con il giuramento di
Pontida. A Pontida i rappresentanti di alcune città pronunciano questo giuramento: “Nel nome del
Signore, Amen. Io giuro sui sacri Vangeli che non farò pace, tregua o trattato con Federico Imperatore,
né col di lui figlio, né colla di lui moglie, né con altri della sua famiglia, né per mio conto, né per parte
altrui; e di buona fede, con tutti i mezzi che saranno in mio potere mi adopererò ad impedire che nessun
esercito, piccolo o grosso, di Germania o di qualunque altra contrada dell’Impero, che si trovi al di là
dei monti, entri in Italia; ed ove si presenti un esercito, io farò guerra viva all’Imperatore ed ai suoi
partigiani, in sino a che il suddetto esercito non esca d’Italia; e ciò farò pure girare ai miei figli, appena
compiranno i quattordici anni.”
In questo anno si crea la lega delle città lombarde, pochissimo tempo dopo la lega delle città venete.
Queste due confluiranno su una lega unica e costituiranno un esercito collettivo che si opporrà all’esercito
imperiale. Nel 1176 si arriverà ad una vera e propria battaglia campale a Legnano, qui l’esercito imperiale
viene sconfitto dall’esercito comunale. Un ruolo fondamentale è svolto dalla fanteria, i pedites in latino,
i pedoni, non sono rappresentanti della milizia urbana, ma sono persone che sono dotati di una certa
ricchezza, come commercianti notai e così via che non fanno parte della milizia cittadina. Questi
scendono in battaglia a fianco dei cavalieri, riescono a fermare la cavalleria imperiale facendo una specie
di muro con le lance abbassate costringendo i cavalli dell’armata imperiale a fermarsi per non essere
infilzati. L’esercito comunale è più numeroso di quello imperiale proprio grazie al fatto che è costituito
da questa grossa massa di pedites. L’imperatore è sconfitto, quindi umiliato. Qualche anno dopo Federico
I ratifica nella pace di Costanza del 1183 una serie di concessioni a favore delle città italiane. Deve però
trovare una formula, anche ambigua, per giustificare quello che altrimenti non sarebbe giustificabile, e
bisogna far sembrare che questa sia una concessione magnanima dell’imperatore quindi anche
revocabile, cioè bisogna lasciare le porte aperte in modo tale che qualora i rapporti di forza mutassero
sarebbe possibile riprendere alle città quello che ora gli sta concedendo. Resta il fatto che la pace di
Costanza segna un punto di svolta nella storia dei comuni italiani e nei rapporti politici e diplomatici tra
il regno di Italia e il sacro romano impero. Vediamo alcune clausole di questa pace:
“Sappiano tutti i fedeli tanto quanti dei nostri giorni quanto i posteri che per sola grazie della Nostra
bontà, aprendo il Nostro cuore neutralmente pietoso alle (profferte) di fedeltà e devozione dei Lombardi,
che pure ci avevano offeso Noi e il Nostro impero, accogliamo nella Nostra piena grazia essi, la loro
lega e i loro fautori; con clemenza rimettiamo ad essi tutte le offese e colpe che ci avevano mosso ad ira;
per i fedeli e devoti servizi, che siamo sicuri di avere da loro, li numeriamo tra i nostri fedeli. Perciò
abbiamo ordinato che questa pace da Noi per Nostra clemenza concessa loro, sia trascritta in questo
foglio e sottoscritta e munita nel Nostro sigillo. Il testo è il seguente:
1 Noi concediamo a voi, città, terre e persone della Lega, i diritti regali e i vostri statuti tanto nell’ambito
della città quanto nel contado per sempre; cioè: restituiamo immutati, nella città, tutti i diritti che fin qui
avete esercitato ed esercitate; nel contado, possiate esercitare tutti i diritti consuetudinari che avete
esercitato da lungo tempo; come fodro, usi su boschi, pascoli, ponti, acque, mulini, diritto di raccogliere
eserciti e fare difese della città; per quanto riguarda la giurisdizione, l’abbiate tanto nelle cause
criminali che nelle civili, in città e nel contado; e tutti gli altri diritti che toccano la vita economica delle
città.
2 Restino ferme le concessioni a qualsiasi titolo, fatte prima della guerra da Noi e da i Nostri
predecessori a vescovi, chiese, città o a persone, laiche o ecclesiastiche; si continuino a prestare servizi
feudali, per esse, ma non si presti tributo in denaro.
8 In quei comuni nei quali il vescovo è contee per privilegio imperiale, se i consoli sogliono essere
investiti del consolato dai vescovi, si continui nell’usanza; altrimenti l’investitura venga da Noi, per
mezzo dei Nostri nunzi, con validità quinquennale.
11 I consoli dei comuni , prima di entrare in carica, prestino giuramento di fedeltà a Noi.
15 Si concede anche per conto dei Nostri partigiani, pieno indulto per i danni, le appropriazioni, le offese
da Noi e dai Nostri sofferte dalla lega o da qualcuno della Lega o dagli alleati.
17 I Comuni potranno fortificare città e contado.
29 Quando Noi veniamo in Lombardia ci dovranno corrispondere il fodro consueto quelli che sogliono
e debbono corrisponderlo, al tempo debito. E tanto per il nostro viaggio di andata quanto per quello del
ritorno ci restaureranno ponti e vie lealmente, senza inganni e in modo sufficiente, cosi come in buona
fede e senza inganno ci serviranno sufficienti approvvigionamenti.”
La pace di Costanza segna un punto di svolta importante, in realtà l’imperatore pensava di poter ritornare
sui suoi passi, ma non sarà cosi, anche perché un paio di anni dopo, durante la terza crociata morirà. Suo
figlio, Enrico VI, forse avrebbe avuto il potere di ridurre all’obbedienza i comuni, anche perché per via
matrimoniale era diventato re della Sicilia, quindi oltre ad essere imperatore del sacro romano impero
era anche re, ma muore abbastanza giovane nel 1197. Dopo di lui il trono imperiale rimarrà vacante per
un paio di anni. Dalla pace di Costanza in poi quindi l’impero non riesce ad esercitare una vera autorità
in Italia. A questo punto l’autorità politica, la giurisdizione delle città comunali italiane può dispersi
senza freni, senza più un contro potere, è questo il momento nel quale matura pienamente la civiltà
comunale. E’ in questo periodo che le città si danno delle strutture istituzionali e urbanistiche nuove,
rivoluzionarie, per esempio cominciano ad essere costruiti i palazzi pubblici, cioè i palazzi del comune,
prima non esitavano veri e propri palazzi pubblici, i consoli si riunivano nella sede del vescovo, e le
assemblee si tenevano nella piazza davanti alla cattedrale, tanto’è che il parlamentum era detto anche
conventus ante ecclesiam, cioè assemblea davanti alla chiesa. Dal XII secolo in poi nascono i palazzi
pubblici, di solito chiamati palazzo del podestà, chiamati cosi perché sta avvenendo un cambiamento
istituzionale importante. Dal XII secolo in poi l’autorità dei conti viene sostituita dal podestà, anche
questa è una fase di sperimentazione che dura 10/20 anni. Il podestà è di solito un forestiero, è un
funzionario esperto di guerra, esperto di diritto, una persona illustre che viene da fuori e non deve essere
coinvolto nelle fazioni, negli sconti delle famiglie cittadine, che è un grosso problema perché le famiglie
si disputano il potere spesso utilizzando metodi violenti. Non c’è solo lo scontro interno del ceto
dirigente, ma c’è anche lo scontro intercetuale perché le città si stanno ingrandendo, molti contadini si
trasferiscono in città, la popolazione aumenta, emergono nuovi ricchi, che però non fanno parte della
milizia urbana, ci sono ceti nuovi che chiedono più partecipazione alla vita pubblica. La dinamica politica
conosce un’accelerazione fortissima, la messa in discussione del potere dell’aristocrazia consolare porta
all’introduzione della figura del podestà. Il podestà è uno straniero, di norma un cavaliere che proviene
da una città alleata, diventa la massima autorità militare e giudiziaria, ma resta in carica per pochissimo
tempo, di solito sei mesi, si porta dietro dei funzionari, molti notai, giudici, nasce il tribunale, si comincia
ad amministrare la giustizia nel senso più moderno del termine. Il podestà viene inoltre pagato per la sua
funzione, li viene dato un salario all’inizio del mandato, a metà e alla fine del mandato. Con il salario il
podestà deve pagare tutta la burocrazia, i giudici, i notai, le guardie armate che si porta dietro. Un conto
è amministrare Milano, un conto Firenze, Piacenza e cosi via, il salario non è sempre lo stesso, se si va
in una grande città si deve pagare molto di più perché ci dovranno essere più funzionari. Questo è un
sistema che teoricamente deve garantire l’imparzialità del governo, non conta il fatto che il potere
legislativo non è nelle mani del podestà ma è nelle mani dei neonati consigli legislativi, nei qualità
rappresentanza massima è dei cavalieri, quindi la milizia ha ceduto una parte del potere ma ha tenuto il
potere legislativo, il podestà applica le leggi dei consigli. Il potere continua ad essere una prerogativa
importante del vecchio ceto consolare.
L’introduzione di questa forma nuova di governo porta a cambiamenti importanti, perché se il podestà, i
giudici, i notai si spostano in continuazione rideterminano il fenomeno della omogeneità dei costumi,
delle leggi, dei sistemi fiscali, delle prassi amministrative perché la burocrazia itinerante porta le
esperienze passate nelle nuove città e le città tendono per un processo di imitazione a copiarsi le une con
le altre, quindi si danno ordinamenti pubblici che si assomigliano. Questo periodo è anche il periodo
durante il quale le città dispiegano il loro potere nelle campagne, cercando di sottomettere tutte le signorie
di castello che si trovano in area rurale. Alcuni signori sono convinti con le buone, altri si ribellano e i
castelli vengono assediati e distrutti, a volte anche rasi al suolo per spaventare tutti gli altri signori. Quindi
c’è una politica violenta, espansionistica delle città. Per esercitare il controllo delle aree rurali, per attirare
i contadini che lavorano nelle terre dei comuni provvedono anche a far erigere i borghi franchi, cioè
castelli voluti e progettati dai comuni in aree rurali.
L’età podestarile è l’epoca in cui il comune si afferma compiutamente come ente politico, redige i propri
statuti, fa verbalizzare qualsiasi documento fiscale, giudiziario e impone la propria piena autorità nella
città e nelle campagne, è un’epoca però in cui lo scontro tra le diverse fazioni non si placa, continuerà ad
andare avanti mettendo le premesse per un ulteriore cambiamento delle istituzioni cittadine comunali.

Lezione 12

Abbiamo parlato dell’introduzione della nuova figura del podestà, che aveva la funzione di pacificare la
situazione interna della città, sia per quanto riguarda l’interno dell’aristocrazia, sia per l’insofferenza dei
ceti nuovi arricchiti nei confronti dell’aristocrazia. C’è una situazione di instabilità politico sociale quasi
permanente. Il problema è che l’introduzione del podestà non pone fine alle contese, che anzi sembrano
sempre più inasprirsi.
I ceti nuovi emergenti che reclamano l’accesso al potere cominciano a darsi delle strutture organizzative,
che sono da una parte quelle chiamate le società delle armi, che sono raggruppamenti distrettuali interni
alla città che servono per reclutare la fanteria quando la città entra in guerra, diventano centri di
aggregazione dei pedites, la fanteria diventa una delle prima forme attraverso le quali questo nuovo ceto
si organizza per finalità politica; l’altra forma importante di organizzazione è costituita dalle Arti, cioè
dalle corporazioni di mestiere, queste sono un fenomeno continentale, e sono il mezzo attraverso il quale
i maestri di un determinato mestiere si organizzano per stabilire le norme del mercato, per evitare di farsi
concorrenza a vicenda, per certificare alcuni standard produttivi, per garantire a coloro che esercitano un
determinato mestiere un minimo di quella che noi oggi definiamo assistenza sociale, cioè se un artigiano
sta male la corporazione cerca di aiutarlo almeno per qualche giorno oppure se un membro della
corporazione muore è la corporazione che si occupa di organizzare il funerale, non di rado organizzano
anche attività religiose, è un attività un pò mista (commerciale, religiosa, assistenziale) finalizzata al
benessere di coloro che esercitano un mestiere. Nelle città comunali italiane le arti diventano anche uno
strumento di battaglia politica, i consoli delle arti intervengono nella dialettica politica portando avanti
le rivendicazioni dei ceti popolari, agiscono in questo senso le corporazioni della lana, dei giudici e dei
notai, dei medici, di vari artigiani e sopratutto le corporazioni che raggruppano grandi mercanti e grandi
banchieri, che sono molto importanti dal punto di vista della potenza finanziaria. Il popolo si organizza
per ridere il potere, il popolo non ha niente a che fare con il nostro modo di intenderlo, ma nelle città
comunali italiane è una raggruppamento sociale eterogeneo, che non comprende né l’aristocrazia
cavalleresca, né i salariati, cioè i ceti umili che non fanno parte di una corporazione, ma invece tutti quei
ceti che hanno la rappresentanza corporativa. Nell’ambito delle corporazioni ci sono delle arti che
potremmo definire di serie A, a Firenze e in altre città erano definite Arti Maggiori (banchieri, mercanti,
medici, notai) poi le arti medie e minori, quelle che raccolgono gli artigiani. Questo popolo sfida il
monopolio politico della milizia, chiede di avere una maggiore rappresentanza negli organi deliberativi,
chiede di cambiare la politica fiscale, per esempio tassando i grandi patrimoni, chiede una gestione meno
opaca dei beni comuni, cioè delle terre gestite dal comune, accusa i milites di gestire con finalità
privatistiche tutti questi beni comuni, accusava i governanti espressi dalla milizia di corruzione. I milites
erano anche accusati di frodare il comune con mezzi curiosi, uno di questi era legato ad una forma di
remunerazione dell’esercizio bellico chiamata emendatio equorum cioè risarcimento dei cavalli, perché
i milites che scendevano in guerra potevano perdere il cavallo e questo rappresentava un costo enorme
per cui era previsto che chi perdeva il cavallo in battaglia doveva essere risarcito dalle casse del comune,
ma in alcune città si era diffusa la prassi di nascondere il cavallo e chiedere al comune un risarcimento
improprio. Il popolo chiedeva di far luce su tutti questi meccanismi non limpidi di gestione della cosa
pubblica. In alcune città il popolo si da una struttura forte, si arma e con tutta una serie di insurrezioni
prende il potere, questo avviene a Perugia, a Siena, a Firenze, a Pisa. In varie città soprattutto dell’Italia
centrale assistiamo alla presa del potere del popolo, quando il popolo prende il potere imprime
cambiamenti importanti nella politica fiscale, per esempio introducendo l’estimo, cioè una rilevazione
globale del patrimonio immobiliare, in città e in campagna da sottoporre a tassazione, con il governo
popolare le tasse vanno a colpire le grandi proprietà immobiliari. Vengono introdotti cambiamenti
istituzionali nel comune stesso: il podestà continua ad amministrare la giustizia e ad aver un ruolo
centrale, ma gli viene affiancato il capitano del popolo, un ufficiale che ha competenze abbastanza simili
a quelle del podestà e che è espressione di una scelta interna del popolo stesso, abbiamo quindi una
duplicazione del capo del comune. Poi il popolo crea un nuovo consiglio che si affianca al consiglio
generale convocato dal podestà, e questo nuovo consiglio viene chiamato consiglio del popolo. In questa
proliferazione di esercito e di organi legislativi il popolo si assicura il controllo del comune stesso, perché
dove viene creato il consiglio del popolo si decide che ne possono far parte solo popolari e si stabilisce
che una legge per aver vigore deve avere l’approvazione sia del consiglio del comune sia del consiglio
del popolo, ma mentre nel consiglio del comune possono essere presenti tutti i cittadini nel consiglio del
popolo possono essere presenti solo popolari, per cui una legge per prendere vigore deve essere gradita
al popolo. In alcune città addirittura si arriva all’emarginazione politica del vecchio ceto dirigente con la
promulgazione di una legislazione ad hoc, definita dagli storici legislazione anti magnatizia. I magnati
sono gli eredi delle vecchie famiglie aristocratiche. Abbiamo una legislazione contro i magnati a Firenze,
a Perugia, a Bologna, in questa legislazione si fa proprio l’elenco delle famiglie; ai magnati rimane
l’esercizio della guerra, la diplomazia. Assistiamo nella seconda metà del 200 al passaggio di governo
dal vecchio ceto aristocratico al ceto popolare. Questo passaggio si accompagna a nuovi edifici legati al
potere pubblico, una nuova stagione di edilizia pubblica legata al potere popolare. Questi governi
popolari si caratterizzano per l’ampia partecipazione della cittadinanza al governo della città, vengono
create anche altre assemblee, ogni due o tre mesi le assemblee vengono rinnovate per il principio di
rotazione di cui abbiamo già parlato per cui migliaia di maschi adulti che possono partecipare nei consigli
comunali, c’è una grande partecipazione alla vita politica. Vengono anche creati uffici, che possono
essere uffici fiscali oppure legati a varie forme di amministrazione della vita pubblica sempre a rotazione
che possono essere ricoperti dai cittadini. I cittadini quindi erano in larga misura chiamati a partecipare
alla gestione della cosa pubblica, non stiamo però parlando di una democrazia, non c’erano elezioni,
molte cariche venivano distribuite per cooptazione, cioè i funzionari precedenti nominavano quelli
successivi, per essere entrati in una carica pubblica il nome veniva prima vagato da una commissione
che decideva se un membro era adatto o meno. C’era una selezione all’interno della quale aveva grande
importanza il censo, il prestito sociale, gli appoggi che poteva fornire una corporazione; quindi c’erano
vari strumenti di selezione per cui non si può parlare di democrazia però possiamo dire che c’era
un’enorme partecipazione politica. Questi governi sono stati chiamati governi larghi proprio per la
partecipazione. Sono governi in cui i consigli hanno una grande importanza anche dal punto di vista
culturale, perché far passare le leggi è una questione che riguarda sia impegno sul piano pratico ma anche
impegno sul piano retorico, bisogna esporre nella maniera migliore la bontà di un provvedimento,
bisogna saper ottenere l’appoggio dei consiglieri, bisogna imparare a parlare in un certo modo, conoscere
meccanismi della retorica, ecco perché è cosi importante essere istruiti, saper parlare e saper convincere
l’uditorio. Quindi sono cambiamenti importanti per le istituzioni, a livello culturale, a livello di ideologia
politica, hanno come punto di riferimento il bene comune, cioè il benessere collettivo e gli obiettivi legati
al bene comune, hanno dei risvolti culturali e artistici di grandissima rilevanza. La politica collettiva che
entra nella cultura, nel pensiero filosofico e nell’arte.
Vediamo un documento che ci fa capire l’importanza dell’ideologia politica nei comuni di popolo.
Questo documento è il Liber Paradisus del comune di Bologna, emanato nel 1257. Bologna in questo
periodo sta facendo ciò che tantissimi altri comuni stanno facendo cioè sta liberando tutta una serie di
servi che vivono nelle campagne, sono i servi della gleba, ci sono varie ragioni per cui stanno facendo
questa cosa, una prima ragione è di natura morale religiosa, cioè tutti gli uomini sono uguali davanti a
Dio ed è ingiusto che esistano dei servi, il comune che mira al bene collettivo deve puntare alla
liberazione dei servi.
Accanto a questo afflato morale, etico e religioso ci sono anche interessi concreti, perché questi servi
sono legati a terre di proprietà di castello che sono concorrenti sul piano politico, che il comune vorrebbe
eliminare dalle proprie campagne, quindi rendere liberi i servi significa indebolire i signori, toglierli il
controllo degli uomini. Poi ci sono interessi di natura economica e fiscale, perché un servo non è tenuto
a pagare le imposte, ma se il servo diventa libero allora è tenuto a pagare le imposte al comune, quindi
aumenta la possibilità di riscuotere le tasse per il comune. Poi i cittadini di solito sono proprietari terrieri,
non hanno servi ma hanno bisogno di manodopera, se tutti i servi vengono liberati vengono anche privati
della terra che lavoravano cioè diventano manodopera a buon mercato.
C’è una compresenza di ragioni di vario genere che spingono le città a liberare i servi, non è detto che la
motivazione etica e religiosa sia soltanto una scusa, perché non è così, però non è la sola ragione.
Vediamo nell’introduzione del Libera Paradisus di Bologna:
poi nel testo sono elencati tutti i servi e le serve, si tratta di 5800 individui
“Questo è il memoriale dei servi e delle serve che sono emancipati ed emancipate dal comune di
Bologna; il quale memoriale si deve nominare a buon diritto “Paradisus”.
Segue un riferimento alla Genesi
In principio il Signore piantò un paradiso di delizie, nel quale pose l’uomo che aveva forato, e aveva
ornato il suo stesso corpo di una veste candeggiante, donandogli perfettissima e perpetua libertà. Ma
egli, misero, dimentico della sua dignità e del dono divino, gustò il pomo proibito dal comando del
signore, per cui trascina miseramente se stesso e tutta la sua posterità in questa valle, ed avvelenò in
modo smisurato l’intero genere umano, avvincendolo miseramente nei legami della schiavitù diabolica:
e cosi da incorruttibile divenne corruttibile, da immortale mortale, soggiacendo alla corruzione e a
gravissima schiavitù.
Quindi la schiavitù è una sorta di frutto del peccato originale.
Vedendo dunque Dio che tutto il mondo era miseramente rito, mando il Figlio Unigenito, dalla Vergine
Madre, con l’oera della grazia dello Spirito Santo, affinché a gloria della sua dignità, spezzate le catene
della schiavitù dalle quali eravamo tenuti prigionieri, ci restituisse la primitiva libertà, e perciò molto
utilmente si agisce , se gli uomini che all’inizio la natura generò e creò liberi e pose sotto il giogo del
diritto delle genti siano restituiti col beneficio dell’emancipazione coloro che erano nati in quella
liberò.”
I governanti bolognesi si richiamano al Vecchio testamento, cioè uscita dal Paradiso terrestre con la
connessa schiavitù e poi il vangelo, l’arrivo del figlio di dio e la liberazione dal peccato originario, che
corrisponde alla liberazione dalla schiavitù nel piano politico. Quindi la morale, il cambiamento polito
che passa attraverso un’interpretazione religiosa.
“In considerazione della qual cosa, la città di Bologna, che ha sempre combattuto per la libertà,
ricordando gli impegni passati e pensando ai futuri in onore al nostro redentori e Signore Gesù Cristo,
con una somma di denaro riscatta tutti quelli che nella città e diocesi di Bologna trova stretti alla
condizione servi, e decreta che siano liberi, dio un’accurata indagine, stabilendo che nessuno, costretto
da qualche forma di servitù osi dimorare nelle città e nelle diocesi di Bologna, affinché la massa che è
stata riacquistata alla naturale libertà da un tale prezzo, possa essere corrotta da un qualche fermento
di servitù, poiché un piccolo fermeranno può corrompere tutta la massa e la compagnia di un cattivo
conduce molto sulla via disonesta.
Per vigilare la qual cosa, il signor Bonaccorsi da Soresina potestà di Bologna, la fama e ogni lode del
quale diffusa in lungo e in largo si irradia come una stella e sotto il controllo del signor Giacomo
Gratacelli suo giudice ed assessore raccomandato per la sua esperienza nel diritto, la sua sapienza,
costanza temperanza, ha esteso il presente memoriale, che propriamente e a buon diritto si dve chiamare
“Paradisus”, contenente i nomi dei padroni, dei loro servi e anche delle severe affinché appaia a quali
servi e serve è fatta acquistare la libertà e a quale prezzo, cioè dieci lire per un servo o serva maggiore
di quattordici anni e otto lire bolognesi per un minore , stabilito per ogni padrone per ognuno che
detenesse nel vincolo della servitù.
Il memoriale è stato scritto da me, Corradino Sclariti, notaio incaricato all’ufficio dei servi e delle serve,
nell’ano del Signore 1257, corrente l’indizione quindicesima, e tutto cio che è detto sia ora e in memoria
dei posteri.”
Nella seconda metà del 200 diverse città si danno un ordinamento popolare.
Questa ulteriore trasformazione delle istituzioni comunali non avviene ovunque, non avviene ovunque
con la stessa intensità e non con la stessa durata, per alcune città i governi del popolo sono durate lungo
tutto il 300, ma altrove sopratutto nel nord Italia la soluzione popolare o è di breve durata oppure non c’è
proprio, c’è un passaggio rapido nella seconda metà del 200 ad un governo di tipo signorile, cioè con un
cittadino che si impossessa del potere, per esempio a Ferrara (con gli Estensi), a Milano (con i Visconti),
a Verona (con gli Scaligeri), cioè una famiglia importante spesso a capo di una delle fazioni in lotta per
il potere riesce a prende il controllo delle istituzioni comunali, questo perché nelle lotte continue e in
questo clima di instabilità e insicurezza spesso si fa strada l’idea che forse tutti i consigli sono il problema,
forse la soluzione è dare il potere ad una sola persona, cosi accade. Non di rado alcuni cui fazione si
impossessano del potere e si fanno delegare sempre maggiori competenze e prerogative fino a esautorare
di fatto gli organi comunali, che rimangono sempre in piedi ma contano sempre meno.
Vediamo due esempi dell’Italia settentrionale che fanno capire com’è avvenuto il passaggio di poteri. Il
primo esempio è la città di Verona dove si affermano i Della Scala, negli ultimi decenni del 200. La cosa
curiosa è che la famiglia scaligena è una famiglia popolare, non aristocratica, era impegnata nelle attività
mercantili e aveva un grande ruolo nelle corporazioni di mestiere della città, il clima di insicurezza
determina un clima incandescente e poi questa famiglia prende il potere e riesce a trasformare questo
potere temporaneo in un potere definitivo e lo fa obbligando i consigli cittadini a votare la delega piena,
cioè la concessione dei poteri ai suoi stessi esponenti.
“Mercoledì ventisette ottobre (1277), nel capitello del mercato del foro della città di Verona, dove di
consueto si tengono le assemblee, alla presenzadei giudici del comune di Verona, dei testimoni, e di altri,
nella pubblica e generale assemblea del comune di Verona, riunita come di consueto al suono della
campana, essendo presente anche il nobile signor Giovannino dei Bonacolsi di Mantova, podestà di
Verona, e fornendo egli la garanzia data dalla sua autorità, alla quale assemblea in verità parteciparono
in generale e in blocco i nobili e maglie, gli anziani, i gastaldi dei mestieri di Verona l’intero popolo
della medesima città, tutti i predetti in modo concorse e unanime, senza che alcuno si esprimesse in
modo contrario, con viva voce elessero e crearono e fecero il nobile signor Alberto della Scala, l’ì
presente, capitano loro e di tutta la città di Verona in perpetuo fine viva, dando, concedendo e
trasferendo a lui e in lui la piena, generale e libera autorità e potestà di reggere, governare, mantenere
e regolare in tutto e per tutti la stessa città e il distretto di Verona, e la stessa parte che ora tiene e regge
Verona, secondo il suo libero arbitrio e volontà, nel modo che a lui sembrerà meglio e più vantaggioso
provvedere, e anche il potere di fare e originare statuti tanto generali che speciali, e anche le
deliberazioni nominative, quanto le altre cose del comune ddi Verona, assumendo l’iniziativa e ogni
volta che gli parrà opportuno, il potere di interpretare, corregger, cibare, aggiungere, limite e prorogare
e concedere proroghe contro queste stesse norme e al di là di esse a suo arbitrio e volontà, ecc.”
Ecco la presa del potere, è un potere che è sancito da consigli. Nel 300 alcuni di questi signori diventano
principi, fanno costruire un palazzo.
Vediamo il secondo esempio, la Milano dei Visconti, che non sono una famiglia popolare, ma una
famiglia antichissima della milizia urbana, di una famiglia che partecipava alla gestione pubblica quando
esistevano i conti di tradizione imperiale. La parola Visconte vuol dire un funzionario del conte. I
Visconti quindi sono a capo di una fazione aristocratica, prendono il potere e saranno in lotta con una
famiglia popolare, i Della Torre, riusciranno a sconfiggerli e diventeranno signori, poi dalla fine del 300
diventeranno duchi, cioè compreranno dall’imperatore il titolo ducale e a quel punto saranno principi a
tutti gli effetti. Vediamo un documento del 1311 in cui il signore della città Matteo Visconti, compra il
titolo di vicario imperiale da Enrico VII.
“Enrico per grazia di Dio re dei romani e imperatore del sacro romano impero, ai sudditi che leggeranno
le presenti lettere la sua grazia e ogni bene. Riponendo piena fiducia nella fede, lealtà e operosità del
risoluto Matteo Visconti nostro fedele diletto, ordiniamo che si conceda a lui il vicariato della città di
Milano e del suo distretto, della terra di Monza, e del castello di Treviglio a eccezione di quanto
direttamente spettante alla camera regia, esercitando tale ufficio direttamente o attraverso gli altri,
purché nostri fedeli, che lui avrà delegato, conferendogli e concedendogli nella stessa città e distretto il
mero e misto imperio e tutto ciò che attiene alla semplice giurisdizione. Alle condizioni seguenti, ovvero
che il detto Matteo promise e convenne, tramite una solenne garanzia prestata, di pagare e versare
cinquantamila fiorini d’oro, quarantamila a Noi, e diecimila a Margherita regina dei romani e nostra
carissima moglie. Restituendo allo stesso Matteo quarantamila fiorini d’oro, sarà lecito destituirlo da
qualsivoglia ufficio vicariale sostituendolo con altro che preferiremo, e lo stesso Matteo sia tenuto a
lascare l’incarico senza alcuna difficoltà. Se accadrà che lo steso Matte muoia Noi non saremo tenuti a
restituire alcuna somma ai suoi successori ed eredi. Ecc.”
Matteo Visconti per passare da signore di fatto a signore di diritto deve versare una somma enorme, ma
non la versa lui direttamente, non viene dal patrimonio della sua famiglia, ma la fa pagare al comune,
utilizza le casse comunali.
Da una parte alla fine del 200 abbiamo città governate dal popolo, in altri casi abbiamo dinastie signorili
alcune delle quali arriveranno fino al Rinascimento come dinastie principesche.
Facciamo un accenno alla Sardegna. Le istituzioni comunali sono state presenti ma come fenomeno di
importazione. La Sardegna esce dalla lunga fase nebulosa bizantina con una costruzione polita suis
generis anche se ha forti consonanze con la realtà veneziana, con la realtà dei giudicati, cioè con questa
quadri partizione con cui viene suddivisa l’isola e di cui abbiamo testimonianza soltanto dal seconda
metà del XI secolo, quando tornano i documenti scritti. I giudici sono i sovrani dei 4 rispettivi territori.
Questi sovrani sono abbastanza deboli da un punto di vista politico militare e poi sono costretti ad
accettare l’arrivo dei monaci mandati da Roma, entrano anche in contatto con i grandi mercanti che
vengono da Genova e da Pisa. I pisani scoprono che in Sardegna possono fare grandi affari e col passare
del tempo capiscono che hanno abbastanza forza per controllare alcuni territori e sostituirsi ai giudici nel
controllo dei giudicati, questo è quello che avviene sopratutto nel giudicato di Gacglia e nel giudicato di
Gallura. All’inizio del XII secolo i pisani ottengono un territorio completamente abbandonato, cioè la
collina in cui si trovava l’acropoli della città antica di Cagliai e dove loro costruiranno un gigantesco
castello, il Castrum Carali, che loro chiameranno anche Castel di Castro, perché sta ad indicare il castello
che hanno costruito in luogo in cui prima c’era il castrum, cioè l’acropoli antica. Tutto il castello non è
altro che una gigantesca fortificazione sul modello dell’architettura imitare del 200, quella fortezza
diventa un luogo dove vivono solo i pisani, ed è la fortezza in cui negli anni 50 del 200 viene portato
l’assedio alla capitale giudicale di Santa Gilla, di cui ora non rimane praticamente niente, la città viene
assediata e rasa completate al suolo, il giudicato di Cagliari scompare nell’anno 1257. I pisani si
impossessano del meridione della Sardegna e portano le loro istituzioni. Cagliari di fatto diventa un
dominio coloniale pisano, mandano i propri funzionari da Pisa, quindi la gestione che i pisani hanno di
Cagliari è molto simile al food in cui i pisani o qualsiasi altra città del tempo aveva verso i castelli e i
villaggi assoggettati. La città di Cagliari ha istituzioni comunali ma sono istituzioni eterodirette, per
capire come funziona Cagliari in quel periodo bisogna leggere i documenti di Pisa. Questo è l’esempio
più clamoroso di esportazione del modello comunale, poi vi sono altri esempi tra cui Villa di chiesa, ad
Iglesias, siamo in presenza di un grande villaggio minerario fondato dal Conte Ugolino, che aveva
partecipato alla conquista e al quale il comune di Pisa aveva dato questo angolo. Poi il conte farà la fine
che è descritta da Dante nell’Inferno e i beni dei Donoratico vengono incamerati dal comune e anche li
abbiamo funzionari mandi di Posa, ma ha un grado di autonomia maggiore rispetto a quello di Caglia,
soprattutto a Villa di chiesa non abbiamo questo esclusivismo pisano, abbiamo una compresenza di
pisani, ma anche di locali.Una cosa ancora diversa è quello che accade a Sassari, che è una città fondata
nel Medioevo, almeno fino agli anni 20/30 del 300 è una città composita, nel seno che ci sono molti
locali, ma anche molti liguri, toscani. Abbiamo un comune che nasce dal basso, forse è l’unico caso sardo
di comune che si sviluppa in forma autonoma, ma anche qui autonoma fino ad un certo punto perché il
presta non è imposto, am di solito viene scelto o da un funzionario che viene da Genova o da un
funzionario che viene dia Pisa, quindi la scelta del podestà non esce da questo binario, il podestà o è
genovese o è pisano e la scelta dipende dal potere che ha una delle due città in quel momento. Quello
che è evidente dalla fine del 200 è che in molti dei piccoli centri urbani sardi il modello comunale si va
diffondendo, cosi come si va diffondendo il modello del rapporto tra città e campagna che è presente in
Toscana, Liguria , Pianura Padana, cioè il dominio della città verso l’area rurale, dominio che ha anche
una forte integrazione economica. Questo processo di comunalizzazione delle istituzioni sarde, con la
caduta dei giudicati, tranne quello di Logudoro, verrà sconvolto con l’arrivo dei catalano aragonesi
intorno agli anni 30 del 300, che porteranno il modello feudale regio ella penisola iberica.

