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Fisiologia Corretto dal cellulare

Fisiologia (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli)

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FISIOLOGIA
La fisiologia studia il funzionamento degli organismi come nutrizione, movimento e adattamento, non solo in situazione di
omeostasi, ma anche in caso di modificazioni. I processi della vita sono governati dalle leggi chimico/fisiche e gli organismi
sono detti quindi motori biologici (macchine perfette). Essi sono accomunati da una serie di processi ma differiscono per
altri.
In fisiologia si studiano due aspetti:
1. La funzionalità di un organo
2. Il modo in cui esso si va ad integrare nei vari aspetti.
L’essere umano è un organismo che funziona su vari livelli, e solo capendo come funziona ognuno di questi livelli,
riusciamo a capire come tutto funziona insieme.

Le basi dello studio sono la morfologia (o istologia) e l'anatomia, e una volta compreso come funzionano, il passo
successivo è la patologia, cioè i malfunzionamenti che possono avvenire nei vari apparati ed organi.

Raggiungeremo così tre compiti speciali:


Fissare i fenomeni vitali: esatta descrizione di ciò che accade in quell'organo o apparato;
Localizzare i fenomeni vitali: nei singoli tessuti, organi ecc.
Comprenderne il meccanismo e valutare le condizioni interne o esterne che determinano tali processi, o in grado di
comprendere se variazioni qualitative o quantitative dei fattori coinvolti possano apportare grosse modifiche al processo
in questione.

Cellule con uguale funzione che si radunano insieme formano i tessuti: epiteliale, connettivo, nervoso e muscolare.
Questi ultimi sono definiti eccitabili, perché in grado di cambiare il loro potenziale di membrana

Tessuto Epiteliale o epitelio: è ampiamente distribuito in tutto il corpo ed ha varie funzioni, come protezione, funzione
sensoriale, secrezione, assorbimento, escrezione...
Tessuto Connettivo: va a mettere in contatto le varie parti del corpo o le mantiene insieme, si divide in: cartilagine, osso
e sangue. Il sangue trasporta un fluido in tutti i distretti del corpo, quindi lo collega interamente. Esso è il più abbondante
in tutto il corpo.
Tessuto Nervoso: formato da neuroni (unità funzionale vera e propria) e glia, o neuroglia (cellule di sostegno dei neuroni)
ed è eccitabile.
Tessuto Muscolare: esso è eccitabile e va incontro a contrazione, si divide in striato (presenta bande chiare e scure,
caratterizza il muscolo scheletrico ed è volontario), liscio (non presenta bande ed è involontario), miocardico specifico
(striato ma involontario).
Tutti e tre hanno la possibilità di contrarsi.

L'insieme di organi e tessuti forma i vari sistemi o apparati del nostro corpo:
SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO: formato da cuore, che funge da motore e pompa, e vasi sanguigni, addetti alla
distribuzione del sangue a tutti i distretti corporei, e il suo ritorno al cuore. Permettendo anche la piccola respirazione a
livello polmonare. Attraverso i vasi vengono anche eliminati CO2 e prodotti di rifiuto.
Questo sistema e collegato a tutti gli altri sistemi, in particolare con quello respiratorio, immunitario ed escretore.
SISTEMA DIGERENTE: inizia col cavo orale, e si concentra maggiormente nell'addome. È uno dei sistemi a contatto con
l'esterno, grazie al quale possiamo introdurre materiale estraneo. È collegato con il sistema cardiovascolare e quello
immunitario.
SISTEMA RESPIRATORIO: tutto concentrato nel torace, permette scambi d'aria con l'esterno e gli scambi gassosi con il
sangue. Attraverso gli alveoli polmonari garantisce un continuo scambio gassoso con l’esterno e un rifornimento di
ossigeno per l’organismo. Presiede all’eliminazione del CO2 ed è strettamente legato al sistema cardiovascolare e a quello
immunitario.
SISTEMA URINARIO: escrezione dei metaboliti, che vengono prodotti a livello renale e allontanati con l'urina.
SISTEMA SCHELETRICO: struttura di sostegno per il nostro corpo e di protezione per organi vitali
SISTEMA MUSCOLARE: esso ci permette sostegno e movimento nello spazio
SISTEMA TEGUMENTARIO: formato da pelle capelli unghie
SISTEMA IMMUNITARIO: coinvolto nei processi di infiammazione e difesa in seguito alla presenza di sostanze riconosciute
come estranee dall'organismo.
SISTEMA NERVOSO: coordina tutte le attività e sistemi dell'organismo, il nostro cervello riceve milioni di bit al secondo
perché deve conoscere costantemente la condizione interna ed esterna del nostro organismo

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SISTEMA ENDOCRINO: è formato da tutti i tessuti e le ghiandole secernenti ormoni, che devono raggiungere determinati
organi, esso collabora con il sistema Nervoso attivando risposte dagli organi ed è anche collegato con il sistema
riproduttivo.
SISTEMA RIPRODUTTIVO: serve alla produzione dei gameti femminili e maschili, nel sistema riproduttore femminile
avviene lo sviluppo dell’embrione e del feto. È collegato con il sistema nervoso, con quello endocrino e con quello
immunitario nella fase di allattamento.

Gli organismi sono sistemi aperti altamente organizzati omeostatizzati


Gli organismi animali siamo definiti come un:
1. Sistema aperto: scambiamo sia energia (calore e lavoro) che materia con l'ambiente esterno.
2. Sistema organizzato: abbiamo proprietà che derivano sia dalle singole componenti che dalla loro specifica
organizzazione
3. Sistema omeostatizzato: ha il compito di mantenere l'omeostasi di tutto l'organismo, cioè la capacità di mantenere una
stabilità interna entro specifici range anche quando ci sono cambiamenti nelle condizioni dell'ambiente interno o
esterno all'organismo.
Il primo a parlare di omeostasi fu Claude Bernard, iniziò a riconoscere l'importanza del mantenimento dell'equilibrio
nonostante forti stimoli dall'esterno, poi nel 1929 ne parlò ufficialmente Walter Cannon, sottolineando il concetto di
omeostasi.

L’ Omeostasi è la capacità di mantenere una stabilità anche in condizioni di sforzo, è un processo di mantenimento della
composizione dei compartimenti interni del corpo entro limiti abbastanza stretti: concentrazioni ioniche, pH., temperatura
ecc. e, di conseguenza, richiede meccanismi regolatori.
ES. Il pH: se variamo il pH. all'interno della cellula, alcune attività metaboliche vengono perse, perché le strutture coinvolte
nei processi metabolici sono quasi tutte strutture proteiche, sono costituite quindi da amminoacidi, i quali sono altamente
sensibili alle variazioni di pH.
Si può parlare, quindi, di:

• Omeostasi cellulare: caratterizzata dalla composizione dei liquidi intercellulari


• Omeostasi organismo: composizioni dei liquidi extracellulari
Essa è raggiunta tramite specifici meccanismi regolatori, come ad esempio nel caso del GLUCOSIO, livelli troppo elevati di
glucosio nel sangue possono essere dannosi per i vari organi. Esiste infatti un sistema per abbassare i livelli di zucchero nel
sangue, come quello dell'INSULINA, che viene prodotta dalle cellule beta del sangue e quando i livelli di glucosio si alzano
oltre la normalità (5mmol / litro) si produce l'insulina.
Se si ha un abbassamento dei livelli di glucosio, viene inibita la produzione di insulina e si produce il GLUCAGONE.
Quindi questi sistemi devono essere costantemente controllati, tale controllo viene effettuato da specifici apparati
controllori che lavorano a Feedback negativo = valutano il prodotto di uno specifico organo, e se esso va al di fuori del
range di normalità, vanno a regolare a monte il sistema che ha generato quel prodotto.

I sistemi di regolazione omeostatica si possono raggruppare in:


- Regolazioni Intrinseche o locali: meccanismi dovuti a caratteristiche di quel tessuto o organo,
- Regolazioni Estrinseche o sistemiche: meccanismi esterni a quell'organo, principalmente il sistema nervoso e quello
endocrino

COMPOSIZIONE CHIMICA DEL CORPO


Il corpo è composto da ossigeno, carbonio, azoto ecc. carboidrati, grassi, zuccheri, acidi nucleici, ma principalmente acqua.
In media siamo costituiti al 60% di acqua. L'acqua è essenziale per il nostro organismo perché è il principale solvente.
Infatti, nel nostro corpo esistono sia sostanze che si disciolgono in acqua, e sono quindi idrofiliche, e molecole che invece
si dissolvono in lipidi o solventi organici e sono dette idrofobiche.
Ci sono poi molecole che presentano sia una parte idrofilica che una idrofobica e sono dette molecole anfipatiche.
L’acqua presente nel nostro corpo si può dividere in:
Acqua intracellulare: garantisce tutte le attività metaboliche all'interno della cellula stessa, mantiene la turgidità della
cellula e la sua forma e lo scambio di nutrienti.
Acqua extracellulare: riferendoci sia al plasma che al fluido interstiziale.
La vita è fondata sulle soluzioni a base di acqua, perché essendo una molecola polare permette di creare queste soluzioni
e le interazioni nel legame a idrogeno. Infatti, in condizioni fisiologiche il turnover giornaliero di acqua negli adulti è pari al
4% e nei bambini, essendo che essi sono costituiti al 70% di acqua, il ricambio è pari al 15%.

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MODI DI INTRODUZIONE DELL'ACQUA


- Viene introdotta tramite bevande e alimenti. Soprattutto frutta e verdura.
- Acqua endogena prodotta dalla scissione di carboidrati, proteine e lipidi.

MODI DI PERDITE DI ACQUA


Perdite idriche: renali (urina) ed extra-renali (sudore, feci, perspiratio insensibilis)
Perspiratio insensibilis: quota idrica che serve per saturare l'acqua inspirata, possiamo perdere dalla cute.
Essa varia in funzione della temperatura e dell'umidità dell'ambiente.
Se abbiamo, ad esempio, un aumento di temperatura da 24 a 31 gradi/C abbiamo un raddoppio di perdita di acqua con la
perspiratio insensibilis.
L'acqua è coinvolta come solvente, regola la temperatura, il volume delle cellule, favorisce i processi digestivi, il trasporto
dei nutrienti e l'eliminazione delle sostanze dannose, metabolismo ecc.

LA SOLUZIONE: miscela omogenea di due o più componenti (H2O solvente e la sostanza è il soluto)
L'acqua e una molecola polare, che presenta una parziale carica negativa sull'atomo di ossigeno ed una parziale carica
positiva sull'atomo di idrogeno. Questa sua capacità gli consente di solubilizzare molti atomi grazie a legami a idrogeno;
ed è un buon solvente > nel caso del sale, si ha solvatazione fino a saturazione.
L’acqua è una sostanza Anfotera perché può comportarsi sia come base che come acido, in base alla sostanza con cui si
trova a contatto. IL pH del plasma in soggetti sani è di 7,35-45. È molto importante mantenere il suo valore in questo
range per il corretto funzionamento del nostro organismo.
Un'altra caratteristica, infatti, dell'acqua è che questa possa fungere da tampone, va quindi a tamponare eventuali eccessi
di protoni, quindi variazioni di pH per mantenere l'omeostasi dell'organismo.

COMPARTIMENTALIZZAZIONE
È la possibilità di suddividere l'organismo in diversi organi con specifica funzione o ad esempio la cellula divisa in numerosi
organelli, ognuno con differente funzionalità.
Esistono tre categorie di cellule:
• Cellule molto specializzate che hanno perso la capacità di dividersi
• Cellule differenziate: che normalmente non si dividono, ma lo possono fare in risposta ad uno stimolo, come le cellule
epatiche. Quando c'è un sovraccarico di lavoro queste cellule escono dal loro stato di quiescenza e si vanno a
suddividere.
• Cellule attivamente proliferanti: cellule staminali, cioè che vanno a creare cellule di ricambio nei tessuti, o cellule
germinali.
Esse possono essere diverse per dimensioni, forme e tipologia. Ad esempio, il neurone ha un aspetto alberizzato, l'ovulo è
tondo, la cellula muscolare liscia è allungata, i globuli rossi hanno aspetto biconcavo ecc.
La cellula adiposa presenta, come tutte le cellule, gli organelli, ma ha una caratteristica particolare: accumulare sostanze di
riserva, ovvero GRASSI. Una cellula adiposa può andare incontro ad Ipertrofia ed Iperplasia.
Iperplasia: aumento del numero di cellule
Ipertrofia: aumento del volume delle cellule. La cellula adiposa può andare incontro ad elevata ipertrofia.

MEMBRANA PLASMATICA
Essa serve ad evidenziare il confine della cellula, la protegge dell'ambiente esterno, regola selettivamente le sostanze in
entrata e uscita grazie anche a trasportatori o canali, riconosce sostanze chimiche tramite recettori (self o non-self), è il
punto di ancoraggio per i filamenti o i componenti della matrice, riconoscimento cellulare, compartimentazione dei
domini subcellulari, regola la fusione con altre membrane, permette il passaggio di molecole tramite canali o giunzioni ecc.

MEMBRANA EPITELIALE
Sono membrane che vanno a formare un epitelio e sono poste in serie l'una all'altra. Sono formate dalla membrana
apicale, che è la membrana che volge verso l'esterno o verso il lume dell'organo, e da una membrana baso laterale, è la
membrana opposta a quella apicale e che quindi volge all'interno dell'organo stesso.
Esse sono unite da gap-junction (giunzioni serrate).
Questo permette il passaggio di sostanze.

COMPOSIZIONE CHIMICA:
• Lipidi (fosfolipidi e colesterolo principalmente),
• Proteine (estrinseche o intrinseche),
• Zuccheri, ovvero glucidi (glicolipidi e glicoproteine) -> sono quelli presenti in minor quantità e sono coinvolti nella
funzione di riconoscimento della cellula.

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LIPIDE: Si tratta di una sostanza non solubile in acqua ma in solventi organici. La maggior categoria è costituita dagli
Acidi Grassi, rappresentati da una catena di idrogeni e carboni che si dispongono simmetricamente.
Lipidi Saturi: hanno legami singoli fra tutti gli atomi di carbonio, questi ultimi sono saturati (cioè fanno il massimo numero
di legami possibili) con gli atomi di idrogeno. Essi sono in grado di "impacchettarsi" risultando solidi.
Lipidi Insaturi: presentano doppio legame Carbonio-Carbonio, sono definiti insaturi proprio perché non garantiscono il
massimo numero di legami con l'idrogeno.
Essi si dividono in CIS (se gli idrogeni sono sullo stesso lato) e TRANS (su due lati opposti). Quelli in CIS, a causa del poco
spazio non possono impacchettarsi e si presentano quindi in forma liquida, infatti a causa del poco spazio presentano
ripiegamento sulla coda (caratteristici degli omega 3 e omega 6 -> a partire dall'omega il sest'ultimo o il terz'ultimo
carbonio ha il doppio legame)

ACIDI GRASSI: essenziali (gli acidi grassi insaturi, come omega 3 e 6 che devono essere introdotti con l'alimentazione),
trigliceridi (grassi di deposito) e fosfolipidi (componenti delle membrane biologiche).

I FOSFOLIPIDI
Sono molecole anfipatiche con coda apolare e testa polare. Essi si organizzano unendo le code e lasciando le teste
all'esterno, formando questo doppio strato. Le sue proprietà dipendono dalla temperatura, in condizioni fisiologiche il
reticolo è molto fluido, con temperatura bassa presenta rigidità.
• In condizioni di temperatura fisiologiche = fase liquido- cristallino, le catene carboniose sono allo stato fluido ed
hanno libertà di movimento.
• Temperature molto basse = fase cristallina, la membrana è molto rigida
• Temperature molto alte = fusione
All'interno della membrana possiamo avere dei movimenti di acidi e fosfolipidi che possono essere sia di rotazione su sé
stesso che di diffusione laterale. Un ultimo movimento è chiamato FLIP-FLOP, in cui il fosfolipide presente su uno dei
doppi strati può diffondere nell'altro strato lipidico. Prove a sostegno della struttura a doppio strato è l’esperimento di
Gorter and Grendel portò alla conclusione che i lipidi fossero disposti a doppio strato nella membrana eritrocitaria.

PROTEINE DI MEMBRANA, si possono dividere in due macrocategorie:


• ESTRINSECHE: si trovano solo su uno dei due strati della membrana, possono essere ancorate o ai fosfolipidi di
membrana, o ad altre proteine intrinseche, o agli acidi grassi della membrana e sono presenti o sul versante interno o
su quello esterno della membrana.
• INTRINSECHE: attraversano interamente il doppio strato della membrana.
Esse si possono dividere a loro volta in: Proteina monopasso (che è intrinseca totale), proteina multipasso (cioè che
attraversa più volte l'intera membrana), proteina multimerica (costituita da più subunità che attraversano la membrana),
proteina integrale monotopica (attraversa solo uno dei due strati).

Esistono poi diverse tipologie di proteine di membrana, esse sono:


1. Canali: proteine integrali, attraversano tutti e due gli strati e permettono ingresso e uscita di sostanze specifiche dalla
cellula;
2. Trasportatori: sostanze che legano la molecola che deve essere trasportata da un versante all'altro della cellula.
3. Recettori: recepiscono un segnale derivante dall'esterno della cellula, riconoscono determinate molecole e attivano
una risposta.
4. Enzimi: possiamo trovare a ridosso del doppio strato, catalizzano le reazioni enzimatiche
5. Ancoraggi del citoscheletro: proteine periferiche, che servono per ancorare i filamenti del citoscheletro
6. Marcatori di identità cellulare: permettono il riconoscimento dei diversi tipi di cellule, come nel caso dei gruppi
sanguigni ecc.

FOSFOLIPIDI: la loro molecola principale è il glicerolo, esso è costituito da due molecole di acidi grassi legati poi ad un
gruppo fosfato. Il legame tra glicerolo e gruppo fosfato forma l'acido fosfatidico. Il gruppo fosfato, a sua volta può
presentare diversi costituenti (es. colina, sierina ecc.) a seconda di tale costituente, il fosfolipide poi prende nomi diversi.
La caratteristica principale nella costituzione del doppio strato di membrana è che: in posizione 1 del fosfolipide ci sia un
acido grasso saturo, e in posizione 2 ci sia un acido grasso insaturo.
Abbiamo vari tipi di lipidi come:
• Glicolipidi: costituiti da sfingosina, unitamente ad uno zucchero,
• Colesterolo: costituito da 4 anelli idrocarburici, che rappresentano la parte idrofobica apolare della molecola, e un
gruppo OH che costituisce la parte polare. Esso si inserisce tra i fosfolipidi di ciascun monostrato restringendo la
mobilità sia delle teste che delle code, quindi stabilizza la membrana, sia in caso di rigidità cristallina che di eccessiva
fluidità.

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I diversi tipi di fosfolipidi li troviamo differentemente distribuiti tra l'interno e l'esterno della cellula.
Essi però, sono distribuiti equamente tra interno ed esterno.
La fosfatidilserina è l'unica ad avere carica negativa, mentre le altre hanno tutte carica neutra.
Questo ambiente negativo lo troviamo solo all'interno della membrana.
ZATTERE LIPIDICHE sono piccole aree nella membrana ricche di colesterolo e glicolipidi o glicoproteine, capaci di muoversi
all'interno della membrana per andare da un lato all'altro della membrana della cellula in funzione di quella che è l'attività
cellulare. Possono essere coinvolte sia nella funzione di riconoscimento della membrana che nei processi di endocitosi.

MODELLO A MOSAICO FLUIDO proposto d Singer e Nicholson, cioè quindi, una membrana con doppio strato fosfolipidico,
al cui interno c'è il colesterolo che gli conferisce fluidità. L'attività congiunta di tutte le strutture a ridosso della membrana
permette l'attività della membrana e della cellula stessa.

Le cellule comunicano tra loro usando una combinazione di:


- Diffusione semplice su brevi distanze
- Distribuzione diffusa di molecole attraverso il sistema circolatorio
- Trasmissione rapida e specifica di messaggi da parte del sistema nervoso (tramite i recettori)
1. DIFFUSIONE TRA MEMBRANE: essa serve ad avere gli scambi attraverso la membrana cellulare.
La forza che spinge le molecole ad entrare e uscire dalla cellula è la diversa concentrazione (gradiente) delle molecole tra
interno ed esterno. Il gradiente di concentrazione non basta però, perché la velocità con cui essa entra dipende da diversi
fattori: ad esempio, se essa è liposolubile o idrosolubile, se sono presenti trasportatori specifici per quella sostanza,
dipende dallo spessore della membrana o dalla grandezza della molecola di tale sostanza, dipende dall'area di superficie
della membrana, e dalla composizione dello strato lipidico.
LA LEGGE DI FICK DELLA DIFFUSIONE dice che la velocità di diffusione dipende da una costante, che definisce la
permeabilità di membrana. Non tutte le sostanze possono attraversare così facilmente la membrana, quindi esistono altri
metodi:
2. CANALI DI MEMBRANA: avviene in caso di sostanze idrosolubili, polari che non possono attraversare il doppio strato
fosfolipidico per diffusione e quindi si servono di PROTEINE CANALE, che sono proteine integrali di membrana che
formano canali ionici, organizzando un poro idrofili che lo ione può attraversare.
Esistono numerosi canali ionici perché sono altamente selettivi, cioè ognuno è specifico per ogni sostanza.
3. PROTEINE TRASPORTATRICI: si utilizzando in caso di molecole di grandi dimensioni che non possono essere trasportate
tramite canali perché troppo piccoli, ed è detta anche DIFFUSIONE FACILITATA. Esse sono mediate da proteine carieer,
e trasportano le sostanze sia secondo gradiente di concentrazione (diffusione facilitata) che contro quest'ultimo
(trasporto attivo -> per cui è necessario l'utilizzo di energia, e quindi di ATP).

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La sua importanza è rilevantissima perché in sua assenza le più importanti molecole organiche di interesse vitale non
potrebbero attraversare la membrana con la velocità richiesta.

TRASPORTI NELLA MEMBRANA CELLULARE


Si possono dividere in:
1. Trasporti in forma libera: il trasporto non viene mediato da un trasportatore, e a questo gruppo appartengono la
diffusione semplice e i canali ionici.
2. Trasporti mediati: prevedono un legame stretto con una proteina trasportatrice, a cui appartengono la
diffusione facilitata e il trasporto attivo primario e secondario.

PASSIVI = secondo gradiente ATTIVI = contro gradiente


Quindi:
- Diffusione semplice: sostanze liposolubili come gas respiratori, vitamine liposolubili, ormoni steroidei ecc.
- Canali ionici: acqua e sostanze idrosolubili a basso peso molecolare le cui particelle sono dotate di carica elettrica netta o
sono fortemente polari
- Diffusione facilitata: proteine polari ma di elevata dimensione e ad alto peso molecolare.

Ad esempio, con il glucosio abbiamo il trasportatore GLUT con cui il glucosio entra nella cellula. Esso una volta entrato
nella cellula entra poi nella sua via metabolica e viene fosforilato e produce ATP.
La fosforilazione del glucosio in glucosio-6-fosfato permette l'accumulo di glucosio nella cellula sotto forma di glicogeno,
mantenendo bassa la concentrazione intracellulare di glucosio.
TRASPORTO ATTIVO PRIMARIO: avviene contro gradiente di concentrazione, e interessa il trasporto di ioni inorganici,
come ad esempio la pompa sodio-potassio.

LA POMPA SODIO- POTASSIO = trasporta 3 Na+ all'esterno e 2 K+ all'interno tramite l'utilizzo di ATP.
Essa è fondamentale perché mantiene il loro gradiente di concentrazione.
Dal punto di vista energetico, la rilevante quantità di energia spesa dalla pompa Na+/K+ per trasferire i due ioni contro
gradiente si ritrova in buona parte accumulata in forma potenziale negli elevati gradienti elettrochimici che essa crea a
cavallo della membrana. L'importanza fisiologica viene dal fatto che è una fonte di energia potenziale che la cellula può
utilizzare per altre funzioni. Essa inoltre contribuisce al mantenimento dell'equilibrio osmotico.

Oltre alla pompa sodio-potassio, esiste ad esempio anche quella del calcio, che è l'attivatore di molte funzioni.

TRASPORTO ATTIVO SECONDARIO: utilizza l'energia potenziale accumulata dal gradiente di concentrazione creato dal
trasporto attivo primario. Nel caso della pompa sodio-potassio, il sodio si lega ad un altro trasportatore e contro gradiente
di concentrazione porta un'altra sostanza. Quindi, si parla di trasporto attivo secondario perché esso non utilizza l'ATP, ma
il sodio utilizza come "fonte di energia" il proprio gradiente, per portare contro gradiente un'altra sostanza.
Si parla infatti di SIMPORTO Na+ Glucosio.

POTENZIALE DI MEMBRANA
Il potenziale di membrana è alla base dell'eccitabilità dei vari tessuti.
Alla base della trasmissione dell'impulso nervoso vi è una variazione del potenziale di membrana, il
POTENZIALE D'AZIONE. Differenza di potenziale elettrico a cavallo delle due "facce" della membrana citoplasmatica.
A trasportare tale carica, attraverso la membrana, provvedono alcuni ioni inorganici attraverso i canali ionici passivi.
La genesi di questo potenziale è legata ad uno SQUILIBRIO IONICO tra i due versanti della membrana.
Tale differenza di potenziale è pari a -70mv, con un eccesso di anioni, quindi cariche negative, all'interno del liquido
intracellulare. Quando si tratta di soluti ionici, dotati di carica, l'equilibrio non si raggiunge quando la concentrazione ai
due lati della membrana è uguale, perché essi sono influenzati da due tipi di forze:
-Energia chimica: gradiente di concentrazione
-Energia elettrica
L'equilibrio si raggiunge quando le forze di queste due energie saranno uguali.
Per spiegare quindi la genesi del potenziale di membrana dobbiamo considerare:
1. La CONCENTRAZIONE degli ioni all'interno ed esterno della cellula,
2. La diversa permeabilità dovuta al differente numero di canali ionici selettivi.
Nel caso dei neuroni in condizione di riposo c'è una maggiore permeabilità di ioni potassio.

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IL SISTEMA NERVOSO

Il sistema nervoso recepisce le informazioni dall'ambiente interno ed esterno, le seleziona, le elabora e ne trasmette le
risposte. Esso si divide in centrale e periferico.
1. CENTRALE: centro di integrazione effettivo delle informazioni, dove esso le riceve e le elabora, è quindi la vera e
propria centrale di tutto il sistema. Esso è formato da cervello e midollo spinale.
2. PERIFERICO: si divide in parte Afferente, formata da neuroni sensoriali che recepiscono lo stimolo dall' ambiente
esterno o interno e lo inviano al sistema Centrale: afferiscono le informazioni.
In parte Efferente: portano l'informazione dal sistema centrale agli organi e apparati. Parliamo quindi di neuroni
motori (o motoneuroni) coinvolti nel controllo della muscolatura e quindi nella coordinazione dei movimenti del
nostro organismo.

SISTEMA NERVOSO AUTONOMO che si divide in Simpatico (o orto-simpatico) e Para-simpatico, coinvolti nel controllo
della contrazione della muscolatura liscia, attività di secrezione delle ghiandole endocrine ed esocrine, stimolano l'attività
di una categoria specifica di tessuto adiposo, il tessuto adiposo BRUNO.

SISTEMA NERVOSO ENTERICO: lo ritroviamo all'interno dell'apparato digerente, lungo tutto il canale alimentare,
rappresentato da due PLESSI (Plesso di Meissner e il Plesso di Auerbach). Esso riceve tutte le informazioni riguardo le
concentrazioni dei nutrienti, in che fase della digestione si è, come procede la digestione, della motilità intestinale
(peristalsi).

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IL NEURONE: unità funzionale del sistema nervoso,


che ha la caratteristica di essere eccitabile, ovvero
rispondere a uno stimolo cambiando il suo
potenziale di membrana.
Nella sua struttura riconosciamo delle strutture
sempre presenti, ognuna con funzioni specifiche:
• Soma: centro principale del neurone, il suo
centro metabolico, in cui sono presenti nucleo e
organelli;
• Dendriti: numerosi allungamenti che partono dal
soma, con funzione di ricevere l'informazione o
lo stimolo. Possono essere molto ramificati,
assumendo l'aspetto di un albero.
• Assone: altro prolungamento che parte dal
MONTICOLO ASSONICO, una zona del soma, ha
la funzione di trasferire il potenziale d'azione.
Il potenziale, quindi, nasce nel punto di origine
dell'assone, chiamato anche zona di innesco.

Il terminale assonale si dirama formando


ramificazioni, alla fine delle quali ci sono degli
"allargamenti" dei vari rami chiamati BOTTONI.
Tali terminali assonali prendono contatto col
neurone successivo, e questo punto di contatto è
detto SINAPSI.
Il neurone prima della sinapsi è detto presinaptico,
quello dopo è detto postsinaptico.
Il terminale assonale può prendere contatto (per l'80-85%)
con i dendriti, a volte anche direttamente col soma.

TRASPORTO ASSONALE, se ne distinguono due tipi:


-ANTEROGRADO: va dal soma al terminale assonale, tutte
le molecole sintetizzate nel soma vengono impacchettate
in vescicole di trasporto, queste vescicole si muovono
all'interno di microtubuli che costituiscono il citoscheletro
dell'assone.
Esso si divide a sua volta in VELOCE (effettuato per i
neurotrasmettitori) e LENTO (effettuato per tutte le
strutture che fanno parte del citoscheletro del neurone, gli
enzimi coinvolti nelle sintesi utili lungo l'assone);
-RETOGRADO: va dal terminale assonale al soma, utilizzato
per le vescicole che devono essere sintetizzate, riciclate e
digerite.

I NEURONI SENSORIALI: possono essere di diverse forme: pseudounipolari (unica protusione che si dirama a formare da
una parte i dendriti e da una parte gli assoni) o bipolari (due protusioni che dipartono dal soma in direzione opposta).
Essi sono quelli coinvolti nella percezione sensoriale.
INTERNEURONI O NERURONI EFFERENTI: rientrano nella categoria nei neuroni multipolari (più filamenti di dendriti che
partono dal neurone stesso). Sono i neuroni che hanno il compito di ricevere miliardi di informazioni.
Es. le cellule del cervelletto sembrano degli alberi, perché devono ricevere milioni e milioni di informazioni.

MIELINA: strato isolante posto sull'assone, che permette una trasmissione più veloce del potenziale lungo quest'ultimo.

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Oltre ai neuroni abbiamo anche le CELLULE GLIALI: sono di supporto per i neuroni e ne aiutano la crescita.
Si distinguono in quelle del sistema nervoso periferico che sono:
- Le CELLULE SATELLITE: con la funzione di supportare e sostenere i corpi cellulari dei neuroni del SNP
- Le CELLULE DI SCHWANN: producono i fattori neutrofici che servono per la crescita dei neuroni, coinvolti anche nel
processo di MIELINIZZAZIONE (nel SNP). Esse vanno a mielinizzare un unico tratto di un assone.

Nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) abbiamo:


1. LE CELLULE EPENDIMALI che creano barriere fra i compartimenti,
2. LE MICROGLIA che sono più piccole ma anche più numerose, con il compito di allontanare tutti i metaboliti prodotti dai
neuroni,
3. GLI ASTROCITI svolgono numerose funzioni: creano la barriera ematoencefalica, producono i fattori di crescita, fungono
da supporto per le cellule nervose, sono coinvolti nella ricaptazione, quindi riassorbimento, dei neurotrasmettitori,
4. GLI OLIGODENDROCITI, coinvolti anch'essi nel processo di mielinizzazione del sistema nervoso centrale, essi, al
contrario delle cellule di Schwann, mielinizzano più tratti differenti.

Nel sistema centrale, essi una volta dopo aver mielinizzato restano lì per rigenerarla dopo un danno, anche se ci sono
tantissimi fattori che rallentano tale processo. Nel sistema periferico, invece, l'assone può ricrescere solo se avviene una
lesione.
Nel SNP ogni cellula di Schwann si associa ad un solo assone, essa si rigira più volte intorno all'assone, fino a perdere il
liquido intracellulare. Ciò avviene lungo tutto l'assone, lasciando solo dei piccoli spazi aperti chiamati NODI DI RANVIER,
che sono le zone effettivamente coinvolte nel processo di propagazione, permettendo un più rapido flusso di ioni al suo
interno (CONDUZIONE SALTATORIA). In questi nodi ci sono molti canali a porta voltaggio dipendenti.

Ricorda La propagazione continua è propria dei neuroni che hanno assoni non mielinizzati.
Negli assoni rivestiti
dalla guaina mielinica, invece, si verifica la propagazione saltatoria, ovvero la conduzione del segnale «salta» da
un nodo di Ranvier all’altro.

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POTENZIALE D'AZIONE: rapida variazione del potenziale di membrana della cellula, in seguito ad un cambiamento alla
permeabilità allo ione sodio. Alla base del potenziale vi è, quindi, un considerevole e transitorio aumento della
permeabilità al sodio. In seguito ad uno stimolo, il potenziale di membrana subisce una depolarizzazione verso valori più
positivi e cambiando segno per un istante. Nel processo di ritorno al suo valore di riposo, il potenziale assume per breve
tempo valori più negativi del normale.

PROPRIETA' DEL POTENZIALE


1. Insorge in seguito ad una depolarizzazione;
2. La depolarizzazione deve raggiungere un valore soglia (intorno ai -50/55 mv),
3. Esso è un evento del tutto o nulla, cioè o si raggiunge il valore soglia e si scatena, o non si manifesta affatto.
4. Si propaga lungo tutto l'assone senza subire variazione, (cioè ad esempio sempre +30 mv, e non di meno o di più),
può cambiare solo la frequenza,
5. In corrispondenza del picco di potenziale, il potenziale di membrana cambia segno diventando positivo,
6. Immediatamente dopo l'insorgenza del potenziale, la membrana si trova in un periodo REFRATTARIO, in cui non è
capace di scatenare un nuovo potenziale;

Nella depolarizzazione entra il sodio, nella ripolarizzazione esce il potassio. Poi la pompa sodio potassio ATPasi dipendente
ristabilisce gli equilibri. Sono coinvolti nel potenziale d'azione i canali del sodio e del potassio, ma entrambi sono canali a
porta-voltaggio dipendente. Sono canali che si aprono quando cambia il voltaggio della membrana.
Il canale del sodio presenta due porte: una sul versante esterno che è detta di ATTIVAZIONE, ed una sul versante interno
detta di INATTIVAZIONE.
Nella condizione di riposo, la porta di attivazione è chiusa e quella di inattivazione è aperta, quindi il sodio non può
entrare. Quando arriva lo stimolo dal neurone, se questo raggiunge il valore soglia, fa aprire la porta di attivazione, quindi
il sodio può entrare. Questi due canali, però, sono rapidi ad aprirsi e chiudersi. Dopo poco, infatti, la porta di inattivazione
si chiude e il sodio non può entrare. Contemporaneamente a questi canali del sodio abbiamo quelli del potassio.

Il potassio presenta un'unica porta sul versante esterno. Tali porte però sono lente ad aprirsi e chiudersi, in condizioni di
riposo sono chiuse, quando inizia il processo la porta si apre facendo uscire il potassio e dando inizio alla ripolarizzazione.
Essendo lente a richiudersi causano la fase di iperpolarizzazione, facendo scegliere il valore al di sotto della soglia.
Quindi:
FASE DI RIPOSO: tutti e due canali chiusi,
FASE DI DEPOLARIZZAZIONE: le porte del sodio sono aperte; quindi, ne aumenta la permeabilità e l'equilibrio
elettrochimico è spostato verso il sodio.
FASE DI RIPOLARIZZAZIONE: i canali del sodio si chiudono, e si aprono i canali del potassio, facendolo uscire dalla cellula.
FASE DI IPERPOLARIZZAZIONE: a causa delle porte lente del potassio che ne fanno uscire troppo.

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POTENZIALE DI MEMBRANA GRADUATO


Sono depolarizzazioni o iperpolarizzazioni che si verificano nei dendriti, nel soma o vicino al terminale assonale.
Vengono definiti graduati perché la loro ampiezza è direttamente proporzionale alla forza che lo innesca.
Inoltre, dal punto di insorgenza, cioè dal soma, devono arrivare fino al Monticolo assonico per stimolare l'insorgenza di un
potenziale. Visto che deve attraversare tutto il soma, gradualmente perde la sua forza.
Esso precede il potenziale d'azione perché è uno stimolo (informazione).
Esso si può dividere in:
DEPOLARIZZANTE: va ad eccitare il neurone post-sinaptico: ingresso di cationi
IPERPOLARIZZANTE: va ad inibire il neurone post-sinaptico: ingresso di anioni
I potenziali graduati vengono integrati nella zona trigger (di innesco):
- Se molti stimoli arrivano simultaneamente, su dendriti o sinapsi diverse, i loro potenziali graduati si sommano.
Ad esempio, diversi potenziali graduati eccitatori sottosoglia possono sommarsi per dare un potenziale soprasoglia e
innescare un potenziale d'azione (sommazione spaziale)
- Viceversa, stimoli che sommati andrebbero soprasoglia vengono diminuiti da un potenziale graduato inibitorio
iperpolarizzante e non essere più in grado di innescare un potenziale.
- Potenziali graduati che non arrivano simultaneamente nella zona trigger, ma anche sullo stesso dendrite, possono essere
sommati se arrivano vicini nel tempo (sommazione temporale)

PERIODO REFRATTARIO ASSOLUTO E RELATIVO


Durante il periodo refrattario assoluto nessuno stimolo depolarizzante, per quanto possa essere forte, può innescare un
altro potenziale. Perché in questa fase è chiusa la porta di inattivazione del sodio, per cui nessuno stimolo sarà in grado di
riaprirla. Esso è molto importante nella contrazione del cuore.
Durante il periodo refrattario relativo è dettato dall'iperpolarizzazione, quindi uno stimolo più ampio della norma può
innescare un nuovo potenziale d'azione. Durante questo periodo i cancelli del canale Na+ sono in posizione di riposo e i
canali del K+ sono ancora aperti.
Serve uno stimolo più forte perché essendo la membrana più negativa del previsto, serve più forza per raggiungere il
valore soglia. L'uscita dello ione potassio iperpolarizza il neurone e blocca lo stimolo depolarizzante.
Se l'intensità del potenziale graduato aumenta, aumenta la frequenza di scarica dei potenziali d'azione.

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La quantità, quindi, di neurotrasmettitore rilasciato al terminale assonale è direttamente correlata al numero totale di
potenziali d'azione.
Ricorda Il potenziale d’azione deve potersi propagare dal punto in cui si innesca lo stimolo fino alla sinapsi del neurone.
I potenziali d’azione, inoltre, si propagano in una sola direzione e l’impulso non può mai tornare indietro lungo l’assone.

PROPAGAZIONE DEL POTENZIALE LUNGO L'ASSONE


Nel momento in cui il sodio entra, deve fluire nel liquido cellulare per andare ad eccitare la zona adiacente.
Esso fluisce ed eccita il segmento successivo mentre nel frattempo il segmento precedente si trova nel fare di
ripolarizzazione, e così succede in tutto il liquido asso plasmatico fino al terminale assonale, determinando infine
l'esocitosi del neurotrasmettitore. Nella zona di innesco, dopo che è arrivato il potenziale graduato, fuoriesce il sodio che
si dirige sia verso il soma che verso il terminale assonale (iniziando il potenziale d'azione).
Nel Monticolo assonico parte del sodio va verso il soma, disperdendosi perché questa zona non presenta molti canali
sodio. La velocità di conduzione è determinata dalla resistenza e dalla capacità della membrana dell'assone:
minore è la sua capacità, più velocemente si raggiungerà il valore soglia.
Quindi la propagazione sarà più veloce con:
- Elevata resistenza di membrana
- Bassa resistenza interna,
- Bassa capacità di membrana.
Più ampio è il diametro dell'assone minore sarà la resistenza al flusso, viceversa se il diametro è minore ci sarà più
resistenza. La conduzione saltatoria permessa dalla guaina mielinica permette una più veloce propagazione.
Nelle patologie demielinizzanti, in cui la guaina mielinica viene distrutta, si ha una perdita delle cariche di sodio che
devono fluire perché si disperdono, non riuscendo ad eccitare il tratto successivo e causando quindi una
CONDUZIONE IRREGOLARE.

La conduzione del potenziale può essere alterata da vari fattori chimici:


- Neurotossine e anestetici locali che agiscono legandosi ai canali Na+ bloccandoli. Se il sodio non può entrare nell'assone,
una depolarizzazione che inizia nella zona trigger si riduce di intensità e se arriva al terminale assonale non è comunque
tanto forte da poter rilasciare il neurotrasmettitore.
- Variazioni di concentrazioni di sodio, potassio e calcio nel liquido extracellulare causano anomalie.

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SISTEMA NERVOSO PT.2

I nervi spinali, che fanno parte del sistema nervoso periferico (SNP), collegano il midollo spinale ai recettori sensoriali, ai
muscoli e alle ghiandole di tutto il corpo. Esistono in tutto 31 paia di nervi spinali, che prendono il nome dalla zona della
colonna vertebrale da cui emergono (figura 9.21). I nervi spinali sono nervi misti, cioè contengono sempre una
componente afferente e una componente efferente (figura 9.21B).
• La componente afferente è formata da assoni sensoriali che penetrano nel corno dorsale del midollo tramite la
radice dorsale e trasmettono informazioni dirette al SNC. Siamo consapevoli
di alcuni di questi messaggi (come il tatto, il dolore, la temperatura esterna), mentre non lo siamo di altri come quelli
riguardanti il controllo omeostatico (la pressione sanguigna,
la temperatura corporea). I corpi cellulari di questi neuroni si trovano all’esterno del midollo, nei gangli spinali.
• La componente efferente è formata da assoni i cui corpi cellulari si trovano nel corno ventrale del midollo spinale e
che lasciano il corno ventrale stesso. Questi assoni, che formano la radice ventrale del nervo, trasportano informazioni
provenienti dal SNC dirette ai muscoli e alle ghiandole. Le vie efferenti possono essere distinte in base al tipo di effetto:
quella volontaria rende possibile l’esecuzione dei movimenti volontari; quella involontaria o autonoma controlla le
funzioni vegetative (per esempio la motilità intestinale o la secrezione degli enzimi digestivi).

Ricorda I nervi spinali sono parte del sistema nervoso periferico e hanno la funzione di collegare il midollo spinale ai
recettori sensoriali, e agli organi effettori come muscoli e ghiandole.
Quindi, il sistema AFFERENTE che porta gli INPUT, derivanti dalla sensibilità somatica, organi di senso e sensibilità
viscerale, al midollo spinale e poi all'encefalo. Il sistema EFFERENTE porta gli output ai vari organi.
SNC: Encefalo e midollo
SNP: nervi cranici, spinali, gangli, plessi enterici dell'intestino tenue, recettori sensitivi della cute.

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NERVI CRANICI: Essi originano dall’encefalo. Nella specie umana si


distinguono 12 paia di nervi cranici sono 12 numerati in senso
cranio-caudale, i primi due sono il nervo olfattivo e ottico, non fanno
parte del sistema nervoso periferico, ma sono una continuazione del
sistema nervoso centrale e sono esclusivamente sensoriali. Il decimo è
coinvolto nella sensazione di gusto e olfatto e coinvolto nell'attività
delle ghiandole salivari.
Per la maggior parte sono misti, ma possono avere una prevalenza
sensoriale o motoria. Tra gli altri, il trigemino (il V) e il vago (il X).

I NERVI SPINALI dipartono dal midollo spinale, essi hanno una radice
dorsale (neur-afferenti) e una
radice ventrale (neur-efferenti).

Il SNC è costituito da oltre 100 miliardi di neuroni, Il segnale in ingresso


è portato dai DENDRITI, i segnali in uscita vengono portati dall'ASSONE.
Il numero di Sinapsi presenti su un neurone può essere estremamente
variabile.

RECETTORI SENSORIALI
I recettori sensoriali sono cellule o veri e propri organi, come l’occhio, specializzati nella percezione di un particolare tipo
di stimolo. Alcuni raccolgono stimoli provenienti dall’esterno come la luce o gli odori, altri registrano parametri interni,
come dolore, temperatura ecc. La maggior parte delle attività inizia da esperienze sensoriali che possono causare una
reazione immediata o lasciare una traccia di tale esperienza. Le sensazioni vengono elaborate e trasferite dal midollo
spinale alle diverse aree del cervello associate alla via della sensibilità: aree somestesiche e della corteccia motoria.
Una volta che il sistema recepisce queste sensazioni, il cervello ha il compito di regolare le attività del nostro corpo, può ad
esempio contrarre i muscoli scheletrici, o contrarre la muscolatura liscia delle viscere oppure può secernere le sostanze
chimicamente attive da parte di ghiandole endocrine ed esocrine.
Il SN deve elaborare quindi le informazioni in modo da GENERARE RISPOSTE mentali e motorie; infatti, oltre il 99% di tutte
le informazioni sensoriali viene scartata dal cervello come rilevante e non importante.
Gran parte dell'informazione viene immagazzinata sotto forma di memoria per essere riutilizzata in futuro.
Questo immagazzinamento avviene nella corteccia celebrale ed è chiamato MEMORIA. Anch'essa dipende dalle sinapsi,
esse acquistano, così, una velocità nel trasmettere lo stesso tipo di segnale la volta successiva (FACILITAZIONE).
Una volta che le informazioni vengono immagazzinate nei ricordi, esse entrano nel meccanismo di ELABORAZIONE dei
segnali per successive attività di tipo cognitivo.
Quindi ogni esperienza verrà confrontata con il ricordo, potendo così fare un paragone con quest'ultimo, e selezionare
nuove informazioni sensoriali.
I recettori dei sensi umani sono vari e numerosi e, come la maggior parte degli animali, anche noi abbiamo:
• Meccanocettori (sensibili alle modificazioni meccaniche);
• Chemiocettori (stimoli chimici);
• Fotocettori (luce);
• Termocettori (caldo e freddo);
• Nocicettori (dolore);
• Osmocettori (pressione osmotica dei liquidi corporei);
• Barocettori (variazioni di pressione).
Ricorda
I recettori sensoriali sono cellule o veri e propri organi, come l’occhio, specializzati nella percezione di un particolare tipo
di stimolo. Alcuni raccolgono stimoli provenienti dall’esterno come la luce o gli odori, altri registrano parametri interni,
come dolore, temperatura ecc. Gli organi effettori in genere sono muscoli, volontari e involontari, che determinano quindi
una risposta motoria. Sono considerati organi effettori anche le ghiandole che, come abbiamo già visto, possono
rispondere ai neurotrasmettitori.

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CARATTERISTICHE FUNZIONALI DEL SNC


Il SNC lavora su 3 livelli:
1. LIVELLO SPINALE: circuiti neuronali che provocano movimenti della deambulazione, allontanamento da stimoli nocivi,
contrazione muscolare ecc.
2. LIVELLO CEREBRALE INFERIORE O SOTTOCORTICALE: attività subconsce controllare da strutture sottocorticali
(bulbo, ponte, mesencefalo ecc.), come la pressione arteriosa, respirazione, equilibrio, salivazione ecc.
3. LIVELLO SUPERIORE O CORTICALE: la corteccia celebrale è un deposito di informazioni vasto, in caso di assenza le
funzioni dei centri sottocorticali sono imprecise. Essa è fondamentale anche per la maggior parte dei nostri processi
mentali, apre un mondo di informazioni immagazzinate affinché le mente le visualizzi.

FUNZIONI SINAPTICHE DEI NEURONI


Ogni impulso può essere:
- Bloccato nella sua trasmissione
- Convertito da singolo impulso a più impulsi ripetitivi
- Integrato con altri impulsi

SINAPSI ELETTRICHE: canali acquosi che conducono cariche elettriche da una cellula a quella successiva sono dei contatti
tra le due membrane dei neuroni,
SINAPSI CHIMICHE: il primo neurone rilascia un neurotrasmettitore che agisce su recettori di membrana presenti sul
neurone successivo per eccitarlo, inibirlo o modificarne la sensibilità. (es. Adrenalina, istamina, serotonina ecc.).
Esse hanno conduzione UNIDIREZIONALE.

TERMINALI PRESINAPTICI: zona allargata del terminale assonale, quella da cui saranno poi rilasciati i neurotrasmettitori.
Essi vengono immagazzinati in vescicole e quando arriva il potenziale dall'assone, esse si fondono con la membrana
presinaptica e il neurotrasmettitore viene rilasciato nello spazio sinaptico.
Ad "accoglierli" ci sono dei recettori, che sono specifici per ogni neurotrasmettitore.

