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STUDI BARTOLIANI

2
Conversazioni bartoliane
in ricordo di Severino Caprioli

a cura di
Ferdinando Treggiari

ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STUDI PICENI


“BARTOLO DA SASSOFERRATO”
Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”
Corso don Minzoni, 40 - 60041 Sassoferrato (An)
www.studiumanisticipiceni.com

ISBN 978-88-392-1024-1

© 2018 Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”


Quattro Venti

Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi


mezzo, riservati per tutti i paesi.
Indice

Premessa, Galliano Crinella 7

Ricordo di un allievo, Giuseppe Severini 9

DIEGO QUAGLIONI
Prefazione 11

FERDINANDO TREGGIARI
Conversare di maestri 15

PAOLO MARI
Letture bartoliane e ‘bartolismo’ 27

ADOLFO GIULIANI
Bartolo senza Bartolismo 59

STEFANIA ZUCCHINI
La cattedra di Bartolo a Perugia 87

MARIA ALESSANDRA PANZANELLI FRATONI


Bartolo in tipografia: il Quattrocento 105

ANTONELLA SATTIN
Bartolo in tipografia: le edizioni veneziane del Cinquecento 145

ANDREA BARTOCCI
Bartolo da Sassoferrato lettore del ‘Liber minoricarum decisionum’ di Bartolo 167

PAOLA MAFFEI
‘Bartoli vera effigies’. Il ritratto di Bartolo nel Trionfo della morte di Palermo
e nuove ricerche sulle tradizioni iconografiche bartoliane 183

FRANCESCO FEDERICO MANCINI


Breve riflessione sul supposto ritratto di Bartolo nel Trionfo della Morte di Palermo 201

BIANCAMARIA BRUMANA
Bartolo e la musica. Un documento iconografico 205

MARIO ASCHERI
Il piacere di concludere una giornata bartoliana 215

Indice dei nomi 221

Immagini a colori
183

Paola Maffei

Bartoli vera effigies


Il ritratto di Bartolo nel Trionfo della morte
di Palermo e nuove ricerche sulle tradizioni
iconografiche bartoliane

a mio padre quia doctor perusinus

Sommario: Premessa – 1. Il Trionfo palermitano – 1.1 L’affresco – 1.2 Il


ritratto di Bartolo e il titulus che lo identifica – 2. Tradizioni iconografiche
bartoliane – 2.1 La «terza famiglia» dipende dalla lastra tombale – 2.2
Annotazioni sulla «prima famiglia» – 2.3 La prima e la terza famiglia ci
restituiscono ambedue la «vera effigies»?

Premessa

Il desiderio di elevarsi attraverso il contatto spirituale e intellettuale


con le menti elette passa, sì, dallo studio delle loro opere e delle loro azioni,
ma si nutre pure dell’umana necessità di stabilire una forma di contatto
fisico, di relazione concreta, necessità che spinge a fornire perfino la divinità
di una immagine corporea.

Perciò la fama dei grandi si misura anche dall’esigenza manifestata da


contemporanei e dai posteri di dotarsi di ritratti più o meno veritieri e dalla
precocità di tali manifestazioni visive. Così anche nel caso di Bartolo, la sua
fama non poteva non trovare riscontro nella numerosissima e variegata serie
di raffigurazioni e nello sforzo di tramandare la sua immagine terrena1.

1
Numerosi ritratti di Bartolo sono stati censiti da J.L.J. van de Kamp, Bartolus de Saxoferrato
1313-1357, Amsterdam 1936, pp. 247-270 e tavole (il volume, in versione ridotta e senza
apparato iconografico, era precedentemente apparso in trad. ital. in «Studi Urbinati», 9, 1935,
pp. 3-165, ove alcuni cenni sul sepolcro e sull’effigie a pp. 99-103); e integrati e ripartiti in tre
famiglie da F.F. Mancini, “Habebat oculos veluti fixos et speculationi diu intentos”. Contributo
allo studio dell’iconografia bartoliana, in Bartolo da Sassoferrato nel VII centenario della
nascita: diritto, politica, società. Atti del L Convegno storico internazionale (Todi-Perugia, 13-
184 Paola Maffei

1. Il Trionfo palermitano

A Palermo, fra i personaggi che animano uno spettacolare Trionfo


della morte, un’unica figura reca l’indicazione con il nome: “bartolu(s) de
xaxxo firrato lux iuris civilis”. Questo ritratto è rimasto finora pressoché
sconosciuto agli storici del diritto e non è mai stato registrato nell’ambito
dell’iconografia bartoliana.

1.1 L’affresco

Il Trionfo della morte di Palermo è un immenso affresco (fig. 1),


attualmente conservato nella Galleria Regionale della Sicilia con sede a
Palazzo Abatellis, che adornava Palazzo Sclafani, magnifico edificio fatto
costruire negli anni Trenta del Trecento da uno dei più potenti uomini
dell’isola: Matteo Sclafani2. Negli anni Trenta del secolo successivo il palazzo
passava alla universitas di Palermo per la creazione di un ospedale.

Quasi contemporaneamente alla creazione dell’ospedale sarebbe


stato concepito l’affresco3, sulla cui paternità gli storici dell’arte non hanno
raggiunto certezze4 e che datano attorno alla metà del Quattrocento (con

