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Rodari e il gioco fantastico della narrazione

di Mario Cusmai

Il contributo assume le sembianze di una magica storia, una sorta di feuilleton, un romanzo
a puntate (un ‘episodio’ a settimana) che intende condividere alcuni elementi riconducibili
alla ‘lezione’ pedagogica di Gianni Rodari, esplicitando l’intreccio virtuoso tra narrazione e
gioco. Il percorso si snoda progressivamente intorno ad alcune parole chiave. del ‘binomio
fantastico’, una delle tecniche della creatività rodariana, il big bang che favorisce
l’invenzione delle storie inserito nel progetto trasformato poi in una ‘Grammatica’. La
Grammatica della Fantasia costituisce un appello a superare, nella prassi educativa, le
logiche della parcellizzazione, un continuo rimando al pensiero sistemico, che scardina
paradigmi obsoleti, delineando approcci futuri delle neuroscienze, del costruttivismo,
dell’epistemologia della complessità. Infine, si presentano le carte di Propp, strumento
didattico per costruire infinite storie, e il sesto senso: l’utopia come valore pedagogico da
coltivare, per contribuire a innescare un rinnovamento culturale e trasformare il mondo.
I puntata - L’invenzione del gioco ‘imperfetto’

“L’uomo gioca unicamente quando è uomo nel senso pieno della parola, ed è pienamente uomo
unicamente quando gioca”
(Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo)

Il gioco riveste una centralità primaria nella scrittura rodariana; le storie non sono che un
prolungamento, uno sviluppo, un’esplosione festosa del gioco. “il gioco, pur restando un
gioco, può coinvolgere il mondo” (Rodari, Grammatica della fantasia, p. 6). Per lo scrittore il
gioco costituisce una straordinaria sorgente del fantastico e dell’immaginazione ed è
contemporaneamente un’esperienza imprescindibile del bambino perché gli offre la
“possibilità di sperimentare con il caso”, consentendogli di esercitarsi con la “ricapitolazione
dell’esperienza del tempo”. Il gioco rappresenta, secondo Franco Cambi, “l’animus
dell’infanzia rodariana” e, oltre a essere una condizione primaria di conoscenza del mondo e
di costruzione di relazioni sociali, costituisce un mezzo straordinario per esprimere emozioni
e mettere in scena i propri drammi interiori. Il gioco è una proiezione, una ‘protesi’ della
persona. In un’intervista impossibile del 1975, del resto, fa dire ad Ariosto che “il gioco è una
cosa seria. Utile come il pane, importante come il lavoro”. I giochi di parole hanno in comune
la natura: rappresentano variazioni della norma linguistica, per esempio ortografica. Quello
narrato da Rodari come una distrazione all’interno della filastrocca è certo un errore; ma ciò
che lo scrittore fa col narrarlo è un gioco.

Mette in scena un gioco per divertire i suoi lettori perché prima o fuori dalla scuola l’errore
non è affatto temuto. A venire liberata e risultare liberatoria nei giochi rodariani è quella che

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Viktor Sklovskij chiamava l’energia dell’errore. La magia vive nelle fiabe, dove pur toccando
le parole anche solo per errore cambia il mondo. Sbagliando si inventa è il motto rodariano,
in coerenza con la visione educativa di Bruno Munari, il prestigioso illustratore di tanti suoi
lavori editoriali che lo accompagna per un decennio. Gli errori sono materiale di lavoro,
demonizzarli fa sì che gli studenti temano di tentare, di azzardare, di provare, e inoltre gli
errori sono anche strumenti didattici attraverso i quali è possibile creare, ideare, aprire nuovi
mondi. Sono utili perché rivelatori dei processi di pensiero, delle comprensioni e delle
incomprensioni. Sono necessari perché si passa attraverso approssimazioni successive ed
errori in qualsiasi tipologia di processo apprenditivo (pensiamo, ad esempio, quando
abbiamo imparato a camminare). Sono belli perchè generativi, come l’invenzione del
trinocolo.
C’era una volta… anzi c’era due volte… e perchè no, c’era tre volte? Tre volte come il
trinocolo, un normale binocolo che grazie a una terza lente permette di vedere dietro.
(Rodari, Il pianeta degli alberi di Natale). L’imperfetto sembra essere il tempo prediletto
dell’intellettuale originario di Omegna, perchè pronunciato dai bambini quando entrano nei
panni di una personalità immaginaria, quando si avvicinano alla favola, proprio lì sulla soglia,
dove avvengono gli ultimi preparativi prima del gioco. Figlio legittimo del c’era una volta è poi
un tempo speciale, un tempo inventato, un verbo per giocare, appunto.