Fenomeni politici e istituzionali che coinvolgono il mezzogiorno d’Italia


Abbiamo parlato della ripresa dei poteri centrali nel basso medioevo, abbiamo detto che il modello della
città stato è un modello eccezionale, il modello di ripresa è quello impernato sulla città ma quello
impregnato sulla monarchia, sul potere dei sovrani, dei re, potere che era decaduto dopo il crollo dell’età
carolingia. Di norma le monarchie che di vengono strutturando dal XI secolo i poi sono poteri monarchici
su base feudale, cioè quella piramide che impropriamente alcuni manuali scolastici attribuiscono all’età
carolingia, tende invece ad essere presente in questi regni basso medievali, perché il feudalesimo si
diffonde dopo l’eta carolingia e per molti sovrani diventa lo strumento per tenere le fila di un mondo
politico che si sta sfilacciando. Molti re in difficoltà cominciano ad affidare le terre a potenti che
comunque avrebbero comandato, stabilendo dei vincoli di natura personale per fare in modo di non
perdere totalmente il controllo. Questi vincoli di natura personale verranno utilizzati in maniera
innovativa, duttile nei secoli basso medievali proprio per riprendere il potere, perché un vassallo ha diritto
ad ereditare i beni del padre pero è obbligato anche a dimostrarsi fedele al sovrano, perché se viene meno
alla fedeltà può essere accusatori fellonia e perdere le sue terre. I legami feudali vengono interpretati nel
basso medioevo come un modo attraverso il quale il sovrano si riprende progressivamente il potere.
Nel mezzogiorno d’Italia all’invio del XI secolo siamo in presenza di un groviglio di poteri anche locali,
che hanno caratteristiche non diverse da quelle che troviamo nell’Italia centro settentrionale. All’inizio
del XI secolo abbiamo città co una larghissima autonomia politica, che formalmente fanno riferimento a
Bisanzio ma nei fatti sono gestite da dinastie locali, è questo il caso di Amalfi, Napoli, Gaeta. Ognuno
dei principi di queste città quando entra in carica deve giurare fedeltà all’imperatore di Costantinopoli, i
documenti vengono datati con l’anno di governo dell’imperatore di Costantinopoli, a Napoli ci sono
anche notai chiamati curiali che scrivono i documenti utilizzando l’alfabeto greco, anche se stanno
scrivendo in latino. C’è un richiamo culturale forte al mondo bizantino ma le città sono autogovernate,
non sono totalmente indipendenti ma hanno un’autonomia enorme. Poi ci sono cui principi, sopratutto in
Campania, che sono gli eredi della tradizione politica longobarda, cioè sono i discendenti dei longobardi
di Benevento. Abbiamo quindi ancora principi longobardi a Benevento, a Salerno, a Capua (che non è
quella dell’antica Roma ma è l’antica casilinum, cioè il porto di Capua sul fiume Volturno, là dve arrivava
la via casilina da Roma). Poi abbiamo delle signorie sul modello europeo che sono imperniate su grandi
abbazie, una di queste è Montecassino, San Vincenzo a Volturno, queste sono abate che hanno tantissime
terre, servi villaggi e castelli. Poi abbiamo in Puglia, in Calabria e in Basilicata delle province bizantine,
cioè amministrate da funzionari mandi da Costantinopoli, queste sono terre particolari perché in alcune
si parla il greco e si seguono le usanze di Costantinopoli, ma in altre si parla il volgare romanzo e si
applica un diritto privato che non è più quello romano, ma è quello longobardo. Quindi abbiamo una
realtà molto composita. C’è infine la Sicilia controllata dai musulmani. Abbiamo una compresenza di
civiltà diverse che entrano in contatto tra loro volte in maniera pacifica a volte in maniera violenta. Questa
realtà è investita totalmente nel XI secolo dall’arrivo dei cavalieri normanni, provenienti dalla Francia
nord occidentale. Aveva detto che i normanni nel IX secolo era fondamentalmente degli scandinavi,
guerrieri di origine germanica, pagani, dediti a razzie.Un gruppo di questi guerrieri vichinghi si insedia
definitivamente nelle terre dell’antica Neuzia, dando il nome a questa zona cioè la Normandia. Questi
vichinghi si insediano li dall’inizio del X secolo, quando il loro capo, tale Rollone, giura fedeltà ad un
debolissimo re di Francia, e si proclama suo vassallo ottenendo il titolo di duca. Questi guerrieri non la
minoranza dal punto di vista numerico subiscono presto un processo di francesizzazione dei costumi,
della lingua, infatti nel giro di due generazioni abbandono il loro idioma scandinavo e cominciano a
parlare la lingua di questa zona della Francia, cioè la lingua d’oil.
All’inizio del XI secolo alcuni cavalieri normanni cominciano ad essere presenti nell’Italia meridionale,
di solo questi cavalieri sono cadetti, cioè che non sono primogeniti. Nel diritto feudale l’eredità spetta
solo al primogenito, quindi gli altri figli devono trovare strade alternative perché il patrimonio va al
primo. Questi cavalieri normanni che passano al mezzogiorno per un pellegrinaggio e per cercare
qualcuno che li assoldi come mercenari si rendono conto che questa è una terra ricca, che offre molte
opportunità a guerrieri che cercano qualcuno che li possa remunerare per le loro attività bellica. Cosi
anno dopo anno le fila di questi cavalieri si ingrossano, combattono per coloro che offrono di più, c’è il
caso che in qualche anno possano cambiare datore di lavoro. Ad un certo punto il duca di Napoli concede
loro una terra alla periferia della città dove poter fondare un nuovo centro urbano, questo centro è Averza,
oggi è tutt’uno com Napoli. A partire dal 1030 hanno una loro base alle porte di Napoli, qualche anno
più tardi nel 1042 il duca longobardo di Salerno, concede in feudo la terra di Melfi, quindi la zona dell’alta
Basilicata e una parte della Puglia. A questo punto questi cavalieri hanno una propria base, delle loro
terre e cominciano a cambiare strategia, cioè non combattono più per il maggiore offerente ma
combattono per loro stessi, intuiscono che in questa realtà molto confusa e debole loro possono imporre
la loro volontà, cercano di creare un loro dominio nel mezzogiorno. Questo passaggio è evidente in una
cronaca monastica, la cronaca di San Vincenzo da Volturno, che spiega cosa è accaduto da quando i
normanni hanno iniziato a combattere per se stessi, hanno iniziato a costruire signorie, hanno iniziato a
fondare castelli. In questa cronaca si dice:
“A quel tempo (eta dell’imperatore Ludovico II, 855-875) c’erano pochi castelli da queste parti, che tutte
erano disseminate di villaggi e di chiese. Non v’era terrore ne paura di guerre e ogni luogo viva in pace
profonda. Ciò sino all’epoca dei Saraceni. Quando poi cessarono le devastazioni e le persecuzioni di
costoro, tutti quelli che erano scalati e avevano potuto recuperare i propri beni li possedettero per
devoluzione e benevola concessione del re. Poi giunsero in Italia i Normanni, che si presero tutto e
cominciarono a trasformare i villaggi in castelli, e senza re e senza legge si proclamarono patroni, anzi
signori, delle chiese, e a mala pena accondiscesero a versare ai legittimi proprietari un censo annuale,
quanto pareva a loro: situazione che ancor oggi perdura, poiché essi tengono per se e per i loro figli,
quasi fossero beni ereditari, le terre dei beni delle chiese, non senza commettere grande sacrilegio.”
Questa è la situazione maturata nel corso del XI secolo. In quel periodo i cavalieri normanni, ormai molto
numerosi, sono sotto il controllo della famiglia Altavilla, nome italianizzato della famiglia francese
Hauteville. Prima con il loro capo, Guglielmo Braccio di ferro, e poi sopratutto con il suo successore,
Roberto il guiscardo (astuto). E’ lui l’artefice della grande potenza normanna nel mezzogiorno d’Italia.
Comincia a sottomettere la Campania, la Puglia, la Basilicata. Per scampare al dominio normanno la città
di Benevento si mette sotto la protezione del papa. Le altre città finiscono sotto il controllo dei normanni.
Nel 1053 il papa, Leone IX, il papa che avvia a riforma della Libertas ecclesiae, decide che è arrivato il
momento di fermare i banditi e pensa che un esercito pontificio può rappresentare la soluzione e portare
sotto il controllo di Roma una serie di diocesi che da tempo il papa non governava più. Quindi si forma
questo esercito, da guerrieri agli ordini del papa, i bizantini prestano il loro aiuto. Questo grande esercito
si scontra con i normanni nei pressi di una fortezza della Puglia settentrionale. Questo castello è civitate
sul portone, 1053. L’esercito pontificio è completamente sbaragliato e lo stesso Leone IX viene fatto
prigioniero, verrà poi liberato, morirà di li a poco. La situazione non è più controllabile, i normanni si
stanno impossessando di tutto il mezzogiorno e allora i papi decidono di cambiare strategia. I normanni
non si possono sconfiggere quindi l’unica soluzione è che diventino alleati dei papi. Facendo buon viso
a cattiva sorte, i papi infeudano Roberto il guiscardo di tutti i territori che avevano conquistato, cioè
trasformano i banditi in vassalli pontifici. Non solo, ma in questa infeudatine viene anche promessa la
Sicilia, che in realtà è sotto il controllo dei musulmani, invitando dunque i guerrieri ad invadere l’isola.
Questo atto di infeudazione è il concordato di Melfi, del 1059, sancito tra Roberto il guiscardo e papa
Niccolò II, papa molto importante per la riforma perché è lui che introduce il collegio dei cardinali ed è
li che dichiara che i papi potranno essere nominati solo da ecclesiastici legati al collegio cardinale. In
questo concordato di Melfi si dice:
“Roberto duca di Puglia e Calabria giura di essere fedele alla chiesa di Roma e di non operare, tramite
conigli e azioni, per danneggiarla. Darà al papa consiglio quando questi glielo chiederà; l’aiuterà ad
acquisire nuovi possessi e a difenderli, e a difendere il papato romano, la terra di san Pietro e il
principato. Non cercherà di acquisire altre terre oltre a quelle che gli concederanno il papa e i suoi
successori; verserà regolarmente le pensione per le terre concessogli dalla Chiesa. Cede al potere
papale tutte le chiese che sono alla propria dominazione e ne sarà difensore. Aiuterà cardinali, chierici
e laici romani a eleggere un nuovo papa in caso di morte del papa attuale. Giura di rispettare questa
fedeltà con i successori del papa che gli confermeranno l’investitura.”
Le chiese a cui fa riferimento il papa sono le chiese che rima si trovavano in territorio bizantino, quando
ci fu lo scontro per l’iconoclastia tra l’imperatore di Bisanzio e il papa, l’imperatore punisce i papa
sottraendo loro il controllo di chiese e diocesi, queste ora tornano al papa.
Da questo momento i normanni hanno via libera, Roberto il guiscardo elimina ogni residuale presenza
bizantina in Italia, l’ultima città a cadere è Bari, nel 1071, poi sottomette varie città campane, e porta le
armi in Sicilia, negli anni 60 del XI secolo. L’impresa siciliana durerà circa 30 anni e l’artefice della
conquista definitiva dell’isola sarà il fratello minore di Roberto, cioè Ruggero detto il primo. Dal 1061
al 1090, i musulmani non saranno tutti espulsi dall’isola, anzi molti rimarranno anche sotto i normanni e
l’arabo sarà una lingua molto parlata in Sicilia per molti decenni ancora. Quindi c’è una conquista politica
ma non un’espulsione dei musulmani, anzi nelle campagne la popolazione sarà maggioritariamente
musulmana, sopratutto nella Sicilia occidentale. Quindi conquista di tutto il mezzogiorno e della Sicilia,
il Guiscardo dalla Puglia pensa anche di conquistare tutto l’impero bizantino, conquista Corfù, assedia
Durazzo e Balona, cerca di mettere le mani su Costantinopoli e solo grazie l’intervento veneziano
impedirà al principe normanno di conquistare un impero di tipo mediterraneo. Roberto il Guiscardo
morirà a Cefalonia, un’isola greca dello Ionio, nel 1085, ormai pero tutto il mezzogiorno ‘Italia è stato
conquistato dai cavalieri normanni.

Lezione 13

Ultimi anni XI secolo, Roberto il guiscardo conquista tutto il mezzogiorno e invade l’impero bizantino
mentre la Sicilia viene dominata dopo una guerra trentennale dal fratello minore Ruggero. Roberto
scompare nel 1085, mentre Ruggero vivrà fino ai primissimi anni del XII secolo. Dopo i che nei primi
due o tre decenni del XII secoli assistito ad una guerra di bande tra i principi normanni, che si conclude
intorno al 1130 con la vittoria di Ruggero II, figlio di Ruggero I. Il 1130 è molto importante, perché in
quell’anno viene di fatto fondato il Regno di Sicilia, che non era mai esistito, non esisteva uno stato del
mezzogiorno, questo è una vera e propria invenzione normanna. In quell’anno Ruggero II viene
incoronato nella cattedrale di Palermo dal papa Analceto II. Ancora una volta la Chiesa di Roma è
all’origine di tante monarchie feudali. Anacleto II è in realtà al tipo un antipapa, il più debole dei due
papi presenti, per questo Ruggero si rivolge a lui perché sa che ha bisogno di appoggi politici, ha bisogno
di alleati, per cui gli offre il suo aiuto ma gli chiede in cambio la legittimazione serale di una nuova
monarchia. Ruggero sconfigge gli altri principi, e che una vera e propria monarchia. Questa ha dei
caratteri davvero compositi, ha evidenti legami con la tradizione feudale europea. Ruggero II infeuda
moltissime terre ai potenti baroni, come facevano i re francesi, inglesi e tanti altri sovrani. Il diritto
feudale entra nell’Italia meridionale, come non era mai avvenuto nell’epoca normanna. Da un altro punto
di vista questo regno ha evidenti legame con altre civiltà mediterranee, queste sono sopratutto l’impero
bizantino e i vari califfati e emirati musulmani in cui si è suddiviso l’impero islamico. Quindi il carattere
scale di questa monarchia è fortemente condizionato da queste esperienze politiche e culturali dell’area
mediterranea (quella bizantina e quella musulmana). Vediamo cosa racconta a proposito
dell’incoronazione di Ruggero II una cronaca monastica, redatta nella seconda metà del XII secolo, da
Alessandro, abate di un grande monastero campano, l’abbazia di San Salvatore di Telese, il quale scrive
una storia del mezzogiorno e si sofferma sul cerimonia dell’incoronazione regia di Ruggero. Dice:
”Condotto dunque il dice alla chiesa arcivescovile, secondo l’usanza dell’incoronazione regia, e qui
consacrato con l’unzione, avendo assunto la dignità regia, non pio esprimere con parole scritte ne
immaginare quale e quanta fosse allora la sua gloria, quanto grande fosse in lui la maestà di re e quanto
fosse da ammirare nelle sfarzo. Infatti a tutti quelli che guardavano sembrava proprio che tutte le
ricchezze e gli onori di questo mondo si trovassero lì. Tutta la città era adorna in modo inestimabile, ed
in essa erano solo gioia e luce.
Anche il pazzo regio era investito di drappi all’interno sulle pareti, e il suo pavimento coperto di tappeti
variopinti offriva morbidezza ai piedi di colore che lo calpestavano; e, accompagnato con tutti gli onori
il re andava alla chiese per essere consacrato; lo scortava un gran numero di cavalli, disposti
ordinatamente sui due lati, con selle e freni fregiati in oro e argento.
C’era per chi accedeva alla mensa regia, varietà e abbondanza di cibi e bevande in grande apparato,
che furono serviti solo in piatti e coppe d’oro e argento. I servitori, poi, indossavano tutti vesti di seta,
al punto che anche i portatori di stoviglie avevano indosso una tunica serica. Che dire di più? La gloria
e la ricchezza nella regia furono tali e tante che a tutti sembrò un gran miracolo, e ne ebbero profondo
stupore, cosi tanto da incutere timore non modesto in chi veniva da lontano. E infatti videro molti più
sfarzo di quello che avevano sentito dire.”

L’unzione sacra rimanda ai re della Bibbia. I drappi sono drappi di seta, e questo rimanda al mondo
orientale, perché la seta è davvero molto poco diffusa all’Europa del tempo, era invece molto diffusa a
Costantinopoli, al Cairo, a Cairavan, a Cordova, cioè le stoffe di seta erano degli oggetti di uso importante
nelle città mediterraneo e abbastanza sconosciute nel mondo feudale europeo perché non si sapeva
lavorare la seta, perché mancavano gli artigiani, perché quella civiltà era meno raffinata. I tappeti invece
rimandano al mondo persiano, al mondo asiatico. L’oro è un metallo ancora molto poco diffuso nel
mondo occidentale.
Ruggero II forma questo regno unificando territori che vanno dal’Abruzzo fino alla punta estrema della
Sicilia, mettendo insieme tradizioni linguistiche, politiche, giuridiche, culture eterogenee ( ci sono popoli
che parlano dialetti italiani, greci, c’è ancora una forte presenza araba e poi tante tradizioni giudice
differenti). Alla corte, a Palermo si sente parlare francese, ma nella cancelleria si utilizza il latino, e
ancora molti funzionari parlano anche l’arabo o il greco, parlare molte lingue è qualcosa di normale nella
Sicilia del tempo, gli stessi re normanni parlavano più lingue. Ruggero si fa rappresentare in vari modi,
in alcune rappresentazioni veste come un imperatore di Costantinopoli, come un basileus, veste di seta
con addobbi d’oro, riprende i tratti tipici dell’iconografia del potere bizantina. I normanni combattono i
bizantini per la supremazia ma ne acquisiscono i modelli legati al potere, perché non c’è niente di più
affascinante che adottare i simboli del potere bizantino, il potere per eccellenza. Ruggero riesce a
conquistare anche Malta, alcune città della costa dell’attuale Tunisia quindi sotto il regno di Sicilia ci
sono anche terre totalmente abitate da musulmani, moltissimi funzionari erano musulmani, deve riuscire
a parlare anche a questi sudditi, quindi si fa rappresentare come un califfo, seduto com un musulmano,
accovacciato su un tappeto. C’è una grande sfaccettatura del potere, del quale ci para la leggenda araba
che si trova sull’orlo del mantello di seta di re Ruggero conservato a Vienna, leggenda scritta in arabo.
Ci dice:
“Questa fu fatta nell’officina reale per la buona fortuna e l’onore spremo e la perfezione e la forza e il
meglio e la capacità e la prosperità e la sublimità e la gloria e la bellezza e il raggiungimento della
sicurezza e delle speranze e della bontà dei giorni e delle notti senza fine e senza interruzione, per la
potenza e la custodia e la difesa e la protezione e la buona fortuna e la salvezza e la vittoria e l’abilità.
Nella capitale della Sicilia nell’anno 528 (dell’Egira, quindi tra il 1133 e il 1134).”
Questo ci dice anche che dentro il complesso palazziale di Palermo ci sono una serie di officine in cui
lavorano gli artigiani per produrre le vesti della corte, ancora una volta in questo i nomadi riprendono la
tradizione musulmana, perché a Palermo degli emiri musulmani c’era una grande officina che dipendeva
dal palazzo. Gia in epoca musulmana si producevano stoffe per la casa governante e per i funzionari di
corte, le stoffe di seta erano simboli del potere per eccellenza, quindi è una tradizione musulmana che
continua d essere perseguita in epoca normanna.
Si utilizza in questa leggenda il calendario islamico, quello che comincia nel 622.
Vediamo un altro documento, cioè una cronaca araba redatta nella prima metà del 200, questo cronista
arabo, Ibn Hammad, descrive il parasole utilizzato alla corte palermitana di Ruggero II, il parasole era
tenuto da camerieri di corte, ed era un’usanza musulmana, la utilizzavano i califfi del Cairo e di altre
città, non certamente i sovrani europei. Questa strumentazione riprende tradizioni musulmani. Scrive:
“L’ombrello da sole somigliava ad un grosso scudo di cuoio, messo in cima ad una lancia, costretto
saldamente, bello d’apparenza, elegante di lavorio e di colori, ornato di pietre rare e preziose, si che
abbagliava la vista e faceva meravigliare chi lo guardasse. Lo portava un cavaliere dei più valorosi, il
cui grado prendeva nome da quello, chinandosi il “porta ombrelli”. Non si conosce altra dinastia in che
abbia usato l’ombrello se non i Banu “Ubayd (famiglia d’Egitto), e il re dei Rum in Sicilia. Io credo che
questi l’abbia avuto tra già altri doni che gli solevano mandare (i califfi d’Egitto). Anzi parmi di averlo
sentito dire espressamente.”
Il porta ombrelli non era semplicemente un cameriere, ma era un cavaliere valoroso, quindi era un onore
tenere il parasole del sovrano. I Banu (che significa i discendenti di Fatima) sono una dinastia sciita che
dominava il Maghreb e l’Egitto ta il X e il XII secolo. I Fatimiti dell’Egitto sono una grandissima potenza
mediterranea, quindi il fato che Ruggero utilizzasse questo parasole significava che si ispirava a califfi
dalla potenza enorme. Rum, sta per romani nel senso generico del termine. Secondo la cronaca ha avuto
il parasole attraverso i normali scambi di doni che avvenivano durante le ambascerie diplomatiche tra i
sovrani del tempo. E’ evidente questo carattere vario, cosmopolita, eterogeneo.
Ruggero II scopre nell’anno 1154, dopo di lui i domini in Tunisia verranno perduti, mentre i successori
continueranno a conservare il potere in Sicilia e in tutto il territorio fino all’Abruzzo e gli succede
nell’anno 1154 il figlio Guglielmo, che verra poi conosciuto come il Malo, cioè il cattivo, in questa
definizione c’è anche una propaganda, propaganda aristocratica perché Guglielmo I voleva ridurre il
potere del grande baronaggio accrescendo il potere centrale. Questo era gia stato fatto da Ruggero, ma
Guglielmo I lo fa con minore diplomazia e on maggiore irruenza, quindi durante gli anni del suo regno,
dal 1154 al 1166, scoppiano alcune rivolte aristocratiche, u suo grande ammiraglio viene fatto a pezzi
dalla folla di Palermo, ci sono dinamiche politiche molto aspre. Viceversa nell’epoca di Guglielmo II,
nipote di Ruggero, figlio di Guglielmo, la situazione si appiana. Guglielmo II passerà alla storia come il
Buono, quindi evidentemente per i migliori rapporti con le alte aristocrazia dell’Italia meridionale.
Questo regno normanno nella seconda metà del XII secolo, sviluppa una burocrazia centrale e periferica
che ha forti consonanze con quello che troviamo più o meno nello stesso periodo in Francia e in
Inghilterra, solo che in confronto al regno francese e inglese, il regno di Sicilia pare più strutturali, più
evoluto, con funzionare più istruiti. Il regno normanno era più ricco, più evoluto, meglio amministrato e
anche più densamente popolato. I normanni creano funzionari che prendono il nome di camerari, che
sono quelli che gestiscono le camere, cioè le tesorerie, quindi sono funzionari fiscali; poi i giustizieri,
che amministrano la giustizia, centralmente e a livello periferico, infatti vengono create delle province
che poi vengono gestite dai camerari e dai giustizieri. Spesso i funzionari non sono normanni, possono
essere greci, arabi, famiglie provenienti dall’Italia del nord, le fonti del tempo gli chiamano lombardi,
questo ha anche a che fare con il modo con cui è avvenuta la conquista, i romani non hanno fatto tutto
da se, hanno combattuto accanto a loro anche guerrieri provenienti dalla Lombardia, dal Piemonte, dal
Vento, ci sono state molte famiglie che si sono trasferite in Sicilia, esistevano famiglie che erano
identificate con la parola lombardo.
Il regno conosce cambiamenti importanti perche la dinastia regnante finisce. Guglielmo II il Buono
muore nel 1189 senza eredi maschi, a questo punto si pone il problema della successione, se il regno
dovesse finire nelle mani di un ramo laterale della famiglia oppure se dovesse rimanere dentro la linea
principale, perché c’è un esponente nella linea principale, ma è una donna. Questa donna è Costanza,
l’ultima figlia di Ruggero II, che nel 1189 ha 35 anni e si è appena sposata con l’imperatore Enrico VI,
cioè il figlio di Federico I Barba rossa. C’era il problema che avesse già 35 anni e non aveva ancora avuto
figli quindi venga considerata attempata, c’erano seri dubbi che riuscisse ad avere figli. Enrico VI la
spunta anche perche porta il suo esercito in Italia e sconfigge i suoi rivali diventando re del regno di
Sicilia e la coppia riesce anche ad avere un figlio, questo figlio nasce casualmente nelle Marche, a Iesi,
nel 1194. Di li a poco, prima muore Enrico VI nel 1197, l’anno dopo muore Costanza d’Altavilla. A
questo punto il piccolo Federico si ritrova orfano. Rimangono canti il titolo di imperatore il titolo di Re
della Sicilia. Poco prima di morire Costanza affida Federico II alla tutela del papa, Innocenzo III. Lo
affida al papa perche i pontefici anno l’alta sovranità del regno di Sicilia, da Niccolò II in poi, esiste
questo legame vassallatico tra la chiesa e i titolari del regno di Mezzogiorno. Innocenzo III è uno dei
pontefici più importanti della storia medievale, è il papa che proclama la IV crociata, è il primo ad aver
bandito una crociata contro gli eretici, scrive diversi testi e farà riversare questa concessive del potere
nelle lettere nelle quali spiega qual è il rapporto gerarchico tra i poteri laici e il potere della chiesa di
Roma, una concezione ierocratica, nella quale qualsiasi potere publico, anche quello del sovrano, deriva
dal papa, un papa che dispone di qualsiasi potere.
Cosi cerca di mettere in atto il suoi disegni, oltre che bandire la prima crociata contro i musulmani e
punire gli eretici vi è anche bello di tenere diviso l’impero dal regno di Sicilia. I papi di Roma avevano
tremato di fronte ad Enrico III, perche governando sia in Germania sia nel mezzogiorno di Italia
mettevano i pontefici in una situazione scomoda. Ma l’opportunità di fare gli interessi di Federico II offre
al papa la possibilità di tenere separate le due corone, offre quindi la corona imperiale a Ottone IV di
Brunswick e si impegna a far si che Federico II una volta giunta la maggiore età abbia il regno di Sicilia.
La faccenda però prende una piega inaspettata perche Ottone IV continua ad agire nell’Italia del nord
come se fosse l’effettivo sovrano, non riconoscendo l’autorità del papa e si allea anche con il re di
Inghilterra. All’epoca l’Inghilterra era governata da re Giovanni, in quel tempo era in guerra con la
Francia, insomma si entra in una dinamica a cascata di alleanze internazionali che trova il suo culmine il
27 Luglio dell'anno 1214 a Bouvines, nel nord della Francia, abbiamo una grande battaglia campale: da
una parte l’Inghilterra e Ottone IV da una parte; dall’altra i francesi con l’esercito pontificio e di Federico
II. La vittoria arride i francesiste gli alleati, Ottone IV deve rinunciare al trono imperiale, per cui al papa
non resta altro che promette a Federico II dopo il regno di Sicilia anche il titolo imperiale, ma a questo
ventenne fa permettere che appena avrà un figlio in eta sufficiente le due corone diranno essere separate.
E’ una promessa che cade completamente nel vuoto. Innocente III muore nel 1216, gli succede un papa
molto meno energico, forte e attivo nel piano internazionale: Onorio III. Federico II a questo punto ha
campo libero. Dichiara che il giuramento di tenere le due corone separate lo aveva fatto non al papato,
ma ad personam, cioè a Innocenzo III, ma essendo a questo punto morto, non ha senso mantenere la
promessa, così mantiene le due corone. Onorio III gli chiede poco, vorrebbe che si impegnasse a
combattere gli eretici e che andasse in Terra Santa a combattere contro gli infedeli. Federico II ha campo
libero per dispiegare il suo programma di governo, sia a livello imperiale, sia per il regno di Sicilia.
Politica regia nel mezzogiorno.
Federico II da adulto non ha mai vissuto a Palermo, ha vissuto in una reggia che si trovava nella periferia
di Poggia, nel nord della Puglia. La sua politica era rivolta verso il centro nord, voleva sottomettere le
città comunali, quindi trovava molto più comodo risiedere nel nord della Puglia, più vicino a Roma. Non
avendo riseduto a Palermo se non in maniera saltuaria la scuola poetica di Federico II non è mai esistita,
tutti i componimenti della scuola siciliana sono stati scritti da funzionari di corte ma non esisteva una
cerchia di poeti che si radunava intorno al sovrano, per i semplice fatto che il sovrano non c’era.
Il primo punto del suo programma consisteva nell'abbattimento di tutte le fortificazioni ritenute abusive,
infatti quando lui era piccolo i grandi baroni avevano avuto campo libero, quindi si erano costruiti
fortezze abusive senza chiedere la sua autorizzazione, c’erano state città che avevano emanato statuti
senza chiede l’autorizzazione del re, statuti che andavano verso un modello comunale, tutta una serie di
spinte autonomistiche che ora il sovrano vuole reprimere con energia. Le fortificazioni abusive vanno
abbattute, vanno annullati tutti i privilegi concessi dopo il 1189 e prima del 1215, quindi tutti i benefici
emanati negli anni in cui lui non era imperatore. Potenzia la burocrazia centrale, con funzionari che di
norma sono tutti esterni alla feudalità, sono di solito grandi personaggi che vivono nelle città demaniali,
cioè sotto il controllo del re, di solito sono notai, grandi proprietari terrieri residenti in città (Pier della
Vigna, Giacomo da Lentini). Per formare la burocrazia centrale serve perone esperto di diritto, di prassi
amministrative, di giustizia, quindi servono dei luoghi dove il personale viene formato, e Federico
individua il luogo adatto negli studi universitari; solo che le università nel mezzogiorno non esistono,
quindi fonda una università a Napoli. E’ il primo sovrano europeo a fondare un’università, tenete conto
che le università era un’associazione tra studenti e professori, gli studenti pagano delle tasse molto elevate
quindi sono molto ricchi, a comandare sono gli studenti stessi. Dove gli studenti sono meno ricchi è il
vescovo locale che controlla l’organizzazione universitaria. In ogni caso nasce da un’associazione tra
maestri e studenti, in questo caso però è un’intervento all’alto, cioè un sovrano che vuole formare i
burocrati e per questo crea l’università, impedisce ai suoi sudditi di andare a studiare a Bologna e attira
i professori con stipendi elevati, fa arrivare a Napoli alcuni grandi professori. Non solo, ma fa costruire
tuta una serie di fortezze, nelle campagne o a ridosso dei centri urbani, per tenere sotto controllo da una
parte l’aristocrazia baronale e dall’altro le città. Sono molti i castelli che vengono costruiti, c’è una sorta
si militarizzazione del territorio per tenere sotto controllo i sudditi. Federico II elimina in maniera radicale
la presenza musulmana in Sicilia, perche questa presenza poneva grossi problemi di ordine pubblico,
perche da una parte c’erano persecuzioni anti musulmane dall’altra sopratutto nelle carogne c’erano
rivolte dei contadini, la tolleranza era molto ridotta. Federico II decide che è giunto il momento di
risolvere il problema e lo fa in maniera radicale, fa guerra ai musulmani della Sicilia, alcuni se ne vanno
nel Maghreb, altri vengono deportati in una città della Puglia settentrionale, Lucena, che verrà abitate
unicamente da musulmani, fa di questa città una specie di Islam in miniatura. Trarrà dai maschi adulti
della popolazione di Lucena le due guardi del corpo. Trasforma questo problema della presenza
musulmana in Sicilia in qualcosa di confinato in una città e reperisce dal ceto dei guerrieri islamici di
Lucena le sue guardie del corpo. Doveva fare un certo effetto questo re cristiano, che perseguitava gli
eretici e faceva crociate, che però girava con la scorta arata di guerrieri musulmani.
Nel 1231 quando si trova a Melfi, fa promulgare il cosiddetto Liber Augustalis, o Costituzione di Melfi,
cioè una grande codificazione giurdica, che riprende da una parte il diritto romano, il diritto feudale e
tutta una serie di consuetudini locali. Una grande opera di riordinamento di codificazione guridica, che
verra utilizzato nell’amministrazione del mezzogiorno fino all’età napoleonica, cioè anche dopo che il
potere della casa sveva termina, fino alla fine del 700. Un ruolo importante nella codificazione di quelle
leggi lo avrà il noto Pier delle Vigne.
Federico è un sovrano che scrive un trattato in latino, “de arte venandi cum adibus” cioè l’arte di andare
a cacciare con il falcone, che era il passatempo preferito del sovrano, scrivere un trattato in latino non
era una cosa normale er i sovrano del tempo, pero Federico II oltre a un volgare del mezzogiorno, il latino
parlava anche il francese e l’arabo, quindi era un personaggio di una vastissima cultura, c’è una grande
curiosità culturale.
Federico II riprende le ambizioni del nonno Federico I e si propone di sottomettere l’Italia centro
settentrionale. Questo è quel ramo della sua politica che lo metterà in più profondo contrasto con il
papato. Nel 1226 a Cremona, che è una città era tradizione ghibellina (quindi schierata con l’imperatore)
viene convocata una dieta, cioè un’assemblea, vengono convocati i rappresentanti dei comuni e li
Federico II dichiara che le città si devono sottomettere al suo potere, devono accettare i suoi funzionari.
A questo punto rinasce la Lega dei comuni del nord, per impedire a Federico II di fare una guerra contro
i comuni il nuovo papa, Gregorio IX, lo invita a partire per la crociata. Gregorio IX, che sarà papa dal
1227 al 1241, è tutt’altro che debole, è molto energico, è un grande giurista, non è favorevole a iniziative
di Federico II nell’Italia comunale quindi obbliga l’imperatore a partire, minacciandolo di scomunica. A
questo punto Federico non ha scelta. In realtà verrà scomunicato lo stesso, perché quando l’esercito di
raduna a Brindisi, che era uno dei porti principali per la spedizione in Terra Santa, si diffondono varie
malattie, c’è una epidemia localizzata in questa zona della Puglia, lo stesso Federico II si ammala e deve
per forza rimandare di un anno la spedizione, Gregorio pensa di essere stato preso in giro e scomunica
Federico. Dopo qualche mese il e, guarito, parte per a Terra santa, bisognava riprendere Gerusalemme
che era caduta in mano musulmana, pero Federico II nonostante avesse dimostrato di essere poco
tollerante nei confronti dei musulmani, non era attratto dall’idea della crociata, perché vedeva questa
attività come qualcosa che lo distoglieva di suoi scopi principali, che erano quelli di sottomettere l’Italia
e unificare i suoi domini in un territorio compatto e omogeneo. Capisce che la crociata è una scusa per
portarlo via dal’Italia quindi risolve la crociata in un modo che nessuno si sarebbe aspettato. Federico II
parla l’arabo e conosce le usanze musulmane, arriva in Palestina e cerca un abboccamento diplomatico
con il sultano d’Egitto, Malik al-Kamil, nel 1229, trovano un accordo per risolvere pacificamente la
contesa: il sultano cede Gerusalemme a patto che la città non abbia mura e che i luoghi di culto musulmani
rimangano aperti. Dopo il 1229 per alcuni anni Gerusalemme è una città senza mura con
contemporaneamente chiese e moschee, sotto un’autorità cristiana.
Quando Federico II torna in Italia, il papa invita i brani a ribellarsi, dicendo che l’imperatore era un
traditore perché ha fatto un accordo con gli infedeli e si è fatto restituire una Gerusalemme che perderemo
molto presto perché senza mura e con i nemici che la frequentano cara sicuramente. Questo esito
particolare della crociata pacifica si ritorce contro l’imperatore stesso, che deve trovare un accordo con
il papa concedendo alla chiesa una serie di privilegi nel suo stesso regno. Poi ci sono alcuni anni in cui
la situazione sembra tranquilla, fino agli anni 30 del 200. L’imperatore, con un grosso esercito
proveniente dalla Germania e dal Regno di Sicilia, sfida i comuni e si arriva nel 1238 alla battaglia di
Corte Nuova, in Lombardia, vicino a Bergamo. L’esercito della Lega lombarda sconfitta dall’esercito di
Federico II, è una grande vittoria imperiale, Federico comincia a mandare funzionari nelle città che si
arrendono. il problema è che le città sono molto grandi, ricche e potenti, per venirne a capo dovrebbe
assediarle a una ad una, ma non ha le forze. Tenere un esercito in Italia costa moto, sopratutto sfidare
ogni volta una città diversa è troppo complicato. Nel frattempo fra la chiesa di Roma e l’imperatore è
una guerra aperta, anche a livello di propaganda, anche con i papi successivi a Gregorio IX.
Vediamo un documento del 1239 in cui Gregorio IX utilizza queste parole:
“Si leva dal mare la bestia piena di nomi blasfemi, la quale, imperversando con i piedi di orso e la bocca
di leone e fatta, nelle altre membra, a mò di pantera, apre la sua bocca per bestemmiare contro il nome
di Dio e non tralascia di assaltare con simili dardi il Suo tabernacolo e i santi che abitano nel cielo.
Questa, desiderando di distruggere tutto con le sue unghie e con u suoi ferrei denti, e calpestare con i
suoi piedi ogni cosa, ha da tempo preparato di nascoso arieti contro la fede e ora costruisce apertamente
macchine da guerra, mette su scuole capaci di deve le anime degli Ismaeliti e si alza contro Cristo, il
redattore del genere umano, le cui tavole del testamento vuole cancellare con lo stilo della gravità
eretica, come attesta la fama. Voi tutti, a cui arrivano le ingiurie blasfeme emesse da questa basta contro
di noi, smettete di meravigliarmi se noi, che siamo sottomessi completamente al servizio di Dio, veniamo
assaliti dal frecce delle denigrazioni, dato che questi obbrobri neanche il Signore rimane incolume!
Smettetela di meravigliarmi se essa sguaina contro di noi la spada delle ingiurie, che si alza già a
cancellare dalla terra il nome del Signore! Piuttosto, per poter resistere con chiara verità alle sue
menzogne e confutare con argomenti di purezza i suoi inganni, guardate attentamente la testa, i corpo e
la coda di questa bestia, di Federico chiamato imperatore.”
Federico II è anche un nemico della fede, non solo della chiesa. Sarà definito in altre lettere come il
sultano di Lucena, come se fosse un sovrano musulmano.
La guerra tra il papa e l’imperatore ha preso una piega molto particolare, il papa dice “la coda di questa
bestia” la coda come il diavolo, l’imperatore è il diavolo.
Questa è la riposta dalla cancelleria di Federico II, l’autore delle lettere è Pier delle Vigne:
“Colui che ha solo il nome di papa ha scritto che noi siamo la bestia che si leva dal mare, maculata
come una pantera. Ma noi diciamo che è lui quella bestia di cui si legge: usciva dal mare un altro cavallo
rosso, e chi sedeva su di esso toglieva la pace della terra, perche gli uomini possano ucciderei a vicenda
(luglio 1239).
I pontefici e i farisei si riunirono in consiglio e mossero contro il principe e l’imperatore dei Romani.
Che facciamo?, dicono, poiché quest’uomo trionfa in tal modo sui nemici, se lo facciamo fare,
sottometterà a sé tutta la gloria dei Lombardi e, muovendosi secondo il costume imperiale, non tarderà
a toglierci il potere e la sede e a distruggere la nostra gente.
Allora l’apostolo Pietro, a quanto si legge, venendo alla Porta Bella:”Non ho argento ne oro”, disse
allo zoppo. Tu, invero, qualora il cumulo di movente, che adori, cominci a ridursi, subito zoppichi con
lo zoppo, cercando ansiosamente le cose del mondo. Ma tu che, secondo il comandamento di Cristo,
predichi la povertà come pastore della Chiesa, perché ti allettanti da ciò che esorti fare, mirando sempre
ad accumulare oro su oro? Tu, invero, per questo vivi e mandi e sui tuoi bicchieri e sulle tue tazze d’oro
è scritto: “Bevo, bevi”. A tavola, e dopo aver mangiato, ripeti il passato di quel verbo cosi
frequentemente che, quasi rapito fino al terzo cielo, parli in ebraico, in greco e in latino. E dopo che il
tuo ingordo ventre e il tuo stomaco si sono riempiti di vino fino al limite, allora credi di sedere sulle ali
dei vent; allora si è sottomesso l’impero; allora i re della terra ti portano doni; allora il vino ti porta
mirabili eserciti; allora ti servono tutte le nazioni e tutte le genti (giugno 1240).”
Il leopardo nel medioevo è un animale che ha sempre a che fare con caratteri estremamente negativi,
come la lussuria, la violenza. Sta dicendo al papa in qesto documento che sono corrotti, che gli interessa
solamente il denaro, non la chiesa.
La guerra tra i comuni e i papi da una parte e Federico Ii dall’altra si conclude nel 1250, con la morte di
Federico, che in realtà tua prima aveva subito colpi molto duri, infatti nel 1245 il papa Innocenzo IV
vuole convocare un concilio ecumenico a Roma per far dichiarare l’imperatore deposto, il problema è
che il concilio non si può tenere a Roma perché le truppe di Federico lo impediscono, allora il papa si
sposta a Lione, in Francia e lì un concilio ecclesiastico dichiara deposto l’imperatore. Negli anni
successivi gli eserciti imperiali vengono sconfitti dagli eserciti comunali, una prima grande sconfitta
avviene a Parma nel 1248 e poi a Bologna nel 1249, in quella occasione un figlio di Federico II, Enzo,
viene catturato dai bolognesi. Enzo portava il titolo di re di Sardegna, perche aveva sposato l‘ultima erede
del giudicato di Torres. Ha passato gli ultimi 22 anni della sua vita prigioniero a Bologna. Dell’ultimo
periodo negativo del governo di Federico II pagherà le spese anche il suo cancelliere Pier della Vigne
che viene accusato di tradimento, probabilmente l’accusa era anche vera, lui verrà incarcerato, torturato
ed accecato nel castello imperiale di San Miniato al tedesco, oggi provincia di Pisa, e li si suiciderà.
Vediamo una lettera di Innocenzo IV, che si compiace della morte dell’imperatore:
“Si allietino i cieli ed salti la terra, perché la tempesta dell’orrendo fulmine con cui il meraviglioso e
temibile ostro Signore accettò che per lungo tempo la vostra collettività venisse veementemente afflitta,
sembra che, per Sua ineffabile misericordia, si è trasformata in vento che soffia rugiada, essendo morto
colui che, tra i fedeli, voi specialmente colpi ripetutamente col mantello della persecuzione e turbò la
chiesa di Dio con vessazione di molti, ma sopratutto vostra.”
Il papa in festa per la morte di Federico II.
Vediamo cosa ci dice Giovanni Villani, autore della cronaca italiana più famosa dell’età medievale, una
cronaca molto lunga che comincia con l’età romana, va avanti per tutto il medioevo. Sono cronache
infarcite di grandi errori, ma un laico che viveva nel 300 non poteva conoscere la storia come noi, ma la
sua narrazione è molto attendibile per il periodo del 200 e prima metà del 300. Villani è un mercante
oltre che un cronista, è un uomo che fa politica nel suo comune cioè Firenze, essendo u mercante ha
viaggiato molti, conosce il francese, ha visto moli luoghi dove lavoravano i mercanti, tra cui il
mezzogiorno d’Italia. Il regno di Napoli interessa Villani perché i fiorentini hanno fatto moti investimenti
su quel comune. Si sofferma su Federico II nell’anno della sua morte, la cronaca è in volgare:
“Negli anni di cristo 1220 il dì di Santa Cecilia di novrbre fu coronato e consacrato a Roma a imperadore
Federigo secondo re di Cicilia, figliuolo che fu dello imperadore Arrigo di Soavia (Enrico VI si Svevia)
e della imperadrice Costanza, per papa Onorio terzo, a grande onore. Al cominciamento questi fu amico
della Chiesa e bene doveva essere, tanti benefici e grazie avea dalla Chiesa ricevute: che per la Chiesa
il padre suo Arrigo ebbe per moglie Costanza reina di Cicilia, e in dore il detto reame e il regno di
Puglia, e poi morto il padre, rimanendo piccolino fanciullo, dalla Chiesa, come da madre, fu guardato
e conservato, e eziandio difeso il suo reame, e poi fattolo re dei Romani eleggere, contro Otto quarto
(Ottone IV di Brunswick) imperadore e poi incoronadto imperate come di sopra di è detto. Ma egli
figliuolo d’ingratitudine, non riconoscendo Santa Chiesa come madre, ma come nemica matrigna, in
tutte le cose le fu contrario e perseguitatole, egli e i suoi figliuoli quasi più che i suoi antiscissori.
Federigo regno trent’anni imperadore e du uomo di grande affare e di gran valore, savio di scrittura e
di senno naturale, universale in tutte le cose; seppe la lingua latina e la nostra volgare, tedesco e
francese, greco e saracinesco; e di tutte le virtudi copioso, largo e cortese in donare, prode e savio in
arme e fu molto temuto. E fu dissoluto in lussuria in più giuste e tenta molte concubine e mammalucchi
a guisa dei Saracini: in tutti i diletti corporali volle abbondare, quasi vita epicurea tenne, non facendo
conto che mi fosse altra vita; e questa fu l’una principale ragione perché venne nemico de’chierici e di
santa Chiesa.”
Villani è guelfo, quindi schierato con la chiesa, per cui dice che la chiesa lo aveva salvato da piccolo e
gli aveva donato il regno l’aveva fatto pure imperatore. La seconda parte ci interessa di più, perché Villani
guelfo quindi parla male della storia di Federico ma riconosce le virtù dell’imperatore e queste sono
sicuramente vere. Poi per parlare male del nemico viene subito tirato fuori l’aspetto sessuale, viene alla
fine definito anche come ateo.
I mammalucchi sarebbero le guardie del corpo di Lucena.

