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Gli uomini non cambiano

Quando pensiamo alla parola "genere" o al termine "studi di genere" di solito tendiamo a
pensare che seguirà una discussione sulle donne. Così come quando parliamo di uomini e
della loro mascolinità, raramente ci poniamo i tipi di domande che invece facciamo
emergere quando ci riferiamo alle donne e alla loro femminilità o all'omosessualità.
In realtà, anche gli uomini hanno un genere e, sebbene il pensiero popolare a volte crede
che ci esista una “naturalità” nell’essere uomo, è improbabile che la mascolinità possa
essere intesa semplicemente come un aspetto della biologia o della natura. È interessante
notare che
Il femminismo storicamente applicava gran parte della sua energia iniziale a metteer in
discussione concezioni e rappresentazioni delle donne e della femminilità. Gli studi
sull’omosessualità erano più preoccupati di considerare le reazioni della società
all'omosessualità che all'eterosessualità. Ciò significava che, almeno per un certo periodo,
la mascolinità e uno dei suoi componenti tradizionali, l'eterosessualità maschile,
sfuggivano alla notazione e potevano continuare a rappresentare la norma naturale.
Possiamo dire che esiste un'ampia convinzione che gli uomini non possano cambiare
radicalmente, che la mascolinità sia qualcosa di fisso. Un ampio spettro della società
moderna ancora abbraccia questo punto di vista, compresi i fondamentalisti cristiani, gli
essenzialisti femministi e parte del movimento maschile.
Questa convinzione cerca di giustificarsi utilizzando concetti come ormoni e anatomia.
Esiste davvero una giustificazione biologica, per esempio, che possa convalidare il
legame tra il testosterone, il principale ormone sessuale maschile, e l'aggressività
maschile? Fino a che punto, la biologia può spiegare la grande varietà del comportamento
sociale maschile? Se accettiamo che le dinamiche di genere possano spiegarsi facendo
riferimento a branche di studio problematiche come la psicologia evoluzionista la
neurologia, o banalmente la tradizione “biologica”, neghiamo o minimizziamo
l'apprendimento della mascolinità attraverso la socializzazione: in questo caso, la
mascolinità diventa qualcosa di impossibile da cambiare. E di cui non è necessario
neanche parlare.
Perché è importante oggi parlare di mascolinità
Secondo molti studiosi ci troviamo di fronte alla rinascita di una politica maschilista in
diverse parti del mondo, dove il progresso verso l'uguaglianza di genere viene contratato
da una politica reazionaria che rinvigorisce i valori familiari, religiosi pietà, nazionalismo e
orgoglio maschile.
Basti pensare all’elezione di Donald Trump: non è l’economia che ha determinato la
vittoria di Donald Trump. Il presidente, cioè, non è stato eletto malgrado la sua xenofobia e
il suo razzismo o sessismo. È riuscito a vincere la competizione per la Casa Bianca
proprio grazie al suo modo di pensare e atteggiarsi tradizionalista e conservatore. Si
pensi, ad esempio, che più del 60% degli elettori di Trump erano contrari all’aborto, e il
39% erano d’accordo nel punire le donne che vi ricorrono. Un mese prima dell’elezione, la
diffusione di una registrazione in cui il candidato mostrava tutta la sua violenza sessista
non gli aveva affatto nuociuto presso i suoi elettori, ma al contrario il 10% aveva dichiarato
che il loro giudizio nei confronti del presidente ne usciva rafforzato. Donald Trump non va
preso sul serio sul fronte economico, ma proprio su quello culturale. Quindi la vittoria di
Donald Trump non può essere scissa dalla questione maschile: come emerso in un
famoso dibattito del Marzo 2016, Trump passerà sicuramente alla storia come il primo
candidato presidenziale a vantarsi delle sue dimensioni del pene. Quando Trump mostra i
suoi assalti alla dignità delle donne come fonte di orgoglio, è quindi disastroso per le
donne, ma non meno per ogni uomo che finisce per entrare in contatto con questa
versione caricaturale di una mascolinità che assume i caratteri di una parodia.
Il concetto che meglio ci aiuta a capire fenomeni come quello di Trump è il risentimento
culturale del maschio bianco. Trump è riuscito a mobilitare una versione sessista e
razzista dell’identità maschile bianca. Conferendogli legittimità, la ha fatta esistere
politicamente.
Risentimento del maschio bianco
È evidente che la politica non la si fa solo attraverso le idee, ma si gioca anche nell’ambito
delle passioni. E una di queste passioni è proprio il risentimento, o quello che lo scrittore
francesce Michel Houllebecq definisce godimento frustrato: l’idea che - in una società che
si fonda sull’appello continuo alla libidine e al piacere - ci sono altri che godono al mio
posto fa crescere in me il risentimento, e se io non godo, è per causa loro. Il godimento
frustrato è al cuore dei suoi romanzi: da Estensione del domino della lotta del 1994 a Le
particelle elementari del 1998 o Sottomissione del 2014, Houllebecq mostra uomini bianchi
eterosessuali privati del loro presunto diritto al godimento: i loro genitori sessantottini,
liberati e libertini, le donne liberate che in Occidente vogliono godere di una vita
nell’uguaglianza senza più sforzarsi di soddisfarli; gli uomini meglio dotati in capitali
estetici o altri che li condannano alla pauperizzazione sessuale; gli islamici o gli immigrati
venuti a prendersi le proprie donne. L’idea è che ci siano “altri” che godono al mio posto. E
al tempo stesso, paradossalmente, sono proprio questi “altri” a garantire a me il
godimento del mostrarmi come vittima, il piacere del sentirmi un loser.
Il corpo – e quindi il corpo di genere - è diventato una delle principali aree di scontro tra
diverse prospettive morali, emotive e politiche. Da un lato, come si dice, la sensazione
della propria fragilità – corporea - si può orientare verso la politica dell’uomo forte. In
realtà, il limite di affermazioni del genere è quello di pensare la mascolinità come tratto
distintivo di un individuo, mentre quello che ci interesse è riflettere sulla mascolinità come
struttura o per usare le parole di Carol Gilligan come “modo di pensiero”. Dobbiamo subito
chiarire quindi che quando parliamo di genere lo intendiamo non come termine descrittivo
di una caratteristica di un individuo, ma come un "sistema simbolico, un discorso
organizzativo centrale della cultura, uno ciò non solo modella il modo in cui sperimentiamo
e comprendiamo noi stessi come uomini e le donne, ma che si intreccia anche con altri
discorsi - e quindi modella altri aspetti del nostro mondo. Per questo, ad esempio, per
capire uno dei problemi centrali della questione maschile attuale è usare la formula
coniata dalla studiosa femminista Iris Marion Young che parla a proposito piuttosto logica
della protezione mascolinista. Ed è un termine che consente di evitare una certa
interpretazione liberale del concetto di genere come attributo binario di singoli uomini e
donne
Questo revival di politica mascolinista nasce, come abbiamo detto, dalla frustrazione, dal
senso del godimento perduto. Questo senso di frustrazione lo ha ben spiegato Michael
Kimmel nel suo libro Angry White Men: American Masculinity at the End of an Era (2017).
Come spiega il sociologo statunitense, non potremmo mai davvero capire l’ascesa di
Donald Trump e del mascolinismo se non andiamo alla radice dell’indignazione che porta
il “maschio bianco arrabbiato” a scagliarsi contro l’establishment politico di stampo liberal.
Per capire questa indignazione, Kimmel fa un vero e proprio viaggio attraverso tutta
l’America – soprattutto in quella più profonda, nella Youngstown (Ohio) cantata da Bruce
Springsteen, nella Rust Belt che ha assistito al crollo dell'industria manifatturiera e dove
Trump ha trionfato, promettendo il riscatto di molti di quei macchinisti, minatori e lavoratori
che incarnano proprio i personaggi cantati da Springsteen. Sbaglieremmo tuttavia a
leggere il sostegno a Trump solo come una questione di carattere economico. Al di là di
quella narrativa popolare che ha visto Trump trionfare tra la working class, non è
l’economia che ha definito questo elettorato. È piuttosto quell’indignazione che deriva da
quella che Kimmel chiama “aggrieved entitlement” (diritto leso), ossia una sorta di
sentimento per cui quei benefici che un tempo ti sembravano appartenere per diritto ti
sono stati tolti da forze invisibili più potenti. E, dice Kimmel, questi uomini hanno ragione:
hanno perduto la loro capacità di sentirsi “qualcuno”, hanno perduto il senso di sé stessi in
quanto “uomini”, “real men” che hanno contribuito con il loro lavoro, i loro sforzi e sacrifici a
costruire il loro paese e a modellare l’american dream e la sua idea di meritocrazia. Ora
questi uomini si sentono furiosi, proprio perché gli sembra di non avere quello che
pensano di meritarsi. Si sentono umiliati. E tale umiliazione ha una forte radice di genere,
in quanto gli uomini della classe media inferiore e della working class sono l’ultima
generazione della nostra storia ad essere cresciuti con il mito del padre di famiglia
“breadwinner” (colui che porta il pane a casa). E questo spiega perché anche molte donne
hanno votato per Trump. Molte di esse lo hanno votato non in quanto “donne”, ma in
quanto “madri” che vorrebbero tornare a vivere una realtà sociale – patriarcale, ma
rassicurante, che non esiste più.
È inutile, ed anche sbagliato, convincere questi uomini che “stanno sbagliando” o che i
loro sentimenti non sono “giusti”. I loro sentimenti sono “reali”. Quello che è “sbagliato”
è che tali sentimenti nascono da una cattiva percezione della realtà circostante e si
rivolgono ai “nemici” sbagliati. Tale percezione può essere spiegata proprio usando la
teoria della deprivazione relativa, del godimento frustrato di cui abbiamo già parlato. Gli
uomini di Kimmel condividono questo sentimento di “deprivazione relativa”, ma invece di
guardare in alto, si rivolgono a coloro che sono più in basso nella scala sociale, le donne o