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II puntata - Il piccolo Claudio e il vecchietto dagli occhiali d’oro

“Nessuno possiede la parola magica: dobbiamo cercarla tutti insieme, in tutte le lingue, con modestia,
con passione, con sincerità, con fantasia; dobbiamo aiutare i bambini a cercarla, anche scrivendo
storie che li facciano ridere: non c’è niente al mondo di più bello della risata di un bambino. E se un
giorno tutti i bambini del mondo potranno ridere insieme, tutti, nessuno escluso, sarà un gran giorno,
ammettetelo”
(Rodari, discorso premio Andersen)

In una breve storia, pubblicata nel 1962 all’interno della raccolta Favole al telefono, Gianni
Rodari racconta del piccolo Claudio che gioca sotto il portone di casa, mentre sulla strada
passa un vecchietto dagli occhiali d’oro; la persona anziana cammina curva, appoggiandosi
a un bastone, che gli cade proprio davanti il portone (Annalisa Buffardi, Futuri possibili.
Formazione, innovazione, culture digitali, 2021). Il bambino prontamente lo raccoglie e lo
porge al vecchio, che sorridendo, mentre si allontana, gli dice che può tenerlo. Claudio inizia
a giocare con l’oggetto, che si trasforma e diventa narrante: gli oggetti si animano e
contribuiscono a raccontare storie di gioco, in questo caso, attraverso la fantasia e
l’immaginazione del bambino. I bambini imparano grazie allo spirito del gioco e all’ascolto
incantato di storie (Peter Gray, Lasciateli giocare, 2015); e si raccontano storie mentre
giocano… come accade a Claudio. Il piccolo batte il puntale a terra una-due-tre volte e poi
inforca il bastone che, a sorpresa e nello stupore del bambino, si tramuta in un meraviglioso
puledro con una stella bianca sulla fronte.

Nel cortile, che si modifica anch’esso per accogliere strabilianti scenografie, il bastone si
trasforma nuovamente e assume le sembianze di un cammello a due gobbe, di
un’automobile da corsa rossa fiammante, di un motoscafo, di un'astronave. E così fino a
sera, quando il vecchio dagli occhiali d’oro, torna sotto il portone. Il piccolo, arrossendo e

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forse un po’ triste, gli tende il ‘magico oggetto’ per restituirglielo, ma la persona anziana gli fa
cenno di no: “Tienilo, tienilo. Che cosa me ne faccio, ormai, di un bastone? Tu ci puoi volare,
io potrei solo appoggiarmi” (Rodari 1962, pp. 56-57). Le favole al telefono, una sorta di
manuale per inventare storie, contengono “storie nate dallo scontro occasionale di due
parole, storie costruite per ricalco, o per rovesciamento di altre storie, storie per giocare,
storie ideate a partire da errori di ortografia [...]” (Rodari).

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III puntata - Il binomio fantastico

Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare
(Novalis)

Favole senza capo né coda, che duravano giorni e facevano ridere, create dall’incontro
casuale delle parole scritte dai bambini, ignari l’uno della parola dell’altro, sui lati della
lavagna. Il duello di parole o binomio fantastico, una delle tecniche della creatività rodariana,
è un processo di liberazione delle parole, un procedimento che affonda nei giochi letterari
del surrealismo. Questo gioco ha lo scopo di ‘depurare le parole’ da tutte le incrostazioni di
senso e dall’usura del tempo, passandole al setaccio dell’immaginazione infantile. Tramite il
gioco del binomio fantastico, le parole sono estraniate dal contesto o, come suggerisce lo
stesso Rodari, “gettate l’una contro l’altra in un cielo mai visto prima”. Convinto che nel
linguaggio si annidino porzioni rilevanti del nostro rapporto con la realtà, Rodari, nel suo
lavoro di scrittore e animatore didattico, era solito partire dalle parole, da loro accostamenti
inusuali, da esercizi di scavo nei significati, per inventare e far inventare storie, che
risultavano affascinanti e liberatorie proprio perché nate dalla rottura degli automatismi
linguistici.

