Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Teatro
Appendici
La questione testuale 175
I tre Amleti 183
Nota bibliografica 191
Amleto in dvd 195
Note 197
Si può essere più afflitti, più lagnosi, più melanconici di Amleto? Pote-
va essere felice, no! Poteva essere amato, no! Io non ho mai capito che
cosa voleva Amleto. Ma che voleva Amleto?…
Ettore Petrolini, Amleto
Scheda
La trama
Dai racconti frammentari di un corpo di guardia atterrito ve-
niamo a sapere che ogni notte una cosa appare, somiglia al
vecchio re Amleto, ora defunto. Lo spettro muto si manifesta
forse perché il paese è minacciato d’invasione dalla Norvegia
e si prepara alla guerra. Bisogna che se ne informi il giovane
Amleto, figlio del vecchio re, a lui forse lo spettro parlerà. A
corte, Amleto il giovane esprime il proprio dolore per la morte
del padre e disgusto per il frettoloso matrimonio della madre
e regina vedova, Gertrude, col fratello del re, Claudio, che ora
regna. Amleto incontra lo spettro del padre, che lo informa
che la morte non fu naturale, fu avvelenato dal proprio fratel-
lo, colui che ora regna. Amleto giura vendetta. Per mascherare
le proprie intenzioni si fingerà pazzo. Polonio, consigliere del-
lo stato di Danimarca, ha due figli. Laerte, che sta iniziando un
destino quasi parallelo a quello d’Amleto – andrà all’estero, a
Parigi, a studiare (Amleto è da poco tornato da Wittemberg,
dove ha compiuto i suoi studi) –, e Ofelia, che ha un’infatua-
zione adolescenziale, probabilmente mezzo incoraggiata, per
Amleto. Polonio si convince che la pazzia di Amleto sia una
pazzia d’amore. Due compagni d’università di Amleto, dai no-
mi tedeschi, Rosencrantz and Guildenstern, arrivano a corte,
mandati a chiamare da Re e Regina, perché spiino Amleto e
ne scoprano i piani reconditi. Arriva a corte anche una compa-
gnia d’attori. Amleto concorda con loro che mettano in scena
un dramma in cui narra d’un fratello che uccide un re per im-
padronirsi della corona con la connivenza della moglie di que-
sti: spera che la recita induca il re a tradire la sua colpa. Spiati
Media1 linguistici
75 per cento versi; 25 per cento prosa, frequenti distici rima-
ti; 2 songs cantati da Ofelia.
Temi metaforici
Vero e proprio tema a sviluppo – nel senso musicale del ter-
mine – è la malattia. Lanciato dall’osservazione di Marcello
– Atto I, scena quarta, «Qualcosa è marcio nello stato dane-
se…» – intesse tutto il testo. Esemplare la terribile quarta sce-
na del terzo Atto, il dialogo con la madre, colpevole d’un atto
che «scambia la rosa / sulla bella fronte d’un innocente amore
/ con una vescica». Colpa che «d’una sottile crosta copre l’ul-
cera, / ma sotto cresce putredine che rode / e tutto infetta, in-
visibile». Poco prima – Atto iii, scena terza – Amleto, quando
sorprende Claudio in preghiera, vinta la tentazione di uccider-
lo lì sul momento, così chiude in distico rimato la sua riflessio-
ne: «La preghiera è buona cura a mente pia, / ma a te allunga
solo un po’ la malattia». Amleto stesso per Claudio è malattia.
Non far nulla per disfarsi di quell’angosciosa presenza – Atto
iv, scena prima – è: «Come chi soffra d’un male vergognoso,
/ e, perché non si sappia in giro, lascia / che gli roda il midol-
lo della vita». La decisione di sbarazzarsene in tutti i modi è
presa con un’eco di una frase proverbiale: «A mali disperati,
/ disperata è la cura che li allevia». La malattia pervade anche
tutto il corpo sociale – Atto iv, scena quarta: la guerra è l’im-
provviso manifestarsi di un male invisibile: «Molta ricchezza
e pace / e dentro un cancro che rode, mentre fuori / non ap-
pare causa alcuna del perché / l’uomo muoia».