I canali del CALCIO si aprono quando arriva il potenziale d'azione, permettendo alle vescicole di fondersi con la membrana
rilasciando così i neurotrasmettitori.
I neurotrasmettitori devono agire su specifici recettori presenti sulla membrana postsinaptica.
L'azione del neurotrasmettitore dipende non solo dalla tipologia di neurotrasmettitore, ma anche dalla tipologia di
recettore su cui si va a legare.
Perché ci sono delle caratteristiche comuni per i diversi recettori.
I neurotrasmettitori possono agire su diversi sottotipi di recettori, un esempio è la noradrenalina, in grado di reagire su
vari tipi di recettori, moltiplicando i possibili effetti del neurotrasmettitore, ma rendendo allo stesso tempo la cellula più
selettiva di quello che è. I recettori per molti neurotrasmettitori si trovano sia su elementi presinaptici che postsinaptici.
- AUTORECETTORE, presinaptico: inibisce l'ulteriore rilascio del neurotrasmettitore,
- ETERORECETTORE, presinaptico: vanno a inibire il rilascio di un'altra molecola.
I recettori si possono distinguere anche in base a struttura o funzione: recettori ionotropici o recettori metabotropici,
I recettori sono concentrati in gruppi (cluster) sulla membrana postsinaptica vicino alle terminazioni dei neuroni che
rilasciano un determinato di neurotrasmettitore.
Essi, con esposizione prolungata ai loro ligandi, non rispondono andando incontro a DESENSIBILIZZAZIONE OMOLOGA
(solo per lo stesso neurotrasmettitore) o ETEROLOGA (per altri neurotrasmettitori).

CANALI IONOTROPICI: creano un poro che permette un passaggio di ioni quando si lega il neurotrasmettitore. Non sono
altro che un canale a porta ligando dipendente.
Possiamo distinguere:
CANALI CATIONICI: lasciano passare soprattutto Na+, ma anche K+ e Ca2+, al loro interno sono tappezzati di cariche
negative, attivati da un neurotrasmettitore eccitatorio,
CANALI ANIONICI: lasciano passare anioni, soprattutto Cl-, e sono attivati da neurotrasmettitori inibitori perché il neurone
si iperpolarizza.
CANALI METABOTROPICI: sono recettori accoppiati a proteine, che attivano un insieme di secondi messaggeri
intracellulari e servono per un'apertura o chiusura dei canali prolungata nel tempo.

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NEUROTRASMETTITORI E NEUROMODULATORI

I neurotrasmettitori permettono il trasferimento dell'informazione, determinando eccitazione o inibizione della cellula


bersaglio. I neuromodulatori sono sostanze che hanno effetti minimi o nulli se presi da soli; infatti, in genere vanno a
regolare l'attività dei neurotrasmettitori veri e propri. (acetilcolina, glutammato ecc.).
I neurotrasmettitori si differenziano per gli effetti che possono determinare sui recettori su cui agiscono ma effettuano
delle fasi che sono comuni a tutti:
• Vengono creati a partire da un precursore,
• Vengono sintetizzati nel terminale assonale e immagazzinati nelle vescicole
• Vengono rilasciati nella fessura sinaptica e devono agire sul recettore
• Vengono ricaptati, cioè riassorbiti dal terminale assonale, per poi essere inattivati o riciclati.
I Neurotrasmettitori vengono divisi in:
1. NEUROTRASMETTITORI A BASSO PESO MOLECOLARE e rapida azione, come acetilcolina, noradrenalina,
glutammato ecc. I neurotrasmettitori a basso peso molecolare vengono generalmente sintetizzati nel citosol e
vengono poi immagazzinati nelle vescicole. Le vescicole possono essere riciclate.
2. NEUROPEPTIDI (più grandi) che hanno un’azione più lenta, come gli ormoni ipotalamici, ormoni ipofisari, peptidi che
agiscono sul cervello o sull'apparato gastrointestinale ecc.

RICAPTAZIONE: i neurotrasmettitori vengono trasportati dalla fessura sinaptica nel citoplasma dei neuroni che li hanno
rilasciati, tramite questa ricaptazione che avviene ad opera di specifici trasportatori.
Questo sistema è importante perché permette la cessazione dell'attività del neurotrasmettitore.
Quando questa ricaptazione viene inibita, gli effetti del neurotrasmettitore sono aumentati e prolungati, causando
conseguenze cliniche.

GLUTAMMATO
È il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello e midollo spinale, può essere responsabile del 75% della
trasmissione eccitatoria del sistema nervoso. Viene prodotto tramite 2 vie:
1. A partire dall'alfa-chetoglutarato
2. A partire dalla glutammina, come prodotto di riciclo del glutammato stesso.
Quando il glutammato viene rilasciato, una parte viene riassorbita dal neurone, un'altra parte viene assorbita dalle cellule
gliali e convertito in glutammina. Questa glutammina viene inviata nuovamente al terminale neuronale glutamminergico e
viene così riconvertito in glutammato. Quando viene rilasciato esso può agire sia su recettori ionotropici che
metabotropici.

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Esistono tre tipi di recettori ionotropici: AMPA, KAINATO, NMDA. Essi incrementano l'afflusso di ioni sodio e l'uscita di ioni
potassio all'interno della cellula determinando un potenziale postsinaptico eccitatorio.
Glu + recettori AMPA e Kainato, incrementa l'ingresso di ioni sodio e uscita di ioni potassio Glu + recettore NMDA si ha
incrementa l'ingresso di ioni sodio e calcio. I recettori metabotropici sono presenti di 8 diversi tipi, alcuni presinaptici e
altri postsinaptici, e sono coinvolti nella plasticità sinaptica, nella funzione di stimolazione della memoria nell'ippocampo e
delle funzioni del cervelletto.

GABA (ACIDO GAMMA AMMINO-BUTIRRICO)


È il principale neurotrasmettitore inibitorio, è secreto dal midollo spinale, cervelletto, nuclei della base, aree della
corteccia.
Si ottiene dalla decarbossilazione del glutammato, viene trasportato nelle vescicole secretorie una volta sintetizzato e poi
ricaptato da un trasportatore. Quando viene ricaptato poi viene riattivato da enzimi specifici.
I recettori sono tre: GABAA, GABAB (in tutto il sistema nervoso centrale) e GABAC (presente solo nella retina)
- GABAA e GABAC sono recettori ionotropici e inibitori, devono rendere il neurone postsinaptico negativo, infatti fa
entrare ioni Cl-

GABAB
Sono recettori accoppiati a proteine G, che da una parte determina l'apertura dei canali del potassio, facendolo uscire
dalla cellula; dall'altra inibisce l'ingresso di calcio non permettendo alla cellula di depolarizzarsi.

GLICINA
Ha sia effetti eccitatori che inibitori, essa si lega ai recettori NMDA del glutammato rendendoli più sensibili a quest'ultimo.
La glicina può fuoriuscire dalle giunzioni sinaptiche nel liquido interstiziale e nel midollo spinale, facilitando il processo di
trasmissione del dolore. I recettori per la glicina sono recettori ionotropici che mediano l'inibizione, fanno entrare
maggiormente cloro nella cellula. Nel midollo spinale abbiamo tre tipi di neuroni che danno inibizione diretta:
• Neuroni che rilasciano Glicina
• Neuroni che rilasciano GABA
• Neuroni che rilasciano glicina e GABA

ACETILCOLINA
Viene rilasciata da diverse aree del sistema nervoso, è il trasmettitore rilasciati da TUTTI i neuroni che escono dal sistema
nervoso centrale. Praticamente in tutti quei sistemi coinvolti nella regolazione degli stati di sonno- veglia, apprendimento
e memoria. Generalmente ha effetto eccitatorio, ma effetti inibitori su terminazioni periferiche del sistema parasimpatico.
Essa viene sintetizzata a partire da ACETILCOENZIMA A e COLINA nei NEURONI COLINERGICI, una volta sintetizzata viene
immagazzinata nelle vescicole che la rilasciano. Una volta rilasciata, sulla membrana postsinaptica l'acetilcolina agisce sui
recettori metabotropici, che sono di due tipi:
1. Nicotinici.
2. Muscarinici.
La caratteristica è che essendo un neurotrasmettitore molto prodotto e che ha anche effetti sul cuore, viene subito
inattivata da un enzima presente sulla superficie dei neuroni postsinaptici che è l'ACETIL COLINA ESTERASI, che scinde
l'Acetil-CoA in Acetato e Colina.

I due tipi di recettori si dividono in base alle loro proprietà farmacologiche.


1. Nei gangli simpatici e nei muscoli scheletrici la nicotina imita le azioni stimolatorie dell'acetilcolina e queste azioni
sono chiamate AZIONI NICOTINICHE e i recettori sono chiamati Recettori Colinergici Nicotinici.
2. Nella muscolatura liscia e nelle ghiandole la muscarina imita la azione stimolante, e si parla quindi di AZIONI
MUSCARINICHE e i recettori sono chiamati Recettori Colinergici Muscarinici.

RECETTORI NICOTICI (recettori ionotropici) presentano 5 subunità, di cui solo la sub. Alfa presenta il sito di legame per
l'Acetil-CoA
-Recettore NM: nelle giunzioni muscolati, presentano 2 subunità alfa, quindi 2 siti di legame per l'Acetil-CoA.
Quando si lega quest'ultima, il recettore si apre ed entra sodio nella cellula e insorge il potenziale d'azione.
RECETTORI MUSCARINICI (recettori metabotropici) ne esistono di 5 tipi 8M1 - M5) e si localizzano ognuno su una
determinata subunità. Possono aprire i canali del potassio determinando iperpolarizzazione, ma la loro azione è essenziale
soprattutto nel cuore.

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NOREPINEFRINA: viene rilasciato dai recettori definiti NORADRENERGICI, perché il derivato metilato della norepinefrina è
l'EPINEFRINA o ADRENALINA.
La noradrenalina viene secreta dalla maggior parte dei neuroni postgangliari del sistema nervoso simpatico, va ad eccitare
alcuni organi e ne inibisce altri, in base al recettore a cui si va a legare.

Viene secreto dalla TIROSINA, essa entra nei recettori noradrenergici dove viene convertita in DOPA e poi in Dopamina.
La dopamina entra nelle vescicole secretorie dove viene convertita in norepinefrina.
Una volta rilasciata, parte viene riassorbita da un trasportatore. Essa poi può agire sia su recettori postsinaptici che su
recettori presinaptici.

CATABOLISMO DELLE CATECOLAMINE


Una volta che sono stati poi ricaptati dal trasportatore, Adrenalina e Noradrenalina vengono poi inattivati da due sistemi:
• Ossidazione da monoammino ossidasi (MAO)
• Metilazione da catecol-O-metiltransferasi (COMT)

I recettori per Adrenalina e Noradrenalina si dividono in alfa e beta-adrenergici. Esse possono agire su entrambi i recettori,
ma la Noradrenalina ha una maggiore affinità per gli alfa-recettori, mentre l'Adrenalina ha una maggiore affinità per i
beta-recettori. Essi sono tutti accoppiati a proteine G. Gli alfa1 sono eccitatori, gli alfa2 sono inibitori.

DOPAMINA
La sua sintesi parte dalla TIROSINA. Una volta prodotta va nelle vescicole e viene poi rilasciata. Viene poi ricaptata dai
trasportatori e inattivata. I complessi coinvolti nell'attivazione della Dopamina, e sono un sistema coinvolto nel controllo
motorio (sistema nigrostriatale) e un sistema coinvolto nei comportamenti di dipendenza e ricompensa
(sistema mesocorticale), quindi collegato anche a disturbi psichiatrici. I recettori si dividono in due macrocategorie, tutti
accoppiati a proteine G.
1. D1-like (D1 e D5)
2. D2-like (D2-3-4)
Questi hanno effetti opposti e si trovano in aree differenti del sistema nervoso.

SEROTONINA (5-idrossiptamina 5-HT)


È presente in elevata concentrazione nelle piastrine e nel tratto gastro-intestinale.
Essa viene sintetizzata a partire dall'amminoacido TRIPTOFANO in 2 step: una volta sintetizzato viene immagazzinato nelle
vescicole e poi rilasciato dopo opportuno stimolo. Dopodiché viene in parte ricaptato e in parte viene riciclato e un'altra
parte viene inattivata. I recettori sono di 7 tipi diversi, tutti accoppiati a proteine G tranne il numero 3.
Alcuni di essi sono presinaptici, altri post-sinaptici.

NEUROPEPTIDI
Essi sono di grandi dimensioni, e per questo non vengono sintetizzati nel terminale assonale ma nel SOMA.
Generalmente sono sintetizzati come prepropeptidi > propeptidi > impacchettati in vescicole di trasporto e grazie al flusso
assonale rapido arrivano al terminale assonale per poi essere rilasciati.
Ci vuole molto più tempo per sintetizzarli e vengono quindi secreti in quantità minore, ma il loro secreto è più duraturo nel
tempo.

SOSTANZA P
La troviamo nell'intestino, nei nervi periferici, nel SNC e in grado di legarsi ad un recettore che è recettore per le
NEUROCHININE. È coinvolta nella percezione del dolore, praticamente viene rilasciata dai recettori sensoriali doloriferi
quando abbiamo la lesione di un tessuto o quando lo stimolo nocivo è duraturo nel tempo.
PEPTIDI OPPIOIDI: perché cervello e tratto gastrointestinale che legano la morfina, e sono state riconosciute due sostanze
correlate, le ENCEFALINE (leuencefalina e metencefalina), che si legano ai recettori per gli oppioidi.
Esse fungono da trasmettitori sinaptici. Essi possono essere sintetizzati dalla proencefalina, proopiomelanocortina e
prodinorfina.

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CARATTERISTICHE SPECIALI DELLA CONDUZIONE SINAPTICA


1. FATICA SINAPTICA: meccanismo protettivo contro l'iperattività neuronale, essa può andare in affaticamento, un po'
perché può terminare la disponibilità di neurotrasmettitori e un po' perché si ha un’alterazione eccessiva delle
correnti di ioni tra interno ed esterno.
2. ALCALOSI: aumenta l'eccitabilità neuronale a causa di un aumento del pH del sangue a 7,8-8,0 causando, ad esempio,
la crisi epilettica.
3. ACIDOSI: quando il pH risulta inferiore a 7 si va incontro ad una inibizione dell'attività neuronale causando lo stato
comatoso.
4. IPOSSIA: la carenza di ossigeno può determinare ineccitabilità nei neuroni causando perdita di coscienza entro
3-7 sec.
5. FARMARCI: alcune sostanze aumentano l'eccitabilità dei neuroni,
6. RITARDO SINAPTICO (0,5 m/sec): tempo richiesto per il verificarsi di tutti gli eventi necessari per la trasmissione del
potenziale d'azione dal neurone presinaptico al neurone postsinaptico.
Le sinapsi trasmettono lo stimolo nervoso
I neuroni comunicano tra loro e con le cellule bersaglio a livello delle sinapsi; il neurone che manda il segnale è il neurone
presinaptico, mentre la cellula ricevente è la cellula postsinaptica. Da un punto di vista funzionale esamineremo le sinapsi
chimiche e in particolar modo la giunzione neuromuscolare.

GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE
Si tratta di una giunzione che si verifica tra il terminale assonale dei motoneuroni e la superficie delle fibre muscolari.
I motoneuroni rilasciano acetil-coA, questa si lega a recettori nicotinici. Se la stimolazione è idonea si avrà la nascita di un
potenziale d'azione nel punto di sinapsi, definita POTENZIALE DI PLACCA, trasferendosi poi su tutta la superficie della fibra
muscolare determinando la contrazione della fibra stessa.
A livello della muscolatura liscia e cardiaca i terminali assonali assumono la presenza di rigonfiamenti definiti VARICOSITA'.
Su di esse si diffonde tutto il potenziale d'azione, dando la possibilità di stimolare un elevato numero di cellule (più piccole
e adese l'un l'altra).

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SISTEMA MUSCOLARE:

Il sistema muscolare consente la locomozione, l’espressione facciale e la postura. Con la contrazione dei muscoli e anche
possibile regolare la temperatura corporea. Il sistema muscolare e strettamente legato al sistema cardiovascolare e a
quello scheletrico.

FUNZIONI DEL SISTEMA MUSCOLARE:


• Movimento del corpo
• Mantenimento della postura
• Battito cardiaco
• Respirazione
• Costrizione degli organi e dei vasi
• Produzione di calore

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PROPRIETA' DEL MUSCOLO:


• Eccitabilità: capacità del muscolo a rispondere agli stimoli.
• Contrattilità: abilità di un muscolo ad accorciarsi con forza.
• Estensibilità: il muscolo può essere allungato oltre la sua lunghezza di riposo.
• Elasticità: abilità a ritornare alla sua lunghezza di riposo dopo l'allungamento.

Possiamo distinguere tre tipi di tessuti muscolari:


1. Muscoli Scheletrici (Volontari, Striati)
2. Muscoli Lisci (Involontari)
3. Muscolo Cardiaco (Involontario, Striato)

QUESTI MUSCOLI
DIFFERISCONO PER:
• Struttura delle loro cellule
• Localizzazione nell'organismo
• Funzione
TUTTI PORTANO ALLA
CONTRAZIONE.

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1. MUSCOLO SCHELETRICO
Tessuto più abbondante dell'organismo. È inserito allo scheletro tramite i tendini che consentono il movimento.
È sotto il controllo del SN (volontario).
I muscoli scheletrici, infatti, si contraggono solo in
risposta a stimoli provenienti dai motoneuroni e non
sono direttamente influenzati da ormoni.
Svolgono un ruolo chiave nel mantenimento della
postura, nella locomozione, nel linguaggio e nella
risposta. La contrazione può essere lenta o rapida e
questo dipende dal tipo di fibra rossa/bianca; fibre
tenute insieme da tessuto connettivo.

CONTRAZIONE LENTA: FIBRE ROSSE


Il suo colore è dovuto alla presenza di una proteina chiamata mioglobina che lega l’ossigeno e funge da riserva muscolare.
Altre caratteristiche che rendono questo tipo di fibra, adatta a sforzi prolungati, sono:
• La presenza di un ampio letto capillare che permette l’arrivo di una maggiore quantità di sangue (e quindi di ossigeno)
• I numerosi mitocondri con dimensioni maggiori, i quali, producono l’energia necessaria al muscolo,
sotto forma di ATP
• Sono più sottili e questo permette una maggiore velocità di flusso dell’ossigeno verso i mitocondri
• La produzione di ATP avviene attraverso un processo aerobico (fosforilazione ossidativa)
• La conduzione dell’impulso nervoso non è rapida ma continua e stabile.
Questo tipo di fibra adatta alla resistenza e al compimento di sforzi prolungati

CONTRAZIONE RAPIDA: FIBRE BIANCHE


Presenta una scarsa presenza della mioglobina e da una minor irrorazione sanguinea dovuta ad un letto capillare meno
esteso. In generale, le caratteristiche sono opposte a quelle menzionate precedentemente ovvero:
• minor numero di mitocondri
• elevate quantità di glicogeno utilizzabile velocemente come fonte di energia
• dimensioni maggiori
• metabolismo di tipo anaerobico lattacido e glicolitico.
• conduzione veloce dell’impulso nervoso grazie a motoneuroni di grosse dimensioni.
Queste fibre vengono reclutate per esercizi che richiedono uno sforzo muscolare breve e molto intenso.
A LIVELLO ISTOLOGICO: composto da fibra (cellula) allungate e striate con molti nuclei e presentano delle bande.
SEDE: scheletro
STRUTTURA: striata
TIPO DI CONTROLLO: volontario

2. MUSCOLO LISCIO:
Controllano i movimenti delle pareti degli organi interni, quali stomaco, intestino, vasi sanguigni e nell'occhio regolano il
diametro della pupilla. Sono classificabili in:
MUSCOLO LISCIO UNITARIO O VISCERALE: in organi cavi. La trasmissione del segnale che si propaga tra le cellule avviene
tramite le GAP JUNCTION. Il segnale arriva sulle cellule in superficie, il segnale si propaga ed avviene la contrazione.
MUSCUOLO LISCIO MULTIUNITARIO: la contrazione non è spontanea e in grado di graduare la contrazione.
Essa deve essere stimolata in ogni punto.
A livello istologico: non presentano bande e le cellule sono più piccole ed allungate senza striature e presentano un solo
nucleo.
SEDE: Viscerale
STRUTTURA: Liscio
TIPO DI CONTROLLO: Involontario

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3. MUSCOLO CARDIACO:
È presente solo nel cuore con caratteristiche
intermedie agli altri tessuti. È striato ma involontario.
La contrazione è auto ritmica ma modulabile dal SN e
fattori chimico-umorali.
Le contrazioni fanno funzionare il cuore come una
pompa.
A livello istologico: le fibre sono corte, ramificate e
con un solo nucleo. Le cellule sono unite tra di loro
mediante dischi intercalari.
Sede: cardiaco
Struttura: striato
Tipo di controllo: involontario

In tutti e tre i tipi di muscolo, la forza è generata dall'interazione fra actina e miosina (proteine contrattili), un processo
che richiede un aumento transitorio della concentrazione di calcio intracellulare.
Ogni muscolo agisce come unità integrata e cioè è formato da un insieme di fibre muscolari disposte parallelamente le une
alle altre e tenute insieme da tessuto connettivo.

La fibra muscolare scheletrica striata:


Ogni fibra è delimitata da una membrana, il sarcolemma, che racchiude il sarcoplasma, il quale permette la propagazione
del potenziale su tutta la superficie della cellula. Ogni cellula contiene numerosi nuclei.

Differenze nella contrazione:


Il muscolo scheletrico può contrarsi rapidamente ma si stanca facilmente e può rimanere a riposo. Le contazioni variano
nello sviluppo della forza
Il muscolo cardiaco ha una contrazione a velocità costante. Esso può accelerare quando è necessario.
Il muscolo liscio ha una contrazione più lenta ma può essere sostenuta per lunghi periodi senza comportare stanchezza.

Gran parte dell'interno della fibra muscolare è formata da filamenti proteici, le cosiddette MIOFIBRILLE.

Ogni miofibrilla è costituita da una sequenza longitudinale di unità contrattili uguali fra loro, I SARCOMERI, che
rappresentano la base anatomica e funzionale del meccanismo contrattile. Le miofibrille e i sarcomeri risultano costituiti
da filamenti più piccoli, denominati MIOFILAMENTI. I miofilamenti sono di due tipi:

1. Miosina (filamento spesso)


2. Actina (filamento sottile)

I filamenti spessi si trovano al centro del sarcomero e costituiscono la banda A; i filamenti sottili sono ai poli del sarcomero
e costituiscono le bande I che arrivano sino alla linea Z. L'allineamento di tali filamenti determina l'alternanza di bande
scure e chiare. Il numero di fibre di un dato muscolo è già determinato dalla nascita
al contrario le miofibrille e di conseguenza la sezione trasversale dalla fibra può cambiare:

• Ipertrofia indotta da allenamento


• Atrofia durante inattività
• Immobilizzazione
• Invecchiamento

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Organizzazione dei muscoli scheletrici:


In ogni muscolo si riconoscono:
- Un ventre muscolare
- Due tendini di natura connettivale che si
inseriscono sui segmenti ossei.
Un muscolo scheletrico è composto da fasci di
fibre (cellule) muscolari racchiusi dall’epimisio
che si fonde esternamente con il tessuto dei
tendini. I fasci sono separati dalle fibre
connettivali del perimisio, e all’interno di ciascun
fascio muscolare, ogni fibra è circondata
dall’endomisio.
Le fibre muscolari predominano ma esso
contiene anche vasi sanguigni, fibre nervose e
tessuto connettivo.

La miofibrilla è circondata dal reticolo


sarcoplasmatico, un sistema complesso di
vescicole e tubuli: lo scopo di questa struttura è
quello di accumulare calcio per dare l'avvio alla
contrazione muscolare. La miofibrilla lungo l'asse
maggiore manifesta una striatura dovuta
all'alternarsi regolare di bande chiare e scure.
Le bande scure sono dette bande A;
le bande chiare sono dette bande I;
ciascuna banda I è divisa in due da una linea
scura detta linea Z; ciascuna banda A è divisa in
due da una stria scura detta linea H.
Il tratto di miofibrilla compresa tra1/2 banda
I+banda A+1/2 banda I è chiamata sarcomero.

L'UNITA' CONTRATTILE: IL SARCOMERO


In condizione di riposo i sarcomeri sono delimitati da spesse strutture giunzionali denominate LINEE Z.

IL FILAMENTO SOTTILE
I filamenti sottili si estendono dalla linea Z verso il centro del sarcomero e sono formati dall'aggregazione di molecole di
actina (G-ACTINA) che formano un doppio filamento a elica chiamato F-ACTINA. A livello della G-actina si trovano i siti di
legame per la miosina. Il filamento di actina è associato a proteine accessorie:
• Tropomiosina: proteina filamentosa che si inserisce nel solco della doppia elica è costituita da 2 α eliche, disposta
nel solco fra le due eliche di actina.
• Troponina: costituita da tre subunità globulari (C, T ed I).
1. T: sede del legame con la Tropomiosina
2. I: controlla i siti di legame dell'actina, inibizione.
3. C: siti di legame per il CA2+ e dà inizio alla contrazione. Tropomiosina e Troponina sono proteine regolatrici.

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IL FILAMENTO SPESSO:
Il filamento spesso è formato da molecole di miosina. La miosina è composta da due catene pesanti di circa 2000
amminoacidi ciascuna. Le estremità N-terminali vanno a formare la regione globulare, dotata di due teste, mentre le code
C-terminali si sviluppano come due code intrecciate (due α-eliche super avvolte tra loro).

LE TESTE GLOBURALI POSSIEDONO:


• Attività ATPASICA intrinseca, fonte di energia necessaria per svolgere il processo di contrazione
• Sito di legame per l'actina attraverso cui può interagire con i filamenti sottili.

PROTEINE ACCESSORIE:
PROTEINE ACCESSORIE DELLA MIOFIBRILLA.
I filamenti di actina sono ancorati ad estremità del disco Z mediante alfa-actinina;
• Titina: è il polipeptide più grande finora descritto; a forma di molla si estende dai filamenti spessi sino al disco Z;
mantiene in posizione centrale al sarcomero i filamenti spessi di miosina
• Nebulina: strettamente associata all’actina; interviene nell’assemblaggio dell’actina stessa e
nella regolazione della sua lunghezza;
• Distrofina: Proteina flessibile e allungata, ancorata alla membrana plasmatica che lega actina;
la sua assenza o difetto causa la distrofia muscolare

CONTRAZIONE MUSCOLARE:
L’accorciamento del sarcomero durante la contrazione muscolare avviene grazie allo scorrimento dei filamenti spessi e
sottili l’uno sull’altro. La forza generata dal muscolo dipende dall’azione dei ponti trasversi (cross-bridge).
• Durante la fase di attacco i ponti generano forza, questo a sua volta determina lo scorrimento dei filamenti di actina
(avanzamento di 8-12 nm, movimento a remo).
• Distacco dei ponti ed attacco a nuovi siti di actina. Ø L’azione ciclica e ripetuta determina l’accorciamento di tutto il
muscolo. Ø La forza muscolare sviluppata dipende dal numero di interazioni che si realizzano.

CICLO DEI PONTI TRASVERSALI:


Prima che inizi la contrazione, l'ATP si lega alla testa della miosina e viene idrolizzata da ATPase:
• ADP e P rimangono attaccate alla testa
• Grazie all'energia fornita da ATP, la testa di miosina ruota e avviene lo scorrimento del filamento di actina.

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ATTIVAZIONE DELLA CONTRAZIONE MUSCOLARE DA PARTE DEL CA2:


Il fenomeno contrattile innescato da un singolo potenziale d’azione è detto scossa muscolare o scossa semplice.
La sua durata dipende dal tipo di fibra muscolare in esame. Scossa semplice Nella fibrocellula muscolare si registra un
significativo ritardo tra l’eccitamento del muscolo (insorgenza del potenziale d’azione) e lo sviluppo della contrazione
(tensione). LA SCOSSA SEMPLICE CONSTA DI 3 FASI:
1. PERIODO DI LATENZA è dovuto al fatto che gli eventi che caratterizzano l’accoppiamento eccitazione-contrazione
devono avvenire prima che possa iniziare il ciclo dei ponti trasversali e quindi lo sviluppo di forza.
In particolare, il periodo di latenza nella curva di tensione della fibra muscolare rappresenta il tempo necessario
affinché il Ca2+ venga rilasciato dal reticolo sarcoplasmatico e diffonda tra i filamenti della miofibrilla.
2. FASE DI CONTRAZIONE (di durata compresa tra 10 e 100 ms. a seconda del tipo di muscolo) inizia alla fine del periodo
di latenza e termina in corrispondenza del raggiungimento del picco massimo di tensione.
Nel corso di questa fase la concentrazione intracellulare di Ca2+ aumenta.
3. FASE DI RILASCIAMENTO (di durata maggiore rispetto alla precedente) inizia al picco massimo di tensione e si conclude
con la fine della contrazione, quando la tensione torna a 0. Nel corso di questa fase la concentrazione intracellulare di
Ca2+ si riduce.

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Il Ca2+ necessario per l’innesco della contrazione muscolare deriva dal reticolo endoplasmico
(detto sarcoplasmatico). Esso si estende come un sistema di tubuli, a sviluppo prevalentemente longitudinale, delimitati
da membrana, che circonda le miofibrille delle fibrocellule muscolari.

IL RETICOLO SARCOPLASMATICO È COMPOSTO DA:


1. SISTEMA DEI TUBULI LONGITUDINALI, che sono presenti in concomitanza di tutta la banda A del sarcomero, che è
composto da tubuli del reticolo sarcoplasmatico allungati e paralleli;
2. SISTEMA A RETE, che è formato da piccoli canalicoli intercomunicanti disposti al centro del sistema dei tubuli
longitudinali in corrispondenza della banda H;
3. CISTERNE TERMINALI, ampie dilatazioni sviluppate in senso trasversale dei tubuli longitudinali, che si trovano in
prossimità del confine tra la banda A e la banda I.

ACCOPPIAMENTO ECCITAZIONE-CONTRAZIONE:
L’incremento della concentrazione intracellulare di Ca2+, che innesca la contrazione muscolare, è determinato dalla
stimolazione della fibrocellula muscolare da parte del motoneurone. Il Ca2+, pertanto, consente di mediare
l’accoppiamento tra contrazione muscolare (evento meccanico) ed evento elettrico, ossia il potenziale d’azione della
fibrocellula muscolare (accoppiamento eccitazione contrazione), che a sua volta è innescato dal potenziale di placca a
livello della sinapsi neuromuscolare. L’arrivo del potenziale d’azione nel motoneurone determina a livello della sinapsi
neuromuscolare il rilascio di acetilcolina e la genesi del potenziale di placca, il quale a sua volta determina l’insorgere del
potenziale d’azione nella membrana plasmatica della fibrocellula muscolare.
L’INCREMENTO DELLA CONCENTRAZIONE INTRACELLULARE DI CA2+, CHE INNESCA LA CONTRAZIONE MUSCOLARE, È
DETERMINATO DALLA STIMOLAZIONE DELLA FIBROCELLULA MUSCOLARE DA PARTE DEL MOTONEURONE.
1) L’arrivo del potenziale d’azione nel motoneurone al bottone sinaptico induce il rilascio di acetilcolina
2) Il potenziale d’azione si propaga lungo
i tubuli a T
3) A livello dei tubuli T l’arrivo del
potenziale d’azione apre canali del
Ca2+ voltaggio dipendenti presenti
nella membrana del reticolo
sarcoplasmatico
4) Il Ca2+ è rilasciato dal reticolo
sarcoplasmatico nel citosol e,
legandosi alla troponina C innesca la
contrazione
l potenziale d'azione, propagandosi lungo
la membrana della fibra muscolare, causa
l'apertura dei canali diidropiridinici a
livello dei tubuli T.
I canali diidropiridinici sono canali del
Ca2+ voltaggio-dipendenti.
Tali canali hanno un legame fisico con i
recettori rianodinici, ossia canali del Ca2+
situati a livello del reticolo
sarcoplasmatico.
Il Ca2+ uscito si lega con la troponina
innescando la contrazione muscolare.
Il rilasciamento muscolare ha luogo
quando gli ioni Ca2+ vengono riassorbiti
nel reticolo sarcoplasmatico ad opera di
una pompa ATP dipendente.

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RUOLO DELL’ATP NELLA CONTRAZIONE MUSCOLARE


L’ATP svolge quattro ruoli importanti nella contrazione muscolare:
1. Consente il distacco della miosina dall’actina
2. Consente il trasferimento di energia alla testa della Miosina
3. Permette il trasporto attivo del Ca2+ nel reticolo sarcoplasmatico
4. Consente la costante attività della Na+ -K+ -ATPasi che genera e mantiene i gradienti di concentrazione del Na + e del
K+, fondamentali per la genesi del potenziale d’azione.

MECCANICA DI CONTRAZIONE MUSCOLARE:


I segnali per la contrazione muscolare arrivano dal SNC ai muscoli per mezzo dei motoneuroni e la contrazione stessa
indica una qualsiasi attività muscolare in risposta ad uno stimolo. La forza generata dalla contrazione si dice TENSIONE,
mentre il carico è IL PESO o LA FORZA che si oppone alla forza muscolare. In altre parole, la tensione muscolare è la forza
esercitata su un oggetto da parte del muscolo in contrazione, mentre il carico è la forza esercitata sul muscolo da un
oggetto.
Tensione e carico sono due forze opposte. Distinguiamo:
• tensione passiva, quando il muscolo è stirato, dovuta all'allungamento oltre la lunghezza di riposo.
• tensione attiva, quando è stimolato, dovuta alla rapida sequenza di formazione- demolizione dei ponti fra actina e
miosina.
• tensione massima si ha quando i due filamenti sono sovrapposti per tutta la loro lunghezza, e quindi il numero di ponti
è massimo.
Generare tensione in un muscolo è un processo attivo che richiede energia dall'ATP. Diversi fattori influenzano la tensione
sviluppata:
• Frequenza della stimolazione
• Lunghezza della fibra all'inizio della stimolazione
• Entità della fatica
• Spessore delle fibre

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I MODI DI DEFINIRE UNA CONTRAZIONE SONO I SEGUENTI:


• ISOMETRICA (A LUNGHEZZA FISSA): Si verifica quando un muscolo sviluppa tensione meccanica mantenendo la stessa
lunghezza. Ciò avviene ad esempio quando il carico è superiore alla tensione che il muscolo può sviluppare.
Il muscolo si contrae e sviluppa tensione, stira l’elemento elastico in serie (tendine), ma non si accorcia, perché la
tensione sviluppata non è sufficiente a spostare il carico
• ISOTONICA (A CARICO COSTANTE): Si verifica quando un muscolo sviluppa una tensione costante tale da far variare la
lunghezza del muscolo. Quando la forza sviluppata dall’elemento contrattile è in grado di vincere la forza esercitata dal
carico, l’elemento contrattile si accorcia e il carico viene spostato.
Una fibra muscolare risponde ad un impulso nervoso proveniente dal motoneurone mediante una singola contrazione
detta “scossa semplice”.
a) SE I POTENZIALI D’AZIONE RIPETUTI SONO SEPARATI DA LUNGHI INTERVALLI DI TEMPO, le fibre muscolari hanno il
tempo di rilassarsi completamente prima dello stimolo.
b) SE GLI INTERVALLI TRA I POTENZIALI D’AZIONE SI RIDUCONO, la fibra muscolare non si sarà completamente rilassata
al tempo del secondo stimolo. In questo caso essa sviluppa una contrazione più intensa della singola scossa semplice.
Il processo è noto come sommazione.
c) SE I POTENZIALI D’AZIONE CONTINUANO A STIMOLARE RIPETUTAMENTE la fibra a intervalli brevi, il rilasciamento tra
le contrazioni diminuirà fino a quando la fibra muscolare non avrà raggiunto uno stato di contrazione massimale noto
come tetano. Nel tetano incompleto la fibra ha il tempo di rilassarsi leggermente tra uno stimolo e il successivo.
Nel tetano completo la fibra non ha il tempo di rilassarsi tra una stimolazione e l’altra ma raggiunge e mantiene
costante la massima tensione. Avremo quindi: FATICA MUSCOLARE. Riduzione o dalla scomparsa delle sostanze che
costituiscono i depositi energetici (glicogeno) contenuti nel muscolo e dall’accumulo di acido lattico.

Perché aumenta la forza di contrazione nel fenomeno di sommazione e tetano?


Nel corso nella scossa semplice per ragioni di tempo non si attivano tutte le teste di miosina e quindi non si verifica lo
sviluppo della massima forza contrattile della fibra muscolare prima che i livelli di Ca2+ si riducano e l’apparato contrattile
venga disattivato. Quando il motoneurone scarica impulsi ad elevata frequenza provoca nella fibra muscolare rilasci
ripetitivi di Ca2+ in tempo sufficiente a far sì che le singole risposte meccaniche possano sommarsi tra loro e produrre una
contrazione più prolungata e più potente detta tetano.

MUSCOLO LISCIO:
- CARATTERISTICHE:
• è presente nella parete di organi cavi (arterie, vene, canale digerente, vescica)
• è formato da cellule piccole con singolo nucleo, che presentano un reticolo sarcoplasmatico sprovvisto di tuboli a t.
• importante nel mantenimento dell'omeostati
• contrazione e rilasciamento molto più lenti ed ha quindi bisogno meno energia per produrre una data forza e può
sostenere la contrazione per periodi lunghi senza affaticamento. (meno ATP)

- FUNZIONI:
• Regolamento e spostamento di fluidi
• Movimento di visceri e l'espulsione del contenuto di organi

- MORFOLOGIA:
I miofilamenti non sono organizzati in miofibrille, ma sono disposti in fasci a disposizione diagonale.
Filamenti sottili si attaccano ai CORPI DENSI (analoghi alle linee z). Non contengono troponina ma CALDESMONE (CaD) con
azione inibitoria sull'attività ATPasica della miosina. Filamenti spessi di miosina sono presenti in fasci tra le fibre di actina.
Teste di miosina presenti lungo tutto il filamento. Questo consente lo scorrimento dei filamenti per distanze maggiori,
rispetto al muscolo scheletrico.
I filamenti contrattili del muscolo liscio sono più lunghi rispetto allo scheletrico e ciò consente alle fibre di:
MANTENERE UNA SUFFICIENTE SOVRAPPOSIZIONE e generare tensione ottimale anche quando sono molto allungate
E DISTANZE MAGGIORI di scorrimento dei filamenti prima di raggiungere l'estremità.

Nel muscolo liscio non ci sono sarcomeri:


Il muscolo liscio ha gli stessi elementi contrattili del muscolo scheletrico - actina e miosina che interagiscono attraverso
ponti trasversali - così come un reticolo sarcoplasmatico che immagazzina e rilascia Caz+. Tuttavia, nei due tipi di
muscolo i dettagli degli elementi strutturali sono diversi. Actina e miosina. L'actina è più abbondante nel muscolo
liscio rispetto a1 muscolo striato, con un rapporto actina: - miosina di 10-15:1, rispetto al rapporto 2-4:1 nel muscolo
striato.

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Nel muscolo liscio l'actina è associata anche alla


tropomiosina, come nel muscolo scheletrico.
Però, a differenza del muscolo scheletrico, il muscolo
liscio è privo di troponina. Il muscolo liscio ha meno
miosina rispetto al muscolo scheletrico.
I meno numerosi filamenti di miosina sono circondati da
filamenti di actina e sono disposti in modo che ciascuna
molecola di miosina si trovi al centro di un fascio di
12-15 molecole di actina.
Queste unità contrattili sono disposte in modo da
correre parallelamente all'asse maggiore della cellula.
I filamenti di miosina del muscolo liscio sono più lunghi
di quelli del muscolo scheletrico e l'intera superficie del
filamento è rivestita dalle teste della miosina.
Quest'organizzazione peculiare consente al muscolo
liscio di mantenere una sovrapposizione dei filamenti
ottimale anche in seguito al suo elevato stiramento.
Questa è una caratteristica importante del muscolo
liscio presente in organi interni come la vescica, il cui
volume cambia al variare del grado di riempimento.
La struttura delle cellule muscolari lisce è mantenuta da
una estesa rete citoscheletrica composta da filamenti
intermedi e proteine dei corpi densi. I corpi densi, che
sono collegati dal citoscheletro alla membrana
plasmatica, rappresentano la struttura alla quale si
legano i filamenti di actina e hanno la funzione di
mantenerne ii corretto posizionamento.
Le fibre proteiche della matrice extracellulare legano tra loro le cellule del muscolo liscio e trasferiscono la forza da una
cellula in contrazione alle cellule vicine.
Reticolo sarcoplasmatico La quantità di reticolo sarcoplasmatico nel muscolo liscio varia da un tipo di muscolo liscio
all'altro. La disposizione del reticolo sarcoplasmatico nel muscolo liscio è meno organizzata rispetto al muscolo scheletrico
e consiste di una rete di tubuli che si estendono da sotto la membrana cellulare verso l'interno della cellula. Il muscolo
liscio è privo di tubuli T, ma il reticolo sarcoplasmatico è strettamente associato a invaginazioni della membrana chiamate
caveole, sono considerate delle piattaforme funzionali alla segnalazione cellulare.

Struttura della fibra muscolare liscia


Le fibre muscolari lisce sono piccole e a forma di fuso e hanno circa lo stesso diametro di una singola miofibrilla di una
fibra muscolare scheletrica. L’actina e la miosina sono disposte in fasci irregolari alla periferia della cellula, tenuti insieme
da corpi densi di natura proteica che si trovano nel citoplasma e da placche di ancoraggio alla membrana cellulare.
Il loro reticolo sarcoplasmatico è sprovvisto di tubuli T. La disposizione delle fibre fa sì che la cellula diventi tondeggiante
quando si contrae.
 I filamenti di actina si attaccano ai corpi densi formati da proteine citoplasmatiche (strutture analoghe ai dischi Z
del sarcomero). Le estremità dei filamenti di actina terminano in placche proteiche nella membrana cellulare.
 Ai filamenti sottili non è associata troponina ma caldesmone (CaD) con azione inibitoria sull’attività ATPasica della
miosina. Infatti, in condizione di riposo è legato allo stesso sito attivo dell'actina che interagisce con la testa della
miosina.
 I filamenti spessi di miosina sono presenti in fasci tra le fibre di actina.
I filamenti di miosina, meno numerosi rispetto al muscolo scheletrico e sono disposti in modo che la loro intera superficie
sia coperta da teste di miosina. Questa disposizione delle teste di miosina consente ai filamenti di actina di scorrere lungo
la miosina per lunghe distanze. Questa proprietà è importante per gli organi il cui volume luminale può variare come
stomaco, intestino, vescica, utero.

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I recettori per i neurotrasmettitori si tovano su tutta la superficie cellulare

Il sistema nervoso autonomo controlla il muscolo liscio, quello cardiaco e le ghiandole


I bersagli dei neuroni autonomici sono il muscolo liscio, quello cardiaco, molte ghiandole esocrine, alcune ghiandole
endocrine, i tessuti linfatici e alcuni tipi di tessuto adiposo. La sinapsi tra il neurone autonomico postgangliare e la sua
cellula bersaglio è definita giunzione neuroeffettrice (si ricordi che i bersagli sono anche chiamati effettori).
La struttura di una sinapsi autonomica è diversa dal modello di sinapsi. Gli assoni autonomici postgangliari terminano
distalmente con una serie di aree rigonfie, simili a
perle di una collana.
Ognuno di questi rigonfiamenti, detti varicosità,
contiene vescicole piene di neurotrasmettitore.
Le estremità ramificate dell'assone si trovano sulla
superficie del tessuto bersaglio, ma la membrana
sottostante non ha siti specifici ad alta densità di
recettori. Il neurotrasmettitore viene
semplicemente rilasciato nel liquido interstiziale e
diffonde raggiungendo i recettori di cellule
localizzate nello spazio circostante.
Ne risulta una forma di comunicazione meno
diretta di quella tra un motoneurone somatico e
un muscolo scheletrico. inoltre, il rilascio diffuso di
neurotrasmettitore autonomico comporta che un
singolo neurone postgangliare influenzi una vasta
area del tessuto bersaglio. Il rilascio di
neurotrasmettitori autonomici è soggetto a
modulazioni di varia natura.

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Per esempio, le varicosità simpatiche conten6iono recettori per ormoni e per sostanze paracrine come l’istamina.
Questi modulatori possono facilitare o inibire il rilascio di neurotrasmettitore. Alcuni neuroni pregangliari co-secernono
neuropeptidi insieme all'acetilcolina. I peptidi fungono da neuromodulatori, producendo potenziali sinaptici lenti che
modificano l'attività dei neuroni postgangliari.

La sintesi dei neurotrasmettitori autonomici avviene nell'assone


La sintesi dei neurotrasmettitori autonomici primari, acetilcolina e noradrenalina può avvenire nelle varicosità dell'assone
grazie alla presenza di enzimi citoplasmatici (Figura 11.7b). Il neurotrasmettitore sintetizzato nelle varicosità viene poi
immagazzinato in vescicole sinaptiche. I1 processo del rilascio di neurotrasmettitore segue lo stesso schema osservato in
altre cellule secretrici: depolarizzazione, aumento della concentrazione del calcio, esocitosi (Capitolo 5).
Quando un potenziale di azione raggiunge la varicosità, i canali voltaggio-dipendenti per il Caz+ si aprono, iI Caz+ entra e il
contenuto della vescicola sinaptica viene rilasciato per esocitosi. Una volta che il neurotrasmettitore è stato rilasciato dalla
sinapsi nel liquido interstiziale si può legare al suo recettore sulla cellula bersaglio o diffondere lontano dalla sinapsi e
essere rimosso dal torrente circolatorio. La concentrazione di neurotrasmettitore presente nello spazio sinaptico è un
fattore fondamentale nel controllo autonomico di un bersaglio: una maggiore quantità di neurotrasmettitore implica una
risposta di maggiore durata o più intensa. La concentrazione di neurotrasmettitore nello spazio sinaptico dipende dalla
velocità della sua degradazione e della sua captazione per mezzo di trasportatori specifici. (Figura 11.7b).
L'attivazione dei recettori da parte del neurotrasmettitore termina quando questo:
1 si allontana per diffusione;
2 viene metabolizzato dagli enzimi nel liquido extracellulare;
3 viene riassorbito attivamente dalle sinapsi in prossimità del sito di secrezione. In questo caso la ricaptazione del
neurotrasmettitore da parte delle varicosità permette ai neuroni di riutllizzarne le componenti chimiche.
Nella Figura 11.7b sono stati illustrati questi passaggi per l'adrenalina. La noradrenalina viene sintetizzata nella varicosità a
partire dall'aminoacido tirosina. La noradrenalina, una volta rilasciata nella sinapsi, si può legare con un recettore
adrenersico sulla cellula bersaglio, può diffondere, o può essere riassorbita nella varicosità. All'interno del neurone, la
noradrenalina recuperata può essere di nuovo impacchettata in vescicole o metabolizzata dalla monoamino-ossidasi
(MAO, MonoAmine Oxidase), il principale enzima responsabile della degradazione delle catecolamine.

TIPI DI MUSCOLO LISCIO:


Anche se la maggior parte della muscolatura del nostro organismo è costituita da muscolo scheletrico, il muscolo cardiaco
e quello liscio sono fondamentali per il mantenimento dell'omeostasi. Il muscolo liscio è difficile da descrivere, perché
nell'organismo i muscoli lisci presentano molta variabilità funzionale. Esistono molti modi per classificare i diversi tipi di
muscolo liscio; ne prenderemo in considerazione tre:
1. In base alla localizzazione. Nel regno animale ci sono molti tipi di muscolo liscio con proprietà diverse.
Nell'uomo il muscolo liscio è suddiviso in sei tipi fondamentali:
vascolare (nella parete dei vasi sanguigni), gastrointestinale (nella parete del tratto gastrointestinale e degli organi
a esso associati, come la cistifellea), urinario (nella parete della vescica urinaria e degli ureteri), respiratorio (nelle vie
aeree), riproduttivo (nell'utero e in altre strutture dell'apparato genitale sia maschile sia femminile) e oculare
(nell'occhio). I diversi tipi di muscolo hanno funzioni diverse nell'organismo e la loro specializzazione funzionale è spiegata
dalla loro fisiologia. La muscolatura scheletrica, al contrario, è relativamente uniforme in tutto l'organismo.
2. In base alla modalità di contrazione. Il muscolo liscio può essere classificato in funzione del fatto che alterni stati di
rilasciamento e di contrazione o se presenta uno stato di continua contrazione. I muscoli sottoposti a cicli di contrazione e
di rilasciamento periodici si dicono muscoli lisci fasici. Un esempio potrebbe essere la parete del basso esofago che si
contrae solo quando il cibo la attraversa. Alcuni muscoli lisci fasici, come quelli nella parete dell’intestino, sono sottoposti
a cicli continui di contrazione alternata a rilasciamento. I muscoli che sono continuamente contratti sono chiamati muscoli
lisci tonici perché essi devono sempre mantenere un certo livello di tono muscolare. Gli sfinteri dell'esofago e della vescica
sono esempi di muscoli tonicamente attivi la cui funzione è quella di chiudere l'apertura di un organo cavo.
Questi sfinteri si rilasciano quando è necessario far entrare o uscire materiale dall'organo. Il muscolo liscio tonico nelle
pareti di alcuni vasi sanguigni mantiene un livello intermedio di contrazione. Sotto il controllo tonico da parte del sistema
nervoso, questi muscoli lisci si contraggono o si rilasciano in funzione di ciò che la situazione richiede.
3. In base al tipo di accoppiamento tra le cellule. In alcuni muscoli lisci le cellule sono elettricamente accoppiate
attraverso giunzioni comunicanti e si contraggono come unità coordinate. Questo tipo di muscoli è detto muscolo liscio a
singola unità o muscolo liscio unitario. Nel muscolo liscio multi-unitario le cellule che non sono accoppiate elettricamente
e ciascuna cellula muscolare può contrarsi in modo autonomo. La maggior parte dei muscoli lisci sono del tipo unitario.
Il muscolo liscio unitario è anche chiamato muscolo liscio viscerale, perché entra nella costituzione delle pareti dei visceri
(gli organi interni) come il tratto intestinale. Tutte Ie cellule del muscolo unitario sono accoppiate tra loro elettricamente
attraverso giunzioni comunicanti.