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“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si alzano sulla sua
superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la
canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Non diversamente una parola,
gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie
infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e
ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la
fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva
alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare
e censurare, costruire e distruggere” (Rodari, Grammatica della Fantasia, p. 25).

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IV puntata - L’enantiodromia e il gioco degli opposti

“Le parole sono come una pellicola su un’acqua profonda”


(Ludwig Wittgenstein)

Il binomio fantastico gioca con il polemos - inteso come conflitto - eracliteo, lo scontro
scintillante da cui scaturisce la conoscenza; ricorda, in particolare, il concetto di
enantiodromia proposto dal filosofo greco, che significa letteralmente corsa nell'opposto.
«Ciò che si oppone conviene, e dalle cose che differiscono si genera l'armonia più bella, e
tutte le cose nascono secondo gara e contesa» (Eraclito, frammenti). Con questa
espressione è indicato il gioco degli opposti - come nel caso del Bianco e dell’Augusto, la
coppia clown raffigurata nell’immagine - nel divenire, la concezione secondo la quale tutto
ciò che esiste passa nel suo opposto: le contaminazioni costituiscono la ricchezza di ogni
percorso esperienziale.

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“La parola singola agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe
a uscire dai binari dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significare. Non c’è vita dove
non c’è lotta. L’immaginazione non è una qualche facoltà separata dalla mente: è la mente
stessa, nella sua interezza, la quale, applicata a un’attività piuttosto che a un’altra, si serve
sempre degli stessi procedimenti. Il pensiero si forma per coppie; ad esempio, l’idea di molle
non si forma prima, o dopo l’idea di duro, ma contemporaneamente, in uno scontro che è
generazione. Una storia può nascere solo da un ‘binomio fantastico’. Occorre una certa
distanza tra le due parole, ad esempio ‘cane e armadio’, occorre che l’una sia
sufficientemente estranea all’altra, e il loro accostamento discretamente insolito, perchè
l’immaginazione sia costretta a mettersi in moto per istituire tra loro una parentela, per
costruire un insieme (fantastico) in cui i due elementi estranei possano convivere”. (Rodari,
Grammatica della Fantasia, pp. 34-35)

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V puntata - Il Big Bang narrativo

Due bambini, nella pace del cortile, giocavano a inventare una lingua speciale per poter parlare tra
loro senza far capire nulla agli altri.
“Brif braf”, disse il primo.
“Braf brof” rispose il secondo. E scoppiarono a ridere.
Su un balcone del primo piano c’era un vecchio buon signore a leggere il giornale, e affacciata alla
finestra dirimpetto c’era una vecchia signora né buona né cattiva.
“Come sono sciocchi quei bambini”, disse la signora.
Ma il buon signore non era d’accordo: ” Io non trovo”.
“Non mi dirà che ha capito quello che hanno detto”.
“E invece ho capito tutto. Il primo ha detto: “che bella giornata”. Il secondo ha risposto: “domani sarà
ancora più bello”.
La signora arricciò il naso ma stette zitta, perchè i bambini avevano ricominciato a parlare nella loro
lingua.
“Maraschi, barabaschi, pippirimoschi”, disse il primo.
“Bruf”, rispose il secondo. E giù di nuovo a ridere tutti e due.
“Non mi dirà che ha capito anche adesso”, esclamò indignata la vecchia signora.
“E invece ho capito tutto”, rispose sorridendo il vecchio signore. Il primo ha detto: “come siamo
contenti di essere al mondo”. E il secondo ha risposto: “il mondo è bellissimo”.
“Ma è poi bello davvero? insisté la vecchia signora.
“Brif bruf braf”. rispose il vecchio signore.
(Gianni Rodari, Brif, Bruf, Braf)