gli immigrati.
Ciò deriva dal fatto che essi non si rendono conto o non vogliono vedere che, in quanto
uomini bianchi, già beneficiano di un sistema basato su ineguaglianze razziali o di
genere. Del resto, nessuno di noi capisce il proprio privilegio, finché qualcun altro non
inizia a metterlo in discussione. Ed è quello che oggi sta accadendo agli uomini bianchi.
Non stiamo semplicemente vivendo nell’era della “fine dell’uomo”, come molti
commentatori dicono sui giornali. È la fine dell’era dei “diritti dovuti” maschili, l’era in cui un
giovane maschio bianco può pensare, senza alcun dubbio, che il mondo sia fatto a misura
del suo privilegio. Ed è vero che oggi viviamo in un mondo non più costruito a misura di
uomini, e che gli uomini devono condividere un po’ di spazio con gli altri. Un uomo può
avere il potere e un altro può sentirsi così potente, è questo senso di “diritto dovuto”,
questo senso che sebbene io possa non essere al potere in questo momento, io merito di
esserlo, e se non lo sono, qualcosa è decisamente sbagliato. È un mondo di aspettative
maschili diminuite per tutti gli uomini bianchi, che hanno beneficiato di un sistema
ineguale per così tanto tempo.
Per questo, la loro è una rivolta nostalgica, pessimista e reazionaria, è un modo per
“reclamare la propria mascolinità perduta”. La strada, dice Kimmel, è quella di capire
questi sentimenti e offrire una alternativa per comprende meglio il quadro complessivo.
Questi uomini non condividono una visione politica, un’analisi. Essi condividono
sentimenti, che potremmo definire populisti. Ma il populismo non è una teoria o una
ideologia, è anzitutto una emozione.
La mascolinità in crisi
In realtà l’immagine dell’uomo in crisi non è una novità. Per alcuni studiosi, si può dire
che storicamente quando si è parlato di mascolinità, è sempre stato per raccontarne la sua
crisi: essendo la mascolinità stata intesa come la norma universale dominante, come l’Uno
a partire dal quale si è definito l’Altro, ogni volta che tale sistema normativo è stato messo
in discussione, si sono verificate “crisi della mascolinità”. Questa crisi si è avuta, ad
esempio, a cavallo tra i due secoli tra il 1871-1914, quando l’emancipazione della donna
della media borghesia produsse reazioni di intellettuali come Robert Musil, Karl Kraus,
Arthur Schopenhauer o, per citare un caso famoso, di Otto Weininger misogino ossessivo
autore del famoso libro del 1903 Sesso e carattere. Il trattato L’inferiorità mentale della
donna del medico Paul Moebius (1900), uscito proprio in quegli anni, si preoccupava di
dimostrare (negando che in questa sua dimostrazione ci fosse un implicito giudizio di
valore) l'inferiorità fisiologica della donna rispetto all'uomo, per dedurre la necessità di
continuare ad escluderla dal gioco sociale. La donna era considerata vicina all’animale e
al negro. Nel libro Le Bostoniane, Henry James illustra la paura maschile della possibile
femminilizzazione. Uniche eccezioni: Georg Groddeck e Otto Gross. In America, l’eroe di
quei tempi era Theodore Roosevelt perché incarnava i valori virili tradizionali. E non è un
caso che proprio in quegli anni si inventi la figura del cowboy, nasca la serie Tarzan (1912)
di Edgar Rice Burroghs e venga istituita una associazione tipicamente tesa a riaffermare i
valori maschili come i boy-scout.
Ma è soprattutto a cavallo tra la fine degli anni '70 -'80 quando l’avvento nel neoliberismo
reaganiano negli Stati Uniti e thatcheriano in Gran Bretagna produsse un significativo
cambiamento economico, politico e sociale, che portò a fenomeni conosciuti come lo
smantellamento dello stato sociale, la crescente disoccupazione, i cambiamenti nella
composizione della forza lavoro con l’ingresso delle donne e delle minoranze etniche, la
"femminilizzazione" del posto di lavoro postindustriale, mobilità al ribasso, stagnazione dei
salari e sottoccupazione. Tutto ciò ebbe come conseguenza tra gli anni Ottanta e Novanta
la produzione di una mole di letteratura che raccontava per la prima volta in maniera
estensiva la crisi della mascolinità.
In particolare, un libro uscito nel 1999 fece molto parlare di sé. Lo scrisse la giornalista
femminista Premio Pulizer Susan Faludi e si chiamava Stiffed. The Betrayal of the
American Man. Era una documentata analisi dei cambiamenti della società americana e
come questi cambiamenti stavano impattando soprattutto la nuova generazione che non
poteva più esercitare quel tipo di virilità tradizionale che i loro padri avevano affermato.
Ora la virilità maschile era ridotta ad una parodia pubblicitaria: gli aspetti più produttivi
della mascolinità si scontravano con la cultura consumistica (la cultura dell’ornamento)
che promuoveva una rozza parodia di virilità. Come scrisse la giornalista in quegli anni:
...più prendevo in considerazione ciò che gli uomini hanno perso, un ruolo utile nella vita
pubblica, un lavoro e un reddito decorosi e sicuri, l’apprezzamento in ambito domestico,
un trattamento rispettoso da parte della cultura, più mi sembrava che gli uomini della fine
del XX secolo stessero precipitando in una condizione stranamente simile a quella delle
donne della metà del secolo. Possiamo dire che la casalinga degli anni Cinquanta […] si è
trasformata in un uomo anni Novanta.
Invece di domandarmi perché gli uomini si oppongano alla lotta femminile per una vita più
libera e più sana, ho iniziato a chiedermi perché essi rifuggano dall’iniziare una propria
lotta. […] Perché gli uomini non si ribellano? (p. 48)
Questo a mio avviso è il vero problema che si nasconde dietro la “crisi della virilità” che la
società odierna deve affrontare: non che gli uomini stiano combattendo contro il
movimento di liberazione femminile, quanto che essi si rifiutino di impegnarsi per la
propria liberazione o per un cambiamento della società. Non sono i ruoli maschili a
essere in pericolo, bensì sono gli uomini a correre il rischio di rimanere passivi. (p. 48)
Faludi concludeva la sua analisi sostenendo che, se vogliamo comprendere perché gli
uomini siano così riluttanti a infrangere i codici della virilità sanzionato, abbiamo bisogno
forse di capire quanto sia forte la coercizione sociale. “Se gli uomini non reagiscono è
perché la società non ha indicato loro una rotta su cui avventurarsi. Di certo non ha
proposto alcuna visione alternativa della virilità; del resto nessuno lo ha fatto: non il
movimento maschile, quello gay, ma neppure il movimento femminile che spinge gli
uomini a cambiare, ma che non ha ancora tradotto in concetti tale cambiamento”.
Il libro di Susan Faludi ci poneva di fronte ad un bivio nella riflessione sulla mascolinità che
è ancora molto attuale: il rapporto tra liberazione e vittimizzazione. O detto diversamente
tra: educare alla mascolinità o educare la mascolinità?
I primi movimenti di liberazione maschile
Fortemente condizionata dai cambiamenti economico-sociali, la crisi della mascolinità è
ovviamente una crisi “culturale”. Le trasformazioni che a partire dal Secondo Dopoguerra
hanno investito le dinamiche dei ruoli di genere hanno portato ad un complessivo
ripensamento del discorso sulla mascolinità come “norma universale dominante” e di
decostruzione di tutto quell’apparato simbolico-iconografico su cui si è fondato lo
stereotipo maschile. Non si è trattato tanto di una scomparsa dello stereotipo maschile,
bensì della sua progressiva erosione a cui hanno contributo sia le culture giovanili degli
anni Sessanta, che esaltavano la gioia del movimento e dell’espressione fisica, del ritmo e
della liberazione incontrollata dei sentimenti, sia i media di massa come cinema e
televisione, che iniziavano a proporre modelli di mascolinità che sino ad allora erano
stati giudicati decisamente poco virili.
Non a caso, proprio negli anni Settanta nascono i primi centri dedicati alla riflessione sulla
condizione maschile – il primo men’s center viene fondato a Berkley nel 1970 – le prime
associazioni antisessiste in stretta collaborazione con i movimenti femministi, e le pratiche
di autocoscienza maschile. Si inizia a prendere consapevolezza che troppo spesso si è
trattato gli uomini come se la loro esperienza personale del genere fosse priva di
importanza. Troppo spesso, cioè, nella riflessione sul gender, si è assunta la mascolinità
come elemento astratto di un sistema binario Decostruire la mascolinità diventava così
l’imperativo primo dei movimenti di liberazione maschile: ripensare la mascolinità al di là
dello schema normativo dell’ideale virile o l’idea psicoanalitica tradizionale. Si mirava a
rifiutare il concetto essenzialistico di una sola maschilità naturale e astorica per porre
attenzione sulla mascolinità come costruzione sociale. È proprio in quegli anni che si inizia
a parlare in termini di maschilità "multiple", secondo una varietà di esperienze identitarie
situate – gerarchizzate le une rispetto alle altre, tanto quanto rispetto alla cosiddetta
maschilità "egemone", e che ogni società produce in un determinato contesto sociale e in
un determinato periodo storico.
Nel 1977 John Stoltenberg, quando scriveva un articolo dal titolo Refusing to be a Man,
affermando che il sesso maschile esige l’ingiustizia per esistere. Accogliere, piuttosto, la
sfida femminista al dominio maschile ha la potenzialità di liberare gli uomini e aiutarli nella
scoperta di nuove maschilità. Anche nell’ambito dei Film Studies il saggio pioneristico di
Steve Neale ha il merito di superare il famoso lavoro di Laura Mulvey del 1975 – che
scindendo il piacere del guardare in attivo/maschile e passivo/femminile, finiva per
sottovalutare la possibilità che anche la mascolinità potesse essere uno “spettacolo per lo
sguardo”. In realtà, grazie ai media, e in particolare la pubblicità, il corpo maschile viene
separato dalla sua concezione di “corpo da usare” e inizia diventare un corpo da mostrare
come oggetto di desiderio. L’uomo accetta di essere oggetto dello sguardo altrui. Si