Su 279 immagini complessive nel testo, ben 20 sono di ma-
lattia. Temi secondari sono: astronomia; personaggi del mon-
do classico; cibo, quest’ultimo nella consueta associazione in
tutto Shakespeare con la sessualità – Atto i, scena seconda:
così Amleto riassume l’attrazione erotica che Gertrude pro-
vava per il primo Amleto: «E lei… che gli stava addosso / co-
me se le crescesse l’appetito / più di lui si nutriva». C’è però
anche una grande metafora latente, che è a un tempo cornice
Data
Data di composizione ed esecuzione più probabile: 1600. Re-
gistrato per la pubblicazione nell’autunno del 1602. Allusioni
nel testo al Giulio Cesare (1599) fanno pensare che sia andato
in scena dopo quel play. La disputa tra Amleto, Rosencrantz
e Guildenstern sulle compagnie di bambini allude a rivalità tra
compagnie che ebbero luogo tra il 1600 e il 1601 (il passo è as-
sente da Q2).2 L’Ur-Hamlet di autore ignoto – oggi perduto –,
di cui alcune prove documentali e tanti indizi fanno supporre
l’esistenza, con qualche certezza ancora esisteva tra la fine de-
gli anni ottanta del Cinquecento e la metà dei novanta. Nes-
sun indizio che Shakespeare vi abbia collaborato.
Fonti
È però legittimo pensare, considerando che di frequente i plays
shakespeariani sono rielaborazioni di testi precedenti, che fon-
te primaria del suo Hamlet, sia il congetturale Ur-Hamlet, il cui
congetturale autore o coautore sarebbe stato Thomas Kyd. La
Testo
Enorme e, direi, affascinante quanto una detective story, la
questione che pone ogni edizione, e traduzione, dei testi sha-
kespeariani, e in appendice cerco di spiegarla col dovuto su-
Scena prima
(Entra lo Spettro.)
[Entra lo Spettro.]
Bernardo – È qui...
Orazio – È qui...
Marcello – È sparito...
Facciamo offesa, a tanta maestà
con questo spettacolo di violenza,
lui è come l’aria: invulnerabile
e la nostra ferocia è solo finta.
Bernardo – Stava per parlare, ma ha cantato il gallo.
Orazio – S’è scosso tutto come un colpevole
a un richiamo pauroso. Mi hanno detto
che il gallo, che è la tromba del mattino,
col suo squillo acuto e stridulo, svegli
il dio del giorno, e a quell’appello
da mare o fuoco, da terra o aria
gli spiriti vaganti ed errabondi
tornano tutti alle tane loro.
Di ciò sia prova la cosa che abbiam visto.
Marcello – È svanito al cantar del gallo.
Dicono che quando è vicino il tempo
del Natale del nostro Salvatore,
l’uccello dell’alba canti tutta notte,
e allora nessun spirito osa uscire,
salúbri son le notti, benigni i pianeti,
né fate fanno incanti, né streghe fan fatture,
tanto santo e pien di grazia è quel periodo.
Orazio – Così ho sentito, e, in parte, credo anch’io.
Guardate: il giorno di rossiccio intabarrato
già scala a Oriente il colle rugiadoso.
Smettiamo questa guardia, e a mio parere,
di quel che abbiamo visto questa notte
si informi il giovane Amleto. Io ci giuro:
lo spirito è muto a noi, ma con lui parla.
Siete d’accordo che tutto gli sia detto,
per l’amore che abbiam per lui, per il dovere?
Marcello – Sì, per favore, io so dove sia facile
trovarlo stamattina. Escono.
Atto i, scena seconda 57
Scena seconda
Scena terza
Entra Polonio.
Scena quarta
Entra lo Spettro.