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In relazione all’ipotesi fantastica, l’interrogativo controfattuale che favorisce l’invenzione di
storie, il semiologo Stefano Calabrese in Neuronarrazioni ci ricorda che “la semplice formula
‘se + congiuntivo’ rappresenta il big bang delle nostre capacità neurocognitive” e che “a
questo esercizio della controfattualità [...] Gianni Rodari dedicò ogni energia sino al progetto
di trasformarlo in una grammatica”. La Grammatica della Fantasia è un appello a superare,
nella pratica educativa, le logiche della parcellizzazione, un’allusione costante al pensiero
sistemico, che scardina automatismi associativi e accende interpretazioni altre, presagendo
approcci e approdi futuri delle neuroscienze, del costruttivismo, dell’epistemologia della
complessità. “Sarebbe importante sapere se i bambini possono anch’essi dimostrare,
giocando a inventare e creare, che da soli e insieme è ancora possibile inventare e creare,
che questo giocattolo, che abbiamo come dono naturale, la fantasia, non è stato
definitivamente infranto” (Rodari, Grammatica della Fantasia). Rodari ci svela la bellezza
dell’inatteso, dell’utopico, del possibile, attraverso l’analogia, i miti, l’immaginazione, la
magia, i ricordi, il ritorno all’infanzia, la fantasia, il nonsense. I procedimenti creativi della
produzione in versi e in prosa mettono in evidenza il rapporto fra lo scrittore e i due maggiori
autori del nonsense anglosassone, Edward Lear e Lewis Carrol. Il nonsense è legato
all’infanzia non solo perché scritto per i bambini, ma perché i bambini ne rappresentano il
pubblico ideale, l’unico dotato di strutture mentali predisposte a credere nell’assurdo. Rodari
usa il nonsense come patrimonio stilistico formale su cui fondare un programma di
rinnovamento culturale. Alle favole si intreccia il tema del gioco, perché l’invenzione delle
storie consiste in un gioco che trasforma, attraverso il potere generativo e immaginifico della
narrazione.

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VI Puntata - Le carte di Propp

“Le storie nascono da un numero finito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di
miliardi”
(Italo Calvino, Il Castello dei Destini Incrociati)

Vi sono svariati modi di inventare e raccontare storie: con la parola scritta, con la voce, con
l'immagine ferma o con l’immagine in movimento (cinema, disegni animati, ecc.), con le
tecnologie digitali. Le storie diventano formule magiche dell’universo comunicativo, che si
mescolano tra loro, come in un mazzo di carte, attraverso meccanismi combinatori. Rodari è
consapevole che certe cose con le parole non si possono dire e che le immagini, come
quelle dipinte da Antonio Faeti per illustrare le funzioni di Vladimir Propp, sono spesso
insostituibili. I meccanismi dell'immaginazione anticipano quelli del pensiero logico e li
rafforzano. L’immagine è un atto, suggerisce Sartre: è un fare, base prima del pensare. A
Rodari interessano le funzioni di Propp, perché è possibile usarle per costruire infinite storie,
come con dodici note si possono comporre infinite melodie. Egli vede l’occasione per
fabbricarsi un nuovo strumento didattico, le carte di Propp, un mazzo di venti figure da
estrarre a caso per inventare infinite storie, tutte basate su personaggi, temi e motivi della
fiaba tradizionale.

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“Ma anche per questo gioco occorre un tirocinio: un’educazione linguistica. Gioco significa
attività ‘disinteressata’, che ha il proprio scopo in se stessa. è così quanto agli scopi ma non
necessariamente quanto agli effetti. L’effetto del molto giocare è il diventare molto se stessi”
(Gianni Rodari). Avviene la scoperta delle carte da giuoco come meccanismo generativo di
racconto, dell’arte combinatoria delle immagini, dell’innesto narrativo; nel corso degli ultimi
anni si sono moltiplicate proposte di mazzi di carte e giochi da tavolo che utilizzano immagini
per costruire e condividere storie in miriadi di declinazioni narrative possibili e immaginabili:
si ricordano, ad esempio, Dixit, C’era una volta, le Eurekards, Youtopia ecc. Alcune
metamorfosi narrative sono così istantanee attraverso l’utilizzo delle immagini, che
rimangono al confine tra gioco immaginativo e magia. Si genera una sorta di simmetria
fantastica, come quando ci troviamo di fronte a un avvenimento magico: l’immaginazione,
senza saperlo, rimane in attesa che si compia l’avvenimento magico opposto. Prendendo
spunto dalla sequenza iniziale del lungometraggio The Prestige, si disvela il trucco di tutte le
storie, il gioco utopico del ‘prestigio narrativo’ che trasforma, articolato in tre momenti: la
promessa, la svolta e il prestigio.