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Un potenziale d'azione in una cellula può propagarsi rapidamente a tutte le altre cellule della lamina di tessuto per
generare una contrazione coordinata. Poiché in seguito a una stimolazione tutte le cellule si contraggono, al contrario del
muscolo scheletrico, l'aumento della forza di contrazione non è legato all'aumento del reclutamento delle fibre.
È la quantità di Ca2+ che entra nella cellula a determinarelaforza di contrazione, come vedremo nella discussione che
segue. Il muscolo liscio multi-unitario è costituito da cellule che non sono accoppiate elettricamente.
Ogni fibra è strettamente associata a un terminale o a una varicosità assonica e può essere stimolata indipendentemente.
In questo caso c'è un controllo molto fine della contrazione, attraverso l'attivazione selettiva delle singole cellule
muscolari. Per aumentare laforza muscolare si reclutano ulteriori fibre, così come nel muscolo scheletrico.
Il muscolo liscio multi-unitario si trova nell'iride e nel corpo ciliare dell'occhio, in parte del tratto gienitale maschile e
nell'utero, a eccezione del periodo del travaglio e del parto. Infatti, le fibre multi-unitarie della muscolatura uterina
cambiano e diventano unitarie durante la fase finale della gravidanza. Si ipotizza infatti che i geni che codificano per la
sintesi della connessione delle siunzioni comunicanti si attivano, per effetto degli ormoni della gravidanza.
La presenza di giunzioni comunicanti nelle membrane delle cellule muscolari dell'utero sincronizza i segnali elettrici e
consente alla muscolatura uterina di contrarsi in maniera più efficace durante l'espulsione del nascituro.
A causa della variabilità dei tipi di muscolo liscio, in questo capitolo introdurremo solo le caratteristiche generali.
Imparerete le proprietà peculiari di ciascun tipo di muscolo studiando i diversi sistemi di organi.

IL MUSCOLO LISCIO UNITARIO: IL MUSCOLO LISCIO MULTI UNITARIO:


si trova nella maggior parte degli organi. nei mammiferi si trova a livello dell’occhio, dell’utero
Le fibre muscolari lisce sono accoppiate elettricamente da (tranne che prima del travaglio e del parto) e
numerose giunzioni comunicanti. dell’apparato riproduttore maschile.
Quando i neurotrasmettitori dei neuroni autonomi Le cellule non sono elettricamente connesse, quindi ogni
(il muscolo liscio è innervato dai neuroni del sistema cellula deve essere stimolata singolarmente. Questa
nervoso autonomo) depolarizzano alcune cellule muscolari disposizione consente un controllo fine e contrazioni
lisce, l’onda di depolarizzazione diffonde nel tessuto graduate.
attraverso le giunzioni comunicanti che collegano le cellule. Essi sono:
In questo modo il tessuto muscolare si contrae come una
1. Occhio: Corpo ciliare e iride
singola unità.
2. Utero
Essi sono:
3. Vasi sanguigni
1. Pareti di organi cavi 4. Muscoli erettori del pelo
2. Tratto gastrointestinale
3. Ureteri
4. Utero: fase finale della gravidanza
5. Vasi sanguigni
6. Dotti biliari

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UN SECONDO MODO DI CLASSIFICARE IL MUSCOLO LISCIO RIGUARDA IL TIPO DI ATTIVITA' SVOLTA:

• FASICA: sono definiti fasici (muscoli unitari) muscoli che alterano periodi di contrazione a periodi di rilasciamento.
Le contrazioni sono prodotte da stimoli brevi, che provocano un aumento transitorio di Ca2+.
Esempio sono: esofago si contrae solo al passaggio del bolo; intestino cicli continui di contrazione e rilasciamento.
• TONICA: le cellule sono in uno stato di contrazione permanente (muscoli multi-unitari). L'attivazione è mantenuta per
un tempo prolungato, ma il picco di Ca2+ non persiste a lungo. In questo caso la contrazione è rapida.
MANTENGONO UN CENTRO LIVELLO DI TONO MUSCOLARE. Esempio: gli sfinteri, muscoli tonicamente attivi.
Si rilasciano per far passare del materiale; la parete di alcuni vasi sanguigni. Si contraggono a seconda delle necessità.

ATTIVAZIONE E CONTRAZIONE MUSCOLARE:


Al contrario della muscolatura scheletrica, che è controllata esclusivamente dai motoneuroni, la muscolatura liscia
presenta varie modalità di stimolazione.
La contrazione del muscolo liscio è controllata da segnali chimici che possono essere ECCITATORI o INIBITORI:
• NEUROTRSMETTITORI (Ach o NA)
• ORMONI (vasopressina, angiotensina)
• SEGNALI PARACRINI (ossido nitrico)

EVENTI MOLECOLARI DELLA CONTRAZIONE DEL MUSCOLO LISCIO:


La contrazione inizia quanto aumenta la concentrazione di Ca2+ nel citoplasma. Le fonti che contribuiscono a tale
aumento sono:
1. L'apertura dei canali del calcio voltaggio-dipendenti
2. Lo stiramento della membrana
3. Calcio extracellulare, attivato da neurotrasmettitori, ormoni e farmaci, che diffonde attraverso canali del calcio
(recettori ionotropici)
4. L'entrata dello ione induce il rilascio di altri ioni dal reticolo sarcoplasmatico
5. Ligandi che possono attivare i corrispondenti recettori metabotropici non consentendo direttamente l'ingresso di calcio
ma inducendo l'attivazione di altri messaggeri che inducono l'ingresso del calcio extracellulare oppure il rilascio di calcio
dal reticolo sarcoplasmatico (IP3 attivazione della proteina G)

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La contrazione del muscolo liscio inizia quando uno stimolo (elettrico o chimico) induce l’apertura dei canali del Ca2+
presenti sulla membrana plasmatica e sul reticolo sarcoplasmatico. Il Ca2+ si lega alla calmodulina. Il complesso Ca2+ -
calmodulina attiva un enzima, la chinasi della catena leggera della miosina (MLCK), un enzima che utilizza l’ATP per
fosforilare una delle catene proteiche leggere della testa della miosina. Ø Quando la catena leggera della miosina viene
fosforilata dalla chinasi, viene attivata la funzione catalitica della miosina che diventa capace di interagire con l’actina.
Ha così luogo il ciclo dei ponti trasversali Eventi molecolari della contrazione del muscolo liscio. Il rilasciamento della fibra
liscia è un processo multifasico dovuto a:
1. Rimozione di Ca2+ dal citoplasma ad opera delle Ca2+ -ATPasi 2) defosforilazione della testa della miosina ad
opera di fosfatasi. N.B. In alcuni tipi di muscolo liscio interviene il caldesmone che in fase di rilasciamento è legata
all’actina inibendone il legame con la miosina. Il complesso Ca2+ - calmodulina induce anche la fosforilazione e
conseguente distacco del caldesmone dall’actina.

La contrazione del muscolo liscio è più lenta, ma più duratura, di quella del muscolo scheletrico, e serve a modificare la
grandezza e la forma dell’organo.
La contrazione e il rilasciamento del muscolo liscio sono simili a quelle del muscolo scheletrico, ma differiscono per molti
importanti aspetti: (1) Caz+ proviene sia dal LEC sia dal reticolo sarcoplasmatico, (2) per il rilascio di Ca2+ non è richiesto
un potenziale d'azione, (3) non è presente troponina, quindi il Ca2+ avvia la contrazione attraverso una cascata che
include la fosforilazione della catena leggera della miosina, e (4) un ulteriore passaggio nel rilasciamento del muscolo liscio
è la defosforilazione delle catena leggera della miosina tramite la miosina fosfatasi.

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Il muscolo liscio presenta una maggiore variabilità rispetto al muscolo scheletrico


Due dei principi appresi nei paragrafi precedenti per il muscolo scheletrico si applicano a tutti i muscoli lisci. In primo
luogo, la forza è generata dall'interazione dei ponti trasversali di actina-miosina tra filamenti scorrevoli.
Secondo, la contrazione della muscolatura liscia, come nel muscolo scheletrico e cardiaco, è innescata da un aumento
delle concentrazioni citosoliche Ca2+ libero. Tuttavia, il funzionamento del muscolo liscio per la maggior parte degli altri
aspetti è più complesso rispetto al muscolo scheletrico. Esaminiamo alcune differenze, partendo a livello di organo per
arrivare a livello cellulare.
1. I muscoli lisci sviluppano una tensione paragonabile qualsiasi sia il loro
grado di allungamento iniziale. Il muscolo liscio si trova principalmente
nelle pareti di organi cavi e di condotti, molti dei quali si espandono e si
contraggono durante il riempimento e lo svuotamento. La vescica, che si
riempie di urina, è un esempio di organo distendibile. I muscoli lisci in
organi come questo devono funzionare in modo efficiente entro una
gamma di allungamento delle fibre molto variabile, al contrario dei
muscoli scheletrici che hanno una stretta correlazione tra lunghezza del
sarcomero e sviluppo di forza.
2. All'interno di un organo, Gli strati di muscolo liscio possono avere
orientamenti diversi.
Per esempio, l'intestino ha uno strato muscolare che circonda il lume e uno strato perpendicolare to perpendicolare
che corre per l'intera sua lunghezza. Nello stomaco si aggiunge un terzo strato posto obliquamente rispetto agli altri
due. La contrazione nei diversi strati modifica la forma dell'organo.
A volte, la forza generata dalla contrazione del muscolo liscio serve a muovere il materiale che si trova nel lume
dell'organo cavo, come per esempio la sequenza di onde di contrazione che fa avanzare nell'intestino tenue il
materiale ingerito. Al contrario, la maggior parte dei muscoli scheletrici sono disposti in modo che la loro contrazione
ne diminuisca la lunghezza.
3. Dal confronto di una singola scossa muscolare nei diversi tipi di muscolo, emerge che il muscolo liscio si contrae e si
rilascia molto più lentamente dei muscoli scheletrico o cardiaco.
4. I muscoli lisci utilizzano meno energia per generare e mantenere una determinata quantità di forza.
I muscoli lisci sono in grado di sviluppare forza rapidamente, ma hanno la capacità di rallentare la cinetica di idrolisi
dell'ATPasi della miosina, e diminuire così la velocità del ciclo dei ponti trasversali mantenendo la forza di contrazione
della fibrocellula. Come risultato, il consumo di ATP è inferiore a quello che si ha nei muscoli striati.
Il muscolo liscio ha meno mitocondri dei muscoli striati e per la produzione di ATP si affida principalmente alla glicolisi.
5. Il muscolo liscio è in grado di mantenere la contrazione per periodi prolungati senza fatica. Questa proprietà permette
alla parete degli organi cavi, come la vescica urinaria, di mantenere la tensione contro un carico persistente.
Consente inoltre ad alcuni muscoli lisci di rimanere tonicamente attivi, mantenendo la tensione per la maggior parte
del tempo.
6. I muscoli lisci hanno cellule piccole, fusiformi, mononucleate, a differenza delle grandi fibre multinucleate dei muscoli
scheletrici.
7. Nel muscolo liscio, le fibre contrattili non sono disposte in sarcomeri. Al microscopio, il muscolo liscio non presenta
l'aspetto a bande distinte dei muscoli striati.
8. Nel muscolo liscio la contrazione può essere innescata da segnali elettrici o chimici, o da entrambi.
La contrazione del muscolo scheletrico inizia sempre con un potenziale d'azione nella fibra muscolare.
9. Il muscolo liscio è controllato dal sistema nervoso autonomo. Il muscolo scheletrico è controllato dal sistema motorio
somatico del sistema nervoso.
10. Il muscolo liscio è privo di regioni nelle quali sono aggregati
in modo ordinato i recettori dei neurotrasmettitori, come avviene nelle placche motrici del muscolo scheletrico.
Invece, i recettori si trovano in tutta la superficie cellulare. Il neurotrasmettitore viene rilasciato dalle varicosità
del neurone autonomo [Capitolo 11] in prossimità della superficie delle fibre muscolari e diffonde semplicemente
lungo la membrana delia cellula muscolare liscia fino a trovare un recettore.
11. Nel muscolo liscio, il Ca2+ per la contrazione proviene dal liquido extracellulare nonché dal reticolo sarcoplasmatico.
Nel muscolo scheletrico, il Ca2- proviene dal reticolo sarcoplasmatico.
12. Nel muscolo liscio, il segnale del Ca2+ dà l'avvio a una cascata di eventi che termina con la fosforilazione delle catene
leggere della miosina e con l’attivazione della miosina ATPasi. Nel muscolo scheletrico, il segnale del Ca2+ è mediato
dal complesso tropomiosina-tropomina. Nel muscolo liscio la tropomina è assente.

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MECCANISMI CHE REGOLANO IL CALIBRO DELLE ARTERIOLE:


(Oltre alla regolazione sistemica da parte del SN)

1. Regolazione locale:
• Meccanismo miogeno: aumenta la pressione di perfusione che provoca la distensione dei vasi e quindi
vasocostrizione.
• Meccanismo metabolico: accumulo di metaboliti vasodilatatori nei tessuti attivi.

2. Sostanze secrete dall'endotelio:


• Vasocostrittrici: trombossano a2, endotelina 1
• Vasodilatatrici: ossido nitrico

3. Regolazione sistemica da parte di ormoni:


• Angiotensina
• Vasopressina
• Adrenalina

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MUSCOLO CARDIACO:
Cellule muscolari striate con fibre contrattili organizzate in sarcomeri; un solo nucleo;
Le singole cellule muscolari cardiache si ramificano e si collegano con le cellule vicine tramite le loro estremità per formare
una rete complessa.
Le giunzioni cellulari sono regioni specializzate note come dischi intercalari. Esse sono costituite da membrane
interdigitate collegate da desmosomi che mantengono unite tra loro cellule adiacenti.
Inoltre, i dischi intercalari presentano giunzioni comunicanti permettendo il movimento diretto di ioni da una cellula
all’altra. Queste giunzioni collegano elettricamente le cellule in modo che le onde di depolarizzazione diffondono
rapidamente. Il segnale per la contrazione del miocardio non proviene dal sistema nervoso ma da cellule miocardiche
specializzate dette cellule auto ritmiche definite anche pacemaker, perché controllano la frequenza cardiaca.

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APPARATO DIGERENTE

La struttura di base è costituita da quello che è il canale alimentare che inizialmente veniva chiamato letteralmente “tubo”
perché prima non era differenziato in tutte le funzioni. Oggi sappiamo che ogni tratto svolge un ruolo ben definito ed
importante per tutte le fasi digestive o di assorbimento. È un sistema che inizia con la cavità orale e finisce con l’ano ed ha
delle ghiandole ad esse annesse che sono delle ghiandole specializzate per la funzione digestiva e ghiandole salivari.
È un sistema aperto con l’esterno e risulta un mezzo di scambio di materiale con l’ambiente esterno.
Comprende:
1. Il cavo orale
2. Faringe
3. Esofago
4. Stomaco
5. Intestino tenue
6. Intestino Crasso
7. Retto ed Ano

E poi abbiamo annesse le ghiandole salivari, il fegato, cistifellea o colecisti e pancreas, che sono tutti organi
parenchimatosi, eccetto la colecisti dove viene immagazzinata la bile e concentrata.
La maggior parte dell’apparato digerente è posto ovviamente nell’addome e lungo tutto il processo della digestione, gli
alimenti vengono appunto scomposti grazie ad azioni sia chimica che meccanica e azione molto importante è svolta dagli
enzimi, cioè basi proteiche che vanno a catalizzare una determinata reazione.
Quando parliamo di digestione, questi enzimi vanno a scomporre le macromolecole per ottenere nutrienti più semplici,
per essere poi assorbiti tramiti trasportatori specializzati. Tutto quello che è presente nella cavità addominale è
mantenuto insieme grazie a pieghe del peritoneo, che sono dette Mesenteri e aiutano, sia ad innervare che a
vascolarizzare, e aiutano proprio a mantenere in sede le varie sezioni di intestino tenue e crasso permettendo i vari
movimenti intestinali definiti PERISTALSI INTESTINALE, questo canale infatti non è statico, ma subisce dei movimenti.
Come abbiamo precedentemente detto quindi, in questo canale vanno a compiersi i processi digestivi, ovvero quei
processi fisici e chimici che trasformano le sostanze costitutive dei cibi in elementi più semplici.

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Per questo motivo abbiamo:


• Triturazione Meccanica: che non è dettata solo dalla masticazione dei denti, ma è anche dettata da una forza
meccanica nello stomaco tale da triturare ulteriormente gli alimenti
• Mescolamento: Dove il cibo viene miscelato con i succhi secreti nei vari segmenti, con specifici enzimi vengono digeriti,
e in questo modo viene diluito con quello che il bolo
• Demolizione: che avviene grazie agli enzimi delle sostanze;
• Assorbimento: Ovvero le sostanze vengono assorbite e quindi riversate poi, vuoi nel sangue, vuoi nei vasi linfatici, per
andare in circolo
Le fasi del processo digestivo quindi sono:
1. Ingestione e Masticazione: ovvero l’introduzione del cibo nel cavo orale, che ci permette di preparare, anche dal
punto di vista nervoso, l’apparato ad accogliere il cibo nelle varie sezioni. Con la masticazione invece iniziamo a
triturare e misceliamo il cibo con la saliva, attivando il sistema nervoso perché grazie ai recettori sensoriali del tatto e
del gusto che troviamo lungo la cavità orale siamo in grado di apportare al cervello informazioni sul volume, oltre che
informare su quanto ancora dobbiamo masticare il cibo per essere deglutito, per non apportare ad esempio dolore su
quella che può essere la parte dell’esofago.
2. Progressione: Il cibo poi ovviamente deve progredire per tutto il canale.
3. Digestione: Dove avvengono tutti quei processi sia chimici che meccanici
4. Assorbimento: dove avviene l’assorbimento vero e proprio dei nutrienti
5. Eliminazione delle Feci: Ovvero quelle che non possono essere assorbite vengono definiti materiale di scarto e quindi
feci.

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Fasi della Digestione


Possiamo distingue la digestione in prima, seconda e terza digestione.
1. La Prima Digestione è quella che si verifica all’interno del cavo orale, dove grazie alla masticazione il cibo viene ridotto in
piccoli pezzi e viene riversata la saliva e va a formare quello che si chiama Bolo Alimentare.
La saliva presenta la ptialina o amilasi salivare, che è il primo enzima con cui il cibo entra in contatto in tutta quella che è
la fase di digestione, ed è capace di scomporre gli amidi e quindi va ad attuare quella che è definita la digestione degli
amidi ovvero le lunghe catene di zuccheri, iniziando così ad avere la percezione del dolce e si vanno a scindere gli
zuccheri. Poi abbiamo la deglutizione, dove il bolo passa attraverso la faringe e l’esofago, riversando poi nello stomaco.
2. La Seconda Digestione, definita anche digestione gastrica, che è la fase più lunga e può durare fino a 5 ore e avviene
nello stomaco, dove il bolo viene immagazzinato e viene miscelato con i succhi gastrici che sono succhi acidi composti da
acido cloridrico. Qui avverranno dei meccanismi di movimenti dello stomaco che permettono un ulteriore triturazione
meccanica dei nutrienti, trasformando il bolo in quello che definiamo come chimo, un materiale lattiginoso e più fluido
che pian piano può passare nel tratto successivo allo stomaco, ovvero nell’intestino tenue, tramite il piloro. La prima
porzione dell’intestino tenue è il Duodeno, ed è qui dove avviene la terza fase
3. La Terza Digestione è definita la digestione enterica. Nel duodeno, oltre al chimo vengono riversati altri succhi digestivi
come la bile, il succo pancreatico e il succo enterico, che viene prodotto dalle cellule dell’intestino tenue stesso, che
permetterà l’assorbimento dei nutrienti. L’azione combinata di questi succhi, permette di completare quella che è la
digestione dei nutrienti, viene miscelato nuovamente grazie soprattutto a movimenti di peristalsi, e viene così definito
poi chilo.
Il Chilo può percorrere tutto l’intestino tenue permettendo così l’assorbimento dei nutrienti e arrivare poi nell’intestino
crasso dove si formeranno poi le feci. I vari succhi digestivi contengono quindi enzimi diversi, perché vanno a scindere
nutrienti differenti:
1. Succo salivare
2. Succo gastrico, che presenta sia l’acido cloridrico che fornisce acidità, la pepsina che inizia a scindere le proteine, la
lipasi gastrica che invece inizia a scindere i grassi.
3. Succo Pancreatico, che è quello che viene riversato nel duodeno ed è prodotto dal pancreas, presenta enzimi addetti
alla digestione dei carboidrati ovvero l’amilasi pancreatica, la tripsina, che è un enzima che avvia la digestione delle
proteine ed infine la lipasi pancreatica che è l’enzima addetto alla digestione dei grassi.
4. Succo Enterico, dove sono presenti enzimi che vanno a rompere i Disaccaridi, ovvero le molecole che sono composte
da due unità di zuccheri come il Maltosi quindi la maltasi, oppure enzimi che sono adibiti alla scissione a separare i
singoli amminoacidi, e quindi parliamo di Amminopeptidasi.
5. Bile, che ha la funzione principale di emulsionare i grassi per facilitare l’azione delle lipasi, permettendo così alle lipasi
di attaccare ai grassi e scinderli.

La Digestione Meccanica è data quindi sia dalla masticazione, dove il cibo viene triturato con i denti, sia dal
rimescolamento, soprattutto quando parliamo delle pareti dello stomaco, e poi dalla peristalsi che è un movimento
alternato di contrazioni lungo tutto il canale alimentare che permette anche all’alimento di progredire lungo il canale
stesso.
La Digestione Chimica avviene invece sugli zuccheri, sulle proteine e sui grassi, costituiti da acidi grassi, da trigliceridi che
vengono divisi a loro volta in acidi grassi e glicerolo. Partiamo quindi da macromolecole per avere sostanze più libere,
come le unità di base di questi nutrienti.

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Tutto l’apparato digerente è costituito da un canale


rappresentato da strati sovrapposti che sono definiti
tonache o tuniche. Partendo dallo strato più interno
abbiamo:
• Tonaca mucosa, che è quella che volge verso il lume,
ovvero che è proprio la membrana apicale interna del
cavo orale
• Tonaca sottomucosa
• Tonaca muscolare
• Tonaca sierosa che può continuare nel peritoneo

Tra questi strati abbiamo due plessi estremamente


importanti di cellule nervose, che rappresentano
il sistema nervoso enterico, formato dal primo plesso
definito come plesso sottomucoso o di Meissner, proprio
perché si trova tra la tonaca mucosa e l’inizio della tonaca
muscolare e da un secondo plesso chiamato mienterico o
di Auerbach che è localizzato tra due strati di tonaca
muscolare. Questa sezione del sistema nervoso, è una
sezione che rientra in quello che è il sistema nervoso
periferico che è estremamente importante perché aiuta a
coordinare tutti i movimenti lungo l’apparato digerente e
informa il cervello circa la quantità, la localizzazione e la composizione dei nutrienti, motivo per cui questi due plessi non
sono altro che fitte reti di neuroni che sono presenti lungo tutto il canale alimentare e quindi cooperano nelle attività di
peristalsi e aiutano la regolazione delle diverse ghiandole annesse all’apparato digerente.
Queste tonache sono sempre presenti tutte e quattro ma alcune di esse assumono peculiarità a seconda del tratto a cui ci
andiamo a riferire, in particolar modo la tonaca mucosa e quella muscolare.

La Tonaca Mucosa è composta da un epitelio, un tessuto connettivo lasso, che poggia poi su di una lamina propria.
Essa è quella tonaca che più varia nei vari tratti del canale alimentare; infatti, osservandola possiamo subito riconoscere il
tratto di apparato a cui ci stiamo riferendo, come ad esempio nell’intestino tenue che presenta numerose estroflessioni
che vanno a formare quelli che sono i villi. La lamina propria, dove sono immerse delle ghiandole che sono coinvolte nella
maggior parte nella produzione di muco che viene poi riversato poi sulle superfici di questo epitelio e aiuta a far scorrere il
suo contenuto. Questa tonaca poggia su uno strato sottile di tessuto muscolare definita come muscolaris mucosae.
Svolge funzione di protezione, con cellule di giunzione di tipo serrate per evitare l’improprio passaggio di sostanze nello
spazio tra le cellule, secrezione, con il muco aiutando lo scivolamento del bolo e quindi anche a proteggere, e
assorbimento, come nel tenue dove abbiamo gli enterociti che sono cellule assorbenti che presentano specifici
trasportatori che assorbono i nutrienti.

Al di sotto della tonaca mucosa, è presente la Tonaca Sottomucosa, che è un tessuto connettivo lasso che contiene vasi
sanguigni, vasi linfatici e nervi, svolgendo inoltre una funzione di supporto. Qui troviamo al di sotto di esse il primo plesso,
ovvero quello di Meissner o plesso sottomucoso, che, come abbiamo già detto, ha la funzione di coordinare i movimenti
peristaltici. Poi abbiamo la Tonaca Muscolare che in realtà è composta da due strati, uno interno che è circolare si pone
circolarmente lungo tutto l’apparato digerente e poi uno più esterno che invece è longitudinale, che segue tutta la
lunghezza del canale alimentare. La disposizione delle fibre muscolari e la loro azione congiunta permette proprio quella
che è la motilità intestinale. Dal secondo/terzo dell’esofago in poi abbiamo muscolatura liscia, cioè quel tessuto
muscolare che è involontario.
Il primo tratto invece, dalla cavità orale al primo tratto dell’esofago, parliamo di una muscolatura striata, e quindi sotto il
controllo volontario, estremamente importante per la deglutizione, la fonazione, la coordinazione della respirazione o
della masticazione stessa, che potrà essere coordinata. Tra i due strati della tonaca muscolare, è presente l’altro plesso del
sistema nervoso enterico, ovvero il plesso di Auerbach.

La tonaca più esterna e quella che è definita Tonaca Sierosa, che la troviamo principalmente a partire dallo stomaco fino
al termine del canale alimentare perché si continua nel mesentere ed aiuta a collegare e tenere insieme quello che il
canale alimentare. Nei primi tratti invece la tonaca sierosa, viene definita avventizia, e va fino all’inizio dello stomaco.

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L’apparato digerente può essere divide in quello


che si distingue come Intestino Cefalico, che è
definito da quelle strutture che sono contenute
nella testa (cavità orale e strutture annesse) e nel
torace (esofago), e Intestino Addominale definito
da quello che va a partire dallo stomaco fino al
retto, quindi Addome e Pelvi.
L’Intestino Cefalico, abbiamo detto che parte
dalla bocca, che si estende dalla Rima buccale fino
all’Istmo delle Fauci ed è compresa dalle arcate
dentali superiori e inferiori, dove superiormente
troviamo il palato duro e molle e inferiormente
troviamo la lingua; abbiamo poi il Vestibolo della
bocca che è lo spazio compreso fra le guance.
La bocca è rivestita da tonaca mucosa perché
abbiamo sempre gli strati di cui parlavamo prima e
delimitata anteriormente dalle labbra superiori ed
anteriori, lateralmente le guance, in basso la
lingua e superiormente palato duro e molle.

Le labbra dal punto di vista anatomico sono due pieghe cutaneo mucose e vanno a descrivere la rima orale e sono rivestite
da cute esternamente e da tonaca mucosa internamente; sono estremamente vascolarizzate e innervate, per la loro
funzione di emotività, nella fonazione ed hanno un elevata attività sensitiva, questo vuol dire che abbiamo un elevato
numero di recettori sensoriali sulla superficie delle labbra, che sono il punto esatto della comunicazione con il mondo
esterno e vanno a riconoscere se una sostanza ad esempio ha temperature troppo elevate. All’interno della cavità orale
troviamo i denti, che hanno una durezza superiore a quella dell’osso dove distinguiamo una zona sporgente che è la
corona, un colletto che è il margine di comunicazione tra la mucosa gengivale e la radice del dente, e che hanno l’azione di
triturazione e di tagliare o staccare il cibo con incisivi e canini, mentre molari e premolari sono coinvolti solo nell’azione di
masticazione; sono costituite da 3 sostanze: Smalto, Dentina e Cemento, che racchiudono un tessuto molle ovvero la
polpa, ma la cosa essenziale è la presenza di un legamento periodontale che presenta delle fibre nervose chiamate
Fibre di Sharpey che si trovano tra la radice del dente e l’osso alveolare, ed sono molto importante perché donano
elasticità ai denti durante l’azione masticatoria, ovvero distribuisce le forze di masticazione sulla superficie di tutte le
arcate dentarie e vanno ad informare quella che è la forza da imprimere per poter triturare effettivamente quell’alimento.
Poi abbiamo il palato, che si divide in palato duro, costituito da scheletro osseo rivestito di tonaca mucosa e quello molle,
che è una struttura muscolo membranosa che si solleva durante la fase di deglutizione e abilita la fonazione, motivo per
cui è una struttura mobile che termina con l’ugola, dove dipartono 2 nicchie palatine o pieghe che vanno ad accogliere le
tonsille palatine, che sono il primo sistema linfoide, associato alla risposta immunitario, che il nostro organismo assume,
che va ad incontrare aria o cibo. Con l’Istmo delle Fauci la bocca comunica con la faringe. All’interno sempre della stessa
cavità orale troviamo poi la lingua che è anch’essa ricoperta da tonaca mucosa che ha la particolarità di avere dei rilievi
chiamati papille linguali, che contengono i recettori gustativi, coinvolti nella percezione del gusto, e le ghiandole mucose,
che sono coinvolte sempre nella secrezione di muco coinvolto nello scivolamento degli alimenti; svolge numerose funzioni
quali masticazione, digestione, sensibilità gustativa, deglutizione e fonazione ed è composta da tre porzioni, ovvero una
anteriore, una posteriore e la radice le cui
porzioni sono ricche di muscoli sia intrinsechi, che
iniziano e terminano nella lingua stessa e sono
associati alle variazioni di forma della lingua e
quindi allo spostamento di cibo, che estrinsechi i
quali hanno inserzioni al di fuori della lingua e
terminano dentro la lingua con funzioni
importanti per la deglutizione e la fonazione.
La tonaca mucosa della lingua come abbiamo
detto ha questi rilievi che sono appunto chiamate
papille gustative, che possono essere di diversi
tipi dove la maggior parte di loro presentano
recettori gustativi.

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Abbiamo 4 tipologie di papille gustative:


1. Papille Circumvallate, che sono le più grandi e si dispongono a formare una V lungo i margini della radice della lingua
e sono visibili ad occhio nudo, sono circa 11 e sono costituite da una estroflessione centrale circondata da un anello.
Presentano un elevato numero di recettori gustativi che sono situati all’interno del vallo, dove al suo fondo sono
presenti delle ghiandole sierose, chiamate anche ghiandole di Von Ebner, che sono ghiandole che producono un siero
ricco di acqua e ha la funzione di tenere sempre pulito il vallo per stimolare in maniera ottimale i recettori gustativi.
2. Papille Fungiforme, che, come dice il nome, assumono la forma di un fungo, cioè un rilievo con un apice allargata e
una base ristretta. Presentano i recettori gustativi sulla superficie apicale del rilievo stesso e non sono numerose.
3. Papille Foliate, che vengono chiamate anche laterali, proprio perché si distinguono lateralmente ai margini della
lingua e sono parallele l’una all’altra; si vengono quindi a creare dei solchi tra una papilla all’altra dove sono poi
presenti i recettori gustativi. Anche nel fondo di questi solchi, tra una papilla e l’altra, sono interposte ghiandole
sierose atte a tenere pulito il solco tra le papille.
4. Papille Filiforme (o corolliforme), con un rilievo più piccolo che presentano numerose estroflessioni apicali.
Sono le uniche papille che non presentano i recettori gustativi; infatti, esse non sono coinvolte nella percezione del
gusto, ma sono molto innervate e la loro funzione è quella di informare il sistema nervoso centrale circa la consistenza
dell’alimento presente nel cavo orale, oltre a fornire ruvidità alla superficie della lingua, motivo per il quale il cibo
viene spostato facilmente da un lato all’altro della cavità orale per essere masticato.
Queste sono le papille che vanno maggiormente in contro a Turn Over, infatti l’emivita varia dai 3 giorni fino ai 10,
ogni 4/5 giorni abbiamo la sostituzione delle papille gustative, in particolar modo quelle filiformi, che vanno
rapidamente in contro a degenerazione soprattutto negli stati influenzali e di alterazione delle funzioni gastriche,
motivo per cui viene a crearsi quella patina bianca sopra la lingua che si ritiene sia associata proprio a questo processo
di Turn Over. Questo tipo di papille presentano dei recettori nervosi che sono in grado di discriminare le dimensioni
del cibo sulla superficie della lingua informano il cervello su quanto dobbiamo ancora masticare, per non rallentare
appunto la digestione. Le papille sono discriminate da delle sensazioni gustative primarie, che distinte in 4 gusti
fondamentali: dolce, amaro, acido e salato. In realtà ognuno stimola dei recettori gustativi specifici che sono distribuiti
su tutta la superficie della lingua e alcune zone hanno una preponderanza in determinate zone che saranno
maggiormente deputate a riconoscere uno dei 4 gusti fondamentali.
In realtà però abbiamo un quinto gusto chiamato “Umami”, che è la sensazione gustativa determinata dal glutammato
di sodio, una sostanza che è presente naturalmente oppure che viene addizionata nei prodotti industriali al fine di
migliorare il processo e rendere il gusto più gradevole (parmigiano, salsa di soia); la stimolazione di questi recettori
gustativi che percepiscono il glutammato stesso, a volte fanno sì che la richiesta di glutammato sia ancora maggiore.

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I recettori gustativi sono delle cellule modificate,


in contatto con fibre nervose. I recettori gustativi
sono anche definiti come “calici gustativi”, per la
loro struttura a forma di fuso che si trovano
appunto all’interno delle papille gustative,
creando questa struttura ovoidale il cui apice
presenta un poro, o poro gustativo, dove sono
presenti numerosi microvilli, ovvero piccole ciglia
che sono quelle che presentano i recettori
gustativi veri e propri, ovvero le strutture che
legano le sostanze contenute negli alimenti e
questo attiva una sensazione gustativa che viene
trasmessa a delle fibre nervose sensoriali.
Quindi abbiamo questo calice gustativo che
presenta un poro all’apice, mentre la zona basale
è in contatto con delle fibre nervose sensoriali,
che trasferiscono rapidamente l’informazione al
sistema nervoso centrale, circa il tipo di sostanza
che ha stimolato quel recettore; trasportano
l’informazione attraverso il settimo nervo cranico,
ma collaborano anche l’ottavo e il nono nervo
cranico. Il poro è costituito da diversi tipi di
cellule, nella zona apicale troviamo cellule di tipo
1 e 2, poi abbiamo delle cellule intermedie e
infine delle cellule basali, ovvero cellule staminali
che sono addette al ricambio delle cellule che
costituiscono il poro. Di queste strutture ne
abbiamo circa 3000 sulla lingua che però con l’età, dai 45 anni in poi, vanno a degenerare di numero e quindi si ha una
riduzione della sensibilità gustativa, oltre al fatto che queste cellule vanno in contro a adattamento.
Nella percezione del gusto logicamente viene ad interporsi anche l’olfatto, che tramite l’epitelio olfattivo e tramite quelle
che vengono considerate le vie del gusto retronasali, inviano grazie al nervo cranico primo (detto anche nervo olfattivo),
informazioni riguardo gli odoranti che vengono liberati durante il processo di masticazione nel cavo orale dall’alimento
stesso. Una importante struttura che fa parte dell’apparato digerente sono le ghiandole salivari, che hanno la funzione di
produrre la saliva ovvero un liquido costituito da acqua, muco, ma anche sali ed enzimi, in grado di umettare il cibo e,
miscelandosi, vanno a creare ciò che definiamo bolo alimentare. Contemporaneamente facilitano anche la stimolazione
dei recettori gustativi, andando a lubrificare il bolo per dissolvere le sostanze a farle entrare più facilmente in contatto con
i recettori gustativi.
La saliva come abbiamo detto contiene quella che è l’amilasi salivare o ptialina, che inizia la digestione dell’amido e
assieme alla presenza di lattoferrina e lisozima ha anche la funzione antibatterica. Abbiamo le ghiandole minori, che
secernano continuamente una piccola quantità di saliva e le troviamo distribuite nel cavo orale parlando così di ghiandole
labiali, linguali e palatine permettendo il mantenimento dell’umidità al fine di solubilizzare anche eventuali sostanze
presenti nel cavo orale, ad esempio come l’aria. Abbiamo poi le ghiandole maggiori che sono le ghiandole parotidi,
sottomandibolare e sottolinguale, con la funzione di produrre una grande quantità di secreto (fino ad un litro durante le
fasi di digestione) ma che viene emanato solo sotto stimoli del sistema nervoso centrale; queste ghiandole si distinguono
per la loro localizzazione e per il tipo di secreto.
Sia quelle minori, che quelle maggiori, sono però sempre ghiandole salivari, cioè strutture tubulo acinose composte,
costituite da cellule sierose (che producono un composto più ricco di enzimi) o mucose (che producono una secrezione più
ricca di muco). Questa saliva viene poi riversata nei dotti intercalari e poi nei dotti striati, ed è proprio in questi che la
composizione della saliva varia, subendo una variazione della concentrazione di ioni per poi essere riversati nei dotti
interlobulari e nei dotti escretori. Quando abbiamo una forte stimolazione delle ghiandole salivari, aumentano la
concentrazione di ioni bicarbonato all’interno della saliva, determinando una variazione del PH salivare, che raggiunge
valori intorno ai 7/8. Il tipo di secreto, che, come abbiamo detto variare, può essere sieroso, mucoso e soprattutto misto
(tra il sieroso e il mucoso) quando viene prodotto dalle ghiandole sottolinguali e sottomandibolari, mentre in quelle
parotidi abbiamo una secrezione prevalentemente sierosa.

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La ptialina o alfa-amilasi contenuta all’interno della saliva, è capace di riconoscere legami di tipo alfa-glicosidici tra due
unità saccaridiche, per cui inizia a rompere le grandi molecole di zuccheri ottenendo dei polisaccaridi;
non abbiamo nel nostro apparato enzimi che sono capaci di scindere legami beta-glicosidici, cioè non riusciamo a scindere
ad esempio la cellulosa delle cellule vegetali e ricavarne zuccheri, così facendo arrivano intatti fino all’intestino crasso
dove avverrà una fermentazione attuata dalla microflora intestinale con produzione di acidi grassi a catena corta e alcune
vitamine, fungendo da substrato per la microflora intestinale; esse vengono però definite sostanze indigeribili, nonostante
il rilascio di queste sostanze. Gli animali invece sono capaci di scindere questi legami.
L’alfa-amilasi contenuta della saliva è attiva solo con un PH che va tra 4 e 11, così che quando arriva nello stomaco,
l’enzima viene disattivato con un successivo blocco quindi della digestione dei carboidrati, che riprenderà poi nell’intestino
tenue grazie all’arrivo dell’alfa amilasi pancreatica, presente nel succo pancreatico.
Oltre la ptialina (o alfa-amilasi), nella saliva abbiamo anche la mucina che non è altro che una glicoproteina che lubrifica il
cibo. La saliva di per sé ha un PH che va da 6 a 7 che dipende dalla velocità di secrezione.
Il cavo orale continua con la Faringe. La faringe è un organo, a forma di imbuto, che è comune sia all’apparato digerente
che all’apparato respirato. Nel primo tratto, chiamato rinofaringe abbiamo un epitelio ciliato coinvolto nella filtrazione
dell’aria, oltre che all’orofaringe e la ipofaringe che presentano una tonaca mucosa liscia, ricca comunque di muco, e sarà
proprio quest’ultima ad entrare in contatto con l’esofago.
L’esofago è il primo organo che ha una vera e propria forma di canale, è lungo circa 25 cm e decorre lungo il collo,
attraversa il torace e arriva nella cavità addominale dove è in contatto con lo stomaco attraverso uno sfintere definito
sfintere esofageo inferiore o cardias che è finemente regolato e la cui chiusura o contrazione evita il reflusso di materiale
acido dallo stomaco verso l’esofago. Esso è costituito nel primo terzo da tessuto muscolare striato e successivamente da
tessuto muscolare liscio, dove si distinguono diverse porzioni a secondo della localizzazione rispetto alla colonna
vertebrale e presenta una tonaca mucosa con un epitelio pluristratificato, dove la tonaca mucosa è più spessa al fine di
garantire una maggiore funzione di protezione, contro un eventuale masticazione non sufficiente da triturare il cibo che
porterebbe ad una lesione di questa parte. La tonaca mucosa, inoltre, si ripiega a creare delle pieghe longitudinali, che
decorrono lungo tutto l’esofago, per cui esso presenta una superficie molto dilatabile e permette di far decorrere quindi
un bolo di dimensioni grandi, ma pigiando contro la trachea e tramite recettori portare dolore.
L’esofago svolge semplicemente una funzione di transito portando il cibo verso il basso con la contrazione alternata della
tonaca muscolare creando quella che è la peristalsi esofagea, aiutando il decorso del bolo che viene riversato poi nello
stomaco, grazie anche ad una spinta essenziale che è quella della forza di gravità; infatti, parliamo di un transito di pochi
secondi. Arrivato nello stomaco si chiude il Cardias, non permettendone la fuoriuscita opposta.
Possiamo affermare che nell’intestino encefalico avvengono tre processi alternati che permettono il passaggio del bolo e
sono quindi:
1. Masticazione e inizio digestione: nel cavo orale
2. Deglutizione: Cavo orale e Faringe
3. Transito: Faringe ed Esofago

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Nella masticazione parliamo di una successione di atti prima volontari e poi riflessi che sono dovuti alla presenza del cibo
all’interno del cavo orale. L’articolazione coinvolta è quella temporomandibolare mentre i muscoli sono quelli innervati dal
trigemino che permettono di coordinare l’attività masticatoria; il temporale e massetere determinano la chiusura, gli
pterigoidei interni ed esterni che permettono i movimenti di lateralità, oltre ai movimenti di sezione svolti dal buccinatore.
L’odore del cibo permette tramite segnali nervosi di preparare gli organi ad accogliere la digestione, aumentando inoltre la
stimolazione della saliva e ovviamente poi il contatto con il cavo orale del cibo permetterà una maggiore secrezione e
preparazione. Nella secrezione salivare agiscono sia il sistema nervoso simpatico che parasimpatico, in maniera differente.
La deglutizione è un atto di elevata coordinazione tra le strutture del cavo orale, la faringe e l’esofago.
Anche in questo caso parliamo di una fase prima volontaria e poi riflessa, separando il tutto in 3 stadi quali:
• Stadio Orale: dove il bolo viene posto al centro della lingua che si contrae, si solleva e lo spinge verso il palato molle
ed entra a contatto con la faringe;
• Stadio Faringeo: si ha la stimolazione delle aree della deglutizione, con una successiva contrazione della faringe,
l’epiglottide si chiude con l’innalzare della laringe e il bolo viene spinto nell’esofago;
• Stadio Esofageo: dove il cibo transita grazie alla peristalsi, arrivando allo stomaco;
Quando beviamo la lingua assume una forma come di canale per far passare il liquido con semplice forza di gravità.
La stimolazione delle aree reflessogene del centro della deglutizione, per tutte le funzioni che svolge arriva lievemente in
ritardo, ed è questo uno dei motivi principale che può portare allo strozzamento, facendo defluire nella trachea sostanze
liquide o solide; questo può portare ad una polmonite ab ingestis. Ad un soggetto quindi disfagico andranno
somministrati cibi con una composizione quanto più solida possibile, oppure alimenti particolarmente addensati (come
avviene per i bambini).
Il Vomito è un riflesso protettivo con cui lo stomaco è in grado di liberarsi delle sostanze contenute al suo interno.
Se alcune sostanze possono stimolare la salivazione associata a fattori piacevoli, altre possono essere associati
all’attivazione del centro del vomito, presente all’interno del ponte, e che determinano l’attivazione di questo riflesso.
Può essere attivato anche da uno stato di gravidanza, elevate pressioni endocraniche (emicrania), farmaci, infiammazioni.
Vengono inviati segnali di contrazione dei muscoli dell’addome (addominali e diaframma) che si contraggono fortemente,
bloccando la respirazione e viene create una forte contrazione che crea pressione in senso opposto, stimolando l’apertura
del cardias facendo refluire il materiale dallo stomaco verso l’esofago. Durante questa fase l’epiglottide si richiude.

L’INTESTINO ADDOMINALE (STOMACO)

L’intestino addominale inizia con quello che è definito stomaco.


Quando parliamo dello stomaco, parliamo di una sacca a forma di j che ha la funzione di immagazzinare temporalmente il
bolo, trasformarlo in chimo grazie al mescolamento e unirlo al succo gastrico, così da iniziare la digestione.
Riconosciamo una piccola curvatura verso destra e una grande curvatura verso sinistra e viene diviso in 5 sezioni:
1. Il Cardias, che è il punto di comunicazione con l’esofago;
2. Il Piloro, che è lo sfintere tra la parte distale dello stomaco e il duodeno
3. Il Fondo, che è l’estremità superiore
4. Il Corpo, che è la zona più allargata, più estesa dello stomaco stesso
5. L’Antro, che è la zona terminale

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Lo stomaco ha la capacità di contenere in condizioni normali fino a 1,5 L di bolo alimentare, si va ad allargare man mano,
perché le sue tonache mucose si ripiegano a formare delle pliche che si andranno ad estendere per aumentare la capacità
di contenimento. Nello stomaco avviene la motilità gastrica rappresentata da una forte contrazione della tonaca mucosa,
che inizia nella zona del corpo e procede ad anello lungo tutta la zona dell’antro fino al piloro.
Queste contrazioni avvengono a cicli permettendo una propulsione e retropulsione del chimo perché il piloro è ancora
chiuso. Quando poi il chimo è diventato liquido e le forti contrazioni aumentano la pressione che arrivano fino al pirolo,
esso si apre e fa passare piccole quantità (circa 3 Ml all’apertura) dallo stomaco al duodeno, svuotandosi.
Questo avviene lentamente perché il contenuto gastrico sarà molto acido e nel Duodeno non presenta una specifica
protezione, ma saranno i succhi enterici, soprattutto il succo pancreatico, che andranno a tamponare l’acidità del chimo.
Lo stomaco ha quindi fondamentalmente la funzione di digestione meccanica ed enzimatica e poco o nulla di digestione di
assorbimento, questo avviene per la sua totale importanza nella motilità gastrica regolarizzata dal sistema nervoso
centrale, tramite il sistema nervoso parasimpatico; nello specifico determina il rilascio nello stomaco di un ormone
chiamato gastrina, che va in circolo e stimola ulteriormente la motilità. La motilità viene stimolata quando abbiamo fame,
odore e vista di sostanze piacevoli e influenze psichiche, che portano al gorgoglio che possiamo ascoltare nello stomaco.
Nel sistema nervoso simpatico invece si inibisce la motilità dello stomaco che si ha ad esempio causa stress, condizioni di
influenze psichiche negative, quando abbiamo dolore o ad esempio in conduzioni di paura.
Questo processo però di inibizione può essere anche attuato dal duodeno, tramite enzimi che vanno in circolo nello
stomaco e limitano la motilità successivamente allo svuotamento dello stomaco. Essenzialmente quindi il Parasimpatico,
abilita la motilità gastrica, mentre il Simpatico inibisce la motilità dopo il passaggio del bolo nel duodeno.
Anche lo stomaco presente le 4 tonache, ma le più importanti sono la tonaca muscolare, formata da 3 strati:
longitudinale, circolare e obliquo, che permettano proprio una contrazione maggiore rispetto a tutti gli altri tratti
dell’apparato digerente, e la tonaca mucosa, che ha uno strato più spesso perché abbiamo quelle che sono le ghiandole
gastriche, immerse nella lamina proprio e quando si va a distendere va a formare quelle che sono le fossette gastriche,
dovute all’estensione dello stomaco se necessario.

