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PROMESSI SPOSI (310-477)

Don Abbondio, uomo povero e ignobile, si accorse che in quella società era considerato un
semplice “vado di terracotta”, in mezzo a tanti “vasi di ferro” e fu per questo che ubbidì ai parenti
che lo vollero prete. Naturalmente non aveva considerato le conseguenze dell’azione che andava a
compiere facendosi prete, come procacciarsi cibo ed entrare a fare parte di una classe sociale forte e
rispettata, a differenza delle altre classi sociali che non sarebbero state in grado di proteggere un
individuo. Don Abbondio, assorto nei suoi pensieri, non dette importanza a quei vantaggi, anzi il
suo sistema consisteva nello “scansar tutti i contrasti”, la cosiddetta “ideologia della viltà”. Se era
costretto a scegliere tra due contendenti, sceglieva il più forte e dimostrava di non esserne nemico.
Non è vero che non aveva problemi, piuttosto la sua pazienza sarebbe giunta a un limite se non gli
avesse dato sfogo e la sua salute ne avrebbe sofferto. Ma essendogli vicino persone che conosceva
bene e che erano incapaci di fargli del male, così poteva sfogar con loro il suo mal umore. Il battuto
era considerato imprudente e l’ammazzato era un uomo torbido. A chi aveva la peggio, Don
Abbondio trovava sempre qualche vantaggio, cosa non difficile perché ragione e torto vanno di pari
passo. Egli chiama questo comportamento “comprarsi gli impicci a contanti”. Aveva poi un suo
modo di fare con cui terminava i suoi discorsi: “che a un galantuomo, il quale badi a se e stia ne’
suoi panni, non accadon mai brutti incontri”. Adesso si chiede che impressione può fare ai suoi
lettori un uomo così rappresentato, con mille pensieri in testa e il capo sempre basso. Manifesta così
la sua morale cristiana: “l’amore in determinate situazioni è un lusso che certi ragazzacci non
possono permettersi, anche s’è finalizzato al matrimonio”. Ma a questo punto s’accorse che il non
essere stato consigliere dell’iniquità era una cosa troppo ignobile. Non conosceva Don Rodrigo, né
l’aveva mai incontrato per strada. Gli successe di dover difendere la reputazione di un signore
contro coloro che, alzando gli occhi al cielo, maledicevano qualche sua azione: disse cento e più
volte di essere un rispettabile cavaliere. Tornato a casa, mise subito la chiave nella toppa e iniziò a
chiamare la perpetua, avviandosi verso il salotto. Questa, giunta al suo cospetto, notò subito il
cattivo umore di Don Abbondio e gli chiese cosa avesse, ma questi evitò di rispondere, sostenendo
che fosse una cosa di cui non poteva far parola a nessuno e né tantomeno pettegolezzi, così fuorviò
il discorso. Il problema è che Don Abbondio, pur volendo tanto sfogarsi con la sua serva, ebbe
paura, ma dopo molti assalti di lei, si decise a parlare. Dopo aver sentito il racconto, Perpetua dette
un suo parere, sostenendo che, siccome tutti dicono che il cardinale Borromeo (loro arcivescovo) è
un brav’uomo, allora lei gli consigliò di scrivergli una bella lettera. Subito Don Abbondio la fermò
nel parlare e disse che questi erano problemi che lui avrebbe dovuto risolvere da solo, senza il suo
aiuto e la zittì. Alla fine la serva gli chiese cosa avrebbe fatto domani e come avrebbe progettato per
risolvere questo problema, ma egli, giunto alla soglia della camera da letto, si voltò verso la
Perpetua e con tono solenne disse: “per amor del cielo!” e poi scomparve.

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