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Ulisse appartiene insieme a Diomede al ciclo troiano. Attribuiamo a lui l’inganno del cavallo di
legno. I greci riuscirono a vincere i troiani poiché ricorsero all’inganno, infatti Ulisse escogitò
questo cavallo all’interno del quale furono collocati i soldati greci. Una volta entrato in città, il
cavallo venne accolto con tanti cori e feste poiché era dedicato alla dea Minerva ma proprio quando
i troiani erano ubriachi, dalla pancia del cavallo escono i migliori soldati insieme ad Ulisse e
Diomede dando alle fiamme la città di Troia. Rendono quindi vera la profezia di Cassandra, figlia di
Priamo, che gridava “vedo Troia in fiamme” ma nessuno le credeva. Poseidone si vendica
trattenendo Ulisse attraverso tanti pericoli e sortilegi e dopo 20 anni torna ad Itaca. Il viaggio di
Ulisse diventa il viaggio che ogni uomo deve compiere all’interno della propria vita. Dante lo
collocherà nel cerchio dei fraudolenti, cioè di coloro che si sono avvantaggiati di una situazione con
l’inganno. Infatti l’epiteto che accompagna Ulisse in tutti i poemi sarà l’ “ingannatore Ulisse”.
Dante in realtà lo colloca nell’Inferno perché oltrepassò le colonne di Ercole, che nel linguaggio
allegorico di Dante rappresentavano il limite imposto da Dio alla conoscenza umana. Dante
immagina che il gesto compiuto da Ulisse sia stato un gesto di superbia. (Dio dice che il destino
dell’uomo è di andare avanti lasciandosi alle spalle quella condizione di uomo primitivo che lo
assimilava alla bestia feroce)
Primo canto
In questi versi il tono non è ancora lirico come quello del Paradiso, ma c’è un tono elegiaco.
Le anime dell’Inferno attraversano l’Acheronte, mentre quelle del Purgatorio si imbarcano dal porto
di Ostia, vicino Roma. Dante per l’Inferno si rivolge alle Muse e, sempre seguendo il climax
ascendente, ora ci troviamo di fronte a Calliope, la musa cara anche al Parini(scriveva un poema
sfruttando un tema classico, sarà una poesia messa al servizio di un popolo che soffre).
Versi 1-5: abbiamo un’esortazione; il suo ingegno viene paragonato ad una nave, che deve alzare le
vele, quindi l’ingegno deve elevarsi per proseguire, lasciandosi alle spalle l’Inferno, definito “mar
crudele”.
Nel verso 4 utilizza il termine canterà e non racconterà perché il tono è più elevato, andando verso
la poesia lirica(poesia cantata e musicata), quindi vuole segnare il salto dall’Inferno al Purgatorio.
Versi 6-12: la poesia dell’Inferno viene definita “morta” perché era del regno dei morti. Adesso le
anime non sono dannate ma sono anime salvate che con il giudizio universale saliranno in Paradiso.
Dante si rivolge a Calliope, facendo un elogio alla musa e alla poesia. Dante crea un rapporto di tipo
filiale, infatti Calliope è paragonata ad una madre che segue le scoperte del figlio e allo stesso modo
seguirà Dante. Nei versi 11 e 12 si allude al mito che Dante leggeva in Ovidio delle Piche, le figlie
di Piero che osarono sfidare nel canto le Muse, quindi peccarono di superbia, ma Calliope le vinse e
poi le punì trasformandole in gracchie. Quindi Dante cerca di elevare il tono, ricordando il mito
della cultura greca, con riferimenti colti sull’antichità classica.
Versi 13-24: viene fatto il primo accenno al paesaggio che caratterizza il Purgatorio. Il colore
orientale è il colore del cielo, che si schiarisce andando nel Purgatorio. Il colore di questo panorama
è simile ai colori dello zaffiro(azzurro). Questo colore accoglie i pellegrini con il suo aspetto dolce e
inoltre riesce a rasserenare l’anima di Dante, nonostante sia uscito dalla sofferenza fisica e
spirituale. La notte rappresenta l’Inferno, mentre il giorno la salvezza, l’esperienza dei salvati.
Ad illuminare il cielo c’è Venere, che si trova nella costellazione dei Pesci. Si gira a destra(mentre
nell’inferno a sinistra, che era il lato del Diavolo) e vede 4 stelle, che rappresentano le 4 virtù
cardinali(Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza), che furono viste solo dagli abitanti del
Paradiso terrestre.(Dante mette in risalto momenti astronomici per innalzare lo stile, i contenuti che
sta trattando. Quest’opera ha un carattere enciclopedico, cioè la Divina Commedia può essere
considerata l’enciclopedia relativa al periodo che stiamo trattando e il carattere enciclopedico era
quello che riguardava tutte le opere del Medioevo. Dante segue la moda del suo tempo).
In senso cristiano, la persona prudente è cauta prima di prendere una decisione. Spesso l’uomo
quando si comporta da bestia segue l’istinto. Quindi essere prudenti significa valutare le
conseguenze delle nostre azioni.
Giustizia significa riconoscere i diritti degli altri e combattere affinché vengano rispettati, anche
quando quei diritti sono in contrasto con i nostri desideri.