assiste quindi a una crescente femminilizzazione del corpo degli uomini: la maschilità
amplia i propri confini, l’aspetto androgino diventa una moda. Non è un caso che proprio in
questi anni, in altri contesti, iniziano a diffondersi le riviste di men’s help e le pubblicità e i
consumi propongono l’immagine del new man: l’uomo che si interroga sulla propria
condizione di maschio moderno e cerca di rispondere in modo positivo ai cambiamenti
sociali. Michael Kimmel sostiene che questa preoccupazione verso il corpo maschile è
derivata da: una sempre più crescente partecipazione delle donne nella sfera pubblica che
ha portato all’esaltazione di una sorta di muscolar backlash (come è possibile vedere nelle
figure di Sylvester Stallone and Arnold Schwarzenegger, attori che assomigliano ad una
sorta di fallo antropomorfizzato); l’importanza sempre minore del ruolo produttivo maschile
– anche il corpo maschile diventa oggetto di consumo e non solo più soggetto produttivo;
e la sempre minore stigmatizzazione dell’universo gay a cui si associa l’emersione del
bodybuilder gay macho.
L’avvento New Man
Il cosiddetto "uomo nuovo" è stato creato per la prima volta negli anni '70, ma da allora è
stato ricreato in una varietà di forme. Sembrerebbe essere un professionista della classe
media, bianco, eterosessuale, di solito tra la metà degli anni venti e l'inizio degli anni
quaranta, con una compagna. Il nuovo uomo è l'uomo che rifiuta gli atteggiamenti sessisti
e il tradizionale ruolo maschile, specialmente nel contesto delle responsabilità
domestiche e dell'assistenza all'infanzia, e che è (o è ritenuto) premuroso, sensibile
e non aggressivo. Il suo primo riferimento era un articolo del Washington Post del 1982
sulla commedia travestita di Dustin Hoffman, Tootsie. "(It)
Il nuovo uomo, nei suoi rapporti con le donne, tende a rinnegare il legame tradizionale tra
desiderio sessuale e oggettivazione femminile. Uno dei modi in cui la sessualità viene
ripensata in questo contesto è nei suoi legami con la paternità e la riproduzione. Possiamo
vedere come la pubblicità delle riviste mette in mostra le fotografie di padre / bambino. Vi
sono segnali nella crescita del movimento per i diritti del padre, che cerca di cambiare la
legge per ridurre il controllo delle donne sui bambini e sulla cura dei figli, che queste
immagini non sono completamente separate dall'azione sociale.
Ma al piacere della denuncia e della distruzione del modello ha fatto seguito negli anni
Ottanta un periodo di incertezza e di angoscia. Difatti, pur esprimendo un giudizio negativo
verso la mascolinità tradizionale, i discorsi sulla mascolinità finivano spesso per ruotare
attorno a temi quali l’angoscia, la crisi identitaria, i disagi degli uomini rispetto all’emergere
del femminismo e all’emancipazione delle donne. Emergeva, ma in fondo emerge anche
oggi, tutta la difficoltà di parlare dell’esperienza maschile uscendo fuori dell’angusta
polarizzazione potere-crisi e dall’altro violenza-dominio.
Male Rampage
I film cosiddetti "furia maschile" coinvolgono uomini selvaggi, la cui natura selvaggia deriva
da una sensibilità sorprendente. Possono soffrire di angoscia per un matrimonio che sta
fallendo o è defunto, come Mel Gibson nella prima arma letale. Nel corso della narrazione
vengono spesso chiamati ad occuparsi di autorità corrotte o criminali. Per farlo, devono
armarsi, letteralmente e metaforicamente, per diventare temibili siti di resistenza al male
che li circonda, così come ai demoni al loro interno. O si pensi al tema del maschio
soldato.
The theme of post-Vietnam reassessment of the soldier male, and thus of a particular
conception of masculinity, is returned to in several major movies, most notably in Michael
Cimino's The Deer Hunter (1978)
John Rambo (Sylvester Stallone) è inizialmente un veterano del Vietnam derubato
dell'autorità che una volta aveva. La sua risposta è "diventare nativo" contro le autorità in
tempo di pace che, poiché non lo comprendono, lo abusano fisicamente. L'appello
dell'incarnazione di Sylvester Stallone dell'ipermasculina John Rambo è stato accolto da
un grande pubblico ansioso di superare la crisi psicologica della sconfitta in Vietnam. Ciò
che avrebbe potuto essere meno ovvio in una prima visione era il forte legame creato tra
la mascolinità aggressiva di Rambo e la natura. Per riaffermarsi, Rambo in First Blood
si ritira nella foresta, dove scarta la maggior parte dei suoi vestiti e sembra diventare un
tutt'uno con la natura. I legami emotivi con le donne sono attentamente contenuti, così
che, come con l'eroe dei western, Rambo può rimanere isolato e in grado di concentrarsi
sulla correzione dei torti con fiducia nei suoi poteri individuali e maschili. In questo
senso, e anche in molti altri, la mascolinità implica un elemento di paranoia e vigilanza
non solo contro i nemici esterni, ma anche all'interno (nemici interni come "morbidezza"
e diversione rispetto alla propria missione unica). Implica un senso di vittimizzazione.
La violenza di Rambo, nel contesto, è una risposta quasi inevitabile al tradimento delle
autorità.
Forse la sofferenza è un rituale che purifica Rambo è in guerra con se stesso anzitutto.
Parte del dolore sembra essere inflitto a se stesso. La star, Stallone, secondo quanto
riferito, ha suggerito di desiderare ardentemente il dolore, anche a livello di soddisfacenti
allenamenti "punitivi" per spingere il suo corpo agli estremi. Il curioso risultato del
duro lavoro che va alla creazione del corpo spettacolare è che deve essere mostrato.
L'esposizione negli anni '80 sembra ancora fortemente associata culturalmente alla
femminilità o alla femminilizzazione. Pertanto, l'ipermasculinità suggerita a un livello
ovvio dal corpo sviluppato e simile a un'armatura di Rambo suggerisce anche dalla
sua ripetuta esposizione che gli viene data un'esposizione "femminile" allo sguardo
dello spettatore. La violenza climatica di First Blood può essere vista come un alibi per
l'esposizione del corpo.
Il sadomasochismo riflessivo
La vittimizzazione maschile – legata al discorso della sua crisi – non è una novità. Già
anni fa lo studioso David Savran aveva coniato l’efficace concetto di sadomasochismo
riflessivo. Secondo Savran nel secondo dopoguerra si assiste all’ ascesa di una nuova e
potente figura della cultura occidentale: il maschio bianco come vittima. Questa figura
emerge nell’ideale della mascolinità emarginata e dissidente degli anni '50 – che troviamo
ad esempio negli scrittori della beat generation – si pensi al famoso libro di Norman Mailer
The white negro. La solitudine dell'hipster che racconta la crisi del giovane americano
bianco ribelle che assume volontariamente la posizione marginalizzata del Nero. La
blackness ha funzionato come una forma di marginalità simbolica che permetteva ai
giovani bianchi di immaginarsi come una minoranza oppressa. Si pensi a quando Lou
Reed cantava Oh I wanna be black I don't wanna be a fucked up, middle class, college
student anymore.
Ma sarà soprattutto a metà degli anni '70 che il tema del maschio bianco in crisi
diventerà egemonico nella cultura americana e produrrà diverse varianti: il maschio bianco
arrabbiato, il new man ossia il maschio sensibile, il maschio alla ricerca della propria
essenza archetipica (faccio qui riferimento al movimento mitopoietico nato in America
dall’iniziativa dello psicoanalista junghiano Robert Bly), il suprematista bianco, il maschio
spirituale. Tutte queste esibizioni della mascolinità sono basate su ciò che Freud ha
soprannominato il sadomasochismo riflessivo, una condizione in cui la mascolinità si
divide ingegnosamente in due: diventa un corpo spettacolare che essere
masochisticamente abusato, torturato, assumere la posizione di vittima, femminilizzarsi,
per poter dimostrare la propria capacità maschile di resistenza, la sua costruzione
implacabile, la sua virilità. Come dire: il soggetto, torturandosi, può dimostrarsi un uomo.
White Male Paranoia
Come spiega la studiosa Susan Jeffords, l’ipermascolinità rappresentata nel cinema degli
anni Ottanta non era tanto semplicemente percepita come una riaffermazione dell'identità
maschile, ma più una risposta isterica a un'apparente mancanza di identità. I film degli
anni '80 in particolare, con la loro celebrazione della furia maschile o dell'ipermasculinità in
contesa con l'autorità indifferente e corrotta, testimoniano la perdita di fiducia dei maschi
piuttosto che ciò che inizialmente sembra più probabile, il suo contrario. Negli anni '90,
questo senso di vittimizzazione maschile diventa quello che alcuni hanno definito come
white male paranoia.
Attrazione fatale, istinto di base e caduta cadono tutti al centro di un uomo in pericolo. Tutti
recitano lo stesso uomo, Michael Douglas, che a questo punto fa carriera interpretando il
maschio come vittima. La particolare inflessione di questo eroe vittima in Falling Down è
costantemente assalita e degradata da un'impressionante varietà di tormentatori: sua
moglie, bande di chicano, negozianti, gestori troppo meticolosi di ristoranti fast-food. La
violenza che commette come segno che sta resistendo ai suoi persecutori, piuttosto che
cadere davanti a loro, secondo quanto riferito è stato applaudito dai maschi nel pubblico. Il
"maschio bianco americano medio" ha solo violenza sembra, a quanto pare,
ripristinare il suo senso di mascolinità quando è minacciato dal cambiamento
sociale, dalla disoccupazione, dalla pluralità dell'organizzazione sociale americana.
Come osserva Carroll (2011), poiché la mascolinità non può più fare affidamento sullo
status normativo, si trasforma in strategie reattive in base alle quali ridefinisce questa
normativa posizionandosi in altre posizioni di identità marginali. Questa proclamazione
della propria marginalità – che se volete è molto simile all’idea del godimento della
vittima di cui abbiamo parlato all’inizio – oggi trova un terreno di elezione su Internet.
Perché proprio su Internet?