Scena quinta
Scena prima
Entra Ofelia.
Scena seconda
Entra Polonio.
Benvenuti, amici.
Voltemand, che nuove dal nostro fratello norvegese?
Voltemand – Ricambia ogni saluto e ogni augurio.
È bastato dirlo e subito ha soppresso
ogni leva militare del nipote – lui credeva
che fossero da mandar contro i polacchi;
Poi ha indagato meglio e ha scoperto
che servivano ad attaccare Vostra Altezza; e, addolorato
al veder che s’approfittan di malattia, età,
impotenza per ingannarlo, impone a Fortinbras
di smettere ogni cosa, e questi, in breve,
obbedisce, accetta ogni rimprovero dal re, e, infine,
giura allo zio che mai più prenderà
l’armi contro la Maestà Vostra; e il vecchio
re norvegese, ricolmo di gioia,
gli dà tremila corone in rendita
annua, e lo impegna a usare i soldati già coscritti
contro i polacchi; acclude una supplica: – qui in dettaglio,
[Porge un foglio.]
Si compiaccia Vostra Maestà di far passare
per i suoi dominî le truppe dirette a questa impresa.
con ogni garanzia e sicurezza
come qui si specifica.
Re – Per ora ci soddisfa,
e quando avrem più tempo, leggeremo,
daremo una risposta, e penseremo
alla questione. Intanto, grazie
del risultato. Andate a riposare. E questa notte
86 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
le sillabe dei miei gemiti. Ma che io ti amo più d’ogni altra cosa, Tu, o
migliore, credilo. Addio.
Tuo per sempre, donna a me carissima, finché
questa macchina sarà lui,
Amleto
Per obbedienza, mia figlia, l’ha mostrata a me,
Ma ha fatto ben di più, ha confidato
al mio orecchio tutti i corteggiamenti
e i modi e il luogo e l’ora
in cui son avvenuti.
Re – E lei come ha accolto questo amore?
Polonio – Cosa pensate di me?
Re – Che siete un uomo fedele e degno.
Polonio – E che tale mi dimostri! Ma cosa pensereste,
se avendo io visto quest’amore in pieno volo –
già me n’ero accorto, a dirla tutta,
prima che mia figlia lo ammettesse –, insomma, Voi,
e la cara Maestà della Vostra Regina qui presente, cosa pensereste
se avessi fatto da scrivano e messaggero,
o chiuso un occhio e ammutolito il cuore,
o visto quell’amore con sguardo indifferente? –
Cosa pensereste Voi? No, mi son messo subito al lavoro,
e alla ragazza così ho parlato:
«Amleto è un principe fuor della tua stella;
non s’ha da fare». E poi l’ho istruita:
che si chiuda a chiave ed eviti ogni incontro,
che repinga i messaggeri, e niente doni;
ciò fatto, i miei consigli han dato frutti:
lui, respinto – lo si racconta in breve –
è passato da tristezza a innapetenza,
poi a insonnia, e da qui a debilità,
quindi a confusione, e via declinando
sino alla pazzia e ai suoi deliri
che tutti compiangiamo.
Re – Credete che sia così?
Regina – Forse, è probabile.
88 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
Che capolavoro è l’uomo, e così nobile nella ragione, così infinito nelle
facoltà, e per forma e moto così perfetto e ammirevole, e nell’azione co-
sì simile a un angelo, e a un dio nell’intelletto: lui, la bellezza del mon-
do, il paragone degli animali... Però, cos’è per me questa quintessenza
di polvere? L’uomo non mi dà alcun piacere... e neanche la donna; an-
che se dai vostri sorrisetti sembrerebbe di sì.
Rosencrantz – Signore, non ci ha neanche sfiorato il pensiero.
Amleto – E perché avete riso allora, quando ho detto che l’uomo non mi
dà piacere?