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VII Puntata - Il ‘sesto senso’

Chiedo scusa alla favola antica


se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende… regala!
(Gianni Rodari)

Esiste un legame ‘viscerale’ tra immaginazione, pensiero creativo, fiaba e utopia: la fiaba,
costruita su ipotesi fantastiche, nutre il pensiero creativo che è lo stesso per inseguire
l’utopia, passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo alla capacità di criticarlo e
all'impegno per trasformarlo. La fiaba si sostanzia in un granello di sabbia che si infiltra negli
ingranaggi del mondo convenzionale, come la musica, la poesia, la pittura, il gioco: Rodari si
trasforma in un funambolo e un giocoliere della parola.

L’utopia diventa una sorta di ‘sesto senso’, altrettanto rilevante come la vista o l’udito; è
necessario educarla come un’attitudine, sollecitare una disposizione a elaborarla in modo
autonomo. L’utopia non è meno educativa dello spirito critico. Basta trasferirla dal mondo
dell’intelligenza, a quello della volontà. Rodari ci insegna il metodo dell’utopia. “Il senso
dell’utopia, un giorno sarà riconosciuto tra i sensi umani alla pari con la vista, l’udito,
l’odorato, ecc. Nell’attesa di quel giorno tocca alle favole mantenerlo vivo e servirsene, per
scrutare l’universo fantastico”. Le riflessioni sul ‘sesto senso’, da coltivare per esercitare uno
spirito critico, richiamano alcuni spunti proposti da Bernard Suits nel testo “La cicala e la
formica. Gioco, vita, utopia”. L’esistenza utopica si occupa fondamentalmente del gioco e

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“ciascun essere vivente è di fatto impegnato nel fare giochi elaborati, mentre al tempo
stesso crede di star svolgendo le proprie occupazioni ordinarie. Falegnami, convinti di
essere semplicemente intenti a svolgere il loro mestiere, stanno in realtà facendo un gioco e
lo stesso vale per politici, filosofi, amanti [...] Il falegname sul tetto sta semplicemente
martellando sui chiodi o sta facendo qualche mossa di un antico gioco di cui ha dimenticato
le regole?” (Suits 2021, p. 31).

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VIII Puntata - Molte storie

Si compongono qui le storie, gli atti scancellati pel giuoco del futuro
(Eugenio Montale, In limine)

Il pioniere della fantastica ha avuto l’ardire di inventare un nuovo modo di comunicare tra le
generazioni, un nuovo linguaggio, una nuova pedagogia. E, nelle sue storie e filastrocche,
giocando con le parole rovescia il mondo, ribalta punti di vista creando ponti di vista che
connettono. A Rodari interessava dimostrare che progettare strade nuove, migliori delle
vecchie, era sempre possibile.

Per questo servono molte storie, proprio per salvarci dai pericoli di un’unica narrazione, di
una “storia unica”, come ha raccontato la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie in
una famosa conferenza TED 2009, poi divenuta un libro, che sarebbe piaciuta molto a
Rodari (Batini, 2020). “Raccontare un’unica storia crea stereotipi. E il problema degli
stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in
un’unica storia. [...] Molte storie sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e
diffamare. Ma le storie si possono usare anche per dar forza e umanizzare. Le storie
possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità
spezzata [...] Quando rifiutiamo l'unica storia, quando ci rendiamo conto che non c’è mai
un’unica storia in nessun luogo, riconquistiamo una sorta di paradiso”.

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