La mascolinità in Rete
Sostanzialmente per due motivi: 1) La tecnologia non è mai neutrale, ossia non possiamo
mai pensare all’affermazione di una specifica tecnologia, come ad una forza slegata dai
discorsi storici sociali e dalle dinamiche di potere che arrivano a modellarla così come la
conosciamo. In tal senso, la storia stessa della Rete è una storia tutta costruita al
maschile. Basti solo pensare a come le radici di Internet affondino nelle utopie libertarie
delle controculture degli anni Sessanta (dai beat agli hippie, dagli hacker ai primi grandi
imprenditori della Silicon Valley). Queste utopie sono state utopie fortemente legate a miti
fortemente maschili, come quello della conquista, della frontiera. E nell’immaginario della
frontiera americana, la divisione dei ruoli di genere è sempre stata molto netta e
conservatrice. La cultura tecnocratica, che ne deriva, è sempre stata a leadership
maschile e ha sempre escluso le minoranze. E non è un caso che già nel 1993 – con i
primi fenomeni di MUD o comunità di discussione –, la studiosa Susan Herring scrisse un
articolo in cui sosteneva che uomini e donne mostravano un diverso stile di comunicazione
online e questa differenza tendeva a mettere le donne in svantaggio negli ambienti virtuali.
2) Il secondo motivo è legato alle affordance tecnologiche delle piattaforme dei social
media – dalla velocità di propagazione, all’anonimato, sino all’effetto camera d’eco che
permetto la emersione di quelli che possiamo definire veri e propri contropubblici – ossia
pubblici che si pongono come obbiettivo quello di offrire narrative “contrarie” a quelle
considerate “dominanti” nell’opinione pubblica, la cui lotta è quindi principalmente
simbolica, ossia mira a trasformare il proprio particolare lessico sociale in una grammatica
“universale”.
E dunque in questo ultimo decennio, assistiamo su Internet ad un riemergere della
questione maschile nell’ambiguo crinale tra vittimizzazione e liberazione. Tale fenomeno si
lega sostanzialmente al recente fenomeno americano della Manosphere. Il termine appare
nel 2009 e si riferisce ad un blog di Blogspot e viene usato per descrivere una rete online
di comunità di interessi maschili tra loro anche molto diversi.
Troviamo ad esempio movimenti con una consolidata tradizione e radicamento sociale
come i movimenti per i diritti maschili. Non è un fenomeno assolutamente nuovo: la prima
Men’s Rights Association (ora Men’s Defense Association) è del 1973 e si poneva di
affrontare da un punto di vista maschile un'ampia serie di temi, dal divorzio alle azioni
affermative, dalla giustizia al welfare in connessione con i movimenti dei padri separati.
L’idea alla base di questi movimenti è fondamentalmente molto simile alle analisi
femministe di quegli anni: cioè la preoccupazione circa i costi sociali della mascolinità,
preoccupazione che riguarda non solo aspetti psicologici e culturali – come l’ansia di dover
aderire ad un insieme di aspettative sociali che limita fortemente la possibilità di esprimere
liberamente istati emotivi, ma colpisce in maniera concreta benessere psicofisico degli
uomini stessi: dal più alto tasso di suicidio e mortalità degli uomini al maggiore
coinvolgimento in criminalità, alcol e droghe, dalla crisi dell'istruzione e della salute
mentale dei ragazzi alle frustrazioni e preoccupazioni relative alla paternità e alla perdita di
status all'interno delle famiglie. Non a caso una delle metafore che più circolano tra questi
gruppi è quella della mascolinità come “sesso sacrificabile”. Secondo molte ricerche, negli
Stati Uniti, le ragazze hanno superato i maschi nel numero di iscrizioni all’università. Da
qualche anno Philip Zimbardo, sottolinea proprio come questo aspetto, lo stesso che
denunciava Susan Faludi: l’assenza di alternative psicologiche e culturali accettabili a una
visione egemonica della mascolinità per cui se non sei dominante, sei un mollusco.
C’è dunque, al fondo di questi movimenti un’idea di liberazione maschile, di ripensamento
della mascolinità – che testimonia di come questi discorsi siano emersi da una matrice di
analisi femminista. Il problema però è che questa liberazione della mascolinità – questa
uscita dalla crisi – finisce per virare nel crinale opposto: ossia la vittimizzazione. Questi
movimenti, cioè, non si limitano a denunciare i costi sociali che la mascolinità produce
sugli uomini, o a diffondere l’idea che anche gli uomini debbano liberarsi dai ruoli sociali
imposti, ma arrivano a sostenere appunto l’idea del maschio bianco come vittima, soggetto
a numerose e non riconosciute ingiustizie a livello legale, sociale e psicologico. E laddove
c’è una vittima, c’è un carnefice da riconoscere.
Se dunque, tale prospettiva condivide con il femminismo un rifiuto degli ideali conservatori
di ruoli di genere tradizionali, allo stesso tempo ritiene che gli uomini non possano fare a
meno di questi ideali, di questa mascolinità che li danneggia, perché come aveva detto la
stessa Faludi: Se gli uomini non reagiscono è perché la società non ha indicato loro una
rotta su cui avventurarsi.
Ecco allora che la mascolinità tradizionale viene negata per essere ribadita come postura
vittimizzante attraverso cui gli uomini cercano di affrontare la realtà della loro impotenza
rispetto ad una società in cui loro sono solo le tematiche femminili ad emergere come
degne di riflessione. E dunque, paradossalmente, è colpa delle donne o del femminismo
stesso che, da lato dice all’uomo “devi cambiare”, ma dall’altro continua a perpetuare
l’immagine dell’uomo come oppressore, violento, carnefice, producendo quel “sessismo al
contrario” che nei gruppi maschili prende il nome di male bashing.