Lezione 14

Regno di Sicilia mezzogiorno d’Italia con la morte di Federico II

Dopo la morte nel 1250, il trono imperiale e quello regio di Sicilia viene preso dal figlio di Federico II,
Corrado IV. Corrado governerà per pochi anni, perché morirà nel 1254, quindi un presenza abbastanza
effimera. A questo punto c’è un grosso problema perché il pretendente al trono sarebbe il giglio di
Corrado IV, che passerà alla storia come Corradino, che alla morte del padre ha solo 2 anni. La faccenda
prende una piega particolare e il trono imperiale rimane vacante per quasi 20 anni, quando nel 1273 sarà
preso in mano da un membro della casa d’Asburgo, quindi un austriaco. Da quel momento in poi la casa
imperiale a governare saranno tutti personaggi d’oltralpe, tedeschi principalmente, in ogni caso slegati
dalla storia del regno di Sicilia. Dopo Corrado IV non ci sarà più l’unione delle due corone. Per quanto
riguarda il mezzogiorno d’Italia accade che di fatto a governare il regno di Sicilia vi sia un figlio naturale
di Federico II, cioè Manfredi. Manfredi esercita di fatto poteri regi dal 1254 in poi, è figlio naturale,
quindi illegittimo, ma questo non frena le sue ambizioni, e dal 1258 si proclama re di Sicilia, avrà questo
titolo fino al 1276, anno della sua morte. Manfredi è all’origine di una fondazione urbana nella Puglia
settentrionale, cioè Manfredonia. Manfredi riprende alcuni aspetti della politica italiana del padre, e
sopratutto si presenta come re di Sicilia ma anche come arbitro (non imparziale) tra le contese dei vari
comuni de tempo. I comuni potevano essere alleati o in guerra l’uno con l’altro e tendevano a dividersi
sulla base di riferimenti un po ambigui o alla parte imperiale, quindi detti ghibellini, o alla parte
pontificia, i guelfi. Questi scontri di fazione potevano essere tra città oppure tra fazioni interne della
stessa città. Manfredi rappresentava per molti comuni ghibellini un riferimento politico internazionale
forte. C’erano vari comuni che si identificavano con il re di Sicilia, tra cui Cremona, Pisa, Siena. Manfredi
si proponeva di supportare politicamente e militarmente le loro ambizioni. Anche se non interveniva
direttamente, come aveva fatto il padre, influiva pesantemente nella vita politica dell’Italia settentrionale.
Il caso più eclatante dell’intervento militare di Manfredi nelle vicende comunali è rappresentato dalla
battaglia di Montaperti, località nelle campagne di Siena, li nel 1260 si svolse una grande e cruenta
battaglia tra i guelfi toscani capitanati da Firenze e i ghibellini toscani capitanati da Siena. Contrariamente
a tutte le attese i guelfi vennero rovinosamente sconfitti. E’ una battaglia epocale che segna almeno
apparentemente la vittoria dei ghibellini in Toscana. A questa battaglia partecipano anche i cavalieri
mandati da Manfredi, un sostegno determinante. Poco dopo Manfredi assedierà Roma cercano di
conquistarla. Per i papi la paura della casa sveva continua anche dopo Federico II. Alcuni papi, sopratutto
a partire da Urbano IV originario della Francia, si mettono in testa che il pericolo svevo deve essere
eradicato in maniera definitiva dalla’Italia, la casa sveva deve essere cacciata. Bisogna trovare qualcuno
di potente che possa cacciare quello che viene definito il Sultano di Locena, definito come il padre.
Urbano IV individua un possibile pretendente al trono di Sicilia in Carlo D’Angiò, conte della Provenza
e fratello del re di Francia, Luigi IX. Carlo si era impossessato della Provenza subito dopo la morte di
Federico II, cosi come i papi avevano messo le mani su alcuni territori della Provenza, quindi c’erano
interessi comuni. Carlo D’Angiò dopo aver conquistato la Provenza cancella il fenomeno comunale in
area provenzale e accetta subito l’offerta di Urbano IV. Naturalmente per finanziare un’impresa del
genere ci vogliono soldati, ci voglio finanziari, bisogna attraversare l’Italia e non è cosi facile visto che
ci sono città ghibelline che potrebbero rifiutare il passaggio del conte di Provenza. Poi c’è il problema
del denaro da reperire per pagare i soldati. Alcuni di questi soldati sono dei vassalli del conte e i vassalli
sulla base del giuramento sono tenuti a combattere gratuitamente per 40 giorni, scaduti i 40 giorni il
sovrano li deve pagare. C’è bisogno di un finanziamento cospicuo e il papa mette a disposizione le decime
per la crociata, entrate importanti della camera apostolica destinate ad una guerra del tutto politica. In
ogni caso non bastano nemmeno questi finanziamenti e spuntano altri sponsor cioè uomini d’affari delle
città guelfe italiane, sopratutto di area toscana e legati alla città di Firenze; alcuni di questi erano stati
esiliati dopo la sconfitta di montaperti e la città è occupata momentaneamente dai ghibellini e molti esuli
guelfi scommettono su Carlo insieme al papa. Carlo parte, raccoglie altri combattenti nelle città guelfe
alleate e attraversa l’Italia per entrare nel regno di Sicilia, affronta l’esercito di Manfredi a Benevento
nel 1266. Questa battaglia si concluderà con la sconfitta e la morte di Manfredi e la vittoria dell’alleanza
guelfa.
Vediamo due lettere inviate dal papa Clemente IV, successore di Urbano IV. All’indomani della battaglia
Clemente IV riceve una lettere da Carlo D’Angiò che dice:
“Dopo un combattimento accanito d’ambo le parti, con l’aiuto di Dio abbiamo sfondato le prima due
linee nemiche, tossiche le altre cercano salvezza nella fuga. Il massacro è stato tale che i cadaveri
ricoprono il suolo. Ma non tutti i fuggitivi sono riusciti a salvarsi; molti furono presi e condotti nelle
nostre prigioni, fra gli altri Giocano e Bartolomeo (Lancia), che finora osavano dichiarasi conti;
prigioniero è anche Pieraccino (degli Uberti), l’abominevole capo dei ghibellini di Firenze. Riguardo ai
morti del nemico, non possiamo precisarne il numero, sopratutto esche vi scriviamo in tutta fretta, ma
molti affermano che Galvano (Lancia) ed Enrico, che si spacciavano per conti, sono rimasti uccisi. Di
Manfredi non si sa nulla, se è morto nella battaglia, prigioniero o fuggiasco. Il suo cavallo è però nelle
nostre mani, il che farebbe pensare che sia morto.”
Qualche giorno dopo Carlo scrive nuovamente al papa:
“Annunciai recentemente a Vostra Santità oò trionfo che il Signore ci concesse a Benevento contro il
vostro nemico pubblico. Onde accertarmi della veridicità delle voci sempre più diffuse, secondo le quali
Manfred era morto nella battigia, feci compiere ricerche fra i cadaveri, tanto più che non dicevano si
fosse salvato con la fuga. E per non incorrere in errore su cosa di tanta impronta, feci mostrare il
cadavere al conte Riccardo di Caserta, mio fedele, a Giordano e a Bartolomeo pseudo conti, ai loro
fratelli ed altri che, vivente Manfredi, o avevano conosciuto personalmente. Essi lo riconobbero tutti,
dichiarando essere senza alcun dubio i resti di Manfredi. In ossequio alla voce della natura, ho fatto
seppellire il defunto in modo onorevole, ma senza cerimonia ecclesiastica. Dal campo, presso Benevento,
addi 1° di Marzo dell’anno 1° del nostro regno.”
Ha gia cominciato a datare la lettere con il primo anno del suo regno. Cambia nuovamente la storia del
mezzogiorno d’Italia. Dopo i normanni e li avevi è la volta degli angioini, che governeranno a lungo.
Hanno lasciato tracce indelebili in alcune città, tra cui Napoli, infatti uno dei primi atti di Carlo è quello
di spostare la capitale da Palermo a Napoli, infatti pensa che Palermo sia una città troppo legata al passato
normanno-avevo, molti nobili siciliani sono d’orientamento ghibellino. Carlo d’Angiò si accorda con i
napoletani e pone a Napoli la propria capitale. Napoli a quel tempo non era una grande città, aveva circa
20/30 mila abitanti quando arriva Carlo, era una città di dimensioni medio piccole nel contesto italiano.
Napoli era stata una città bizantina, poi sede di un principato indipendente, era stata l’ultima che si era
arresa ai normanni, intravede negli Angiò la possibilità di una cambiamelo importante del proprio ruolo
della storia del mezzogiorno d’Italia. Gli Angiolini lasciano un’impronta indelebile nell’architettura,
nell’urbanistica e nell’arte della città, gli edifici che fanno progettare quasi fanno sparire il passato alto
medievale della città, per esempio il Castel nuovo, detto anche Maschio Angioino, (maschio nel senso
fai fortezza) che domina il porto, ci sono anche molte chiese, tra cui San Lorenzo e Santa Chiara (dove
sono sepolti alcuni membri della famiglia regnante).
La Napoli angioino è la nuova capitale del regno, da qui Carlo d’Angiò progetta molto ambiziosamente
di costruire un impero mediterraneo. I papi volevano solo eliminare gli svevi e pensavano che Carlo
d’Angiò potesse essere un alleato fedele e che si accontentasse di quella vittoria, ma in realtà Carlo non
si accontenta, non è un alleato molto docile e lui intravede nel regno di Sicilia un grande trampolino di
lancio per costruire un impero mediterraneo. Il suo primo obbiettivo è invadere l’impero bizantino,
arrivare a Costantinopoli e creare un impero tra l’Italia, la Grecia e l’attuale Turchia. Per fare questo ci
vuole tempo, denaro, allora comincia ad inasprire la fiscalità del regno, cioè aumenta le tasse dirette e
indirette. Questo gli serve sia per finanziare l’impresa futura ma anche per ripagare i suoi investitori, cioè
tutti i guelfi che gli avevano prestato il denaro. Questi uomini d’affari sono molto presenti a Napoli, ci
sono mercanti e banchieri di Firenze che controllano molte attività a Napoli. Il legame stretto tra Napoli
e Firenze è un legame cementato sia dalla cultura che dagli affari, da questa alleanza tra gli Angiò, i papi
e i banchieri di Firenze. Nel 1268 il piccolo Corradino, che ha 16 anni con un esercito proveniente dalla
Germania entra in Italia e affronta gli Angiolini nelle montagne dell’Abruzzo, in una località di nome
Tagliacozzo. Corradino viene sconfitto, viene fatto prigioniero e portato a Napoli per essere decapitato
nella piazza del mercato. In questa occasione vengono anche puniti alcuni baroni che si erano schierati
con Corradino. Il malessere si va diffondendo sopratutto in Sicilia, dove l’aristocrazia è molto scontenta,
perché è stata espulsa dalle cariche più importanti e inoltre la capitale è stata spostata. Tutto questo
malessere esplode il lunedì dell’angelo all’ora del vespro nel 1282 a Palermo. In quell’occasione succede
che uscendo dalla chiesa dopo aver assistito alla messa una nobildonna viene importunata da alcuni
soldati francesi, c’è una reazione da parte dei parenti della donna e di altri aristocratici presenti fuori
dalla chiesa, la rissa si trasforma in uno scontro armato e dopodiché si trasforma in una vera e propria
sommossa popolare, i soldati francesi a Palermo sono fatti letteralmente a pezzi dalla folla. L’aristocrazia
si impossessa della città e poi la rivolta si espande a macchia d’olio a tutti l’isola. Poche settimane dopo
arrivano le navi del re d’Aragona, Pietro III, perché sua moglie, Costanza, era figlia di Manfredi, quindi
aveva anche una legittimità dinastica per far valere le proprie ambizioni sul regno di Sicilia. Se le navi
degli aragonesi arrivano poche settimane dopo la rivolta sta ad indicare che questo avvenimento era stato
progettato, che non era semplicemente uno scoppio d’ira incontrollato, c’era stato u pretesto ma
probabilmente la cosa era stata organizzata. Oltre agli appoggi degli aragonesi i siciliani avevano goduto
anche di appoggi da parte bizantina, perché gli imperatori di Costantinopoli temevano l’arrivo di Carlo
d’Angiò e quindi avevano messo in moto una diplomazia sotterranea per far si che questa impresa di
Carlo non si verificasse. Questa rivolta dei vespri si trasforma in una guerra mediterranea, sopratutto tra
i catalano-aragonesi e gli Angioini, che dispongono di maggiori risorse, ma non hanno la flotta. La rivolta
si trasforma in guerra e la guerra si trasforma in crociata, perché un altro papa francese, Martino IV,
lancia la scomunica contro i sovrani iberici e quindi invita a combattere i catalano-aragonesi anche in
nome della difesa della chiesa e della fede. Si va avanti per 20 anni con questa guerra. Nel frattempo
avviene un evento che cambierà in maniera irrevocabile la storia della Sardegna, perché nel 1295 a
Anagni, città del Lazio meridionale, il pontefice Bonifacio VIII nel cercare di far finire per via
diplomatica la guerra offre al nuovo sovrano di Barcellona, cioè Giacomo II, in cambio della rinuncia
alla Sicilia, un regno (che in realtà non esisteva, è una invenzione di Bonifacio VIII) di Sardegna e
Corsica. La Sardegna e la Corica non sono unite da niente in questo periodo, nella Sardegna comandano
per almeno la metà dei territori i pisani, poi ci sono varie signorie (tra cui i Doria, che hanno fondato
Alghero), poi c’è il comune di Sassari e poi il giudicato di Arborea, la Corsica è quasi tutta genovese. Il
papa sta cedendo qualcosa che non è suo.
Il problema è che Giacomo II accetta la proposta del papa per cui rinuncia alla Sicilia, ma i siciliani non
vogliono tornare sotto il controllo egli Angiolini e quindi offrono la corona siciliana al fratello di
Giacomo, colui poi che prenderà il titolo di Federico III, quindi la guerra continua in maniera ancora più
caotica, perché in alcuni momenti Giacomo affronta il fratello Federico III perché lui è impegnato a
rispettare il giuramento prestato al papa. Si arriva alla conclusione con la pace di Caltabellotta, nel 1302.
La Sicilia rimane indipendente, cioè separata dal mezzogiorno, ma sarà governata da Federico III il quale
non potrà lasciare in eredità l’isola ai figli e non poteva portare il titolo di re di Sicilia, ma doveva doveva
portare il titolo di re di Trinatria, questa parola era un modo antico per chiamare la Sicilia per far apparire
che il regno di Federico III è del tutto temporaneo, perché il vero regno di Sicilia è quello degli Angiò.
Gli Angiò portano il titolo di re della Sicilia anche se di fatto non la governano e non la governeranno
mai più, verrà governata dai discenti di Federico III.
Molti anni dopo l’accordo di Anagni, che è del 1295, nel 1323 i catalano aragonesi sbarcheranno nel
Sulcis, porteranno le armate a Cagliari e conquisteranno tutta la Sardegna. La conquista dell’isola sarà
difficile e lunga e si concluderà pienamente agli inizi del 400, quando la Sardegna sarà sotto il controllo
degli aragonesi, l’evento originario di tutta questa storia è l’atto di infeudatine di Anagni in cui Bonifacio
VIII cede la Sardegna e la Corsica. In Corsica i catalano-aragonesi non ci arriveranno mai, rimarrà un
possedimenti genovese almeno fino al 1770, quando la repubblica di Genova venderà la Corsica alla
Francia.
Questa lungua guerra fra catalano-aragonesi e Angiolini cambia la storia politica del mezzogiorno e
cambia la storia politica e culturale della Sardegna.

Abbiamo visto come la storia politica e sociale dell’Italia centro settentrionale sia impregnata soprattutto
nelle vicende urbane e nell’autogoverno cittadino e come si venga a creare un potere monarchico legato
ai vincoli vassallatici. Questo secondo fenomeno, la monarchia feudale, carta nel mezzogiorno dai
normanni è il modello classico europeo. Quindi il modello della ricostruzione di un potere forte quasi
mai passa attraverso la città stato, ma passa attraverso il rafforzamento del potere regio. Vediamo alcuni
casi relativi alla formazione di monarchie feudali nell’Europa occidentale. Nei regni dell’Europa
occidentale l’idea di nazione è molto blanda, l’identità nazionale è qualcosa di impalpabile, i sudditi non
hanno un sentimento nazionale, si identificano nel re non nella nazione, molto spesso non parlano
nemmeno la stessa lingua.

Inghilterra
L’Inghilterra fino alla metà del XI secolo è vissuta abbastanza ai margini della grande storia europea, ha
conosciuto varie monarchie nell’alto medioevo, si è poi costituito un sovrano unico intorno al IX secolo,
l’isola viene battuta in lungo e in largo dalle scorrerie dei vichinghi di provenienza danese, ad un certo
punto la loro presenza è cosi forte che la dinastia regnante è anglodanese, cioè una fusione tra le dinastie
di origini anglosassoni e la dinastia scandinava. In questo mondo, fuori dall’Europa carolingia, dove non
si conoscono i legami vassallatici beneficiari, una zona largamente spopolata, vede un cambiamento
importante a livello politico, culturale e linguistico dopo la battaglia di Hastings, nel 1076. In quell’anno
le truppe del duca di Normandia Guglielmo, detto poi il conquistatore, passano la manca e invadono
l’Inghilterra e sconfiggono gli anglo danesi guidati dal re Aroldo. Guglielmo di Normandia fa questo
perché era imparentato con il precedente sovrano, Canuto, e quindi penava di avere più diritto di Aroldo
(Harold) a diventare re. La guerra è una faccenda dinastica, Guglielmo per far valere i suoi diritti, porta
i soldati al di la della manica, questa è l’ultima volta che l’Inghilterra verrà invasa con successo. I
normanni parlano il francese, la langue d’oil, infatti il francese diventerà la lingua che si parla a corte. Il
motto della monarchia inglese è in francese “Dieu et mon droit” (Dio e il mio diritto), non in inglese
perché è il motto portato dai normanni. Il francese diventa la lingua del potere, il che spiega anche perché
ci siano nella lingua inglese molti termini di derivazione latina, tutte le parole auliche rimandano al
francese. Guglielmo conquistatore porta in Inghilterra i legami vassllatci e il francese. I normanni
riorganizzano il territorio, i vari baroni vengono infeudati di vari territori e poi istituisce degli
amministratori, che sono gli sceriffi (sherif), che riscuoteranno le imposte nelle contee, che prenderanno
il nome di shire. Istituisce anche i giudici itineranti, il sistema è molto simile a quello dei camerari e
giustizieri del regno normanno. Gli sceriffi almeno due volte all’anno si presentavano a Londra di fronte
al cancelliere dello scacchiere, che ha questo nome perché contava le monete in una specie di scacchiere,
gli sceriffi riportavano tutte le loro entrate. Fra l’altro nell’ultimo periodo di Guglielmo, che è una sorta
di censimento fiscale che è chiamato Domesday book, il libro del giorno del giudizio, nel 1086. E’ un
censimento deciso da Guglielmo per capire quanto sono gi abitanti e quanto possono contribuire
fiscalmente. Questa presenza francese viene rafforzata nel XII secolo da una serie di legami matrimoniali,
cosi nel 1154 si arriva all'intronizzazione di Enrico II Plantageneto. Enrico II che sarà re d’Inghilterra
dal 1154 fino al 1189, è un principe francese che governa la contea di Angiò, la stessa a cui appartiene
Carlo d’Angiò anche se vive un secolo dopo. Enrico fa una cosa importante dal puntosi vista politico,
cioè sposa Eleonora d’Aquitania, la quale in realtà era già stata sposata con il re di Francia Luigi VII. La
separazione tra Luigi ed Eleonora era costata molto sul piano politico al reno di Francia, perché Eleonora
sposandosi con Enrico II porta in dote al marito tutta la Francia sud occidentale. Si materializza un
paradosso politico con Enrico II, perché Enrico è re d’Inghilterra, parla il francese e probabilmente non
sapeva l’inglese, controlla anche una gran parte della Francia, controlla la Normandia, l’Angiò perché
quella è la terra della sua famiglia, controlla l’area della Guascogna. Per questi possedimenti in terra
francese il re d’Inghilterra è vassallo del re di Francia. Il re inglese ha più terre in Francia che in
Inghilterra ma mente in Inghilterra è sovrano assoluto, in Francia è vassallo del re di Parigi. Enrico è un
sovrano moto forte e energico che si scontra con alcuni nobili, con l’arcivescovo di Canterbury perché
vuole intromettersi nella ita della chiesa nella nomina di alcuni vescovi e abati. Enrico ha fatto emanare
un testo giuridico, la costituzioni di Clarendon, che vanno a limitare fortemente le prerogative della
chiesa, il primate della chiesa inglese, Thomas Becket, si oppone energicamente e nel 1170 l’arcivescovo
viene ucciso dai sicari del re dentro la cattedrale, è un momento drammatico per i rapporti della chiesa e
lo Stato.