Le ghiandole gastriche sono quelle che producono muco e enzimi e a seconda della localizzazione delle ghiandole avremo
una concentrazione di un tipo di cellule differenti rispetto ad un'altra, per cui ad esempio le ghiandole che si trovano
vicino al cardai al pirolo, che sono ghiandole di comunicazione tra una parte e l’altra presentano prevalentemente cellule
di tipo mucoso, mentre ad esempio quelle del corpo e dell’antro presentano cellule deputate sia alla produzione di muco
che alla secrezione dell’acido cloridrico e degli enzimi digestivi.
Nella fossetta gastrica, infatti, avremo nel colletto della fossetta le cellule mucose che vanno a creare muco, costituito da
glicoproteine e proteinoglicani, andando a creare sulla superficie una barriera protettiva; questo muco è detto insolubile,
che crea uno strato di circa 1mm e va ad impedire una azione corrosiva dell’acido cloridrico sulle cellule dell’epitelio
gastrico. Oltre a questo insolubile però, avremo la produzione di un liquido anche solubile che aiuterà alla solubilizzazione
del bolo alimentare e alla successiva formazione del chimo. Le cellule parietali vanno a formare l’acido cloridrico e il
fattore intrinseco; abbiamo inoltre le cellule di chief, che sono le cellule principali che producono pepsinogeno;
le cellule D, che producono somatostatina con funzione inibente e le Cellule G che stimolano la gastrina, quindi la motilità
gastrica. Le cellule principali di chief, che producono il pepsinogeno, sono cellule importanti, perché il pepsinogeno è un
enzima inattivo che viene attivato dall’acido cloridrico, diventa pepsina e inizia la digestione delle proteine.
Le cellule parietali sono deputate alla produzione dell’acido cloridrico e sono cellule che hanno una nidrasi carbonica, un
enzima che a partire da acqua e bicarbonato, creano l’acido carbonico il quale si scinde, i protoni vengono trasportati da
un trasportatore idrogeno-potassio ATPasi dipendente ( un antiporto che consuma ATP), il protone viene pompato nel
lume gastrico, lo ione bicarbonato viene scambiato con uno ione cloruro; questo cloro poi diffonde semplicemente dalla
membrana apicale della cellula parietale e viene riversato nel lume gastrico dove il protone e lo ione cloruro si uniscono a
formare l’acido cloridrico.
Esso è essenziale per la digestione delle proteine attivando il pepsinogeno e per l’uccisione di tutti i batteri.
La secrezione dell’acido cloridrico ha una secrezione di acido cloridrico che viene definita basale, che è quella che è
presente costantemente nello stomaco per mantenere l’acidità all’interno dello stomaco ed una prandiale, che si associa a
quello che è il consumo del pasto e si divide in una fase cefalica (alla visione del cibo), in una fase gastrica, dove il bolo
raggiunge proprio lo stomaco e si ha un PH. pari a 3 all’interno dello stomaco, ed infine una fase intestinale fase intestinale
definita a feedback, che con la secretina e un peptide inibitorio gastrico, vanno ad inibire la secrezione gastrica.
L’acido cloridrico permane all’interno dello stomaco in base a costituenti e volume del cibo, oltre che alla sua
composizione. Gli alimenti che vengono più rapidamente digeriti sono i carboidrati (a causa della ptialina presente già
nella saliva) e maggiore triturazione porta a minor tempo di digestione.

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INTESTINO TENUE
Quando parliamo di intestino tenue, parliamo della
principale sede di digestione e assorbimento dei
nutrienti e lo distinguiamo in:
- Duodeno, che è il primo tratto di 25 cm circa che
assume una forma di C e accoglie la testa del
pancreas, è l'unico tratto retroperitoneale;
- Digiuno ed ileo: sono avvolti dal mesentere e
rappresentano quello che viene definito intestino
mesenterico ed è proprio questo tratto che si
ripiega formando le anse intestinali.

IL DUODENO
Il duodeno riceve, in corrispondenza della ampolla di
Vater, sia il succo pancreatico prodotto dal pancreas,
che la bile prodotta dal fegato. Tra i diversi tratti dell'intestino tenue non c'è una vera e propria separazione, ma cambia la
conformazione della tonaca mucosa, perché lungo tutto l’intestino tenue la tonaca mucosa si solleva a formare delle
pliche circolari, le quali hanno la funzione di incrementare la superficie assorbente. Inoltre, ci sono numerose
estroflessioni, definite villi, che ricoprono tutta la tonaca. La tonaca mucosa e la sottomucosa si ripiegano a formare
queste pliche, mentre sulla superficie si sollevano a creare un ulteriore elevatissimo numero di estroflessione chiamati
appunto villi. Le cellule dell’epitelio dell'intestino tenue, chiamate enterociti, presentano sulla loro membrana apicale
altre piccole estroflessioni chiamate microvilli che vanno a creare quello che viene chiamato orletto a spazzola degli
enterociti. Tutta questa organizzazione permette di incrementare la superficie assorbente dell'intestino tenue che può
arrivare ad essere quasi di 200 m². Oltre ai villi abbiamo anche le ghiandole intestinali, immerse nella tonaca
sottomucosa.
Esistono diversi tipi di cellule:
-Cellule assorbenti, cioè gli enterociti perché sono cellule che producono muco che ha sempre la funzione di favorire lo
scorrimento del chimo lungo tutto l’intestino tenue,
-Cellule esocrine, addette alla secrezione di ormoni, sostanze che agiscono direttamente sull’epitelio;
-Cellule endocrine, producono ormoni che vengono riversati nel circolo sanguigno e agiscono a distanza.

La caratteristica del villo è che all'interno di ognuno sono presenti un vaso linfatico e un vaso sanguigno.
Vedremo che le sostanze idrosolubili vengono riversate direttamente nel plasma, ma anche le sostanze liposolubili
vengono versate nei vari sfinteri. Tra i villi sono presenti delle introflessioni, in cui sono presenti le cellule staminali che si
differenziano poi in enterociti, permettendo un continuo e rapido turnover delle cellule. Infatti, ogni giorno perdiamo 50gr
di cellule con le feci, e ogni 10 giorni abbiamo una sostituzione di tutte le cellule del nostro apparato digerente.
In tutto il tratto di intestino tenue immerso nella tonaca sottomucosa abbiamo anche le ghiandole intestinali che hanno
aspetti differenti a seconda della sezione dell'intestino tenue.
Nella zona del duodeno abbiamo quelle che sono le ghiandole di Brunner che hanno la funzione di produrre per lo più un
muco ricco che andrà a tamponare la scesa del chimo e favorirà la protezione del duodeno da parte di questo chimo acido,
Nel digiuno abbiamo la ghiandola di Galeazzi-Lieberkuhn, che produce muco che enzimi, quindi hanno una secrezione
mista, essi continuano fino all’ileo.
Nella zona dell’ileo, ci sono delle cellule associate alla risposta immunitaria, esse si aggregano a formare le placche di
Peyer, rappresentano il tessuto linfoide associato all’apparato digerente e quindi sono coinvolte nella risposta immunitaria
da parte dell’apparato digerente stesso.

Man mano che ci allontaniamo dal duodeno, si riduce il numero di villi circolari nell'intestino tenue; quindi, più andiamo
verso l’ileo e più la tonaca mucosa risulta meno estroflessa. Quindi questa tonaca mucosa è meno adibita alla funzione di
assorbimento, ma all’interno viene prodotto il succo enterico, un succo che contiene muco ed enzimi.
Questi enzimi sono specifici per la digestione degli amminoacidi, come ad esempio l’Amminopeptidasi, carbossipeptidasi,
oppure specifici per la gestione degli zuccheri, degli acidi nucleici ma soprattutto abbiamo un enterochinasi che ha la
funzione di attivare gli enzimi prodotti. Grazie ai movimenti di peristaltici e di ondulazione all'interno dell'intestino tenue, i
nutrienti entrano in contatto con i vari succhi ed enzimi digestivi e quindi vengono smantellati in nutrienti semplici per poi
essere assorbiti. Se parliamo di contrazioni, di movimenti, dobbiamo considerare il sistema nervoso enterico, che grazie al
plesso di Ahuerbach e di Messener va a coordinare la motilità dell'intestino. Un ruolo importante lo giocano anche il
sistema simpatico e parasimpatico. Nei movimenti che possiamo avere abbiamo: i movimenti di segmentazione, cioè
contrazione della tonaca muscolare circolare in tratti differenti, che ha la funzione di miscelare il chimo con i vari succhi
digestivi, il movimento di peristalsi che prevede una contrazione a monte del chimo e rilasciamento a valle unitamente a
una contrazione della tonaca longitudinale; quindi, c'è un accorciamento di quel tratto dell'intestino tenue.

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In tal modo il chimo può essere spostato lungo tutto l’intestino, entrando in contatto con i vari enzimi sull’epitelio e quindi
sulla membrana apicale degli enterociti.
Nell'intestino tenue si ha la completa digestione dei nutrienti, grazie ai succhi prodotti anche dal pancreas e dal fegato,
che sono due ghiandole annesse all’apparato digerente.

IL PANCREAS

Il pancreas è una ghiandola voluminosa, che si trova dietro lo stomaco, contro la parete posteriore della tonaca ed è in
posizione retroperitoneale. Esso ha una forma allungata di circa 15 cm che volge verso l’ipocondrio sinistro.
Se ne distinguono tre zone:
- Testa, che è quella che avvolta dalla ansa a c del duodeno,
- Corpo, piuttosto appiattito,
- Coda, che è quella che volge poi effettivamente verso l’epicondrio sinistro.

L'unità funzionale è l’acino pancreatico, che è organizzato in lobuli. Esso è una sacca a fondo cieco che riversa poi il
secreto nei dotti interlobulari e poi nei dotti escretori.
Abbiamo due dotti escretori:
- il dotto principale che sbocca assieme al collettore che deriva dal fegato
-il dotto accessorio o del Santorini, che sbocca un po' più sopra del precedente e raccoglie prevalentemente succo
pancreatico derivante dalla testa del pancreas.

Il pancreas è un organo a secrezione mista, perché è sia esocrino che endocrino.


-Il pancreas esocrino è rappresentato da questi acini pancreatici che producono il succo pancreatico; quindi, parliamo di
cellule con un elevato sviluppo del reticolo endoplasmatico.
La caratteristica di questo succo pancreatico è che contiene sia enzimi attivi, che possono subito lavorare, come la milasi
che ingerisce gli amidi e la lipasi che digerisce i grassi, ma gli enzimi addetti alla digestione delle proteine sono enzimi
inattivi che verranno attivati direttamente nel duodeno grazie al enterochinasi prodotta dalle cellule del duodeno.
Questo perché, qualora gli enzimi addetti alla digestione proteica fossero attivi già all'interno delle cellule pancreatiche,
inizierebbero a digerire le cellule vegetali. Invece vengono secreti in forma inattiva, come tripsinogeno che diventerà
tripsina, il chimo tripsinogeno che diventerà chimotripsina. Nel succo pancreatico abbiamo un’elevata concentrazione di
ioni bicarbonato, infatti pH è di circa 8. Abbiamo un pH alcalino grazie a questi ioni bicarbonato, per tamponare il chimo
acido e la produzione di questo succo pancreatico sotto il controllo ormonale. Sono due gli ormoni coinvolti nel controllo
della secrezione di succo pancreatici: la colecistochinina e la secretina.
Inizialmente abbiamo sempre una fase cefalica, che stimola la produzione del succo pancreatico ed è avviene tramite il
nervo vago, che in pratica alla presenza di cibo nel cavo orale stimola il pancreas a produrre succo pancreatico.
Abbiamo poi la fase gastrica, in cui il bolo arriva nello stomaco e la presenza di alcuni aminoacidi inizia a stimolare il
rilascio di succo pancreatico. L'azione maggiore si ha quando il chimo viene riversato nel duodeno, quindi parliamo della
fase intestinale, in cui il chimo viene rilasciato nel duodeno. Qui alcune cellule endocrine del duodeno secernono la
colecistochinina che da un lato stimola la contrazione della cistifellea e dall'altro stimola la produzione di un succo
pancreatico ricco in enzimi e anche stimola la sintesi degli enzimi all'interno di questo. Dall'altra abbiamo l'azione

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dell'ormone secretina, che agisce a livello pancreatico, stimolando la produzione di un succo ricco in acqua e bicarbonato,
il quale viene riversato nel duodeno. Una volta riversato nel duodeno, l'enterochinasi attiva i vari enzimi coinvolti nella
digestione proteica, quindi dal tripsinogeno abbiamo la tripsina e poi l'attivazione degli altri enzimi.
- Un’altra sezione del pancreas è quella endocrina, che riversa gli ormoni nel circolo sanguigno.
Questi ormoni possono avere effetti a distanza, sulle cellule bersaglio, visto che sono cellule endogee, fittamente irrorate
e vascolarizzate, sulle quali sono rappresentate le isole di Langerhans. Questi aggregati di cellule sono costituiti da tipi
cellulari diversi, come le cellule Alfa che producono glucagone, le beta che producono insulina e quelle Delta che
producono somatostatina. L’insulina e il glucagone sono coinvolti nella regolazione della glicemia, una in modo opposto
all'altra. La somatostatina invece, genera un effetto inibitorio sulle cellule alfa e sulle cellule beta.

IL FEGATO
Il fegato è posizionato sotto la costola destra, è diviso
in lobo destro e lobo sinistro dal legamento
falciforme. Sulla faccia inferiore del lobo destro
troviamo la colecisti o cistifellea, una sacchetta
ovoidale adibita alla raccolta e al rilascio della bile.
Sulla faccia inferiore troviamo anche l'accesso al
fegato, l’ilo o la porta epatica.
L'unità funzionale del fegato è il LOBULO EPATICO,
formato da epatociti disposti attorno ad una vena
centrale. Il fegato inoltre pesa 1-2 kg. Il fegato è
adibito alla produzione della bile arrivando a
produrne fino ad un litro. La bile viene sintetizzata a
partire dal colesterolo, dagli acidi biliari, e poi riversata
nei canalicoli biliari.
Essa, oltre agli acidi biliari e al colesterolo, è formata
anche da acqua, fosfolipidi e soprattutto bilirubina.
La bile viene concentrata all'interno della colecisti, il
suo rilascio è dettato soprattutto dall’azione
dell’ormone colecistochinina, lo stesso che viene
rilasciato sul pancreas.
La secretina invece stimola la secrezione di succo biliare. La principale funzione della bile è quella di emulsionare i grassi,
perché non sono sostanze solubili in acqua, aiutando così anche la funzione degli enzimi. La bile, inoltre, è anche un modo
con cui il nostro organismo si libera sia del colesterolo che dalla bilirubina e si presenta di colore giallo-verde proprio per la
presenza della bilirubina. La bilirubina è un prodotto di scarto e quando i globuli rossi arrivano alla fine del loro ciclo vitale
devono essere smantellati. Quando i globuli rossi dopo circa 120 giorni di vita devono essere distrutti ad opera del sistema
reticolo-endoteliale. Grazie alle varie proteine che costituiscono i globuli rossi, questi vengono riciclati:
il ferro viene rimandato al midollo rosso affinché possa essere riciclato per fare nuova emoglobina, il gruppo n però è
molto pesante e viene convertito in bilirubina, che viene riversata nel circolo sanguigno dove viaggia legata all'albumina e
viene portata al fegato. Nel fegato viene coniugata e rilasciata. All'interno dell'intestino crasso, parte della bile viene
fermentata ad opera dei batteri, e viene liberata con le feci. Il fegato è una ghiandola molto grande, che svolge numerose
funzioni, è la nostra industria energetica ma è anche la nostra industria di rifiuto perché da una parte secerne la bile, che è
importante nella fase della digestione, però una parte è coinvolta nel metabolismo degli zuccheri, creando un composto di
deposito, ovvero il glicogeno, che libera glucosio quando c'è carenza energetica, è coinvolto nel metabolismo lipidico, è
coinvolto nel metabolismo proteico, perché la sintesi proteica avviene nel fegato, è coinvolto nella produzione di alcuni
fattori della coagulazione e nel metabolismo di alcune vitamine che devono essere attivate a livello epatico.
A livello degli enterociti sono presenti poi delle specifiche disaccaridasi, cioè enzimi che rompono i legami tra dispare,
parliamo di maltasi, ad esempio che scinde il maltosio nelle sue due molecole di glucosio che lo costituiscono. Una volta
prodotti i nutrienti semplici, i monosaccaridi, questi vengono assorbiti tramite appositi trasportatori, come il simporto
sodio-glucosio o sodio-galattosio, un trasportatore attivo di secondo tipo che permette l’assorbimento del galattosio, che
viene scambiato e viene assorbito dalla membrana apicale degli enterociti per poi essere versato tramite un glucosio
permeasi, è riversato nel fegato, e va a tutte le cellule che hanno bisogno di galattosio.

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INTESTINO CRASSO
L'ultimo tratto dell'apparato digerente è l’intestino
crasso, anche questo in forma di canale ma in questo
caso la superficie interna è liscia e presenta un elevato
numero di ghiandole mucipare e caliciformi, che
formano una notevole quantità di muco che aiuta poi la
formazione delle feci. Nell'intestino crasso, la
muscolatura liscia si aggrega a formare tre nastri che
corrono lungo tutto l’intestino crasso: le tenie.
All'esterno, a incrociare queste tenie, troviamo dei
rivoltamenti definiti claustri, nel corrispettivo tratto
interno troviamo queste haustre, che formano dei
compartimenti che permetteranno un maggior
assorbimento di acqua e mescolamento del materiale
fecale, del materiale che poi può essere fermentato ad
opera della microflora intestinale nel nostro intestino
crasso. Possiamo arrivare ad avere 1/2 kg di batteri che
costituiscono la nostra microflora, la quale ha una forte
interazione con lo stato di salute del soggetto, perché
all'interno della microflora ci sono alcune specie
batteriche che sono benefiche per il nostro organismo che vanno a produrre alcune vitamine, minerali e acidi grassi. Altre
specie batteriche invece determinano una di studiosi intestinale quindi una fermentazione con produzione di gas,
associato al meteorismo.
L'equilibrio della flora intestinale risulta essere estremamente importante per garantire anche la funzionalità dell'intestino
intestino grasso. Esso si divide poi in ascendente, trasverso, discendente ascendente sigmoideo e retto.
Esso è separato dall’intestino tenue dalla valvola ileo-cieco-colita, mentre gli altri segmenti non sono separati uno
dall'altro. I movimenti di motilità dell’intestino grasso:
1. Haustrazioni, contrazioni delle sacchette delle haustra che aiutano il rimescolamento e favoriscono l’assorbimento
dell'acqua e degli elettroni;
2. Movimenti peristaltici, che hanno la funzione di spostare il materiale di scarto lungo i vari segmenti dell’intestino
grasso e si verifica grazie a una contrazione di segmenti di circa 15-20 cm delle tenie, che vanno quindi ad accorciare
l’intestino permettendo la propulsione del materiale in esso contenuto.

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Questi movimenti di elevate quantità di materiale contenuto nell’intestino crasso, si verificano in modo più consistente
2-3 volte al giorno e vengono definiti movimenti di massa, per cui il materiale di scarto viene spostato verso l'ano.
Quando l’ampolla rettale si riempie, i meccanorecettori che registrano la distensione delle pareti dell’ampolla rettale,
inviano informazioni al sistema nervoso centrale che manda lo stimolo della defecazione.
Nelle feci troviamo prevalentemente acqua, circa il 75%, materiale di scarto fermentato ad opera della microflora
intestinale, una buona concentrazione di batteri, le cellule di sfaldamento dell’epitelio intestinale quelle che vanno
incontro a turnover. L’assorbimento di acqua, che avviene nell’intestino crasso, si verifica per osmosi. Prima viene
assorbita il sodio, questo accumulo di sodio richiama l'acqua, perché deve essere diluito, questo richiamo di acqua crea
una pressione che poi filtra a livello del liquido interstiziale.

Il plesso di Auerbach e il complesso di Meissner vanno a controllare la motilità,


la tonaca muscolare circolari e longitudinali.
Il plesso di Auerbach, nello specifico, coordina la muscolatura e la quindi
stimola la contrazione della muscolatura; il plesso di Meissner va a regolare le
secrezioni da parte dell'intestino stesso,
Quindi nel controllo della funzione gastro-intestinale in generale abbiamo sia i
meccanismi nervosi, che sono quelli che partono dal sistema nervoso centrale
e regolano tutte le situazioni, le ghiandole annesse all'apparato digerente, le
varie funzioni come la peristalsi, ma abbiamo anche i meccanismi ormonali,
come ad esempio la gastrina, che va a stimolare la contrazione dello stomaco.
Abbiamo meccanismi locali, cioè detta dalla composizione chimico-fisica degli
alimenti, che vanno a simulare o meno la motilità intestinale.

Il sistema nervoso simpatico generalmente è associato alla risposta attacco-


fuga; quindi, va ad inibire le secrezioni ed eccitare la contrazione degli sfinteri,
perché la digestione non continua se siamo in condizione di attacco fuga.
Il sistema parasimpatico, invece, ha azione opposta fondamentalmente,
perché che va a stimolare la contrazione delle tonache muscolari lisce e quindi
il rilasciamento dei poteri, tanto che l'azione del sistema parasimpatico è
associata a una uno stato fisiologico
di rilassamento.

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APPARATO CARDIOVASCOLARE

L’apparato cardiocircolatorio è formato da tre elementi


fondamentali:
1. Cuore,
2. Sistema di vasi sanguigni
3. Sangue che circola all’interno dei vasi.
La funzione principale del sistema cardiocircolatorio è quella
di fornire attraverso il sangue, tutti gli elementi nutritivi
necessari al metabolismo delle cellule e quindi alla loro
funzione.
Il cuore è fondamentale all’interno di questo apparato in
quanto rappresenta la pompa emodinamica, cioè attraverso
la sua attività, e quindi attraverso il cosiddetto “ciclo
cardiaco”, si viene a creare una forza tale che il sangue
presente nelle camere cardiache viene spinto, a seguito della
contrazione del muscolo cardiaco, nei vasi e fluisce quindi
attraverso la cosiddetta “circolazione sistemica” o
GRANDE CIRCOLAZIONE o attraverso la circolazione
polmonare. La grande circolazione è formata da una serie di
vasi, e prevede che il sangue torni alla parte destra del
cuore, attraverso la circolazione venosa (e quindi attraverso
le vene cave). Il sangue, quindi, arriva prima nell’atrio destro,
passa poi nel ventricolo destro e da qui viene immesso nelle
arterie polmonari.

A livello dei capillari polmonari avviene lo scambio tra O2 e


CO2, e il sangue ritorna poi attraverso le vene polmonari
nell’atrio sinistro. Da qui passa poi nel ventricolo sinistro e
viene immesso nell’aorta. L’aorta si dirama nelle varie
arterie, che portano il sangue nei diversi organi.

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Ogni arteria si dirama all’interno degli organi in arteriole, e poi le arteriole si diramano a loro volta in capillari che
rappresentano la vera e propria sede di scambio di nutrienti. Il sangue ritorna poi attraverso le venule e successivamente
le vene, (vena cava inferiore che raccoglie il sangue ricco di CO2 dagli organi inferiori, e la vena cava superiore che
raccoglie invece il sangue ricco di CO2 dagli organi superiori), alla parte destra del cuore.

Quindi il sistema cardiocircolatorio può essere considerato nel suo complesso, un sistema organizzato in parallelo, così
come vediamo nell’immagine.

1. Atrio destro ventricolo destro 7. Aorta


2. Arterie polmonari 8. Arteriole
3. Capillari 9. Capillari
4. Vene polmonari 10. Venule
5. Atrio sinistro 11. Vene
6. Ventricolo sinistro 12. Atrio destro

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Il sangue fluisce nell’aorta grazia alla pompa cardiaca si dirama per portare il sangue nei vari distretti secondo
un’organizzazione in parallelo. Questa caratteristica è molto importante a livello fisiologico in quanto se il sistema
circolatorio fosse organizzato “in serie”, gli organi che si trovano a valle riceverebbero un sangue già privato di sostanze
nutritive, mentre con il sistema “in parallelo” ogni tessuto riceve la stessa quantità di nutrimenti.
Questo tipo di organizzazione fa sì che il nostro organismo possa, in base alle necessità, determinare un maggiore flusso di
sangue in un determinato distretto. Ad esempio, un tessuto che è più attivo perché l’organo che costituisce ha una
maggiore attività, deve ricevere una quantità più grande di sangue, quindi più ossigeno e sostanze nutritive, e deve
eliminare più velocemente i prodotti di scarto.

CUORE

Dobbiamo innanzitutto capire come funziona il cuore, e come riesce a fungere da pompa emodinamica, cioè creare quelle
pressioni tali da immettere il sangue nel sistema circolatorio, perché chiaramente il flusso del sangue è guidato dalla
differenza di pressione (gradiente di pressione) generata dall’attività del muscolo cardiaco.
Il cuore è formato da 4 camere cardiache: 2 atri e 2 ventricoli, divisi in atrio e ventricolo destri e atri e ventricolo sinistri
per la presenza di un setto. Gli atri e i ventricoli sono connessi tra loro per la presenza di due valvole; l’atrio di destra si
collega al ventricolo di destra grazie alla valvola atrio- ventricolare destra detta TRICUSPIDE, mentre l’atrio di sinistra e il
ventricolo di sinistra sono collegati dalla valvola atrio-ventricolare sinistra detta BICUSPIDE.
I ventricoli sono invece connessi con le arterie polmonari e con l’aorta attraverso la presenza di valvole SEMILUNARI.
Queste valvole sono molto importanti perché determinano, grazie la loro alternanza di apertura e chiusura, la direzionalità
del flusso sanguigno attraverso il cuore, rendendo quindi possibile lo spostamento del sangue dagli atri ai ventricoli, e dai
ventricoli ai vasi. Il cuore ha la forma di un cono rovesciato, con punta rivolta verso il basso.
Il muscolo cardiaco che si contrae determinando la forza che immette il sangue nei vasi è il miocardio.
Questa forza si determina in tutte le quattro camere del cuore, ma in particolare nei ventricoli; si distinguono due fasi:
sistole e diastole. La sistole è la contrazione del miocardio, in particolare avremo la sistole atriale e ventricolare anche se
in genere quando si parla di sistole si intende la contrazione a livello ventricolare; durante la fase di sistole il muscolo si
contrae generando una forza tale da immettere il sangue nei rispettivi vasi sanguigni.
La diastole è invece la fase di rilassamento del muscolo, durante quest’ultima la muscolatura è completamente rilassata
per cui la pressione nelle camere cardiache è molto bassa. Proprio durante la fase di diastole si verifica il riempimento
delle camere cardiache, cioè il sangue attraverso il ritorno venoso torna all’atrio destro (e poi nel ventricolo destro) e
attraverso le vene polmonari ritorna all’atrio sinistro (e poi nel ventricolo sinistro).
Le valvole si trovano aperte e chiuse alternativamente durante le due fasi; durante la fase di diastole si apriranno le
valvole atrio-ventricolari, in quanto il sangue deve fluire dagli atri ai ventricoli, e da questi ultimi nei vasi.

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Una volta che le camere ventricolari vengono riempite, il sangue deve ritornare in circolo, per cui durante la fase di sistole
le valvole atrio-ventricolari si chiuderanno (affinché durante la contrazione del miocardio il sangue non ritorni negli atri), e
si apriranno le valvole semilunari.
Che cosa determina la chiusura e l’apertura delle valvole?
Semplicemente una pressione, che se è più forte a monte determina l’apertura delle valvole, se più forte a valle ne
determina la chiusura. Grazie alla presenza di queste quattro valvole si garantisce il flusso UNIDIREZIONALE del sangue.

Muscolo cardiaco

Il muscolo cardiaco presenta delle caratteristiche intermedie tra il muscolo scheletrico e liscio.
Le fibre del muscolo cardiaco sono striate, e quindi organizzate in sarcomeri. Esse somigliano alle fibre del muscolo liscio in
quanto presentano delle connessioni rappresentate dai dischi intercalari. Queste connessioni rendono possibile la
propagazione del segnale elettrico (depolarizzazione), attraverso tutte le cellule del tessuto muscolare cardiaco. Questa
connessione tra le fibre è fondamentale soprattutto durante la fase di contrazione, durante la quale si genera una
pressione così forte che determina la fase di eiezione (immissione di sangue nelle arterie).
Una caratteristica che differenzia il muscolo cardiaco dal muscolo scheletrico è che il meccanismo di
eccitazione-contrazione non è dovuta al SNC e quindi ai motoneuroni, perché il cuore ha la capacità di generare il segnale
elettrico, che provoca la contrazione del miocardio, in maniera autonoma. Questa è una proprietà particolare del cuore,
che oltre alla presenza di cellule muscolari cardiache, le quali inducono a generare attraverso la contrazione la forza per
far fluire il sangue nei vasi, presentano delle cellule “modificate” denominate cellule AUTORITMICHE o pacemaker, le quali
hanno la capacità di generare il potenziale d’azione, controllando quindi la contrazione del muscolo. Sebbene il SNC non
abbia una funzione nell’attivare la contrazione, regola le attività cardiache attraverso il SN autonomo. Vediamo in
particolare come si genera questo segnale elettrico. Il segnale elettrico che viene originato dalle cellule pacemaker non è
altro che il battito cardiaco. Queste cellule sono localizzate nel nodo senoatriale, che si trova nella regione dell’atrio di
destra in prossimità dello sbocco delle vene cave, e nel
nodo atrio-ventricolare localizzato nella regione di connessione tra gli atri e i ventricoli. Essenzialmente queste cellule
sono responsabili dell’auto ritmicità e quindi della capacità di generare il potenziale d’azione in modo autonomo e non
sotto il controllo del SN. Queste cellule sono elettricamente connesse con le cellule del muscolo cardiaco, per cui il
potenziale d’azione che si genera nelle cellule pacemaker del nodo senoatriale, non è altro che il battito cardiaco, che ha
una frequenza di 70 battiti al minuto. Questo potenziale è trasmesso alle cellule del muscolo cardiaco, in particolare
avverrà prima la contrazione degli atri.
Come mai queste cellule hanno la capacità di generare questo potenziale d’azione?
Questo è possibile poiché queste cellule, a differenza delle cellule nervose, hanno un potenziale di membrana non stabile.
Mentre nei neuroni il potenziale di membrana a riposo è -70mmV, le cellule pacemaker hanno un potenziale di membrana
che a -60mmV si depolarizza fino a raggiungere un potenziale definito “potenziale pacemaker” o “potenziale a rampa” che
raggiunge il valore soglia, e innescare il potenziale d’azione che provoca la contrazione. C’è quindi questa
depolarizzazione rapida a cui segue una ripolarizzazione, e il potenziale torna al valore “di riposo”, cioè -60mmV, ma non si
stabilizza e riparte con la depolarizzazione. L’origine del battito cardiaco è da ricercare in uno specifico canale denominato
“canale funny”, cioè canali bizzarri; questi canali si aprono quando i valori dei potenziali sono negativi, e si chiudono
durante la depolarizzazione, a differenza dei canali del sodio o del potassio che abbiamo studiato nel processo di
trasmissione dell’informazione nervosa. Questi canali quindi al valore di -60mmV si aprono e si lasciano attraversare dal
Na+, che entra nella membrana depolarizzandola. Man mano che il potenziale aumenta, i canali si chiudono, per cui il
valore soglia è dovuto alla presenza di canali voltaggio-dipendenti del Ca2+, questi canali si aprono. I canali del calcio si
dividono in: canali T (o transient) che si aprono con valori di potenziali molto bassi ma si chiudono velocemente, o canali L
(o long) che si aprono più lentamente ma restano aperti per un tempo più lungo. Quindi prima si aprono i canali T, che
rendono possibile l’entrata di calcio nella membrana (in quanto il Ca2+ è più concentrato esternamente), che depolarizzerà
maggiormente la membrana innescando il valore soglia, il quale è dovuto non all’apertura dei canali del sodio, ma ai canali
del calcio di tipo L, che si aprono a valori più alti. La depolarizzazione rapida quindi dipende dal calcio, e proprio per questo
il potenziale viene definito “potenziale a calcio”.

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Questi canali si richiudono man mano che il valore di potenziale sale, e contemporaneamente si aprono i canali del K+ che
fuoriesce dalla cellula e il potenziale ritorna al valore di -60mmV. Al valore di -60mmV si riaprono i canali funny e quindi si
rigenera nuovamente il potenziale d’azione.

Abbiamo quindi detto che il potenziale d’azione, utile per la contrazione del miocardio, non è generato dal SN.
Il SN autonomo può però regolare l’attività cardiaca, cioè la frequenza con la quale si genera il potenziale e quindi regolare
la frequenza cardiaca. Il SNA presenta come sappiamo due branche: il SN parasimpatico e SN simpatico. Entrambe le due
branche del SNA vanno ad innervare tutti gli organi, e hanno effetti opposti. Poiché entrambe le branche innervano il nodo
senoatriale avremo che se predomina l’attività del SN simpatico, attraverso specifici neurotrasmettitori, allora la
frequenza cardiaca tenderà ad aumentare; se predomina l’azione del SN parasimpatico invece la frequenza cardiaca sarà
più lenta. L’aumento o la diminuzione della frequenza cardiaca corrisponde anche all’aumento o diminuzione della gittata
cardiaca (o sistolica) cioè la quantità di sangue che viene immessa nei vasi. Una volta che il potenziale d’azione si è
innescato nel nodo senoatriale, quest’onda di depolarizzazione giunge a tutte le cellule muscolari cardiache, inducendo la
contrazione.
Questa contrazione è però differente dalla contrazione del muscolo scheletrico, la quale dipende dal rilascio di calcio che
fuoriesce dal reticolo sarcoplasmatico. Le cellule muscolari cardiache presentano anche loro il reticolo sarcoplasmatico,
che risulta essere meno sviluppato per cui il calcio utile alla contrazione proviene anche dalle zone extracellulari, entrando
nella cellula attraverso i canali L.
Quindi cosa succede? A seguito dell’attivazione del potenziale d’azione nel nodo senoatriale, quest’ultimo si propaga
anche nelle cellule cardiache, e induce all’apertura dei canali del calcio, grazie ai quali quest’ultimo entra nella cellula e
induce il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Quindi si ha un rilascio di Ca2+ indotto dal Ca2+. Il calcio che entra
nella cellula si lega alla troponina causando quindi la contrazione. La fase di rilassamento avviene invece con la riduzione
della concentrazione di calcio, che si stacca dalla troponina e viene pompato nel reticolo sarcoplasmatico.
La riduzione della concentrazione di calcio nel muscolo cardiaco avviene anche perché il calcio viene allontanato
attraverso il trasporto attivo secondario, cioè l’entrata di sodio che induce il calcio ad uscire dalla cellula. Ciò significa che
per aumentare la forza di contrazione del muscolo ci deve essere una grande concentrazione di calcio, per cui più calcio
entra dall’ambiente extracellulare più calcio viene rilasciato dal reticolo. Abbiamo quindi visto che questo segnale elettrico
che parte dal nodo senoatriale, si propaga alle altre cellule.

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Come si propaga questo segnale?


Ciò è possibile perché esiste un sistema di
conduzione del cuore. Abbiamo visto che il cuore
presenta due nodi, il nodo senoatriale e
atrioventricolare che sono collegati tra loro
tramite una via “internodale”, per cui il segnale
elettrico parte dal nodo senoatriale (frequenza di
70-80 battiti al minuto) e si propaga tramite
questa via e arriva al nodo atrioventricolare
(frequenza di 40-60 battiti al minuto).
Dal nodo atrioventricolare il segnale elettrico
deve raggiungere i ventricoli affinché si attivi il
processo di contrazione.

Come fa a propagarsi? Proprio tramite il sistema


di conduzione; il segnale elettrico prosegue
attraverso un condotto detto condotto di His
(frequenza 20-40 battiti al min), che si dirama
nella parte sinistra e destra del cuore.
Queste diramazioni sono dette fibre di Purkinje (frequenta 20-40 battiti al min), le quali circondano sulle le pareti del
muscolo cardiaco in modo tale che il potenziale d’azione attivi la contrazione nel ventricolo. I setti cartilaginei impediscono
tra arti e ventricoli impediscono il trasferimento diretto dell’impulso in modo tale che ci sia una precedenza di contrazione
negli atri e solo successivamente nei ventricoli oppure il sangue verrebbe spinto in basso e intrappolato nel fondo del
ventricolo.

Il sistema di conduzione del Cuore


Le cellule pacemaker sono concentrate nel nodo senoatriale, localizzato nella parte superiore dell’atrio destro in
prossimità dello sblocco della vena cava superiore, e nel nodo atrioventricolare, posto vicino alla valvola tricuspide in
prossimità del setto interatriale.
Le cellule del nodo senoatriale hanno una attività spontanea intrinseca più elevata di quelle del noto atrioventricolare e,
poiché i due nodi sono connessi da fibre di conduzione, è il nodo senoatriale ad attivare la scarica del nodo
atrioventricolare e quindi di tutto il cuore, stabilendone così il ritmo, cioè la frequenza a cui il cuore batte.
Un potenziale d’azione inizia nel nodo senoatriale. Da qui gli impulsi si dirigono al nodo atrioventricolare mediante le vie
internodali, che rappresentano il sistema di conduzione che si dirama attraverso gli atri.
L’impulso viene condotto alle cellule del nodo atrioventricolare che trasmettono i potenziali d’azione meno velocemente,
di conseguenza l’impulso viene momentaneamente rallentato (di circa 0.1 secondo). Ciò permette agli atri di completare
la loro contrazione prima che abbia inizio la contrazione ventricolare.
Dal nodo atrioventricolare l’impulso viene condotto al fascio atrioventricolare e da qui nelle due branche del fascio di
destra e di sinistra che conducono lo stimolo al ventricolo di destra e di sinistra.
Dalle due branche, gli impulsi viaggiano attraverso una estesa rete di ramificazioni dette fibre di Purkinje, che diffondono
attraverso il miocardio ventricolare.

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L’Elettrocardiogramma
L’ECG è la registrazione dell’attività elettrica del cuore, ed è visualizzabile attraverso delle onde.
È presente inizialmente un’onda P, a cui segue un intervallo, un complesso QRS, un intervallo e un’onda T.
In particolare: l’onda P corrisponde alla depolarizzazione degli atri; il complesso QRS, rappresenta la progressione
dell’onda di depolarizzazione nei ventricoli; l’onda T, rappresenta la ripolarizzazione dei ventricoli. La ripolarizzazione
atriale non è rappresentata da nessuna onda specifica ma è inclusa nel complesso QRS.

• Onda P: depolarizzazione atriale


• Intervallo PR: ritardo nel nodo
atrioventricolare
• Complesso QRS: depolarizzazione
ventricolare (gli atri si ripolarizzano
contemporaneamente)
• Intervallo TS: intervallo durante il
quale i ventricoli si contraggono e si
svuotano
• Onda T: ripolarizzazione ventricolare
• Intervallo TR: intervallo durante il
quale i ventricoli si rilassano e si
riempiono

Attraverso l’ECG è possibile diagnosticare anomalie delle frequenze cardiache, lesioni del muscolo o aritmie.
Ad esempio:
• La FC viene determinata dalla distanza tra due complessi QRS. Se superiore a 100 b/min si parla di tachicardia, se
inferiore a 60 b/min si parla di bradicardia.
• Il ritmo si riferisce alla regolarità o alla distanza tra le onde dell’ECG
• Le fibrillazioni insorgono quando il muscolo cardiaco non presenta più una depolarizzazione sincronizzata.
• Ischemia miocardica, apporto inadeguato di sangue al cuore per occlusione o rottura di un vaso, determina necrosi delle
cellule muscolari. Si osservano forme d’onda anormali nel complesso QRS
Gli eventi meccanici che costituiscono il ciclo cardiaco seguono gli eventi elettrici. Quindi abbiamo La contrazione atriale
inizia nell’ultima fase dell’onda P e continua durante il tratto PR. La contrazione ventricolare inizia subito dopo l’onda Q e
continua fino all’onda T.

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Ciclo cardiaco

Il ciclo cardiaco non è altro che l’alternanza tra sistole e diastole. Il ciclo cardiaco inizia durante la fase in cui sia atri sia
ventricoli sono rilassati, e quindi le valvole atrioventricolari sono aperte e le valvole semilunari sono chiuse.
Parte il segnale elettrico dal nodo seno atriale, e durante questa fase di diastole quindi il sangue passa in modo passivo
dagli atri ai ventricoli. Con l’impulso si ha la sistole atriale e quindi un’ulteriore spinta del sangue nei ventricoli.
Ormai riempiti, si genera la contrazione ventricolari; la pressione del sangue che ha ormai riempito i ventricoli, provoca la
chiusura delle valvole atrioventricolari, ma non è ancora sufficiente per l’apertura delle valvole semilunari.
La pressione affinché le valvole semilunari possano aprirsi deve quindi essere maggiore rispetto alla pressione che c’è
nell’aorta e nelle arterie polmonari. Si ha quindi una fase durante la quale i ventricoli e gli atri sono isolati, poiché le
valvole tricuspide e bicuspide sono chiuse.
Questa fase è detta CONTRAZIONE VENTRICOLARE ISOVOLUMICA, perché il volume di sangue presente nei ventricoli è
fisso dato che le valvole semilunari sono chiuse. Continua poi la sistole ventricolare, fino a che non viene generata una
pressione così alta che le valvole semilunari si aprono e il flusso sanguigno viene immesso nei vasi.
Abbassata la pressione, successivamente all’eiezione
del sangue, si ha la fase di diastole ventricolari, e
quindi il rilassamento del muscolo cardiaco che
comporta quindi la chiusura delle valvole semilunari.
La pressione però non risulta essere così bassa per
aprire le valvole atrioventricolari e quindi si ha la fase
di RILASSAMENTO VENTRICOLARE ISOVOLUMICO.
Appena la pressione diventa più bassa rispetto a
quella degli atri, si apriranno le due valvole
atrioventricolari e si avrà il riempimento dei
ventricoli (inizia un nuovo ciclo).
Quando il sangue fluisce tra le valvole, il flusso è
definito “flusso laminare” cioè è come se i singoli
strati di sangue fluissero parallelamente gli uni sugli
altri (questo flusso non genera alcun suono).

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Si possono però avere anche dei flussi “turbolenti” che presentano dei suoni, e attraverso questo flusso turbolento è
possibile evidenziare i SOFFI CARDIACI, cioè delle alterazioni della funzionalità delle valvole. La causa più frequente di
questo flusso turbolento è un mal funzionamento di una valvola: in genere una valvola stenotica (una valvola rigida e
stretta che non si apre completamente) genera un fischio; mentre una valvola insufficiente (una valvola che non è in grado
di chiudersi completamente) genera un fruscio. (vedere slide n42 per tabella)

- Un ciclo cardiaco comprende la fase di contrazione (sistole e di rilasciamento (diastole.


- La maggior parte del sangue entra nei ventricoli quando gli atri sono rilasciati. Solo il 20% del riempimento è
dovuto alla contrazione atriale.
- Le valvole AV impediscono il reflusso di sangue negli atri. Le vibrazioni nelle pareti dei ventricoli associate alla
chiusura delle valvole AV causano il primo tono cardiaco (grave, debole e relativamente lungo, percepito come un
suono lub) e segnano l’inizio della sistole ventricolare.
- Durante la contrazione ventricolare isovolumica, il volume di sangue nel ventricolo non cambia, ma la pressione
aumento. Quando la P nel ventricolo supera quella arteriosa, le valvole semilunari si aprono ed il sangue viene
spinto nelle arterie
- Quando i ventricoli si rilasciano, la P intra-ventricolare diminuisce e le valvole samilunari si chiudono, provocando
il secondo tono cardiaco (acuto e breve, percepito come un suono dumb)

Gittata sistolica: quantità di sangue pompata da un ventricolo durante una contrazione.


Gittata cardiaca: quantità di sangue pompata da un ventricolo nell’unità di tempo (volume di sangue pompato nell’unità
di tempo)
In particolare, possiamo definire la gittata sistolica come la differenza tra il volume di sangue presente nei ventricoli alla
fine della diastole (EDV=135mL) e il volume di sangue presente nei ventricoli alla fine della sistole (ESV=64mL).
Questo perché non tutto il sangue viene pompato nei vasi; quindi, esiste una riserva e il sangue viene pompato in base alle
necessità dell’organismo. → EDV-ESV→ 135mL-65mL= 70mL
La gittata cardiaca è uguale al prodotto tra la frequenza cardiaca in condizioni di riposo (70-80 batt/min) e la gittata
sistolica (70mmL ogni battito) → 72 batt/min X 70mL/batt= 5040mL/min (circa 5L)

Abbiamo visto che il cuore ha questa importante funzione di essere una pompa emodinamica, e quindi durante la fase di
sistole quando si raggiunge una determinata pressione c’è l’eiezione del sangue. Durante la fase di diastole invece il cuore
è rilassato e non sta pompando il sangue in modo attivo; quindi, potrebbe sorgere il dubbio “il flusso sanguigno è
intermittente?”, proprio perché durante la fase di diastole il sangue non viene pompato nei vasi, e quindi in un certo
senso si può pensare che il sangue dovrebbe fermarsi.
Com’è che invece il flusso è continuo e non intermittente? Questo è dovuto ad una proprietà delle grosse arterie (aorta e
arterie polmonari). Prendiamo sotto esempio il ventricolo sinistro: quando il ventricolo pompa il sangue nell’aorta, le quali
pareti contengono delle fibre elastiche per cui la pressione del sangue immesso nel vaso, provoca una distensione delle
pareti dell’aorta. Cosa succede poi durante la fase di diastole? Il ventricolo non sta pompando sangue nell’aorta, il ritorno
delle fibre elastiche che si erano distese, spinge il sangue in avanti determinando un flusso continuo; quindi, le arterie
fungono in un certo senso da serbatoio di pressione rendendo il flusso continuo anche durante la fase di diastole.
Il valore della pressione che dobbiamo considerare come parametro di regolazione cardiovascolare, è il valore della
pressione arteriosa media (PAM), che deve essere mantenuta nei suoi valori fisiologici in quanto deve garantire una forza
di propulsione di sangue nei tessuti affinché ci sia un giusto flusso di sostanze nutritive e ossigeno nei tessuti e negli
organi. Questa pressione è uguale alla somma tra la pressione diastolica e 1/3 della pressione differenziale (cioè la
differenza tra pressione sistolica e pressione diastolica). Quindi avremo, sostituendo i valori in condizione di riposo, che:
PAM= Pdiast+1/3(Psist-Pdiast) →80mmHg+1/3(120mmHg-80mmHg) = 80mmHg+13mmHg→ PAM=93mmHg
Il nostro organismo può aumentare o ridurre la gittata cardiaca, variando o il valore della frequenza cardiaca o il valore
della gittata sistolica. Ci sono dei controlli che modificano la gittata cardiaca: i controlli estrinseci, regolati dal SNA, o
controlli intrinsechi regolati da meccanismi di uno specifico tessuto. (slide n49 per schema sintetizzato).
La frequenza cardiaca è sotto il controllo del SN parasimpatico o simpatico. E cosa succede? Succede che il
neurotrasmettitore del SN simpatico (noradrenalina) si lega ai recettori β1-adrenergici delle cellule auto ritmiche,
inducendo ad una maggiore entrata di Na+ e Ca2+ nella cellula e quindi provocando un aumento della velocità di
depolarizzazione, che si riflette su un aumento della frequenza cardiaca.

Se invece agisce il neurotrasmettitore del SN parasimpatico (acetilcolina), si ha l’azione opposta; cioè il neurotrasmettitore
si lega ai recettori muscarinici delle cellule auto ritmiche, i quali inducono l’uscita di K+ e l’entrata di Ca2+ nella cellula,
iperpolarizzando la cellula e abbassando la velocità di depolarizzazione che provoca una diminuzione della frequenza
cardiaca. La gittata sistolica invece è dovuta alla forza di contrazione del miocardio, per cui più è elevata la forza di
contrazione più sarà elevata la gittata sistolica.

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Da cosa è regolata la forza di contrazione? È regolata da due parametri:


• Lunghezza della fibra muscolare all’inizio della contrazione (dipende dal volume telediastolico, cioè la quantità di
sangue presente nei ventricoli al termine della diastole, EDV). La lunghezza del sarcomero delle cellule muscolari
cardiache può influenzare la forza di contrazione.
• Contrattilità miocardica che dipende dalla quantità di Ca2+ presente nella cellula.
Analizziamo il primo parametro: la lunghezza del sarcomero prima della contrazione rappresenta il controllo intrinseco.
Questo meccanismo è detto “Legge di Starling”. Abbiamo visto che nella relazione lunghezza-tensione del muscolo
scheletrico, esiste una lunghezza ottimale del sarcomero grazie alla quale è possibile che si abbia la massima contrazione.
Questo vale anche per la cellula muscolare cardiaca, anch’essa organizzata in sarcomeri. La differenza sta nel fatto che il
sarcomero che costituisce le cellule muscolari cardiache, in condizione di riposo presentano una lunghezza che è molto più
bassa rispetto alla lunghezza ottimale. Ciò significa che se aumenta la lunghezza del sarcomero, il muscolo cardiaco può
generare una maggiore forza di contrazione. Se più sangue passa nei ventricoli (aumenta EDV), i sarcomeri si allungano e si
genera una maggiore forza che spinge fuori più sangue. Quindi l’EDV dipende dal ritorno venoso, influenzato a sua volta
dalla pompa muscolare, pompa respirazione e innervazione ortosimpatica delle vene. Quindi per aumentare la gittata
sistolica, basta aumentare il volume telediastolico. Analizziamo ora il secondo parametro: abbiamo visto che
nell’accoppiamento eccitazione-contrazione, la maggior parte del calcio proviene dall’ambiente extracellulare. Per cui se
più calcio entrerà nella cellula attraverso i canali L, più calcio verrà rilasciato dal reticolo sarcoplasmatico e quindi
maggiore sarà la possibilità di creare ponti trasversali per cui maggiore sarà la forza di contrazione. (vedere ultima slide
per schema sintetizzato).