Rosencrantz – Pensavamo, Principe, che se non vi dan piacere gli uomini,
chissà quale accoglienza quaresimale riserverete agli attori? Li abbiamo
sorpassati lungo la strada, e stanno venendo qui a offrire i loro servigi.
Amleto – Quello che fa il re sarà ben accolto... Sua Maestà avrà il mio
tributo; il cavaliere avventuroso userà fioretto e scudo, l’amoroso non
sospirerà gratis, il fantastico urlerà in pace la sua parte, il buffo farà ri-
dere quelli con polmoni sensibili al solletico, e la prima donna potrà
esser sciolta di modi e di pensiero... a meno che il ragazzo non inciam-
pi nei versi. Che attori sono?
Rosencrantz – Proprio quelli che vi piacevan tanto: i Tragici della
Città.
Amleto – E com’è che ora son di giro? Una sede stabile, per il profitto e
la fama, era assai meglio.
Rosencrantz – Credo che gli abbian tolto la licenza in seguito agli ulti-
mi sviluppi.
Amleto – Hanno ancora il successo che avevano quando ero io in città?
Hanno ancora tanto pubblico?
Rosencrantz – No, purtroppo.
Amleto – E perché? Si sono arrugginiti?
Rosencrantz – No, il livello è sempre alto; ma ci sono, Principe, delle ni-
diate di bambini, ancora implumi, che pigolano a squarciagola e li si
applaude con vero fanatismo. La moda ora è questa, e sta sconvolgen-
do il «teatro popolare» – lo chiamano così – al punto che i gentiluo-
mini con spada hanno ormai paura della penna e neanche osano più
andarci.
Amleto – Cosa? I bambini? E chi li finanzia? Chi gli fa da patrono? E
poi, continueranno nel mestiere anche dopo che gli si è rotta la voce?
Atto ii, scena seconda 93
Entra Polonio.
Amleto – Faccio una profezia: sta venendo a dirmi degli attori... Sì, sì...
come no, è stato proprio un lunedì mattina... avete ragione...
Polonio – Signore, ho notizie per voi.
Amleto – Signore, ho notizie per voi. Quando Roscio era attore a Roma...
Polonio – Sono arrivati gli attori, signore.
Amleto – E bla bla bla bla bla...
Polonio – Sul mio onore!...
Amleto – Allora sono arrivati a dorso d’asino...
Polonio – Gli attori migliori del mondo, sia per la tragedia, sia per la
commedia, per il genere storico, per il pastorale, il comico-pastora-
le, il pastoral-storico, il tragi-storico, il tragi-comico-pastoral-storico,
il dramma unitario, o l’antiaristotelico-multigenere. Seneca non sarà
mai per loro troppo peso, né Plauto troppo leggero. Sia per fedeltà al
testo che per l’improvvisazione sono unici.
Amleto – Oh Jefte, giudice d’Israele, che tesoro avevi tu!
Polonio – Che tesoro aveva, signore?
Amleto – Ma sì... Una bella figlia e niente più
Che più d’ogni altra cosa amava al mondo...
Polonio – [a parte] – E dai con mia figlia!
Amleto – Dico bene, vecchio Jefte?
Polonio – Se mi chiamate Jefte, mio signore, io ho una figlia che più
d’ogni altra cosa amo al mondo.
Amleto – L’una cosa non consegue dall’altra.
Polonio – Cosa consegue?...
Amleto – Quello che Dio vorrà ed è prescritto,
e poi, la sai
Avvenne quel che avvenne, e s’aspettava.
La prima strofa della pia ballata ti dirà che cosa, perché ecco che ve-
do arrivare chi mi accorcia il tempo.
fai venire tu. – Ti prego, continua. A lui piacciono solo intermezzi farse-
schi o storie sconce, se no s’addormenta. Su, dai, veniamo a Ecuba.
Primo attore – Ma chi – oh dolore! – ha visto la Regina
Velata e scalza...
Amleto – ... velata e scalza...
Polonio – Questo è bello!