Il difficile rapporto tra crisi, liberazione e vittimizzazione maschile ha come conseguenza


quella di produrre un antifemminismo ambiguo, contraddittorio e illogico che da un
lato accetta alcuni precetti del femminismo, come il principio di uguaglianza liberale, ma
rifiuta il femminismo come progetto politico. In tal senso, si tratta di un antifemminismo che
sfrutta alcune idee tipicamente postfemministe, secondo cui il sessismo sistemico è un
problema certamente, ma che può essere risolto semplicemente superandolo. In tal modo,
il femminismo diventa una questione anzitutto individuale, legata al proprio empowerment,
alla presa di consapevolezza della propria responsabilità di scelta, al punto che qualsiasi
azione collettiva, strutturale, diventa non necessaria o meno rilevante.
Produce una falsa simmetria tra il ruolo maschile e quello femminile che ignora il contesto
storico, culturale e politico entro cui si sono determinate le relazioni di potere tra gruppi e
la conseguente oppressione femminile, questi gruppi perché propone un modello culturale
del mondo in cui non esiste patriarcato, solo sessismo.
E quindi, il linguaggio di “liberazione” dei ruoli di genere – basato sull’idea che ogni sesso
è schiavo dell’altro e accompagnato da formulette che derivano principalmente da alcuni
testi fondativi del movimento - quali “così come le donne sono state considerate oggetti
sessuali, gli uomini sono stati considerati oggetti di successo”; “le donne non potevano
votare, ma gli uomini avevano la leva obbligatoria”, nella sua apparente innocuità
diventa un modo per attrarre all’interno di questi movimenti giovani, molto spesso istruiti,
spesso con idee di sinistra e progressiste, che sicuramente non vogliono apparire misogini
arretrati, che nulla hanno a che vedere con la classica figura del maschio bianco capo
famiglia, ma che alla fine finiscono per avallare lo stesso tipo di discorso vittimizzante,
conservatore e molto spesso misogino.
L’altra grande novità che ci fa parlare appunto di una specie di discorso maschile in Rete
che oramai circola in maniera libera tra gruppi diversi è l’enorme presenza di giovani –
uomini e donne. La Rete permette quello che lo studioso Barry Wellman ha definito
“individualismo reticolare”, ossia il fatto che oggi grazie alla Rete gli individui fanno meno
affidamento su forme di legame permanente a gruppi stabili, ma spesso caratterizzano la
loro vita in Rete attraverso forme di appartenenza parziale a molteplici network.
L’individualismo reticolare permette così che gli individui possano costruirsi una propria
opinione, senza doversi per forza “definire”, ma saltando tra gruppi, piattaforme, contro-
narrazioni diverse
Questo spiega perché oggi un discorso come quelli dei diritti maschili - anche nelle sue
forme più apparentemente gentili - si stia ibridando pericolosamente con altre narrazioni
mascoliniste più conservatrici o dichiaratamente misogine, che però rispondono bene alle
esigenze dei ragazzi più giovani, che avvertono le problematiche legate ai cambiamenti
dei ruoli di genere negli ultimi decenni.
Due di queste che sono intrecciate tra loro sono i Pick Up Artist e gli Incel. Sebbene siano
estremamente diverse nelle soluzioni che offrono, in realtà condividono lo stesso ideale di
mascolinità come godimento frustrato, mostrano due risposte differenti alla crisi della
mascolinità.
Per capire questi movimenti però dobbiamo fare un passo indietro e tornare a quel periodo
importante per inquadrare concetto di mascolinità in crisi e il rapporto tra liberazione e
vittimizzazione che sono stati gli anni Novanta.
Lo possiamo vedere in Magnolia
Frank è il personaggio interpretato da Tom Cruise in Magnolia, il film di Paul Thomas
Anderson del 1999. È un motivatore e guru della seduzione che scrive libri e tiene
seminari ed è dichiaratamente. La sua figura è chiaramente ispirata a Ross Jeffries, che
può essere considerato il papà della community dei Pick Up Artist, gli artisti del rimorchio,
il pioniere dell’arte della seduzione. Nel 1992, scrive un libro dal titolo, How to Get the
Women You Desire into Bed (Come portare a letto le donne che desideri), in cui espone in
maniera sistematica la sua teoria della “speed seduction”, già ampiamente portato in giro
per workshop in tutti gli Stati Uniti in cui si insegnano le migliori tecniche per conquistare
tutte le donne che si vuole. Ma la vera esplosione del fenomeno si ha nel 2005 con la
pubblicazione di The Game di Neil Strauss, considerata la vera bibbia. Il libro avrà
talmente tanto successo da diventare un reality show trasmesso su VH1 nel 2007-2008 e
condotto da Erik von Markovik, all'anagrafe come Mystery, un ex illusionista che,
prendendo a prestito alcune idee dalla psicologia evoluzionistica, aveva elaborato il
Mistery Method, divenuto piuttosto famoso neelle comunità Usenet in Internet. Il
programma ospitava ogni settimana con un gruppo di uomini che hanno avuto difficoltà a
relazionarsi romanticamente con le donne. I concorrenti guidati da Mystery dovevano
imparare le tecniche necessarie di seduzione e controllo che li avrebbero portati a fare
sesso con qualsiasi donna e poi testarli sul campo (in discoteche, negozi di alimentari, in
città strade). Alla fine di ogni episodio, Mystery eliminava l'uomo che dimostrava le abilità
PUA più deboli.
"Il gioco" partevi dal presupposto che, con l’adeguata conoscenza dei meccanismi che
stanno alla base dei rapporti umani, ogni uomo possa elevare il proprio status e sedurre
qualsiasi donna desideri. La filosofia Pick Up Artist è un mix di tecniche motivazionali,
principi ripresi dall’ipnosi e dalla programmazione neurolinguistica (PNL), ma soprattutto
tecniche di manipolazione, il tutto condito da nozioni alquanto discutibili di psicologia
evolutiva che ci riportano ad una idea di tratti maschili e femminili ipertradizionalista ed
eteronormativa ed al classico modello di sessualità predatoria dove l’uomo caccia e la
donna fa la preda.
Nelle comunità Pick Up Artist, si intrecciano due discorsi paralleli.
Da un lato, soprattutto nelle prime comunità, la confidenza sessuale era esplicitamente
rappresentata come qualcosa di cui gli uomini avevano diritto – come aggrieved
entitlement, proprio perché sono uomini. Ossia le comunità di seduzione sono nate proprio
per infondere agli uomini quella padronanza di sé che era stata negata dalla visibilità del
femminismo popolare, in cui le donne sono esortate ad essere soggetti sessuali sicuri di
sé, attivi. In qualche modo, la fiducia sessuale è vista come una risorsa, scarsamente
disponibile: più donne ce l'hanno, meno è disponibile per gli uomini. Una volta che la
fiducia sessuale è definita come una risorsa scarsa, le donne diventano una minaccia
alla sua fornitura e quindi vengono oggettivate esse stesse come risorse. Pertanto, le
donne devono essere controllate e rese meno sicure affinché gli uomini diventino fiduciosi.
Nel caso delle PUA, acquisire fiducia significa utilizzare tutta una serie di tecniche che
possiamo tranquillamente definire di manipolazione mentale e che hanno l’obiettivo
proprio di minare la sicurezza di una donna, come ad esempio la tecnica del negging, un
atto di manipolazione emotiva in base al quale una persona fa un complimento
deliberatamente rovesciato a un'altra persona per minare la loro fiducia e aumentare il loro
bisogno dell'approvazione del manipolatore. Nel metodo Mystery viene chiamata i CAP
“commenti acidi programmati”, un espediente dialettico basato sul prendere in giro la
ragazza che si cerca di rimorchiare, allo scopo di “abbassare il suo valore di fronte al
nostro”, specie se parliamo di una ragazza “stupenda”, quindi da 8 o 9,
Allo stesso tempo, nelle comunità PUA, si insegna agli uomini che la fiducia in sé stessi
passa attraverso la seduzione e il controllo donne. Dipende dalle donne. Le donne cioè
diventano veicoli e strumenti per accrescere la sensazione di successo maschile. Si tratta
di una dinamica tipica dell’individualismo narcisista della nostra società, dove l’Altro è tale
solo laddove serve a gratificare me stesso, anche e soprattutto all’interno di relazioni di
intimità affettiva. O, per dirla con le parole di alcune studiose femminista, si tratta di una
forma di soggettività imprenditoriale che trasforma le donne in capitale sociale per
costruire la propria autostima o le sfrutta per accrescere quello che recentemente, Eva
Illouz e Dana Kaplan hanno chiamato come capitale sessuale, inteso come quell’insieme
di risorse emotive, relazionali, affettive che un individuo può abilmente e strategicamente
sfruttare per essere più competitivo nel mercato del lavoro. Sedurre le donne diventa un
modo per migliorarsi in una vita lavorativa in cui le doti relazionali anche quelle private
sono state ampiamente mercificate.
Incel
Gli Incel, neologismo della cultura di Internet, originato dall'unione dei due vocaboli inglesi
involuntary e celibate. Mentre i MRA sono una realtà con una sua tradizione storica e
complessa, gli Incel sono figli della Rete, di cui ne sposano tutte le caratteristiche