APPARATO CARDIO-CIRCOLATORIO

L’apparato cardio circolatorio è un sistema costituito da tubi (vasi sanguigni), che risultano essere pieni di un liquido
(sangue) che scorre all’interno di questi ultimi, connessi ad una pompa (cuore). La funzione principale è di permettere il
rifornimento alle cellule e ai tessuti di sostanze come nutrienti, acqua e gas che entrano dall’ambiente esterno, oppure
permette il trasferimento di cataboliti che devono invece essere eliminati. Rappresenta anche il “veicolo” attraverso cui gli
ormoni vengono rilasciati nel sangue e portati agli organi per regolare le loro attività. Il trasporto nel sistema
cardiovascolare può essere dovuto sia a sostanze in ingresso, che dall’ambiente esterno entrano nell’organismo, come
l’ossigeno che entra tramite i polmoni o sostanze nutritive e acqua che entrano grazie all’apparato digerente e si dirigono
poi a tutte le cellule, oppure possiamo avere un trasporto che va da un distretto e l’altro, e quindi sostanze come prodotti
di scarto prodotti da alcune cellule e portati al fegato, anticorpi che passano dal circolo sanguigno ai distretti che ne hanno
bisogno, ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine e che vengono portati alle cellule bersaglio o nutrienti accumulati che
provengono dal fegato e adipe e sono trasportati a tutte le cellule. Oppure c’è il trasporto in uscita che trasportano ad
esempio i prodotti di scarto dalle cellule ai reni, calore dalle cellule alla cute o anidride carbonica dalle cellule ai polmoni.
Come abbiamo già detto precedentemente il circolo sanguigno è organizzato in parallelo cioè il sangue arriva a tutti gli
organi e apparati con la stessa quantità di sostanze nutritive e ossigeno.

L’unico sistema che è organizzato in serie è il circolo polmonare; questo perché il flusso sanguigno parte dalla parte destra
del cuore, si immette nell’arteria polmonare e arriva direttamente ai polmoni, dove avverrà lo scambio tra CO2 (contenuto
nel sangue) e O2 (che arriva ai polmoni grazie all’apparato respiratorio). Nella scorsa lezione abbiamo definito quella che è
la gittata cardiaca, ovvero la quantità (volume) di sangue che scorre nel nostro organismo (pari a 5L).

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Questo volume però non viene distribuito a tutti gli organi, apparati o tessuti in uguale percentuale; infatti, il 21% del
volume sanguigno va al sistema digerente, il 6% va al fegato, il 20% ai reni, il 9% alla pelle, il 13% all’encefalo, il 3% al
miocardio (muscolo cardiaco), il 15% al muscolo scheletrico, il 5% alle ossa e l’8% ad altri distretti.
È dunque osservabile che la maggiore quantità di volume sanguigno viene portata all’apparato digerente e dell’apparato
renale. Questa maggiore quantità non è dovuta alle esigenze metaboliche di questi tessuti ma alla loro funzione; infatti,
questi due apparati li possiamo considerare come apparati che “rigenerano” il sangue in quanto mantengono la giusta
quantità di nutrienti nel circolo sanguigno. Questi due apparati, dunque, mantengono stabile il livello dell’omeostasi
dell’organismo, così come fa anche l’apparato circolatorio perché determina il trasporto di ossigeno, anidride carboniche e
altre sostanze. Prima di analizzare tutti i distretti in cui è formato il sistema cardiocircolatorio, bisogna capire come il
sangue riesce a spostarsi all’interno di quest’ultimo.

Il flusso sanguigno è un flusso volumetrico, ed è guidato da una differenza di pressione (gradiente di pressione) dovuta alla
gittata sistolica, e quindi all’eiezione del sangue nell’aorta. Questa differenza di pressione si instaura man mano che il
sangue fluisce, soprattutto per la presenza di attrito. Abbiamo infatti detto precedentemente che la pressione arteriosa
media (PAM) a livello dell’aorta è di circa 90mmHg; man mano che il sangue fluisce questa pressione si abbassa e arriva a
livello delle vene cave ad essere circa 3-4mmHg, per cui vediamo che questa grande differenza di pressione rappresenta la
forza che mette in movimento il sangue all’interno dei vasi. In particolare, possiamo dire che la pressione nei grossi vasi
arteriosi non tende a cambiare di tanto il valore, ma il cambiamento di pressione si ha soprattutto a partire dalle arteriole
fino ad arrivare alle vene cave.

GRAFICO DELLA PAM


Possiamo definire il flusso di sangue attraverso le leggi fisiche che regolano i movimenti di un fluido.
Quindi definiamo il flusso del sangue (o portata) come il rapporto tra Volume di fluido e l’unità di tempo durante il quale il
volume fluisce, quindi Q= 𝑉𝑉𝑉𝑉/𝛥𝛥𝛥𝛥
Questo flusso abbiamo detto che fluisce grazie alla presenza di una differenza di pressione ΔP=P2-P1.
La legge che regola questo flusso sanguigno è detta Legge di Poiseuille, la quale dice che il flusso di sangue è 𝛥𝛥𝛥𝛥 uguale al
rapporto tra la differenza di pressione e la resistenza → Q= 𝑅𝑅
La resistenza dipende da alcuni fattori e la possiamo indicare come R=8ηL/πr4 dove: η (eta) rappresenta la viscosità,
L rappresenta la lunghezza del vaso mentre r rappresenta il raggio del vaso. È importante capire come questi fattori
influenzano il valore della resistenza. Facciamo un esempio: immaginiamo di dover bere un liquido attraverso la
cannuccia; per quanto riguarda la viscosità possiamo dire che è molto più semplice dover bere un liquido come la
coca-cola attraverso la cannuccia, anziché un frullato che ha una viscosità maggiore. Quindi possiamo affermare che
maggiore è la viscosità maggiore sarà la resistenza. Per quanto riguarda la lunghezza invece affermiamo che è molto più
semplice e veloce bere da una cannuccia più corta rispetto ad una più lunga, e lo stesso vale per il raggio, poiché risulta più
facile far passare il liquido attraverso una cannuccia larga rispetto ad una
stretta. Per cui possiamo affermare che maggiori sono la viscosità e la
lunghezza e maggiore sarà la resistenza, mentre maggiore sarà il raggio
minore sarà la resistenza (raggio e resistenza sono due grandezze
inversamente proporzionali).
Se vogliamo portare questa legge al circolo sanguigno possiamo dire che sia
la lunghezza (riportandola ad una questiona anatomia la lunghezza dei vasi
non cambia), sia la viscosità (che in condizioni fisiologiche non varia perché si
basa sul numero di eritrociti che si mantiene stabile) rimangono costanti. Il
fattore viscosità può aumentare in condizioni patologiche, e quindi far
aumentare la resistenza o viceversa.

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Quindi la viscosità varia al variare dell’ematocrito e diviene parametro da cui dipende la resistenza solo in condizioni
patologiche; vediamo un grafico che rappresenta la variazione:

Il raggio invece che è inversamente proporzionale alla resistenza è il fattore che entra in gioco come parametro che regola
la resistenza, e quindi il flusso in condizioni fisiologiche. Il raggio è essenzialmente il parametro più importante.
Vediamo quindi un esempio: immaginiamo un condotto che presenta due aperture laterali; in questo condotto passa un
liquido e i due condotti laterali hanno due raggi diversi. Il condotto A ha r=1 e il condotto B ha r=2.
Vediamo come nei due condotti A e B il volume di liquido varia in maniera inversamente proporzionale.
Infatti, se il raggio raddoppia, il volume aumenta di 16 volte. Vediamo meglio attraverso il disegno:

Vediamo come nel tubo A, la resistenza è uguale a 1/r4 dove r=1 e quindi R=1
Mentre nel tubo B, essendo r=2, la resistenza diviene R=1/24 e quindi R=1/16.
In ugual modo vediamo come il flusso=1/R nel tubo A rimane uguale a 1 e come invece nel tubo B aumenta di 16 volte
perché =1/ (1/16) quindi 1x16 e dunque uguale flusso= 16

Questa relazione che lega quindi il raggio al flusso (se il raggio raddoppia il flusso aumenta di 16) ci fa capire che bastano
piccole variazioni del raggio di un condotto per variare di molto il flusso di sangue in un distretto.
Questo concetto è riportabile quindi anche al nostro sistema circolatorio e possiamo affermare che una vasocostrizione
diminuirà il flusso sanguigno, viceversa una vasodilatazione lo aumenterà (sempre seguendo la relazione raggio-flusso).

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Come abbiamo detto precedentemente ciò che è importante nel movimento del flusso sanguigno è la differenza di
pressione, cioè la differenza tra le due pressioni assolute che si trovano alle estremità del vaso, per cui in base alla
differenza di pressione (che può variare) avremo una diversa portata Q. Possiamo riassumere la legge di Poiseuille in
quest’immagine:

Riportando il tutto al nostro sistema cardiocircolatorio possiamo affermare che il gradiente di pressione che genera il
flusso, non è altro che la PAM (pressione arteriosa media) il cui valore è 90mmHg. Questo perché la differenza di pressione
sarebbe la differenza tra la PAM e la pressione che troviamo a livello delle vene cave, che è prossima a 0 (circa 3-4mmHg).
Vediamo ora la resistenza nel sistema circolatorio, che appunto è variabile. Ciascuna rete vascolare (circolo sistemico o
polmonare, vascolarizzazione di un organo) offre una propria resistenza. La resistenza che deriva dalla combinazione di
tutte le resistenze prende il nome di RESISTENZA PERIFERICA TOTALE (TPR) o RESISTENZA VASCOLARE PERIFERICA (RVP)
che è un parametro importante per la fisiologia vascolare.

Partendo dalla legge di Poiseuille abbiamo detto che la portata è uguale a Q= ΔP/R, e quindi possiamo definire es
senzialmente la portata Q come la rappresentazione della gittata cardiaca GC, ΔP come la PAM e la resistenza R come la
RVP. Ci siamo quindi spostati da una legge fisica ad una relazione tra parametri fisiologici:
Q= ∆P/R → 𝐺𝐺𝐺𝐺 = PAM/RVP → PAM = GC𝑥𝑥RVP cioè PAM= (GS𝑥𝑥F) 𝑥𝑥RVP
Dove GSxF sta per il prodotto tra gittata sistolica e frequenza cardiaca (il cui risultato è la gittata cardiaca).
Altro concetto fisico che può essere ricondotto al nostro sistema cardiocircolatorio è l’equazione di continuità.
Quest’equazione ci dice che la velocità v, è uguale al rapporto tra la portata Q e l’aria di superficie S.
La portata in questo caso risulta essere COSTANTE.
Il liquido che percorre il condotto e quindi la superficie S, percorre un certo tratto Δx con velocità costante.
Possiamo dire dunque che 𝑣𝑣 = 𝛥𝛥𝑥𝑥/𝛥𝛥𝛥𝛥 da qui ricaviamo che Δx=v∙Δt. Ovviamente per il condotto passa un determinato
volume di liquido, che verrà calcolato come il prodotto tra la superficie e il tratto percorso dal liquido.
Dunque: 𝑉𝑉 = 𝑆𝑆 ∙ 𝛥𝛥𝑥𝑥 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝛥𝛥𝑠𝑠𝛥𝛥𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑙𝑙𝑠𝑠 𝑉𝑉𝑠𝑠𝑓𝑓𝑠𝑠𝑠𝑠𝑙𝑙𝑠𝑠 𝑑𝑑𝑠𝑠 𝛥𝛥𝑥𝑥 𝑒𝑒 𝑠𝑠𝑣𝑣𝑓𝑓𝑒𝑒𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑐𝑐ℎ𝑒𝑒 𝑉𝑉 = 𝑆𝑆 ∙ (𝑣𝑣 ∙ 𝛥𝛥𝛥𝛥)
Abbiamo detto precedentemente che la Q è uguale al rapporto tra volume del fluido e intervallo di tempo sostituiamo il
valore del volume nella portata e avremo che: 𝑄𝑄 = 𝑆𝑆∙(𝑣𝑣𝛥𝛥𝛥𝛥)/𝛥𝛥𝛥𝛥
L’intervallo di tempo può essere semplificato poiché risulta essere sempre lo stesso; quindi, avremo che 𝑄𝑄 = 𝑆𝑆 ∙ 𝑣𝑣.
Secondo la legge della continuità, in un sistema di tubi a sezione diversa, il flusso del liquido deve essere costante in
qualsiasi sezione totale, a prescindere della sezione di ogni singolo tubo. Questo comporta però un aumento della velocità
in funzione della sezione, cioè più grande sarà la sezione maggiore sarà la velocità e più piccola sarà la sezione, minore
risulterà la velocità.

Nell’organismo questa legge è applicabile perché il sistema circolatorio è diviso in più condotti (arterie, arteriole, capillari,
venule, vene) quindi possiamo affermare che la differenza tra i vasi che costituiscono il sistema circolatorio, sta proprio nel
fatto che mentre nei grandi vasi la velocità del sangue risulta essere maggiore perché direttamente proporzionale alla
sezione del vaso. Per cui nei capillari, che risultano essere i vasi di sezione più inferiore del sistema circolatorio, la velocità
con cui il sangue scorre sarà più bassa. Passiamo quindi iniziare ad analizzare le funzioni dei vari vasi che costituiscono il
sistema circolatorio.

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L’aorta e le grosse arterie vengono definiti vasi di pressione, perché come abbiamo visto la scorsa volta l’aorta funge da
serbatoio di pressione, e grazie al ritorno delle fibre elastiche riesce a far fluire il sangue anche durante la fase di diastole.
Ci sono poi le arteriole definite vasi di resistenza, perché il loro raggio può essere “regolato” e quindi di conseguenza
regolano la resistenza. I capillari hanno invece la funzione di essere la sede di scambio tra il sistema cardiocircolatorio e i
tessuti, apparati o organi. Le vene sono considerate vasi di capacità, perché agiscono come una riserva di volume
sanguigno in modo tale che in base alle necessità un maggiore volume di sangue ritorna al cuore, inducendo l’aumento
della pressione sanguigna.
Le pareti di tutti i vasi sanguigni sono costituite da tre parti: la parte più interna è l’endotelio, la parte intermedia è
formata da muscolatura liscia e la parte più esterna è formata da tessuto connettivo. Ovviamente per ogni tipologia di
vaso ci sarà nelle pareti più presenza di una delle tre costituenti. Le arterie sono i vasi con diametro maggiore per cui
all’interno di queste ultime non si ha una diminuzione di pressione; il prete di questi vasi è molto spessa e presenta una
grande quantità di muscolatura liscia di tipo elastico. Le arteriole hanno diametro inferiore rispetto alle arterie, e le loro
pareti hanno una componente maggiore di muscolare che risulta essere ben innervata dal SN simpatico che modula la
contrattilità della muscolatura liscia, determinando vasocostrizione o vasodilatazione, e quindi variando il flusso di sangue
in un determinato ristretto o la resistenza periferica totale (e cioè la pressione arteriosa). Poi ci sono i capillari che
presentano solo endotelio, poiché sono sede di scambio di nutrienti, per cui la loro parete è molto sottile. Le venule che
hanno principalmente la parete sottile e con poca muscolatura liscia, ed infine ci sono le vene la cui parete è più sottile
rispetto a quella delle arterie, e principalmente costituita da una muscolatura estendibile.

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Iniziamo a descrivere singolarmente e in modo più vasto ogni singolo vaso:


1. Arterie: esse rappresentano i vasi che fungono da via di trasporto più veloce per le sostanze nutritive, che va dal cuore
agli organi. Come già detto precedentemente le arterie fungono da serbatoio di pressione, cioè durante la sistole si
aprono le valvole semilunari che rendo possibile l’eiezione di sangue nei vasi, e le arterie si espandono grazie alla
presenza nelle loro pareti di fibre elastiche. Questa espansione delle arterie fa sì che durante la diastole, e quindi la
chiusura delle valvole semilunari, il flusso sanguigno non si blocchi, ma continui allo stesso modo proprio perché le fibre
ritornano alla loro forma originale e tutta la pressione immagazzinata spinge il sangue nel nostro circolo sanguigno.
Poiché le arterie hanno diametro molto grande, l’attrito è quasi trascurabile e per questo si ha un calo di PAM del tutto
trascurabile.
 A volte può capitare che con le dita “sentiamo” il polso, cioè percepiamo come l’arteria si dilata quando la pressione si
alza a seguito della gittata sistolica. La pulsazione che
percepiamo non è altro che la differenza tra la pressione
sistolica e diastolica che vige nell’arteria; questa pressione
differenziale è detta POLSO PRESSORIO. Poiché questo polso
provvisorio può essere ascoltato ogni volta che il cuore pompa il
sangue nel circolo, per cui la frequenza del polso corrisponde
alla frequenza cardiaca.
 In termini clinici la pressione sanguigna è misurata grazie allo
sfigmomanometro, uno strumento composto da un bracciale,
un manometro e un fonendoscopio. Quando va misurata la
pressione, viene inserito il bracciale attorno al braccio del
paziente, e lo si inizia a gonfiare per aumentare la pressione del
bracciale secondo un valore che superi la pressione sistolica
(quindi >120mmHg). Questo perché avendo una pressione
maggiore del bracciale, si ostruisce la pressione dell’arteria
brachiale, e quindi il sangue non può fluire.
Sgonfiando il bracciale, inizia a fluire un po’ di sangue, ma
questo flusso non è laminare, ma turbolento ed è quindi udibile.
Si inizia infatti a sentire un primo suono, e il valore che
corrisponde al primo suono sarà il valore della pressione
sistolica, che in condizioni normali è di 120mmHg); man mano
riduciamo la pressione del bracciale fino a che il flusso
sanguigno non diventi di nuovo laminare, e quindi non udibile.
Quando non viene più udito alcun suono si avrà il valore della
pressione minima, ovvero il valore della pressione diastolica che
in condizioni normali equivale a 80mmHg.
Quindi in generale il valore della pressione sanguigna è uguale al
rapporto tra pressione sistolica e diastolica, per cui in condizioni
normali è uguale a 120/80mmHg.
2. Arteriole: abbiamo detto sono ramificazioni delle arterie, e sono vasi di resistenza.
Nelle arteriole c’è il calo di pressione che non abbiamo notata invece nelle arterie; il calo di pressione varia dagli
80mmHg (entrata nelle arteriole) ai 40mmHg (quando il sangue esce dalle arteriole e si immette nei capillari).
Questo calo di pressione è dovuto proprio alla resistenza dei vasi, che aumenta in quando il raggio dei vasi diminuisce
(come detto precedentemente r e R sono inversamente proporzionali). A livello delle arteriole, la parete muscolare è
ben innervata per cui è possibile regolare lo stato di contrazione della muscolatura.
Da questa regolazione, viene successivamente la regolazione del diametro dei vasi; grazi alla regolazione del diametro di
questi vasi, il nostro organismo può regolare la gittata cardiaca che giunge in un distretto in base alle necessità, o anche
regolare la pressione arteriosa media (quindi la PAM).
A livello arteriolare si ha quindi una pressione uguale al prodotto tra portata e resistenza: 𝛥𝛥𝛥𝛥 = 𝑄𝑄 ∙ 𝑅𝑅 𝑒𝑒 𝛥𝛥𝛥𝛥 = 𝛥𝛥𝑃𝑃𝑃𝑃.
Com’è possibile regolare il raggio, e di conseguenza la resistenza e il flusso di sangue nelle diverse arteriole?
Ovviamente ritorna tutto all’organizzazione dei vasi, e quindi alla loro muscolatura. È importante dire che la muscolatura
arteriolare è innervata, per questo presenta un certo stato di contrazione determinando di conseguenza un certo tono
arteriolare. Questo ovviamente dipende da alcuni meccanismi:
 La muscolatura delle arteriole è miogena, dunque il suo potenziale d’azione fluttua indipendentemente da influenze
nervose o ormonali determinando quindi un’attività contrattile autoindotta.
 Le fibre simpatiche che innervano le arteriole, rilasciano una certa quantità di noradrenalina, e in base alla quantità
di noradrenalina rilasciata si avrà un certo stato di contrazione, e quindi un certo tono arteriolare.

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Regolando quindi lo stato di contrazione della muscolatura liscia, si può avere una vasocostrizione (aumenta la resistenza
e diminuisce il flusso) o una vaso dilatazione (diminuisce la resistenza e aumenta il flusso).
Affinché avvenga la contrazione del muscolo liscio, è importante il Ca2+; il muscolo liscio presenta una serie di canali
voltaggio-dipendenti che inducono l’entrata di calcio nella cellula e il rilascio dello stesso dal reticolo sarcoplasmatico;
il calcio è importante perché attiva il processo di contrazione. A livello del muscolo liscio esistono vari meccanismi cha
attivano l’entrata di calcio nella cellula: attraverso i canali voltaggio-dipendenti la quale apertura è regolata dal SN
simpatico, o da canali stimolati dallo stiramento, o da canali stimolati dal legame di una sostanza.
Quindi in base a diversi meccanismi, il muscolo liscio ha una grande capacità di generare stimoli differenti, i quali possono
indurre una maggiore entrata di calcio, e quindi un maggiore stato di contrazione che provoca vasocostrizione.

Perché è importante regolare il raggio delle arteriole, affinché sia possibile regolare il flusso all’interno di ogni distretto?
La risposta è semplice, perché il flusso deve essere regolato in modo da garantire una maggiore irrorazione agli organi che
in un determinato intervallo di tempo sono più attivi. Quando aumenta ad esempio l’attività fisica moderata, abbiamo di
conseguenza l’aumento della necessità di sangue da parte del muscolo scheletrico e del cuore, per cui va ad aumentare la
gittata cardiaca. Questo maggiore volume di sangue che viene rilasciato, non viene distribuito in maniera uguale in tutti i
distretti, come si può immaginare in condizioni di riposo, ma si avrà una maggiore distribuzione nei distretti che lo
necessitano; ad esempio, aumenterà il flusso sanguigno a livello del cuore, del muscolo scheletrico, della cute proprio
perché questi distretti hanno bisogno di maggiore apporto sanguigno.

Dov’è che si riduce? Nell’apparato digerente e a livello dei reni, perché l’aumento del flusso sanguigno in determinati
organi è legato all’attività omeostatica di questi due apparati, per cui se si ha maggiore necessità di sangue a livello del
muscolo scheletrico, il sangue verrà apportato in maggiori quantità a discapito di questi due apparati che in condizioni
normali presentano comunque un apporto di sangue maggiore rispetto alle necessità metaboliche dei singoli organi degli
apparati stessi.

È possibile vedere ciò che è stato spiegato precedentemente attraverso questo schema.
Possiamo quindi dire che questo maggiore apporto di sangue è utile per sostenere quella che è la velocità di consumo di
ATP. Ciò che non va a cambiare è il flusso sanguigno che arriva all’encefalo, NON DEVE quindi subire variazioni.
Questa diversa regolazione del sangue avviene per la regolazione del raggio delle arteriole.
La regolazione avviene attraverso meccanismi intrinseci ed estrinseci, cioè regolati dal SNA. I meccanismi estrinseci
entrano in gioco per variare la resistenza delle arteriole, e quindi regolare la giusta pressione arteriosa.

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Il controllo estrinseco è regolato dalla noradrenalina e/o adrenalina ed è guidato dall’azione del SN simpatico
(che induce alla vasocostrizione). Il controllo intrinseco entra invece in gioco per regolare la distribuzione della gittata
cardiaca, soprattutto in condizioni di necessità. Questo tipo di controllo è regolato dall’acetilcolina, e guidato dal SN
parasimpatico (che induce alla vasodilatazione). Sia la vasocostrizione sia la vasodilatazione sono eventi che accadono
grazie all’esistenza del tono arteriolare, questo perché se non ci fosse il tono la vasocostrizione potrebbe ugualmente
avvenire grazie ad una maggiore contrattilità del vaso, ma la vaso costrizione al contrario non sarebbe possibile.

Vediamo in particolare questi due meccanismi di controllo:


 Meccanismi intrinsechi: Variazione dell’attività metabolica (se abbiamo un distretto che aumenta la sua attività,
aumenta anche l’apporto di sangue); Variazioni del flusso ematico; Risposta miogena allo stiramento; Secrezione
paracrina
 Meccanismi estrinsechi: controllo da parte del SN autonomo (SNA); rilascio di ormoni (Vasopressina, angiotensina II)

Consideriamo ad esempio la variazione dell’attività metabolica: se in un determinato distretto aumenta l’attività


metabolica significa che quel distretto consuma di O2 e ha maggiore bisogno di eliminare CO2. C’è quindi una diminuzione
di concentrazione di ossigeno e un aumento di concentrazione di anidride carbonica, e questo provoca vasodilatazione;
la vasodilatazione a sua volta provoca la diminuzione di resistenza e quindi maggiore flusso di sangue. Con il maggiore
flusso di sangue si aumenta la concentrazione di ossigeno e si abbassa la concentrazione di anidride carbonica, fino a che
le concentrazioni ritornano ai valori fisiologici.
Questo primo meccanismo è definito IPEREMIA ATTIVA.
Secondo meccanismo intrinseco è la variazione del flusso ematico, e parliamo di IPEREMIA REATTIVA.
Questo meccanismo è sempre una variazione delle due concentrazioni di O2 e CO2 dovute però a motivi diversi rispetto al
primo meccanismo.

Se nell’iperemia attiva la variazione di concentrazione era dovuta alla necessità di un maggior apporto di flusso sanguigno,
nell’iperemia reattiva questa variazione è dovuta alla riduzione del flusso sanguigno che causa però lo stesso effetto:
si ha una diminuzione della concentrazione di ossigeno e un aumento della concentrazione di anidride carbonica.
Si ha dunque una vasodilatazione, con le stesse conseguenze che si hanno nell’iperemia attiva.
- Terzo meccanismo intrinseco è la risposta miogena allo stiramento dovuta al fatto che in alcuni tessuti, la muscolatura
liscia nelle arteriole è sensibile allo stiramento e risponde alla variazione di pressione. Per cui se aumenta la pressione, e di
conseguenza il flusso sanguigno, la muscolatura risponde con uno stiramento per cui attraverso i canali sensibili allo
stiramento, entrerà calcio e si avrà una vasocostrizione, che porterà ad un aumento della resistenza e alla diminuzione di
flusso.

- Quarto meccanismo è il rilascio di sostanze paracrine che possono determinare sia vasodilatazione sia vasocostrizione, e
parliamo quindi di VASOATTIVI LOCALI. Esempio di sostante paracrine sono: monossido di azoto (NO) che viene rilasciato
dall’endotelio e induce alla vasodilatazione; l’endotelina (ET) anch’esso rilasciato dall’endotelio ma induce
vasocostrizione; l’istamina che non si origina dall’endotelio, ma da cellule danneggiate o durante le reazioni allergiche, ed
induce vasodilatazione. Ovviamente ci sono altre sostanze che agiscono in questo modo, provocando quindi
vasocostrizione o vasodilatazione. Per quanto riguarda il meccanismo estrinseco dobbiamo dire che quest’ultimo risulta
essere importante, perché rende possibile modificare la resistenza di un vaso e di conseguenza regolare la pressione
arteriosa media. Abbiamo appunto diviso i meccanismi estrinseci in:

 Controllo ed effetto del SNA, poiché abbiamo detto che la muscolatura liscia delle arteriole è ben innervata dal SN
simpatico, e quindi l’azione simpatica del SN sulla resistenza induce al giusto mantenimento della pressione arteriosa.
 Ciò è importante perché se il valore della pressione scende, la forza (differenza di pressione) non è tale da garantire
una determinata velocità di flusso al sangue in determinati tessuti. In particolare, l’azione del SNA simpatico ha due
specifici recettori: noradrenalina e adrenalina. Questi ntr hanno dei recettori adrenergici (α e β). La risposta del SN
dipende sia dal neurotrasmettitore sia dal recettore con cui esso lega. In particolare, in tutto muscolo liscio delle
arteriole (ad eccezione dell’encefalo) sono presenti i recettori α1-adrenercigi a cui si lega principalmente la
noradrenalina (e in minor quantità l’adrenalina). Questi legami che si creano tra il recettore e il ntr inducono alla
vasocostrizione. Quindi il rilascio di noradrenalina e adrenalina, presenti nel muscolo liscio delle arteriole, che si
legano ai recettori α1-adrenercigi provoca la vasocostrizione, cioè aumento di resistenza e quindi regolazione della
pressione.
La vasodilatazione invece come avviene, se il SNA parasimpatico non innerva?
Essenzialmente avviene riducendo l’attività del SNA simpatico, oppure attraverso i recettori β2-adrenercigi che si
legano principalmente all’adrenalina, e sono espressi nel muscolo liscio arteriolare, nel cuore e nei muscoli scheletrici.

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Quindi dal legame tra il recettore e il ntr si ha vasodilatazione, cioè diminuzione della resistenza e che ha il compito di
rinforzare i meccanismi locali, cioè il maggiore apporto di sangue a livello dei muscoli in attività. Questo meccanismo
di rilascio di noradrenalina e/o adrenalina, e che quindi prepara i muscoli ad un impegno fisico è detto “lotta e fuggi”.
 Il secondo meccanismo estrinseco è invece il controllo ormonale della resistenza arteriolare.
Cioè esistono alcuni ormoni come Angiotensina II, Noradrenalina e Vasopressina II, che hanno funzione vaso
costrittiva e altri ormoni quali Adrenomedullina, Chinine (bradichinina e callidina) e Adrenalina che hanno funzione
vasodilatatrice. L’angiotensina II è un potente vasocostrittore, che aumenta la pressione arteriosa media.

La regolazione della PAM può avvenire però anche aumentando il volume plasmatico; infatti, più è grande la quantità
volumetrica di sangue più sarà maggiore la pressione arteriosa. Questo aumento di volume plasmatico avviene
nell’apparato renale, che regola il rilascio di una maggiore o minore quantità di urina, e quindi un rilascio maggiore o
minore di acqua, in base ad un aumento o diminuzione del volume plasmatico. In poche parole, anche questo meccanismo
vedremo essere regolato dall’ormone angiotensina II. L’angiotensina II viene prodotta a partire dall’angiotensinogeno
(proteina plasmatica prodotta dal fegato), che viene convertita in angiotensina I, ad opera della renina (enzima prodotto
dai remi). A sua volta l’angiotensina I, viene convertita ad opera dell’ACE (un altro enzima presente a livello dell’endotelio
dei capillari), in angiotensina II.

Sommariamente per regolare la pressione


arteriosa media, bisogna far entrare in
gioco tutti i meccanismi che regolano sia la
gittata cardiaca (quantità di sangue che
entra nelle arterie), sia i meccanismi che
regolano la resistenza periferica;
e abbiamo anche detto che un altro
meccanismo che regola la PAM è la
VOLEMIA, quindi la quantità (volume) di
sangue che entra nelle arterie.
Se la volemia si abbassa, il nostro
organismo attiva il RIFLESSO
BAROCETTIVO; il nostro organismo
presenta questi barocettori, cioè dei
recettori che sono sensibili alle variazioni
di pressione, e che sono localizzati in punti
strategici (a livello delle carotidi e del seno
aortico).
Questi barocettori, che risentono i cali di pressione, mandano input al centro regolatore di pressione, che attraverso i
meccanismi visti precedentemente, regolano e riportano i valori della pressione a valori fisiologici (valori normali).
Possiamo quindi schematizzare in questo modo sia il processo di aumento della pressione, sia il processo inverso:

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Prima di parlar dei capillari, bisogna riprendere il concetto di osmosi per capire il modo in cui le sostante passano da questi
vasi alle cellule. Sappiamo che se esiste un gradiente di concentrazione tra l’ambiente intracellulare ed extracellulare, ad
esempio se una sostanza è maggiormente concentrata all’esterno della membrana, quest’ultima viene spinta dal suo
stesso gradiente di concentrazione verso la membrana, stabilendo quindi un equilibrio. Ovviamente esistono diversi tipi di
diffusione in base anche alla sostanza che deve oltrepassare la membrana, fatto sta che la forza che spinge le sostanze è
unica ed è il gradiente di concentrazione. Il nostro organismo è però in una situazione di disequilibrio chimico, poiché la
membrana plasmatica e l’endotelio dei capillari fungono come una sorta di barriera che impedisce a molte sostanze di
diffondersi da un compartimento all’altro. L’unica molecola che è libera di muoversi tra i compartimenti è l’acqua, grazie
alla quale si mantiene un equilibrio definito “equilibrio osmotico”. Consideriamo un recipiente diviso in due
compartimenti separati da un filtro e contenente H2O e una sostanza.
Nel compartimento di sinistra c’è un’alta concentrazione di una sostanza, rispetto al compartimento destro.
Questa sostanza si muove attraverso il filtro, da sinistra verso destra (secondo gradiente di concentrazione) ristabilendo
l’equilibrio. Questo meccanismo è detto diffusione semplice. Prendiamo in considerazione sempre lo stesso recipiente, ma
immaginiamo che il filtro che divide i due compartimenti non consente il passaggio della sostanza da sinistra verso destra.
Cosa succede? Poiché la sostanza non può attraversare la membrana, ciò che ristabilisce l’equilibrio è il movimento
dell’acqua, che si sposta dalla zona in cui è maggiormente concentrata a quelle in cui c’è minore concentrazione.
Questo movimento dell’H2O è detto osmosi. Quest’equilibrio che si viene a creare con il movimento del solvente
(solitamente acqua) rende nell’organismo, l’osmolarità intracellulare uguale all’osmolarità extracellulare, ed anche se i
due ambienti presentano quantità di sostanze diverse, nel complesso hanno stessa concentrazione di soluti.
Perché alcune sostanze non possono attraversare la membrana?
Ciò succede perché le membrane sono “selettivamente permeabili”, cioè selezionano quali sono le particelle che possono
entrare o uscire dalla cellula variando la loro stessa composizione lipidica e le proteine di trasporto.
Infatti, se il filtro (membrana) che divide i due compartimenti del recipiente è permeabile sia al solvente (cioè l’acqua) sia
al soluto, allora ci sarà uno spostamento di entrambe le sostanze. Per cui se il compartimento di sinistra ha maggiore
concentrazione di soluto, questo si sposterà verso destra per ristabilire un equilibrio, stessa cosa accade con il solvente
che essendo maggiormente concentrato nel compartimento destro si sposta verso sinistra.
Se invece la membrana è permeabile solo al solvente, allora non ci sarà spostamento del soluto da sinistra a destra, ma
solo uno spostamento di solvente (acqua), che si muove secondo gradiente da destra verso sinistra.
Questi movimenti guidati dal gradiente di concentrazione seguono la legge di Fick. Se poniamo un pistone sul
compartimento di sinistra (in cui il gradiente di concentrazione di soluto), affinché si eviti il movimento dell’acqua, la
pressione che viene generata è detta pressione osmotica. Assieme al concetto di osmosi, introduciamo anche il concetto
di osmolarità, cioè il prodotto tra la molarità e il numero di particelle (OSMOLARITÀ= MOLARITÀ per N. PARTICELLE).
Quindi i fattori importanti non è il tipo di soluto presente (sodio, cloro ecc.) ma la molarità e il numero di particelle, e
quindi bisogna capire se le particelle si dissociano nel solvente.
Esempio: una soluzione che comprende 1M (1 molare) di glucosio sarà uguale a 1OSM (1 osmolare) di glucosio.
Invece una soluzione di 1M di NaCl non sarà come nel caso del glucosio perché il cloruro di sodio si discioglie in acqua;
quindi, l’osmolarità viene calcolata moltiplicando la molarità (1) per 2 (numero di particelle), quindi l’OSM dell’NaCl è
uguale a 2. L’osmolarità di una soluzione, la possiamo quindi definire come la concentrazione di particelle osmoticamente
attive, e per calcolarla dobbiamo conoscere la concentrazione del soluto e se quest’ultimo si dissocia. Se due soluzioni
hanno la stessa osmolarità cioè hanno lo stesso numero di particelle di soluto per unità di volume, e sono dette
ISO-OSMOTICHE.

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Se invece due soluzioni presentano concentrazione diversa, la soluzione che è maggiormente concentrata è detta
IPER-OSMOTICA, mentre quella meno concentrata è detta IPO-OSMOTICA. Dobbiamo però capire quand’è che si ha
equilibrio osmotico. Quando parliamo di equilibrio osmotico intendiamo dire che non si osserva flusso di acqua e quindi le
concentrazioni tra i due compartimenti sono uguali, e quindi in un organismo si ha stessa concentrazione tra il LIC e il LEC.
Cerchiamo però di capire se questa uguaglianza di concentrazione è l’unica condizione per avere equilibrio osmotico.
Consideriamo una cellula all’interno della quale è presente una concentrazione di sostanze non diffusibili (ND) di
300mOSM, e la poniamo all’interno di una materia extracellulare con concentrazione di sostanze diffusibili (D) uguale a
300mOSM. Poniamoci quindi la domanda: osserviamo flusso di acqua? Sì, perché il sistema extracellulare è composto da
sostanze diffusibili e quindi entrerà all’interno della cellula fino a quando la sua concentrazione non sarà la stessa dentro e
fuori, quindi 150mOSM entrano nella cellula e 150 rimangono fuori.
La concentrazione finale nella cellula sarà 450mOSM perché le sostanze già presenti non sono diffusibili e quindi non
possono uscire dalla cellula (300ND+150D), mentre all’esterno si avrà una concentrazione finale di 150mOSM
(tutte sostanze diffusibili), ma non c’è equilibrio osmotico. Consideriamo sempre la stessa cellula, in cui si ha una
concentrazione di sostanze ND di 300mOSM, che viene messa in un soluto che ha una concentrazione di sostanze ND di
300mOSM. In questo secondo caso c’è equilibrio chimico perché la concentrazione di sostanze ND è uguale sia all’interno
che all’esterno della cellula, e la sostanza D si divide fino a raggiungere stessa concentrazione all’interno e all’esterno
(150 dentro e 150 fuori).

Quindi le due concentrazioni finali saranno entrambe di 450mOSM. Ultimo esempio prima di arrivare alla conclusione,
osserviamo una cellula che ha una concentrazione di sostanze ND di 300mOSM, posta in un ambiente extracellulare con
stessa concentrazione di sostanze ND.
Notiamo flusso di acqua? No, perché è presente solo materiale ND in eguale concentrazione.
Arriviamo quindi alla conclusione che per avere equilibrio osmotico, non basta solo che i due ambienti abbiamo stessa
osmolarità, ma anche che le concentrazioni delle sostanze ND debbano essere uguali sia all’interno sia all’esterno della
membrana. Sappiamo però che all’interno della cellula ci sono molte sostanze non diffusibili, per cui è giusto pensare che
l’acqua tende ad entrare sempre nella cellula per eguagliare la concentrazione. In realtà ci deve essere qualcosa che renda
possibile l’uscita dei materiali ND fuori dalla cellula, altrimenti la costante entrata di H2O provocherebbe la lisi
(distruzione) della cellula. Nel LEC, la sostanza ND è rappresentata dal sodio, che seppure sia una sostanza diffusibile è
considerata ND. Perché il suo passaggio dall’interno all’esterno della cellula è consentito attraverso la pompa
sodio-potassio che bilancia quindi la concentrazione di sostanze ND tra il LIC e il LEC.
Per capire se effettivamente l’acqua entra o esce dalla cellula bisogna conoscere la tonicità di una soluzione.
Quando parliamo di tonicità intendiamo quello che accade al volume di una cellula posta in una soluzione.
Se notiamo che la cellula tende a gonfiarsi e ad acquistare acqua, significa che la soluzione dentro la quale è stata posta è
ipotonica, cioè la soluzione ha una minore presenza di sostanze ND. Se la cellula invece si sgonfia, e quindi perde acqua, la
soluzione è detta ipertonica, cioè la quantità di sostanze ND è maggiore rispetto alla cellula, e quindi l’acqua fuoriesce.
Se invece il volume della cellula non varia, significa che la soluzione è isotonica, e quindi la cellula e la soluzione hanno
stessa concentrazione di sostanza ND. Questo tipo di permeabilità selettiva e il mantenimento di equilibrio osmotico, da
origine ad un organismo in cui gli ambienti intra ed extracellulari sono chimicamente ed elettricamente diversi,
nonostante presentino stessa concentrazione di soluto. Il processo di osmosi rende possibile mantenere stabile l’equilibrio
tra il LIC (liquido intracellulare) e il LEC (liquido extracellulare) nel nostro organismo. In particola la regolazione del volume
del LEC è importante per la regolazione della pressione arteriosa, mentre la regolazione dell’osmolarità del LEC è
importante perché va a prevenire quelle che potrebbero essere le variazioni di volume del LIC. Infatti, se il LEC è ipertonico
le cellule si raggrinziscono e perdono acqua; l’ipertonicità del LEC è dovuta a una condizione di disidratazione (insufficiente
assunzione di acqua o eccessiva perdita di acqua ad esempio durante la sudorazione, vomito o diarrea).
Se il LEC è ipotonico le cellule si gonfiano e acquistano acqua;
l’ipertonicità del LEC è dovuta ad un’iperidratazione e quindi alla presenza di acqua in eccesso.
In condizioni fisiologiche l’acqua in eccesso viene liberata attraverso le urine, ma in caso contrario si manifesta ipotonicità
a causa di insufficienze renali, rapida ingestione di acqua o secrezione inappropriata di vasopressina.
3. Capillari: sono definiti i siti di scambio di gas e/o sostanze nutritive che devono arrivare ai tessuti. I capillari sono
costituiti da parete che a differenza degli altri vasi, è composta solo da endotelio, e quindi una parete molto sottile
proprio perché essi devono consentite una certa velocità di scambio di sostanze nutritive.
Proprio per la loro organizzazione, i capillari sono idonei ad aumentare la diffusione in accordo con la legge di Fick,
perché appunto presentano parete sottile, minima distanza (perché strettamente collegati a tutte le cellule, e quindi
lo spazio che percorrono le sostanze è minimo), ampia superficie (che aumenta la velocità di diffusione delle
sostanze). La parete dei capillari è appunto formata da endotelio, le cui cellule si dispongono lasciando dei piccoli spazi
(pori) che consentono il passaggio di sostanze nutritive (come ioni, amminoacidi, glucosio).
La maggior parte dei capillari sono organizzati secondo questa tipologia, e quindi presentano questi piccoli pori (sono
detti capillari continui).

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In minor parte invece sono presenti dei capillari, le cui cellule endoteliali presentano uno spazio più ampio tra loro, e
sono quindi definite delle vere e proprie fenestrature grazie alle quali c’è la maggiore velocità di passaggio di sostanze
o molecole più grandi (tranne le proteine plasmatiche che per la loro grandezza non riesco ad attraversare i pori, e
vengono quindi trasportate per mezzo di vescicole).
La velocità di scambio è determinata quindi dal gradiente di concentrazione. Il processo di diffusione è dunque molto
importante a livello dei capillari per appunto lo scambio di soluti. C’è da dire però che attraverso i pori della parete
endoteliale, c’è un passaggio o meglio filtrazione di volume di acqua contente vari componenti.
Si tratta di un trasporto di massa (o massivo) attraverso le pareti dei capillari che è importante per la distribuzione del
LEC.

Come avviene questo trasporto?


Lungo il letto capillare abbiamo sia l’estremità arteriosa sia l’estremità venosa.
All’estremità arteriolare abbiamo un movimento di liquidi tra il plasma e il LEC (si parla di filtrazione), mentre man mano
che si va verso all’estremità venosa si ha il movimento opposto (riassorbimento).
Questo avviene per la presenza di due pressioni: pressione idrostatica e pressione oncotica (o osmotica).
Sappiamo che l’acqua si muove perché viene “richiamata” dalla presenza di sostanze ND (quali le proteine plasmatiche che
non hanno libero passaggio nel LEC); queste proteine che non riescono a passare, hanno la funzione di “trattenere” acqua
nel volume plasmatico, e di creare una pressione grazie alla quale si mantiene un giusto equilibrio di liquido nel LEC
(cioè tra plasma e liquido interstiziale). Ma vediamo meglio quali sono le funzioni di queste pressioni attraverso le quali si
hanno la filtrazione o il riassorbimento.
La pressione idrostatica, dovuta alla presenza del volume sanguigno nei capillari, che spinge l’H2O verso l’esterno
favorendo la filtrazione; è presente poi un’altra pressione idrostatica nel liquido interstiziale che favorisce il
riassorbimento di acqua.
La pressione oncotica invece si divide in: pressione oncotica, nel capillare, dovuta alla presenza di proteine plasmatiche
che richiamano acqua e favoriscono l’assorbimento; e la pressione oncotica presente nel liquido interstiziale che favorisce
la filtrazione. Questo “gioco” di pressione va sotto il nome di “Forze di Starling”.

Perché abbiamo detto che all’estremità arteriolare si favorisce la filtrazione e all’estremità venale il riassorbimento?
Ciò è dovuto all’intensità di queste quattro pressioni, poiché il flusso alla fine, quindi la pressione netta, sarà diretta nel
favorire filtrazione o riassorbimento a seconda della sommatoria di tutte le pressioni. All’estremità arteriolare la pressione
idrostatica nei capillari ha valore 38mmHg (infatti abbiamo visto precedentemente come a livello delle arteriole il livello
della pressione subisce un calo), e questo valore favorisce la filtrazione. L’altra pressione che favorisce la filtrazione è la
pressione oncotica nel liquido interstiziale, dove il valore è 0mmHg perché abbiamo visto che in condizioni fisiologiche non
ci sono proteine plasmatiche. Per cui possiamo dire che la pressione netta di filtrazione è 38mmHg. Le pressioni che invece
favoriscono l’assorbimento sono: la pressione oncotica nel capillare, il cui valore è di 25mmHg dovuta alla presenza di
proteine plasmatiche, e la pressione idrostatica nel liquido interstiziale, il cui valore è molto bassa ed è circa 1mmHg;
quindi, la pressione netta di assorbimento è 26mmHg. Avremo quindi che all’estremità arteriolare la pressione netta è
uguale alla differenza tra la pressione di filtrazione e la pressione di assorbimento (ad essa opposta), quindi
38mmHg-26mmHg=12mmHg. La sommatoria delle forze è 12mmHg ed è per questo che all’estremità arteriolare si
favorisce la filtrazione. All’estremità venale le pressioni che favoriscono l’assorbimento presentano sempre lo stesso
valore; quindi, la pressione idrostatica nel liquido interstiziale è sempre 1mmHg e la pressione oncotica nel capillare è
sempre 25mmHg; per quanto riguarda le pressioni che favoriscono la filtrazione, la pressione oncotica nel liquido
interstiziale rimane sempre 0mmHg, mentre la pressione idrostatica nei capillari passa dal valore di 38mmHg al valore di
16mmHg. La sommatoria delle forze, cioè la pressione netta a livello venale sarà quindi sarà uguale a 16mmHg-
26mmHg=-10mmHg. Questo valore nasce dal fatto che le pressioni di assorbimento sono più forti rispetto alle forze di
filtrazione, e questo è il motivo per cui all’estremità venale si verifica il riassorbimento. Questo movimento di flusso
massivo attraverso le pareti dei capillari, abbiamo detto essere importante per la regolazione della distribuzione del LEC,
tra il plasma e il liquido interstiziale, infatti se variano queste quattro pressioni, varia di conseguenza anche il flusso
massivo e può essere determinata una maggiore presenza di liquidi plasmatici o interstiziali.
Abbiamo calcolato la pressione netta a livello arteriolare e venale, e se notiamo la differenza tra le due è di soli 2mmHg;
ciò significa che man mano la quantità di acqua filtrata nel liquido interstiziale, non è completamente assorbita per cui c’è
l’aumento di questo liquido che a lungo andare provocherebbe la formazione di un edema, cioè un eccesso di acqua e
soluti. Questi in realtà non rimangono nel liquido interstiziale, ma viene recuperato dai vasi linfatici attraverso la linfa.
Infatti, il sistema linfatico e diciamo un “collaterale” del sistema circolatorio, ed entra in gioco proprio nel determinare
l’assorbimento dei liquidi in eccesso che non vengono assorbiti.