Francia
Intorno al X secolo sono pochissime le terre in cui il sovrano esercita un potere diretto, Parigi, Orleans e
la campagne della Francia del nord, tutto il resto formalmente è suo ma in relata è governato da grandi
principi francesi, che gli hanno giurato fedeltà ma in realtà fanno quello che vogliono. Questa è la
situazione nel 987, quando diventa re di Francia Ugo Capeto, capostipite della dinastia Capetingia, che
durerà diversi secoli. I domini diretti del re di Francia non aumentano molto nel 1180, poi ci sono zone
governate da feudatari del re di Francia, su queste zone il re esercita una certa autorità perché questi
sovrani progressivamente proprio attraverso il legame vassalatico tendono a riprendere il potere di terre
un tempo perdute, anche perché il sovrano è arbitro nelle contese tra vassalli e questa forma di giustizia
arbitrale lo avvantaggia perché gli permette di dire la sua in queste terre. Poi se un vassallo non combatte
per il re quando gli viene richiesto può essere condannato per fellonia e se viene condannato può perdere
i suoi benefici. L’area di influenza reale intorno al 1180 si è un po accresciuto, ma c’è una grandissima
porzione di Francia che è controllata dai re inglesi, alcuni principati sono domini diretti della famiglia
governante inglese, di Enrico II, altri sono dei loro vassalli. C’è anche una porzione della Francia
meridionale che sfugge al governo del re perché gode di larghissima autonomia e spesso i principi di
quest’area hanno rapporti vassallatici con i re d’Aragona. In queste zone della Francia si parla il
provenzale, che è una lingua romanza differente alla lingua d’iil molto più vicina al catalano che al
francese attuale. Una Francia molto frammentata. Nel 1180 è l’anno in cui diventa imperatore Filippo II,
detto Augusto, che regnerà per 40 anni. Di fatto la monarchia francese è una costruzione di questo
sovrano, Filippo II è anche l’artefice del primo Louvre, che in origine era il palazzo regio. Fa inoltre
costruire una cinta muraria prima di partire per una crociata, dento la cinta muraria ci sono vigne o orti,
campi coltivati, la zona abitata era molto piccola. Filippo II fa quello che ha fatto Enrico II in Inghilterra,
cioè cerca di mettere i vassalli uno contro l’altro per intervenire come arbitro, mette i vassalli contro il re
inglese e invita i vassalli del re inglese a ribellarsi e passare dalla sua parte. Piano piano il potere di
Filippo II aumenta, in particolare dopo la morte di Enrico II. Il successore di Enrico sarà Riccardo cuor
di leone, coraggioso e grande guerriero, ma passando tanto tempo nelle crociate si è interessato molto
poco delle faccende inglesi, lasciando il governo effettivo delle terre al fratello Giovanni, poi detto Senza
terra. La situazione politica inglese è nel caos dopo la morte d Enrico, e Filippo ne approfitta, fa
addirittura intentare un processo per fellonia contro Giovanni nel 1202. Lo invita ad andare a Parigi per
farsi processare, ovviamente Giovanni non si presenta e allora Filippo invade la Normandia e altri
possedimenti che i Plantageneti avevano in Francia. Si arriva al 27 Luglio del 1214 in cui gli inglese
sono rovinosamente sconfitti, perdono gran parte delle terre in Francia e devono ritirarsi in Inghilterra,
c’è inoltre il rischio concreto che l’Inghilterra vaga invasa. Lo Stato francese che si formerà nei secoli
successivi ha nel suo lungo periodo di governo un momento fondativo cioè la guerra contro gli inglese e
l’abile sfruttamento da parte di Filippo II di una crociata promossa dai papi contro gli eretici della Francia
del sud, queste terre sono in larga parte fuori dall’orbita regia Filippo II sfrutta la coricata contro la
Provenza e mette le sue armi al serio del papa, molte terre finiranno sotto il controllo del re di Francia.

Inghilterra dopo la sconfitta di Buovine


Accade che Giovanni è in grandissima difficoltà, teme un’invasione francese e si mette sotto la protezione
del papa Innocenzo III dichiarandosi suo vassallo. In questo momento di grande tensione e paura rialzano
la testa il grande baronaggio inglese e l’alto clero. Durante il periodo di Enrico II il potere regio era stato
cosi forte che le prerogative e i privilegi erano sotto il controllo del re, ma Giovanni è caduto in disgrazia.
A questo punto i baroni e il clero si alleano con i più ricchi cittadini di Londra e impongono al sovrano
Giovanni la ratifica di un documento intitolato Magna charta libertatum ecclesiae et regni angliae, cioè
la grande carta delle libertà della chiesa e del regno anglo, (Carta significa diploma, nn è retata su carta
ma su pergamena). Questo documento è all’ordine del parlamentarismo inglese, e ripristina tutte le
prerogative e i privilegi dell’aristocrazia e della chiesa, un aristocratico non può essere arrestato senza
processo, ma deve essere giudicato da un tribunale formato da suoi pari, cioè da altri aristocratici, la
chiesa ha il suo privilegio nel foro, i feudi dei baroni non possono essere sequestrati senza motivo dal re,
allo stesso modo non possono essere sequestrate le merci dei mercanti senza motivo, l’aumento del potere
centrale (che è un fenomeno che riguarda tutte le città stato europee) accompagnato anche all’aumento
del gettito fiscale, cioè da sistemi fiscali sempre più complessi. Infatti come i regni alto medievali erano
regni a base fiscale insistente quindi il potere centrale era debole perché non evade funzionari stipendiati
così i poteri pubblici basso medievali diventano più forti e strutturati fiscalmente, perché la fiscalità è un
elemento fondamentale per l’evoluzione dei poteri pubblici, il potere pubblico si espande allo stesso
modo con cui cresce la fiscalità. Nella Magna Charta si dice inoltre che se il sovrano vorrà imporre nuove
tasse dovrà consultarsi con un’assemblea ridotta chiamata la Curia dei baroni, un’assemblea di alti
aristocratici (camera dei lord). La curia dei baroni non aveva un reale potere legislativo, il sovrano era
obbligato a consultarli ma non c’era un voto parlamentare, però l’idea che il sovrano si dovesse consultare
lo obbligava ad una dialettica politica che prima non esisteva. Questo documento è alla base del
parlamentarismo, non della democrazia. Il parlamentarismo è un sistema di governo che si sviluppa dal
200 in poi in alcune zone dell’Europa, per cui il sovrano è il monarca ma ha dei limiti, legati all’obbligo
di consultarsi con queste rappresentanze per ceti, c’è un ceto che discute con il sovrano. Si tratta di un
documento importante perché contiene alcune clausole limitative del potere del sovrano.
Nel documento si dice:
“Giovanni per grazia di Dio re d’Inghilterra, signore d’Irlanda, duce di Normandia ed Aquitania, conte
d’Angiò, saluta gli arcivescovi, i vescovi gli dati, i conti, i brani, i giudici le guardie forestali, gli sceriffi,
gli intendenti, i servi e tutti i suoi balivi e leali sudditi.”
Questi territori in realtà sono stati perduti dopo la battaglia, li rimane il titolo ma non i feudi.
“Sappiate che noi, di fronte a Dio, per la salvezza della nostra anima e di quella dei nostri predecessori
e successori, per l’esaltazione della santa Chiesa e per un miglior ordinamento del nostro regno, dietro
consiglio dei nostri venerabili padri Stefano, arcivescovo di Canterbury, primate d’Inghilterra e
cardinale della santa romana Chiesa, Enrico, arcivescovo di Dublino, Guglielmo di Londra……
E segue un elenco di tutti i vescovi, monaci e cavalieri legati alla crociate, baroni con cui si è consultato
e sono giunti alla conclusione che “1. In primo luogo abbiamo accordato a Dio e confermato con questa
carta, per noi e i nostri eredo in perpetuo, che la Chiesa d’Inghilterra sia libera, abbia integri i suoi
diritti e e sue libertà non lese; e vogliamo che ciò sia osservato; come appare evidente dal fatto che per
la nostra chiara e libera volontà, prima che nascesse la discordia tra noi e i baroni, abbiamo, di nostra
libera volontà, concesso e confermato con la nostra carta la libertà delle elezioni (dei vescovi),
considera della più grande importanza per la Chiesa anglicana ed abbiamo inoltre ottenuto che ciò fosse
confermato da Papa Innocenzo III; la qual cosa noi osserveremo e vogliamo che i nostri eredi osservino
in buona fede e per sempre. Abbiamo concesso a tutti gli uomini liberi del regno, per noi e i nostri eredi
tutte le libertà sottoscritte, che esse e i loro eredi ricevano e conservino da noi e dai nostri eredi.
2. Venendo a morte alcuno dei nostri conti o brani o altri vassalli con obbligo nei nostri confronti di
servizio militare e alla sua morte l’erede sia maggiorenne e debba pagare il relevio, potrà avere la sua
eredità solo su pagamento del relevio. Vale a dire che l’erede o gli eredi di un cont o un barone
pagheranno cento sterline per l’intera baronia; l’erede o gli eredi di un cavaliere al massimo cento
scellini per l’interno feudo; e chi deve di meno pagherà di meno, secondo l’antico uso dei feudi.”
Il relevio è la tasse di successione, l’antico uso viene ripristinato.
“9. Nè noi né i nostri balivi ci impadroniremo di alcuna terra o di rendite di chiunque per debiti, finche
i beni mobili del debitore saranno sufficienti a pagare il suo debito, né colore che hanno garantito il
pagamento subiscano danno, finche lo stesso non sarà in grado di pagarlo; e se il debitore non potrà
pagare per mancanza di mezzi, i garanti risponderanno del debito e se questi lo vorranno, potranno
soddisfarlo con le terre e il reddito del debitore uno a quando il debito non sarà stato assolto, a meno
che il debitore non dimostri di aver già pagato i suoi garanti.
13. La città di Londra abbia tutte le sue antiche libertà e le sue libere consuetudini, sia per terre sia per
acque. Inoltre vogliamo e concediamo che tutte le altre città, borghi, villaggi e porti abbiano tutte le loro
libertà e libere consuetudini.
16. Nessuno sarà costretto a fornire una prestazione gravosa per il possesso di un feudo di cavaliere o
di qualsiasi altro libero obbligo.
20. Nessun uomo libero sia punito per un piccolo reato, se non con una pena adeguata al reato; e per
un grave reato la pena dovrà essere proporzionata alla sua gravità senza privarlo dei mezzi di
sussistenza; ugualmente i mercati non sanno provati della loro mercanzia e allo stesso modo gli
agricoltori dei loro utensili e nessuna delle predette ammende sarà inflitta se non con il giuramento di
uomini probi del vicinato. Si pone la fine all’arbitrio.
61. Poiché noi abbiamo fatto tutte queste concessioni per Dio, per un miglior ordinamento del nostro
regno e per sanare la discordia sorta tra noi ed i nostri baroni, e poiché noi desideriamo che esse siano
integralmente fermamente godute, diamo e concediamo le seguenti garanzie:
I baroni eleggano venticinque baroni del regno che desiderano, allo scopo di osservare, mantenere e far
osservare con tutte le loro forze, la pace, la libertà che ad essi abbiamo concesso e che confermiamo
con questa nostra carta.
Se noi, il nostro primo giudice, i nostri ufficiali o qualunque altro dei nostri funzionai offenderemo in
qualsiasi modo un uomo o trasgrediremo alcuno dei presenti articolo della pace e della sicurezza, e il
reato viene portato a conoscenza di quattro dei venticinque baroni suddetti, costoro si presenteranno di
fronte a noi o se saremo fuori dal regno, al nostro primo giudice, per denunciare il misfatto e senza
indugi procederemo alla riparazione.

Una delle funzioni della curia di baroni è sorvegliare le azioni del sovrano dal punto di vista fiscale,
indorano non può imporre nuove tasse se non previa consultazione della curia baronale e le entrate fiscali
non dovranno transitare in nessun modo dalla tesoreria privata del sovrano, perché questa non ha a che
fare con il regno ma con le spese della dinastia. Tutte le entrate devono passare attraverso l’ufficio del
cancelliere dello scacchiere, quindi i baroni controllano anche quello che fa il ministro del tesoro del re
inglese. Nella dialettica fra fiscalità e rappresentanza vi è in luce qualcosa che rimanda alla successiva
democrazia anglosassone che si materializza alla fine dell’età moderna. Il motto anglosassone è “niente
tasse senza rappresentanti” che è di fatto all’origine dei parlamenti anglosassoni.

Lezione 15

Penisola iberica e Stati che si formano in seguito alle crociate.


Formazione dei regni cattolici nella penisola iberica, che si sono formati attraverso un lungo processo
storico che è stato definito con il termine Riconquita, cioè la Riconquista cristiana dei territori invasi nei
secoli precedenti dai musulmani. Torniamo all’alto medioevo per cure la situazione della penisola iberica
dal VIII secolo in poi.

I musulmani passano lo stretto di Gibilterra nel 701 e invadono il regno visigoto conquistando gran parte
di tutta l’antica Hispania. alla fine del VIII secolo le armate di Carlo magno respingono parzialmente
indietro i musulmani liberando l’area pirenaica. Nell’estremo nord e nord ovest della penisola fuggono
gli aristocratici che facevano parte del regno visigoto di Toledo, creando dei piccolissimi stati nella zona
delle Asturie, della Galassia, quelle zone rimango cristiane. Dall’età carolingia in pi i 3/4 della penisola
iberica facevano parte della cosiddetta al-Andalus, che non è l’Andalusia come la intendiamo noi oggi,
cioè Granada, Siviglia, Cordova, non certo Toledo o Lisbona, in realtà nell’anno 1000 al-Andalus indica
i 3/4 se non di più della penisola iberica, dagli anni 50 del VIII il potere musulmano nella penisola iberica
che ha come capitale Cordova è in mano ad una dinastia di emiri Omayyadi, alcuni membri di questa
dinastia si salvano dalla congiura di palazzo del 750 a Damasco si spostano nella penisola iberica e
formano un emirato autonomo, che nel X secolo si costituirà in Califfato, cioè uno stato totalmente
indipendente dal potere abasside. Il potere musulmano è molto forte fino all’inizio del XI secolo, in cui
tutta una serie di spinte centrifughe mettono in crisi il potere dei califfi di Cordova e si formano tanti
piccoli stati indipendenti, i cosiddetti regni di taifa, sono piccoli stati ognuno dei quali magari anche
importanti da un punto di vista culturale e ricchi ma a questo punto deboli da un puto di vista militare. I
poteri cristiani che contendono la penisola iberica sono poteri che si sono venuti a formare in maniera
differente nel non della penisola. A nord ovest abbiamo i conti di Barcellona, una dinastia principesca
che fino ad un certo punto era rimasta legata alla dinastia carolingia, una volta che l’impero carolingio
crolla questa dinastia patrimonializza la carica pubblica, i conti diventano principi poi nei secoli
successivi al XI ci sarà un’alleanza matrimoniale tra i conti di Barcellona e i re di Aragona per cui si
parlerà di dinastia catalano-aragonese. La maggior parte del processo di riconquista però è portato avanti
da i re di Castiglia e Leon che controllavano l’estremo nord della penisola e avevano come capitale
Burgos. Questa zona si chiama Castiglia perché era una zona di fortificazioni cristiane che dovevano
controllare che i musulmani non passassero il fiume il Douro che segnava il confine tra i domini
musulmani e i domini cristiani. Intorno ai primi decenni del XI secolo va in frantumi il califfato di
Cordova e si formano i piccoli regni, a questo punto i re di Castiglia e Leon e i conti di Barcellona
capiscono che si può portare avanti una guerra contro gli infedeli proprio perché sono divisi, quindi
deboli. Comincia quella lungua guerra, inframezzata da periodi di pace, che passerà alla storia con il
termine di Reconquista, si tratta di una vera e propria guerra santa, per l’espansione della fede cristiana
contro i musulmani, la guerra è in larga parte della prefigurazione delle crociate dirette verso la Terra
Santa, la guerra per la difesa della fede. Intorno al 1130 i cristiani hanno riconquistato un gran pezzo
della penisola, e i re di Castiglia e Leon conquistano Toledo nel 1085 la vecchia capitale del regno
visigoto. Questa riconquista ha un’importanza simbolica enorme perché nell’ideologia del potere
castigliano il passato visigoto diventa il fulcro dell’identità politica e religiosa, cioè i re castigliani si
presenteranno sempre come gli eredi della tradizione visigota. La rotta che subiscono i regni di tifa con
la perdita di Toledo li spinge a chiamare in loro aiuto i sovrani berberi della dinastia almoravide, che
significa quelli delle fortezze (almoravitum). Questa dinastia invade la pelosa iberica e combatte per
diversi decenni le potenze cristiane. La resistenza degli armoravidi dura fino alla metà de XII secolo,
perché poi vengono sostituiti da un’altra dinastia berbera che proviene dall’area magrebina, anche questa
dal Marocco, cioè gli Almohadi. Quindi l’impero almoravide viene sostituito dall’impero almohade.
Hanno grossomodo la stessa struttura, la capitale è Marrakech in Marocco. La resistenza musulmana
dura fino al 1200 circa, poi sono completamente travolti dall’espansione cristiana. Alla metà del XIII
secolo è rimasta in mano musulmana una parte molto esigua della penisola, quello che prenderà il nome
di Regno di Granada, che comprende solo una parte dell’attuale Andalusia. Con l’avanzata dei re cristiani
fuggirà in Marocco anche un grandissimo filosofo musulmano, cioè Averroè. Alla metà del XIII secolo
quasi tutta la penisola è stata conquistata dai cristiani, e si vanno a formare tre regni. Il primo e più
importante, più esteso e più popolato è il regno di Castiglia, con capitale Toledo. E’ un regno nel quale
l’elite dominante è costituita sopratutto da aristocratici, da cavalieri spesso animati dall’idea della guerra
santa, che si deve combattere per l’espansione della fede, in molte città rimarranno delle comunità
musulmane che verranno confinate in quartieri ad hoc, e saranno obbligate a esercitare delle professioni
umili, sono confinati in una sorta di quartieri ghetto, nei quali ci sono anche gli ebrei. L’altro regno è i
regno di Portogallo, con capitale Lisbona. Si forma poi la Corona d’Aragona, è un regno molto particolare
che si viene formando per l’unione tra la Catalogne e l’Aragona. Questo regno conosce un’espssnione
duecentesca verso la città di Valencia, che viene conquistata nel 1238. Poi i Catalano aragonesi
conquistano le isole Baleari, solo che tutti i territori sono suddivisi in regni, cioè la corona d’Aragona è
l’unione personale di più regni. La corona d’Aragona ha una struttura sociale differente dal regno
castigliano. Qui ci sono anche molte città portuali con una forte vocazione mercantile, per esempio
Barcellona, Valencia, Maiorca (dove si sviluppa una raffinatissima arte nella produzione di carte
nautiche), abbiamo resti anche importanti di luoghi in cui si amministra la giustizia commerciale, il
cosiddetto consolato del mare. Abbiamo dei patriziati che hanno un forte interesse nello sviluppo delle
attività commerciali e delle attività marinare, senza questo patriziato sarebbe stato impensabile per i re
d’Aragona lanciare offensive militari in Sardegna o in Sicilia come invece abbiamo visto che accade
dalla fine del XIII secolo in poi. Quindi la struttura della corona d’Aragona è molto differente rispetto a
quella di Castiglia dove reale quasi in maniera assoluta una mentalità aristocratica, militare, legata alla
terra Santa, all’espansione della fede.
Abbiamo nella penisola iberica l’avvio precoce di una guerra legata all’espansione della fede e che trova
la sua concreta realizzazione nelle crociate.
La parola Crociata è una parola coniata in età moderna, nel medioevo si parlava di cavalieri cruce segnati
cioè che portavano addosso il segno della croce, quanto alla spedizione era definita come pellegrinaggio
armato, c’era l’idea di una spedizione. La parola crociata è un neologismo di età moderata anche perché
l’idea della crociata ha avuto una durata interminabile, intesa come la lotta contro gli infedeli. I cavalieri
che partecipano ai pellegrinaggi armati sono detti nei documenti come milites Cristi, cioè cavalieri di
Cristo, questo nome presuppone che la guerra non solo sia giusta, ma anche voluta da Dio. Questo
passaggio però non è immediato, è necessario che qualcuno abbia spiegato che uccidere un infedele sia
una cosa giusta, una teorizzazione del genere, con la forte implicazione che se si muore difendendo la
chiesa tutti i peccati sono rimessi e si va in paradiso, non può che passare attraverso gli ecclesiastici.
Infatti questa idea dei cavalieri di Cristo è legata in parte al processo di riforma della chiesa cattolica,
sono infatti i monaci che teorizzano la bontà della guerra santa, uno di questi sarà nel XII secolo il famoso
teologo Bernardo di Chiaravalle, monaco circencense che scrisse in un trattato che uccidere un
musulmano non è un omicidio, ma un malicidio, quindi l’uccisione del male, che è una cosa giusta e
voluto da Dio. Quindi mandare tutte queste persone a combattere in terre lontane per la difesa della fede
presuppone un lavoro sulle coscienze importane. Tutto questo è successo perché la società dell’Europa
del tempo era una società molto violenta, noi sappiamo che i monaci periodicamente era costretti a
imporre le “paci di Dio”, cioè si costringevano i cavalieri a non saccheggiare la terre, a non depredare
le persone e via dicendo, i vescovi si sentiva moralmente obbligati a imporre comportanti pacifici a
questo cavalieri che altrimenti davano sfogo ai loro istinti bellici, che portavano anche grandi ricchezze
ai soldati, l’ideologia della guerra e della rapina era qualcosa di strettamente connaturato alle élite
aristocratiche dell’Europa occidentale. Tutta questa violenza e questo disordine doveva essere governato
e gli uomini di Chiesa capiscono che per gestire tutta questa violenza si deve lasciar sfogare in terre
lontane cioè verso gli infedeli. In questo contesto nel 1095 il papa Urbano II, che non può stare a Roma
perché a Roma c’è l’antipapa, a Clermont tiene una serie di discorsi in cui si invitano i cavalieri cristiani
ad aiutare la cristianità orientale perché negli anni precedenti alcune province importanti dell’impero
bizantino sono state occupate da alcune popolazioni turche, i cosiddetti Turchi salgiuchidi. L’impero
bizantino nello stesso momento in cui subisce l’avanzata normanna subisce anche la perdita dei territori
a sud. I musulmani nel 1081 sono arrivati sul mare Egeo, hanno occupato varie città greche e dominano
in Siria, gli imperatorie bizantini chiedono aiuto alle potenze occidentali e di mandare guerrieri
mercenari. Questo è il contesto politico militare in cui si tengono i discorsi di Urbano II in Francia. Il
problema è che questi discorsi del papa sono narrati da 4 cronisti, che poi hanno partecipato alle crociate,
ma le loro opere sono state redatte dopo che i cavalieri sono partiti, hanno conquistato varie terre e si è
formato il regno cristiano di Gerusalemme, quindi quello che ha detto Urbano II non è esattamente
coincidente con quello che è stato riportato dai cronisti, perché questi potrebbero aver aggiustato il
contatto dei discorsi. Dopo il 1095 cominciano le prime spedizioni armate. La prima spedizione che è
chiamata la crociata dei poveri, non ha come destinazione la Terra Santa, ma avviene nel cuore
dell’Europa, cioè nel 1096 in maniera abbastanza disordinata si viene a creare un gruppo di combattenti
di estrazione sociale modesta (ecco perché crociata dei poveri) che va dietro ad un monaco eremita della