mascoliniste che abbiamo rilevato e le portano a loro estrema deriva. Il termine Incel fu
coniato da una studentessa canadese bisessuale, nota sul web con il soprannome di
«Alana», che creò un sito dedicato ai celibi involontari, ossia a quelle persone che non
riescono a trovare una compagna o un compagno indipendentemente dalla loro volontà.
Tuttavia, è soltanto nel 2004 sentiamo parlare davvero di questo concetto, quando uno
studente canadese universitario di 22 anni di origini armene Elliot Rodger compie un
massacro in California, uccidendo 6 persone e ferendone 14, per poi suicidarsi. Poco
prima di compiere la strage, Elliot Rodger caricò sul suo canale YouTube un video - oltre
ad manifesto di 140 pagine trovato successivamente - nel quale egli spiegava i motivi del
massacro. Nel video postato in Rete e lungo sei minuti, Elliott dice di «essere ancora
vergine dopo due anni di college e di non aver ricevuto mai un bacio», esprime la sua
rabbia verso le donne «che lo hanno rifiutato...concedono affetto e sesso agli altri uomini
ma non a me», si definisce «Dio e gentiluomo eccezionale», lamenta la sua profonda
«solitudine». Il 23 aprile 2018: Alek Minassian, un cittadino canadese di origini armene di
25 anni, si lanciò con un furgone contro la folla della città di Toronto uccidendo 10 persone
e ferendone 16 per poi essere arrestato. Poco prima di compiere il gesto scrisse un post
sul suo profilo di Facebook in cui inneggiava alla ribellione degli Incel ed elogiava proprio
Elliot Rodger.
Incel
Questi due aspetti – la sensazione di un diritto leso (o il godimento frustrato) e la
dipendenza dal femminile come mezzo di affermazione della propria mascolinità – li
ritroviamo nelle comunità Incel. Nonostante le loro differenze, PUA e Incel condividono
molti aspetti in comune. Non è un caso che la comunità che Elliot Rodger frequentava si
chiamava proprio PUAHATE.com: fondata con l’intento di fare satira e screditare i pick-up
artist, è divenuta presto un luogo in cui gli uomini sessualmente frustrati potevano sfogarsi
e condividere teorie pseudo-scientifiche sulle donne. Nel video girato prima di morire
Rodger ha brevemente espresso il passaggio dalla PUA a incel:" Se non posso avere voi
ragazze vi distruggerò". Diventando così un eroe incel
Alla base di queste teorie vi è la cosiddetta filosofia Red Pill. Il termine Red Pill (pillola
rossa), che deriva dal film Matrix (1999), viene comunemente utilizzato nei movimenti
maschilisti online come metafora per descrivere una verità scomoda, in contrapposizione
alla Blue Pill (pillola blu) che invece indica una rassicurante bugia. La verità scomoda è
che gli uomini devono risvegliarsi dal lavaggio del cervello dell’attuale società femminista e
capire che viviamo in un sistema che boicotta e sfrutta l’uomo economicamente,
mentalmente e fisiologicamente. In realtà, la metafora della red pill è stata diffusa da
Richard Spencer, il creatore del concetto stesso di alt-right, la principale comunità di
Internet tra i principali sostenitori di Trump. Esiste anche un famoso documentario girato
dall’ex femminista Cassie Jay che racconta le comunità dei movimenti per i diritti maschili.
Questo, quindi, ci dimostra come nelle comunità Incel – attraverso la metafora della Red
Pill – si incontri la questione delle relazioni interpersonali e della sfera della sessualità
mutuato dai PUA con la critica al femminismo che caratterizza invece le comunità dei diritti
maschili.
La combinazione dei diritti maschili + PUA crea una visione del mondo estremamente
misogina che porta i gruppi Incel alla convinzione che le donne sono essere inferiori e
devono essere rimesse al loro posto nella scala sociale e sessuale e che il femminismo e
ogni politica di emancipazione femminile e liberazione sessuale è un cancro da estirpare
perché finisce solo per danneggiare l’uomo.
Black Pill
A tutto questo però si aggiunge una attitudine nichilista che nasce dalla cosiddetta teoria
Black Pill. Secondo la black pill, il desiderio e l'attrattiva non sono socialmente costruiti, ma
si fondano su spiegazioni biologiche evolutive più convenzionali. Per cui, le donne sono
irresistibilmente attratte dagli uomini alpha, con determinate caratteristiche fisiche
(mascelle prominenti, facce simmetriche) e nessuna tecnica di seduzione potrà mai
cambiare questa legge di natura.
Non c’è via d’uscita da questa legge di natura. Come sostengono gli Incel “sotto il 7 non è
vita”, ossia se non sei fisicamente superiore ad una determinata media, il tuo destino è
segnato. Non esiste margine di miglioramento. Per gli incel, la certezza depressiva che
resteranno "per sempre soli" genera in definitiva un soggetto indifferente alla propria
esistenza. Per sempre soli, ma connessi all’interno di spazi online dove trovare
semplicemente supporto alla propria condizione. Il problema è che il tipo di supporto qui
non ha alcun valore terapeutico o collettivo, ma si trasforma in una forma di incitamento
individualista al trolling più nichilista ed estremo, al disprezzo più cinico, una via di mezzo
tra la volontà di potenza di Nietzche e l’idea di trasgredire qualsiasi ordine morale, la
celebrazione del comportamento eccessivo senza alcuno scopo, della distruzione
immotivata di Bataille. Gli obiettivi di questo cinismo sono ovviamente le donne, in
particolare le donne sessualmente attive (Staceys) e gli uomini che riescono ad andare a
letto con loro (Chads).
Da un lato, gli incel sono così dei PUA falliti che riversano i loro fallimenti contro coloro che
non hanno rifiutato le loro aspettative: ossia le donne. Quando le donne rifiutano quel
ruolo nell'ordine sociale, o semplicemente respingono determinati uomini nel perseguirlo,
la loro presunta sregolatezza sessuale diventa un obiettivo da colpire per questi uomini
feriti. Certo, la violenza contro le donne come misura di controllo non è nuova, ma cresce
in maniera impressionante il livello di impersonalità legato a questa violenza, al punto da
rendere questi atti pericolosamente vicini a quelli del terrorismo ideologico. Difatti,
possiamo dire che gli incel hanno incorporato il linguaggio tipico delle rivendicazioni di
guerra o terroristiche, che viene usato in difesa del patriarcato. Mentre i movimenti per i
diritti degli uomini provano a fare attivismo in difesa degli uomini, i Pick Up Artist a
insegnare tecniche che mirano a strumentalizzare le donne, con l'obiettivo di controllarne
la sessualità, gli Incel si sentono parte di una vera e propria "rivoluzione" o "ribellione".
Una ribellione nichilista che mette insieme femminicidio e suicidio, portando quindi alle
estreme conseguenze proprio quell’idea di maschio bianco vittima che abbiamo visto
essere una delle caratteristiche della mascolinità in crisi.
È ovvio che non tutti gli Incel sono terroristi e che i livelli di misoginia variano da gruppo a
gruppo, ma anche da individuo ad individuo. Quello che possiamo dire è che con gli Incel
si verifica un fenomeno importante l’angry white male si incontra con il fenomeno del beta
uprising. Se entrambi sono accomunati dall’idea della vittimizzazione e del “diritto leso”,
ciò che cambia è che i beta sono principalmente giovani maschi bianchi, il cui discorso
dell’erosione dei privilegi maschili perde il carattere di rivendicazione economico sociale,
per rivolgersi soprattutto alle relazioni interpersonali e alla sfera della sessualità. Tale
passaggio complica il discorso, perché mentre per i white men si può più facilmente
parlare di mascolinità egemonica, che concepisce uomini fisicamente forti e imponenti che
reprimono le emozioni o altri segni di debolezza, i beta sono prevalentemente
rappresentanti di una mascolinità geek, che ripudia gli elementi tipici della mascolinità
egemonica. I maschi geek abbracciano alcuni aspetti dell'ipermascolinismo, come la
valorizzazione dell'intelletto sull'emozione, ma essendo nerd e outsider, non si conformano
ad altri, come l'abilità sessuale e sportiva. Pertanto, sebbene siano bianchi, maschi e
posseggano un significativo capitale culturale, si percepiscono come marginalizzati.
Secondo Massanari (2015), questa posizione di marginalità li rende 1) meno capaci o
disposti a riconoscere il proprio privilegio; 2) più guidati da un senso di persecuzione e
subordinazione che li spinge ad abbracciare un più aperto sessismo e misoginia. Allo
stesso tempo, con Internet, la mascolinità egemonica prende in prestito aspetti di altre
mascolinità che sono strategicamente utili per proseguire il proprio dominio. Ad esempio,
molti MRA e maschi geek delle comunità di 4chan e Reddit supportano la fluidità sessuale
o si dichiarano a favore dei diritti gay e lgbt. In tal modo, essi producono quella che alcuni
definiscono “mascolinità ibrida”, ossia da un lato si distanziano intenzionalmente dalla
mascolinità egemonica, prendere in prestito aspetti di mascolinità marginalizzate che sono
strategicamente utili per nascondere i sistemi di potere e disuguaglianza in modi
storicamente nuovi.