Primo attore – ... correre qua e là
Minacciar le fiamme col suo pianto?
Un cencio in capo, e un tempo fu un diadema,
E gli stremati lombi cinge un panno
Che nel primo sgomento ha rinvenuto.
Chi questo avesse visto, nel veleno
Intinta avria la lingua a maledire
Fortuna traditrice e il suo dominio.
Ma se gli stessi Dei la vedon ora
Guardar Pirro che per maligno gusto
Il corpo dello sposo trancia e smembra,
E l’alto grido che da lei s’effonde,
(A men che mortal cosa non li mova)
Di latte darian lacrime le stelle.
Polonio – Guardate, ha cambiato colore, e ha le lacrime agli occhi. Basta,
vi prego.
Amleto – Va bene, basta. Ti farò recitare il resto in seguito. – Per favore,
signore, volete occuparvi voi dell’ospitalità agli attori. Mi hai sentito?
Che sian trattati bene! Perché loro sono summa e cronaca del tem-
po. Meglio per te un cattivo epitaffio da morto, che una loro lamente-
la contro te da vivo.
Polonio – Mio signore, li tratterò secondo il loro merito.
Amleto – Per la lama di Dio, no molto meglio! Se si trattasse ciascuno se-
condo il proprio merito, chi sfuggirebbe alla frusta? Trattali piuttosto
secondo onor ti detta e dignità: meno meritano, e più merito c’è nella
tua generosità. Fai loro strada.
Polonio – Venite, signori.
Amleto – Seguitelo, amici. Si farà spettacolo domani. – [al Primo at-
tore] – Vecchio amico, senti un po’! Avete in repertorio il dramma
L’assassinio di Gonzalo?
98 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
Scena prima
Entrano il Re e Polonio.
Scena seconda
Amleto – Di’ la battuta, ti prego, come l’ho detta io, danzata sulla lingua;
ma se tromboneggi come fanno molti attori, meglio chiamare il ban-
ditore a dire i miei versi. E non segate troppo l’aria con le mani, così,
ma fate tutto con garbo; perché anche nel torrente, nella tempesta, nel
vortice, diciamo, della passione, devi rendere quel che hai acquistato
con la pratica: una misura che dia fluidità a ogni cosa. Oh, m’offende
fino all’anima sentire un attore pomposo imparruccato sbranar passio-
ni, ridurle a stracci, spaccar le orecchie al pubblico ingenuo, che per
la gran parte apprezza solo insensati effetti scenici e rumore. Uno co-
sì, che strafà più di Matamoro, lo farei frustare: più Erode d’un Erode
da teatro. Per favore, evitiamo tutto questo.
Primo attore – Vostra Grazia, lo garantisco.
Amleto – E neanche siate troppo sottotono, fatevi guidare dal vostro gu-
sto. Sposate l’azione alla parola, la parola all’azione, con questo specia-
le criterio: non oltrepassate mai la modestia della natura. Ogni eccesso
di recitazione è ben lontano dal vero scopo del teatro, che, dai suoi ini-
zi sino ad ora, era ed è porgere, per così dire, uno specchio alla natu-
ra; mostrare alla virtù il proprio aspetto, al vizio la propria immagine,
e all’epoca nostra, al corpo intimo del tempo la propria forma, l’im-
pronta che stampa. Ma provate a recitar sopra le righe, o in modo fiac-
co: potrete strappare una risata agli ingenui, ma sarete un’afflizione
per il pubblico esperto, e dovreste valutare di più la critica di questo
che non un teatro pieno di quelli. Oh, ci son degli attori che ho visto
in scena – e che molti altri lodano, e con ammirazione – i quali – non
avendo né accento, né portamento di cristiani, né di pagani, o addirit-
tura uomini, smanazzavano e sbraitavano in tal modo da farmi pensa-
re che l’uomo sia stato fatto, e neanche bene, da un qualche manovale
di natura, tanto abominevole era la loro imitazione dell’umano.