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 Vediamo in generale le funzioni del sistema linfatico: esso è adoperato per il bilancio dei fluidi, poiché abbiamo visto
che i fluidi in eccesso all’interno del liquido interstiziale vengono assorbiti da vasi linfatici.
È importante anche per l’assorbimento dei lipidi a livello dell’epitelio intestinale, per la difesa, perché grazie alla linfa i
microrganismi e altre sostanze vengono filtrati nei linfonodi e dal sangue nella milza, e poi ha la funzione di ritorno per
le proteine filtrate. Quest’ultima è importante perché abbiamo visto che la pressione oncotica a livello interstiziale è
zero, ma se sono presenti proteine (che permangono) viene esercitata una pressione di assorbimento.
 Abbiamo infatti detto che se non fosse per il sistema linfatico, l’accumulo di quest’eccesso di acqua e sostanze nel
liquido interstiziale provocherebbe la formazione di un edema. L’edema si può formare a causa di una ridotta
concentrazione di proteine plasmatiche (riduzione di pressione oncotica capillare), che può avvenire in seguito a
patologie come ad esempio la perdita eccessiva di proteine attraverso l’urina per una patologia renale, o una ridotta
sintesi di proteine per una patologia epatica o anche a causa di una dieta povera di proteine; è possibile assistere alla
formazione di edema anche a causa di una grande permeabilità della parete dei capillari, a causa dell’aumento della
pressione venosa o a causa di un blocco dei vasi linfatici.
4. Vene: descriviamo ora l’ultima parte che costituisce l’apparato cardiocircolatorio, le vene. Le vene sono considerate le
vie di ritorno del sangue al cuore, e serbatoio di sangue. Le vene sono costituite anch’esse da una parete divisa in tre
tonache: l’endotelio, una buona parte di muscolatura liscia, e tessuto connettivo (che presenta fibre elastiche e
collagene). Le vene le abbiamo definite anche come vasi di capacità grazie proprio alla presenza di questa componente
elastica; quando il flusso sanguigno scorre nelle vene, le fibre elastiche si estendono e quindi possono accumulare
sangue in modo tale che se c’è bisogno di un maggiore ritorno venoso, perché la gittata cardiaca deve aumentare, la
capacità contrattile della muscolatura delle vene (controllata dal SN simpatico) spinge più sangue nelle vene, e da
queste al cuore. La capacità delle vene sta proprio in questa possibilità di accumulare sangue.
Infatti, se il ritorno venoso aumenta, significa che aumenta il volume sanguigno che torna agli atri e poi ai ventricoli, e
quindi aumenta il volume di sangue che viene successivamente pompato dal cuore (maggiore gittata sistolica).
La circolazione venosa è sempre spinta dalla presenza di un gradiente di pressione, anche se bassi è comunque presente
man mano che il sangue torna all’atrio fino a quando la pressione diventa quasi 0mmHg.
La circolazione venosa è spinta però anche dalla pompa toracica, e quindi la creazione di diverse pressioni durante la
respirazione, attraverso la pompa muscolare che spinge il sangue verso l’atrio o attraverso la vasocostrizione venosa
indotta dalla stimolazione del SN simpatico. In particolare, diciamo che la circolazione è spinta dalla pompa muscolare
perché le vene presentano delle valvole durante la contrazione dei muscoli scheletrici si chiudono e si aprono.
Cerchiamo di capire meglio: durante la contrazione del muscolo scheletrico il sangue viene spinto verso il cuore, ciò
avviene perché la valvola distale (rispetto alla contrazione) rimane chiusa, mentre si apre la valvola prossimale.
Durante la fase di rilassamento invece la valvola prossimale si chiude per evitare il reflusso di sangue, mentre la valvola
distale si apre. Questo meccanismo di apertura e chiusura delle valvole a seguito della contrazione del muscolo fa sì che
quindi si abbia il ritorno di sangue al cuore.

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IL SISTEMA ENDOCRINO
Il sistema endocrino ha la particolarità di essere un sistema
che non è localizzato in un'unica sede anatomica ma presenta
diverse ghiandole endocrine distribuite nel nostro organismo,
che sono in grado di secernere ormoni differenti con funzioni
differenti. Essi vanno a regolare a loro volta l'attività di altri
tipi di cellule. Il sistema endocrino collabora ed è in forte
comunicazione con il sistema nervoso; infatti, sono i due
principali mezzi con cui il nostro organismo è in grado di
garantire l'omeostasi e la loro interazione si verifica a diversi
livelli. Il sistema endocrino utilizza dei messaggeri chimici,
definiti ormoni. Il concetto di ormone, nell'arco dei secoli ha
subito delle variazioni nel suo significato vero e proprio, e in
linea generale quando parliamo di un ormone, parliamo di
una sostanza che funge da molecola informazionale,
rilasciata da ghiandole nel circolo sanguigno e può agire
anche a lunga distanza. Gli ormoni, quindi, sono degli
strumenti con cui vengono messe in comunicazione le cellule che secernono l’ormone e la cellula bersaglio, che
presenterà uno specifico recettore in grado di riconoscere quell’ormone.
Le differenze, a livello di trasmissione di informazioni tra i due sistemi, sono che mentre in quello endocrino vengono
utilizzati gli ormoni, cioè questi messaggeri chimici che vengono riversati nel circolo sanguigno per raggiungere il loro sito
di bersaglio, in grado di creare delle risposte più durature nel tempo, seppure delle risposte che si generano in modo più
lento. In genere gli ormoni portano a dei cambi metabolici all'interno delle cellule; quindi, c'è bisogno di tempo affinché
questi cambi metabolici possano essere attivati.
Se consideriamo, invece, il sistema nervoso, anch’esso trasferisce informazioni che però vengono trasmesse sotto forma di
impulsi, di potenziali d'azione, che hanno la caratteristica di essere di breve durata e quindi danno delle risposte brevi.

Quando parliamo del sistema ghiandolare, parliamo di queste differenti ghiandole situate su diversi siti anatomici, ma le
ghiandole possono dividersi in esocrine ed endocrine:
- Le ghiandole endocrine riversano le secrezioni all'interno del corpo mentre,
- Le ghiandole esocrine riversano le secrezioni all'esterno.
La ghiandola esocrina presenta un dotto escretore, grazie al quale è in grado di riversare verso l'esterno della ghiandola
stessa, o del corpo, il suo prodotto.
Le ghiandole endocrine, non hanno il dotto escretore, ma rilasciano il loro prodotto nei vasi sanguigni.
Per cui parliamo di ghiandole che sono direttamente vascolarizzate, e che quindi presentano una fitta rete di capillari al
fine di permettere la secrezione degli ormoni.
Le ghiandole si possono differenziare anche il base al secreto da loro prodotto. Abbiamo:
- Apocrina: in cui il secreto si accumula all’interno della ghiandola e quando questo viene rilasciato, viene
rilasciata anche una parte di citoplasma. Infatti, la ghiandola riduce il suo volume. Un esempio è dato dalla ghiandola
mammaria.
- Olocrina: la cellula diventa essa stessa prodotto di secrezione, come nel caso delle ghiandole sebacee.
- Eccrina o Merocrina: il secreto viene rilasciato dalla cellula, dalla parte apicale e quindi la cellula rimane intatta, non
subisce una modificazione.

Una caratteristica comune in quasi tutte le cellule endocrine è quella di presentare tutte le strutture, in particolare
l'apparato del Golgi e il reticolo endoplasmatico rugoso, molto sviluppate perché ovviamente sono quest’ultime che sono
addette alla sintesi del loro secreto. Questo secreto viene prodotto a cavallo tra il reticolo endoplasmatico rugoso e
l'apparato del Golgi, le molecole vengono impacchettate in queste vescicole secretorie e poi a seconda di quello che è il
tipo di secrezione della cellula, viene rilasciato.
Caratteristica del sistema endocrino è di avere queste ghiandole che non hanno un dótto escretore e che sono riccamente
vascolarizzate, quindi con una fitta rete di capillari, dove può essere riversato un ormone, questa sostanza che è una
molecola informazionale che viene riversata nel circolo sanguigno e andrà ad agire solo ed esclusivamente sulla sua cellula
bersaglio, ovvero la cellula che presenta il recettore per quell’ormone.
I recettori presenti hanno un’elevatissima affinità. Gli ormoni vengono secreti a piccole quantità nel nostro organismo e
quindi l'elevata specificità, l’elevata affinità del recettore per quell’ormone, aiuta a garantire l'attività ormonale
dell'ormone. Gli ormoni possono essere secreti in maniera pulsatile, quindi possiamo avere dei picchi di secrezione
nell'arco della giornata, piuttosto che nell’arco di un mese, come ad esempio nei 28 giorni del ciclo mestruale della donna.

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Quindi ogni ormone presenterà un proprio ciclo di secrezione, ma la loro sintesi e la loro secrezione dipende sicuramente
da quelle che sono le condizioni interne ed esterne dell'organismo, proprio perché sono importanti per mantenere
l’omeostasi. Una caratteristica di questo sistema è che ci sono anche alcune cellule endocrine, quindi non ghiandole ma
cellule, che sono sparse nei vari organi. Ad esempio, le Cellule G dello stomaco che producono la gastrina, quando si
alzano nello stomaco i valori di acido cloridrico, questa viene rilasciata dalle Cellule G dello stomaco, va in circolo e torna
poi con la circolazione allo stomaco, dove stimola la motilità. Ci sono anche alcuni organi in grado di produrre degli
ormoni: un esempio importante è il FEGATO, che produce il fattore di crescita IGF-1 (insulin grow factor).
Esso è molto importante per stimolare la crescita lineare dell'organismo, insieme al GH, famoso ormone della crescita
stessa. Poi ad esempio, il tessuto adiposo, che ormai non è più considerato un tessuto e basta, ma viene considerato come
un organo perché produce un elevato numero di ormoni, come ad esempio la leptina.
La leptina è un ormone che va in circolo prodotto dal tessuto adiposo, raggiunge e supera la
barriera emato-encefalica e informa l’ipotalamo, andando a regolare l'attività del centro della fame, della sazietà.
In pratica, informa il nostro cervello sulla quota di tessuto adiposo presente, quindi la quantità di grassi che sono stati
immagazzinati in questo tipo di tessuto.

Inoltre, alcuni ormoni sono prodotti da neuroni, infatti quando parliamo dell’attività dell’ipofisi posteriore o neuroipofisi,
dei neuroni producono ossitocina e vasopressina.
Alcune volte gli ormoni possono agire anche ad azione autocrina e paracrina.
- Azione autocrina: parliamo di un’azione in cui l’ormone è in grado di agire sulla stessa cellula che l’ha secreto, perché
la stessa cellula che l’ha secreto presenta i recettori per quell’ormone. Generalmente questa attività è importante per
un’azione di feedback di controllo della secrezione da parte della cellula endocrina.
- Azione paracrina: un ormone viene rilasciato tramite il liquido interstiziale e va ad agire su cellule adiacenti a quella
che lo rilascia.

Lo stesso ormone può essere prodotto in varie sedi, come ad esempio la gastrina, che può essere sia gastrica che gastrina
duodenale. La gastrina secerne su queste Cellule G del duodeno, che va a stimolare l’ultima parte della contrazione della
motilità gastrica, per facilitarne lo svuotamento. La somatostatina, ad esempio, è un ormone che ha generalmente azione
inibente, ma viene prodotta da diverse ghiandole. Da una parte abbiamo la produzione ipotalamica, quindi la
somatostatina dell’ipotalamo che va a inibire la produzione di ormoni ipotalamici, a livello del pancreas inibisce la
produzione di insulina o glucagone, a seconda della condizione metabolica in cui ci troviamo.
A livello intestinale, la somatostatina viene rilasciata dall'intestino per andare a inibire la motilità gastrica.
Quindi è sempre lo stesso ormone, ciò che cambia sono i tipi di recettori i recettori su cui va ad agire questa
somatostatina, che permettono quindi di regolare in modo specifico le diverse funzioni a livello talamico, pancreatico e
intestinali.Quindi i messaggeri chimici, cioè gli ormoni, che vengono rilasciati nel circolo sanguigno e vanno ad agire sulle
cellule bersaglio, che sono quelle dotate dello specifico recettore e permetteranno questo legame con il recettore che
determinerà l'instaurarsi di secondi messaggeri intracellulari, grazie ai quali possiamo avere l'attivazione di risposte.
Come possiamo immaginare l'attivazione di secondi messaggeri intracellulari, aiuta a determinare delle risposte più lente,
quindi più durature nel tempo. Possiamo avere anche dei neurotrasmettitori, che possono agire come ormoni.
Come, ad esempio, la noradrenalina e adrenalina. Abbiamo affrontato l’adrenalina e la noradrenalina parlandone come
messaggero del sistema nervoso, ora vedremo anche come messaggeri del sistema endocrino. Poi ci sono quelli che
vengono chiamati in neuro-ormoni, ovvero quegli ormoni rilasciati da neuroni, come nel caso della neuroipofisi, che
rilascia questi ormoni a livello del terminale assonale dei neuroni e che vengono poi rilasciati nel circolo sanguigno e sono
in grado di agire a lunga distanza.

I meccanismi di interazione ormonale:


-Funzione endocrina: rilascio dell’ormone nel circolo sanguigno verso una cellula specifica,
-Funzione neurocrina: quando la cellula viene rilasciata nel terminale assonale e rilasciata nel sangue,
-Funzione paracrina: l’ormone rilasciato nel liquido interstiziale agisce sulle cellule adiacenti,
-Funzione autocrina: l’ormone agisce sulla cellula che l’ha secreto, per far sì che la cellula possa essersi autoregolata.

L’uomo ha diversi tipi di ormoni e quindi è necessario fare una classificazione. La classificazione, da una parte aiuta a
identificare quella che può essere la cellula di produzione, quindi possiamo parlare di ormoni ipofisari, ormoni della tiroide
e ormoni pancreatici. Ma anche la classificazione in base alla struttura chimica o al recettore può aiutare a identificare la
funzione dell'ormone nel nostro organismo, questo perché esiste una classificazione in base alla struttura chimica che ci
permette di distinguere tra ormoni peptidici, quindi che sono costituiti da peptidi e da amminoacidi, e ormoni steroidei,
che vedremo hanno come base di partenza la stessa struttura del colesterolo, con i quattro anelli fenolici. La cui base
viene poi diversamente metilata, ossidata per ottenere i vari tipi di ormone che bisogna produrre.
E poi abbiamo gli ormoni derivati dalle ammine.

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Possiamo, inoltre, distinguere gli ormoni in base alla funzione dei loro recettori, perché avremo degli ormoni che hanno un
recettore sulla membrana cellulare, come nel caso degli ormoni peptidici. Immaginate una grossa molecola idrosolubile,
cioè di quelle che non sono in grado di versare il secreto nel doppio stato lipidico. Il loro recettore sarà, molto
probabilmente, un recettore di membrana.
Se facciamo, invece, riferimento agli ormoni steroidei, che riescono ad attraversare il doppio strato della membrana, come
il colesterolo. Il colesterolo viene assorbito attraverso la membrana, allora parliamo di recettori che possono essere
all'interno della cellula o sono presenti nel liquido nel citoplasma, oppure addirittura vedremo che ci sono recettori
intra-nucleari, quindi che si trovano all'interno del nucleo.

Per quanto riguarda gli ormoni proteici, il loro numero può variare, arriviamo ad avere ormoni di 200 aminoacidi, come
nel caso dell’ormone della crescita, che ha quasi 198 amminoacidi.
Il processo di trascrizione e traduzione del gene, presente sul DNA, dato dall’RNA Messaggero, che presenta tutte le
sequenze codificanti del gene, cioè gli esoni. Esso, a livello dei ribosomi, permette poi la produzione dell'ormone.
L’informazione viene così trasferita da triplette a amminoacidi.

Bisogna tener presente anche che durante il taglio tra esoni e introni, può avvenire quello che viene definito lo splicing
alternativo, in cui praticamente gli esoni non vengono tagliati nel loro vero e proprio sito di taglio normale, ma parte di un
introne può entrare a far parte dell’RNA Messaggero, piuttosto che parte di un esone viene allontanato.
Per cui da un unico gene possiamo avere più RNA messaggeri, di conseguenza possiamo avere più forme dello stesso
ormone. Queste forme alternative possono comunque mantenere la loro attività ormonale vera e propria, in linea di
massima gli ormoni proteici o peptidici vengono sintetizzati come prepro-ormone; quindi, un ormone che deve subire un
processo di maturazione che si verifica a cavallo tra il reticolo endoplasmatico e l'apparato del Golgi e poi vengono
impacchettate in quelle che sono le vescicole secretorie. Quando lo stimolo alla ghiandola endocrina, questo ormone che
sarà diventato attivo, quindi parliamo di ormone vero e proprio durante la sua fase di maturazione, viene rilasciato nel
circolo sanguigno per poi arrivare a quelle che sono le cellule bersaglio.
Ma abbiamo anche gli ormoni steroidei, quindi parliamo di una struttura di partenza che è la stessa del colesterolo, con
quattro anelli fenolici, con una catena di carboni attaccata al carbonio 17. Questa struttura viene ossidata idrossilata
subisce diverse modificazioni ad opera di opportuni enzimi presenti nelle diverse ghiandole endocrine e da esso è possibile
ottenere gli ormoni prodotti dalla corticale del surrene, come l’aldosterone che è un ormone minerale attivo e il cortisolo
che invece è il principale ormone glicoattivo. Poi abbiamo invece la categoria degli ormoni sessuali.
La terza categoria è quella degli ormoni derivati dalle ammine. L’amminoacido di partenza è la tirosina, che abbiamo già
incontrato tra i neurotrasmettitori, perché è lo stesso aminoacido di partenza da cui sono sintetizzati:
dopamina, noradrenalina, adrenalina, che abbiamo visto nel sistema nervoso centrale come neurotrasmettitore.
In questo caso vedremo che sono anch'essi prodotti dal surrene e qui agiscono come ormoni.
Un'altra categoria particolare di ormoni derivati sempre da ammina e tirosina, sono gli ormoni tiroidei che tengono secreti
a livello della ghiandola tiroidea grazie a una a iodazione, cioè l’aggiunta di atomi di iodio sugli anelli fenolici che
permettono quindi la produzione degli ormoni tiroidei.

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LA SECREZIONE DEGLI ORMONI

Gli ormoni peptidici e le catecolamine vengono immagazzinati nelle vescicole secretorie; quindi, quando arriva lo stimolo
queste vescicole secretorie, si fondono con la membrana cellulare gli ormoni vengono liberati in circolo.
Per quanto riguarda invece gli ormoni tiroidei e steroidei, non vengono depositati nelle vescicole secretorie ma man mano
che vengono secreti, lasciano la cellula che ha secreti stessi, e ogni ormone presenta una sua secrezione pulsatile, quindi
dei picchi di secrezione.
Altra caratteristica degli ormoni in generale è il trasporto, se si parla ad esempio di ormoni peptidici e delle catecolamine,
sono idrosolubili; quindi, possono circolare liberi all'interno del sangue, non hanno bisogno di trasportatori.
Il fatto che essi circolino senza trasportatori fa sì che possano andarsi a legare facilmente al loro recettore e possono
andare a dare una risposta più rapida. Il contro dell’assenza del trasportatore è un’emivita biologica più breve, nel senso
che possono essere più facilmente metabolizzati o allontanati e filtrati a livello renale.
Gli ormoni tiroidei e steroidei sono idrofobici per cui devono circolare nel sangue legati a dei trasportatori.
O sono legati a dei trasportati specifici, e quindi questi trasportatori hanno un’elevata affinità per quell’ormone, oppure a
dei trasportatori a-specifici che sono dei trasportatori a bassa affinità.
Un esempio è quello dell’albumina, la principale proteina plasmatica presente nel nostro organismo che è importante per
garantire il mantenimento di questa pressione colloido-osmotica, rappresenta circa il 60% delle proteine plasmatiche.
L’albumina è un po' come un taxi nel nostro circolo sanguigno, nel senso che è una proteina di trasporto è la principale
proteina di trasporto aspecifica, lega molte molecole ma ovviamente l’affinità per ogni singola molecola è molto bassa,
perché quella che incontra nel suo percorso, a quella si lega, che possa essere la bilirubina, piuttosto che un ormone
steroideo, è in grado comunque di legarli.

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Per quanto riguarda queste due categorie di ormoni tiroidei e steroidei, che hanno questi anelli grossi, è ovvio che la
presenza del trasportatore nel circolo sanguigno ne va a ridurre la quantità filtrata a livello renale, e ovviamente ne riduce
anche la quantità che va a legarsi facilmente con il proprio recettore.
Tutto questo fa sì che l’uomo abbia degli ormoni che hanno un’emivita biologica molto più grande e quindi abbiamo degli
effetti a lungo termine, maggiore per questi tipi di ormoni. Ad esempio, nel caso degli ormoni tiroidei, i soggetti
ipotiroidei, che quindi producono pochi ormoni tiroidei, per valutare gli effetti di questi ormoni, ci vogliono sempre 3-4
settimane per rifare il dosaggio sierologico degli ormoni e valutare effettivamente se la situazione migliora.
Questo solo per capire quanto sia a lungo termine l’effetto di questi ormoni tiroidei.
Ma si devono legare questi ormoni al loro recettore, che è una molecola proteica che si trova nella cellula bersaglio e che
può attivare poi una risposta.
Abbiamo detto che c'è una classificazione in funzione del tipo di recettore, abbiamo quindi recettori intracellulari che
possono essere o citoplasmatici oppure intranucleari, che possono quindi trovarsi all'interno del nucleo.
Questi sono recettori presenti per gli ormoni tiroidei e per gli ormoni steroidei, perché questi tipi di ormoni sono in grado
di attraversare il doppio strato fosfo-lipidico e quindi possono raggiungere loro recettore e attivare una serie di risposte.

Quando si crea il complesso recettore-ormone, questo complesso normalmente, se è intracellulare quindi nel citosol
trasloca nel nucleo e va a regolare l'espressione genica. Il recettore e il ligando presenteranno dei siti, dei domini
funzionali che riconoscono i siti del DNA vanno a stimolare o inibire l'espressione di determinati geni; quindi, la risposta a
questo è una regolazione della sintesi di determinate proteine all'interno della cellula bersaglio.
Si deve attivare tutto il sistema di trascrizione e traduzione del segnale, per cui abbiamo delle risposte più durature nel
tempo. Gli ormoni, invece, di natura proteica, essendo che sono delle sostanze idrofiliche, e non sono in grado di
attraversare il doppio strato della membrana, presentano un recettore sulla membrana cellulare della cellula bersaglio,
quindi nel momento in cui si lega, si crea, di nuovo il complesso recettore ligando, ma questo va da attivare direttamente
delle risposte, una cascata di reazioni intracellulari che ha come effetto finale l'attivazione di una proteina che è già stata
sintetizzata all'interno della cellula bersaglio, quindi è già presente nel citosol ma aspetta di essere attivati, per cui si
hanno delle risposte più rapide rispetto a quelle dettate dall' attivazione dei recettori intracellulari.
Ovviamente nel nostro organismo deve esserci sempre un equilibrio, anche per quanto riguarda gli ormoni. Parliamo di un
equilibrio tra il catabolismo e la biosintesi; quindi, tra la distruzione la nuova sintesi dell'ormone che ci permette di
mantenere la concentrazione ematica dell'ormone, entro dei range che garantiscono l’omeostasi del nostro organismo.

Allora parliamo di meccanismi di regolazione. I meccanismi di regolazione vengono definiti feedback, quindi una risposta
viene data generalmente dalla cellula bersaglio o dalla ghiandola o da un'altra della cellula bersaglio in funzione della sua
attività, e quindi la secrezione dell’ormone è regolata dalla concentrazione dell'ormone stesso.
Possiamo parlare di feedback negativi o positivi. nella maggior parte dei casi ci riferiamo feedback negativi, che vanno a
inibire la secrezione dell'ormone da parte della ghiandola bersaglio grazie a un aumento della concentrazione ormonale
stessa nel circolo sanguigno. Per capire meglio quelli che sono i meccanismi di feedback dobbiamo andare a considerare i
circuiti che si vengono a creare nel nostro organismo.

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Quello che meglio rappresenta gli assi di regolazione endocrini è rappresentato da ipotalamo-ipofisi-ghiandola
bersaglio.

Ipotalamo e ipofisi sono due strutture cerebrali che hanno il ruolo di produrre specifici ormoni, e l'azione combinata dei
loro ormoni permette la stimolazione poi di un’eventuale ghiandola bersaglio come la tiroide o il surrene.
L’ipotalamo riceve miliardi di informazioni circa condizioni interne-esterne dell’organismo e secerne quelli che vengono
definiti ormoni ipotalamici che vanno a stimolare l'attività di una ghiandola che è sottoposta all’ipotalamo, cioè l'ipofisi.
L’ipofisi, a sua volta, stimolata dagli ormoni ipotalamici, quindi parliamo di un feedback positivo, produce ormoni ipofisari,
che poi agisce sulla specifica ghiandola bersaglio, ad esempio la tiroide. Essa va a stimolare, ancora a feedback positivo, la
secrezione degli ormoni tiroidei ad esempio. Una volta che è stata stimolata la secrezione degli ormoni tiroidei parliamo di
assi di regolazione a feedback negativo, perché gli ormoni tiroidei vanno in circolo e svolgono le loro funzioni sulle cellule
bersaglio, e poi tramite quello che viene definito asse lungo di regolazione, arrivano sull’ipofisi e arrivano all’ipotalamo,
andando ad inibire il rilascio dei rispettivi ormoni. In pratica, informano l’ipofisi e l’ipotalamo che ci sono già abbastanza
livelli di ormoni tiroidei in circolo, non c'è bisogno che stimolino ancora la tiroide, quindi il feedback positivo viene inibito.
Esiste anche un’asse corto di regolazione, per cui gli ormoni ipofisari agiscono a livello ipotalamico, dicendo all’ipotalamo
di non produrre più ormoni. Quindi viene inibito questo feedback positivo ipotalamo-ipofisi.
Ultimo ma non meno importante asse di regolazione è quello definito ultra-porto, sono gli ormoni ipotalamici che
svolgono una funzione autocrina e paracrina sulle cellule ipotalamiche, inibendo un eccessivo rilascio di ormoni
ipotalamici. L’ipotalamo è una struttura che fa parte dell’encefalo, lo troviamo tra il chiasmo ottico, lo stelo infundibolare
e i corpi mammillari, è costituito da un elevato numero di nuclei che svolgono diverse funzioni, ma nello specifico è in
grado di ricevere tutte le informazioni tra l'ambiente interno ed esterno dell'organismo, riceve informazioni ad opera delle
strutture cerebrali, come il talamo o il sistema limbico, riceve informazioni grazie a molecole informazionali, cioè gli
ormoni, che tramite il circolo sanguigno vanno a regolare l’attività ipotalamica.

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L’ipotalamo, quindi, è in grado di rispondere a tutti questi segnali andando a inviare o altri input, entrando così a far parte
del sistema nervoso, oppure abbiamo dei nuclei specifici nell’ipotalamo in grado di produrre gli ormoni ipotalamici e che
sono poi in grado di agire a livello ipofisario. In particolare, i nuclei sopra ottici e paraventricolari, che sono responsabili
della produzione di ipotalamici. L’ipotalamo, quindi, è in grado di regolare l’attività secretoria della ghiandola ad esso
sottoposta, cioè dell’ipofisi. L’ipofisi, per quanto sia particolarmente piccola, svolge numerose funzioni perché produce
molti ormoni che vanno a loro volta a inibire o stimolare diverse ghiandole del nostro corpo.

L’ipofisi è costituita da due sezioni: l’adenoipofisi, o ipofisi anteriore, e la neuro ipofisi.

1. L’Adenoipofisi assume la forma di un rene, e accoglie nella sua convessità, l’ipofisi posteriore o neuroipofisi.
Essa è in comunicazione con l’ipotalamo grazie all’infundibolo ipofisario ed è situata al centro della base cranica, in quella
che è la sella turgica dell’osso sfenoide. È una ghiandola estremamente piccola, di circa 0,6 gr.
I due lobi dell’ipofisi hanno origine embrionale differente, e hanno una funzione endocrina differente.
Mentre l’adenoipofisi è una vera e propria cellula endocrina che quindi produce gli ormoni e li rilascia nel circolo
sanguigno, la neuroipofisi è più che altro un’estroflessione dell’ipotalamo e quindi gli ormoni sono secreti dai neuroni i cui
corpi sono presenti all’interno dell’ipotalamo stesso. L’adenoipofisi è in comunicazione con l’ipotalamo grazie a un circolo
portale ipotalamo-ipofisario, in questo circolo vengono rilasciati ormoni ipotalamici che rapidamente arrivano
all’adenoipofisi e vanno a stimolare o a inibire quella che è l'attività dell’ipofisi stessa.
L’ipofisi produce sei ormoni principali, abbiamo: un ormone della crescita, l’ACTH o corticotropina che deve poi agire a
livello della ghiandola surrenale, il TSH che è un ormone stimolante la tiroide, le gonadotropine, quindi ormone
luteinizzante l’ormone follicolo stimolante che vanno a stimolare l'attività delle gonadi, la prolattina.
3. La Neuro ipofisi produce due ormoni: la Vasoppressina (ormone antidiuretico/ADH) e Ossitocina.
In questo sistema ipotalamo-ipofisario succede che l’ipotalamo con i suoi neuroni produce e rilascia questi ormoni
ipotalamici nel circolo sanguigno ipotalamo-ipofisario che subito apporta i neuroni al lobo anteriore dell’ipofisi e
quindi va a stimolare i diversi tipi di cellule presenti in questa ghiandola, questo perché all'interno dell’adenoipofisi
abbiamo cellule specifiche per il tipo di ormone che deve essere secreto. Quelle maggiormente presenti sono le cellule
somatotrope, che sono quelle responsabili della produzione della secrezione dell'ormone della crescita, il famoso GH.
Tali tipi di cellule rappresentano circa il 50% delle cellule totali dell’ipofisi.
4. Le cellule lattotrope che producono invece la prolattina, che stimolano la produzione di latte, da parte delle ghiandole
mammarie, abbiamo le cellule corticotrope, che producono invece l’ACTH o ormone adrenocorticotropo che andrà ad
agire sul surrene per stimolare l'attività del surrene. Le cellule Tirotrope che producono il TSH, l’ormone stimolante la
tiroide e le cellule gonadotrope che producono l’FSH e LH. Se parliamo di asse ipotalamo-ipofisi, ci sono degli ormoni
ipotalamici che stimolano o inibiscono l'attività dell’ipofisi stessa.

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Gli ormoni inibenti sono due:


- l’ormone inibente l’ormone della crescita, che praticamente va a inibire le cellule somatotrope nel loro rilascio di GH,
- l’ormone inibente la prolattina.

Tutti gli altri ormoni, invece, sono ormoni ipofisari-ipotalamici stimolanti e quindi abbiamo:
- un ormone che stimola, o meglio liberante o rilasciante, la corticotropina, quindi agisce a livello delle cellule corticotrope,
- l’ormone rilasciante la tireotropina, quindi stimola il rilascio di TSH da parte delle cellule tirotrope,
- un ormone liberante l’ormone della crescita.
- un ormone liberante le gonadotropine.

Il primo ormone di cui parliamo è il GH, ovvero l’ormone della crescita che è un ormone peptidico ed è costituito da
191 amminoacidi ed ha la funzione di stimolare la crescita lineare di tutto l'organismo.
Viene secreto in modo pulsatile nell'arco della giornata e comunque nell’arco della vita si ha un decremento della
secrezione del GH, con un picco di secrezione in età puberale e poi un decremento man mano che si avanza verso l'età
adulta.
- Eccessi nella secrezione di GH determinano gigantismo,
- carenze nella sua secrezione, durante le fasi di sviluppo, determinano nanismo.
In realtà, l'attività del GH non è dovuta al GH da solo, ma lavora in cooperazione con il fattore di crescita
insulino- simile IGF-1 che viene prodotto da ficcato sotto stimolazione del GH stesso.

Quali sono le azioni del GH?


Prima di tutto va a stimolare la sintesi proteica e la crescita epifisaria; quindi, da una parte permette l'allungamento osso,
dall'altro l'aumento della massa muscolare. Per ottenere fonti energetiche, questo GH stimola la lipolisi, quindi l'utilizzo di
grassi; quindi, si ha una ossidazione dei grassi con conseguente diminuzione della massa grassa e dimagrimento del
soggetto, però si ha ritenzione di sodio, dovuto a un aumento della sintesi proteica e anche diminuita sensibilità
all'insulina.
La sensibilità di insulina diminuisce perché ovviamente nel circolo sanguigno avremo un aumento di glucosio che verrà
utilizzato dall'organismo come fonte energetica. Il GH, però, lavora in collaborazione con l’IGF-1 e allora arriva al fegato
per stimolare la secrezione di IGF-1. Quest’ultimo coopera nella sintesi proteica e nella crescita epifisaria, ma ha
contemporaneamente effetti antagonistici rispetto al GH, per quanto riguarda l’attività insulinica perché ha un’attività
insulino-simile e va a ridurre l'effetto lipolitico del GH. Questo è importante per mantenere la glicemia in range corretti ed
evitare che vengano utilizzate tutte le fonti di immagazzinamento di acidi grassi nel nostro organismo.
Allora l’ipotalamo rilascia un ormone liberante il GH, che agisce a livello ipofisario, il quale secerne GH che va in circolo e
agisce su tutti i tessuti, ma a livello epatico stimola la produzione di IGF-1, e questo IGF-1 poi con feedback negativo,
stimola il rilascio di somatostatina, e quindi viene così inibito il rilascio di ulteriore GH.
Nell'arco delle 24 ore si ha un picco di secrezione di GH intorno a mezzanotte e di certo un esercizio fisico intenso più un
pasto ricco di proteine, vanno a stimolare la secrezione di GH.

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LA NEUROIPOFISI
La neuroipofisi è questa zona posteriore dell’ipofisi e assume tale nomenclatura perché anatomicamente in realtà è
costituita dai lunghi terminali assonali dei neuroni ipotalamici. Ciò significa che i corpi di questi neuroni sono localizzati
nell’ipotalamo e abbiamo questi assoni che decorrono lungo l’infundibolo ipofisario e giungono nella neuroipofisi,
prendono contatto poi con i vasi sanguini dove rilasciano direttamente quello che è il loro neurotrasmettitore, parliamo
quindi di neuro-ormone. Questi ormoni vengono sintetizzati a livello ipotalamico nei corpi dei neuroni nell’ipotalamo.
Nell’ ipotalamo troviamo i nuclei, tra i quali abbiamo il nucleo sopra ottico e paraventricolare, che sono i nuclei
responsabili della secrezione di questi due ormoni, l’ossitocina e la vasopressina. L’ossitocina e la vasopressina sono due
ormoni che sono correlati strutturalmente; infatti, non sono facilmente distinguibili i neuroni che secernono uno piuttosto
che l’altro, ma hanno due funzioni differenti:
1. L’ossitocina va a stimolare la contrazione dell'utero durante il parto, perché nella fase di parto della donna si ha un
incremento della secrezione della produzione di ossitocina. Unitamente al fatto che durante tutto il periodo della
gravidanza si ha una maggiore esposizione dei recettori per l’ossitocina sia a livello delle ghiandole mammarie, che del
tessuto uterino.
La produzione dell’ossitocina è anche molto importante per stimolare l’eiezione, e non la produzione, del latte; perché
per la produzione del latte viene attivato l’ormone prolattina. Gli stimoli che permettono un incremento della
stimolazione di ossitocina sono la distensione della cervice uterina durante la fase del parto ma anche l'azione di
suzione del capezzolo da parte del bambino stimola questa secrezione di ossitocina, andando ad agire a livello
dell'ipotalamo e quindi l’ipotalamo a sua volta produce l’ossitocina e la rilascia poi a livello dell’adenoipofisi.
2. La vasopressina (ADH) viene chiamata anche ormone antidiuretico, in realtà va ad agire prevalentemente a livello dei
tubuli renali determinando una riduzione dell'escrezione di acqua; quindi, si ha un aumento del volume plasmatico.

LA TIROIDE
La tiroide è il primo esempio di quello che è l'asse lungo di regolazione ipotalamo-ipofisi-ghiandola endocrina bersaglio e
proprio perché l’ipotalamo produce un ormone detto ormone tireotropo o TRH, che stimola le cellule tirotrope alla
produzione del TSH, ovvero dell’ormone tireostimolante. L’ipofisi produce il TSH, che agisce a livello della tiroide vera e
propria, stimolando la produzione degli ormoni tiroidei. Anche in questo caso parliamo di feedback di regolazione ad asse
lungo e asse corto. La tiroide è un organo a forma di farfalla che è posta davanti alla trachea ed è divisa in due lobi, destro
e sinistro, uniti da un istmo, un ponte di questo tessuto connettivo.

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La tiroide svolge due funzioni:


1. A livello endocrino produce ormoni tiroidei veri e propri, definiti anche iodio-tironine che sono rappresentati da
T3 (tri-iodio-tironina) e T4 (tetra-iodio-tironina) e parliamo di ormoni che sono in grado di agire a livello del
metabolismo generale. Stimolano anche l’accrescimento dell'organismo. Poi immerse nelle cellule della tiroide,
definite tireociti, troviamo delle cellule C o dette cellule para follicolari, che invece producono calcitonina, che è un
ormone coinvolto nel ricambio del calcio.
2. Un'altra caratteristica della tiroide è che sulla sua faccia posteriore troviamo quattro ammassi di tessuto che si
differenziano dal tessuto tiroideo vero e proprio, definiti paratiroide, che sono invece responsabili della produzione
del paratormone, che va ad agire in contrasto con la calcitonina al fine di mantenerne omeostasi del calcio.

PRODUZIONE DEGLI ORMONI TIROIDEI

Quando parliamo di ormoni tiroidei ci riferiamo al follicolo tiroideo che rappresenta la unità funzionale della tiroide vera e
propria e ogni follicolo tiroideo è costituito da un unico strato di cellule definite tireociti, che circondano una cavità
centrale ricca di una proteina. Questa cavità centrale all'interno del follicolo viene definita colloide, e la proteina
principalmente presente è la tireoglobulina. La tireoglobulina è estremamente importante per garantire la sintesi degli
ormoni tiroidei. Ovviamente i tireociti presentano un reticolo endoplasmatico e un apparato del Golgi estremamente
sviluppati, proprio per permettere la sintesi di questi tipi di ormoni e delle proteine quindi coinvolte nella sintesi di questi
ormoni. La quantità di colloide è in relazione all'attività della ghiandola. Quindi, se la ghiandola è inattiva, la colloide si
addensa e viene immagazzinata all'interno di questi tireociti, quindi ne abbiamo un’elevata quantità, e questo perché il
TSH e il TRH stimolano di continuo l'attività della ghiandola tiroidea ma effettivamente si ha una scarsa produttività degli
ormoni tiroidei. Allora la quantità di questa colloide, cioè di questo liquido all'interno dei follicoli è in proporzione
all'attività della ghiandola, più è attiva la ghiandola e meno colloide troviamo. Esistono delle zone, che sono definite
lacune di riassorbimento, dove effettivamente i tireociti vanno a riassorbire gli ormoni tiroidei che vengono riversati
all'interno della colloide e li versano poi nei capillari. Quando, invece, la ghiandola risulta essere inattiva i tireociti
assumono una forma più appiattita, creano una linea più appiattita e non si notano le lacune di riassorbimento e la
colloide risulta essere accumulata in elevate quantità.

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La biosintesi degli ormoni tiroidei si verifica a partire da una idonea quantità di iodio, di circa 150 microgrammi giornalieri
e al di sotto di tale quantità gli ormoni tiroidei non possono essere sintetizzati perché la ghiandola non è in grado di iodare
quelli che sono i precursori degli ormoni tiroidei, o meglio lo possono fare ma solo per un breve periodo, dopodiché inizia
una forma di carenza di ormoni tiroidei. Lo iodio è fondamentalmente di origine alimentare, oppure un’altra fonte
importante di odio è quella che possiamo assumere grazie alla respirazione nelle zone vicino al mare.
Oggigiorno per garantire un idoneo apporto di odio viene suggerito il consumo di alimenti iodati o il sale. Esso è
consigliato per i soggetti che lavorano lontano dal mare, al fine di ottenere una quota sufficientemente elevata di iodio.

Quindi lo iodio che viene assorbito a livello intestinale, viene portato in circolo e deve essere poi captato ad opera dei
tireociti che lo possono assorbire grazie uno specifico trasportatore, che è il mix sodio-iodio simporto, o meglio ioduro,
perché viene assorbito su dei trasportatori sotto forma di ioduro.
Una volta che è stato assorbito, viene captato dal tirocita e viene riversato verso la membrana apicale, quindi quella che
volge verso la colloide, il lume del follicolo tiroideo. Qui si ha quella che è l’ossidazione da ioduro a iodio molecolare e
contemporaneamente si ha l’organicazione dello iodio sulla molecola di tireoglobulina.

Questo è possibile grazie alla perossidasi tiroidea, un enzima che attiva sia i meccanismi d'ossidazione dello ioduro e iodio
molecolare che l'organizzazione di questo ioduro all'interno della tireoglobulina. In questo modo vengono prodotti quelli
che sono i precursori degli ormoni tiroidei, ovvero mit e dit mono-iodio-tirosina e di-iodio-tirosina e poi una volta
prodotte, queste due sostanze vengono accoppiate. dall'unione di una mono-iodio-tironina e una
di-iodo-tironins si hanno l’ormone T3, dall’unione di due di-iodio-tironine si ha l’ormone T4.

Una volta secreti, questi vengono prodotti all'interno della colloide e poi vengono riassorbiti dai tireociti e riversati
all'interno del circolo sanguigno. Questo riassorbimento di T3 e T4 avviene ad opera della stimolazione del TSH, quindi da
parte dell’adenoipofisi. Se non si ha la stimolazione da parte del TSH allora si addensano gli ormoni tiroidei, quindi la
colloide incrementa il suo volume. Una volta che vengono riversati nel circolo sanguigno la maggior parte degli ormoni
tiroidei circola legato a delle proteine. La principale proteina è la proteina legante la T4 e poi abbiamo la transtiretina,
inoltre parte degli ormoni è legata anche dall' albumina. La molecola di partenza è la tirosina, che può essere o iodata
un'unica volta durante il processo di organicazione dello iodio, e quindi abbiamo la
mono-iodio-tirosina, oppure viene iodata su due carboni dell'anello fenolico, e otteniamo la di-iodio-tirosina.

Come vengono sintetizzati gli ormoni tiroidei?


Lo ormone T4 è quello che presenta quattro atomi di iodio, due sull'anello esterno, e due sull’anello interno; mentre la tri-
iodio-tirosina (T3) presenta uno atomo di iodio sull'anello esterno e due sull'anello interno. Tra T4 e T3, l’ormone
metabolicamente attivo è il T3, considerato come un pre-ormone perché deve essere attivato poi a livello delle cellule
bersaglio.
Altra caratteristica è che è possibile che i mono-iodio-tironina e i di-iodio-tironina vengano vengono accoppiati in senso
opposto l'uno rispetto all'altro, e quindi si ha che l'anello esterno abbia due atomi di iodio e quello interno ne abbia uno
solo. Si parla allora di RT£ ovvero di T3 inversa, in cui vengono invertiti gli anelli fenolici, e questo ormone viene sempre
prodotto, seppur in piccole quantità, ma non sembra avere attività metabolica, quindi, non sembra essere un ormone
attivo. La caratteristica degli ormoni tiroide è che poi arrivati a livello delle cellule bersaglio devono essere deiodinate
affinché possano svolgere la loro funzione e quindi esistono tre categorie di deiodinati, questi enzimi che sono in grado di
attivare effettivamente gli ormoni tiroidei che quindi loro possono iniziare la loro attività metabolica.
Queste tre deiodinasi si differenziano per le capacità di riconoscere T3 piuttosto che T4 e per i loro differenti siti di
distribuzione.Gli ormoni tiroidei, prima di tutto, sono coinvolti nell’attivazione del metabolismo cellulare, in quanto
vanno ad impostare la velocità di ricambio all'interno della cellula; quindi, si ha un aumento di ricambio dei componenti
cellulari; quindi, si ha alla fine un aumento della velocità di turnover di tutti i costituenti, una maggior sintesi e maggior
degradazione delle varie sostanze. Alla fine nella cellula si ha un aumento del metabolismo, del dispendio energetico, e
quindi del metabolismo basale. Altra caratteristica degli ormoni tiroidei è che sono in grado di aumentare la termogenesi,
ovvero la quantità di calore che viene prodotto dal soggetto, questo è possibile grazie alla stimolazione da parte degli
ormoni tiroidei di proteine particolari che sono definite proteine disaccoppianti, che si trovano all'interno dei mitocondri,
che letteralmente rubano questi elettroni dalle catene di trasporto degli elettroni e dissipano queste forme energetiche
sotto forma di calore.
Quindi è ovvio che l'attività termogenica di tutte le cellule va ad essere incrementata, e allora il mitocondrio utilizzerà altra
energia per poter svolgere comunque la sua attività di base. Queste proteine disaccoppianti sono molto presenti in quello
che è il tessuto bruno dei soggetti. Il tessuto bruno è un particolare tipo di tessuto che è presente soprattutto alla nascita
e man mano si riduce nell’avanzare dell’età, per cui l'effetto termogenico dettato da queste cellule si riduce proprio per
riduzione di questa caratteristica di questo tipo di tessuto. Gli ormoni tiroidei sono estremamente importanti per lo
sviluppo di tutti i sistemi, in particolar modo del sistema nervoso centrale, tali ormoni sono importanti durante il periodo
di vita fetale, quindi già in gravidanza.

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Nella gravidanza quelli che fanno da padroni sono fondamentalmente ormoni materni. Ovviamente poi nei primi mesi di
vita del soggetto, per completare la maturazione del sistema nervoso centrale, si attiva poi subito la funzionalità della
ghiandola tiroidea.
Un altro effetto degli ormoni tiroidei è quello sul muscolo cardiaco, perché stimola l'espressione dei recettori beta
adrenergici sulle cellule cardiache; quindi, questo comporta una maggior forza e una maggior frequenza di contrazione a
livello del cuore. inoltre, la miosina, che sarebbe la catena pesante delle unità contrattili, presentano diverse forme
quando stimolati dagli ormoni tiroidei si viene a stimolare la produzione dell’isoforma alfa della miosina, che ha un
maggiore funzione di ATP, quindi, è in grado di creare una maggior forza della contrazione.
Un altro fattore estremamente importante è che gli ormoni tiroidei aiutano l'attività del GH, aiutano formare nuclei di
ossificazione per facilitare la crescita lineare dell'organismo, tanto che carenza di ormoni tiroidei, anche in questo caso,
può portare a quello che viene definito un nanismo, ma un nanismo non ipofisario. Ma l’ormone tiroideo, essendo che va
a variare il metabolismo cellulare, ovviamente ha azione anche sul metabolismo dei vari nutrienti, quali grassi, a livello dei
carboidrati va aumentare la velocità di assunzione del glucosio e aumenta la velocità anche di assorbimento intestinale del
glucosio stesso e stimola la gluconeogenesi. A livello del metabolismo dei grassi, ovviamente, viene stimolato l'utilizzo dei
grassi come fonte energetica e quindi anche in questo caso, come è stata vista nel GH, si può avere una riduzione dello
stimolo della lipolisi e quindi una riduzione del tessuto adiposo.

Qual è l’asse di regolazione?


A partire dall'ipotalamo si ha la produzione del TRH, il quale stimola l'ipofisi anteriore, alla produzione di TSH e questo va
ad agire sui follicoli tiroidei stimolando la produzione di T3 e T4, i quali in circolo svolgono le varie funzioni sulle cellule
bersaglio, ma fungono anche da asse di regolazione per ridurre la produzione di TSH e TRH.
Se consideriamo a livello ipotalamico sono anche in grado di regolare il dispendio energetico e il comportamento
alimentare, ovviamente andando ad incrementare tutte le funzioni metaboliche della cellula e andando ad incrementare
l'attività termogenica dell'organismo, vanno a regolare il dispendio energetico e inoltre sono in grado di agire su quello
che è il centro della fame e della sazietà a livello dell'ipotalamo stesso. Stimola poi l'espressione delle cellule beta del
pancreas, ovviamente per andare a migliorare il profilo glucidico e va a regolare poi l'omeostasi del dei lipidi, sul tessuto
adiposo bianco e sul tessuto adiposo bruno anche va ad agire, in particolare nel bruno va aumentare il livello di
espressione delle proteine disaccoppianti stimolando questa termogenesi.
L’ipertiroidismo è dettato da un’eccessiva secrezione di ormoni T3 e T4 e questo comporta sensibilità al caldo, perché
abbiamo una forte termogenesi. Il soggetto però risulta anche facilmente irritabile perché generalmente gli ormoni
tiroidei determinano un aumento nella stimolazione del tessuto nervoso nella velocità dei processi mentali e quindi nel
momento in cui si ha un’eccessiva secrezione dei degli ormoni tiroidei, esso può portare anche stabilità.
Inoltre, è associato a perdita di peso per un aumento del metabolismo. L’opposto si verifica invece per una carenza degli
ormoni tiroidei, soprattutto questo è anche associato a letargia, stanchezza facile a praticabilità da parte del soggetto
intollerante al freddo, aumento di peso perché abbiamo un rallentamento del metabolismo cellulare e anche una ridotta
frequenza cardiaca, associata a una ridotta espressione dei recettori beta sulle cellule del cuore.
Il gozzo endemico, infatti, si viene a creare quando si ha una carenza di iodio, perché in questi sacchetti, i TRH vengono
continuamente prodotti, proprio perché viene a mancare il feedback negativo da parte degli ormoni tiroidei, per cui i
tireociti lavorano in continuo per produrre sempre nuova colloide e nuova tireoglobulina che quindi si addensano.
Possiamo anche avere un ipotiroidismo dovuto a tiroiditi, cioè un processo autoimmunitario che porta alla distruzione
della tiroide, e quindi è normale che abbiamo una riduzione o completa inattività della secrezione degli ormoni tiroidei.
Anche in questo caso si manifesta con soggetti i quali presentano più o meno la stessa sintomatologia di quelli con
ipotiroidismo. Le cellule para follicolari, che si ritrovano immerse tra i follicoli tiroidei, hanno la funzione di produrre un
altro ormone, la calcitonina. La calcitonina è un ormone ipocalcemizzante quindi va a inibire la liberazione di calcio da
parte del tessuto osseo, però in associazione alla calcitonina agisce anche l’ormone paratiroideo prodotto dalle paratiroidi,
che sono questi ammassi di tessuto posti sulla pasta faccia posteriore della tiroidorganismo.