16 ottobre), Spoleto 2014, pp. 707-724 + XXIV tavole. Allo stato attuale delle conoscenze le
più antiche immagini risultano essere quelle nelle miniature: van de Kamp p. 260 e figure V, VIa
e VIb (sulla seconda delle quali cfr. infra nota 40). Testimoni dell’iconografia bartoliana furono
esposti in occasione di una mostra a Basilea: G. Kisch, Bartolus und Basel, Basel 1960 (Basler
Studien zur Rechtswissenschaft, 54), pp. 88-90 e tavole. Non enumero le singole pubblicazioni
dove si trovano riprodotti e/o segnalati sporadicamente alcuni fra i ritratti di Bartolo.
2
Sul personaggio si veda M.A. Russo, Matteo Sclafani: paura della morte e desiderio di
eternità, in «Mediterranea. Ricerche storiche», 3 (2006), pp. 39-68; e, della stessa, I testamenti
di Matteo Sclafani (1333-1354), in «Mediterranea. Ricerche storiche», 2 (2005), pp. 521-560,
ambedue anche on-line nel sito http://www.storiamediterranea.it/.
3
Per la vastissima bibliografia sull’affresco – della quale ho consultato un’ampia scelta ­– si
veda l’accurato elenco nel volume Il “Trionfo della Morte” di Palermo. L’opera, le vicende
conservative, il restauro, Palazzo Abatellis, Palermo, luglio-ottobre 1989, Palermo 1989,
pp. 86-88. Lo studio più recente sull’affresco è di E. De Castro, Il Trionfo della morte e
la “dissidenza radicale” della cultura figurativa a Palermo e nella Sicilia occidentale intorno
alla metà del Quattrocento, in Antonello e la pittura figurativa del Quattrocento nell’Europa
mediterranea, a cura di M.A. Malleo, Palermo 2006, pp. 91-125, ove ulteriore bibliografia
(sono grata alla prof.ssa Teresa Pugliatti per avermi generosamente donato il volume).
4
Non vi è accordo nemmeno sul numero ‒ uno o più maestri? ‒ e sulla provenienza, né è
chiaro se le numerose influenze pittoriche derivino da viaggi compiuti dal o dai pittori oppure
Bartoli vera effigies 185

fig. 1

derivino da modelli disponibili a Palermo. Fra i nomi proposti per l’affresco vi sono – sulla
base di scritte poi abrase – il giovane Antonello da Messina e Guillaume Spicre (con data
1462): G. Consoli in vari articoli fra i quali Antonello e Spicre. Un’ipotesi sul “Trionfo della
morte” di Palazzo Sclafani, in «Cronache di archeologia e di storia dell’arte», 5 (1966), pp. 134-
149, e poi da ultimo in http://www.giuseppeconsoli.it/introduzione/. Vi è Gaspare Pesaro:
G. Bresc-Bautier, Artistes, Patriciens et Confréries. Production et consommation de l’oeuvre
d’art à Palerme et en Sicile Occidentale (1348 - 1460), Rome 1979 (Publications de l’École
française de Rome, 40), pp. 93-97 (da p. 84 sul Trionfo); non convinta dell’attribuzione al
Pesaro è De Castro, Il Trionfo della morte e la “dissidenza radicale”, p. 111. E vi è il Pisanello:
M. Cutaia, L’autore del trionfo della morte di Palermo è il Pisanello? Palermo 1983 (ringrazio
l’autore che, con squisita sollecitudine, mi ha fatto dono del suo studio). Per un quadro sulle
attribuzioni si veda M.G. Paolini, Il “Trionfo” oggi, in Il “Trionfo della Morte” di Palermo.
L’opera, pp. 19-40: pp. 37-38. Riguardo ai forti punti di contatto con la cultura pittorica
toscana presenti nell’affresco, a Palermo la pittura seguiva una tradizione legata a correnti
pisano-senesi ed era ivi attivo nei primi tre decenni del XV secolo il pittore senese Niccolò
di Magio: F. Campagna Cicala, La pittura in Sicilia, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II,
pp. 478-487: pp. 478-479. Le accentuate comunanze stilistiche del trionfo palermitano con il
trionfo del Camposanto di Pisa (al quale è accomunato anche dalla presenza di un Giudizio
186 Paola Maffei

varianti sugli anni). Più precisamente, prendendo spunto dal ritrovamento,


al momento dello stacco dell’affresco, di due foglietti di carta sorbente,
in cui è leggibile con sicurezza il riferimento alla quarta indizione e al
giorno 2 di gennaio, hanno identificato il 1441 come termine post quem,
essendo quello il primo anno possibile con una indizione quarta a partire
dalla fondazione dell’ospedale5. La maggior parte degli studiosi ritiene lo
scopo della raffigurazione in qualche modo legato alla finalità ospedaliera
che il palazzo aveva assunto: ricordare ai vivi l’ineluttabilità della morte6.
Alcuni studiosi hanno cercato di individuare nella scena illustrata – che
esprime un’atmosfera orrida, mostruosa e spietata – avvenimenti politici,
connettendo le scelte iconografiche alle vicende finali del grande Scisma7,
oppure calamità quali le epidemie di peste8. Su questi presupposti sono stati
avanzati interessanti e dotti raffronti fra l’opera palermitana e altri dipinti,

universale, a Palermo ormai definitivamente perduto) e quello dell’Orcagna nella chiesa


fiorentina di Santa Croce sono state sottolineate da M. Burleigh, The Triumph of Death in
Palermo, in «Marsyas. Studies in the History of Art», 15 (1970-72), pp. 46-57: pp. 50-51; a
queste analogie stilistiche vanno aggiunte anche quelle con il Cappellone degli Spagnoli a
Santa Maria Novella, messe in evidenza da Sclafani, Una pagina (infra nota 11). Nell’insieme
il Maestro del Trionfo pare aver avuto una conoscenza diretta delle arti figurative non solo
italiane, ma anche fiammingo-borgognona, catalana e del resto d’Europa. Si veda anche F.
Bologna, Napoli e le rotte mediterranee della pittura: da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando
il Cattolico, Napoli 1977, pp. 11-46.
5
Il termine fu proposto da M.G. Paolini, Il Trionfo della Morte di Palermo e la cultura
internazionale, in «Rivista dell’Istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte», n.s., 11-12
(1963), pp. 301-369: pp. 302-303.
6
Sui dipinti raffiguranti il trionfo della morte, oppure l’incontro fra i vivi e i morti, la danza
macabra o altri soggetti simili si veda da ultimo L. Pantani, La signora del mondo: note
sull’iconografia del trionfo della morte, in «Annali Aretini», 13 (2005) = Simboli e rituali nelle
città toscane tra Medioevo e prima Età moderna, Atti del convegno internazionale (Arezzo,
21-22 maggio 2004), pp. 105-137.
7
Burleigh, The Triumph, pp. 52-53, prende spunto dal fatto che dai dardi della morte
risultano particolarmente colpite le gerarchie ecclesiastiche e dalla presenza di due personaggi
che indossano il triregno, identificabili, a suo parere, con Eugenio IV e Felice V: l’affresco
andrebbe perciò datato fra il 1447 e il 1449.
8
Bresc-Bautier, Artistes, p. 88; A. Mazzè, Il Trionfo della Morte a Palermo, lo Zingaro e
la peste, in «Storia dell’arte», 45 (1982) pp. 153-159, secondo la quale i punti colpiti dalle
frecce sono gli stessi dove si manifestavano i bubboni della peste. A. Spagnuolo, Ancora sul
“Trionfo” di palazzo Sclàfani a Palermo: tentativo di lettura in codice astrologico, in Antonello
da Messina. Atti del Convegno di studi tenuto a Messina dal 29 novembre al 2 dicembre
1981, Messina 1987, pp. 403-418, suggerisce che alcuni aspetti iconografici indichino un
riferimento al segno zodiacale dell’Ariete e che dunque il dipinto si riferisca ad un’epidemia
di peste avvenuta in quel periodo astrologico e propone l’anno 1452.
Bartoli vera effigies 187