Francia del nord (Pier Damien) e a un cavaliere sempre della Francia del nord, Gualtieri, soprannominato
senza veli poche non aveva ricchezze, questo gruppo sfoga i suoi istinti primitivi non contro i musulmani,
perché in Asia non ci arriveranno mai, ma contro le comunità ebraiche del sacro romano impero, della
Germani e della Boemia. Questa spedizione si risolve in un dramma tutto interno all’Europa. Queste
vicende sono narrate nell’Historia Hierosolymitana, cioè la storia del pellegrinaggio verso Gerusalemme
di Alberto d’Aix. Si parla delle persecuzioni delle comunità ebraiche:
“Di la non so se per giudizio di Dopo o per qualche errore del loro animo, cominciarono ad infierire
crudelmente contro gli Ebrei dispersi in alcune città e ne fecero crudelissima strage, specialmente in
Lorena, asserendo che in questo era il modo giusto di cominciare la spedizione e ciò che i nemici della
fede cristiana meritavano.
(Il riferimento alla Lorena non è alla Lorena attuale, l’antica Lotaringia, cioè la Renania).
Questa strage di Ebrei cominciò a opera dei cittadini di Colonia che, gettarsi d’un tratto su un piccolo
gruppo di essi, ne ferirono moltissimi a more: poi misero sottosopra case e sinagoghe, dividendosi il
bottino. Vista questa crudeltà circa duecento Ebrei di notte, in silenzio, fuggirono con delle barche a
Neuss; ma i pellegrini e i crociati, imbattutisi in essi, li massacrarono fino all’ultimo e li spogliarono
degli averi. Poi senza indugio i crociati si riversarono in gran folla su Magonza, come avevano stabilito.
Là il conte Emicho, un nobile potentissimo in quella regione, aspettava con una forte schiera di Tedeschi
l’arrivo dei pellegrini che confluivano sulla via reale da parecchie direzioni. Gli Ebrei di quella città,
avendo saputo della strage dei loro fratelli e comprendendo di non poter sfuggite a una cosi forte schiera,
si rifugiarono sperando di essere salvati presso il vescovo Rotardo, e gli affidarono in custodia i loro
enormi tesori e la loro stessa fiducia; speravano molto nella sua protezione, dal momento ch’egli era il
vescovo della città. Il presule nascose con cura il molto denaro affidatogli e sistemò gli Ebrei in uno
spaziosissimo nascondiglio nella sua stessa dimora, lontano dal conte Emichio e dai suoi, affinché in
quel luogo sicuro restassero sani e salvi. Ma Emichio e gli altri, consigliatisi, assalirono sul far dell’alba
gli Ebrei in quel medesimo nascondiglio con lance e fece. Spezzate porte e chiavistelli, ne massacrano
circa settecento che cercavano disperatamente di resistere all’attacco di tante migliaia; uccisero anche
le donne, e passarono a fil di spada perfino i bambini d’ambo i sessi. Allora gli Ebrei, vedendo che i
cristiani non risparmiavano neppure i piccolini e non avevano pietà per nessuno si gettarono essi stessi
sui fratelli, sulle donne e sulle madri, sulle sorelle e si uccisero vicendevolmente. E la cosa straziante fu
che le stesse madri tagliavano la gola ai figli lattanti oppure li trapassavano, preferendo ch’essi
morissero per loro propria mano piuttosto che uccisi dalle mani degli incirconcisi.”
Un vero e proprio dramma nel cuore dell’Europa. Questa folla fanatica poi si mette in marcia verso il
regno di Ungheria, compiono anche lì vari saccheggi ma a quel punto interviene il re d’Ungheria con il
suo esercito ne massacra una gran parte, quindi un numero molto esiguo arriva a Costantinopoli, e molti
di questi trovarono la morte abbastanza rapida in territorio turco. Una crociata che si risolve una fiammata
di fanatismo anti ebraico. Questi sono i primi grandi pogrom organizzati contro le comunità ebraiche.
L’esito sconcertante della coricata dei poveri spinge le autorità ecclesiastiche a bandire una coricata vera
e propria a cui possono partecipare solo gli aristocratici. Nel 1097 parte la prima spedizione, a capo di
essa c’è il duca della Lorena, Goffredo di Buglione, e vari principi del mondo francese, fiammingo,
dell’Italia normanna. Questa spedizione attraversa tutto l’impero bizantino e arriva fino a Costantinopoli
e lì bisogna trovare un accordo con l’imperatore, Alessio I. L’imperatore fa un accordo con i capi della
crociata, accordo difficoltoso per la lingua e i costumi differenti, ci sono varie difficolta ma alla fine si
trova un accordo e la spedizione parte. Tutte le conquiste realizzate dall’esercito congiunto di Bisanzio
e dei crociati avrebbero dovuto comportare la restituzione a Costantinopoli delle terre recentemente
strappate loro dai turchi; le terre invece conquistate a sud di Antiochia potevano andare ai crociati; i
bizantini si impegnavano con il proprio esercito, fornivano le vettovaglie a tutti i soldati, fornivano le
guida, insomma davano un contributo importante.
La prima grande città che viene conquistata è Nicea, poi si arriva nell’alta Siria e li incominciano i
problemi, perché dopo aver combattuto per oltre un anno i coricati dichiarano di essere stufi di dover
concede ai bizantini le terre conquistate. Inoltre ci sono delle incomprensioni sul modo in cui si conduce
la guerra la diplomazia per i crociati è un accessorio di cui si può fare a meno, loro vogliono soltanto
uccidere più musulmani possibile e prendere tutto quello che si può prendere, mentre i bizantini, che
considerano i crociati dei barbari, hanno una diplomazia molto sviluppata, sono abituati a fare trattative
con il nemico, ci sono strategie di guerra molto differenti. Si arriva all’assedio di Antiochia, una città
abitata prevalentemente da greci cristiani e che è finita da poco sotto il dominio dei turchi e di questo
assedio ci parla un monaco cronista tedesco Tudebode nella Historia de Hierosolymitano itinere, il
viaggio verso Gerusalemme. Dice:
“Un altro giorno i turchi portarono sulle mura della città un nostro nobile cavaliere, di nome Rianldo
Porchetus, che da lungo tempo tenevano in dura prigionia, e gli dissero che parlasse con i peregrini
cristiani per convincerli a riscattarlo mediante una forte somma di denaro: altrimenti gli sarebbe stata
tagliata la testa. Ma questi, appena fu in piedi sulle mura, comincio a gridare ai nostri principi:”Signori,
pr quanto mi riguarda, è come se fossi gia morto:e vi prego che feìratelli di non offrire per me alcun
riscatto. Ma siate certi, per la fede in Cristo e nel Santo Sepolcro, che Dio è e sempre sarà con voi. Avete
ucciso tutti i più egregi e audaci in eta città, cioè dodici emiri e millecinquecento nobili e non è rimasto
nessuno capace di misurarsi con voi e difendere la città”. Allora i Turchi chiesero al dragomanno
(l’interprete) che cosa dicesse Rinaldo, ed egli rispose: “Niente di buono sul vostro conto”. Allora
l’emiro Yaghi-Siyan gli ordinò di scendere dalle mura e gli domando per mezzo de dragomanno:
“Rinaldo vuoi vivere e godere tranquillamente con noi?”: Rispose Rinaldo: “Come potrei vivere
tranquillamente con voi senza commettere peccato?”. “Rinnega il Dio che adori e nel quale credi-
rispose l’emiro- e credi in Maometto e negli astri altri dei. Se farai ciò, ti daremo tutto quel che vorrai:
oro, argento cavalli, mule, o ogni altro ornamento, e moglie, e ricchezze; e ti arrecheremo col più grande
onore”. E Rinaldo : “Datemi un po di tempo, per pesarci sopra”, cosa che l’emiro concesse volentieri.
Allora Rinaldo si pose in preghiera, a mani giunte volto ad oriente, implorando umilmente Iddio che lo
aiutasse e si degnasse di accogliere l’anima sa nel seno di Aurano. L’emiro, scortolo, chiamo il
dragomanno e gli chiese: “Che cosa sta facendo Rinaldo?”, e questi rispose: “Non rinnegherà per nulla
il suo Dio; al contrario, rifiuta le tue offerte e i tuoi Dei”: Udendo ciò l’emiro and su tutte le furie e
ordino che Rinaldo fosse immediatamente decapitato: e i Turchi lo decapitarono con grande gioia.
Allora gli angeli, accogliendo a gara la sua anima, la portarono fra cori e danze al cospetto di Dio, per
amore del Quale egli aveva sofferto il martirio.”
Questa è una fonte abbastanza irrealistica ma mostra come le crociate abbiano i propagandisti, questi
scrittori ecclesiastici che seguono la spedizione, portano anche loro le armi e contribuiscono alla guerra
santa. Non si capisce neanche bene quali sono le persone contro le quali si sta combattendo, non si capisce
nemmeno che sono monoteisti, infatti nella fonte si parla di dei, c’è la guerra condotta contro persone di
cui non si conosce nulla, quindi il desiderio di bottino prevale su tutto. I bizantini non hanno la stessa
idea, sono abituati da lunghi secoli di convivenza con i musulmani a trattare le cose, oltre che con la
guerra quando è necessario, anche con la diplomazia.
Sotto le mura di Antiochia matura la frattura tra bizantini e crociati anche perché uno dei crociati,
Boimondo d’Altavilla (figlio di Roberto il guiscardo e quindi storicamente nemico dei bizantini) vuole
impadronirsi della città e farsi principe di Antiochia, esattamente questo avverrà. Quando i bizantini
capiscono che Antiochia non gli verrà restituita se ne vanno, l’esercito torna a Costantinopoli. I crociati
accuseranno i bizantini di essere traditori, continuando la loro marcia verso sud e nel 1099 assediano
Gerusalemme, abitata solo da musulmani e ebrei perché i cristiani erano stati fatti uscire dalla città perché
i musulmani non si fidavano dei cristiani d’oriente. La città non riesce a resistere, i musulmani si arrendo,
i crociati entrano in città e uccidono praticamente tutti gli abitanti. Con la conquista di Gerusalemme
termina la prima crociata e si vengono a formare alcuni stati feudali. A nord nell’alta Mesopotamia la
contea d’Edessa, nell’alta Siria il principato di Antiochia, che è sotto il controllo dei normanni, la contea
di Tripoli, sotto il controllo del conte di Tolosa, e il regno di Gerusalemme. Il conte di Tripoli, il principe
di Antiochia e il conte d’Edessa sono vassalli del re di Gerusalemme. Il primo re di Gerusalemme è il
fratello di Goffredo di Buglione, cioè Baldovino di Fiandra. Anche in Terra Santa avvengono esportate
le istituzioni feudali. In questi territori si pone subito il problema della difesa, anche perché alcuni
cavalieri carichi di bottino tornano a casa, qualcuno rimane ma la maggioranza ne se va. Vengono creati
quindi i primi ordini monastico cavallereschi, che sono ordini di monaci combattenti, cioè cavalieri,
guerrieri veri e propri che però pronunciano voti di tipo monastico, che hanno alcune caratteristiche che
rimandano alle congregazioni monastiche, altre legate al mondo della guerra. Il primo ordine a essere
fondato è quello degli ospitalieri, detti anche cavalieri di San Giovanni, prendono il nome per il fatto che
a Gerusalemme avevano creato un grande ospitium, cioè una via di mezzo tra un ospedale e un luogo di
assistenza dei pellegrini, si da ristoro ai poteri, ai pellegrini. Quest’ordine creatore 1113 esiste ancora
oggi ed è chiamato Ordine dei Cavalieri di Malta. L’altro ordine importante è quello dei cavalieri del
Tempio, i cosiddetti templari, fondato nel 1120. Il nome di questo ordine si spiega con il fatto che questi
monaci combattenti fondarono la loro casa madre nel luogo in cui si riteneva che fosse stato costruito il
tempio di Salomone. Questi monaci sopratutto nel 200 si specializzano nella raccolta delle decime per la
crociata, cioè oltre che essere monaci combattenti diventano anche una sorta di banca per organizzare la
coricata, quindi gestiscono molto denaro. Un re francese, Filippo IV il Bello, all’inizio del 300, si accorge
che questi templari sono incredibilmente ricchi e che possiedono molte ricchezze e anche molte terre in
Francia. E’ un sovrano che ha molta necessità di denaro perché impegnato in tante guerre e allora fa
intentare un processo per eresia contro i maestri del tempio e ottiene dai papi che questi maestri vengano
condannati. L’ordine quindi viene chiuso, il maestro dei templari viene arso sul rogo e le ricchezza
incamerate dalla corona. La fine di questo ordine nasconde delle motivazioni non limpidissime da parte
del regno di Francia, pero si capisce anche come la coricata si porti dietro tutta una serie di trasformazioni
legata all’organizzazione stessa delle crociate che impegnato molte risolte. L’ultimo ordine è quello dei
Cavalieri Teutonici, questo è un ordine composto soprattutto monaci combattenti di area tedesca, questi
hanno combattuto in terra santa pero si distinguo per le guerre condotte nel Baltico, contro le popolazioni
pagane. L’ordine teutonico si trasforma in uno stato laico nel 1525 quando il gran maestro dell’ordine
aderisce alla riforma luterana, decide di mollare i voti monastici, si sposa e da il via allo Stato di Prussia.
La prima crociati si risolve con una grande vittoria, nel 1144 i principi musulmani si alleano tra loro e
cominciano ad attaccare i possedimenti cristiani. IN quell’anno cade la contea d’Edessa. A quel punto
viene organizzata una seconda crociata, sopratutto dopo le prediche del Monaco Bernardo di Chiaravalle.
Parte la seconda crociata alla quale partecipano il re di Francia Luigi VII, a cui avrebbe dovuto
partecipare (ma poi non parte) Ruggero II re di Sicilia, ma soprattutto Corrado III, imperatore e figlio di
Federico barba rossa. Questa crociata si risolve con un fallimento quasi totale. Alcuni decenni dopo un
principe curdo, Salad ad-din yusuf in Europa conosciuto come Saladino, che s è impossessato del
sultanato egiziano e siriano e porta le sue armate in Palestina, sconfigge i crociati e nel 1187
Gerusalemme è perduta, torna a far parte dei domini musulmani, la capitale è spostata a San Giovanni
d’Acri. I papi bandiscono una terza crociata (1190-1192) e a questa danno il proprio sostegno il re di
Francia Filippo II Augusto, il re d’Inghilterra Riccardo cuor di leone, e l’imperatore Federico I barba
rossa. Il barba rossa, che ha già una certa età quando parte, ha 75 anni, non ci arriva nemmeno in Terra
Santa perché muore affogato nell’attraversamento di un fiume in Turchia. Il re francese va in Terra Santa
di malavoglia e dopo qualche mese decide di tornare in Francia, Filippo Augusto è più interessato agli
affari del suo regno. Riccardo cuor di leone invece continua la guerra contro i musulmani ed è lui che
tiene testa alle armate del Saladino, ed è lui che impedisce la caduta definitiva del regno di Gerusalemme
nel anni 90 del XII secolo, per la città di Gerusalemme non viene riconquista. Nel 1198 il pontefice
Innocenzo III bandisce una quarta crociata, che sarebbe dovuta essere diretta verso l’Egitto non verso la
Terra Santa, perché si riteneva che essendo la Palestina sotto il controllo dei sultani d’Egitto tanto valeva
attaccare i sultani a casa loro. Il papa bandisce la crociata, questa doveva partire da Venezia (durante
tutto il periodo delle crociate saranno le città portuali italiane a dare un grandissimo contributo pontando
le armi e le vettovaglie nelle loro imbarcazioni, nel primo periodo specialmente Pisa e Genova, queste
città danno il loro supporto principalmente per fare affari perché quei territori erano un punto
importantissimo per le vie del commercio, infatti li arrivavano prodotti come le spezie e altro). I cavalieri
arrivano a Venezia nel 1202, ma sono in numero inferiore a quello programmato e hanno molto meno
denaro rispetto a quello che avrebbero dovuto corrispondere ai veneziani, allora entra in scena il doge di
Venezia, che aveva circa 90 anni in quell’anno, il quale sparpaglia i soldati nei vari isolotti della laguna
e li mette a pane e acqua finche non trovano ulteriore denaro con cui pagare le navi e tutto il resto. La
somma raccolta non è comunque sufficiente, allora il doge offre un’accordo, pagare il debito facendo un
servizio per Venezia, cioè andare a Zara, in Croazia, che era una città che si era ribellata al dominio
veneziano e si era messa sotto la protezione del re d’Ungheria e i veneziani maltolleravano le città
indipendenti nell’Adriano, perché l’indipendenza significa anche indipendenza economica. I veneziani
portano i crociati sotto le mura di Zara, i crociati insieme ai veneziani assaltano la città e la conquistano
e l’ordine veneziano è ristabilito. Il papa scomunica tutti per aver attaccato uno stato cattolico, mentre
veneziani e crociati sono a Zara si presenta a loro un aspirante al trono di Costantinopoli, Alessio IV
figlio di Isacco II della dinastia degli Angeli. Alessio IV propone un accordo ai crociati, chiede di essere
portato a Costantinopoli e chiede il loro aiuto per far salire sul trono il padre in cambio gli avrebbe offerto
moltissimo denaro, i veneziani potranno commerciare liberamente senza pagare tasse e la chiesa
d’oriente si sottometterà al pontefice romano. Alessio IV sta promettendo tutto, e i crociati e i keniani
accettano volentieri. Alessio IV una volta arrivato a Costantinopoli scopre che non può fare quello che
vuole innanzitutto perché il denaro si è fortemente assottigliato, la cittadinanza è molto utile nei confronti
dei crociati che sono visti come dei barbari crudeli e non si fidano dei veneziani, e nessun ecclesiastico
vuole stare sotto il controllo di Roma. La situazione precipita. Una rivolta di palazzo estromette Alessio
IV e il nuovo imperatore Alessio V cerca di incendiare le navi dei veneziani. I veneziani e i crociati
assaltano la città, la devastano completamente, molti edifici pubblici e privati sono dati alle fiamme, una
città intera devastata. L’impero bizantino non esiste più, l’impero viene spartito tra crociati e veneziani.
C’è un impero latino d’oriente che comprende Costantinopoli e alcune zone della Tracia, al capo del
quale c’è un imperatore fiammingo molto debole, voluto dai veneziani perché essendo debole non si
intrometterà nei loro affari; poi c’è il regno di Tessalonica, il ducato d’Atena, il principato di Acaia,
ducato di Nassos, che sono governati da principi francesi o italiani, cioè i capi della coricata. Rimangono
alcuni potentati greci, come l’impero di Nicea o il despotato dell’Epiro. L’impero bizantino è frantumato
in una seria di domini coloniali, i veneziani si prendono un quartiere di Costantinopoli, il patriarcato di
Costantinopoli, cioè il capo della chiesa è un veneziano e occupano una serie di isole e città portuali, che
sono molto utili nell’ottica mercantile. Il doge di Venezia porterà il titolo di Signori dei 3/8 della
Romania, cioè la terra dei bizantini. Il doge diventa signore di tutta una serie di isole, per esempio Creta
(per oltre 400 anni), Cos, isole dello Ionio come Zante dove è nato Ugo Foscolo che era un veneziano.
Venezia in seguito alla IV coricata crea un vero e proprio impero coloniale, l’esito sconcertante di tutta
la vicenda irreparabilmente separa la chiesa d’oriente da quella di occidente.
Poi ci sono nei secoli successivi altre crociate, una è quella in cui viene coinvolto anche Federico II, che
costretto dal papa va a Gerusalemme e trova un accordo diplomatico. Poi alcune crociate sono condotte
da Luigi IX, re di Francia (fratello maggiore di Carlo d’Angiò), soprannominato il Santo, per i suoi ideali
religiosi e per il suo impegno nelle crociate, le sue crociate saranno tutte fallimentari e nell’ultima delle
quali troverà la morte, nel 1270. Gli stati crociati finiscono, terminano di esistere nel 1291, quando dopo
una serie di sconfitte inflitte ai re di Gerusalemme dai turchi mamelucchi l’ultimo lembo di terra crociata
della Terra Santa viene conquistato dai musulmani. Molti crociati fuggono a Cipro, isola governata dalla
dinastia francese, che porteranno a lungo il titolo di re di Gerusalemme pur non avendo quel territorio.
Le crociate quelle ufficiali cominciano con la fine del XI secolo e terminano ingloriosamente alla fine
del XIII secolo, quando il medio oriente finisce sotto il controllo dei turchi mamelucchi dell’Egitto.
Vediamo documenti che riguardano le comunità di mercanti italiani in Terra Santa. Il primo brano è
un’iscrizione he su richiesta dei genovesi fu posta nella chiesa del Santo Sepolcro, gli altri due sono dei
privilegi redatti da cancellieri su pergamena.
Il primo atto dice:
“Nell’anno dell’Incarnazione (anno che inizia nel 25 di Marzo) del Signore millesimo centesimo quinto,
il 26 maggio, essendo antistante (patriarca) della Chiesa di Gerusalemme il signor patriarca Daiberto,
regnando Baldovino (re fiammingo), dette Iddio la città di Acri al Suo glorioso sepolcro per mano dei
Suoi servi i Genovesi, i quali venuti con la prima spedizione dei Franchi (cavalieri francesi, italiani)
virilmente giovarono nell’acquisto di Gerusalemme, di Laodicea e di Tortosa: da loro soli presero Solino
e Gibeloth, aggiunsero all’impero gerosolimitano Cesarea e Assur. Pertanto a questo popolo glorioso il
re Baldovino invittissimo dette in perpetuo possesso a Gerusalemme una via, un’altra in Giaffa e la terza
parte di Cesarea, di Assur e i Acri.
Siamo nel 1105, il re ricompensa i genovesi dando loro una via a Gerusalemme, a Giaffa, che oggi è un
quartiere di Tel Aviv, e la terza parte della città di Cesarea, Assur e Acri. Quindi i genovesi hanno loro
quartieri in queste città.
L’altra fonte è un diploma:
“Nel nome della Santa e Indivisibile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, amen.
Sia noto a tutti che io Almarico, per la grazia di Dio, conte di Ascalona, per volontà e sollecitazione del
mio fratello e signore Baldovino re di Gerusalemme, dono, concedo e confermo a te, Villano venerabile
arcivescovo di Pisa, insieme con i consoli di detta città e con i Pisani tutti, la metà di ogni diritto che mi
spetta, e concedo che i Pisani possano entrare, uscire, comprese e vendere in Giaffa per terra e per
mare.
Dono inoltre ai Pisani una piazza in Giaffa, affinché vi costruiscano case per se e se ne servano come
loro mercato. Concedo ai medesimi un’area per fabbricarvi una chiesa, se il signore e maestro della
cristianità, il patriarca di Gerusalemme lo permetterà. E affinché questo mio dono, concessione,
conferma, possa rimanere in erpertuo stabile, sicuro e intatto, e non possa essere alterato ne turbato
dalla frode o dalla violenza di alcuno, corroboro questa carta con il mio sigillo e la finisco dei sottoscritti
testimoni (seguono i nomi dei testimoni).
Dato in Ascalona, per mano del cancelliere Radulphus, il giorno IV dalle none di giugno (1157).”
L’ultimo documento è del 200 in cui si dice:
“messer Guglielmo de Burgaro e messer Simon Malocellus, consoli e visconti in Siria per il comune di
Genova, secondo il trattato el comune di Genova, hanno perso possesso materiale di metà della casa
che è stata un tempo di Nicolas Antelmi, nella quale abitò messer Bonarellus. E dichiarano di aver
accettato il possesso della detta metà per conto del comune di Genova e a nome del comune medesimo,
e la tengono per la parte detta e la posseggono a vantaggio del detto comune di Genova e a nome del
comune stesso, e hanno posto nella detta casa a vantaggio e a nome del comune di Genova il detto
Bonarellus, che ha promesso di andarsene a discrezione del detto comune o del suo nunzio.
Fatto Acri, sulla scala della detta casa, MCCXLVIIII, indizione sesta, XXIII giugno prima di terza. Io
Castellinus de Faxano, notaio del sacro impero, ho rogato.”
Acri, è San Giovanni d’Acri, che al tempo è la capitale del regno, circa alle nove del mattino. Questa
documentazione mette in evidenza la presenza delle comunità mercantili italiane nei centri del regno di
Gerusalemme, è una presenza militare ma anche mercantile, le comunità sono li per fare affari e spesso
gli affari si fanno anche con il nemico, cioè i mercanti arabi.