La persona temperante è quella che sfugge agli attacchi d’ira. Quindi la temperanza è il controllo
degli istinti. Freud dice che gli istinti vanno sublimati, cioè dobbiamo permettere agli istinti di
esprimersi ma in forma non nociva per noi stessi e per gli altri. Ovviamente non bisogna reprimere
gli istinti altrimenti danno luogo alle turbe psichiche. Il buon cristiano infatti è colui che si esprime
nel modo più pacato.
L’uomo forte è consapevole delle proprie capacità.
Tutte queste sono qualità alla base del vir bonus di Cicerone, quindi l’uomo capace di esercitare il
governo politico. Queste qualità verranno poi ereditate dal cristianesimo.
Queste virtù cardinali forgiano il perfetto cristiano e sono accompagnate anche dalle 3 virtù
teologali(Fede, Speranza, Carità). La fede è la fiducia che dobbiamo avere per esempio in Dio, negli
altri o in se stessi.
La speranza è l’atteggiamento contrario a chi si piange addosso. Pandora, la moglie di Epimeteo, fu
così amata dagli dei che durante il suo matrimonio ebbe tanti doni e tra questi ebbe un vaso, con
l’ordine di non aprirlo. Ma lei lo aprì e dal vaso uscirono tutti i mali dell’umanità ma alla base del
vaso c’era la speranza. Quindi oltre tutto il male dell’umanità ci dobbiamo ricordare che c’è sempre
la speranza.
La carità è una virtù trasversale a tutte le religioni. Quindi io non posso professarmi un uomo buono
se non mi occupo anche della sorte dei miei consimili. Questo l’aveva detto anche Terenzio, un
commediografo latino, nella sua opera “il Punitore di se stesso”. Lui diceva “tutto quello che
riguarda l’uomo mi riguarda”, quindi dobbiamo avere un atteggiamento filantropico, condividendo i
suoi sentimenti.
Versi 25-72
Dante scorge un vecchio venerando accanto a sé: si tratta di Catone l’Uticense il quale, credendo
Dante e Virgilio due dannati in fuga dall’Inferno, chiede loro chi siano e come mai si trovino lì.
Virgilio, allora, fa inginocchiare Dante di fronte a Catone e prende parola, rispondendo ai dubbi di
Catone. Gli spiega che egli è stato incaricato da una donna beata di soccorrere Dante e di guidarlo
attraverso l’Oltretomba. Aggiunge, inoltre, che Catone dovrebbe gradire la sua venuta, in quanto il
poeta fiorentino cerca la libertà, che è qualcosa di assai prezioso, come sa bene chi per essa arriva a
rinunciare alla propria vita. Il vegliardo aveva l’aspetto di un saggio, infatti aveva i capelli e la
barba brizzolati misti. La barba cadeva sul petto in due ciocche. Le luci delle 4 stelle brillavano sul
volto di questo saggio, quindi era un personaggio che aveva vissuto facendo proprie quelle 4 virtù.
Dante aveva l’impressione di guardare un altro sole.
RIASSUNTO I CANTO
Dopo aver lasciato il terribile mare dell’Inferno, Dante è pronto a cantare con più tranquillità il
secondo regno dell’Oltretomba, il Purgatorio, nel quale l’anima si purifica per poter accedere al
Paradiso. Il poeta invoca l’aiuto delle Muse e in particolar modo di Calliope, chiedendole di
assisterlo con lo stesso canto col quale sconfisse le Piche. Dante gioisce nell’osservare l’azzurro del
cielo: ad illuminarlo c’è Venere, che si trova nella costellazione dei Pesci. Voltandosi verso il cielo
australe, il poeta riesce a scorgere quattro stelle la cui luce è stata visibile solo a due esseri umani:
Adamo ed Eva. Non appena distoglie lo sguardo da esse, scorge un vecchio venerando accanto a sé:
si tratta di Catone Uticense il quale, credendo Dante e Virgilio due dannati in fuga dall’Inferno,
chiede loro chi siano e come mai si trovino lì.
Virgilio, allora, fa inginocchiare Dante di fronte a Catone e prende parola, rispondendo ai dubbi
dell’anima veneranda. Gli spiega, quindi, che egli è stato incaricato da una donna beata a soccorrere
Dante e a guidarlo attraverso l’Oltretomba. Aggiunge, inoltre, che Catone dovrebbe gradire la sua
venuta: il poeta fiorentino cerca la libertà, che è qualcosa di assai prezioso, come sa bene chi per
essa arriva a rinunciare alla propria vita. Conclude, infine, dicendo che i due sono svincolati dalle
leggi infernali – Virgilio è un’anima del Limbo, Dante è un vivente – e di farli passare in nome di
Marzia, moglie di Catone. L’uomo risponde che concederà loro il passaggio non per Marzia ma
grazie alla donna del cielo che li ha messi in viaggio; prima, però, Virgilio dovrà lavare il volto di
Dante e cingere la sua vita con un giunco.
Al termine del suo discorso, Catone scompare. Dante e Virgilio, tornando sui loro passi, giungono
in un punto della spiaggia dove l’erba è bagnata dalla rugiada. Con questa, Virgilio lava le guance
di Dante. Dopodiché, giunti nella parte bassa della spiaggia, il maestro si china a cogliere un giunco
con il quale cinge i fianchi di Dante.