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Dalla madre alla figlia, dalla figlia alla madre: da Mary Wollstonecraft a Mary

Shelley
Figlia di due genitori entrambi celebri, Mary vince quella che oggi definiamo “l’angoscia dell’influenza”: è la
madre, assente, in un’epoca in cui non si insegnava l’amore per la madre, a segnarne il percorso di donna e
di scrittrice. Alle origini del romanzo familiare di Mary c’è la sua venuta al mondo che ha portato la madre
alla morte, lasciando alla figlia l’obbligo a continuare nella scrittura il percorso che nascendo ha interrotto.
La sua educazione letteraria avviene in un cimitero londinese, rileggendo le pagine scritte dalla madre. Il
testo materno diventa per lei sostitutivo della madre stessa. Nella sua opera più famosa, le metafore e i
simboli del materno scandiscono la storia del parto mostruoso di Frankenstein, che si pone lontano dalla
tradizioni romantica dell’eroe senza confini, non amplia la propria esistenza, ma crea un essere nuovo. Il
romanzo, che scrive poco più che ventenne, è la prima manifestazione di quella che diventerà la sua
peculiarità letteraria, in cui è la forte a dare senso agli accadimenti, a costruirli così come il mostro che è
nato da parti di cadaveri smembrate e poi riunite. Nell’autunno del 1818 ha già perso 2 figli: un fato di
morte le fa perdere tutto ciò a cui dà vita. La morte si impone ei suoi tesi come nucleo narrativo dominante:
da Frankenstein a The last man. Quest’ultimo romanzo si conclude con la scomparsa totale dell’uomo dalla
terra. Il romanzo dà voce alle ossessioni dell’autrice che inizia il racconto con una mitica figura femminile e
con un simbolo del femminile: la caverna della Sibilla con i suoi segni avvolti nel mistero. Quindi la Sibilla di
Ovidio dà l’incipit al romanzo; nelle Metamorfosi la sibilla racconta ad Enea come al dio Febo avesse
chiesto di poter vivere un numero di anni pari ai granelli di polvere raccolti e chiusi nella stretta della sua
mano, ma ha omesso di chiedere la giovinezza, condannandosi a una lunga esistenza da cui emergerà alla
fine solo la voce. In lei Mary trova un’immagine speculare: la morte che la Sibilla dichiara di desiderare non
le è data e la identifica con il proprio destino. Allo stesso modo, Mary, che l’ha spesso desiderata, vive la
morte come il fato a cui è legata la sua identità incompiuta di figlia e madre che ha visto estinguersi la vita
nata da lei. Proiettando l’immagine della madre sulla antica profetessa, Mary dichiara di tradurre,
trascrivere e ricostruire il testo trovato nell’antro della Sibilla: è il suo potere creativo che dopo tante morti
rinasce.
Nel romanzo The last man, l’autrice costruisce la storia di un futuro lontano, con un protagonista diventato
l’unico uomo, sopravvissuto a un mondo annientato dalla peste, che guarda dal punto di vista della fine,
anticipando successive visioni dell’estinzione dell’umanità. Nella storia del protagonista che si aggira in
luoghi resi desolati dalla peste, l’autrice racconta di sé stessa; la frattura che lei rappresenta condanna il
personaggio (e quindi anche lei stessa) alla sconfitta che a tutti tocca patire.

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