Cosa fare?

Riconoscere che la mascolinità non è un oggetto isolato


Invece di tentare di definire la mascolinità come un oggetto (un tipo di carattere naturale,
una media comportamentale, una norma), dobbiamo concentrarci sui processi e le
relazioni attraverso le quali uomini e donne conducono la loro vita di genere.
La "mascolinità" è contemporaneamente un posto nelle relazioni di genere, un insieme di
pratiche attraverso le quali uomini e donne occupano quel posto nel sistema di genere e
gli effetti di queste pratiche nell'esperienza corporea, nella personalità e nella cultura.
La mascolinità e la femminilità sono progetti di genere: processi di configurazione della
prassi nel tempo, che trasformano i loro punti di partenza in struttura di genere. La
mascolinità è sempre soggetta a contraddizioni interne e sconvolgimenti storici.
Individuare più di un tipo di maschilità è soltanto un primo passo. Quello successivo
consisterà nell’esaminare le relazioni fra i vari tipi.
Qui Connell elabora il suo concetto di maschilità egemone. La “maschilità egemone” non
è un tipo caratteriologico fisso, sempre e dovunque lo stesso: essa è invece la maschilità
che occupa una posizione di egemonia in un dato modello di rapporti fra i generi,
ossia una posizione continuamente contestabile.
La mascolinità egemonica è quindi l'idea che esista una forma di mascolinità socialmente
costruita dominante che è "esaltata culturalmente al di sopra di altre espressioni della
mascolinità" che sono ad essa subordinate (come le mascolinità gay o altre forme di
mascolinità) e della femminilità.
In qualsiasi momento dato, viene esaltata – culturalmente – una forma di maschilità
piuttosto che un’altra. Questo non significa che i più visibili portatori della mascolinità
egemone siano sempre gli individui più potenti. Tuttavia, si ha qualche probabilità che
l’egemonia possa stabilirsi soltanto se si ha una qualche corrispondenza tra ideale
culturale e potere istituzionale, collettiva se non individuale. […] Il segno distintivo
dell’egemonia è l’autorità reclamata e ottenuta, più che la violenza diretta.
Questo ideale egemonico contiene una serie di aspettative per ragazzi e uomini
nell'espressione della loro mascolinità e "si pone come una concezione normativa a cui gli
uomini sono tenuti a rispondere”. Gli uomini affrontano spesso sanzioni sociali quando
questi standard normativi non vengono rispettati. Questo perché, è importante notare che
la mascolinità egemonica opera come un ideale che pochi uomini possono
raggiungere realisticamente, e non tutti gli uomini beneficiano ugualmente del patriarcato.
Come abbiamo detto particolarmente esclusi dalla mascolinità egemonica, o per mezzo di
essi, sono uomini neri e della classe operaia, nonché uomini omosessuali
Fondamentalmente, quindi, la forma culturalmente idealizzata di mascolinità potrebbe non
essere la forma di mascolinità effettivamente praticata nella storia di una società in un
determinato momento. La realtà della maggioranza degli uomini possono mostrare poca
corrispondenza con gli ideali culturali della mascolinità. Lo dimostra il fatto che spesso
l'egemonia abbia bisogno di figure di fantasia, rappresentazioni sociali per incarnare la
sua particolare varietà di mascolinità.
Gli studiosi Debora David e Robert Brannon nel 1976 hanno efficacemente riassunto i
“quattro imperativi dell’ideale maschile”
1. No sissy stuff: niente di “effemminato”, ovvero il ripudio di atteggiamenti femminili
2. The big wheel: essere un “pezzo grosso”, ovvero la mascolinità misurata con il
successo e il potere
3. The sturdy oak: essere una “solida quercia”, ovvero la mascolinità come potenza,
autonomia, inespressività affettiva
4. Give’em hell: “distruggili!”, ovvero la mascolinità come aggressività, audacia, forza.

Dove troviamo questi ideali?


Si tratta di caratteristiche che ricordano i comportamenti del cowboy, del Marlboro Man, di
Rambo. Ma si tratta allo stesso tempo di caratteristiche che hanno svolto un ruolo storico
fondamentale. Come ha ben spiegato lo storico tedesco George Mosse, l’ideale virile ebbe
un ruolo determinante non solo nella definizione dei modelli normativi della morale e del
comportamento per l’emergere della nuova classe borghese tra la seconda metà del
Settecento e l’inizio dell’Ottocento, cioè i modi di comportarsi e agire tipici e accettabili, ma
anche nella formazione del concetto stesso di nazionalità, di onore, rispettabilità e guerra.
Si pensi all’importanza della virilità nel fascismo italiano. L’ideale virile ha influenzato quasi
ogni aspetto della storia moderna. Lo stereotipo maschile è sempre stato uno dei suoi
modi di autorappresentarsi.
Male Body and 'Hypermasculinity'
Il corpo maschile ha assunto un ruolo cruciale nella mascolinità. Ad esempio, gli anni
Ottanta hanno rappresentato un momento di svolta nella
Poiché il corpo è così ovviamente presente, ed è così ovviamente fisico, il suggerimento è
che se è maschio, la sua mascolinità è naturale. Tuttavia, il corpo è anche, nelle parole di
Michael Messner, "un oggetto di pratica sociale" (1990, p. 214). Ciò potrebbe essere
illustrato con riferimento al ruolo che, ad esempio, allenamento con i pesi, esercizio fisico
e steroidi svolgono nella costruzione sociale del corpo.
Murray Healey usa l'esempio di Marky Mark (alias Mark Wahlberg) per dimostrare che
l'ipermasculinità (l'esagerata dimostrazione di quelli che sono culturalmente considerati
tratti macho) serve a rappresentare. I suoi codici di abbigliamento macho, il suo corpo
creato in palestra, la sua nudità, sono parti dei mezzi con cui la star dichiara il suo
machismo. Tuttavia, l'ipermasculinità rivela, piuttosto che allevia, l'ansia per la mascolinità.
Esiste chiaramente, per Healey, una contraddizione nel cercare di essere un vero uomo,
poiché questo espone la realtà del vero uomo come un risultato, non un fatto biologico. Di
Marky Mark, scrive, "Più ricorre al suo corpo come prova della sua virilità, più perde la sua
mascolinità, ammettendo in effetti che il suo unico vantaggio sociale è il suo corpo – e in
tal modo ricalcando una posizione più smaccatamente femminile.

Advertisment
Maschilità oggettificata (Patterson e Elliott 2002). Attualmente, gli uomini stessi appaiono
sottomessi a quei medesimi codici di apparenza che un tempo erano considerati esclusivo
appannaggio del femminile. Se la maggior parte degli studi si concentra sulle
rappresentazioni femminili, quelli che mettono a confronto i due generi riscontrano un
cambiamento nelle rappresentazioni degli uomini, piuttosto che delle donne. Belknap e
Leonard (1991) rilevano che gli uomini sono rappresentati in maniera meno autoritaria e
maggiormente decorativa. Vent’anni dopo, anche Mager e Helgeson (2011, 249) trovano
una «tendenza della pubblicità nelle riviste di moda a un uso degli uomini più decorativo».
Michael Kimmel sostiene che questa preoccupazione verso il corpo maschile è
derivata da: una sempre più crescente partecipazione delle donne nella sfera
pubblica che ha portato all’esaltazione di una sorta di muscolar backlash (come è
possibile vedere nelle figure di Sylvester Stallone and Arnold Schwarzenegger, attori che
assomigliano ad una sorta di fallo antropomorfizzato); l’importanza sempre minore del
ruolo produttivo maschile – anche il corpo maschile diventa oggetto di consumo e non solo
più soggetto produttivo; e la sempre minore stigmatizzazione dell’universo gay a cui si
associa l’emersione del bodybuilder gay macho. La nascita dei primi magazine dedicati
agli uomini coincidono con questo cambio di paradigma nella rappresentazione
della mascolinità. Diventa sempre più accettabile per un uomo porre grande attenzione
alla propria salute e aspetto fisico.
Viviamo ogni giorno l’esposizione a questa mascolinità egemonica, in televisione, film,
pubblicità e sport. La mascolinità ha più stereotipi fissi della femminilità. Di solito sono
raffigurati come individui forti, intelligenti e indipendenti. Devono essere potenti e sotto
controllo, senza prendere ordini dalle donne. Ogni individuo mostra la propria mascolinità
attraverso l'autorità e l'oggettivazione delle donne. Questo è un tratto dominante che
vediamo negli uomini, come ho già detto, è egemonico per gli uomini essere assertivi e
potenti.
Inoltre, questa pubblicità rafforza l'eterosessualità, in quanto non vi sono segni di relazioni
omosessuali. Ignorando qualsiasi relazione omosessuale, rinforza l'oppressione di
diversi orientamenti sessuali.
Anche la mascolinità è una costruzione sociale, frutto di un lavoro performativo. Nella sua
qualità di prova, di sforzo, la maschilità risulta non solo una condizione perpetuamente
fragile ed elusiva, ma anche una fabbricazione perseguitata dallo spettro del fallimento,
dall'incapacità di essere pari a un ideale che richiede una costante verifica personale e
sociale.
Nel campo della pubblicità, oggi è diventato un cliché che gli uomini sono incompetenti,
insensibili, superficiali e decisamente stupidi a livello nazionale. La tenacia di questa
pubblicità suggerisce che gli uomini colludono nella loro diffamazione. Possiamo vedere
qui un risveglio della cultura lad nell'americano popolare The Simpsons (con Bart come
ladro irriverente mentre Homer è stupido) La cultura lad (anche cultura laddish e laddismo)
è una sottocultura britannica nata nei primi anni '90. Raffigura giovani uomini che
coinvolgono giovani che assumono una posizione anti-intellettuale, evitando la sensibilità
a favore del bere, della violenza e del sessismo.

Riconoscere la contraddittoria esperienza maschile del potere


Come ha detto bene Michael Kaufman, per cui l’acquisizione delle mascolinità egemoni è
un processo che conduce gli uomini a sopprimere una gamma di emozioni, bisogni e
possibilità, come il sostegno, la ricettività, l’empatia, la compassione, che sono esperiti
come incoerenti con il potere della virilità. Esiste un vero e proprio lavoro da compiere per
diventare uomo. Dimostra di essere uomo”: tale la sfida permanente cui si trova di fronte
un essere maschile. La virilità non è data a priori, deve essere costruita. Pierre Bourdieu
parlava della formula dell’illusio virile: la virilità è un carico, qualcosa che deve essere
sempre convalidata, comprovata dal proprio gruppo di pari. La virilità lo sforzo per essere
all’altezza di questa idea di uomo e la sofferenza di non esserlo. Pierre Bourdieu
osservava che “essere un uomo significa essere messo di punto in bianco in una
posizione che implica dei potere”. E per quanto “il dominante sia dominato dal suo
dominio”, quest’ultimo è stato il criterio estremo di identità maschile.
Toxic Masculinity
"Il dolore maschile è l'altra faccia del potere maschile. Non tutti gli uomini, contrariamente
alla retorica della mascolinità, possono essere in cima alla piramide. Il contrasto tra
retorica e realtà è molto doloroso per gli uomini la cui razza, classe, salute o l'altezza
uniforme non consente loro di esercitare il potere, esercitare l'autorità o semplicemente
tagliare una cifra abbastanza imponente da qualificarsi come un "uomo reale". Gli
stereotipi di genere nella pubblicità influenzano negativamente uomini e donne
promuovendo attributi falsi, a volte irrealizzabili.