Lezione 16
Eresia e forme di contrasto che la Chiesa adopera e soluzioni non violente della cristianità orientale
(ordini mendicanti).

Abbiamo parlato di guerre sante condotte dagli stati cristiani europei contro il mondo islamico, sia nella
penisola iberica con le formazioni dei regni sia in Siria, Palestina. Varie forme di guerra santa. Esistono
anche altre crociate che non sono dirette contro gli infedeli ma contro gli eretici. Crociate contro gli
eretici ci riferiamo alla grande crociata bandita dal papa Innocenzo III all’inizio del XIII secolo, contro
Catari della Francia meridionale, questa setta di eretici che aveva avuto una grande diffusione nelle città
della lingua d’oc, della Provenza e nell’Italia comunale.
Le eresie hanno varie motivazioni, nessuno di questi gruppi si considerava eretico, questa è la condanna
che viene espressa dalla chiesa di Roma attraverso i suoi tribunali. Eretico significa colui che interpreta
in maniera sbagliata la religione cristiana, la prima forma di eresia è l’arianesimo, cioè dal concilio di
Nicea in poi si inizia a decidere ciò che è ortodosso e ciò che non lo è. Forme di eresia si trovavano anche
nell’alto medioevo ma nel basso medioevo le eresie prendono forme diverse, sono gruppi organizzati che
danno vita a istituzioni proprie e che rappresentano per la chiesa di Roma un pericolo molto grande. In
tutto ciò ha un ruolo importante la crescita del fenomeno urbano, della istruzione del laicato, c’è una
domanda di spiritualità diversa espressa dai laici che vicino nelle città. Il grado di istruzione e quindi le
esigenze religiose sono differenti, per cui esprimo il loro scontento per come la religione è amministrata
nei secoli basso medievali.
Uno dei refren che vediamo discussi e argomentati da questi capi è quello della volontà di ritornare alla
chiese delle origini, una chiesa non corrotta della ricchezze e dal potere. Questi movimenti sono spesso
definiti dagli storici come movimenti pauperistico evangelici, perché si prefiggono un ritorno alla
traduzione letterale del messaggio evangelico e vogliono far tornare le istituzioni ecclesiastiche a quello
stato di ipotizzata purezza dei primi tempi delle comunità cristiane. La lotta sociale, la riforma sono
sempre qualcosa che rimanda ad un passato puro.
I movimenti che verranno dichiarati eretici sono in primo luogo dei gruppi laici che si sviluppano in
ambito urbano, sia nell’Italia comunale che nella Francia, e che sono legati a cittadini impegnati in attività
produttive, che si sono anche arricchiti, c’è un esigenza forte di spiritualità vissuta in maniera differente
e c’è una forte esigenza di avere sacerdoti all’altezza della situazione, cioè non corrotti, questa esigenza
viene espressa sempre con maggiore forza da ceti laici non di modesto ceto, ma appartenenti a starti
sociali medio e medio alti. Per esempio i cosiddetti Poveri di Lione, un gruppo di laici che si viene
formando intorno alla figura di Pietro Valdo, un mercante della città di Lione, che intorno agli ani 70 del
XII secolo vende tutti i propri beni e con il ricavato fa beneficenza ai poveri. Pietro Valdo non è un dotto,
però ha una tensione molto forte verso il pauperismo al quale scendo lui dovrebbe essere più vicina anche
la chiesa, e decide insieme ad altri seguaci che è giunto il momento di predicare il vangelo, predicarlo
nelle vie, nelle piazze. Pietro Valdo traduce il Vangelo dal latino nella lingua che lui parla e che tutti
possono comprendere, infatti le persone andavano a messa e sentivano solo la predica in volgare, tutto il
resto era in latino e molti non capivano niente. Pietro si fa tradurre il vangelo e va per la città e predicarlo
e ha un grosso seguito, non solo nella sua città, ma poi questi poveri di Lione si diffondono anche nella
Francia meridionale e nell’area piemontese. Il movimento dei palesi.
A prevalere in Italia sono i poveri lombardi, o umiliati. Di solito i gruppi laici che si danno alla
predicazione in lingua volgare e che protestano la corruzione dei sacerdoti sono legati al mondo delle
produzioni artigiane, sopratutto lo scomparto tessile quindi sono dediti alla produzione e commercio
delle stoffe, l’attività manifatturiera più importante.
Fonte relativa agli umiliati nel XII secolo, un cronista tedesco Buscardo di Usperg, descrive i Poveri
Lombardi di fine 1100:
“Gli Umiliati, inoltre, senza avere alcuna autorizzazione o permesso da parte dei prelati, gettano la falce
nella messe altrui predicavano al popolo e cercavano in ogni modo di dirigerne l’esistenza, di ascoltare
le confessioni, di sostituire i sacerdoti nell’amministrazione dei sacramenti. Inoltre, essendo rozzi e
illetterati, si dedicavano ai lavori manuali e predicavano ricavando il necessario da coloro che
credevano in essi.”
Questa fonte è una fonte ecclesiastica e mette in luce quelli che secondo la chiesa sono i pericoli
rappresentati da questi gruppi di predicatori non autorizzati. Le accuse principali sono che fanno la una
cosa per la quale non hanno alcuna autorizzazione, non hanno l’autorizzazione del vescovo per cui si
sovrappongono all’operato dei sacerdoti e vanno poi ad incidere nelle coscienza, poi qui si parla anche
di sostituire i sacerdoti nell’amministrazione dei sacramenti, ma probabilmente è solo un pretesto
polemico, poi si dice che sono rozzi e illetterati, ma di sicuro sapevano leggere e scrivere e far di conto.
Quanto all’accusa di dedicarsi ai lavori manuali un’accusa pretestuosa che utilizza in maniera spregiativa
il riferimento al lavoro con la mani, ma il lavoro manuale comprende una serie di mestieri in cui le mani
si utilizzano molto poco, perché se uno ha una bottega tessile dirige il lavoro altrui piuttosto che farlo
lui. Tutte queste frasi che testimoniano le preoccupazioni dell’ambiente ecclesiastico magari sono
eccessive.
Ci sono dei laici che utilizzano il vangelo per predicare e facendo questo, magari anche inconsciamente,
mettono in cattiva luce i sacerdoti che spesso sono accusati di interessarsi di aspetti mondani, di pensare
più alla ricchezza che all’amministrazione dei sacramenti. E’ evidente che c’è un fermento da un punto
di vista spirituale espresso da questi ceti laici, che si sento insoddisfatti dei servizi erogati dai sacerdoti.
A un certo punto la faccenda si complica ulteriormente esche entrano in scena dei gruppi che non sono
semplicemente di orientamento pauperistico evangelico ma che esprimono anche una capacità
organizzativa tale da costituire quasi una sorta di chiesa parallela, nascosta, rispetto alla chiesa ufficiale,
parliamo dei Catari, contro i quali viene lanciata la crociata all’inizio del 200. La parola cataro, in greco
kataròs, significa puro, quindi i catari sono coloro che si consideravano puri. I catari rappresentano una
forma particolare del cristianesimo, che si collocano nel fiume Carsico, che emerge e poi scompare nella
storia del cristianesimo, che è legato al manicheismo. Il manicheismo rappresenta la tendenza a vedere
il mondo come un perenne conflitto tra il bene e il male, attraverso un dualismo esasperato della realtà
terrena in cui gli uomini si trovano a vivere, un dualismo che si percepisce come una lotta dello spirito
(bene) e la materia dall’altra. Lotta tra ciò che è spirituale e ciò che è materiale. Questa forma è una
tendenza carsica nella storia del cristianesimo e che troviamo anche nell’impero bizantino, anzi è
probabile che il catarismo sia arrivato nell’Europa per tramite di crateri di origine balcanica, in particolare
bulgara. Questi gruppi catari, i manichei, vengono anche chiamati bogomili e li troviamo nell’impero
d’oriente gia dal XI secolo. I catari invece sono attestati dalla seconda metà del XII secolo. Secondo
l’interpretazione catara del cristianesimo i fedeli puri dovrebbero mortificare tutti gli aspetti che hanno a
che fare con la corporeità, con la carnalità. In questo rifiuto della corporeità si può arrivare in casi estremi
al suicidio per inedia, cioè non mangiare finche la vita se ne va. Questa via non è la via seguita da tutti,
anzi da una minoranza. Questo rifiuto della corporeità porta a rifiutare alcuni sacramenti, tra cui quello
dell’eucarestia perché l’eucarestia è punto più corporeo che ci possa essere (“il corpo di Cristo”), questa
è la grande differenza tra il cristianesimo e le altre religioni, cioè il cristianesimo è una religione corporea.
Questo è quello che rifiutano i catari, rifiutano anche ill battesimo che ha elementi eccessivi di corporeità,
socialità, infatti i catari amministravano il consolamentum, cioè una forma più semplificata del lavaggio
dei peccati. Il rifiuto di determinati sacramenti legati agli aspetti corporei, per cui anche il matrimonio
non può essere santifico attraverso il sacramento. I catari rappresentano un pericolo molto più grave
rispetto ai gruppi pauperistico evangelici, perché oltre ad accusare la chiesa di corruzione avevano anche
il difetto di sapersi organizzare come una chiesa separata. Sappiamo dai verbali degli inquisitori che
esistevano delle chiese nascoste, con proprio vescovi e propri sacerdoti, questo sta ad indicare che una
grande parte dei fedeli stava abbandonando la chiesa ufficiale per aderire al catarismo. La chiesa ad un
certo punto interviene con scomuniche, con condanne morali e spirituali e poi infine con la crociata.
Vediamo alcuni interventi ecclesiastici a partire dalla decretale Ad abolendam diversarum haeresium
pravitatem, le decretali sono decreti pontifici il cui titolo è dato dalle prime parole, per cui questo decreto
comincia cosi “per abolire la malvagità delle diverse eresie”. Leggiamo per capire quali sono i nemici
della chiesa di Roma:
“In primo luogo, dunque, decidiamo che siano soggetti a perpetua scomunica i Catarini ed i Patarini e
coloro che si fregiano del falso nome di Umiliati oppure di Poveri di Lione, i Passagini, i Giosefini, gli
Arnaldisti. E poiché alcuni, sotto apparenza di pietà, ma essendo del tutto privi delle virtù che la
caratterizzano, secondo quanto dice l’apostolo, rivendicando per se l’autorità di esercitare l
predicazione, mentre lo stesso apostolo die.”In che modo ci saranno dei predicatori, se non saranno
mandati?”, annodiamo con uguale vincolo di perpetua scomunica tutti coloro che avranno la
presunzione di predicare sia in pubblico che in privato, pur avendone ricevuto la proibizione oppure non
essendo stati inviati, al di fuori di ogni autorizzazione ricevuta dalla Sede apostolica oppure dal vescovo
del luogo; e tutti coloro che a proposito del sacramento del corpo e del sangue di nostro signore Gesù
Cristo (eucarestia), oppure a proposito del battesimo, oppure della confessione dei pecari, oppure del
matrimonio o degli altri sacramenti della chiesa, non hanno timore di pensare e di insegnare in maniera
diversa da quello che la sacrosanta chiesa romana predica e osserva; ed in generale tutti coloro che
saranno giudicati eretici o dalla santa chiesa romana, oppure dai singoli vescovi nelle proprie diocesi
con il consiglio dei chierici, oppure, in caso di sede vacante, dagli stessi chierici col consiglio, se
necessario, di vescovi delle sedi vicine.”
Gli Arnaldisti sono un gruppo di eretici, di seguaci di Arnaldo di Brescia, il quale era un intellettuale
importante dell’Italia della prima età comunale, è un predicatore che si sposta dalla Lombardia a Roma
e che partecipa anche alla formazione del primo comune, infatti il comune a Roma nasce nel 1143, come
atto di separazione della città dal governo pontificio, quindi qui c’è un gruppo di eretici che si colora di
valenze politiche importante. Arnaldo poi verrà arrestato da Federico I durante il suo soggiorno in Italia
e messo sul rogo. Arnaldo da Brescia dal punto di vista intellettuale era alieno di Pietro Arnaldo,
intellettuale della Franci del XII secolo, primo grande filosofo che si propone di interpretare alla luce
della dialettica la realtà, per questo verrà condannato.
Comunque questa decretale si prefigge di scomunicare tutte queste sette.
La chiesa di Roma lancia la scomunica a tutti questi gruppi, impedendo di predicare. Ma queste Persia
perdono successo, si diffondono a macchia d’olio, specialmente per i Catari nella Francia meridionale,
cosi nel 1209 si arriva alla coricata lanciata da Innocenzo III contro i Catari. Questa crociata passerà alla
storia con il nome di Crociata contro gli Albigesi, gli albigesi sono gli abitanti di una città della langue
d’oc, cioè Albì.
Nella contea di Tolosa, nelle viscontee legate vassallaticamente al conte di Tolosa, in queste zone vi è
una forte presenza di Catari, lo stesso conte di Tolosa viene accusato di essere un simpatizzante. Dal
1209 per circa 20 anni, i coricati percorrono in lungo e in largo la Francia meridionale macchiandosi di
molti crimini, ci daranno veri e propri massacri. Trarrà il maggiore beneficio da questa crociata contro i
Catari il re di Francia Filippo II augusto, perché al termine della crociata i suoi successori riusciranno a
mettere le mani in questa parte della Francia. E’ in questa lunga fase bellica che alcuni poeti della poesia
trobadorica emigreranno in Italia, portando in Italia la poesia amorosa. Tuttavia la chiesa di Roma si
rende conto che contrastare le eresie attraverso la corista, cioè l’aspetto punitivo, è una cosa che ha
evidentemente dei limiti, perché se queste eresie si sono diffuse ci dev’essere una motivazione intrinseca
che non può essere legata solo alla malvagità dei capi delle sette, quindi si deve anche trovare una
soluzione per riattivare i fedeli nelle chiese. La soluzione è trovata attraverso la nascita e la diffusione
dei cosiddetti ordini mendicanti, ordini di frati. Quando parliamo di ordini di frati non stiamo parlando
di monaci, sono due realtà che hanno somiglianze ma anche forti differenze. Il monachesimo è una forma
di vita religiosa che prevede la separazione del monaco dalla società, il monaco fa un voto di separazione
e rinuncia alla vita della società, il manco non si occupa direttamente dei fedeli, il suo compito è pregare
per la salvezza delle anime di tutti, oltre ai compiti culturali. Nel caso dei frati non c’è separazione, i frati
fanno anche vita monastica ma sono nella società, gli edifici che rimanda agli ordini mendicanti non si
costruiscono in luoghi desolati ma le chiese e i conventi si trovano nelle città, non in contesti rurali,
perché devono venire incontro alle necessità e alle domande di spiritualità, di vita austera che sono
espresse da ceti urbani.
Gli ordini medicanti sono innanzitutto l’ordine dei frati predicatori, noto anche come ordine dei frati
domenicani. Il fondatore di questo ordine è un religioso spagnolo, Domenico di Gusman. Un chierico
che nasce nel 1170 e muore nel 1221. Ad un certo punto si trova con il suo vescovo durante un viaggio
nella regione della lingua d’oc e si accorge della situazione drammatica in cui versa la chiesa locale, nel
proliferare delle eresie, del clima violento dovuto alla crociata e dal neonato tribunale dell’inquisizione
in cui siedono come giudici principalmente monaci circencensi. Domenico si accorge anche che non è
possibile compiere una lotta contro le eresia unicamente con lo strumento della repressione e della
crociata. Ritiene quest’arma un’arma che da sola non è sufficiente, ci vuole l’esempio fornito sacerdoti
che vivono in povertà e in austerità e la predicazione, i sacerdoti devo predicare per convincere i fedeli
della bontà del nostro messaggio e del carattere errato del messaggio che viene promulgato dagli eretici.
Per predicare e per convincere le persone bisogna essere preparati, bisogna studiare sulle sacre scritture,
bisogna studiare il diritto canonico. Solo essendo preparati potremmo sfidare gli eretici e dimostra che
loro sbagliano. Domenico trova a Tolosa la sede primigenia dei frati predicatori, lì organizza la
predicazione e trova il modo di inviare alcuni suoi seguaci a studiare nei centri di formazione p importanti
dell’Europa del tipo, devono studiare da una parte la teologia e dall’altra il diritto. Un gruppo di seguaci
di Domenico vengon mandati a Parigi, centro di istruzione filosofica e teologica più importante
dell’Europa basso medievale e un gruppo a Bologna, che invece è la culla degli studi giuridici europei,
studi legati alla riscoperta del corpus iuris civilis di Giustiniano. Il messaggio di Domenico, che viene
recepito da Onorio III che riconosce la regola dei frati predicatori nel 1216, è quella di un ordine che
valorizza la povertà, l’austerità, il rigore ma anche lo studio per essere all’altezza della predicazione, che
deve essere autorizzata dal vescovo del luogo. Possiamo vedere le norme della predicazione nelle
costituzioni domenicane, una sorta di statuto che l’ordine si da nel 1228 in cui si dice:
“Stabiliamo che nessuno possa divenire predicatore generale prima di aver seguito lezioni di teologia
per tre anni; ma possono essere ammessi alla pratica della predicazione, dopo aver seguito lezioni per
un anno, coloro che siano tali da non far temere alcuno scandalo dalla loro predicazione. E a coloro
che sono idonei, quando dovranno esordire nel predicare, vengano assegnati dal priore dei compagni,
a seconda di ciò che riterrà conveniente in base a loro costumi e alla loro onestà. E questi, dopo essere
stati benedetti, partendo in ogni direzione a guisa di uomini che bramano procacciar la salvezza per se
e per gli altri, si comportino con decoro e religiosamente, come uomini del Vangelo, seguendo le orme
del loro Salvatore e parlando con se stessi e con il prossimo in unione con Dio oppure di Dio ed
eviteranno di frequentare compagnie suscettibili di sospetto.”
Ci sono poi molte regole, sono segnati i luoghi in cui non si può predicare, non devono entrare in conflitto
con i vescovi e devono avere una certa età. E’ chiaro che si tratta di un ordine istituzionalizzato, è un
ordine che mira alla povertà e all’esempio ma anche ad un alto grado di istruzione. Questo ordine è detto
mendicante perché essendo almeno in origine un ordine povero, che non possiede beni, deve vivere di
elemosina, di beneficenza, predicando devono essere in contatto con i fedeli, infatti tutte le chiese
domenicane si trovano dentro un centro urbano. San Domenico è seppellito a Bologna, dove si trova
ancora oggi la tomba.
Quando parliamo di ordini mendicati parliamo anche dell’ordine francescano, chiamato anche ordine dei
frati minori. Mentre l’ordine dei domenicani avrà un ruolo importante anche dal punto di vista
intellettuale, l’ordine dei frati minori ha un’origine diversa, avrà un impatto minore dal punto di vista
intellettuale ma un impatto maggiore per quanto riguarda la religiosità popolare. Domenico è, prima di
diventare l’organizzatore dei frati domenicani, un canonico, cioè un sacerdote e da religioso inquadra il
suo obbiettivo.
Francesco d’Assisi invece nasce in una parabola completamente diversa, nasce in una cittadina
dell’Umbria nel 1182, figlio di un mercante, quindi la sua giovinezza la passa un pò nella bottega del
padre e un pò a divertirsi con gli amici del suo ceto, cioè dell’alta borghesia. Lui aspira ad essere un
cavaliere, poi quando ha più o meno vent’anni partecipa ad una grande battaglia campale tra il comune
di Assisi e il comune di Perugia, nella battaglia di Collestrada. I combattenti di Assisi sono sconfitti e
Francesco viene fatto prigioniero e messo nelle carceri perugine, dove resterà per qualche mese, sarà il
padre grazie alle sue ricchezze a riscattarlo. Nel frattempo qualcosa è cambiato, comincia a non aver più
voglia di andare nella bottega del padre, sembra che voglia andare a combattere in una crociata ma poi
torna a casa, ha un periodo di grandi difficolta e crisi spirituali. Trova rifugio nelle pendici del monte
Subasio vivendo per un certo tempo come un eremita. Dopo un certo tempo decide che la vita da eremita
non fa per lui, torna ad Assisi ma non fa più la vita di prima, ad un certo punto frequentando una piccola
chiesa di campagna ascoltando la messa sente un passo del vangelo di San Matteo che dice “vendi tutto
ai poveri e seguimi” e Francesco sente che queste è la sua vocazione. Si spoglia di tutte le sue vesti, si
mette un saio, e decide di condurre una vita affianco dei poveri. Torna a casa il padre lo sgrida, la
discussione è feroce, il padre lo trascina di fronte ai consoli della città e chiede loro di intervenire per
convincere ill figlio a tornare in bottega e lasciare questa vita pazza, i consoli rispondo che non hanno
autorità in merito, quindi Francesco viene condotto dal padre di fronte al vescovo. Francesco di fronte al
vescovo per dichiarare al padre di non servare alcun rancore ma di voler comunque proseguire la via
intrapresa, quella di vivere in totale povertà, si toglie gli abiti che il padre gli aveva messo una volta
tornato a casa e resta nudo di fronte a tutti. E’ una scelta radicale, non voglio niente per essere libero.
Andrà in giro sempre con un saio stretto da una corda e con dei sandali conducendo una vita in totale
povertà. Molto presto si circonda di seguaci, alcuni sono suoi compagni di gioventù altri sono personaggi
in vista delle città umbre che hanno deciso di seguire il suo esempio. La vita di Francesco, non è di tipo
monastico, Francesco vuole stare a contatto con i poveri, con gli emarginati, con gli ultimi, con i lebbrosi,
con coloro che chiedono l’elemosina fuori dalle chiese, lui non vuole avere niente, ma guadagnare il pane
quotidiano con il lavoro, dando conforto agli ultimi nelle città. Il messaggio è radicale, è molto simile al
messaggio di Pietro Valdo, cioè dei poveri di Lione, ma con una differenza sostanziale che cambierà il
destino dei suoi seguaci, cioè Francesco non accusa mai la chiesa di corruzione, farà sempre atto di
obbedienza, una umiltà assoluta di fronte alle gerarchie ecclesiastiche, è con l’esempio che il suo gruppo
si trasforma da un gruppuscolo di pochi aderenti ad una massa straordinaria di frati, moltissimi dei quali
son dei laici, Francesco stesso è un laico e non prenderà mai gli ordini religiosi, questa è una differenza
sostanziale che distingue i domenicani dai francescani, cioè i domenicani sono tutti fin dalle origini dei
sacerdoti.
Il vescovo di Assisi, visto il grande riscontro che ha Francesco sia nella città che in tutta l’Italia centrale,
decide di portarlo a Roma, perché hanno bisogno di un’autorizzazione, c’è bisogno di far approvare
questa condotta dal Papa, siamo nel 1210. Il vescovo di Assisi accompagna Francesco a incontrare
Innocenzo III. Quando Francesco arriva alla curia pontificia lo sconcerto nella curia papale è notevole,
anche perché doveva produrre una certa inquietudine l’aspetto di questo giovane, aspetto di grande
povertà e di cura molto pessima. Il papa Innocenzo III, che è un uomo di potere per eccellenza vede in
Francesco una possibilità importante per la chiesa, capisce che lui può rappresentare la soluzione nei
rapporti tra la chiesa e i fedeli, può rappresentare il coagulo di un nuovo modo di intendere la spiritualità
cristiana. Cosi Innocenzo III approva verbalmente questo nuovo ordine, cioè approva la condotta di vita
di Francesco e dei suoi seguaci. E’ in questo contesto che matura uno degli episodi più discussi della vita
di Francesco, cioè la predica agli uccelli, che si trova in diverse vite francescane. Di norma viene
interpretata in maniera moto edulcorata, in realtà è probabile che questa vicenda biografica nascondesse
almeno in origine l’insoddisfazione di Francesco per questa visita alla curia, perché viene accolto con
freddezza, viene ascoltato ma fino ad un certo punto e quindi avrebbe predicatagli uccelli per dimostrare
che visto che gli uomini non l’ascoltavano redita agli animali, è un atto di umile protesta. Come ci rivela
anche uno degli autori delle biografie di Francesco in cui si dice:
“Francesco da quel momento si dedicò con devozione all’ufficio della predicazione per tuta l’Italia e le
altre nazioni e soprattutto nelle città di Roma. Ma il popolo romano, nemico di ogni bene, a tal punto
spregiò la predicazione di quell’uomo di Dio che non volle ascoltarlo e neppure assistere alle sue sante
esortazioni. Alla fine, dopo che ebbero diserta le sue prediche per parecchi giorni, Francesco li biasimo
aspramente per la durezza del loro cuore: “Mi addolora molto -disse- per la vostra miseria, perché non
solo disprezzate me, servo del Cristo, ma in me disprezzate anche lui, dal momento che vi ho annunciato
l’Evangelo del Redentore del mondo. E ora, andandomene da questa città, invoco a testimone della
vostra desolazione cui che ne è testimone fedele nei cieli. E per la vostra vergogna vada ad annunciare
l’Evangelo del Cristo agli animali bruti e agli uccelli del cielo, affinché, ascoltate le parole di salvezza
di Dio, obbediscano ad esse e si ammanniscano”.
E cosi uscendo dalla città, trovò nelle periferia i corvi, gli avvoltoi e le gazze che razzolavano tra le
carogne, e molti altri uccelli che volevano in cielo, e disse loro:”Vi comando, nel nome di Gesù Cristo,
che i giudei crocifissero, la cui predicazione i romani miserabili hanno disprezzato, che veniate a me
per ascoltare la parola di Dio nel nome di colui che creò e che nell’arca di Noè vi salvò dalle acque del
diluvio”.
E subito al suo ordine quell’immensa moltitudine di uccelli gli si accostò e lo circondò, e -fattsi silenzio
e cessato ogni cinguettio- per lo spazio di mezza giornata non si mossero da quel luogo per ascoltare le
parole dell’uomo di Dio, sempre guardando il volto di lui che predicava. Quando i romani vennero a
sapere, da coloro che entravano e uscivano dalla città di questo avvenimento stupefacente - per tre giorni
l’uso di Dio raduno in quello stesso luogo gli uccelli-, usci dalla città il clero accompagnato da una
grande folla e con grande venerazione fecero entrare in città l’uomo di Dio. Ed egli, con l’olio della sua
predicazione e delle sue suppliche, da allora addolcì e mutò in meglio i loro cuori, sterili e induriti
dall’ostinazione”.
Qui ci sono una serie di topos letterari che nascondono questa larvata polemica tra Francesco alcuni
ambienti curiali. Dal 1210 conosce una grande espansione, ancora non è approvato ufficialmente perché
ancora non ha la sua regola, alcuni suoi seguaci vengono mandati in Europa a predicare, per la verità
alcuni di questi vengono scambiati per eretici, ma in ogni caso questi “frati minori”, come si auto
definivano, si moltiplicano all’infinito. Dalla curia pontifica si fa sapere che un ordine cosi grande e cosi
ben voluto dai fedeli deve essere istituzionalizzato, clericalizzato. E’ sopratutto il cardinale Ugolino
d’Ostia, che poi diventerà papa dopo la morte di Francesco, con il nome di Gregorio IX, è il protettore
nella curia di Francesco. Lui è un uomo di potere, che poi dimostra tutto il piglio nella lotta contro
l’imperatore, ma intuisce la grandezza dell’esempio di Francesco, intuisce che questo uomo può salvare
la Chiesa di Roma dalla marea montante degli eretici. Lo mette sotto la sua ala protettrice ma fa capire a
Francesco che il momento di prendere una decisione non si può più rimandare, tutti questi frati devono
essere inquadrati in un ordine, bisogna scrivere una regola chiara evidente che faccia capire come si
autogoverna questo gruppo di frati. Francesco, che non è un teologo e conosce imperfettamente il latino,
è molto refrattario ai meccanismi del potere, ma di fronte alle insistenze del cardine nel 1221 scrive una
regola, definita Regula non bullata, cioè regola non bollata, non approvata nella curia. Francesco scrive
una regola facendo quello che oggi viene definito con il meccanismo del copia incolla con passi del
Vangelo, seleziona i passi del vangelo che più gli stanno a cuore e li mette insieme per scrivere questa
regola, che è generica. Dalla curia pontificia fanno capire a Francesco che quella non è una regola,
bisogna riscrivere una regola che sia chiara, specifica per l’organizzazione di questi frati. La sofferenza
morale di Francesco cresce, insieme anche alle malattie, perché vive in condizione di totale povertà
ammalarsi è molto semplice. Francesco si risolse alla fine a scrivere nel 1223 a scrivere una regola vera
e propria che passerà alla storia come Regula Bullata, cioè approvata dalla bolla pontificia. A questo
punto Francesco si separa dall’ordine che ha formato, che perché è cresciuto a dismisura, ci sono interessi
differenti, alcuni frati sono dei religiosi e vorrebbero che tutto l’ordine fosse clericalizzato, cioè che tutti
prendessero gli ordini religiosi. Francesco si ritira per compiere una vita isolata, e durante questo periodo
si verificherà uno degli episodi più rappresentativi della vita del frate, cioè l’episodio delle stigmate nella
montagna della verna. In questa zona dove Francesco si ritira nel 1224, in un ambiente ostile, avrebbe
ricevuto il segno delle stigmate, cioè le ferite sacre nelle mani e nei piedi. Nel 1226 Francesco troverà la
morte, verrà santificato a due anni dalla sua morte e poi nel 1230 cominceranno i lavori per la grande
basilica francescana ad Assisi.
Francescani e domenicano portano nuovo sostegno alla chiesa di Roma, portano però anche alcuni
problemi, sopratutto i francescani, perché Francesco muore abbastanza amareggiato dalla vicenda, non
avrebbe voluto davvero creare un ordine, molti seguaci non avevano approvato all’idea che l’ordine
diventasse clericalizzato, soprattutto non volevano che l’ordine possedesse dei beni. Il problema è che
quando si crea un ordine, per funzionare deve avere qualche bene per cui cominciano le donazioni ai frati
minori, che le accettano con perplessità, poi si fa largo l’idea che i francescani non possiedono niente ma
possono avere degli amministratori che si occupano del loro patrimonio, si fa strada l’idea che questi
frati dispongano anche se indirettamente di beni. Le chiese stesse costruite dai francescani son chiese
sontuose, per erigere le quali servono ricchezze immense. La dialettica interna dei francescani è una
dialettica che alla fine coinvolge tutta la chiesa, per cui molti seguaci di Francesco affermeranno di aver
tradito il messaggio originale del santo, non volendo niente hanno terre e chiese sontuose. Alcuni seguaci
affermano che questo era l’unico modo dal momento in cui si è formato un ordine. Tutta questa vicenda
si ripercuote sulla chiesa di Roma, subito dopo la morte di San Francesco furono redatte più vite del
santo, due verranno scritte dalla stessa persone, Tommaso D’Arcelano. Ad un certo punto si stabilisce
con il generale dell’ordine, Bonaventura da Bagnoregio, che è un teologo del XIII secolo, che governa
l’ordine dei frati minori dal 1257 fino al 1274, stabilisce che dev’essere redatta una versione ufficiale
della vita di Francesco e lo stesso generale si impegna a fare questo, scrivendo la cosiddetta Leggenda
Maior, dichiara anche che le biografie precedenti devono essere distrutte, quindi c’è un’operazione
politico culturale molto importante. La fazione più moderata, Conventuali, decide che è il momento di
dare una versione ufficiale della vita del santo e quindi anche una versione ufficiale del messaggio dei
frati. Per far questo Bonaventura redige una nuova grande vita del santo riprendendo le vecchie opere
biografiche, ma allo stesso tempo decide di bruciare tutte le biografie precedenti. Questo verrà fatto solo
in parte, si è di fronte ad una strategia che mira a irregimentate il messaggio di questo personaggio
grandioso ma con caratteri di ambiguità non risolti. Questa tensione fra i frati più radicali, Spirituali, e i
frati più moderati, Conventuali, ebbe esito drammatico quando alcuni pontefici, a partire da Bonifacio
VIII, prenderanno esplicitamente le parti di frati conventuali. Alcuni frati saranno perseguitati, messi in
carcere. Trasformazioni importanti nella chiesa cattolica.
Ci sono anche altri ordini mendicanti, non importanti quanto questi due, per esempio i Serviti, cioè i servi
di Maria, oppure i Carmelitani.
L’opera di questi ordini mendicanti sarà un’opera molto importante per quanto riguarda la religiosità
popolare, la cura delle coscienza, la curia romana si afferma a livello spirituale nell’occidente basso
medievale, anche e soprattutto per la diffusione di questi ordini mendicanti, perché molti laici lasceranno
i loro beni a questi enti religiosi, molti mercanti e cavalieri abbracceranno in vecchiaia l’ordine
francescano. Il ruolo che questi ordini hanno è straordinariamente importante nel XIII e nel XIV secolo.
La potenza di Roma si afferma anche grazie alla diffusione di questi frati, che esprimono intellettuali di
grandi importanza dalla metà del XIII secolo in poi.
Vediamo un episodio di natura ecclesiastica che per certi aspetti rivela il potere ma anche la debella della
Chiesa di Roma, questo episodio è connesso al pontificato di Bonifacio VIII, papa che si distingue per la
lotto contro i francescani spirituali. Bonifacio VIII diventa papa nel 1294 e lo diventa in una circostanza
molto particolare infatti nel 1294 era papa Celestino V che abdicò. Celestino V è un monaco abruzzese,
è fortemente legato all’ala radicale del movimento francescano, per cui molti francescani avevano visto
in Celestino V una sorta di salvatore del messaggio originario dell’ordine e avevano riposto in lui
moltissime speranze. Solo che questo pontefice abdica e il conclave cardinalizio nomina Bonifacio VIII
che appartiene ad una famiglia aristocratica del Lazio meridionale. Tanto Celestino V rappresenta le
istanze spirituali e morali del mondo francescano quanto Bonifacio VIII esprime gli ambienti di potere
della curia. Bonifacio è un cardinale molto potente, ha favorito l’arricchimento e le cariche pubbliche dei
familiari, è un uomo di potere, un giurista, un diplomatico. Porta avanti l’idea ierocratica della
supremazia del potere della chiesa di Roma su qualsiasi altro potere, sia religioso che laico. Bonifacio è
il primo che proclama un giubileo, cioè l’anno santo, tutti coloro che andranno a Roma e visiteranno le
chiese principali avranno la remissione dei peccati. Una folla sciama da tutta l’Europa per rendere
omaggio al pontefice. Il papa fa capire a tutti i fedeli sul è la grande potenza della chiesa romana.
Bonifacio si scontra con l’ordine dei frati spirituali, ma si scontra anche con famiglie aristocratiche
romane, in particolare farà arrestare alcuni cardinali della famiglia dei Colonna, farà assediare la città di
Palestrina, che era una roccaforte dei Colonna, insomma reprime il dissenso religioso e il dissenso
politico. Si inserisce pesantemente nella vita di alcuni comuni italiani. E’ un papa che agisce su uno
scacchiere molto vasto, interviene direttamente nel conflitto tra Angiolini e Aragonesi, creando il regno
di Sardegna e Corsica. Ha ambizioni egemoniche di vario tipo. Il papa si scontra con il re di Francia,
Filippo IV il bello, perché il re vuole tassare i sudditi per ottenere risorse per condurre le guerre, è un
personaggio di grande importanza politica, è colui che fa dichiarare eretici i Templari per incamerarne i
patrimoni e ad un certo punto decide che ha bisogno di tassare i beni della chiesa francese. Il papa non è
d’accordo allora il re fa convocare gli stati generali, una sorta di rappresentanza parlamentare, e si fa
ratificare dagli ecclesiastici e dai baroni del regno il diritto di poter tassare i beni francesi in Francia.
Nessun vescovo francese si sarebbe opposto perché altrimenti avrebbe perso la carica. Allora il papa
scomunica il re di Francia, perché si è intromesso negli affari della chiesa contravvenendo alla
supremazia pontificia. Qui in lotta ci sono due volontà egemoniche, quella pontificia che è una volontà
egemonica universale, cioè poter dire a tutti i sovrani come ci si deve comportare, e dall’altra c’è una
volontà egemonica più localizzata che però è espressione di un nuovo potere, cioè quello del re, che non
è quello dell’imperatore, perché è un potere più limitato geograficamente ma più pervasivo su scala del
regno stesso, è un potere assoluto. Filippo IV fa capire al papa che non è intenzionato ad accettare la
scomunica, continua a tassare i beni della chiesa francese e considera Bonifacio VIII un usurpatore, come
qualcuno che ha violato le norme di comportamento e deve essere processato; quindi una schiera di
soldati francesi viene mandata a Roma, questi soldati si alleano con la fazione dei Colonna, e questo
gruppo di armati si dirige vero Anagni, dove il papa ha le terre e il palazzo di famiglia. I soldati francesi
e i Colonna salgono le scale del palazzo dove si trovava Bonifacio VIII e il capo dei Colonna avrebbe
dato uno schiaffo a Bonifacio. Non si sa se lo schiaffo si sia verificato, ma l’episodio è simbolico e
gravissimo e il papa viene arrestato con l’obbiettivo di portarlo in Francia sottoporlo al processo. Una
rivolta popolare fermerà i soldati e libererà il papa, che sia anziano e sconvolto dalla vicenda morirà
qualche mese dopo, nel 1303. Il pontificato di Bonifacio VIII da una parte sancisce la potenza massima
della chiesa di Roma ma dall’altra nei suoi esisti ultimi testimonia una debolezza di questo potere
universale, debolezza che si mostra non nei confronti dei poteri tradizionali, ma nei confronti dei poteri
nuovi, cioè quelli legati alle nuove monarchie, in particolare la monarchia più importante del tempo, la
monarchia francese.
Passo di un cornista piemontese che aveva partecipato direttamente al giubileo, Guglielmo Ventura
questo mercante, narra le vicende del Giubileo:
“Fa meraviglia quanto uomini e donne da ogni parte in quell’anno andarono a Roma, poiché io vi andai
e vi stetti per quindici giorni. Vi era una buona disponibilità sul mercato di pane, vino, carne, pesci ed
avena; il fieno invece era carissimo; gli alberghi carissimi, tale che il mio letto e quello del mio cavallo
oltre al fine ed all’avena mi costavano un grosso tornese (moneta francese). Uscendo da Roma la vigilia
di Natale, vidi una folla cosi grande che nessuno poteva contare, e correva voce tra i Romani, che ivi vi
furono più di due milioni di uomini e donne ( la Roma del tempo non aveva più di 40/50 mila abitanti,
ed esisteva un solo ponte per passare dal cuore della città a San Pietro in Vaticano, quindi c’era proprio
un problema di ordine pubblico). Piu di una volta mi è capitato di vedere là tanto uomini e donne
schiacciati sotto i piedi degli altri, ed io stesso più volte sfuggì al medesimo pericolo. Il papa ricavò da
essi una forma enorme di denaro, poiché giorno e notte due chierici stavano all’altare di san Paolo con
in mano due rastrelli che rastrellavano una quantità infinita di monete. Sappiamo pertanto che i cristiani
che verranno, che il predetto Bonifacio ed i suoi cardinali hanno confermato la presta indigenza in
eterno in ogni centesimo anno (il Giubileo all’inizio veniva promulgato ogni 100 anni), e ne fecero una
bolla, copia della quale io, portai ad Asti, e feci copiare in fine a questo libro. Ed ero io, Guglielmo,
allorché andai a Roma, di anni quaranta e più. Si ricordi dunque e si lodi da parte di tutti i fedeli cristiani
che ogni prossimo anno centesimo facciano la stessa cosa.”
Lezione 17

Diffusione dell’eresia e crociate, nascita degli ordini mendicanti e Bonifacio VIII, papa che rappresenta
il culmine della potenza anche politica della Chiesa di Roma (proclamazione del primo giubileo,
repressione del dissenso francescano ma anche un ruolo politico tutto romano, colpendo in maniera dura
alcune famiglia dell’aristocrazia come i Colonna). Bonifacio VIII si è scontrato ad con potere inedito,
nuovo, del grande monaca francese, da questo scontro il papato romano esce abbastanza traumatizzato,
con l’episodio dello schiaffo di Anagni.