Primo attore – Quanto a noi, spero che in questo ci siamo un po’
corretti.
Amleto – Ma correggetevi del tutto. E fate in modo che quelli che fanno
le parti di clown non dicano di più di quanto è scritto nel copione... Ce
108 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
ne son di quelli che si ridono addosso pur di far scoppiare a ridere qual-
che spettatore scemo, anche se in quel punto una svolta del dramma ri-
chiede l’ascolto più attento. È un crimine, e rivela soltanto una penosa
ambizione nell’idiota che vi ricorre. Ma su, andate a prepararvi.
Escono gli Attori.
Entra Orazio.
Entra il Prologo.
Amleto – Ce lo dirà questo qui. Gli attori non tengono segreti: in gene-
re dicono tutto.
Ofelia – Ci diranno che cosa voleva mostrare la pantomima?
Amleto – Ma certo, l’importante è voler mostrare. Tu mostragliela, e ve-
drai che lui non avrà vergogna di dirti cosa vuol dire.
Ofelia – Sei volgare, sei volgare. Lasciami seguir la scena.
Prologo – Ci inchiniamo chiedendo indulgenza,
per noi e per la tragedia,
e speriam nella vostra pazienza.
Amleto – Cos’è un prologo o un motto inciso in un anello?
Ofelia – È breve.
Amleto – Come amor di donna.
Entra Luciano.
Ah, i flauti! Datemene uno. – E per concluder con voi, perché mi sta-
te sempre addosso, fiutando ogni mia traccia, come se voleste spin-
germi nella rete?
Guildenstern – Oh, mio Principe, se il dovere mi rende fastidioso, è il
mio affetto per voi che mi fa commetter goffaggini.
Amleto – Questa poi non la capisco. Suonami qualcosa su questo
zufolo!
Guildenstern – Ma io non so suonare.
Amleto – Ti prego.
Guildenstern – Davvero, non so suonare.
Amleto – Ti supplico.
Guildenstern – Ma non so neanche come si tiene in mano.
Amleto – È facile come mentire. Controlli questi buchi con dita e polli-
ce e ci soffi dentro con la bocca, e lui parlerà musica eloquentissima.
Guarda, queste sono le chiavi.
G uildenstern – Ma non saprei trarne alcuna melodia. Non ho la
tecnica.
Amleto – Ecco, vedete voi che bassa idea avete di me?! Pretendete di
suonarmi, pretendete di conoscer le mie chiavi, di cavarmi fuori il cuo-
re del mio mistero, di farmi cantare dalla nota più grave alla più acu-
ta della mia tessitura: e in questo strumentino c’è molta musica, e voce
eccelsa, eppure non sapete farlo parlare. Ma, porco boia, mi crede-
te più facile da suonare di uno zufolo?! Prendetemi per lo strumento
che vi pare, fregatemi qua e là dove vi pare, ma mai ne caverete alcun
suono.
118 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
Entra Polonio.
Scena terza
Entra Polonio.
Entra Amleto.
Scena quarta
Entra Amleto.
Entra lo Spettro.
Scena prima
Scena seconda
Entra Amleto.
Scena terza
Re – Oddio.
Amleto – Un uomo può pescare col verme che si è nutrito di un re, e
mangiare il pesce che ha ingoiato quel verme.
Re – Che vuoi dire?
Amleto – Niente. Volevo solo dimostrarti che un re può avanzare in cor-
teo solenne lungo il budello d’un mendicante.
Re – Dov’è Polonio?
Amleto – In cielo. Mandalo a cercare lassù. E se il tuo messo non ce lo
trova, vallo a cercare in quell’altro posto tu stesso. Ma se non riesci a
trovarlo entro un mese almeno, lo troverai a naso salendo le scale del-
la galleria.
Re – [ai Gentiluomini del seguito] – Andate a cercarlo là.
Amleto – Non ha nessuna fretta, aspetterà. [Escono Gentiluomini.]