e sono stati studiati alcuni specifici aspetti iconografici9 e tecnici10. Esiste


inoltre un’ipotesi totalmente diversa11, secondo cui l’affresco sarebbe stato
eseguito da maestranze toscane12, alla metà del Trecento, per volere del
fondatore del palazzo Matteo Sclafani, come una pittura infamante13 contro
le gerarchie ecclesiastiche, a causa di una serie di vicende14: questa proposta,

9
Come lo studio sugli abiti e sui gioielli dei personaggi che animano l’affresco: J. Bridgeman,
The Palermo Triumph of Death, in «The Burlington Magazine», nu. 868 (luglio 1975), pp.
480-484; G. Cantelli, Aspetti della moda in Sicilia nel Rinascimento, in Il costume nell’età del
Rinascimento, a cura di D. Liscia Bemporad, Firenze 1988. Per inciso rilevo che nell’ultimo
testamento conosciuto di Matteo Sclafani, dettato il 6 settembre del 1353, si elencano
orecchini, coroncine, smalti, reticelle per capelli, ornati di perle e pietre preziose: Russo, I
testamenti, p. 561.
10
Così i contributi riguardanti il restauro e la conservazione ovvero la tecnica pittorica,
raccolti nel volume Il “Trionfo della Morte” di Palermo. L’opera.
11
L’autore è un omonimo, quanto al cognome, di Matteo, il grande personaggio committente
del palazzo: G. Sclafani, Una pagina di storia siciliana illustrata da un grande toscano del
300 (Ipotesi sul Trionfo della morte della Galleria Nazionale di Sicilia), Pisa 1978; ipotesi
nuovamente proposta, con precisazioni, in Il Trionfo della morte di Palazzo Sclafani a
Palermo. Suo significato e possibili riferimenti col Trionfo della morte del Camposanto Pisano,
in Predicatori e poeti = «Memorie domenicane», nuova serie, 33 (2002), pp. 213-225. Si
vedano anche, dello stesso autore, Il significato storico di uno scorcio del Cappellone degli
Spagnoli in Santa Maria Novella, in Libri di vita, libri di studio, libri di governo (Savonarola e
Giorgio Antonio Vespucci) = «Memorie domenicane», nuova serie, 28 (1997), pp. 475-480 e Il
Trionfo della morte del Camposanto di Pisa, in Agiografia e iconografia dalla città al chiostro =
«Memorie domenicane», nuova serie, 32 (2001), pp. 421-428 + 4 tavole.
12
L’autore sviluppa questa proposta osservando che la magnifica scultura che sormonta
il portone di palazzo Sclafani, raffigurante un’aquila che artiglia un agnello, è opera dello
scultore pisano Bonaiuto di Michele (per la quale cfr. C. Di Fabio, Gli scultori del monumento
del cardinale Luca Fieschi nella cattedrale di Genova. Precisazioni e proposte, in Arnolfo di
Cambio: il monumento del cardinale Guillaume De Bray dopo il restauro = «Bollettino d’arte»,
volume speciale, Serie VII (2009), pp. 263-288: p. 270 fig. 21 e p. 272).
13
Sclafani, Il Trionfo, pp. 215-216, ove a nota 9 ricorda G. Ortalli, “...pingatur in palatio...”:
La pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma 1979 (Storia 1). Ancor più interessante per il
nostro tema S.Y. Edgerton, Pictures and Punishment: Art and Criminal Prosecution during
the Florentine Renaissance, Ithaca, NY, 1985. Da ultimo sulla pittura infamante si vedano gli
studi raccolti in Images of Shame. Infamy, defamation and the ethics of oeconomia, edited by C.
Behrmann, Berlin 2016, in particolare quelli di G. Ortalli, M. Ferrari, G. Milani.
14 Questi i fatti che, a suo parere, sarebbero all’origine dell’affresco: dopo la rivoluzione del
Vespro l’isola aveva continuato ad essere teatro di scontri fra Angioini e Aragonesi; nel 1347
le due parti trovarono un accordo («pace di Catania») che tuttavia non andò a buon fine per
l’opposizione del papato avignonese, ciò che spiegherebbe l’animosità espressa dall’affresco
verso le alte cariche ecclesiastiche. Io aggiungo che altri fatti, sempre legati alle contese
fra angioini e aragonesi per la travagliatissima isola, avrebbero potuto provocare un forte
188 Paola Maffei

per quanto suggestiva, non è stata mai discussa né tenuta in considerazione,


probabilmente a causa di alcune ingenuità, dell’insufficiente apparato
bibliografico-critico e di ragioni ostative dal punto di vista stilistico.

1.2 Il ritratto di Bartolo e il titulus che lo identifica

Concentriamoci ora sul ritratto di Bartolo nel grande affresco.