Il papato dopo il pontificato di Bonifacio VIII


Uno dei successori di Bonfacio VIII è Clemente V, che è papa dal 1305 al 1314 e prima di essere papa è
arcivescovo di Boreadux, questo papa francese decide nel 1309 di spostarsi ad Avignone, in Provenza.
Avignone non fa parte del regno di Francia. La Provenza era un dominio angolino quindi legato ai sovrani
di Napoli. Dall’occupazione della Provenza del 1248 il papato aveva ricavato una zona chiamata Contado
Venassino, che aveva come capoluogo la città di Carpentà, Avignone era un enclave angioina dentro il
territorio papale. I papi spostandosi ad Avignone non vanno in un territorio del re di Francia, ma in un
territorio angioino che si trova all’interno di una provincia pontificia, il papa non si sposta in territorio
francese ma in una territorio suo. I papi erano soliti spostarsi, non governare stando fermi a Roma, si
spostavano in altre città dello stato pontificio, per esempio a Viterbo, a Assisi, ad Ancona. Questo
spostamento ad Avignone, che sembrava temporaneo, durò per 7 decenni, 70 anni, e Clemente V si era
spostato ad Avignone perché Roma in quel momento era in preda agli scontri baronali, quindi per evitare
di essere coinvolto in queste lotte continue il papa aveva deciso di spostarsi. Rimangono quindi per 7
decenni nella zona della Provenza, trasformano completamente l’aspetto di questa cittadina, che poi verrà
letteralmente venduta dagli Angiò ai papi alla metà del 300. Questa città diventa importantissima dal
punto di vista ecclesiastico, spirituale, finanziario perché intorno alla curia pontificia ruotava tutto un
mondo di uomini d’affari (mercanti e banchieri che si spostano con la curia). Questo comporta per Roma
un lungo periodo di difficoltà economiche, perché senza gli uomini d’affare la città perde gran parte del
proprio giro d’affari. Avignone diventa un grande centro d’arte, di letteratura. La curia pontificia in questi
decenni si va notevolmente francesizzando perché moltissimi cardinali del fine 300 sono francesi, più
propriamente della Francia meridionale, della Provenza o della Langue d’oc, su 134 cardinali nominati
nel periodo avignonese ben 112 sono francesi, di questi 96 sono della Francia del sud, della Provenza.
La chiesa da un certo punto di vista parrebbe lontana dalla politica italiana, ma non è cosi, se il papato
trecentesco appare meno potente a livello di prestigio e a livello di influenza sul panorama europeo
tuttavia è più efficace nell’opera di consolidamento del potere pontificio nelle regioni che facevano parte
del patrimonio di San Pietro, quindi il Lazio, le Marche, l’Umbria e Romagna. Lo stato pontificio era
rimasto per molti secoli una realtà teorica, non realmente applicata, i papi avevano la sovranità su alcune
zone dell’Italia centro settentrionale ma l’autorità concreta di queste aree era molto labile dal punto di
vista del governo pontificio, poi a partire dall’inizio del 200 l’autorità pontificia diventa più forte. Molte
di queste zone hanno visto lo sviluppo dei comuni, quindi l’autorità pontificia dev’essere sempre
patteggiata, limitata. Nel 300 un personaggio che ha svolto un ruolo molto importante nello stabilire il
governo pontificio nelle città e nelle campagne è stato il cardinale iberico Egidio Albornoz, cardinale,
giurista raffinatissimo e uomo d’arme, il quale viene mandato da Avignone in Italia per ridurre ad
obbedienza alcune città ribelli e alcuni signori romagnoli che vorrebbero comandare autonomamente il
potere pontifico. Albornoz quindi assolda le milizie mercenarie, conduce l’esercito in Italia e riconduce
all’obbedienza molte città. Quindi il papato avignonese non è cosi debole dal punto di vista politico in
Italia. Tra l’altro Albornoz fa due cose importanti che lasciano il segno sul paesaggio dell’Italia centrale
e sul piano giuridico. Nel 1357 vengono emanate le Costituzioni Egidiane, un codice giuridico che
doveva servire per amministrare lo stato pontificio, sono state usate fino all’epoca napoleonica. Albronoz
ha lasciato traccia profonda nella storia d’Italia anche per aver fatto fortificare una serie di fortezze che
dovevano servire a tenere a bada una serie di signori che miravano all’indipendenza dal potere pontificio.
Quindi uno sforzo enorme dal punto di vista militare, ma anche edilizio che mette in risalto le doti
organizzative e anche finanziarie di questo cardinale.
Il papato avignonese conosce sopratutto negli anni 70 grossi problemi politici e di immagine, perché
alcuni intellettuali italiani, tra cui Petrarca, Caterina da Siena, cominciano a parlare esplicitamente di
Cattività Avignonese. Questo termine significa prigionia avignonese e rimanda metaforicamente alla
celebre cattività babilonese, quella descritta dalla Bibbia, quando gli ebrei catturati dal re babilonese
Nabucodonosor verranno portati in Bibbilonia dove resteranno per almeno tre generazioni. L’espressione
cattività avignonese aveva significato di invogliare la curia pontificia a tornare a Roma, perché il papato
non poteva che stare nella città eterna. C’è quindi una pressione intellettuale perché il clero torni a Roma,
ma anche una pressione più concreta della popolazione di Roma, che vorrebbe il papa in città per il giro
d’affari che ne consegue. C’è poi un’altra stanza che è molto più pressante, ciò che dal 1375 lo Stato
della chiesa è entrato in guerra con Firenze perché Firenze ha sobillato alcune città sottomesse dal papa
perché non vuole uno Stato della chiesa forte e ha incitato alla rivolta diverse città, si scatena una guerra
che è fonte di grandi problemi. Nel 1377 Gregorio XI decide di tornare a Roma, ma pochi mesi dopo
torva la morte. A questo punto deve riunirsi un conclave cardinalizio, solo che questo si deve riunire a
Roma e qui la pressione popolare è forte, perché il popolo non vuole assolutamente che venga eletto un
pontefice non italiano, perché teme che il nuovo papa si ritrasferisca in Provenza. Sul palazzo dove si
riuniscono i cardinali in conclave secondo un cronista romano del tempo la folla avrebbe urlato
ripetutamente “Romano lo volemo, o a manco italiano”, cioè vogliamo il papa romano, o almeno italiano.
Nel 1378 viene eletto papa l’arcivescovo di Bari, Urbano VI. Quindi una scelta che viene incontro alla
volontà del popolo romano, il problema è che una parte importante dei cardinali ritiene che l’elezione sia
non vincolante, in quanto non ortodossa, perché soggetta alla violenza del popolo. Per cui molti cardinali,
tutti francesi fuggono da Roma e si riuniscono a Fondi, una cittadina che oggi è in provincia di Latina,
nel Lazio e eleggono un altro papa, che prenderà il nome di Clemente VII. Quindi nel 1379 abbiamo due
papi, uno romano e uno avignonese, perché Clemente VII con i cardinali che l’avevano scelto trona ad
Avignone. La Chiesa aveva avuto altri scismi, cioè periodi in cui esisteva un papa e un anti papa come
per esempio nel periodo della lotta per le investiture. Lo scisma che si produce nel 1379 sarà molto lungo,
infatti durerà oltre 30 anni fino al 1417, ma la cosa più grave è che alcuni stati europei riconosco il papa
romano, altri riconoscono il papa avignonese. I re di Napoli riconoscono il re avignonese, cosi come il
re francese, gli italiani riconoscono quello romano, poi ci sono vari stati che a seconda della situazione
politica e della convenienza appoggiano uno o l’altro papa. C’è anche un caos a livello delle coscienze,
perché non si sa chi è il vero papa. Questa situazione si protrae per quasi 40 anni, dopo 30 anni di scisma
si decide di convocare a Pisa un concilio per sanare la situazione. Durante questo concilio viene eletto
un altro papa ma quelli che sono in carica in quegli anni non si dimettono, quindi abbiamo 3 papi, la
situazione prende una piega grottesca. C’è quindi un papa con la sede a Roma, un papa con la sede ad
Avignone e un altro papa senza sede. C’è bisogno di un secondo concilio che ponga fine a quesa
situazione e viene convocato a Costanza, nella Germania. A Costanza viene tenuto un concilio che durerà
per quasi 4 anni, dal 1414 al 1417. C’è tutto una folla di uomini d’affari che si spostano in questa cittadina
tedesca, in cui il commercio esplode come non era mai successo prima. Il concilio riesce a sanare la
situazione facendo dimettere i papi in carica, garantendo loro il titolo di cardinali e viene eletto come
unico pontefice Martino V, esponente di una famiglia importantissima del baronaggio romano. Dal 1427
lo scisma è sanato e i papi torneranno a Roma. Dal 400 in poi Roma inizierà ad assumere quel aspetto
sontuoso che poi si accrescerà sopratutto nel 500 e nel 600.
Una delle conseguenze più importanti dello scisma è l’idea che la chiesa non possa essere più governata
solamente dal papa ma abbia bisogna di un organo di sostegno, che viene identificato nel concilio. Nel
concilio di Costanza infatti viene deciso che ogni 5 anni debba essere convocato un concilio per dare le
linee guida al papa e ai cardinali per quanto riguarda la vita della chiesa e dello stato della chiesa. Solo
che questa idea fa fatica ad essere rispettata. I concili inoltre sono abbastanza inconcludenti per quanto
riguarda le decisioni prese, poi si decide che il concilio debba essere convocato ogni 10 anni, poi nel
1456 diventa papa Enea Fibio Piccolomini, Pio II, e dirà che il concilio è inutile che basta il papa con i
cardinali, quindi non ci saranno più concili da quel momento in poi, fino al 500 come strumento
fondamentale per combattere la riforma Luterana. Nel 500 infatti si terrà a Trento il famoso concilio che
durerà parecchi anni e che riformerà la chiesa cattolica.
Con tutte queste vicende pontifice siamo arrivati in un momento che è stato visto come un momento di
crisi, una fase che è caratterizzata da tutta una serie di trasformazioni, della società, dell’economia della
mentalità dell’arte e tutti questi fenomeni sono da ricollegarsi allo spaventoso dramma che colpisce
l’Europa a metà del 300 con l’arrivo della peste nera, questa malattia batterica che arriva dall’Asia prima
nel mediterraneo e poi nell’Europa continentale. Crisi tardo medievale.
E’ momento cambiamento non necessariamente negativo. Già nella prima metà del 300 avevamo visto
cambiamenti con una stasi della crescita demografica, economica e il verificarsi sempre più violento di
carestie. La carestia si verifica quando il raccolto è inferiore alla domanda, queste carestie sono
particolarmente violente perché l’espansione dell’agricoltura non riesce più a soddisfare la domanda di
una popolazione cosi cresciuta, sopratutto nei contesti in cui ci sono grandi città, ci sono troppi
consumatori che però non sono impegnati da un puntosi vista lavorativo nelle campagne. Quindi i raccolti
non sono sufficienti. Quando in un anno si verificano eventi naturali gravi si produce la carestia, perché
in realtà si è sempre sul filo del rasoio. La gran parte della popolazione europea del tempo era povera,
non esistono i ceti medi, ma una fascia enorme di popolazione che sta nella povertà e poi un gruppo di
ricchi. Quindi c’è una grande fetta di popolazione che inizia ad esser in difficoltà perché i prezzi salgono,
per esempio il prezzo del grano aumenta del 100% da un anno all’altro. Questo è un grosso problema
economico, sociale e anche politico, perché carestia significa anche sommosse. Ci sono problemi gravi,
poi arriva la peste nera, che è un evento estraneo al sistema produttivo europeo. La peste viene dall’Asia
perché le malattie si formano là dove la densità di popolazione è più alta e quindi i contagi sono più facili,
la densità è più forte là dove esistono le civiltà del riso, per esempio la Cina, l’India perché la pianta del
riso sfama moltissimo, ha una resa enorme, ma ha bisogno di tantissima mano d’opra. Le civiltà del riso
sono quelle più storicamente abitate. La peste nera si origina nel cuore dell’Asia, nel mondo cinese e nel
mondo indiano, non sappiamo quando esattamente ha cominciato a diffondersi in Asia, probabilmente
vari anni prima dell’arrivo nel mediterraneo. Nel mediterraneo arriva attraverso gli scambi commerciali,
perché dal cuore dell’Asia verso il mediterraneo esiste in questo periodo in cui la maggior parte dell’Asia
è sotto l’impero mongolo, l’impero che percorre Marco Polo, un impero che garantisce collegamenti
sicuri dal mediterraneo all’Asia, e quindi lungo le strade di questo territorio governato dalla Pax
Mongolica viaggiano anche le pulci che veicolano questi batteri. Le pulci generalmente si aggrappano ai
topi diffondendo loro la malattia, ma quando i topi muoiono per questa infezione le pulci tendono a
trasferirsi dal topo all’uomo. Questa peste viaggia, nel 1346 i mongoli stanno assediando Feodosia, in
Crimea, nel Mar Nero, abitata dai genovesi e governata da un podestà mandato da Genova, una sorta di
città coloniale. I genovesi commerciavano soprattutto schiavi, compravano schiavi turchi, slavi. Molti
schiavi commerciati erano di origine slava, come testimonia anche la parola “schiavo” che deriva da
sclavus, cioè slavo. Infatti molti slavi non battezzati venivano fatti schiavi dai genovesi e dai veneziani
e poi rivenduti nell’Europa occidentale. La nostra parola di saluto “ciao” non è altro che una parola di
origine veneziana, s’ciavo sarebbe schiavo vostro, era un modo informale di salutare in veneziano. I
genovesi governavano la cittadella della Crimea per commerciare servi, spezie, sostanze tintorie e altro.
Nel 1346 i mongoli dell’Orda D’oro, grande provincia dell’odierna Russia, assediano la città per
conquistarla, i mongoli sono appestati e lo sanno, conducono una guerra batteriologica, cioè con catapulte
scaraventano dentro la città i cadaveri di appestati. I genovesi non capiscono bene la loro tattica, pensano
che stiano attuando una tecnica terroristica, cioè scagliano i cadaveri per spaventare le persone o per
peggiorare le condizioni igieniche, non sanno che c’è la peste. I genovesi senza saperlo si infettano,
alcune navi genovesi salpano da Caffa e transitano da Costantinopoli, la peste arriva a Costantinopoli nel
1347, poi le navi arrivano nell’Egeo, si fermano a Messina e qui contagiano la città. A questo punto la
peste risale tutta la penisola e dilaga per tutta l’Italia, la penisola iberica, nel Maghreb. Nel 1348 la peste
arriva a Firenze, sappiamo dalle fonti fiscali che a Firenze muore metà della popolazione, cioè nel giro
di qualche mese muoiono 50mila persone. Troviamo una situazione simile in molte città del tempo. La
peste uccide soprattutto nei centri urbani perché la il contagio va più veloce. Complessivamente si parla
di 25/30milioni di morti, una vera e propria ecatombe, che avviene in tempi rapidissimi, in 5/6 mesi
esaurisce la sua carica distruttiva in maniera violentissima. Quasi tutti quelli che si ammalano muoiono,
quelli che si salvano sono quelli che non si sono presi la malattia perché il sistema immunitario ha
rigettato la malattia. E’ una catastrofe demografica immane. La peste ha avuto un impatto fortissimo,
stiamo parlando di città che vedono la metà della popolazione nel giro di qualche mese. L’aspetto di
lungo periodo di questa vicenda è che la peste rimane endemica in Europa, quindi periodicamente si
ripresenta, non con i caratteri pervasivi, cioè non colpisce tutta l’Europa in un arco di tempo molto
ravvicinato però si presenta qua e la e rimane a livello endemico per moltissimo tempo, pensate alla peste
che racconta il Manzoni, nel 1630. L’ultima grande peste si verifica a Marsiglia all’inizio del 700, poi
attraverso il miglioramento delle condizioni igieniche in Europa non si è più presentata. Una peste che si
presenta cosi tanto spesso tende ad impedire la ripresa demografica, sappiamo che in Italia tra il 1348 e
il 1502 si sono verificate circa 38 ondate di peste, alcune più localizzate altre meno. In Inghilterra tra il
1349 e il 1485 si sono verificate circa 30 epidemie di peste. Insomma l’Europa rimane sotto scacco, la
demografia ne risulta sconvolta, alcune città sono molte rimpicciolite, alcuni villaggi vengono
abbandonati, soprattutto nelle zone poco abitate anche prima della peste, perché in queste zone poche
abitate dove il popolamento è concentrato in villaggi i e i villaggi sono molto lontani uno dall’altro,
quindi dopo il passaggio della peste questi villaggi vengono abbandonati perché non è più conveniente
vivere in questi villaggi e si trasferiscono nei villaggi o paesi più grandi. Questo è evidente nelle zone
dove il popolamento è rado e concentrato, per esempio nella zona dell’Europa orientale, in Scandinavia,
la Sardegna, in Maremma. Le città cercano di attirare i migrati, mentre prima della peste la politica
demografica delle città, sopratutto delle grandi città era molto selettiva, cioè c’era proprio scritto nei
ordinamenti pubblici e nelle leggi varate che volevano far entrare solo i ricchi mentre i poveri dovevano
rimanere nelle campagne, cioè c’era una selezione molto forte su base censitaria per quanto riguarda
l’immigrazione in città, dopo la peste invece si spalancano le porte tutti, perché c’è bisogno di mano
d’opera, perché la popolazione è troppo ridotta quindi c’è anche il problema delle entrate fiscali. Poi ci
sono cambiamenti anche per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro e i consumi. La peste innesca
cambiamenti epocali, drammatici ma non tutti i cambiamenti sono necessariamente negativi, infatti chi
sopravvive vede cambiate le proprie condizioni di vita e spesso per i poveri questi cambiamenti sono
positivi. Pensate a un mezzadro, ad un operaio, ad un manovale dell’edilizia, tutte queste persone sono
nella condizione di chiedere retribuzioni maggiori perché la mano d’opera è minore, oppure contratti
agrari più favorevoli, quindi questa situazione ha messo i poveri nella condizione di ottenere qualcosa, e
lo attendono infatti perché dopo la peste tutte le retribuzioni salgono e salgono in maniera vertiginosa.
Ma il costo del lavoro sale e anche i consumi dei ceti umili cambiano, prima mangiavano pane e zuppe
di cereali (perché i cereali garantiscono a parità di prezzo maggiori calorie), era una dieta molto monotona
incentrata sul consumo di pane, verdure e zuppe, la carne era un lusso e anche il vino. Dopo la peste i
poveri cominciano ad adottare una dieta più diversificata, mangiano più carne, soprattutto ovina o suina,
avendo un budget familiare più elevato si comprano un vestito, delle scarpe, degli attrezzi in più. Questo
peso su scala famigliare può risultare insignificante ma su scala continentale innesca cambiamenti
significativi che si ripercuotono sul mondo del lavoro e sul mondo delle produzioni, infatti chi ha molta
terra dopo la peste non può orientare le produzioni delle proprie terre come faceva prima, è inutile
coltivare solo cereali perché i mercati non assorbono più quella produzione, perché se 1/3 delle dei
consumatori è morto già questo induce il produttore a ridurre la produzione dei cereali, ma se a questo si
aggiunge il fatto che i ceti umili mangiano meno cereali di prima allora la riduzione dei cereali è ancora
più forte, accade che nel medio lungo periodo i grandi proprietari terrieri riconvertono le produzioni, i
terreni più marginali, di collina vengono progressivamente riconvertiti in vigneti, oliveti, zone dove si
piantano i gelsi, che servono per la gelsibacchiocultura cioè l’allevamento del bacco da seta, oppure la
canna da zucchero (Sicilia), oppure, come spesso avviene in molte zone dell’Europa non solo
mediterranea nel basso medioevo, le terre coltivate si trasformano in pascoli, cioè ci si mettono le pecore,
questo perché l’allevamento ovino è meno dispendioso da un punto di vista degli investimenti della
cerealicoltura, inoltre le pecore garantiscono la lana, con cui si fanno le stoffe e perché le pecore
garantisco una serie di prodotti alimentari, dal latte ai derivati dal latte, alla carne per i quali la domanda
è in crescita. Quindi ci sono conversioni importanti nel settore agricolo e agropastorale. Le riconversioni
sono imposte anche nel settore delle manifatture urbane, perché dopo la peste tutti i salari salgono quindi
c’è il problema del costo del lavoro, questo è particolarmente evidente nel settore dell’industria laniera,
perché in questo settore oltre la metà dei costi di produzione se ne andava in salari, il costo del lavoro
incideva tantissimo nel confezionamento delle stoffe di lana, non tanto perché operai e artigiani fossero
pagati bene, ma perché le fasi in cui era articolata la produzione laniera erano cosi tante che poi sommati
insieme tutti i compensi mettevano su una cifra significativa. Questa attività qui, come quella edilizia,
risente dell’aumento del costo del lavoro, quindi c’è bisogno di pensare anche ad una eventuale
riconversione. Non è un caso che dalla seconda metà del 300, soprattutto in Italia e molto più tardi in
Europa, si diffonda una manifattura tessile nella quale lavorano molte meno persone ma molto più
qualificate, manifattura tessile nella quale ciò che conta è il reperimento delle materie prime e lo smercio
a livello internazionale dei prodotti finiti. Stiamo parlando dell’industria della seta, questa dal tardo 300
in poi e soprattutto nel 400 diventa una delle principali manifatture di alcune città italiane. E’ una
manifattura nella quale il costo del lavoro incide meno perché le fasi della trasformazione sono molto
più ridotte, è una fattura nella quale contano molto le conoscenze tecniche, il saper fare, infatti i telai di
seta sono oggetti difficili da maneggiare quindi ci vuole esperienza, capacità, formazione, le stoffe di
seta poi sono beni di lusso, destinati ai ricchi, i quali dopo la peste sono più ricchi di prima, perché la
peste uccide le persone, ma non distrugge i patrimoni quindi gli eredi sono molti meno e quello che
magari prima veniva ereditato da tre o quattro persone ora viene ereditato da una sola. La capacità di
spesa dei ricchi dopo la peste cresce e i ricchi che hanno una capacità di spesa superiore tendono ad
investire molto nel lusso, nel prestigio, nella rappresentanza. L’industria della seta del rinascimento
diventa una sorta di made in Italy ante litteram, tutti i potenti dell’Europa rinascimentale si vestivano con
stoffe di seta prodotte nelle città italiane. Vestirsi all’italiana nell’Europa rinascimentale era il massimo
a cui poteva aspirare un sovrano, un cardinale, un vescovo, un nobile del tempo. Questa grande industria
che si sviluppa in parte come conseguenza dei cambiamenti epocali dopo il passaggio della peste nera.
Vediamo un documento che ci parla delle conseguenze della peste nera sui consumi e sui salari, Matteo
Villani cronista borghese descrive gli effetti della peste nera. Matteo Villani è il fratello minore di
Giovanni Villani, famoso cronista del 300 che continua la narrazione del fratello e ad un certo punto
descrive quello che è accaduto in città dopo la grande pandemia. Ci dice:
“Credettesi che gli uomini, i quali Iddio per grazia avea riserbati in vita, avendo veduto lo sterminio dei
loro prossimi, e di tutte le nazioni del mondo, udito il simigliante, che divenissono di loro migliore
condizione, mili, virtudiosi e cattolici, guardassonsi dall’iniquità e dai peccati, e possono pieni d’amore
e di carità l’uno contra l’altro. Ma di presente restata la mortalità apparve il contrario che gli uomini
trovandosi pochi, e abbandonati per l’eredità e successioni di beni terreni, dimenticando le cose passate
come se state non fossero, si diedero alla più sconcia e disordinata vita che prima non avevano usata.
Perché vacando in ozio, usavano dissolutamente il peccato di gola, i conviti, le taverne e delizie con
dilicate vivande, e giuochi, scorrendo senza freno alla lussuria, trovando nei vestimenti strane e disusate
fogge e disoneste maniere, mutando nuove forme a tutti gli arredi. E il popolo minuto, uomini e femmine,
per la soverchia abbondanza che si trovavano nelle cose, non volevano lavorare agli usati mestieri: e le
più care e delicate vivande volevano per la loro vita, e allibito si maritavano, vestendo le fanti e le vili
femmine tutte le belle e care robe delle orrevoli donne morte. E senza alcun ritengo quasi tutta la nostra
città (Firenze) scorse alla disonesta vita; e cosi, e peggio, l’altre città e province del mondo.
Stimossi per il mancamento della gente dover esser dovizia di tutto le cose che la terra produce, e in
contrario per l’ingratitudine degli uomini ogni cosa venne in disusata carestia, e continuò lungo tempo:
ma in certi paesi, come al tempo narremo, furono gravi e disusate fami. E ancora si pensò essere dovizia
e abbondanza di vestimenti, e di tutte l’altre cose che al copro umano sono in bisogno oltre alla vita, e
al contrario apparve in fatto lungamente; che due cotanti o più valgono la maggior parte delle cose che
valere non solcano innanzi alla detta mortalità. E il lavorio, e le manifatture d’ogni parte e mestiere
montò oltre al doppio consueto disordinatamente.”
Villani dice che dopo uno sterminio di questo tipo ci si aspetta che gli uomini diventino migliori, più
buoni ma succede il contrario. Villani trova eticamente riprovevole questa reazione psicologica degli
italiani del tempo, ma poi lui essendo esponente dell’élite borghese ce l’ha soprattutto con il popolo
minuto, che non volevano più lavorare con le paghe di prima, quindi scioperavano, non andavano a
lavorare. Narra una corruzione che non è limitata ad alcune città dell’Italia, ma si estende in tutta
l’Europa. Il lavorio, il costo del lavoro, aumenta disordinatamente, disordinatamente per un esponente
del mondo mercantile, se avessero chieste ad un operaio dell’arte della lana non avrebbe utilizzato questo
avverbio.
Una volta che passa la peste i raccolti rimangono sui campi, il lavoro si ferma, c’è un momento che dura
circa due o tre anni di disordine assoluto, in questo tempo i prezzi aumentano tantissimo perché le marci
non vengono messe sul mercato. Poi le attività produttive riprendono e quando riprendono si capisce
bene la tendenza, i prezzi dei cereali ristagnano perché i consumatori sono estremamente ridotti, e
aumentano i prezzi di beni che ora hanno uno smercio che prima non avevano, per esempio i tessuti a
buon mercato, la carne economica, ovina. Il mercato è cambiato rispetto al periodo precedente.
Stiamo parlando di un contesto, della seconda metà del 300, che vede un miglioramento del tenore di
vita dei ceti bassi, però questo stesso periodo è lo stesso nel quale si manifestano in maniera più forte
tutta una serie di sommosse popolari, sia nel campagne che nelle città. Queste rivolte non hanno alla base
una motivazione che deriva da condizioni di fame o di disagio, in realtà molte di queste sommosse sono
legate alla preoccupazione di questi ceti popolari di perdere questo relativo bene acquisito. La peste ha
messo in condizione i contadini e i salariati di vivere meglio di prima, ma i governi, sia negli stati
monarchici che negli stati a base urbana, stanno facendo di tutto per comprimere i salari e riportare il
costo del lavoro al periodo precedete, da qui nasce la preoccupazione. Poi ogni rivolta ha il suo contesto
specifico, però ciò che scatena la rabbia dei rivoltosi è l’idea di perdere quel pò di benessere che hanno
ottenuto dopo la peste. Ci sono tantissime rivolte in Europa, ma di queste, 3 sono quelle più importanti:
La rivolta dei contadini francesi, la jacquerie del 1358
La rivota dei contadini inglesei, 1381
La rivolta dei salariati dell’arte della lana, dei ciompi a Firenze, 1378.

Partiamo dalla rivolta dei contadini francesi, questa prende il nome da uno di questi contadini che era
soprannominato Jacque Bonhomme, cioè Giacomo Buonuomo, in realtà lui non si chiama Giacomo ma
Guillaume Caillet, lo avevano soprannominato cosi perché Jacque era il nome che veniva dato ai
contadini, cioè utilizzavano questo nome per indicare una funzione, i contadini. Questa rivolta scoppia
nel 1358, perché all’epoca vi è una terra che pare interminabile tra la Francia e l’Inghilterra. Il re francese
è stato sconfitto e fatto prigioniero dagli inglesi. Gl inglesi chiedono per liberare il re francese, che era
stato portato a Londra, una ricompensa enorme, la nobiltà francese deve quindi rastrellare questa somma
e per farlo inasprisce i canoni fondiari che sono dovuti loro dai contadini, così scaricano il costo della
liberazione del re ai contadini. I contadini sono già infuriati per tutte le vicende belliche, per gli eserciti
che attraversano i loro campi, che li devastano e si ribellano, assaltano i castelli, devastano tutto e
incendiano gli archivi, dove sono conservati i contratti che nei loro confronti sono particolarmente
gravosi, disumani e che non tengono conto delle condizioni di vita dei contadini. E’ una situazione
drammatica, ci sono uccisioni, efferatezze, questi contadini cercano e trovano per un breve periodo degli
accori con gli artigiani e con i piccoli commercianti di Parigi, però ad un certo questo questa rivolta
prende una piega tale che anche la piccola borghesia si spaventa. I contadini vengono abbandonati da
piccoli commercianti e artigiani delle città e a questo punto la nobiltà francese ha buon gioco, molti di
questi contadini verranno fatti a pezzi, ci saranno circa 20mila morti, sono contadini soprattutto delle
campagne introno a Parigi.
Un cornista francese Jean Froissart racconta tutte le vicende, ovviamente calcando la mano su tutti i
crimini commessi dai contadini, per mettere in evidenza la crudeltà, la disumanità dei contadini, quasi
per giustificare la reazione nobiliare che porta al massacro dei 20mila contadini. Questa rivolta contadina
che si lega alla vicenda bellica della guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra è forse la rivolta
contadina più basic, nel senso che non c’è un piano politico dietro, c’è uno scontento represso da anni
che ad un certo punto esplode e porta ad un confronto il cui esito finale non poteva che essere la reazione
nobiliare.

Un’altra rivolta, dal carattere più complesso di quella della Jacquei francese, è quella che vede
protagonisti i contadini inglesi. Siamo sempre nel contesto della guerra dei cent’anni tra Francia e
Inghilterra. La guerra nel tardo medioevo non produce tanti morti, solo le guerre recenti dall’età
napoleonica in poi producono tanti morti, ma la guerra nel tardo medioevo aveva una conto indicazione
per i civili, cioè l’aumento delle tasse, perché per fare la guerra ci vuole molto denaro e per avere molto
denaro un sovrano deve imporre tasse straordinarie. Siccome spesso la nobiltà era refrattaria a pagare le
tasse era più facile tassare i poveri rispetto che i ricchi. Cosi nell’Inghilterra per sovvenzionare la guerra,
si impone la Toll Tax, il testatico, è una tassa fissa che va a colpire la singola persona, ogni persona deve
pagare 100 euro, indistintamente. E’ una tassa iniqua, infatti l’imposizione della Toll Tax è un evento
scatenante, scatena la rabbia dei contadini inglesi. Solo che dietro la rabbia dei contadini inglesi ci sono
dei predicatori, c’è tutto il basso clero di campagna, c’è una parte della chiesa anglosassone che fa fronte
comune con i ceti utili. Come si vede da un passo della cronaca di Jean Froissart, che dice:
“In Inghilterra e in molto altri paesi c’è la consuetudine che i nobilitano grande potere sui loro uomini
e li tengono in servitù: ciò vuol dire che per diritto e per usanza di questi devono arare i campi dei
signori, mietere il grano e portarlo al stellò e fare altri lavori del genere; e devono quegli uomini fare
tutto questo per servitù ai signori, che in Inghilterra sono più numerosi che altro, laici ed ecclesiastici
che devono essere serviti, e specialmente nelle contee di Kent, Essex, Sussex e Bedfordshire ce ne sono
più che nel resto d’Inghilterra.
Quei malvagi ( i contadini) nelle regioni che ho nominate cominciano a solleverai perché dicevano che
li si teneva in troppo grande servitù e che all’inizio del mondo non c’erano servi e signori e che essi
erano uomini come i loro signori ma erano tenuti come bestie, cosa che essi non volevano e non potevano
sopportare, ma volevano essere tutti uniti, e, se aravano o facevano qualche altro lavoro per i loro
signori, volevano ricevere il salario.
In questi furori li aveva sostenuti precedentemente un folle prete inglese della contea d Kent, che si
chiamava John Ball e che, per le sue folli parte, era stato messo in prigione per tre volte dall’arcivescovo
di Canterbury, perche questo John Ball aveva l’abitudine, ogni domenica dopo la messa di raccogliere
il popolo intorno a se e di predicare e diceva: “Buona gente, le cose non possono andare bene in
Inghilterra e non andranno bene fino a quando i beni non saranno diventati comuni e non ci saranno ne
nobili ne villani, ma saremo tutti uniti. Perché quelli che noi chiamiamo signori sono nostri padroni?
Come l’hanno ottenuto’ Perché ci tengono in servitù? Se veniamo tutti da un padre e da una madre,
Adamo e Eva, come possono essi dire e dimostrare che sono meglio di noi, forse perche ci fanno produrre
quello che poi essi usano e consumano? Sono vestiti di velluti e di seta e di pellicce, e noi siamo vestiti
di poveri panni. Hanno vini, spezie e buon pane, e noi abbiamo segale, il letto di paglia e beviamo acqua.
Essi hanno i bei castelli e noi la pena e la fatica, e la pioggia e il vento nei campi e da noi e dalla nostra
fatta viene tutto quello che essi hanno. Ci chiamano servi e ci battono se non faccio subito i servizi per
loro; e non abbiamo sovrano al quale far giungere i nostri lamenti o che ci voglia ascoltare e rendere
giustizia. Andiamo dal re, egli è giovane, mostriamogli la nostra servitù, diciamogli che noi vogliamo
che sia diversamente oppure noi stessi procureremo il rimedio. Se ci andiamo davvero, e tutti insieme,
tutti quelli che sono chiamati servi e tenuti in servitù, per essere affrancati, noi raggiungeremo lo scopo.
E quando il re ci vedrà e ascolterà, di buon grado o in altro modo si troverà il rimedio.”
I nobili sono cattivi, ma il re è buono, questo era il pensiero espresso.
Infine parliamo del tumulto dei Ciompi.
Abbiamo una città, Firenze, in lotta con il papa, una cittadella nella quale non si può dire la messa perché
il papa ha lanciato l’interdetto e tutti i sacramenti sono sospesi, una città nella quale ci sono fazioni
importanti di uomini d’affari che si contendono il potere e ci sono gli operai che sono scontenti, visto
che c’è un periodo di disoccupazione, l’arte della lana si trova in quel momento in difficoltà. Ad un certo
punto uno di questi capi delle famiglie fiorentine aizza il popolo minuto sperando demagogicamente di
ottenere con l’appoggio degli operai e dei piccoli artigiani, la possibilità di scacciare dal governo della
città l’oligarchia tradizionale. Sembrerebbe un gioco tutto interno al ceto dirigente, il problema è che
queste masse popolari una volta chiamate a combattere per qualcuno si rendono conto che possono
combattere per se stessi. Cominciano a chiedere cose nuove, cominciano a chiedere l’aumento dei salari,
di non essere pagati con monete che poi vengono svalutate, poi un sistema fiscale più equo, un’imposta
diretta sui patrimoni. “Muoiano le gabelle e il popolo grasso” questo era il grido di battaglia dei ciompi,
le gabelle cioè le tasse sui consumi e la borghesia dei banchieri e dei grandi mercanti. Questa sommossa
comincia con alcune case bruciate degli oligarchi cittadini e poi continua con l’ottenimento da parte dei
operai dell’arte della lana, di una loro corporazione, perché in un comune come Firenze, ma è una realtà
che troviamo a Perugia, Bologna e in altre città del tempo, la corporazione non è semplicemente
un’associazione di mestiere, ma anche una forma di rappresentanza politica, i rappresentanti della città i
priori sono espressi della Arti, cioè dalle corporazioni. Grazie a questa sommossa ottengono di poter
avere una propria Arte e cercano di imporre le loro misure di politica economica. Il problema è che tutti
i piccoli artigiani che avevano la loro arte, anche se non contava niente, si spaventano, tutti questi piccoli
padroncini di bottega che all’inizio pensavo di far fronte comune con gli operai per ottenere a loro volta
maggior potere sono spaventati dalle idee di sovvertimento sociale portate avanti da questi ciompi. E’ un
sovvertimento dell’ordine sociale che fa paura a vari starti della popolazione, così questi ciompi vengono
fatti fuori dal poter, molti sono esiliati, alcuni capi vengono impiccati, e cosi si eliminerà anche questa
breve parentesi rivoluzionaria ma questa rivoluzione avviene in un contesto nel quale il riferimento
religioso è sempre fondamentale, quando i ciompi costituiranno la loro corporazione per cercare di
cambiare la politica della città chiameranno questa corporazione L’Arte dei poveri di Dio, il riferimento
evangelico è ancora fondamentale. La rivolta dei ciompi verrà considerata nei secoli dopo come uno dei
primi momenti di coscienza di classe da parte dei ceti umili.

Lezione 18

Stati regionali italiani del 300 e del 400, guerra dei 100 anni tra Francia e Inghilterra.

Stati regionali per l’Italia del 300 e 400 perché l’Italia non ha avuto uno Stato unitario, ne paragonabile
come dimensioni agli Stati che si trovano oltralpe, Francia, Inghilterra, Polonia, Ungheria e via dicendo,
ma ha avuto una dimensione regionale o anche un pò più grande se consideriamo il mezzogiorno d’Italia.
Abbiamo lasciato gli stati all’inizio del 300, vediamo cosa accade negli ultimi due secoli del medioevo
a livello istituzionale e politico.
Occorre soffermarsi su un fenomeno che tende ad interessare tutta l‘Italia, ma più nello specifico l’Italia
di tradizione comunale. Questo fenomeno si può inquadrare con la definizione di Rallentamento della
mobilità sociale. Abbiamo parlato di come lo sviluppo economico, la crescita demografica, la nascita di
nuovi mestieri, l’arricchimento rapido di ceti emergenti fossero stati accompagnati da fenomeni di
marcata mobilità sociale. La mobilità sociale significa un ricambio molto forte sia in basso che in alto
per quanto riguarda le famiglie importanti, eminenti. Basterebbe leggere alcuni versi di Dante per capire
come la società del suo tempo fosse una città nella quale i processi di arricchimento si portavano dietro
cambiamenti sociali importanti, con tante famiglie nuove che si affermavano e magari vecchie famiglie
aristocratiche che decadevano. La mobilità sociale è quel fenomeno che nell’Italia odierna è praticamente
assente, perché non c’è dinamismo economico. Questo fenomeno tende a rallentare nel corso del 300 e
ancora di più nel corso del 400, cioè la società si stabilizza, i ceti eminenti creano una serie di meccanismi
istituzionali per impedire ai nuovi ricchi di emergere, la società si va in una certa misura ingessando.
Questo fenomeno si può vedere in maniera macroscopica in una realtà come Venezia, che è una grande
città mercantile, ha tante famiglie impegnate nel commercio marittimo e che alla fine del 200 e all’inizio
del 300 vara una serie di riforme politiche passate alla storia come Serrata del Maggior Consiglio. Il
maggio consiglio era a Venezia il massimo organo assembleare, il consiglio comunale più grande, questo
poi nominava i funzionari dei consigli ristretti, era l’organo principale della politica veneziana. In seguito
a queste riforme si stabilisce che a Venezia solo i discendenti di coloro che sono stati membri del Maggior
Consiglio possono entrare a far parte di questo organo, quindi entrare a far parte di vari uffici dello Stato,
cioè si sancisce per legge che a Venezia da questo momento in poi ci sarà una nobiltà, si fa proprio
l’elenco di cognomi di famiglie che possono entrare a far parte del consiglio, quindi avranno anche diritto
ad entrare in Senato, nel Consiglio dei dieci e in tutte le altre magistrature dello stato veneziano. A
Venezia si sancisce per legge che un ceto ristretto ha diritto a governare lo Stato, tutte le altre famiglie
che non hanno antenati che hanno ricoperto questa carica sono esclusi, si stabilisce un discrimine tra chi
può avere un ruolo politico in città e chi no. La gran parte delle famiglie che dominano a Venezia
all’inizio del 300 sono le stesse che dominano nel 700, quindi la società si ferma, c’è un intervento forte
a livello politico per determinare un blocco della mobilità sociale. Altrove in Italia il fenomeno non è
cosi macroscopico, non è sancito in maniera cosi chiara sul piano giuridico e politico però, anche se non
è così evidente, di fatto avviene qualcosa di simile, cioè le famiglie dominanti fanno blocco e
impediscono il ricambio sociale. Questo è particolarmente evidente nelle realtà nelle quali nella seconda
metà del 300 e nel 400 si avvertono evidenti segni di recessione economica, il che impedisce la
formazione di nuovi ricchi e il blocco della mobilità sociale è determinato dalla contingenza generale,
non tanto da un blocco politico ma soprattutto dal fatto che l’economia si ferma.
Il polo opposto al caso veneziano è rappresentato dalla società fiorentina, nel quale non esiste nessun
blocco legale alla mobilità sociale, l’economia continua quindi la formazione di nuovi ricchi continua
per tutto il 300, e questo rallentamento della mobilità sociale si avvertirà soltanto nel XV secolo.
Questo è il contesto in cui maturano gli avvenimenti politici, un contesto nel quale la società tardo
medievale italiana si va aristocratizzando, anche i vecchi ceti che si erano arricchiti con le attività
mercantili tendono ad assumere atteggiamenti, stili di vita tendenzialmente aristocratica, i loro consumi
sono a loro volta un riflesso di questa tendenza all’aristocratizzazione dei ceti dirigenti urbani. Il
rinascimento nel suo aspetto architettonico, decorativo e iconografico è anche questo, cioè la messa in
scena attraverso l’arte di un ceto di vecchi mercanti e imprenditori che ha deciso di aderire ad uno stile
di vita più nobiliare.