Re – Quest’atto, Amleto, e la tua sicurezza –
che ci sta a cuore, come ci addolora
il tuo misfatto – t’obbliga a partire
rapido come il fuoco. Preparati;
la nave è pronta e propizio è il vento,
i tuoi compagni aspettano. Andrai
in Inghilterra.
Amleto – Già, in Inghilterra?
Re – Sì, Amleto.
Amleto – Bene.
Re – Sì, è un bene, se ti fosse chiaro il mio intento.
Amleto – Vedo un cherubino che lo vede chiaro. Ma sì, andiamo in
Inghilterra. Addio, mamma cara.
Re – Il tuo affettuoso padre, Amleto.
Amleto – No, mamma. Padre e madre son marito e moglie, e marito e mo-
glie sono una sola carne; quindi, mamma. Sì, andiamo in Inghilterra.
Re – Stategli alle calcagna, e in fretta a bordo,
presto – lo voglio via di qui stanotte.
Andate, tutto è pronto, ogni carta col sigillo,
non resta altro per chiuder la faccenda. Ma fate presto.
Escono tutti salvo il Re.
Oh Re inglese, se ti è caro il mio amore –
e così consiglia la mia gran potenza,
134 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
Scena quarta
Scena quinta
Entra Ofelia.
Entra il Re.
Ofelia – Per favore, non ne parliamo più, ma se ti chiedono cosa vuol di-
re, tu rispondi così.
(canta) – Domani è il giorno di san Valentino
Mi alzo presto dal letto
E alla finestra dal primo mattino
Aspetto te o mio diletto,
Te solo mio Valentino.
E lui sentì e aprì la porta.
V’entrò la vergine, e quando uscì
Vergin non era più e tutta smorta,
Se ne fuggì, via se ne fuggì...
Re – Ofelia, bambina!
Ofelia – No, no, fammela finire. Non dico parolacce.
E per Gesù e santa Bisognosa,
A che val donna esser vergognosa?!
I ragazzi lo fanno se gli viene,
Dio sa che i maschi non temon pene.
E dice lei: «Ma m’hai tutta sgualcita.
Ma prima hai detto tu che mi sposavi!».
e lui risponde:
«Ma sì, mia cara, io te l’ho giurato,
ma sol se a letto tu non ci venivi.»
Re – Da quanto è in questo stato?
Ofelia – Spero che tutto andrà bene. Dobbiamo aver pazienza. Ma a me
vien proprio da piangere a pensare che lo metteranno nella terra fred-
da. Bisogna che mio fratello lo sappia. E grazie tante del vostro buon
consiglio. Su, chiamatemi la carrozza. Buonanotte, care signore, buo-
nanotte, buonanotte. Esce.
Re – Seguila da vicino, tienla d’occhio, ti prego. [Esce Orazio].
È il veleno d’un lutto profondo, nasce dalla morte del padre. O Gertrude,
o Gertrude,
i dolori mai vengono isolati esploratori,
segue l’esercito. Prima, il padre ucciso,
poi, tuo figlio parte, lui stesso violenta causa
del proprio giusto esilio; il popolo stupefatto,
tonto e malizioso in sospetti e voci
Atto iv, scena quinta 139
Entra un Messaggero.
Entra Ofelia.
Scena sesta
Entrano Marinai.
Scena settima
Entrano Re e Laerte.
Entra la Regina.
Scena prima
Amleto – Questo non ha il minimo sentimento del lavoro che fa: canta
mentre scava le fosse?!
Orazio – L’abitudine fa diventare tutto facile.
Amleto – È vero. Mani che lavoran poco han sentimenti più raffinati.