Esso ci mostra un volto spigoloso e contratto, con le orbite scavate e gli
zigomi evidenti, il mento sporgente e con una fossetta, la bocca semiaperta,
ciocche di capelli che fuoriescono dalle pieghe disciolte e disordinate di un
copricapo (fig. 2); quest’ultimo, più che un turbante, a me pare ricordare il
mazzocchio, tipico copricapo indossato anche dai giuristi. Il corpo, bocconi
e con le braccia distese in avanti, è rivestito di un magnifico velluto operato15
blu, mentre le maniche terminano con un’elegante fascia bianca, fascia che
borda anche l’orlo del mantello (fig. 3) dal quale spunta una scarpa16 (fig.
4). Il volto e le braccia appoggiano su un libro aperto, che funge da titolo17,
con l’indicazione del nome del giurista – «bartolu(s) de xaxxo firrato lux
iuris civilis» (fig. 5) –, mentre i minuscoli segni che riempiono le due facciate
servono a dare l’illusione di pagine scritte.

risentimento: «nel 1339, in seguito all’ultimatum del papa Benedetto XII per la consegna
dell’isola a Roberto d’Angiò ed all’ennesimo rifiuto di Pietro [d’Aragona], viene comminata
la scomunica e la Sicilia è colpita dal terzo interdetto; tra i nobili scomunicati» vi è anche il
nostro Matteo Sclafani: cfr. Russo, Matteo Sclafani: paura della morte, pp. 46-47, che trae i
nomi degli scomunicati da C. Mirto, Il regno dell’isola di Sicilia e delle isole adiacenti, I: Dalla
nascita (1282) alla peste del 1347-48, Messina 1997, p. 223.
15
Paolini, Il “Trionfo” oggi, p. 28.
16
Per la scarpa si veda Cutaia, L’autore del Trionfo, figg. 53-59 e testo.
17
Sulla «parola dipinta» e sulla sua funzione si veda la miscellanea Visibile Parlare. Le scritture
esposte nei volgari italiani dal Medioevo al Rinascimento, a cura di C. Ciociola (Pubblicazioni
dell’Università degli Studi di Cassino, sezione Atti, convegni, miscellanee 8), compresa
l’illuminante prefazione del curatore e, fra i molti studi raccolti, in particolare quello di G.
Pozzi, Dall’orlo del “visibile parlare”, pp. 15-41. Fra i lavori specificamente relativi ai tituli
negli affreschi ricordiamo Un ciclo di tradizione repubblicana nel Palazzo Pubblico di Siena.
Le iscrizioni degli affreschi di Taddeo di Bartolo (1413-1414), a cura di R. Funari, Siena 2002
(Accademia Senese degli Intronati, Fonti di storia senese), e il recentissimo G. Ammannati,
Pinxit industria docte mentis. Le iscrizioni di Virtù e Vizi dipinte da Giotto nella Cappella
degli Scrovegni, Pisa 2017 (Le Edizioni della Normale). Sono grata all’amico prof. Roberto
Farinelli per i suggerimenti.
Bartoli vera effigies 189

fig. 2

fig. 3

fig. 4 fig. 5
190 Paola Maffei

Il titulus18, obliquo e capovolto rispetto all’osservatore, è vergato in


una textualis formata, una scrittura dalla lunga vita, di matrice francese,
impiegata dai copisti anche in Italia nel corso del Quattrocento. Quanto
alle caratteristiche linguistiche, la presenza del grafema x al posto di s non
costituisce una particolarità (sono conosciuti manoscritti del terzo quarto
del Trecento con una alta incidenza di questa variante grafica), mentre la
forma firrato anziché ferrato, con vocalismo protonico siciliano <I> / pl,
indicherebbe un pittore siculo.

È stato proposto che il personaggio raffigurato sia piuttosto Niccolò


Tedeschi (†1445), arcivescovo di Palermo dal 1438 fino alla morte e cardinale
dal 1440, ipotesi19 che non solo contrasta con il titulus espresso a chiare
lettere, ma che è iconograficamente inverosimile, solo riflettendo sul fatto
che un canonista sarebbe stato rappresentato con i ferri del mestiere, vale a
dire una delle parti del Corpus iuris canonici, oppure – e a maggior ragione
nel caso di un canonista della levatura dell’Abbas Panormitanus – con una
delle sue opere; senza contare che il Panormitano avrebbe dovuto indossare
i simboli della sua carica vescovile o cardinalizia o almeno quelli dell’ordine
benedettino al quale apparteneva, tanto più riflettendo sulla sua carica di abate
di Maniace. Insomma, anche a voler tacere della perentoria indicazione nel
titulus, altri avrebbero dovuto essere i segni iconograficamente probanti per
l’identificazione dell’insigne cardinale. Più verosimile mi appare l’opinione
che il Panormitano possa aver giocato un ruolo nella concezione e nella
esecuzione del Trionfo20 e che suo possa essere il suggerimento di raffigurare
Bartolo “lux iuris civilis”, sempre che l’affresco sia stato realizzato in anni
non troppo lontani dalla sua morte.

Solletica la nostra fantasia il pensiero che schizzi del vero volto di


Bartolo fossero giunti a Palermo insieme ai libri di qualche giurista o che
un’immagine bartoliana avesse potuto essere ammirata direttamente a

Per le preziose riflessioni paleografiche ringrazio Teresa De Robertis, Antonella Ghignoli,


18

Nicoletta Giovè e Giovanna Murano; e Pär Larson per l’analisi linguistica.


19
Formulata da A. Mazzè, L’edilizia sanitaria a Palermo dal XVI al XIX secolo: l’Ospedale
grande e nuovo, Palermo 1992, p. 130, e accolta da De Castro, Il Trionfo della morte e la
“dissidenza radicale”, p. 99, in quanto il Panormitano era ritenuto il «nuovo Bartolo del diritto
canonico»”. Sul massimo canonista del Quattrocento cfr. O. Condorelli, Niccolò Tedeschi
(Abbas Modernus, Panormitanus), in Dizionario biografico dei giuristi italiani, Bologna 2013,
pp. 1426-1429, con bibliografia.
20
A. Parronchi, Probabile traccia per l’autore del “Trionfo della Morte” in Palermo, in
«Antichità viva» 6/1 (1967), pp. 13-17, e Paolini, Il “Trionfo” oggi, p. 22.
Bartoli vera effigies 191

Perugia dall’ignoto maestro del Trionfo21. Tuttavia le figure che animano


l’affresco e dunque anche quella di Bartolo, pur caratterizzate da un realismo
esasperato, sono ritenute di origine convenzionale22 e la speranza di trovarci
di fronte alla Bartoli vera effigies è assai fievole.