AZIONI DEL PARATORMONE E DELLA CALCITONINA


Il paratormone ha effetto opposto rispetto alla calcitonina, in quanto è un ormone ipercalcemizzante.
Ovviamente ci sono dei recettori che vanno a registrare i livelli di calcio nel nostro organismo e praticamente la secrezione
dell’uno o dell’altro ormone è in funzione di quella che è l'omeostasi del calcio.
Quando vengono incrementati i livelli del calcio, allora si stimola la calcitonina che arriva dal sistema del rilascio della
calcitonina, da parte delle cellule para follicolari. Questo calcio in eccesso viene così depositato ma viene anche ridotto il
riassorbimento del calcio a livello renale, per far sì che poi i livelli sierici di calcio tornino in quelli che sono i range di
normalità. Quando invece i livelli del calcio si abbassano al di sotto dei range di normalità, allora si ha un'attivazione delle
ghiandole delle paratiroidi, che producono l’ormone paratiroideo, che fa rilasciare maggior calcio da parte delle ossa, e
deve anche aumentarne l’assorbimento a livello intestinale. Inoltre, va anche ad aumentare il riassorbimento a livello
renale, quindi ne riduce l’escrezione, e questo andrà ad aiutare a far tornare i livelli di calcio dentro range considerati
idonei per organismo.

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IL SURRENE
Le ghiandole del surrene sono oste al di sopra del rene, sono unite da tessuto connettivo
lasso. Riconosciamo due zone all'interno del surrene:
- la zona interna, che è la midollare,
- la zona corticale.
Ogni zona è caratterizzata da un'organizzazione struttura di cellule tali da e da una presenza
di specifici enzimi che permettono la produzione di ormoni differenti.
La zona corticale è correlata alla produzione di ormoni che partono dal colesterolo che viene
differentemente modificato per ottenere i diversi ormoni; dalla zona glomerulare abbiamo la
produzione di aldosterone, che è il principale ormone mineralcorticoide, va ad agire sul
ricambio idrosalino, va a regolare i livelli di sodio e potassio all'interno del nostro nel nostro
plasma, e quindi ne regola la ricaptazione o meno a livello dei tubuli renali;
dalla zona fascicolata invece viene prodotto il cortisolo che è il principale ormone definito
glico-corticoide in quanto è lo steroide in grado di andare ad agire sul metabolismo degli
zuccheri, quindi va ad incrementare quella che è la gliconeogenesi epatica.
Lo scopo è quello di aumentare la produzione di glucosio per il nostro organismo in condizioni
di stress, però c'è anche la produzione di androgeni, gli ormoni sessuali, che sono coinvolti
nella zona reticolare, in particolare nello sviluppo degli organi sessuali.
La zona midollare è coinvolta nella produzione di catecolamine, dopamina, adrenalina e
noradrenalina. L’adrenalina viene prodotta per l’80 90% e non è altro che un prodotto
derivato dalla metilazione della noradrenalina e questi ormoni hanno un’azione sia a livello
cardiovascolare che della muscolatura dei bronchi; quindi, vedremo come sono in grado di
mettere l’organismo in condizione di fare rispondere a una reazione di lotta o fuga.
Questi ormoni steroidei iniziano a produrre dalla stessa struttura del colesterolo e il ciclo pentanoperidrofenantrene,
questi quattro anelli fenolici costituiti da 17 atomi di carbonio però poi nel colesterolo si ha una catena a livello del
diciassettesimo atomo di carbonio, abbiamo l’aggiunta di questa catena laterale che permette alla molecola di avere una
struttura 27 automi. Nelle diverse zone del surrene abbiamo differenti enzimi coinvolti nella idrossilazione, piuttosto che
metilazione o carbossilazione, quindi questa catena laterale viene modificata, così come parte degli anelli fenolici vengono
modificati in modo da ottenere diversi ormoni, secreti appunto dalla corticale del surrene, come il cortisolo piuttosto che
ad esempio l'aldosterone.

Il cortisolo viene secreto in risposta a quella che è l'asse di regolazione ipotalamo-ipofisi-surrene in seguito a condizioni di
stress acuto. Fondamentalmente l’ipotalamo produce il CRH, ovvero l’ormone rilasciante la corticotropina che agisce
sull’adenoipofisi e stimola le cellule corticotrope a produrre l’ACTH, ovvero l’ormone adenocorticotropo, che agisce a sua
volta sulla corteccia del surrene, stimolando la produzione del cortisolo.
Il cortisolo agisce a livello di diversi tessuti, a livello del muscolo stimolando il catabolismo proteico, quindi va a distruggere
le proteine muscolari, per queste proteine muscolari vengono smantellati gli aminoacidi liberi che vanno al fegato per
produrre nuovo glucosio, a livello dei tessuti stimola la lipolisi, in cui anche gli acidi grassi e il glicerolo poi vengono
utilizzati per produrre nuovo glucosio, e poi il fegato dove avviene quella che è la gluconeogenesi e quindi la sintesi di
nuove molecole di glucosio.

Il cortisolo ha anche effetti antinfiammatori e antiallergici e va sopprimere quella che è la funzione del sistema
immunitario. A livello del metabolismo intermedio, il cortisolo a livello delle cellule muscolari inibisce la sintesi ma stimola
la proteolisi delle proteine muscolari, quindi questi aminoacidi liberi poi vanno al fegato per produrre glucosio, a livello del
tessuto adiposo invece c'è una stimolazione della lipolisi e inibizione della lipogenesi, quindi gli acidi grassi vengono
liberati e vanno nuovamente al fegato per incrementare il livello di glucosio, quindi il tutto per ottenere livelli di glucosio
maggiori. Ovviamente la secrezione di cortisolo è in relazione alla secrezione dei rispettivi ormoni ipotalamici, piuttosto
che ipofisari, e quindi quando si ha un' ipersecrezione primaria è dettato da un eccessiva secrezione a livello della
corteccia surrenale, mentre un ipersecrezione secondaria di cortisolo può essere dettata o da deficit a livello
dell’adenoipofisi o da deficit a livello ipotalamico, ma è possibile arrivare a quello che è il morbo di Cushing, dettato da un'
eccessiva produzione di glucocorticoide. In questo caso è normale che abbia un eccessivo catabolismo proteico, tutte le
proteine del nostro organismo vanno incontro a proteolisi e quindi la cute risulta essere assottigliata, che mostra anche
striature e una ipotrofia muscolare, si può avere un aumento della peluria, dell’acne, per un'alterazione degli ormoni
sessuali.

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L’ALDOSTERONE
L’aldosterone è il principale ormone mineral-attivo, ha effetti sia sui reni che sulle ghiandole sudoripare e le ghiandole
salivari. La sua funzione è quella di andare a incrementare più assorbimento di sodio ed escrezione del potassio, e quindi
va a prevenire più la perdita di sodio con le urine, con la saliva e col sudore. Dobbiamo considerare quello che è il sistema
renina-angiotensina, in cui a livello dell'apparato iuxtraglomerulare viene registrato una riduzione della pressione
arteriosa; quindi, abbiamo degli osmorecettori fondamentalmente che vanno a stimolare la produzione della renina.
La renina attiva l’angiotensinogeno in angiotensina uno e poi questa viene attivato in angiotensina due. Sarà l'angiotensina
due a stimolare la zona glomerulare del surrene alla produzione dell'aldosterone. Una volta secreto l’aldosterone, esso va
a ridurre appunto l’escrezione di sodio ed acqua, va aumentare la ritenzione del sodio. Ovviamente quando aumenta la
quantità di sodio all'interno di un fluido, si ha un aumento del richiamo di acqua; quindi, anche l'acqua viene trattenuta e
non viene escreta e quindi si ha un aumento del volume del liquido extracellulare perché aumenta il volume plasmatico.
Questo aumento di pressione viene registrata a livello dei recettori di pressione presenti nell’apparato iuxtaglomerulare e
quindi si ha l'inibizione della secrezione di renina; quindi, come potete vedere anche in questo caso parliamo di un circuito
di regolazione per l’aldosterone al fine ultimo di poter regolare il volume plasmatico, quindi il volume del liquido
extracellulare. Altra secrezione sono le catecolamine e sono secrete dalla midollare del surrene. Le catecolamine vengono
rilasciate in condizioni o di ipoglicemia, quando il nostro sistema nervoso centrale riconosce una condizione di attacco o
fuga o lotta, l'azione delle catecolamine è estremamente rapida e breve e lo scopo è quello di mettere l’organismo in una
condizione tale da poter rispondere a uno stato di eccessiva ansia, paura o stress acuto.
Tutte le cellule del nostro organismo risultano essere le cellule bersaglio delle catecolamine e lo scopo è quello di
aumentare quanto più possibile la disponibilità di glucosio per le diverse cellule e contemporaneamente aumentare la
disponibilità di ossigeno per permettere una pronta risposta, allora si ha un aumento della secrezione del glucagone e una
riduzione della secrezione di insulina, che come vedremo sono due ormoni antagonisti nella regolazione del livello di
glucosio nell’organismo e si ha una riduzione della peristalsi intestinale.
A livello metabolico, aumentano gli acidi grassi liberi e il glucosio in modo tale che questi acidi grassi possono comunque
andare a essere utilizzati come fonte di energia, si ha un incremento del metabolismo corporeo.
L'attività di risposta da parte di un organo, di un tipo di cellula o meglio di un tipo di apparato rispetto all'altro agli ormoni,
quindi alle catecolamine, quindi gli ormoni adrenalina, noradrenalina è in funzione dell’espressione dei diversi tipi di
cellule e dei diversi tipi di recettori. In generale ricordiamo che i recettori Alfa determinano vasocostrizione e determinano
un’inibizione della lipolisi e aumento del glucagone; i recettori beta invece stimolano una vasodilatazione e
broncodilatazione e soprattutto aumentano la forza e la frequenza di contrazione cardiaca a livello del sistema
cardiocircolatorio. In realtà adrenalina e noradrenalina hanno un'azione importante nel flusso di sangue nei diversi
distretti corporei, i distretti ad esempio associati all’apparato muscolare e all'apparato respiratorio determinano una
vasodilatazione, questo perché dobbiamo poter aumentare la pressione del sangue per garantire una buona efficienza di
prestazione da parte di questi apparati e, inversamente, negli apparati che invece non risultano essere indispensabili in
una reazione di attacco fuga, quali possono essere l’apparato intestinale oppure a livello della cute c’è una riduzione della
flusso di sangue e quindi ad esempio abbiamo un blocco della digestione e un pallore che possiamo non notare a livello
della cute stessa.

Abbiamo diverse azioni a seconda di quelli che sono i distretti dell'organismo: tenete presente che lo scopo principale è
sempre quello di aumentare l’afflusso di ossigeno di sangue ai distretti coinvolti in una reazione di attacco fuga e allora a
livello cardiaco abbiamo recettori beta adrenergici che aumentano la forza e la velocità di contrazione quindi possono
determinare un incremento dell'attività cardiaca stessa, a livello del tratto gastro intestinale ma anche urinario hanno
recettori beta due invece che riducono la motilità e quindi non vi è bisogno di attivare utilizzare energia per garantire la
funzionalità ad esempio della motilità gastrica perché in questo momento viene bloccata; al livello dei bronchioli invece
abbiamo sempre recettori beta due ma in questo caso danno una vasodilatazione poter garantire un idoneo afflusso di
ossigeno. Se vogliamo destinare a differenziare un po’ quelle che sono le azioni della simulazione della corticale della
midollare del surrene, quando parliamo di midollare del surrene abbiamo fondamentalmente la produzione di adrenalina
e noradrenalina che rappresentano una risposta al rapida allo stress quindi tutto ciò che è associato a un blocco dello
stoccaggio del glucosio e una simulazione dell' utilizzo del glucosio da parte delle cellule coinvolte nella pronta risposta
dell'organismo, quando invece parliamo di una risposta a lungo termine allo stress da una parte viene iuxtaglomerulare
attivata la corticale del surrene che da una parte va a produrre mineral-corticoidi per regolare la pressione sanguigna,
quindi una risposta lungo termine allo stress e dall'altro invece abbiamo glico-corticoide che invece vanno a determinare
un aumento della disponibilità di glucosio però a lungo termine e anche una soppressione delle funzioni immunitarie.

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L’EPIFISI
L’epifisi è una piccola ghiandola che troviamo all'interno del
nostro cervello e origina alla volta del terzo ventricolo.
La caratteristica di questa ghiandola è che nonostante sia molto
piccola, va incontro a degenerazione con l'età, in quanto si ha un
accumulo di ioni di bicarbonato di calcio all'interno dell’epifisi
stessa. L’importanza a livello endocrino è dettata dalla
produzione dell'ormone melatonina, da parte delle cellule
definite pinealociti.
La melatonina è estremamente importante per andare a regolare
quello che è il ciclo sonno-veglia, e quindi c'è una maggior
produzione di melatonina durante le ore di buio è una minor
produzione di melatonina durante le ore di sonno. In realtà la produzione di melatonina è opposta rispetto a quella della
serotonina, essa è importante perché andando a regolare il ciclo sonno veglia va regolare quello che è l'orologio biologico
del soggetto. L'importanza della melatonina si nota soprattutto quando facciamo un volo transcontinentale, cioè il jet lag,
questo tempo necessario affinché il nostro organismo sia in grado di regolarizzare il proprio orologio biologico al nuovo in
fase di ore di buio ore di luce nell'arco della giornata.
La stimolazione della melatonina avviene grazie all’attivazione da parte di fotorecettori presenti nella retina.
Il problema è che quando facciamo un viaggio transcontinentale, l'ideale sarebbe quello di assumere della melatonina a
livello di integratore almeno una settimana prima del viaggio in modo da riuscire ad adattare nostri cicli biologici in modo
più rapido all'arrivo nella nuova destinazione e, viceversa, assumere melatonina prima di rientrare in modo tale da
permettere di aiutare questa regolazione del ciclo sonno-veglia. La liberazione della melatonina è dettata dalla
stimolazione di fotorecettori a livello della retina, che tramite il chiasma ottico e l’ipotalamo vanno a stimolare l’epifisi
nella produzione della melatonina stessa, e allora è importante la sera ad esempio evitare di stimolare la retina con
utilizzo eccessivo di dispositivi elettronici, televisori, computer o quant'altro al fine di permettere una corretta produzione
della melatonina, che poi andrà a mantenere una riduzione delle diverse attività biologiche per garantire il ciclo
dell'orologio biologico dell'organismo stesso.

IL PANCREAS
Parlando dell'apparato digerente avevamo accennato che sono distinte in pancreas esocrino ed endocrino e la parte
endocrina è rappresentati da questi isolotti di Langerhans, che sono degli ammassi di cellule che sono presenti lungo tutto
il pancreas ma soprattutto nella parte della coda del pancreas, cioè nella zona che volge verso l’ipocondrio sinistro.
All’interno di questi isolotti pancreatici troviamo tre tipi di cellule:
-Le cellule Alfa o cellule A che producono l’ormone glucagone, che è un ormone iperglicemizzante, cioè ha lo scopo di
stimolare il nostro organismo all’incremento degli zuccheri nel sangue, del glucosio; quindi, stimola il rilascio di glucosio da
quelle che sono i tessuti di deposito quali ad esempio il fegato e il tessuto muscolare.
-Le cellule Beta, che sono quelle più numerose, sono quelle che producono l'insulina. L'insulina è un ormone
ipoglicemizzante, ovvero ha azione opposta rispetto a quella del glucagone e vedremo come è proprio il livello di glucosio
nel sangue a stimolare la secrezione dell'uno o dell'altro.
-Le cellule D, che sono delle cellule e che vanno a produrre somatostatina, che ha azione inibente a livello delle cellule alfa
e beta.
Quando parliamo dell’insulina, parliamo comunque di un ormone peptidico che ha la caratteristica di agire subito a livello
epatico, prima di essere immesso nella circolazione sistemica e la lega un suo specifico recettore che permette poi la
risposta da parte delle diverse cellule all'insulina stessa. Questo perché ci sono dei tessuti che vengono definiti
insulino-sensibili e quindi l’insulina è importante per questa categoria di tessuti affinché possano assorbire il glucosio.
In primo luogo, parliamo del tessuto muscolare, poi del tessuto adiposo ma anche il fegato, seppur rappresenta un po'
un'eccezione, poi abbiamo i tessuti insulino-insensibili, che quindi sono quei tessuti che in realtà sono in grado di
assimilare il glucosio grazie anche in assenza dell’insulina.
Ovviamente se parliamo del cervello, ad esempio, che utilizza il glucosio come unica fonte di energia non possiamo
aspettare la presenza di insulina affinché esso possa nutrirsi, e quindi rientra tra le categorie di tessuti
insulino-insensibili. Quindi in linea generale la funzione dell’insulina è quella di garantire e di permettere l’assorbimento
del glucosio da parte dei diversi tessuti e in tal modo svolge la sua azione ipoglicemizzante; quindi, va abbassare i livelli di
glucosio nel circolo sanguigno. Ma dobbiamo distinguere tra tessuti insulino-sensibili e tessuti insulino-insensibili:
nel momento in cui l'insulina si va a legare al proprio recettore, stimola l'esposizione da parte dei tessuti di quelli che sono
i trasportatori per il glucosio e quindi questi tessuti sono in grado di assorbire più glucosio, però l' eccezione a livello
epatico, del fegato, è perché nel caso del glucosio non si ha un aumento del numero di trasportatori di glucosio, più che
altro l’insulina facilita la fosforilazione del glucosio che è entrato all'interno degli epatociti. La fosforilazione è il passaggio
di glucosio a glucosio 6-fosfato, e rappresenta il primo step della glicolisi.

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Quindi all'interno dell’epatocita viene sempre riconosciuto un basso livello di glucosio perché il glucosio 6-fosfato non è
paragonabile ad un glucosio a livello di equilibrio di molecole e quindi un nuovo glucosio entra all'interno della cellula e
viene assorbito dagli epatociti e questo può essere assorbito ed entrare nella glicolisi o immagazzinato sotto forma di
glicogeno che quindi entra nella glucogenesi.
Se dobbiamo mantenere un equilibrio di una sostanza tra l'interno e l'esterno della cellula, se passiamo all'interno della
cellula da glucosio a glucosio 6-fosfato le glucosio-permeasi non riescono a riconoscere più il glucosio, quindi, continuano
ad assorbire nuovo glucosio perché non viene registrato un aumento di concentrazione di glucosio nella cellula.
A livello invece di altri tessuti insulino-sensibili abbiamo:
- a livello del tessuto muscolare, viene facilitato il trasporto all'interno della cellula di glucosio ma contemporaneamente
avviene anche una facilitazione dell'ingresso degli amminoacidi e quindi si ha un aumento della sintesi proteica a livello
del tessuto.
- a livello del tessuto adiposo, da un lato avviene inibita la lipasi intracellulare e dall'altra si ha un aumento della
formazione di lipogenesi perché ovviamente questo glucosio entra nella cellula viene poi utilizzato per formare nuovi
grassi, quindi l'effetto generale è un effetto di ipoglicemia.

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Quando viene secreta però l’insulina?


Quando siamo in fase di digiuno, quindi quando siamo in fase
di ipoglicemia normale, allora l'attività di secrezione
dell'insulina è inibita ed è attivo il glucagone; quindi, a livello
epatico viene stimolata la sintesi di nuovo glucosio che deve
essere sempre mantenuto a un livello costante, entro certi
range, per garantire la funzionalità del cervello.
A livello di fegato e muscoli, se facciamo, in fase di digiuno,
attività fisica, viene stimolato l'utilizzo del glicogeno, quindi
del glucosio di riserva, quindi parliamo di glicogeno lisi.
Nel tessuto adiposo inizia la liberazione di acidi grassi, quindi
che vengono ossidati per formare energia.
Quando si inizia ad assumere glucosio, il glucosio in circolo
agisce a livello del pancreas, si ha la liberazione dell’insulina
da parte delle cellule beta del pancreas e questo stimola
l'utilizzo del glucosio da parte di tutte le cellule
dell’organismo, per cui non c'è più una distruzione delle
proteine. Le proteine vengono risparmiate e anche i grassi non
vengono più utilizzati come fonte energetica.
La fonte energetica principale organismo diventa il glucosio.
Se si aumenta troppo la quota di glucosio che ne assorbiamo
quindi in caso di eccesso di glucosio, allora questa parte del
glucosio viene immagazzinata a livello di muscolo e fegato
sotto forma di glicogeno, e aumentano anche però i depositi di grasso e quindi abbiamo un anabolismo proteico che porta
una crescita anche dei tessuti.
Quando parliamo di diabete, viene definito diabete mellito perché è caratterizzato dalla carenza dell’insulina.
In realtà esistono due categorie di diabete:
- il Diabete di tipo 1, che viene anche definito diabete giovanile, dove c'è un'auto distruzione delle cellule beta del
pancreas; quindi, il soggetto non è assolutamente in grado di produrre insulina,
- il Diabete di tipo 2 o a carenza relativa, che è di origine fondamentalmente alimentare ed è dettato da un consumo
eccessivo di alimenti ricchi in zuccheri, quindi da una stimolazione eccessiva nel tempo delle cellule beta del pancreas
e conseguente diminuzione della sensibilità all'insulina da parte dei diversi tessuti.

Il diabete giovanile può essere curato solo con l'assunzione di insulina, mentre il diabete alimentare può essere curato
prima con un approccio terapeutico alimentare e poi fino ai casi più gravi si arriva comunque all'assunzione di insulina.
Esso inizia con un’iperglicemia quindi si ha una diminuzione dell’assunzione di glucosio da parte dei diversi tessuti e poi
però associata anche ad un aumento di liberazione di glucosio dai tessuti, perché i tessuti non riconoscono un aumento
della glicemia nel circolo sanguigno e quindi tendono a liberare ulteriore glucosio e tendono a rompere le molecole di
glicogeno al fine di incrementare il glucosio nel circolo sanguigno, convinti che esso debba essere utilizzato dal cervello
come fonte energetica. Con l’aumentare della glicemia, si arriva anche all’inizio di perdite di glucosio con le urine, si ha un
incremento dell’urinazione, soprattutto durante le ore notturne e questo è dovuto al fatto che l'incremento di glucosio
nell’acqua dei tubuli renali determina un richiamo di acqua stessa e quindi una poliuria associata a questo aumento del
volume di liquido dell'acqua nei tubuli renali. A livello metabolico ovviamente abbiamo poco utilizzo del glucosio e quindi
aumenta il catabolismo delle proteine, non viene riconosciuto questo glucosio elevato nel circolo sanguigno quindi gli
aminoacidi presenti nelle proteine vengono convertiti per vengono smantellati per essere convertiti il nuovo glucosio
quindi abbiamo quella che viene definita la gluconeogenesi questo nuovo cosa viene comunque rilasciato nel sangue e
contribuisce all’incremento dei livelli di glucosio.

Abbiamo lo stesso fenomeno di ossidazione a livello del tessuto adiposo perché anche in questo caso sia una liberazione di
acidi grassi che poi vengono portati al fegato per creare nuovi glucosio e quindi il problema è che si viene a instaurare un
circolo vizioso: si ha un minor utilizzo di glucosio a livello dei vari tessuti, i vari tessuti tendono a produrre il nuovo glucosio
perché non riconoscono quello in circolo, contemporaneamente si ha uno scarso utilizzo del glucosio che determina una
richiesta da parte delle varie cellule di glucosio stesso e comporta una sensazione di fame che porta a ulteriore iperfagia.
Quindi il soggetto, nonostante abbia un elevato livello di glucosio nel sangue questo glucosio non viene utilizzato e quindi
ha comunque una sensazione della fame con il tentativo di soddisfare la richiesta di glucosio da parte delle diverse cellule.

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Il problema è che a lungo andare si va incontro ad acidosi metabolica perché così si accumulano quelli che sono i corpi
chetonici nel nostro organismo, inizialmente questa acidosi viene compensata a livello renale e respiratorio ma man mano
si ha una riduzione del PH, perché tutti PH intracellulari iniziano a diventare più acidi e abbiamo visto che i neuroni sono
estremamente sensibili alla riduzione del PH, e quindi si ha un'inattivazione delle funzioni nervose con conseguente rischio
di insorgenza di coma e morte se non viene somministrata l'insulina.
È possibile nei soggetti diabetici avere un eccesso di insulina, soprattutto quando sono a rischio di un errato dosaggio
dell'insulina stessa e quindi si ha eccessiva somministrazione di insulina nel paziente diabetico, il rischio è quello di una
ipoglicemia. Altra causa di eventuale eccesso di insulina è un tumore secernente delle isole di Langerhans che va a colpire
prevalentemente le cellule beta del pancreas. Gli effetti sono un’ipoglicemia, perché ovviamente abbiamo un effetto
opposto in caso di eccessiva presenza di insulina, perché tutto lo zucchero del sangue viene utilizzato dal sangue e viene
abbassato in modo eccessivo, contemporaneamente si ha effetto di sudorazione, nervosismo, ovviamente sensazione di
fame e poi questo può portare a confusione mentale e anche convulsioni.
Quindi i fattori che regolano l’insulina sono prima di tutto la glicemia, ma poi abbiamo anche aminoacidi, perché ci sono
alcuni amminoacidi che vengono assorbiti a livello intestinale, stimolano le cellule beta del pancreas.
Il sistema nervoso inibisce la produzione di insulina. Poi ci sono gli ormoni gastrointestinali, come il peptide inibitorio
gastrico che stimola la secrezione dell’insulina; quindi, da un lato va a inibire la motilità dello stomaco, dall'altro a
stimolare la secrezione dell'insulina.

Il glucagone ha l'effetto opposto rispetto a quello di insulina, perché va a stimolare l’iperglicemia, dove il fine ultimo è
quello di incrementare il livello di glucosio nel sangue; quindi, stimola la glicogenolisi e stimola la gluconeogenesi; quindi,
la formazione di nuovo glucosio a partire dagli aminoacidi, o stimola lipolisi incrementa liberazione degli
acidi-grassi nel sangue e può portare alla produzione dei corpi chetonici.
Quando è stimolato il glucagone? Ovviamente all'opposto di quella che l'azione dell’insulina, quindi in caso di ipoglicemia,
aumenta la secrezione di glucagone per far sì che il nostro organismo sia in grado di incrementare i livelli di zucchero, in
condizioni di iperglicemia viene inibita invece la produzione di glucagone onde evitare che poi ci sia una evoluzione
ulteriore di zuccheri nel circolo sanguigno.

I fattori che possono influenzare la glicemia sono le catecolamine; quindi, quelle prodotte dal midollare del surrene,
perché da un lato inibiscono la secrezione di insulina, dall'altro però stimolano la produzione del glucagone proprio per
determinare un aumento rapido della glicemia, in condizioni di stress o di attacco o fuga. I glucocorticoidi e GH che però
hanno un effetto molto più lento, e utile soprattutto nei digiuni prolungati, perché il glucocorticoide vanno a stimolare il
catabolismo proteico e quindi aumentano la gluconeogenesi epatica, il GH stimola la liberazione di glucosio epatico e
riduce l'assunzione glucosio da parte dell’organismo. Un ultimo fattore sono gli ormoni tiroidei che invece aumentano
l’assorbimento del glucosio intestinale.

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APPARATO RESPIRATORIO: VENTILAZIONE E SCAMBI GASSOSI

L’apparato respiratorio ha il ruolo di fornire ossigeno ai tessuti affinché essi possano svolgere le loro funzioni, e portare
avanti la respirazione cellulare cioè il processo metabolico che si svolge all’interno dei mitocondri, i quali utilizzano
l’ossigeno, producono anidride carbonica e ricavano l’energia dalle sostanze nutrienti.
Oltre a fornire ossigeno, l’apparato Respiratorio ha anche il compito di espellere dall'organismo l’anidride carbonica come
prodotto di “scarto”. Possiamo distingue una respirazione esterna o interna (detta anche respirazione cellulare).
La respirazione esterna indica la sequenza di eventi adibiti allo scambio di ossigeno e anidride carbonica tra l'ambiente
esterno e le cellule dei tessuti.
È possibile dividere la respirazione esterna in ben quattro fasi:
1. La prima fase comprende il processo grazie al quale l'aria entra ed esce dai polmoni, e quindi l'entrata di ossigeno che
proviene dall'ambiente esterno ed arriva ai polmoni, e la successiva uscita di anidride carbonica che va dai polmoni
verso l'ambiente esterno. Ciò avviene come sappiamo attraverso l'inspirazione durante la quale entra ossigeno
all'interno dell'organismo, e l'espirazione durante la quale esce anidride carbonica.
2. La seconda fase prevede invece lo scambio tra gli alveoli polmonari e i capillari polmonari, di gas respiratori, quindi
ossigeno e anidride carbonica, secondo gradiente di concentrazione o meglio gradiente di pressione parziale.
3. La terza fase invece prevede il trasporto di ossigeno e anidride carbonica attraverso il sangue.
4. Quarta ed ultima fase prevede invece lo scambio di sostanze tra i capillari sistematici e i tessuti, grazie alla quale i
tessuti ricevono ossigeno mentre al sangue viene rilasciato l’anidride carbonica che ritorna poi ai polmoni e viene
espulsa.

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In realtà possiamo dire che l'apparato respiratorio non si occupa di tutte le quattro fasi della respirazione ma bensì si
occupa solo della fase di ventilazione e quindi l’entrata e l’uscita di aria, e della fase in cui i gas respiratori vengono
scambiati tra gli alveoli e i capillari.
Questo perché delle altre fasi si occupa l'apparato cardiocircolatorio, infatti abbiamo detto che i gas respiratori vengono
portati ai tessuti tramite i capillari, e quindi tramite vasi sanguigni. Possiamo quindi notare una stretta connessione
funzionale tra i due apparati. La ventilazione comprende quindi le fasi di inspirazione ed espirazione, che alternandosi
producono il cosiddetto atto respiratorio. Molto importante tra le funzioni dell'apparato respiratorio è la regolazione della
frequenza di ventilazione, in modo tale da poter soddisfare tutti i bisogni metabolici dei tessuti, per cui se un tessuto avrà
maggiore bisogno di ossigeno si aumenterà la frequenza di ventilazione. La quarta fase della respirazione esterna porta
come conseguenza la respirazione interna, e quindi all'utilizzo di ossigeno portato ai tessuti, dai mitocondri.
L'apparato respiratorio è diviso in vie respiratorie superiori e tratto respiratorio. L'aria entra attraverso le cavità nasali o
attraverso la bocca, proseguendo poi nella faringe, che fa parte anche dell'apparato digerente, nella laringe, nella trachea
che si dirama nei due bronchi primari, rispettivamente bronco di sinistra nel polmone sinistro e bronco di destra nel
polmone destro, che a loro volta si diramano nei bronchi secondari, terziari fino ad arrivare ai bronchioli terminali che si
diramano nei bronchioli polmonari, alla quale estremità sono presenti gli alveoli polmonari.

Il tratto che risulta essere più importante a livello fisiologico nell’ apparato respiratorio è sicuramente il tratto terminale,
e quindi la porzione degli alveoli polmonari, nonché la sede di scambio di gas respiratori.
Possiamo vedere attraverso questo schema come sono strutturati i tratti che costituiscono l’apparato respiratorio, e
quindi diametro, la presenza di cilia, cellule caliciformi, cartilagine o muscolatura liscia.

La zona di conduzione contiene circa 150 ml di aria e viene definita come lo spazio morto anatomico in quanto l’aria in
questa regione, non partecipa attivamente agli scambi dei gas respiratori. Le funzioni di questa zona sono essenzialmente
quelle di umidificare, riscaldare e depurare l’aria che entra. L’ inumidimento è fondamentale affinché l’epitelio alveolare
sia idratato, affinché gli scambi avvengano in maniera efficace. Anche la depurazione è una funzione importante dovuta
alla presenza nell’epitelio di cellule caliciformi, che secernono muco, e ciglia che trattengono grazie alla presenza di questo
muco le particelle di polvere, e quindi le particelle di scarto.
Questo muco viene spostato dalle ciglia verso la faringe e successivamente ingoiato.
La caratteristica dell’apparato respiratorio sta proprio nell’aumento della superficie che diventa maggiore nella zona
alveolare, garantendo di conseguenza, anche un aumento della velocità degli scambi dei gas respiratori.
L'ultima parte dell'apparato respiratorio è costituita dalla cosiddetta zona respiratoria, la quale funzione principale è
proprio quella di garantire lo scambio diffusivo (secondo gradiente di concentrazione) tra ossigeno e anidride carbonica.
Gli alveoli sono rappresentati a modo di grappoli, e internamente presentano una rete che è formata da due tipi di cellule:
Cellule di tipo I che vanno a formare la parete e quindi l’epitelio di scambio, e cellule di tipo II che rivolte all'interno
secernono una sostanza di tipo tensioattiva, che ha la funzione di contrastare la funzione del liquido alveolare, favorendo
l’espansione polmonare.

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Abbiamo quindi visto come lo scambio di gas respiratori avviene attraverso un sistema di diffusione, e quindi secondo
gradiente, il quale è possibile grazie alla presenza di una membrana respiratoria, ovvero una membrana molto sottile che
facilità la velocità di scambio tra O2 e CO2 formata dalle cellule epiteliali alveolari e dall’endotelio dei capillari.
Gli organi che costituiscono l'apparato respiratorio sono i polmoni, protetti dalla gabbia toracica, che sappiamo essere
costituita dalle vertebre toraciche, dallo sterno, dal tessuto connettivo e dai muscoli intercostali.
I polmoni sono contenuti nel cosiddetto sacco pleurico diviso in due “foglietti”: pleura viscerale e quindi la parte di sacco
pleurico che è a contatto con i polmoni stessi, e la pleura parietale a contatto invece con la gabbia toracica. Nello spazio
compreso tra questi due foglietti (spazio intrapleurico) è presente un liquido, definito liquido pleurico, il quale fa sì che il
polmone segua l’espansione della gabbia toracica durante l’inspirazione, e il processo inverso durante l’espirazione.
Come abbiamo detto già precedentemente attraverso la ventilazione polmonare l’aria entra ed esce dall’organismo,
secondo un gradiente per cui è possibile paragonare le leggi fisiche che guidano queste funzioni, alle leggi che guidano il
flusso di sangue nell’apparato circolatorio; quindi, così come il flusso massivo di sangue era guidato da un gradiente di
pressione, così avviene anche per il flusso massivo di aria.
Questo gradiente di pressione si viene a creare tra l’aria presente nell’atmosfera e l’aria presente negli alveoli; in
particolare questo gradiente si crea durante la fase di inspirazione, e quindi con l’aumento del volume dei polmoni, e di
conseguenza degli alveoli, che viene a creare un abbassamento di pressione che crea il gradiente per l’entrata di aria nei
polmoni. Ovviamente durante la fase di espirazione avviene il processo inverso. Per cui l’atto respiratorio è caratterizzato
dall’inspirazione che permette alla parete toracica di espandersi, e il processo di espirazione che permette alla parete
toracica di contrarsi. Affinché i polmoni possano espandersi e contrarsi, è necessaria l’attività dei muscoli respiratori, quali
il diaframma assieme all’attività dei muscoli intercostali esterni.

Quando i muscoli si contraggono sia la gabbia toracica, sia i polmoni, che seguono il movimento di quest’ultima, si
espandono mentre durante la fase di rilassamento dei muscoli c’è il ritorno della gabbia toracica e dei polmoni alla loro
posizione iniziale. Generalmente si definisce il processo di inspirazione con il nome di “Processo attivo” che coinvolge i
muscoli inspiratori, e il processo di espirazione con il nome di “processo passivo” nella respirazione tranquilla per cui non
richiede la contrazione di nessun muscolo, anzi avviene durante il rilassamento di questi ultimi, mentre risulta attivo
durante la respirazione forzata che coinvolge i muscoli intercostali interni ed addominali.
A seconda poi delle necessità dei tessuti, e quindi delle cellule, l’organismo è capace di far aumentare il volume di aria che
entra, grazie ad un processo di inspirazione forzata che vede la contrazione di due muscoli accessori:
lo scaleno e lo sternocleidomastoideo. Ciò che guida il flusso di aria è un gradiente di pressione, che viene a sua volta
stabiliti attraverso delle vere e proprie leggi fisiche. Sappiamo che l’aria entra ed esce attraverso l’inspirazione e
l’espirazione, e quindi attraverso un processo definito atto respiratorio. Tra un atto respiratorio e l’altro l’aria non entra e
non esce, per cui avremo che durante questo intervallo la pressione atmosferica e la pressione alveolare sono uguali.
Per creare il gradiente di pressione cosa bisogna fare? Si deve aumentare il volume dei polmoni, perché sappiamo che
dalla legge pV=nRT che la pressione e il volume sono inversamente proporzionali; quindi, se aumenta il volume la
pressione diminuisce, e viceversa. Quindi questo risulta essere il principio base per far sì che si crei il gradiente di
pressione tra la pressione atmosferica e la pressione alveolare. Cerchiamo di capire quali sono le pressioni che entrano in
gioco durante la ventilazione polmonare. La prima pressione che consideriamo è la pressione atmosferica (Patm), il cui
valore è 760mm di Hg, a livello del mare e poiché viene considerata come pressione di riferimento la poniamo uguale a
0mm di Hg.
Consideriamo poi la pressione intra-alveolare (Palv), che tra un atto respiratorio e l’altro è uguale alla pressione
atmosferica, la quale cambia il suo valore tra la fase di inspirazione ed espirazione; poi c’è la pressione intrapleurica (Pip),
cioè la pressione interna al sacco pleurico il cui valore è di 756 mm di Hg, per cui rispetto a quella atmosferica è di 4 mm
più bassa, e quindi il valore è -4 mm Hg (ovviamente non esistono pressioni negative, ed il segno meno indica solo che la
pressione è più bassa di 4 mm rispetto alla pressione atmosferica). Come ultima pressione consideriamo la pressione
transpolmonare data dalla differenza tra Palv e Pip; quindi, avremo che tra un atto respiratorio e l’altro la pressione
transpolmonare è 4mm di Hg.
Queste sono le quattro pressioni che entrano in gioco durante il processo di ventilazione. La pressione intrapleurica che
abbiamo detto essere più bassa di 4 mm rispetto alla pressione atmosferica è dovuta alla presenza del liquido pleurico
presente tra i due foglietti del sacco pleurico. Questo liquido abbiamo detto che è utile ai polmoni per espandersi
seguendo il movimento della gabbia toracica, questo perché durante la fase di riposo, e quindi tra un atto respiratorio e
l’altro, la parete toracica è compressa e tende ad espandersi per le forze elastiche; contemporaneamente i polmoni
risultano essere distesi e per le forze elastiche tendono a retrarsi.
Queste due forze (forza elastica della parete toracica e la forza elastica del polmone) dovrebbero allontanare i foglietti del
sacco pleurico, ma ciò non avviene proprio per la presenza della tensione del liquido pleurico che impedisce il distacco dei
due foglietti e fa sì che i polmoni seguano i movimenti della gabbia toracica.
Infatti, quando si parla di pneumotorace (presenza di aria nello spazio intrapleurico) in seguito a lesioni, i polmoni
collassano.

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Le pressioni che vanno a modificarsi durante i processi di inspirazione ed espirazione, e che dunque permettono di far
entrare ed uscire l’aria dai polmoni sono essenzialmente: il gradiente di pressione, e quindi la differenza tra la pressione
atmosferica e la pressione alveolare, grazie al quale si crea una forza che muove l’aria dentro e fuori ai polmoni; questo
gradiente di pressione si crea quando la pressione alveolare diviene maggiore della pressione atmosferica, e ciò succede
perché viene aumentato/ridotto il volume a seguito della fase di inspirazione/espirazione.

L’altra pressione che permette di far entrare/uscire l’aria dai polmoni è la pressione transpolmonare che fornisce la forza
per l’espansione dei polmoni, per cui durante l’atto inspiratorio si ha l’espansione della parete toracica, con la seguente
formazione della pressione transpolmonare che guida l’espansione dei polmoni e riduce la pressione alveolare, creando
un gradiente di pressione grazie al quale l’aria entra. Ovviamente le variazioni di pressioni che determinano il gradiente di
concentrazione non sono variazioni di un numero molto grande, perché bastano variazioni di anche 1-2 mm di Hg.
Possiamo quindi affermare che il processo di inspirazione inizia con gli impulsi nervosi dei motoneuroni, che rilasciano
acetilcolina e provocano la contrazione dei muscoli respiratori (diaframma e muscoli intercostali esterni). Dalla
contrazione di questi muscoli si ha l’espansione della parete toracica, che induce una trazione sul fluido intrapleurico;
quindi, si riduce la pressione intrapleurica e aumenta la pressione transpolmonare che permette l’espansione dei polmoni,
per cui si ha un aumento del volume alveolare e una diminuzione della pressione alveolare che crea quindi il gradiente di
pressione che permette all’aria di entrare nei polmoni. Come sappiamo ci sono dei fattori ben precisi che influenzano la
ventilazione polmonare. La velocità con cui l’aria entra ed esce è determinata non solo dal gradiente di concentrazione ma
anche dalla resistenza delle vie respiratorie. Parlando di questi fattori, introduciamo la compliance polmonare cioè la
misura della facilità con cui i polmoni possono striarsi ed è definita come il cambiamento di volume determinato da una
variazione di pressione transpolmonare:
Compliance polmonare: ∆V/ Palv – Pin
Questa compliance polmonare dipende dall’elasticità dei polmoni e dalla tensione superficiale del liquido alveolare.
Questi due fattori si oppongono alla distensione dei polmoni, per cui se si ha un’elevata compliance polmonare
quest’ultima risulta essere vantaggiosa, perché è necessaria una minore pressione transpolmonare per spostare un
volume di aria, e quindi meno lavoro muscolare. Come abbiamo detto l’altro fattore che influenzano la ventilazione
polmonare è la resistenza delle vie respiratorie. Questa resistenza dipende dal diametro delle vie respiratorie, per cui più
basso sarà il raggio maggiore sarà la resistenza. In condizioni normali, in generale le vie respiratorie offrono una resistenza
molto bassa, e si presenta maggiormente in condizioni patologiche delle vie respiratorie.
Quindi se aumenta la resistenza è necessario un maggiore gradiente di pressione per determinare un certo flusso di aria.

Quali sono i fattori che influenzano la resistenza delle vie respiratorie? Solo il diametro che può variare nelle vie aeree
superiori a causa di presenza di muco che causa ostruzione, mentre nei bronchioli il raggio può variare a seguito di una
broncocostrizione o broncodilatazione. I fattori che non influiscono sono invece la lunghezza dei vasi e la viscosità dell’aria
che risultano essere costanti. In condizioni normali la resistenza delle vie aeree non è rilevante, ma lo è in situazioni
patologiche che vanno ad aumentare la resistenza. Queste patologie vanno sotto il nome di BRONCOPNEUMOPATIA
OSTRUTTIVA CRONICA (BPCO). Queste patologie sono: la bronchite cronica, l’asma e l’enfisema. La bronchite cronica è
un’infiammazione delle vie respiratorie causata da fattori come il fumo, l’inquinamento, da allergeni, che provocano il
restringimento dei vasi respiratori, per un prolungato ispessimento della loro mucosa. L’asma invece è l’ostruzione delle
vie aeree in seguito ad un’esposizione di allergeni.
L’enfisema è invece il collasso delle vie aeree più piccole o rottura delle pareti alveolari che ha quindi come conseguenza la
distruzione degli alveoli e quindi del tessuto polmonare. Anche la fibrosi polmonare che provoca la cicatrizzazione del
tessuto polmonare e la diminuzione della compliance. Per avere un’idea sulla funzione dell’apparato respiratorio è
possibile basarsi sulla spirometria, che consente di misurare i volumi polmonari.
Si deve determinare un tracciato attraverso cui si definiscono i volumi polmonari dalla quale analisi si determinano le
capacità polmonari e quindi la funzionalità respiratoria. Il volume totale VT è definito il volume corrente quindi la quantità
di aria (500mL) che entra ed esce dai polmoni durante l’atto respiratorio, in condizioni fisiologiche.
Il volume di riserva inspiratoria VRI è il volume di aria che può ancora essere inspirato (3000mL). Il volume di riserva
espiratoria VRE e quindi il volume di aria che può essere ancora espirato (1000mL) e il volume residuo VR che rappresenta
il volume di aria che rimane e che non può essere misurato con la normale spirometria (1200mL).
Dalla misurazione dei volumi si ricavano le capacità polmonari. Abbiamo la capacità inspiratoria rappresentata dalla
somma tra VT+VRI ed è quindi uguale a 500mL+3000mL= 3500mL. La capacità vitale è uguale alla somma tra VT+VRI+VRE,
per cui avremo 500mL+3000mL+1000mL= 4500mL.
La capacità funzionale residua data dalla somma tra VRE+VR ed è quindi uguale a 1000mL+1200mL=2200mL.
L’ultima capacità è la capacità polmonare totale data dalla somma di tutti e quattro i volumi VT+VRI+VRE+VR, per cui
avremo 500mL+3000mL+1000mL+1200mL= 5700mL.