La mascolinità e l’esclusione femminile


Fin dalla nascita il neonato maschio è naturalmente in stato di passività assoluta, del tutto
dipendente da colei che lo nutre. Questo primissimo rapporto erotico – come dice Freud
nell’Introduzione alla psicanalisi - gli fa conoscere il nirvana della dipendenza passiva e
lascerà tracce indelebili nello psichismo dell’adulto.
Le radici di ciò che chiamiamo mascolinità e la preoccupazione di essere forte,
indipendente, duro, crudele, poligamo, misogino e perverso derivano da questa necessità
di separarsi senza problemi dalla femminilità e della femminilità della madre. La
mascolinità è secondaria e da creare: essa può essere messa in pericolo dall’unione
primaria e profonda con la madre.

La simbiosi materna ossessiona l’inconscio maschile


La mascolinità implica necessariamente un allontanamento e una sfiducia nella
femminilità
... ma una potente fantasia maschile adulta implica un ritorno alla relazione simbiotica con
sua madre che un tempo il bambino maschio godeva.
... la fantasia deve essere accompagnata dalla paura - la paura che un ripristino dell'unità
con la madre comporti la distruzione dell'io.
Il bambino forma il suo ego in reazione alla figura dominante della madre. Per loro la
difficoltà maggiore sta nell’operare una disidentificazione, con tutto il suo strascico di
negazione e di rigetto del femminile, senza l’ausilio effettivo di un modello positivo di
identificazione. Tale è l’origine di una identità maschile più negativa che positiva, la quale
pone l’accento sulla differenziazione, sulla distanza dagli altri e sul rifiuto del rapporto
affettivo.
L’aggressività maschile verso le donne è una reazione a quella perdita precoce e al senso
di tradimento che l’accompagna, e che il disprezzo per la donna nasce dalla frattura
interna richiesta dalla separazione. Tenere le donne a distanza è l’unico mezzo per
salvare la propria virilità. Più le madri gravano sui figli, più costoro temono le donne, le
fuggono o le opprimono. Ma, anziché accusare le madri “castratrici” di formare dei figli
sessisti (sottintendendo che sono le donne le responsabili della sventura delle donne), è
tempo di mettere fine al maternage esclusivo della madre onde rompere il circolo vizioso.
(p. 94).
Paura dell’omosessualità
La paura dell'omosessualità che sembra intrinseca alla mascolinità normativa ha un'altra
spiegazione: che il rapporto anale passivo è visto come una femminilizzazione
inquietante. Il motivo è ovvio. Il rapporto eterosessuale è stato spiegato in termini
ideologici da, per esempio, Catherine Walby affermando non solo la penetrabilità delle
donne ma l'impenetrabilità degli uomini (Catherine Walby, in Grosz e Probyn (eds), 1995,
p. 272).
Omosocialità
L'omofobia è un grosso problema per la maggior parte degli uomini. La paura
dell'omosessualità spiega perché l'amicizia maschile è di solito seguita dalla paura di
essere considerati omosessuali. Il concetto di omosocialità descrive e definisce i legami
sociali tra persone dello stesso sesso. È, ad esempio, frequentemente utilizzato negli studi
su uomini e mascolinità, definito come un meccanismo e una dinamica sociale che
spiega il mantenimento della mascolinità egemonica
Questa paura spiega perché l'omosocialità tra gli uomini è spesso vista come basata e
formata attraverso la competizione, l'esclusione e la mancanza di intimità nei rapporti di
amicizia degli uomini.
Questo spiega perché l'amicizia tra gli uomini si basa e coinvolge fantasie ed esperienze
di fare sesso con le donne, oltre a condividere ricordi di molestie sessuali collettive e
incontri sessuali. Le donne diventano una specie di valuta che gli uomini usano per
migliorare il loro posizionamento sulla scala sociale maschile.
Le discussioni tra uomini riguardano principalmente il lavoro e lo sport, nonché lamentele
e preoccupazioni per le donne. Questo non vuol dire che potrebbe non esserci un legame
profondo tra gli uomini. Piuttosto, l'interazione è contenuta e il parlare evita l'intimo.

Riconoscere lo spazio del confronto emotivo maschile


In un famoso libro degli anni Novanta Victor Seidler riconosceva come sia storicamente
esistito un rapporto strettissimo tra maschilità e razionalità, dove la facoltà della ragione
veniva ritenuta pertinenza esclusiva dei maschi. I maschi, cioè, si sono sempre legittimati
a presentarsi come la voce neutrale della ragione. Per questo, essi sono diventati invisibili
a se stessi, estraniati dagli aspetti personali della loro esperienza. Hanno imparato a
pensarsi nei termini neutrali della ragione.
Per questo, dice Seidler bisogna lavorare sulla ricostruzione di un rapporto tra mascolinità
ed emotività. E questo ci porta ad un tema delicato: il rapporto tra il potere
istituzionalizzato degli uomini come sesso e l’esperienza individuale di un particolare
uomo. In questo caso Seidler contraddice quello che dice Connell. Secondo Connell, il
numero degli uomini che si attengono rigorosamente al modello egemonico nella sua
interessa è probabilmente molto piccolo. Molti uomini rispettano al le donne, fanno
abitualmente la loro parte di lavoro domestico, portano a casa la parte della paga
destinata al ménage familiare. E tuttavia la maggioranza degli uomini ha un vantaggio da
quella egemonia, perché riscuotono la loro parte del dividendo patriarcale: il vantaggio
che gli uomini in generale ottengono dalla generale subordinazione delle donne.
Secondo Seidler, invece, c’è una separazione tra il potere collettivo istituzionalizzato
maschile e l’esperienza individuale di ogni uomo. Questo non vuol dire non riconoscere il
dividendo patriarcale, ma lavorare a partire da questo spazio di discrepanza tra il potere
maschile istituzionalizzato e la mia personale condizione di uomo. In tal senso è possibile
recuperare parte dell’esperienza dei primi movimenti di liberazione maschile e le pratiche
di autocoscienza che caratterizzavano quegli anni.
Una nuova prassi corporea maschile
È importante che la mascolinità lotti per la giustizia sociale e la parità di genere. Ma se ci
limitassimo a concentraci solo sullo smantellamento - mediante una politica di parità dei
diritti – dei vantaggi che gli uomini hanno sulle donne, noi rinunceremmo in realtà a capire
in che modo quei vantaggi si riproducono e vengono difesi. Anzi, rinunceremmo alla
conoscenza della maschilità come prassi
L’idea è quella di ricomporre gli elementi culturali dei generi, anziché cancellarli.
Andare verso una “rivoluzione più colorata”, che lasci spazio al piacere, alla creatività e
alla diversità. Giocare con gli elementi dei generi può essere un’attività salutare solo se il
“pacchetto” che contiene insieme bellezza e status viene disfatto. Si può andare a
ricombinare gli elementi della cultura patriarcale in modi nuovi: un esempio può
essere la celebrazione di un eroismo gay che nasce proprio dall’omosessualità.

Dai gruppi maschili alla politica delle alleanze


Il modello di un movimento di liberazione non può applicarsi al gruppo che detiene una
posizione di potere. Le forme di politica radicale si mobilitano attorno ad un interesse
comune: ma non può essere la forma primaria di una politica antisessista maschile,
perché il progetto di giustizia sociale nei rapporti tra i generi è diretto contro gli interessi
che gli uomini hanno in comune, non a favore di essi. In generale, una politica antisessista
è necessariamente una fonte di divisione fra gli uomini, e non di solidarietà. C’è una logica
rigorosa nelle tendenze degli anni ottanta: più i “gruppi maschili” e i loro guru
enfatizzavano la solidarietà tra gli uomini, più diventavano inclini ad abbandonare
ogni questione di giustizia sociale.
Le migliori prospettive per la politica della maschilità si trovano probabilmente al di fuori
della pura politica dei generi, e cioè ai punti di intersecazione del genere con altre
strutture. Vi sono situazioni in cui la solidarietà fra gli uomini viene perseguita per ragioni
diverse dalla maschilità, e in cui essa può essere di aiuto a un progetto di giustizia fra i
generi: soprattutto se esiste una solidarietà esplicita con donne che si trovano nella stessa
situazione.
Vi è poi tutta una gamma di possibilità là dove la politica di classe interagisce con
quella dei generi. La politica di maschilità che nasce da questo tipo di interazione, e che
perciò si sviluppa in una grande varietà di contesti – etnici, sociali, di classe – non sarà
però un “movimento maschile” unitario: per prima cosa, quasi ogni singolo passo da
compiere comporta un’azione congiunta con le donne. Inoltre, le lotte sociali sul posto di
lavoro, nelle istituzioni, nelle comunità e nelle regioni possiedono inevitabilmente logiche
divergenti, e spesso fanno affiorare interessi in conflitto di differenti gruppi di uomini
(p. 172)

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