Ma, anche se fisionomicamente irreale, il ritratto palermitano riveste


notevole interesse perché non solo esso costituisce, ad oggi, la testimonianza
iconografica più risalente del ruolo assunto da Bartolo quale simbolo
della categoria dei giuristi, ma è anche la prima raffigurazione bartoliana
con l’indicazione del nome nonché il suo ritratto ad affresco più antico
conosciuto.

2. Tradizioni iconografiche bartoliane

Il ritratto palermitano di Bartolo non ha avuto nei secoli un seguito


di riproduzioni e imitazioni e, come altri ritratti bartoliani di fantasia già
censiti dalla storiografia, non ha prodotto filoni. Altre raffigurazioni di
Bartolo hanno invece creato delle tradizioni iconografiche, che sono state
recentemente ripartite in tre famiglie principali23. Di esse non mi soffermerò
sulla cosiddetta seconda, quella il cui archetipo risale al ciclo eseguito nel 1475
da Giusto di Gand per lo studiolo del duca di Urbino, ove i sapienti effigiati
presentano fisionomie, abbigliamenti e pose convenzionali24: per Bartolo
posso solo aggiungere che il viso pieno, la posa di tre quarti, l’abbigliamento
con l’ermellino e altri simili dettagli stereotipati si riscontrano nelle miniature
“bolognesi” raffiguranti i giuristi che illuminavano in particolare il Digesto.

21
Che, in considerazione delle numerose e varie suggestioni stilistiche presenti nel suo
capolavoro, potrebbe aver molto visitato, secondo alcuni studiosi al seguito di Niccolò
Tedeschi nei viaggi compiuti per partecipare al concilio di Basilea: Paolini, Il “Trionfo” oggi,
p. 34 e bibliografia ivi citata.
22
In tal senso Paolini, Il Trionfo della Morte di Palermo, p. 332; Paolini, Il “Trionfo” oggi, p.
23; per Bartolo in particolare: Cutaia, L’autore del Trionfo, tavv. 60-66 e testo.
23
Cfr. supra nota 1. Pur non accorpando espressamente i ritratti in famiglie, va detto che van
de Kamp, nella descrizione e nella distribuzione delle figure nelle tavole, mostra di avere
intuito le dipendenze iconografiche.
24
Mancini, “Habebat oculos”, p. 718, con bibliografia ivi citata.
192 Paola Maffei

2.1 La «terza famiglia» dipende dalla lastra tombale

La cosiddetta terza famiglia presenta una visione frontale del viso di


Bartolo, ben avvolto nel tipico copricapo, caratterizzato da un naso lungo,
un ovale particolarmente allungato nel segmento dalla fronte alla bocca, un
mento ravvicinato alla bocca e leggermente sporgente, una bocca piuttosto
piccola.

Il primo esempio conosciuto di questa tradizione iconografica è un


ritratto facente parte di un ciclo pittorico che ornava palazzo Pontani a
Perugia, eseguito nel 1535 da un ignoto artista. In questo ciclo sei tondi,
accompagnati dalla raffigurazione della giustizia, sono dedicati ai massimi
ornamenti dello Studio perugino, tutti giuristi: Bartolo, i tre fratelli Baldo
(†1400), Angelo (†1400) e Pietro (†1412) degli Ubaldi, Pier Filippo Della
Corgna (†1492) e Giovanni da Montesperello (†1464)25. Tutti, salvo Baldo,
secondo la migliore erudizione antica, furono sepolti in quel pantheon delle
glorie perugine che è stata la chiesa di San Francesco al Prato.

Dunque la chiesa di San Francesco al Prato conteneva lastre e/o


monumenti funebri di tutti questi grandi: ora, a me sembra inverosimile
che l’artista al quale fu commissionato il progetto non abbia compiuto
un sopralluogo e non abbia tratto ispirazione da quelle lastre e da quei
monumenti, dei quali quello di Pier Filippo Della Corgna era recentissimo,
risalente ad una quarantina d’anni prima26.

Ed in effetti, osservando il ritratto di Bartolo (fig. 6) con gli occhi

25
Mancini, “Habebat oculos”, pp. 720-721 e nota 40 (ringrazio il prof. Mancini per il materiale
fornitomi). Sulle vicende del palazzo cfr. L. Teza, Glorie dinastiche e perugine nel Iustitiae
Sacellum di Guglielmo Pontano, in Annali di Storia delle Università italiane 18 (2014), pp. 151-
166 con illustrazioni, e particolarmente p. 158, ove l’autrice offre una convincente individuazione
dei giuristi raffigurati nei singoli tondi (attualmente nel palazzo dell’Università), per i quali, nei
vari spostamenti, non era stato conservato l’ordine dei cartigli identificativi.
26
Per la sepoltura di Bartolo: Mancini, “Habebat oculos”, pp. 707-709 e 711-714, con
bibliografia; per le sepolture a San Francesco al Prato degli altri giuristi cfr. G.B. Vermiglioli,
Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, Perugia 1829 (rist. Bologna 1973),
I, pp. 103 (Angelo), 158 (Pietro degli Ubaldi), 358 (Pier Filippo Della Corgna), e II, p.
133 (Giovanni da Montesperello). La chiesa è ormai drammaticamente ridotta ad un mero
involucro, privo di tutte le testimonianze storico-artistiche, ormai irrimediabilmente perdute,
e anch’esso oggetto di numerosi interventi più o meno rispettosi: si veda l’interessante studio
di V. Borgnini, La chiesa di San Francesco al Prato in Perugia: vicende costruttive e conservative
dell’edificio e delle sue opere d’arte, Perugia 2011 (Bollettino per i beni culturali dell’Umbria,
Quaderno 3) (il volume mi è stato premurosamente donato dall’amico Nando Treggiari).
Bartoli vera effigies 193

fig. 6 fig. 7

semichiusi e l’espressione «assente», esso mi sembra indubitabilmente


ispirato ad un monumento funebre, vale a dire la sua lastra terragna
«piuttosto lineata che scolpita»27 e cioè incisa, e dalla quale perciò i tratti
del volto non potevano apparire vitali. Queste caratteristiche sono ancora
più evidenti in incisioni successive, fra le quali quella presente nella raccolta
benavidiana del 156628 (fig. 7) – la cui dipendenza dal ritratto mortuario
era stata già stigmatizzata da Kenner29 e poi, indipendentemente, da van de