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La ventilazione polmonare totale, dunque, non è altro che il volume di aria inspirato ed espirato in un minuto.
La legge fisica che rappresenta la ventilazione polmonare è il prodotto tra la frequenza ventilatoria e il volume corrente.
In condizioni normali, in un minuto l’organismo mette in atto 12 atti respiratori, il volume corrente è circa 500mL per atto
per cui la ventilazione polmonare totale sarà: 12 𝑠𝑠𝛥𝛥𝛥𝛥𝑠𝑠/𝑠𝑠𝑠𝑠𝑚𝑚 ∙500𝑠𝑠𝑚𝑚/𝑠𝑠𝛥𝛥𝛥𝛥𝑠𝑠 = 6𝑚𝑚/𝑠𝑠𝑠𝑠𝑚𝑚. Quindi in un minuto entrano ed escono
6 litri di aria. Se ricordiamo bene nella zona di conduzione era presenta una zona definita spazio anatomico morto, in cui
era contenuto un volume di aria pari a 150mL. Questa zona non partecipa agli scambi gassosi, per cui dei 500mL di aria
che entrano, 150mL entrano nello spazio anatomico morto e la restante parte di 350mL arriva agli alveoli, partecipando
agli scambi. Quindi risulta essere più importante parlare di ventilazione alveolare totale, anziché di ventilazione polmonare
totale. La formula è sempre la stessa, per cui è sempre uguale al prodotto tra frequenza ventilatoria, che risulta essere
sempre 12 atti/min, e volume corrente che sarà 350mL e non più 500mL. Quindi avremo che la ventilazione alveolare sarà
uguale a 12𝑠𝑠𝛥𝛥𝛥𝛥𝑠𝑠/𝑠𝑠𝑠𝑠𝑚𝑚 ∙ 350𝑠𝑠𝑚𝑚/𝑠𝑠𝛥𝛥𝛥𝛥𝑠𝑠 = 4200𝑠𝑠𝑚𝑚/𝑠𝑠𝑠𝑠𝑚𝑚. Per cui in un minuto entreranno negli alveoli 4,2L di aria.
Se variamo la frequenza ventilatoria e quindi aumentiamo il numero di atti respiratori in un minuto, verrà da sé che a
cambiare è anche il volume corrente, e quindi va a diminuire la quantità di aria che arriva agli alveoli.
Se invece vengono diminuiti gli atti respiratori in un minuto, il volume corrente aumenta e arriverà più aria agli alveoli.
Vediamo una tabella come esempio:

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Una volta esposta tutta la fase della ventilazione polmonare e quindi tutta la parte della meccanica, andiamo ad
approfondire la fase degli scambi gassosi, cioè lo scambio a livello dei capillari polmonari di O2 e CO2.
L’ossigeno entra all’interno dell’organismo attraverso la fase di inspirazione, e una volta arrivato agli alveoli deve
attraversare la membrana respiratoria e dalla forma gassosa, deve entrare nel plasma solubilizzandosi.
Prima di capire come avviene questo scambio, dobbiamo sapere che in condizioni fisiologici, e quindi in condizioni
normali, le cellule del nostro organismo consumano 250mL di ossigeno e producono 200mL di anidride carbonica al
minuto. Affinché venga fornita la necessaria quantità di ossigeno alle cellule, il nostro organismo deve inspirare circa
6000mL di aria, di cui solo 4200mL raggiungono gli alveoli. Ovviamente sappiamo che l’aria che inspiriamo non contiene
solo ossigeno, ma contiene anche azoto, anidride carbonica e così via; dell’aria che non inspiriamo l’ossigeno rappresenta
solo il 21%, ovvero 882mL, di cui 250mL si diffonde dagli alveoli al sangue e la restante parte di 632mL viene nuovamente
espirata. Cos’è che guida lo scambio gassoso? Essenzialmente gli scambi gassosi vengono guidati da un gradiente di
concentrazione. Quindi la velocità di scambio di 200mL di CO2 e 250mL di O2 deve essere uguale anche al livello alveolare.
Attraverso il ritorno venoso si trasporta ossigeno alla velocità di 750 ml/min e anidride carbonica alla velocità di 2700
ml/min, per cui attraverso il ritorno venoso i gas vengono portati all’atrio di destra, al ventricolo di destra, immessi nelle
arterie polmonari e a livello dei capillari polmonari avviene lo scambio ad una velocità di 200 ml/min per la CO2 e di 250
ml/min per l’O2; successivamente dalle vene polmonari vengono portati all’atrio sinistro, al ventricolo sinistro e immessi
nell’aorta in cui i gas verranno spostati con una velocità di 1000mL per l’O2 e 2500 per la CO2. Il rapporto tra la quantità di
CO2 prodotta e la quantità di O2 consumata è definito quoziente respiratorio, che in condizioni normali è circa 0,8.
Abbiamo quindi visto che il movimento di O2 e CO2 sia a livello degli alveoli sia a livello di tessuti, è guidato da una diversa
concentrazione; a livello tissutale l’ossigeno lascia i capillari per entrare nelle cellule, perché le cellule consumano ossigeno
e producono anidride carbonica, per cui la concentrazione di O2 sarà più bassa nei tessuti e viceversa sarà per la
concentrazione di CO2 infatti a livello alveolare si avrà il processo opposto, ovvero la concentrazione di anidride carbonica
sarà maggiore nei capillari e minore negli alveoli per cui quindi quest’ultima si sposterà dai capillari agli alveoli.
Quindi abbiamo definito che i movimenti dei gas si effettuano per gradiente di concentrazione, ma in realtà questi
gradienti di concentrazione sono influenzati dalle pressioni parziali di O2 e CO2 e anche dalla loro solubilità, perché
abbiamo appunto detto che questi gas devono solubilizzarsi nel plasma. Le leggi che guidano gli scambi sono:
 La legge della diffusione, cioè la legge di Fick, la quale ci dice che la velocità della diffusione è guidata dal gradiente di
concentrazione e dallo spessore della membrana e dalla superficie.
 Legge di Henry, cioè la legge che spiega la fase di solubilizzazione, e quindi il passaggio dalla forma aeriforme alla
forma liquida. La legge di Henry ci dice che la solubilità di un gas è direttamente proporzionale alla pressione parziale
del gas (P) sulla soluzione. Per cui se raddoppia la pressione del gas raddoppia anche la solubilità e quindi la quantità
di gas che passerà dallo stato aeriforme allo stato liquido.
Vediamo cosa significa quando parliamo di pressione parziale dei gas. Se il gas è presente “da solo”, esso eserciterà una
sola pressione. I gas sono miscibili, per cui se sono presenti 2/3 gas è normale che la pressione sia esercitata da tutti i gas
presenti. Ogni gas eserciterà quindi una certa pressione definita pressione parziale che dipenderà dalla quantità di quel
gas. Quindi ad esempio l’aria atmosferica ha una pressione di 760mm di Hg, che è data dalla somma delle pressioni
esercitate da tutti i gas presenti, e quindi Patm= PN2 + PO2 + PCO2 + PH2O. L’azoto è presente al 79% nell’aria, l’ossigeno
al 21% e così via, per cui la pressione dell’azoto sarà uguale a 0.79∙760= 600mm Hg. Per la legge di Henry, dunque, la
solubilità s=KH∙P, dove K è definita come il coefficiente di solubilità e varia in base al gas. Maggiore è il coefficiente di
solubilità, maggiormente il liquido sarà solubile.
Possiamo quindi dire che c’è una relazione diretta tra pressione parziale di un gas nel plasma e la concentrazione di quel
gas nel plasma (all’aumentare della P aumenta anche la concentrazione).
Se ci riferiamo ad una pressione parziale, si deve tener conto della capacità di solubilizzarsi nel plasma di quel gas
specifico. Ad esempio, l’anidride carbonica risulta essere più solubile rispetto all’ossigeno. Poiché abbiamo visto che i
movimenti dei gas avvengono per diffusione, e che la diffusione è correlata alla pressione parziale di quel determinato gas,
possiamo affermare che il gas si muove per diffusione da aree in cui c’è alta pressione parziale (o maggiore
concentrazione) ad aree a bassa pressione parziale (o minore concentrazione). Andiamo a vedere quali sono questi valori:
nell’aria atmosferica la PO2 è uguale 160 mmHg e la PCO2 è 0.23 mmHg. A livello degli alveoli queste pressioni parziali non
sono uguale a quelle presenti nell’atmosfera, a causa di vari motivi come scambi di gas tra l’aria alveolare e il sangue dei
capillari, perché l’aria negli alveoli è satura di vapore acqueo o perché a seguito dell’inspirazione l’aria atmosferica si
mescola con aria povera di ossigeno e ricca di anidride. Per cui si prendono in considerazione le pressioni parziali negli
alveoli; la PO2 è uguale a 100mL di Hg e la PCO2 è uguale a 40 ml di Hg. Dopo il ritorno venoso, e quindi dopo che il sangue
si è arricchito di anidride e privato di ossigeno, questo arriva a livello dei capillari polmonari con un valore di PO2 uguale a
40 ml Hg, e un valore di PCO2 uguale a 46 ml Hg.
Si ha quindi un gradiente di pressione parziale, per cui la pressione dell’ossigeno negli alveoli formerà un gradiente (160-
40 tale che l’O2 si diffonderà dagli alveoli ai capillari e viceversa il gradiente di CO2 farà diffondere l’anidride carbonica dai
capillari agli alveoli. A livello delle arterie i valori di PO2 = 100mL e PCO2= 40 ml sono mantenuti costanti affinché vengano
svolte le attività metaboliche. A livello dei tessuti troveremo sicuramente che la PO2 sarà minore di 40 ml di Hg perché le
cellule consumano ossigeno, e la PCO2 sarà maggiore di 46 ml di Hg perché le cellule producono anidride.

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TRASPORTO DI OSSIGENO E ANIDRIDE CARBONICA NEL SANGUE


L’ossigeno è trasportato per la maggior parte, perché si lega all’emoglobina ovvero una proteina contenuta nel sangue che
permette all’ossigeno di legarsi al gruppo eme e quindi il trasporto dell’ossigeno. Abbiamo visto che a livello arterioso la
pressione parziale dell’ossigeno è di 100mL; al mantenimento di questo valore partecipano 3 ml di ossigeno che sono
disciolti nel sangue, mentre la restante parte è legata all’emoglobina e quindi trasportata dal sangue.
Per cui dei 200mL di ossigeno che vengono trasportati, l’1.5% è disciolto, mentre il 98.5% è trasportato. L’emoglobina è
una proteina quaternaria, formata da 4 subunità ognuna della quali presenta un gruppo eme che lega l’ossigeno, per cui
ogni molecola di emoglobina lega quattro molecole di ossigeno. La particolarità sta nel fatto che il legame della prima
molecola di ossigeno facilità il legame delle molecole successive, e quindi si determina maggiore affinità.
È quindi giusto dire che la reazione è tale Hb+4O2→ Hb(O2)4.
Ma se l’emoglobina trasporta l’ossigeno perché a livello alveolare è favorito questo legame, e invece a livello tissutale è
favorito il rilascio di ossigeno dall’emoglobina?
Questo succede perché a livello alveolare il legame è facilitato dall’alta pressione parziale del gas, a differenza di ciò che
avviene a livello tissutale dove la pressione parziale dell’ossigeno è molto bassa. Per cui arriviamo alla conclusione che
un’alta PO2 induce al legame tra O2 e Hb, mentre una bassa PO2 induce al rilascio di O2 dall’emoglobina.
A livello tissutale in particolare, solo in condizioni di riposo l’emoglobina non cede tutto l’ossigeno ma risulta essere satura
al 75%, perché i tessuti ricevono il 25% di O2 lasciando quindi una riserva per i tessuti che ne richiedono maggiore
quantità. Vediamo quindi come all’aumentare della pressione parziale di ossigeno, aumentano il numero di molecole di
emoglobina che legano l’ossigeno.
Per quanto riguarda il trasporto di CO2 abbiamo imparato che a livello tissutale si favorisce lo scambio tra ossigeno, che
entra nei tessuti, e anidride carbonica che entra nel sangue, mentre a livello alveolare l’anidride carbonica va dai capillari
agli alveoli. A livello tissutale il 7% di CO2 viene solubilizzata nel plasma, il 23% viene legata all’emoglobina, mentre la
restante parte il 70% viene trasformata in ioni bicarbonato, in quanto a livello degli eritrociti è presente l’enzima anidrasi
carbonica che trasforma la CO2+ H2O in H2CO3 (acido
carbonico) che si dissocia in ioni bicarbonato HCO3- e ioni
H+ che vengono “tamponati” legati ad amminoacidi
dell’emoglobina.
Questi ioni bicarbonato vengono allontanati dagli eritrociti
attraverso lo scambio con il cloro (se ricordiamo i trasporti
attivi, il cloro entra e lo ione bicarbonato esce), perché se
allontaniamo il prodotto della reazione, si favorisce la
reazione nel verso contrario e si riesce a mantenere un
certo gradiente di concentrazione di CO2, che può essere
dunque trasportata. A livello alveolare invece, grazie ai
gradienti di pressione la prima CO2 che si allontana è
quella disciolta, per cui si crea un gradiente inverso
dell’azione dell’anidrasi carbonica, per cui si avrà il
processo opposto, ovvero il cloro esce dalla cellula e entra
ione bicarbonato, che associato con ioni H+ forma l’acido
carbonico e sotto azione dell’enzima si forma acqua e
anidride carbonica, che viene poi rilasciata.

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SISTEMA URINARIO: LA FUNZIONE RENALE

Prima di vedere le fasi attraverso cui l’organismo forma l’urina, vediamo quali sono le funzioni principali svolte
dall’apparato renale. L’apparato renale è uno degli apparati principali per l’omeostasi in quanto regola il bilancio
idro- salino.
L’apparato renale regola:
• La composizione ionica del sangue: aumentando o diminuendo l’escrezione di ioni specifici, regolandone la
concentrazione plasmatica (Na+, K+, Ca2+.)
• Il volume plasmatico: controllando la velocità di escrezione dell’acqua, quest’apparato ha effetti diretti sul volume totale
e sulla pressione sanguigna
• L’osmolarità plasmatica: attraverso la regolazione dell’escrezione dell’acqua in rapporto ai soluti
• La concentrazione di idrogenioni (pH): regolando la concentrazione di H+ e bicarbonato
• La rimozione di prodotti di scarto del metabolismo e di sostanze estranee dal plasma: secerne prodotti di scarto come
l’urea e l’acido urico, generati dal catabolismo delle proteine e degli acidi nucleici, e la creatinina che deriva dal
metabolismo muscolare, o anche sostanze estranee che derivano dall’alimentazione o dall’assunzione di farmaci.
Tra le altre funzioni, i reni secernono l’ormone eritropoietina, che stimola la produzione di eritrociti nel midollo osseo, e
l’enzima renina, necessario per la produzione dell’angiotensina II che è importante per la regolazione del bilancio
idrosalino e quindi della pressione sanguigna. Regolando il volume e la composizione del plasma, i reni di conseguenza
regolano anche il volume e la composizione del liquido interstiziale le cui modifiche influenzano la composizione del
liquido intracellulare (LIC).
L’apparato renale è formato da due reni, a livello dei quali è presente l’ilo renale da cui entrano i vasi (arterie e vene
renali). Dai reni dipartono poi i due ureteri che convogliano nella vescica, e poi nell’uretra attraverso la quale l’urina viene
eliminata. Nei reni è possibile riconoscere una regione corticale e una regione midollare, ma la parte che interessa di più
per quanto riguarda la fisiologia del rene è il
nefrone. Il nefrone è la parte funzionale del
rene, e quindi la parte che svolge la funzione
dell’organo; esso è formato da un
corpuscolo renale, che a sua volta è formato
da un glomerulo (rete di capillari), attraverso
il quale giunge il sangue tramite le arteriole
afferenti e fuoriesce attraverso le arteriole
efferenti. A livello del glomerulo il plasma,
privo di proteine, viene filtrato e raccolto
nella capsula di Bowman, e da qui immesso
nel sistema dei tubuli renali.

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I tubuli renali a loro volta sono divisi in diverse regioni; il


tubulo prossimale, formato dal tubulo contorto
prossimale e dal tubulo retto prossimale, a cui segue
l’ansa di Henle che si compone di un tratto discendente
ed uno ascendente (forma di U). Il sistema tubulare
prosegue poi con il tubulo contorto distale e con il dotto
collettore. Il sangue che viene filtrato attraverso la
capsula di Bowman passa nei tubuli dove in particolare
nel tubulo prossimale vengono assorbite e secrete tutte le
sostanze nutritive; nell’ansa di Henle esiste un gradiente
osmotico crescente che è importante per l’assorbimento
di acqua. Nell’ultimo tratto, e quindi nel tubulo distale e
nel dotto collettore, c’è sempre la funzione di
riassorbimento ma in questo caso regolata in base alle
necessità dell’organismo. Abbiamo visto che a livello del
glomerulo il sangue entra ed esce attraverso le arteriole,
tra le quali si crea una biforcazione in cui è presente
l’apparato iuxtaglomerulare, che risulta essere
importante nei meccanismi di regolazione.
Quest’apparato è formato dalla macula densa cioè delle
cellule epiteliali modificate che secernono delle sostanze
paracrine (capacità di regolare le fasi per la formazione di
urine) e da cellule granulari o chiamate iuxtaglomerulari,
che secernono la renina (importante per la formazione di angiotensina II, è quindi è importante per la regolazione della
volemia). I nefroni per la maggior parte (80%) sono definiti corticali perché le varie parti che li compongono sono presenti
nella regione corticale del rene, mentre l’ultimo tratto dell’ansa di Henle sfocia nella regione midollare.
L’altro 20% dei nefroni sono definiti iuxtamidollari perché il loro glomerulo sta nella parte confinante tra la zona corticale e
quella midollare mentre l’ansa di Henle è completamente contenuta nella zona midollare.
Del sangue che arriva al corpuscolo non viene tutto filtrato, ma di questo viene filtrato il 20%, mentre l’80% prosegue nelle
arteriole efferenti che si diramano nei capillari peritubulari che seguono l’andamento del nefrone, perché il sangue che
viene filtrato e quindi tutte le sostanze nutritive che devono essere riassorbite rientrano nel circolo venoso attraverso
questi capillari. I capillari peritubulari che percorrono l’ansa di Henle sono detti vasa recta. La funzione principale del rene
è quindi quella di eliminare dal sangue tutte le sostanze non necessarie riversandole nelle urine, e trattenere le sostanze
necessarie. La formazione delle urine avviene attraverso 3 processi:
la filtrazione glomerulare, riassorbimento tubulare e secrezione tubulare. Quindi il sangue arriva al gomitolo dei capillari
glomerulari dove avviene la filtrazione. Il sangue passa nel lume del tubulo, dove avviene l’assorbimento cioè tutte le
sostanze necessarie devono attraversare l’epitelio renale, per entrare nei capillari peritubulari in modo da tornare in
circolo grazie al sistema venoso.
Le sostanze che non vengono assorbite vengono direttamente espulse attraverso l’escrezione, ma ci possono essere anche
molte sostanze che vengono secrete e quindi il passaggio di sostanze dal sangue dei capillari, che attraversano l’epitelio
renale, e arrivano nel tubulo per essere eliminate. Questi processi tubulari operano sul filtrato per restituire al sangue un
liquido avente un volume e una composizione necessari per mantenere l’ambiente liquido interno costante. La quantità di
soluto che viene escreta difatti è uguale alla quantità di soluto filtrata-quantità di soluto assorbita + (eventualmente) la
quantità che viene secreta. Difatti il 100% di sangue entra nell’arteria afferente, di cui il 20% viene filtrato, di questo il
19% viene riassorbito e l’1% è eliminato. La formazione dell’urina avviene in tre tappe:
1. Filtrazione del sangue nel glomerulo,
2. Riassorbimento del filtrato nel tubulo renale
3. Secrezione tubulare delle sostanze di scarto ancora non filtrate.

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• Filtrazione glomerulare: l’insieme di capillari che


formano il glomerulo (dove avviene la
filtrazione) sono rivestiti dalle cellule epiteliali
della capsula di Bowman; queste cellule formano
delle estensioni dette pedicellari, queste a loro
volta formano delle fenestrature grazie alle quali
il sangue dopo aver attraversato la membrana
glomerulare, arriva all’interno della capsula di
Bowman e quindi nel lume del tubulo.
Come avviene la filtrazione?
Anche il processo di filtrazione avviene sotto il
controllo delle forze di Starling che sono presenti
tra le pareti dei capillari.
I capillari glomerulari però sono più permeabili
rispetto agli altri capillari, per cui viene filtrata
una maggiore quantità di liquido attuata una
certa pressione di filtrazione. Inoltre, il bilancio
tra queste forze, e quindi tra la pressione
idrostatica e osmotica, è tale che la filtrazione
avviene lungo l’intero decorso dei capillari.
Lo stesso discorso con le forze di Starling lo
abbiamo fatto per i capillari tissutali, in cui
all’estremità arteriolare c’era una pressione
maggiore di filtrazione per cui avveniva
quest’ultima, e viceversa all’estremità venulare
la pressione di filtrazione era minore e avveniva
difatti il riassorbimento.
L’analogia sta proprio nel fatto che nel glomerulo
avviene il processo di filtrazione proprio per la
presenza delle stesse forze di Staling, cioè per la
presenza di 4 pressioni, 2 idrostatiche e 2
oncotiche.
La differenza tra i capillari glomerulari e i capillari
tissutali sono i valori delle pressioni; difatti la
pressione idrostatica dei capillari glomerulari
(PCG) è di circa 60mm Hg e quindi maggiore rispetto alla pressione nei capillari tissutali (38mm).
Questo valore di pressione maggiore è dovuto al fatto che l’arteriola efferente presenta un diametro più piccolo, per cui
maggiore resistenza, e quindi la pressione aumenta a monte del vaso. Assieme a questa pressione idrostatica, la pressione
oncotica nella capsula di Bowman induce alla filtrazione, ma questo valore è pari a 0mm Hg (πBC) in quanto il sangue
filtrato è privo di proteine, per cui c’è l’assenza di pressione (la pressione oncotica deriva proprio dalla presenza di
proteine). Le altre due pressioni invece inducono all’assorbimento, e la somma dei loro valori va sottratta alla somma dei
valori delle pressioni precedenti. Parliamo della pressione idrostatica nella capsula di Bowman il cui valore è di 15mm Hg
(PBC) (maggiore rispetto a quella dei capillari tissutali) dovuta al fatto che il liquido filtrato si accumula ed esercita una
certa pressione, e poi abbiamo la pressione oncotica nei capillari glomerulari il cui valore è 29mm Hg (πCG), sempre un po’
più alto rispetto alla pressione nei capillari tissutali, poiché man mano che il sangue viene filtrato, le proteine si
concentrano nei capillari e quindi esercitano una pressione maggiore. La somma di queste quattro pressioni, definita
pressione netta di filtrazione sarà uguale a (60+0) -(15+29) = 16mm Hg, quindi significa che si effettua una filtrazione lungo
tutto il decorso dei capillari glomerulari. Abbiamo detto che però del sangue che entra attraverso le arteriole afferenti solo
al 20% viene filtrato, questo perché nelle arteriole entrano 625mL/min e la velocità di filtrazione è 125mL/min per cui il
rapporto tra questi due ci dà proprio la quantità di sangue filtrato (0,20mL, questo valore è detto frazione di filtrazione).
Gli altri 500Ml (80%) continuano lungo le arteriole efferenti e i capillari peritubulari. I reni filtrano il sangue 60 volte al
giorno, ma se il filtrato non fosse riassorbito, il nostro organismo esaurirebbe tutto il plasma dopo 24 minuti di filtrazione.
Se la frazione di filtrazione è il volume plasmatico renale che viene filtrato, il carico filtrato è la quantità di un soluto
filtrato in un’unità di tempo ed è uguale al prodotto tra la velocità di filtrazione glomerulare (VFG) e la concentrazione di
quella sostanza nel plasma.

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MECCANISMI REGOLANO LA VFG (VELOCITÀ DI FILTRAZIONE GLOMERULARE)


Nei meccanismi di regolazione operano sia meccanismi intrinseci (regolati da meccanismi del distretto stesso) e
meccanismi estrinseci (regolati dal SN autonomo). I meccanismi intrinseci sono essenzialmente la regolazione miogena:
immaginiamo che aumenti la pressione arteriosa media MAP, questo comporta di conseguenza anche un aumento della
pressione nelle arteriole afferenti, e quindi maggiore pressione nei capillari glomerulari, maggiore pressione della
filtrazione e quindi maggiore VFG. Come si può controllare questo aumento della VFG? La risposta miogena è uno di
questi meccanismi dovuta al fatto che l’aumento della pressione provoca uno stiramento della muscolatura liscia delle
arteriole, che a sua volta determina una vasocostrizione e quindi un aumento della resistenza e la pressione idrostatica
glomerulare viene ridotta.
Un altro meccanismo intrinseco è il feedback tubulo-glomerulare; durante questo meccanismo entra in gioco l’apparato
iuxtaglomerulare, e in particolare la macula densa. Cosa succede? Aumenta la MAP, quindi aumenta la pressione nelle
arteriole afferenti, aumenta la pressione glomerulare, la filtrazione e la VFG. Se aumenta la VFG significa che aumenta
anche il flusso, che giunto nella macula densa viene risentito dalle cellule che la costituiscono, per cui inducono la
secrezione di sostanze paracrine che provocano vasocostrizione, quindi aumento della resistenza e diminuzione della
pressione glomerulare.
I meccanismi intrinseci entrano però in gioco quando i valori della MAP variano tra gli 80 mm e 180 mm Hg, e quindi
evitano la variazione della VFG in questo intervallo di valori. Se la MAP assume valori minori di 80 mm o maggiori di 180
mm entrano in gioco i meccanismi estrinseci, e quindi dal SN autonomo. Se ad esempio la pressione viene ridotta
(a causa di eccessiva sudorazione) si ha una riduzione del volume sanguigno; da parte dell’apparato cardiocircolatorio si
attiva il riflesso barocettivo, e quindi viene aumentata la stimolazione del sistema simpatico che induce ad una
vasocostrizione e quindi aumenta la resistenza e la VFG viene ridotta; questa riduzione induce ad una diminuzione del
flusso urinario e quindi diminuisce la perdita di liquidi. Assieme a questo possono subentrare anche altri meccanismi come
l’aumento del riassorbimento tubulare di acqua e sale, l’aumento di sete che aiutano a ripristinare il volume plasmatico.
Se invece la MAP aumenta si induce ad una diminuzione dell’attività vasocostrittrice del simpatico, per cui si induce una
vaso dilatazione in modo che la VFG venga aumentato e quindi una maggiore perdita di liquidi.

• Riassorbimento: abbiamo detto che dei 125mL che vengono filtrati, 124mL vengono riassorbiti; essenzialmente i
tubuli riassorbono il 99% di acqua filtrata, il 100% dello zucchero filtrato (infatti nelle analisi delle urine, ad esempio il
glucosio non è presente perché filtrato completamente) e il 99,5% dei sali filtrati.
Come avviene questo riassorbimento? Il riassorbimento, a differenze della filtrazione, è un processo di tipo selettivo;
durante questo processo le sostanze devono attraversare l’epitelio del tubulo renale (avviene un trasporto
trans-epiteliale) grazie ad un insieme di meccanismi che regolano i trasporti attraverso le membrane.
Grazie a questi meccanismi i reni regolano il riassorbimento di liquidi e quindi la composizione dei liquidi corporei.
Il riassorbimento può avvenire sia mediante processi passivi sia mediante processi attivi.
Ad esempio, il riassorbimento attivo di soluto avviene contro gradiente, e viene svolto grazie alla presenza di
meccanismi attivi a livello della membrana baso laterale affinché la concentrazione del soluto venga mantenuta bassa
nella cellula, e quindi passivamente il soluto può attraversare la membrana. Oppure i meccanismi attivi possono
essere presenti a livello della membrana apicale, per cui i soluti verranno assorbiti contro gradiente e lasceranno poi la
membrana baso laterale in modo passivo (diffusione) e quindi secondo gradiente.
Il riassorbimento dei soluti induce ad un riassorbimento passivo anche dell’acqua, perché man mano che i soluti
vengono assorbiti, aumenta la loro concentrazione nello spazio peritubulare, per cui l’acqua si sposta per osmosi,
e quindi passivamente. Allo stesso tempo però con il riassorbimento di soluti e acqua si creerà una diversa
concentrazione nel liquido tubulare e nel plasma per cui passivamente altri soluti si sposteranno, e quindi verranno
riassorbiti. Importante è il riassorbimento del glucosio che avviene grazie al trasporto attivo del sodio: sulla membrana
baso laterale esiste la pompa sodio-potassio grazie alla quale vengono mantenuti costanti i gradienti di sodio e
potassio. Se varia ad esempio il gradiente di concentrazione del sodio, questo si muove secondo gradiente
trasportando, contro gradiente, attraverso il simporto sodio- glucosio, che troviamo a livello della membrana apicale,
lo zucchero. Quest’ultimo lascerà la membrana baso laterale attraverso i trasportatori GLUT (diffusione facilita) e
verrà poi riassorbito. Sappiamo però che sebbene continui ad esistere un gradiente di concentrazione, il
riassorbimento non continua perché i trasportatori sono saturati per cui si arriva ad un limite della velocità di
trasporto, detto trasporto massimo, dovuto proprio alla saturazione di questi ultimi.
Se consideriamo il glucosio sappiamo che la stessa quantità di glucosio che viene filtrata, viene allo stesso modo anche
riassorbita. Questo succede però quando il livello di glicemia è in condizioni fisiologiche; se si ha un aumento di
glicemia significa che aumenta la quantità di glucosio, per cui aumenta sia il glucosio filtrato sia quello riassorbito fino
a che i trasportatori divengono saturi e quindi esiste un limite massimo di quantità di glucosio che può essere
riassorbito.

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Arrivati a tale valore (trasporto massimo), tutto il


glucosio che esiste in quantità maggiore viene eliminato
attraverso le urine.
Il trasporto massimo del glucosio è di 375mg/min,
mentre la soglia renale teorica è di circa 300mg/dl,
ciò significa che fino a 300mg il glucosio viene assorbito,
ma se la glicemia assume valori più alti allora il glucosio
viene escreto. Poiché il trasporto massimo del glucosio
ha un valore maggiore rispetto alla quantità filtrata, i reni
non regolano la concentrazione di glucosio nel sangue,
che viene regolata dal fegato, a differenza invece di altre
sostanze come fosfato o calcio il cui trasporto massimo è
uguale alla quantità filtrata e quindi i reni ne regolano la
quantità nel sangue. Infatti, il riassorbimento di fosfato e
calcio, rispetto al riassorbimento di nutrienti organici
come il glucosio, è soggetto alla regolazione ormonale; ad esempio, l’ormone paratiroideo può modificare le soglie renali
per questi due elementi, in maniera tale da regolarne la concentrazione in base alle necessità dell’organismo.
In base ovviamente ai diversi segmenti tubulari, vengono assorbite diverse sostanze:
Questo diverso riassorbimento è dovuto anche all’organizzazione dell’epitelio; ad esempio, l’epitelio del tubulo prossimale
ha un orletto a spazzola, che provoca l’aumento della superficie di assorbimento, la giunzione
serrata “lassa” per facilitare la diffusione di acqua per osmosi, numerosi mitocondri per fornire ATP nei trasporti attivi, ed
è la zona in cui avviene il trasporto massivo. A livello di questo tubulo il riassorbimento è un processo non regolato. Invece
nel tubo distale e nel dotto collettore il riassorbimento è un processo regolato, e qui l’epitelio presenta giunzioni strette e
quindi non è facilitato il movimento di acqua, l’orletto non è a spazzola e anche il numero di mitocondri è più basso.

• Secrezione: l’ultima fase per la formazione di urina è la secrezione. Una sostanza può essere eliminata sia attraverso
l’aumento della velocità di filtrazione, o perché viene secreta. Le sostanze che vengono secrete attivamente sono il
potassio, idrogenioni, prodotti metabolici come colina e creatinina o sostanze estranee come antibiotici o FANS.
• Il processo di secrezione è inverso al processo di assorbimento per cui c’è sempre un trasporto trans-epiteliale.

I reni hanno un ruolo fondamentale anche nella regolazione dell’equilibrio idrico ed elettrolitico e nell’equilibrio acido-
base. Tutti i meccanismi di controllo omeostatici del bilancio idro-elettrico sono finalizzati al mantenimento di quattro
parametri: volume dei liquidi corporei, osmolarità, concentrazione degli ioni e il pH.

Bilancio idrico (cioè il mantenimento dei volumi dei compartimenti idrici): il controllo renale dell’escrezione di acqua è
importante per regolare sia il volume sia l’osmolarità del plasma.
Perché è importante regolare questi parametri?
Il volume deve essere regolato in quanto strettamente collegato alla pressione sanguigna, per cui l’apparato renale
collabora insieme all’apparato circolatorio, e controlla la pressione arteriosa, attraverso una regolazione a lungo termine
(l’apparato cardiocircolatorio controlla la pressione attraverso una regolazione a breve termine quindi attraverso il riflesso
barocettivo si vanno a modulare i parametri della frequenza cardiaca e della resistenza).
Il volume plasmatico è però strettamente collegato anche all’osmolarità del plasma, per cui se aumenta o diminuisce il
volume del plasma (liquido extracellulare), di conseguenza si modifica anche l’osmolarità. Ricordiamo anche che la
variazione di osmolarità è strettamente collegata al volume del liquido intracellulare, infatti quando abbiamo parlato del
fenomeno dell’osmosi abbiamo detto che l’acqua si muove per eguagliare le osmolarità tra il liquido intracellulare ed
extracellulare, per cui se l’osmolarità extracellulare aumenta l’acqua si muove dal liquido intracellulare al liquido
extracellulare provocando una diminuzione del volume intracellulare, viceversa se aumenta l’osmolarità del liquido
intracellulare, l’acqua entra provocando un aumento del volume intracellulare (in questo modo si altera la funzione
cellulare). Quindi il bilancio idrico è fondamentale per regolare la volemia, strettamente collegata alla pressione arteriosa,
e per regolare l’osmolarità e quindi i volumi intracellulari. Quando parliamo di bilancio parliamo essenzialmente di
equilibrio; per parlare di equilibrio significa che le entrate devono essere uguali alle uscite. L’acqua entra nel nostro
organismo attraverso cibi e bevande (2,2L al giorno) a cui si aggiunge l’acqua prodotta dal metabolismo (0,3L al giorno).
Per mantenere il bilancio la stessa quantità di acqua che è in entrata (2,2L+0,3L= 2,5L), deve anche uscire dal nostro
organismo; l’acqua esce dal nostro organismo attraverso la cosiddetta “perdita insensibile”, attraverso cute e polmoni
(0,9 L al giorno), attraverso le feci (0,1L al giorno) e attraverso l’urina (1,5L al giorno).

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Di questi valori di acqua che vengono eliminati, solo l’acqua eliminata attraverso le urine viene regolata, proprio per il
mantenimento dell’equilibrio idrico. L’acqua corporea viene regolata sia da parte dell’apparato renale, attraverso la
regolazione dell’escrezione di acqua e il riassorbimento a livello tubulare, sia attraverso l’assunzione di acqua, cioè quando
ad esempio si ha una riduzione dei volumi si attivano dei meccanismi omeostatici (comportamentali) che inducono la
sensazione di sete, inducendo l’organismo ad introdurre liquidi.
Vediamo di seguito i meccanismi omeostatici che si attivano per regolare la pressione sanguigna:
a) La riduzione del volume ematico, e di conseguenza della pressione, viene recepita da particolari recettori (barocettori)
che inducono i riflessi omeostatici. Questi riflessi sono a carico dell’apparato cardiovascolare, che induce l’aumento
della gittata cardiaca e vasocostrizione e quindi ad un aumento della pressione, e a carico dei reni che conservano
quanta più acqua possibile, minimizzando l’escrezione attraverso le urine. Assieme a questi due sistemi si attivano i
riflessi comportamentali, che inducono alla sensazione di sete grazie alla quale vengono immessi liquidi nell’organismo,
i volumi intra ed extra cellulari aumentano, e la pressione arteriosa aumenta.
b) L’aumento del volume ematico, e quindi l’aumento della pressione, viene recepito sempre da particolari recettori che
inducono a riflessi omeostatici a carico dell’apparato cardiovascolare, che induce ad una diminuzione della gittata
cardiaca e ad una vasodilatazione, e a carico dei reni che aumentano l’escrezione di sali e acqua, in modo da diminuire i
volumi intra ed extra cellulari ridurre la pressione.
Come avviene il riassorbimento di acqua a livello dei vari tratti del sistema renale?
A livello del tubulo prossimale e distale l’acqua era assorbita attraverso un processo di osmosi, di seguito al riassorbimento
dei soluti. Nel dotto collettore invece il riassorbimento di acqua è dovuto al gradiente osmotico della regione midollare,
cioè a partire dalla regione corticale fino alla regione midollare esiste un gradiente (l’osmolarità aumenta nella midollare)
che guida per osmosi il riassorbimento di acqua. Lungo il tubulo renale l’osmolarità cambia, perché cambia l’epitelio che
caratterizza i vari tratti, e per questo cambia anche il gradiente; infatti, nella zona corticale l’osmolarità è di circa
300mOsm, ma man mano che si procede verso la zona midollare questa aumenta fino a raggiungere il valore di
1200mOsm. In particolare, l’osmolarità aumenta a livello del tratto discendente dell’ansa di Henle, che è permeabile
all’acqua a differenza del tratto ascendente, permeabile solo agli ioni.
Regolando la permeabilità dell’acqua a livello della porzione terminale dei tubuli prossimali e dotti collettori, i reni
possono variare la concentrazione delle urine da 100 a 1400 mOsm. Abbiamo visto già precedentemente quali
conseguenze erano dovute alla diversa organizzazione dell’epitelio dei tubuli, e abbiamo detto che a livello del tubulo
distale e del dotto collettore erano presenti delle giunzioni strette che non favorivano il passaggio di acqua, per cui questa
si diffonde attraverso dei canali specifici chiamati acquaporine.

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Questi canali sono però diversi tra loro; a livello della membrana baso laterale (a contatto con il liquido
interstiziale/plasma) e presenta l’acquaporina 3, mentre a livello della membrana apicale (a contatto con il lume del
tubulo) non sono presenti delle acquaporine, ma vengono inserite solo in presenza dell’ormone ADH (vasopressina).
Per cui a seconda della quantità di ormone ADH il nostro organismo può regolare la quantità di acqua riassorbita
nell’ultimo tratto.
Come avviene il meccanismo per il quale l’ormone riduce l’eliminazione di acqua?
Quando l’ormone viene rilasciato attraverso il plasma, si lega a dei recettori specifici per esso, presenti sulla membrana
baso laterale, attivando dei meccanismi grazie ai quali si inseriscono le acquaporine 2 a livello della membrana apicale, e
quindi inducendo al riassorbimento di acqua.
Quindi in assenza dell’ormone ADH viene ridotta la permeabilità dell’acqua, viceversa in presenza dell’ormone la
permeabilità è elevata.
Qual è lo stimolo per la produzione di ADH?
Sicuramente lo stimolo può essere l’aumento
dell’osmolarità che attiva gli osmocettori (recettori
sensibili alle variazioni di osmolarità),
i quali mandano degli input attraverso i quali a
livello ipotalamico si attivano i recettori, e in
particolare a livello della neuroipofisi, aumenta
l’attività delle cellule neurosecretorie che
secernono ADH, e si avrà quindi da parte dei reni
maggiore assorbimento di acqua.
Un altro stimolo che può indurre alla produzione
di ADH è la riduzione della volemia, e quindi a
causa di una perdita di acqua eccessiva, si attivano
i recettori a livello dell’ipofisi, e a livello della
neuroipofisi si secerne l’ormone che aumenta
quindi il riassorbimento di acqua a livello renale.

Bilancio del sodio: del sodio filtrato, il 67% viene


assorbito a livello del tubulo prossimale, il 25%
nell’ansa di Henle e l’8% nel tubulo distale e dotto
collettore. La quantità di sodio deve essere
mantenuta costante, infatti essa è regolata, in
quanto un aumento della concentrazione di sodio
provoca un’ipernatriemia che provoca a sua volta
ritenzione idrica e aumento della pressione
sanguigna, viceversa una diminuzione della
concentrazione di sodio provoca un’iponatremia
che è associata a bassi volumi plasmatici e di
conseguenza ad ipotensione.
La regolazione del sodio avviene tramite il suo
riassorbimento, in quanto esso non viene secreto,
e in particolare nel tratto terminale del tubulo
renale e sotto il controllo ormonale.
Quale ormone regola il riassorbimento del sodio?
L’aldosterone che una volta rilasciato, si lega al suo recettore inducendo un aumento delle pompe sodio-potassio,
ma anche un aumento di canali specifici per lo ione sodio, in modo tale che venga assorbito più sodio.
L’aldosterone regola anche la secrezione del potassio.
Come si attiva il rilascio dell’aldosterone?
Questo avviene attraverso il sistema renina-angiotensina- aldosterone; quando si ha bisogno di maggiore riassorbimento
di sodio, a causa ad esempio di un abbassamento di sali/volemia/pressione arteriosa succede che tutte queste variazioni
inducono a livello del rene, in particolare a livello dell’apparato iuxtamidollare, una produzione dell’enzima renina.
La renina trasforma l’angiotensinogeno (proteina plasmatica prodotta dal fegato) in angiotensina I, che a sua volta viene
convertita attraverso l’ACE (enzima di conversione dell’angiotensina, presente a livello dei capillari polmonari) in
angiotensina II. A sua volta l’angiotensina II stimola la corticale del surrene alla produzione di aldosterone, che a livello
renale induce al riassorbimento di sodio (a cui segue il riassorbimento di cloro). Si ha quindi ritenzione di sali, che
trattengono più acqua nel LEC e quindi maggiore ritenzione idrica.
L’angiotensina II induce però anche alla sete, e quindi all’introduzione di liquidi che aumentano la volemia e la pressione, e
stimola anche il rilascio di vasopressina che aumenta il riassorbimento di acqua.

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Bilancio del potassio: anch’esso è regolato dall’aldosterone. La regolazione della concentrazione di potassio avviene
attraverso la sua secrezione, e quindi secondo un processo inverso rispetto alla regolazione del sodio.
Quindi un aumento di potassio, l’aldosterone attiva un maggior numero di canali selettivi per il potassio e quindi si ha una
maggiore secrezione di potassio, che viene escreto attraverso l’urina. La differenza con il bilancio del sodio, è il sistema
secondo cui l’aldosterone viene stimolato, perché abbiamo visto che entra in gioco il
sistema renina-angiotensina-aldosterone, nel bilancio del potassio lo stimolo per la produzione di aldosterone avviene
direttamente a seguito dell’aumento della concentrazione di potassio.

Bilancio del calcio: il calcio è fondamentale per mantenere le giuste concentrazioni fisiologiche; infatti, un’eccessiva
concentrazione di calcio (ipercalcemia) induce diminuzione di forza e atrofia muscolare, letargia, ipertensione,
costipazione e nausea, mentre una diminuzione della concentrazione di calcio (ipocalcemia) induce sensazioni di
stordimento, spasmi/crampi muscolari e ipotensione. La concentrazione di calcio è regolata dall’integrazione di vari
apparati, essenzialmente a livello del rene con un maggiore assorbimento di calcio, a livello delle ossa che può
determinare riassorbimento e/o calcificazione, e aumentando l’assorbimento attraverso l’ingestione e quindi nel tratto
digerente. Il calcio viene per il 70% assorbito nei tubuli prossimali, il 20% nel tratto spesso ascendente dell’ansa di Henle e
il 10% nel tubulo distale. L’assorbimento nell’ansa di Henle e nel tubulo distale è regolato dagli ormoni (paratormone,
calcitriolo e calcitonina). Il paratormone stimola il riassorbimento di calcio nel tratto ascendente nell’ansa di Henle e nei
tubuli distali, provocando una riduzione nell’escrezione di calcio e di conseguenza i livelli plasmatici sono mantenuti alti,
per cui lo stimolo che induce l’azione di questo ormone è una riduzione dei livelli di calcio. Con la riduzione di calcio le
ghiandole paratiroidi aumentano la secrezione dell’ormone PTH, che quindi stimola il riassorbimento di calcio sia a livello
renale sia a livello osseo, ma attiva anche a livello renale il calcitriolo che stimola a livello renale e nel tratto digerente
l’assorbimento di calcio. Il calcitriolo anch’esso aumenta la concentrazione di calcio; quest’ultimo è sintetizzato a partire
dalla vitamina D3, la quale può essere sintetizzata a partire dalla 7- deidrocolesterolo della pelle dopo l’esposizione alla
luce solare o assorbita attraverso la vitamina D. Una volta che si trova nel plasma questa vitamina viene convertita in 25-
idrossi vitamina D3 (25-OH D3), che raggiungerà i reni, dove abbiamo visto che a bassi livelli di calcio il paratormone regola
la sua attività, e aumenta l’assorbimento di calcio. La calcitonina ha invece effetto opposto per cui riduce la
concentrazione di calcio. Essa è attivata e rilasciata dalle cellule C della tiroide, a seguito di un aumento della
concentrazione di calcio.

Equilibrio acido-base: questo tipo di equilibrio è di fondamentale importanza. Il pH del plasma ha un range di valori molto
stretto; infatti, deve essere compreso tra i 7,38 e i 7,42; questi valori vanno mantenuti costanti in quanto se si ha una
diminuzione del valore di pH che sia minore di 7,35 si presenta una situazione di acidosi fino poi ad arrivare alla morte con
valori di circa 6,8. Analogamente lo stesso discorso si fa per un aumento del valore di pH che superi 7,45 e porti quindi
l’organismo in una situazione di alcalosi, e successivamente morte se i valori sono circa 8. Quindi è fondamentale per la
vita dell’organismo che i valori di pH siano mantenuti costanti; i valori del pH sono regolati dall’interazione di due apparati:
respiratorio (attraverso l’eliminazione di anidride carbonica) e renale (regola il riassorbimento di bicarbonato e secrezione
di ioni H+). Quindi anche piccole variazioni di pH possono avere degli effetti sul funzionamento delle cellule, ad esempio
possiamo avere delle variazioni di eccitabilità in situazioni di acidosi in cui si ha depressione del SNC o in situazioni di
alcalosi in cui si ha ipereccitabilità (spasmi muscolari/convulsioni). Le variazioni di pH possono anche alterare l’attività
degli enzimi o alterare le concentrazioni di potassio in quanto c’è una stretta relazione tra gli ioni H+ e K+, infatti quando a
livello renale viene riassorbito sodio, il potassio e gli ioni H+ vengono secrete. In condizioni fisiologiche vengono secrete
maggiori quantità di potassio, ma data la stretta relazione tra i due ioni in situazioni di acidosi durante le quali vengono
secreti più ioni H+, per compensare, si ha un minore secrezione di potassio e viceversa in situazioni di alcalosi.

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In questo modo ci sono quindi variazioni di potassio che possono provocare anomalie cardiache.
Gli ioni H+ vengono inseriti in minore quantità nell’organismo attraverso il cibo, mentre la maggior parte viene prodotta
attraverso il metabolismo, e in particolare proviene dall’anidride carbonica e quindi dalla reazione con l’acqua origina
acido carbonico che si dissocia in ioni H+ e ioni bicarbonato. In condizioni fisiologiche l’apparato respiratorio è in equilibrio
con le attività metaboliche delle cellule, per cui non c’è guadagno/perdita di ioni H+. Se però la ventilazione polmonare, e
quindi la rimozione di CO2, non eguaglia la produzione di anidride nelle cellule può esserci un accumulo o una carenza di
anidride carbonica, che altera la concentrazione di ioni H+ e quindi variazione di pH. La concentrazione di ioni H+ è quindi
regolata sia dall’apparato renale che si occupa della secrezione di questi ultimi, sia dall’apparato respiratorio attraverso
l’eliminazione di anidride carbonica. Oltre a questi due sistemi, si occupano di regolare le concentrazioni di ioni H+ anche
gli effetti tampone grazie alle proteine, emoglobina o fosfati. Abbiamo detto che se varia il valore di pH si possono avere
situazioni di acidosi o alcalosi, ma quali sono le patologie che provocano questa diminuzione o abbassamento dei valori
di pH? Quando parliamo di acidosi ci riferiamo alla diminuzione dei valori di pH minori di 7,35 che può essere causata da
disfunzioni dell’apparato respiratorio come patologie polmonari che interferiscono con lo scambio di anidride o
ipoventilazione (aumenta la PCO2 e quindi più anidride e più ioni H+ nel sangue che diminuiscono il pH), parliamo quindi di
acidosi polmonare. Se parliamo di alcalosi invece ci riferiamo all’aumento del valore del pH oltre i 7,45 che viene causata
da iperventilazione (diminuisce la PCO2 e quindi meno anidride e meno ioni H+ nel sangue che provocano aumento del
pH), parliamo di alcalosi polmonare. Sia l’acidosi che l’alcalosi possono essere però causate da disturbi metabolici;
parliamo quindi di acidosi metabolica dovuta all’eccessiva eliminazione di sostanze alcaline come il bicarbonato
(es attraverso la diarrea), eccessiva produzione di acidi da parte del metabolismo o eccessiva assunzione di acidi
attraverso il cibo, e di alcalosi metabolica che può essere causata dall’eccessiva eliminazione di acidi dall’organismo
(es attraverso il vomito) o un aumento di sostanze alcaline nel sangue (es introduzione di quantità troppo grandi di
bicarbonato a causa di acidità gastrica).
Il nostro organismo, quindi, agisce secondo 3 meccanismi
di difesa contro le variazioni di pH:

• Effetto tampone degli ioni idrogeno


• Compensazione respiratoria
• Compensazione renale

Effetto tampone: sono i sistemi che riducono al minimo le


variazioni di pH, legandosi o rilasciando gli ioni H+.
Nel nostro organismo sono presenti vari sistemi tampone:
1. Sistema tampone acido carbonico/bicarbonato:
è il sistema primario del LEC contro le variazioni degli
acidi non carbonati
2. Sistema tampone proteico: infatti le proteine sono
eccellenti tamponi in quanto contengono gruppo basici e
acidi e quindi rilasciare o legare ioni H+, ed è il sistema
primario del LIC affinché vengano importate grandi quantità
di proteine nelle cellule, ma agisce in minor modo anche nel
LEC.
3. Sistema tampone dell’emoglobina: sistema primario contro
le variazioni di acido carbonico.
4. Sistema tampone fosfato: è il sistema più importante
urinario, che può agire anche nel LIC.

Compensazione polmonare: di cui abbiamo detto si attiva


regolando la ventilazione polmonare e quindi l’eliminazione di
anidride carbonica, a seconda di come deve essere variato il
pH. Per cui se il pH aumenta, si avrà di conseguenza un
aumento della ventilazione polmonare e quindi maggiore eliminazione di anidride carbonica, viceversa se diminuisce il pH
si avrà una riduzione della ventilazione polmonare e quindi minor eliminazione di anidride carbonica.

Compensazione renale: è importante sapere che i reni compensano i valori di pH regolando l’escrezione di ioni H+ e
parallelamente il riassorbimento di bicarbonato. Se aumenta la concentrazione di ioni H+ i reni aumenteranno la loro
secrezione ed escrezione in modo da diminuire la loro concentrazione plasmatica, e contemporaneamente
aumenteranno la conservazione di bicarbonato, inducendo ad una minore escrezione di quest’ultimo e aumentando la sua
concentrazione plasmatica.

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