Avvenimenti politici e militari che portano alla formazione degli stati regionali del rinascimento:
Il panorama iniziale sopratutto nel centro nord della penisola all’inizio del 300 è un panorama molto
frammentato, perché reduce dal periodo comunale nel quale lo Stato si identificava con uno spazio molto
ridotto, cioè la città e l campane circostanti. C’erano già delle città più potenti che tendevano a
sottomettere città più vicine, come Milano, ma questo fenomeno era appena agli esordi. Nel corso del
XIV secolo questo fenomeno si irrobustisce, alcune città sottomettono altre città e creano degli Stati con
una base regionale significativa.
Le lunghe guerre che caratterizzano l’Italia tardo medievale sono avviate da una dinastia di signori
cittadini, questi sono i Della Scala di Verona. Infatti, con l’età di Cangrande della Scala, che è signore di
Verona dal 1291 al 1329, gli scaligeri iniziano una fase espansiva prima in tutto il Veneto poi in tutta
l’Italia settentrionale. Con Cangrande Della Scala e con i suoi successori, in particolare con Mastino II
(1329-1351) lanciano un’offensiva militare per soggiogare le vicine città venete e poi anche altre città
dell’Italia settentrionale. Gli Scaligeri occupano Vicenza, Padova, Treviso, Brescia, Parma e Lucca,
siamo nella metà del 300. Di fronte all’espansionismo di Verona le altre grandi potenze del tempo
(Venezia, Milano, Firenze) si coalizzano di fronte al nemico comune. I Della Scala vengono sconfitti
ripetutamente e si devono accontentare di governare Verona e Vicenza, la altre città tornano in mano o a
governi comunali o più spesso a Signori, per esempio a Padova per quasi tutto il 300 governano i Da
Carrara, che sono anche quelli che ospiteranno Petrarca più volte, che era spesso al servizio di questi
signori. I Della Scala sono confinati a Verona e a Vicenza. Alla metà del XIV secolo la dinastia signorile
urbana che mostra il maggiore dinamismo e il maggiore espansionismo è quella dei Visconti di Milano.
I Visconti appartengono alla più antica cavalleria milanese. I Visconti sono all’origine di tutta una serie
di guerre che si attuano nell’Italia settentrione e centrale nella seconda metà del 300. Verso la fine del
300 entra in scena Gian Galeazzo Visconti, che prende il potere nel 1385 facendo assassinare lo zio,
compra il titolo di duca dall’imperatore nel 1395, a quel punto non è più solo signore di Milano e dei
domini milanesi ma diventa anche un principe dell’impero, quindi da questo momento in poi si stacca
dal mondo aristocratico milanese e diventa un principe, non starà quasi mai a Milano, ma nel castello
visconteo fatto erigere a Pavia. Gian Galeazzo non vorrà finanziare in nessun modo la nuova cattedrale
milanese, che invece sarà finanziata dal patriziato di Milano perché l’obiettivo di Gaeazzo è di presentarsi
ai suoi sudditi come principe dell’impero, non come un primus inter pares, vuole rompere i legami diretti
con le altre famiglie del patriziato milanese. Giangaleazzo è il protagonista assoluto della politica italiana
degli ultimi due decenni del XIV secolo.
Gian Galeazzo arriva a conquistare Pisa, Siena, Perugia, Assisi, Bologna, Verona, Vicenza e altre
porzioni del Veneto. All’inizio del 400 Gian Galeazzo sembra il dominus della politica italiana, porta
addirittura il suo esercito sotto le mura di Firenze, per eliminare quello che lui reputava essere rimasto
l’ultimo nemico da abbattere. Nel 1402 muore di una delle tante ondate di peste che colpivano l’Italia.
Alla notizia della morte di Gian Galeazzo a Firenze si suonano a lungo le campane a festa. Questo
dominio formato da Gian Gaelazzo Visconti dimostra il suo carattere effimero, perché una volta morto
lui questo stato è fatto a pezzi nel giro di pochissimo tempo. I figli sono molto giovani, non ancora
maggiorenni, i suoi capi delle milizie mercenarie tendono a ritagliarsi signorie in vari angoli della
Lombardia, del Piemonte e del Veneto. Soprattutto di fronte a questa debolezza del potere visconteo
Firenze e Venezia si coalizzano e attaccano questo Stato senza guida. Accade che si formano proprio
sulle ceneri di questo effimero impero visconteo due Stati regionali italiani: la Repubblica di Firenze e
la Repubblica di Venezia.
Venezia:
All’indomani del crollo dello Stato visconteo Venezia occupa praticamente tutto il Veneto, già nel 1405
Verona si sottomette a Venezia e poi tutto il resto della regione. Nel 1420 la Repubblica di Venezia
sottometterà anche il patriarcato di Aquileia, quindi tutto il Friuli, poi attraverso una serie di guerre negli
anni 20 del 400 i veneziani arriveranno ad occupare città lombarde come Brescia e Bergamo. Questo è
come si presenta lo Stato veneziano alla metà del 400: tutto il Veneto e il Friuli una porzione di
Lombardia, Brescia e Bergamo, quindi il confine con lo Stato milanese corre lungo il fiume Adda.
Per secoli fra lo stato milanese e lo stato veneziano correrà il fiume Adda.
Lo Stato veneziano comprende anche una porzione importante, della costa dalmata, le zone che oggi
fanno parte della Croazia, città come Zara, Spalato. Lo Stato veneziano è uno Stato multiforme, perché
ha una parte importante del’Italia settentrionale, poi domina l’Istria, le isole greche, la Dalmazia.
Firenze:
E’uno Stato più piccolo e meno potente di quello veneziano. Si forma in seguito alle lunghe guerre contro
i Visconti in seguito alle quali Firenze sottometterà varie città della Toscana, la più importante tra queste
è Pisa, nel 1406.
Al termine di questa lunghissima fase di guerre prende forma un panorama politico che avrà una stabilita
di gran lunga superiore a quello precedente.
Dalla cartina si nota anche che ci sono Stati piccoli che hanno avuto una grandissima importanza dal
punto di vista della cultura e dell’arte, per esempio Ferrara governata dagli Estense, principato
territorialmente non molto esteso ma molto importante dal punto di vita artistico, come per esempio il
Ducato di Urbino. Poi c’è lo Stato di Genova, che è uno Stato debole perché i genovesi sono interessati
soltanto ai loro affarai quindi investono poco nella politica, poi ci sono Stati anche più piccoli come
quello di Siena che ormai nel 400 è il larga parte spopolato, poi c’è lo Stato della Chiesa che è in una
fase abbastanza caotica ma dopo il ritorno del papa a Roma dopo il 1417 riprende a controllare vaste
zone dell’Italia centro settentrionale. In alcune zone i papi permettono alcune autonomie politiche a
signori che vengono nominati vicari pontifici, cioè facente funzione come se fossero dei funzionari
pontifici, questo accade a Rimini con i Malatesta.

Nel Mezzogiorno d’Italia:


Eravamo fermi al conflitto che scoppia tra aragonesi e angioini scoppiato all’indomani della guerra del
Vespro, conflitto che si era concluso nel 1302 con la pace di Caltabellotta. Secondo questa pace la Sicilia
era governata da un ramo laterale dei sovrani aragonesi poi alla morte di Federico III l’isola sarebbe
dovuta tornare agli Angiò, cosa che non verrà mai. Nel Mezzogiorno continentale gli Angiò continuano
a governare senza soluzione di continuità.
Mentre la Sardegna viene invasa dai Catalano-aragonesi negli anni 20 del 300, però nella seconda metà
del XIV secolo il giudice di Arborea, che è l’unico rimasto di questi sovrani isolani, si ribella alla
sovranità catalano-aragonese e comincia una guerra interminabile anche perché dietro i giudici di
Arborea ci sono i genovesi con le loro flotte e i loro pirati. Questa guerra dura 60/70 anni e si conclude
solo nel 1409 con la battaglia di Sanluri, in cui le truppe catalano-aragonesi sbarcano a Cagliari,
affrontano le truppe giudicali a Sanluri e pongono fine alla ribellione del giudice di Arborea. Il regno di
Sardegna sarà governato da funzionari mandati da Barcellona.
La Sicilia è governata per molti anni dal sovrano Federico III, il quale muore nell’anno 1337, da quel
momento in poi la monarchia di Palermo si trova in una situazione di estrema debolezza, il controllo
delle province è sempre più labile, perché grandi famiglie del baronaggio o di recente emigrazione, cioè
famiglie catalane, o famiglie di tradizione più antica, si dividono il potere. Il sovrano è in balia del
baronaggio siciliano. La Sicilia si trova accartocciata su se stessa nel corso del XIV secolo, mentre prima
era stata la protagonista di una politica italiana, mediterranea e addirittura europea. Negli anni 90 del 300
facendo leva su tutta una serie di privilegi di natura dinastica, Martino il Giovane, re della corona di
Aragona, poiché vantava diritti per via matrimoniale sulla Sicilia varca sull’isola con un proprio esercito,
doma la ribellione di alcuni baroni siciliani, alcuni di questi verranno anche decapitati nella pubblica
piazza di Palermo per dare l’esempio a tutti gli altri, e da quel momento in poi la Sicilia sarà governata
da vice re mandati da Barcellona. Quindi la Sicilia torna a far parte di un regno più vasto, questa volta la
corona di Aragona.
E’ dalla Sicilia nel 1408 che parte il grande esercito guidato da Martino il Giovane alla volta di Cagliari,
quindi l’esercito che affronta il giudice di Arborea nel 1409 proveniva in larga parte dalla Sicilia, da poco
riconquistata e amministrata. Dall’inizio del 400 la Sicilia e la Sardegna fanno parte di questo grande
Stato mediterraneo che è la Corona d’Aragona. E’ uno Stato molto composito perché mette insieme tanti
Stati diversi nella figura personale del sovrano, il re porta tutta una serie di titoli, è re d’Aragona, conte
di Barcellona, re di Valencia, re di Maiorca, re di Sardegna, re di Sicilia, questo perché la Corona
d’Aragona era una composizione di più regni, con anche autonomie governative importanti, con le
proprie tesorerie.
Il regno di Napoli che è amministrato e governato dagli Angiò finisce anche questo nelle mani dei re di
Barcellona, sempre attraverso meccanismi dinastici che non vanno mai sottovalutati. Il re di Aragona
Alfonso V agli inizi degli anni 30 del 400 ha sposato l’ultima erede del trono napoletano e reclama la
corona di Napoli. Rami collaterali degli Angiò si oppongono alle pretese di Alfonso V e comincia una
guerra che durerà dieci anni, all’inizio Alfonso V sembra aver fatto il passo più lungo della gamba, perché
per una spedizione del genere ci volevano tanti finanziamenti, ci voleva il concorso importante degli
armatori privati, dei mercanti che sovvenzionavo l’impresa e talvolta i prestiti di banchieri stranieri. Gli
Angiò per resistere all’espansione aragonese is alleano con i duchi di Milano e con i Genovesi. L’alleanza
con i genovesi avviene perché i mercanti genovesi erano spesso in concorrenza con i mercanti catalano-
aragonesi. Quindi la flotta genovese si dimostra un avversario temibile per gli aragonesi, tan’è che nel
1435 il re Alfonso V verrà sconfitto nelle acque vicine a Ponza, vicino al golfo di Napoli. Lo stesso
sovrano sarà fatto prigioniero e portato a Milano, perché la tempo Genova era sotto i Signori di Milano,
Filippo Maria Visconti. Alfonso V riesce a convincere il duca di Milano a cambiare alleanze, a schierarsi
dalla sua parte, organizzando anche una serie di matrimoni tra la dinastia catalano-aragonese e quella
milanese, a questo punto Alfonso V può entrare a Napoli da vincitore nel 1442. Il Regno di Napoli, la
Sicilia e la Sardegna fanno tutte parte dello stato Catalano-aragonese. Una volta morto Alfonso V che
passerà gli ultimi anni della sua vita a Napoli e lasciando la moglie a Barcellona a governare i regni
iberici, accade che il sovrano catalano-aragonese decide nel testamento che la Sardegna e la Sicilia
dovranno andare al suo primo genito, Giovanni, che quindi eredita tutti i domini iberici più le sue isole;
mentre a suo figlio naturale, cioè formalmente illegittimo, Ferdinando, andrà il Mezzogiorno. Quindi
dopo il 1458 la Sicilia e la Sardegna faranno parte del mondo iberico, il Mezzogiorno aver una sua
dinastia. La corona d’Aragona si unirà con i re di Castiglia quindi la Sicilia e la Sardegna entreranno a
far parte di un Stato molto più grande che avrà un ruolo enorme nella storia dell’Europa e del mondo
interno nel 500.
La Sicilia e la Sardegna avranno un destino iberico dopo il 1458. Da questo momento in poi i confini tra
gli Stati cambieranno molto poco nei decenni successivi. L’Italia tende a stabilizzarsi almeno per quanto
riguarda i confini dalla metà de 400, nella seconda metà del 400 ci sarà una politica ricercata da molti
signori e principi del tempo, basata sulla diplomazia per cercare di regolare i conflitti per via diplomatica
e non militare. Sono stati gli Stati del 400 che hanno inventato le ambascerie fisse, prima si usava
mandare diplomatici per trattare con altre città ma questo era un evento legato a eventi contingenti,
esistevano delle missioni diplomatiche. Non esistevano le ambasciate, sedi fisse dove si regolavano i
rapporti politici, questo nasce nel 400. Un esempio è il Palazzo Venezia a Roma, che si chiama cosi
perché dalla seconda metà del 400 in poi era la sede dell’ambasciatore veneziano a Roma. La diplomazia
è un prodotto tipico della civiltà italiana del rinascimento, di solito si collega questa grande stagione della
diplomazia italiana ad alcuni personaggi importanti, tra cui Lorenzo il Magnifico, signore di fatto ma
non di diritto, che viene definito dai contemporanei come “ago della bilancia”, cioè un personaggio che
grazie alla sue doti diplomatiche riusciva a tenere le fila dei rapporti tra i vari Stati italiani del 400. Questi
Stati cercano di regolare le proprie contese con la via diplomatica perché l’alternativa è la guerra e la
guerra sta diventando un affare sempre più costoso, perché gli armamenti sono sempre più pesanti e
perfezionati, la guerra diventa un vero e proprio mestiere che viene esercitato da professionisti, infatti è
questo il periodo in cui nascono le condotte militari. Le condotte militari sono dei contratti che i capitani
di guerra che sono dei mercenari fanno con vari Stati italiani del tempo, firmano questi contratti chiamati
contratti di condotta, da cui deriva il nostro termine condottiero, e il condottiero di impegna a fornire un
certo numero di armati, gli armati devono avere una determinata armatura e cosi via. Questi condottieri
però costano, a volte sono anche mal fidati. Caratterizzano la storia della guerra dell’Italia e dell’Europa
del 300 e del 400. Ci sono stati veri condottieri che hanno lasciato tracce nell’arte e nella letteratura, per
esempio Giovanni Acuto, raffigurato da Paolo Uccello nella cattedrale fiorentina di Santa Maria del
Fiore, oppure Gattamelata raffigurato a Padova di fronte alla basilica di Sant’Antonio, la sua scultura è
rappresentata da Donatello, oppure Bartolomeo Colleoni raffigurata a Venezia quindi questo condottieri
assumono un ruolo importante anche nella committenza artistica; il più famoso di tutti i condottieri è
Francesco Sforza, di origine romagnola che grazie alla sua attività di capitano di guerra mette insieme
un enorme patrimonio fondiario, poi sposa la figlia di Filippo Maria Visconti e quindi riesce a mettere le
mani su Milano, nel 1450.
La guerra invece attanaglia per lungo tempo altri stati europei, in particolare la Francia e l’Inghilterra.
Dagli anni 30 del 300 fino agli anni 50 del 400 questi due Stati sono stati sempre in guerra, anche se le
fasi belliche vere e proprie sono state alternate anche da fasi di assenza di ostilità in seguito a trattati che
poi sono stati scompensati. Questa lunga fase bellica che è passata alla storia con il nome di Guerra di
cent’anni, anche se dura circa 120 anni, trae origine dall’irrisolto rapporto tra i re d’Inghilterra e i re di
Francia. I re d’Inghilterra per le terre che possiedono in Francia sono vassalli del re di Parigi, molte di
queste terre le avevano perdute ma alcune le avevano conservate, in particolare la Guascogna, la zona di
Bordeaux dalla quale gli inglesi importavano quantità enormi di vino. La dinastia dei Plantageneti, la
dinastia che governava a Londra, era una dinastia di origine francese, i re inglesi sono stati di madrelingua
francese fino agli inizio del 300 poi dopo hanno iniziato ad essere madrelingua inglese ma hanno
utilizzato il francese molto a lungo, i documenti della cancelleria del 300 e del 400 sono scritti in francese,
che continua ad essere a lungo la lingua del potere. Nel 1328 in Francia muore l‘ultimo sovrano della
dinastia Capetingia, Carlo IV. A questo punto si pone il problema della successione del regno di Parigi.
I contendenti sono due: Edoardo III, re inglese, la cui madre era stata sorella di Filippo IV il Bello, quindi
per parte di madre il re inglese vantava dei diritti sul trono francese; Filippo di Balios il cui padre era
stato fratello di Filippo IV il bello, quindi il legame con la dinastia scomparsa era di tipo maschile, quindi
dal punto di vista giuridico aveva maggiori titoli.
La nobiltà francese appoggia la rivendicazione dei Balois e cosi lui diventa sovrano con il nome di Filippo
VI. Il re inglese però ci rimane molto male e dichiara al nuovo re che lui l’omaggio feudale per le terre
che ha in Francia non lo presterà più, non si considera più suo vassallo e non pagherà più il tributo.
Filippo VI allora dichiara Edoardo III fellone e occupa le terre che ha in Francia. Edoardo III dichiara
guerra nel 1337. La guerra però è un affare complicato, è molto costosa. Le guerre precedenti venivano
condotte dai vassalli del re, solo che questi stavano in guerra solo per 40 giorni dopo di che dovevano
essere remunerati. I sovrani cercano il meno possibile di fare ricorso ai vassalli, perché bisogna poi tener
conto delle richieste dei vassalli per l’autonomia politica e via dicendo quindi i sovrani ricorrono alle
milizie mercenarie. Il ricorso alle milizie mercenarie è un fattore di novità perché permette al sovrano di
tenere a bada le rivendicazioni politiche della nobiltà. L’unico problema è che è impegnativo pagare le
milizie mercenarie, quindi la guerra si porta dietro una crescita di scala della fiscalità. Questa è una
questione che si può verificare nel medio-lungo periodo, non si possono imporre tasse nel breve periodo
perché si incorrerebbe in sommosse, congiure. Allora il re deve impegnare le entrate future a chi è in
grado di fornire liquidità immediata. Edoardo III trova questi finanziatori nei banchieri fiorentini. Sono
i Bardi e i Peruzzi che cominciano ad anticipare somme enormi al sovrano attraverso le loro filiale di
Londra, perché il sovrano possa mettere in piedi l’esercito col quale invadere la Francia. Solo che queste
operazioni preliminari vanno a rilento, nel frattempo queste banche si sono esposte enormemente e a loro
volta hanno prestato al sovrano inglese somme faraoniche che sono il frutto di fondi versati da privati,
da cittadini di Firenze, di Milano, cioè un risparmio eterogeneo è stato rastrellato da queste banche e poi
girato in maniera incauta al re d’Inghilterra. Quando si comincia a sapere che queste banche sono a corto
di liquido e che non possono più pagare i depositi scoppia il panico. C’è la corsa allo sportello. Tutti
assalgono le banche per paura che non li possano ripagare, questo avviene a Napoli a Firenze, ad
Avignone. Accade quindi che queste grandi società d’affari fiorentine falliscono trascinando con se tutta
una serie di privati e altre imprese collegate. L’inizio della guerra dei cent’anni è collegata al primo
fallimento bancario della storia europea.
Poi Edoardo, il quale non restituirà mai niente ai creditori, comincia ad invadere la Francia, e lo fa
passando per le Fiandre, perché è la zona più vicina all’Inghilterra ed esistevano legamenti economici
molto forti tra Inghilterra e Fiandre. Si verificano le prime battaglie. La prima a Crecy nelle Fiandre, nel
1346. L’esercito inglese riesce a sbaragliare completamente l’esercito francese. L’esercito francese era
composto quasi completamente da cavalieri, la cavaliere francese era nota per la sua grande potenza di
sfondamento, gli inglesi però adottano una tattica di guerra particolare che mette in difficoltà i cavalieri
francesi. Nell’esercito inglese infatti ci sono tantissimi arcieri, non sono nobili sono generalmente medi
proprietari terrieri (free holders), l’esercito inglese è più “democratico” di quello francese, ci sono più
fanti e arcieri. Questi arcieri maneggiano un’arma molto pericolosa il cosiddetto long bow, l’arco lungo,
alto due metri, per tirare il quale ci vuole una forze e un certo esercizio. Gli inglesi prima di affrontare
direttamente la cavalleria scaraventano sui cavalieri nuvole di frecce, quindi colpendo o il cavallo o
direttamente il cavaliere, a quel punto passa la cavalleria inglese che fa strage dei feriti. Con questa
tecnica l’esercito inglese riesce a sconfiggere quello francese. Poi arriva la peste nera e la guerra si
interrompe, per riprendere negli anni 50. Nel 1356 si verifica un’altra battaglia a Puteaux, nuova grande
vittoria degli inglesi che fanno prigioniero il re francese. Di tutta queste vicenda ci parla Matteo Villani,
che raconta come il sovrano francese fu trasportato in Inghilterra e accolto dalla corte di Edoardo III:
“Avendo il duca di Guales (Galles) e di altri baroni d’Inghilterra condotto il re di Francia e ‘l figliuolo,
e gli altri baroni presi nella battaglia, nell’isola di Inghilterra, fecino assapere al re Adoardo la loro
venuta. Il re presente fece assembrare in Londra di tutta l’isola baroni e cavalieri d’arme e gran borghesi
per voler singulare festa in onore del re di Francia per la sua venuta; e fece ch’è cavalieri di vestissono
d’assisa (di parata), e li scudieri e borghesi; e, per piacere al loro re, ciascuno si sforzò di comparire
orrevole (onorevole) e bello: e ordinato fu che tutti andassono incontro al re di Francia e facessogli
reverenza e onore e compagnia. E ‘l re Adoardo in persona, vestito d’assisa, con alquanti de’ suoi più
alti baroni, avendo ordinata sua caccia a una foresta in sul cammino fuori Londra, si mise là con i detti
suoi baroni; e mandata innanzi incontro al re di Francia tutta la suddetta cavalleria, com’egli si
approssimò alla foresta, il re d’Inghilterra uscito dalla foresta per attraverso s’aggiunse col re di
Francia in sul cammino e, avvallato (calato) il cappuccio, inchinatolo con reverenza, gli disse
salutandolo: Bel caro cugino, voi siate ben venuto nell’isola dell’Inghilterra. E ‘l re avvallato il suo
cappuccio gli rispose che ben fosse egli trovato. E appresso il re d’Inghilterra l’invitò alla caccia; ed
egli lo merciò (ringraziò) dicendo che non era tempo. E il re disse a lui: Voi potete e a caccia e riviera
ogni vostro diporto prendere nell’isola. Il re di Francia gliene rende grazie. E detto: Addio bel cugino,
si ritornò nella foresta alla sua caccia. E ‘l re di Francia con tutta la compagnia del’Inglesi con gran
festa fu condotto nella città di Londra, essendo montato in sul maggiore destriero dell’isola, spagnolo,
adorno realmente e guidato da’baroni al freno e alla sella, come dimostramento di grande onore fu
guidato per tutte le buone vie della città, ordinate e parate a quello reale servigio, acciocché tutti gli
inglesi piccoli e grandi, donne e fanciulli li potessero vedere. E con questa solennità fu condotto fuori
dalla terra all’abitazione reale; e ivi apparecchiata la desinea (fracnesismo, vuol dire pranzo) con
magnifico paramento d’oro e d’arnesi e d’argento e di nobili vivande, fu ricevuto e servito alla messa
realmente; e di tutti gli altri baroni, e il figliuolo del re, ch’erano prigioni (cioè prigionieri) furono
onorati conseguentemente in questa giornata, che fu a dì 24 di maggio del detto anno (1356). Per questa
singolare allegrezza e festa di diede più piena fede che la pace fosse ferma e fatta; ma chi vuole riguardar
la verità del fatto, conoscerà in questo processo accresciuta la miseria dell’uno re e esaltata la pompa
dell’altro, e quello che si nascose nella simulata festa si manifestò appresso nei nefasti che ne
seguirono.”
Organizza un cerimoniale che serve per onorarlo e per fargli vedere la potenza di chi lo ha imprigionato.
Il re per essere liberato avrebbe dovuto pagare un grande riscatto, quindi una delle grandi conseguenze
di questa sconfitta è la rivolta dei contadini cioè la Jaquerie del 1358.
Con la pace di Bretigny del 1360 il re francese consegna agli inglesi tutta la porzione della Francia sud
occidentale e poi questo permette la formazione del ducato di Borgogna che avrà un ruolo molto
importante nella storia della Francia tardo trecentesca e soprattutto quattrocentesca perché questi duchi
saranno speso alleati degli Inglesi e saranno un grosso problema per il re di Parigi. Quindi la pace di
Bretigny segna una stasi nelle operazioni belliche, tra l’altro in questa occasione gran parte dei cavalieri
mercenari rimangono senza lavoro e si spostano in Italia. La guerra riprende 10 anni dopo, quindi introno
al 1370. I re di Francia non si azzardano a condurre l’esercito che sfidi in una battaglia in campo aperto
gli inglesi. La tattica adottata dai francesi è quello della terra bruciata, quindi distruggere i campi e i
raccolti dove si sono accampate le truppe inglesi, è una sorta di tecnica di guerriglia. Dopo un pò gli
inglesi devono fare marcia indietro perché non sono più in grado di mantenere i costi della difesa di quesi
territori, anche perché in questo periodo matura la rivolta dei contadini inglesi sempre per motivi fiscali.
Nel 1380 i domini inglesi si sono molto ridotti, in compenso i duchi di Borgogna hanno ingrandito il loro
territorio. Inoltre i duchi di Borgogna per via matrimoniale diventano anche i conti di Fiandra, quindi
controllano questa zona che può sembrare una zona insignificante per la sua estensione ma è in realtà
molto importante perché molto molto ricca, ci sono le grandi industrie tessili, c’è tutta l’attività portuale.
Questa tattica di guerriglia adottata dai re francesi sembra dare i suoi frutti, se non che con l’inizio del
400 le operazioni belliche riprendono anche perché il re di Francia Carlo VI dà evidenti segni di squilibrio
mentale, quindi la corona è in balia di questo sovrano che aveva diversi disturbi psichici. Il sovrano
inglese, Enrico V, decide di invadere di nuovo la Francia e far valere i suoi diritti. Nel 1415 si svolge una
grande battaglia nel sud delle Fiandre ad Azincourt, ennesima grande vittoria degli inglesi, a questo punto
nel 1420 con il trattato di Prois, Enrico V che sposa una figlia del re francese, va a Parigi e assume il
titolo di re di Francia. Questo titolo di re d’Inghilterra e re di Francia, i re di Londra l’hanno portato fino
all’età napoleonica. Enrico V che acquisisce enormi territori morirà pochi anni dopo il trattato, nel 1422,
per una infezione intestinale, una malattia banale ma molto diffusa al tempo anche perché l’acqua era
fonte di gravi infezioni. Dopo la sua morte la Francia è nel caos, perché i duchi di Borgogna esercitano
un ruolo politico molto importante, poi ci sono le famiglie della nobiltà francese ognuna delle quali cerca
di ritagliarsi una fetta di potere e poi c’è un pretendente alla corona di Francia, Carlo VII, che controlla
la Francia meridionale. Interviene in questa vicenda un personaggio che cambia totalmente l’inerzia della
guerra. Questo personaggio non è un guerriero, non è un uomo di chiesa ma una ragazza, Giovanna
D’Arco. Una ragazza che non aveva nemmeno un’istruzione di rilievo, lei riesce a convincere sul piano
della retorica e anche militare i vescovi, i nobili, Carlo VII del fatto che Dio è con i francesi e contro gli
inglesi. E’ grazie a questa ragazza che la guerra dei cent’anni assume per la prima volta anche connotati
nazionalistici, diventa non la guerra del re di Francia contro il re d’Inghilterra , ma la guerra dei francesi
contro gli inglesi.
Giovanna d’Arco combatte ad Orealns, libera la città dagli inglesi e riesce a convincere Carlo VII e la
nobiltà che gli inglesi possono essere ricacciati aldilà della manica. Grazia a Giovanna i duchi di
Borgogna cambiano la loro alleanza e si schierano con Carlo VII, abbandonando gli inglesi. Così si arriva
nel giro di un ventennio circa alla espulsione totale degli inglesi dal territorio francese, siamo alla metà
degli anni 50 del 400. L’unico territorio che resterà agli inglesi è Calais che è il porto principale per
l’attraversamento della manica, e terranno il porto fino al 1559. Il resto della Francia viene totalmente
assoggettato dal re Carlo VII. Mentre Giovanna d’Arco sarà una brutta fine, perché verrà catturata dagli
inglesi, portata a Parigi e processata per stregoneria, nel tribunale ci sono anche i maestri di teologia di
Parigi, Giovanna viene giudicata colpevole per l’accusa di stregoneria, è ovviamente una scusa perché
gli inglesi hanno bisogno di distruggere il simbolo della riscossa francese e alla fine Giovanna d’Arco
viene arsa viva sul rogo. Nonostante la morte della Punzella di Orleans la guerra si conclude felicemente
per i francesi. Il regno di Francia dalla seconda metà del 400 si rafforzerà ulteriormente, inglobando la
contea di Provenza, alcuni territori del ducato di Borgogna, presentandosi alla fine del 400 come la più
grande potenza dell’Europa.

Eventi simbolo dell’età medievale nella penisola iberica:


La scoperta del continente americano e la fine della presenza musulmana in Spagna, 1492.
La scoperta dell’America è un evento in una certa misura casuale. I viaggi di scoperta lungo l’atlantico
erano iniziati da molti decenni, ma non per il finanziamento e il concorso della corona di Castiglia, come
nel viaggio di Colombo, ma con il finanziamento della corona portoghese. Viaggiatori e mercanti lusitani
ma anche genovesi e veneziani, pagati dalla corona di Lisbona avevano percorso in lungo e in largo
l’Atlantico, soprattutto lungo le coste dell’Africa, sono marinai italiani che scoprono le isole del Capo
Verde. E’ un grande ammiraglio portoghese, Bartolomeo Diaz, che nel 1487 arriva al capo di Buona
Speranza, cioè all’estremo limite meridionale dell’Africa. I portoghesi traevano grandi profitti da questi
viaggi perché razziavano enormi quantità di schiavi neri e arrivavano dove era presente molto oro
africano cioè nelle zone sud sahariane, quindi a Lisbona arrivano tutti questi schiavi neri e metalli
preziosi. La corona traeva enormi profitti da questi viaggi di scoperta che erano alimentati anche dall’idea
di arrivare dove c’era l’origine delle spezie, cioè nelle lontane Indie. Era stato il Portogallo lo stato più
dinamico nel finanziamento dei viaggi di scoperta e nella valorizzazione delle terre scoperte, pensate
all’isola di Maderira che viene trasformata in un’unica grande piantagione di canna da zucchero.
Colombo era un marinaio genovese che aveva aveva vissuto per molto tempo in Portogallo, si offre ai re
portoghesi promettendo ai re portoghesi che lui viaggiando in una certa direzione sarebbe arrivato
all’India, quindi all’origine delle spezie. I sovrani portoghesi non vogliono finanziare un viaggio che
reputano troppo rischioso, loro sono già impegnati ai viaggi lungo l’Africa e non vogliono rischiare di
finanziare un viaggio di cui non vedono un fine positivo. Allora Colombo si rivolge ai re di Castiglia e
per sbaglio arriva nel continente americano. L’idea che non è arrivato nelle Indie ma sin un continente
nuovo avverrà circa 10 anni dopo quando Amerigo Vespucci capirà che quella non può essere l’India ma
un continente nuovo e darà il suo nome a queste terre di recente scoperta, cioè America, da Amerigo.
L’altra vicenda importante che segna la fine dell’età medievale è la conquista di Granada, cioè l’ultimo
bastione musulmano nella penisola iberica. E’ una guerra molto dura e costosa e ancora una volta animata
dallo spirito di crociata. Dal 1479 Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia sposandosi hanno unito
le due corone, le hanno unite nella loro figura perché i regni continuano ad essere separati, ma c’è
un’unione dinastica tra corona di Aragona e regno di Castiglia. Questo macro regno persegue l’idea della
crociata contro l’infedele e cosi si scatena la guerra per eliminare la residua presenza musulmana
nell’Andalusia. Dopo 10 anni di guerra le armate arrivano a Granada, la moschea principale viene rasa
al suolo, viene costruita la grande cattedrale di Granada dove riposano i sovrani del tempo e si procede
alla eliminazione della residua presenza musulmana. Vediamo la lettera inviata da Ferdinando il
Cattolico a Innocenzo III, una lettera di esaltazione della conquista di questa parte dell’Andalusia e
dell’eliminazione degli infedeli:
“Santissimo Padre. Il vostro umilissimo e devoto figlio, il re di Castiglia, di Leon, di Aragona, di Sicilia,
di Granada ecc, bacia i vostri santi piedi e mani e si raccomanda umilmente alla vostra Santità. Alla
quale piaccia sapere che piacque al nostro Signore di darci completa vittoria sul re e i Mori di Granada,
nemici della nostra Santa Fede cattolica. Infatti, oggi, secondo giorno di gennaio del presente anno
novantadue, la città di Granada si è arresa a noi con l’Alhambra (quartiere sulla collina sovrastante la
città) e tutte le fortificazioni che la costituiscono e cn tutte le fortezze e castelli in mio e in nostro potere.
Comunico a Vostra Santità una cosi grande fortuna, ossia che dopo tante pene, spese, sacrifici di vite e
di sangue dei nostri sudditi e regnicoli, questo regno di Granada, che per settecentottanta (il richiamo è
al passato visigoto, soprattutto i castigliani si considerano eredi dei visigoti) anni è stato occupato dagli
infedeli, sotto il vostro regno e col vostro aiuto è stato conquistato: è il frutto che i Pontefici passati,
vostri predecessori, hanno tanto desiderato, e al quale hanno contribuito, per gloria e onore di Dio,
Nostro Signore, e della Santa Sede apostolica. Dio mantenga in ogni tempo la vostra santissima persona
e la conservi per il buono e prospero governo della sua Chiesa Universale. Scritto nella città di Granda
il 2 gennaio 1492. Di vostra Santità umilissimo e devoto figlio che bacia i vostri santi piedi e le vostre
mani, il re di Castiglia e d’Aragona e di Granada.”

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