27
Secondo la descrizione di C. Crispolti, Perugia Augusta, Perugia 1648, riportata da
Mancini, “Habebat oculos”, p. 707 nota 1. Quanto al monumento funebre di Bartolo a parete,
esso, voluto dagli eredi Alfani, era stato «realizzato probabilmente nei primi anni settanta
del Cinquecento» (Mancini, p. 711) e quindi posteriormente al ciclo perugino di palazzo
Pontani. Sul sepolcro di Bartolo e i suoi resti mortali cfr. F. Treggiari, Le ossa di Bartolo.
Contributo alla storia della tradizione giuridica perugina, Perugia 2009 (Per la storia dello
Studio perugino delle origini: fonti e materiali 2), pp. 28-32 e anche 144-150.
28
Marco Mantua Benavides, Illustrium iureconsultorum imagines, Roma 1566
(scaricabile da https://books.google.it/books?id=FOg1AQAAMAAJ&printsec=frontco-
ver&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false); sulla collezione
cfr. E.J. Dwyer, Marco Mantova Benavides e i ritratti di giureconsulti illustri, in «Bollettino
d’arte» 64 (novembre-dicembre 1990), pp. 59-70.
29
F. Kenner, Die Porträtsammlung des Erzherzogs Ferdinand von Tirol, [II:] Die italienische
Bildnisse, in «Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses»,
18 (1897), pp. 135-261: pp. 195-197 nr. 51; si veda anche Dwyer, Marco Mantova, p. 61; e
Teza, Glorie dinastiche, p. 158 nt. 47.
194 Paola Maffei

Kamp30 – e quella presente nell’edizione del trattato Tyberiadis del 1576 (fig.
8). In quest’ultima edizione31, curata da Ercole Bottrigari, umanista di vaglia
nonché discendente di Iacopo maestro di Bartolo32, si trova una conferma
indiretta della dipendenza dell’immagine dalla lastra tombale: in un carme
«in effigiem Bartoli» la seconda parte del terzo verso recita: «Ornet post
funera sola» la cui traduzione potrebbe suonare «(che il ritratto) abbellisca
il pavimento dopo la sepoltura»33; senza contare che il curatore afferma nel
suo elegante distico posto sotto l’effigie, che essa descrive («exprimit») il
volto di Bartolo, non essendo possibile dipingerne la mente34. Del resto,
un personaggio della levatura di Ercole Bottrigari, noto per il suo rigore e

30
van de Kamp, Bartolus, pp. 247-251, trad. ital. pp. 90-92, osserva, riguardo all’aspetto di
Bartolo, che «la testa era grande e, nella parte posteriore, di forma abbastanza oblunga.
Queste particolarità gli vennero scoperte dalle ossa, quando venne trasportato dal vecchio
al nuovo sepolcro. Probabilmente aveva il naso lungo e diritto, i lineamenti acuti, la bocca
piccola e non portava né i baffi né la barba. In questo modo almeno è rappresentato in un
quadro che evidentemente è stato ripreso dal suo cadavere. Benché non ci sia a conoscenza
dove si trovi ora questo quadro, l’unico ritratto autentico di Bartolo, sappiamo esattamente
come questo deve essere stato, poiché possediamo una incisione in rame che è stata tratta
da essa [sic]», rinviando alla raccolta benavidiana e, con la convinzione che dall’incisione
derivasse il dipinto di Bartolo conservato da Angelo Perigli, ribadendo che «evidentemente
dunque il quadro è stato fatto dopo la sua morte prematura e inaspettata, copiandolo dal suo
cadavere».
31
Tyberiadis D. Bartoli de Saxoferrato ... ab Hercule Buttrigario ... nunc demum restitutus
..., Bononiae, apud Ioannem Roscium, 1576. La copia dell’ETH-Bibliothek Zürich, Rar 989,
è consultabile on-line: http://dx.doi.org/10.3931/e-rara-12156.
32
Sulla personalità di Ercole, che fu letterato e musicologo, cfr. la voce di O. Mischiati, in
Dizionario biografico degli italiani 13, Roma 1971, pp. 491-495 (ove, fra le imprese editoriali,
non è menzionata la cura dell’edizione bartoliana di cui discorriamo), e da ultimo L. Bruno,
Il cantar novo di Ercole Bottrigari, ovvero dell’antica musica cromatica ridotta alla moderna
pratica polifonica tra Cinque e Seicento, in «Studi musicali», nuova serie, 5/2 (2014), pp. 273-
356. Ad Ercole Bottrigario, «Tyberiadis instauratorem perspicacissimum» dedica un lungo
carme Annibale Rovighio, lo stesso autore del carme sull’effigie (cfr. nota seguente): ed. 1576,
cc. non num. 2r-4r = riprod. digitale pp. 7-9.
33
Ed. 1576, c. non num. 4r = riprod. digitale p. 11. La mia traduzione è stata confortata dalla
generosa competenza della prof.ssa Myriam Chiabò. Il carme, firmato da Annibale Rovighio,
presenta un testo assai involuto: «Pinxerit Aemathium Regem, licet unus Apelles, / Ipse tamen
Coam, BARTOLE, sperne manum. / Tu potiora petas. Ornet post funera sola; / quae vivum
erudit te BOTRIGARA domus». Ad esso segue un distico di Pompeo Ricciardo (o Ricciardi)
sull’espressione pensosa di Bartolo, trasmessa dall’immagine. Non ho trovato notizie sugli
autori dei due carmi, probabilmente appartenenti alla cerchia di letterati frequentata dal
curatore dell’edizione.
34
Ed. 1576, c. non num. 3v = riprod. digitale p. 10: «Herculis Butrigarii. / Exprimit effigies
haec vultum Bartoli at, o cur, / non potuit mentem pingere qui faciem».
Bartoli vera effigies 195

fig. 8 - L’effigie di Bartolo nell’edizione 1576 del trattato Tyberiadis


196 Paola Maffei

la sua puntigliosità, avrebbe fornito un altro tipo di commento nel caso di


un ritratto di mera invenzione. Nell’incisione l’elegante cornice dell’effigie,
sormontata da una grottesca sorretta da due geni alati35, presenta un
particolare che mi sembra non sia stato finora messo in evidenza: i nastri che
la fiancheggiano, legati ciascuno a un piede dei geni, passano attraverso un
festone e terminano sostenendo un volume per lato; in base alle scritte sui
piatti i volumi risultano essere rispettivamente un Digestum vetus (ff. vet.) e
un Digestum novum (ff. nov.).

In conclusione, l’immagine del giurista di Sassoferrato proposta dalla


terza famiglia iconografica bartoliana dipende da quella offerta dalla lastra
sepolcrale posta a terra.

2.2 Annotazioni sulla «prima famiglia»

Riflettiamo ora sulla prima famiglia iconografica, di cui non si conosce


il capostipite, diffusa da una medaglia celebrativa della fine del Cinquecento36
e specialmente dalla magnifica antiporta degli Opera omnia stampati a
Venezia da Lucantonio Giunta, già nell’edizione del 159037 (fig. 9). La testa

35
Come rileva Mancini,”Habebat oculos”, p. 724.
36
Mancini, “Habebat oculos”, p. 717 nota 29 e fig. 17, con rinvio a M. Bellucci, Medaglie
perugine dal XV al XX secolo, Perugia, 1971, pp. 32-33 con riproduzione fotografica di ambedue
le facce (cfr. infra nota 39 e testo corrispondente). Della medaglia, escussa verosimilmente in
un numero minimo di esemplari, forse addiritttura uno solo, pare conosciuto solo quello
conservato a Perugia; da questo esemplare è ricavato anche lo schizzo del ritratto di Bartolo
nel controfrontespizio dello studio di C. Bernabei, Bartolo da Sassoferrato e la scienza delle
leggi, Roma 1861.
37
Si veda l’esemplare degli Opera omnia di mio padre, datato appunto 1590, tomo I, ove fra
l’altro, nell’antiporta con la vera effigies, il nome di Bartolo è ripassato in oro. L’esistenza
dell’antiporta non è censita per il 1590 da P. Camerini, Annali dei Giunti, vol. I: Venezia,
parte seconda, Firenze 1963, pp. 155-157 nu. 965, che invece la segnala per l’edizione del
1603; quest’ultima costituiva non una ristampa o nuova edizione ma la riproposizione dei
fondi invenduti dell’edizione precedente con nuovi frontespizi: pp. 242-243 nu. 1074.
Ricordano solo l’edizione del 1603 sia van de Kamp, Bartolus, p. 256, che Mancini, “Habebat
oculos”, p. 716 e fig. 15. Per l’autore dell’incisione, il veneziano Giacomo Franco, cfr. G.
Milesi, Dizionario degli incisori, Bergamo 1989, p. 153, che ricorda la ritrattistica fra le sue
specializzazioni. L’esemplare di mio padre è stato esposto nella mostra Bartolo da Sassoferrato
a Siena nel VII centenario della nascita. Manoscritti, incunaboli, cinquecentine ... Con un
ricordo di Domenico Maffei, Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, 18 settembre - 18
ottobre 2014, a cura di E. Mecacci e M.A. Panzanelli Fratoni, Siena 2014.
Bartoli vera effigies 197

fig. 9 - L’antiporta degli Opera di Bartolo nell’edizione 1590 di Lucantonio Giunta


(esemplare nella biblioteca di Domenico Maffei)
198 Paola Maffei

di Bartolo, proposta di profilo, presenta un naso dritto e pronunciato e un


viso particolarmente allungato verso la fronte, il mento breve e sporgente,
una bocca breve. La testa è scoperta e con i capelli corti, fitti e ricci: il tipo
di taglio e, specialmente, la mancanza di copricapo sembrerebbero una
concessione alla moda cinquecentesca, che non trova riscontro al tempo di
Bartolo; sempre che la testa non sia stata così raffigurata sulla base di schizzi
o di ricordi tramandati.

Nell’antiporta l’immagine è definita vera effigies, affermazione che,


pur volendo concedere all’editore una certa spregiudicatezza commerciale,
doveva avere qualche fondo di verità: sarebbe stato più comodo e meno
dispendioso riprendere l’incisione diffusa dall’edizione del 1520 curata
dal Diplovatazio o proporre un qualsiasi ritratto di fantasia. Nell’epistola
dedicatoria ai benigni lettori si racconta che38:
Ci siamo curati di far incidere l’effigie di Bartolo che ci fu inviata
da Perugia. Ciascuno potrà giudicare quanto questa effigie sia
diversa da quelle finora stampate. Non vi può essere dubbio
che essa sia simile a Bartolo, come nemmeno egli stesso fu così
simile a sé medesimo, perché sono gli stessi consanguinei che ce
l’hanno certificato.
Verosimilmente l’immagine inviata da Perugia doveva essere
la medesima dalla quale nello stesso periodo, se non addirittura
contemporaneamente, era stata ricavata la medaglia, pensata per celebrare
– o più probabilmente per commemorare – Bernardino Alfani, passato a
miglior vita il 22 ottobre 1590, lo stesso anno dell’edizione degli Opera
omnia ricordata; orgogliosamente definito «trinepos Bartoli», nella medaglia
il ritratto di Bernardino occupa il recto, mentre Bartolo è raffigurato al verso,
come gloria della famiglia Alfani: «Alphanae familiae decus»39. Dunque

38
Ed. 1590, p. 8: «Eiusdem etiam Bartoli e Perusia ad nos missam effigiem, aere excudendam
curavimus: quae quidem quantum ab aliis, quae ad hanc usque diem impressae sunt, differat,
quivis facile dijudicare poterit. Hanc autem ita Bartolo similem esse, ut sibi nec ipsemet tam
similis fuerit, dubium esse non potest: cum praesertim qui Bartoli sunt consanguinei, nos hac
de re certiores fecerunt».
39
Le parole tra virgolette sono riportate dalle leggende sui due lati della medaglia: cfr.
Bellucci, p. 35, che offre anche succinte notizie, p. 32, su Bernardino Alfani, tratte
specialmente dall’ampio profilo dedicatogli da Vermiglioli, Biografia, I, pp. 36-38. Dell’ormai
peraltro lontana discendenza da Bartolo evidentemente Bernardino Alfani andava assai fiero,
tanto che nel frontespizio della sua opera Collectanea seu reportata iuris civilis, al suo nome
segue la precisazione del grado dell’illustre parentela: «sexti a Bartolo» (Venetiis 1570, apud
Franciscum Zilettum, con epistola dedicatoria all’autore di Giovan Paolo Lancellotti, che
Bartoli vera effigies 199

l’effigie in effetti si trovava presso i discendenti di Bartolo, quei familiari che


avevano certificato a Lucantonio Giunta l’autenticità del ritratto: se questa
immagine fosse stata ricostruita sulla base di schizzi, di ricordi o di ritratti
veri e propri, non è dato di sapere. Certo, essa propone una fisionomia non
distante da quella offerta dalla miniatura ad apertura dell’Urb. lat. 172, con
il giurista inginocchiato di fronte alla Vergine40.

2.3 La prima e la terza famiglia ci restituiscono ambedue la «vera effigies»?

Mettendo a confronto la prima e la terza famiglia, rilevo che in


ambedue il naso è dritto ma importante, il volto è particolarmente allungato
nel segmento dalla fronte alla bocca e breve dalla bocca al mento, gli occhi
sono abbastanza incavati, la bocca non è grande41. Rilevo inoltre che la
terza famiglia con ogni verosimiglianza dipende dalla lastra terragna che
doveva proporre una fisionomia non lontana da quella reale; e rilevo che,
d’altronde, anche la prima famiglia dipendeva da un’immagine certificata
dai discendenti di Bartolo.

Dunque, concludendo, oso suggerire che la terza famiglia iconografica


costituisca la visione frontale del profilo proposto alla prima famiglia: in
ambedue i casi la «Bartoli vera effigies».

allo stesso Bernardino dedicò un’altra epistola quando pubblicò la Vita Bartoli, Perusiae,
apud Petrumiacobum Petrutium, 1576, c. non num. A1r-v). L’indicazione della parentela si
trova ripetuta anche nel frontespizio della successiva edizione, postuma (Venetiis 1605, apud
Iacobum Antonium Somaschum), con un’epistola del figlio Alessandro al principe Odoardo
Farnese, datata Perugia, 15 settembre 1604: in essa tuttavia non si fa menzione della medaglia.
40
Somiglianza riscontrata da Mancini, “Habebat oculos”, p. 716 e fig. 16. La miniatura,
registrata da van de Kamp, Bartolus, p. 260 e fig. VIa, è fra l’invocazione e l’inizio del
commentario a fol. 1r. Il giurista raffigurato dovrebbe essere Bartolo, in quanto il manoscritto,
fin dall’invocazione, attribuisce al giurista di Sassoferrato la lettura ciniana ivi tràdita. Il
codice, ben noto ai cultori di Cino (D. Maffei, La “Lectura super Digesto veteri” di Cino da
Pistoia. Studio sui mss. Savigny 22 e Urb. lat. 172, Milano 1963, Quaderni di “Studi Senesi”
10, ove anche tavola fuori testo con riproduzione del fol. 1r), è ora consultabile on-line:
http://digi.vatlib.it/view/MSS_Urb.lat.172 (immagine 3 per il fol. 1r).
41
Una descrizione simile è offerta già da van de Kamp: cfr. supra nota 30.
200 Paola Maffei

Abstract

La fama di Bartolo trova riscontro anche nello sforzo di tramandare la sua


immagine terrena. Nella prima parte del saggio si richiama l’attenzione sul
Trionfo della morte conservato a Palermo, ove l’unico personaggio identificato
da un titulus è Bartolo: il suo ritratto, pur se immaginario, costituisce, ad
oggi, la testimonianza iconografica più risalente del ruolo assunto da Bartolo
quale simbolo della categoria dei giuristi, e inoltre rappresenta la prima
raffigurazione bartoliana con l’indicazione del nome nonché il suo ritratto ad
affresco più antico conosciuto. Nella seconda parte del saggio si apportano
nuove risultanze sulle tradizioni iconografiche bartoliane: in particolare
si conferma con nuove argomentazioni la dipendenza dalla perduta lastra
tombale del ritratto frontale (la cosiddetta terza famiglia iconografica), si
offrono nuove riflessioni sulla genesi del ritratto di profilo (la cosiddetta
prima famiglia) diffuso dall’edizione degli Opera omnia già nel 1590 e,
infine, si propone che i due tipi di ritratti rappresentino ambedue la vera
effigies di Bartolo.

Efforts to perpetuate Bartolus’ image corroborate his fame. The first part
of the paper aims to draw attention on the Triumph of Death preserved
in Palermo, in which Bartolus is the only character identified through an
epigraphic title; although a fictional one, this portrait seems to be the earliest
iconographic witness of Bartolus’ role as symbol of jurists. Also it is the first
one to be identified with his name and the first one found in a fresco. In the
second part new arguments are discussed pertaining Bartolian iconographic
traditions: derivation of the frontal portrait (the so-called first iconographic
family) from the lost gravestone is proved through new evidence; new
remarks are offered about the genesis of the profile portrait (the so-called
third iconographic family) spread already by the 1590 edition of the Opera
omnia. Finally, it is suggested to consider that both the frontal and the profile
portraits represent Bartolus’ true picture: vera effigies.

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