Becchino – (canta) – Ma ladra lei com’èèèèèèèèèèè
Vecchiaia m’afferròòòòòòòò
E mi spedì in quel postooooooo
Dove non torni tuuuuuuuu... [Butta su un teschio]
Amleto – Quel teschio aveva una lingua, una volta, e sapeva cantare. E tu
guarda, quel disgraziato come lo sbatacchia; come se fosse la ganascia
di Caino, il primo omicida. Potrebbe essere il testone di un politican-
te, quella che quest’asino manipola così; uno di quelli che ti imbroglia-
no anche Dio; potrebbe, no?
Orazio – Forse, sì, Principe.
A mleto – O di un cortigiano, che magari diceva: «Buongiorno,
Eccellentissimo Signore. Quai nuove, Eccellentissimo Signore?». O
magari di Lord Vattelapesca, che adulava il cavallo d’un altro Lord
Vattelapesca perché sperava che glielo regalasse. No?
Orazio – Potrebbe, Principe.
Amleto – E ora? Ora se lo tiene Lady Verme: smascellato, picchiato sul-
la crapa dalla vanga del becchino. Ha girato bene qui la Ruota della
Fortuna – se ci fosse dato vederla in anticipo! E cosa non è costato nu-
trire e crescere queste ossa, e ora ci puoi giocare a birilli. Se ci penso,
anche le mie dolgono un po’.
Becchino – (canta) – Piccone e vanga sìììììììììììì
Scavano un lieto asiiiiilllll
La creta o bimba miiiiiaaa
Il cuor ti copriràààààà... [Butta su un altro teschio.]
Amleto – Eccone un altro. Questo lo si direbbe il teschio di un avvocato,
154 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
no? Dove sono ora i suoi cavilli, e codicilli, e cause, e tutele e trucchi?
Perché ora sopporta che questo balordo qui lo picchi sul cranio con
un badile sporco, e non gli dice: «Guardi che io la denuncio per le-
sioni gravi!!»? Mmmm... lui un tempo era un gran compratore di ter-
re – sperava in un titolo di nobiltà – e comprava, comprava; e titoli, e
ipoteche, ed enfiteusi, e cambiali, e comodati. E che gli comoda ora?
Voleva diventare una persona fine? La finezza è che ora al posto del
suo fine cervello c’è della finissima terra. E i suoi titoli di proprietà ora
l’intitolano a possedere un’area di terra minore di un paio delle sue
scartoffie, che tutte insieme entrebbero a stento nella sua fossa. Né ter-
ra più vasta toccherà al nuovo proprietario.
Orazio – No, non molto di più.
Amleto – Di’, ma la pergamena non si fa con pelli di pecora?
Orazio – Sì, Principe; e anche con pelli di vitello.
Amleto – Son pecore e vitelli che si fan garanti del diritto di proprie-
tà. Ho voglia di parlare al nostro becchino. – Di’, capo, di chi è que-
sta tomba?
Becchino – Mia, signore.
(canta) – ... la creta o bimba miiiiaaaaa...
Amleto – Lo vedo che è tua; ci stai dentro. Questo tira a cimento.
Becchino – Io non ci mento, ci scavo. Ci sto dentro e quindi è mia. Lei,
signore, ci sta fuori e mente dicendo che non è mia.
Amleto – Tu menti e tiri a cimento: dici che è tua, ma questa è per i mor-
ti non per i vivi, e tu sei vivo.
Becchino – Mentire è vivere, signore. Presto anche Lei dirà la verità.
Amleto – E chi è l’uomo per cui la scavi, capo?
Becchino – Non è un uomo.
Amleto – La donna, allora?
Becchino – Neanche. Nessuno dei due.
Amleto – Chi ci va seppellito, insomma?
Becchino – Una che fu donna, ma – pace alla sua anima! – è morta.
Amleto – Com’è sempre letterale, il nostro furbastro. Dobbiamo sta-
re attenti alle virgole, altrimenti di ambiguità in ambiguità questo ci
frega. Sai, Orazio, ho notato che in questi ultimi tre anni si è diffusa
una tale passione per la cavillosità sottile che ormai l’alluce del con-
tadino è così vicino al calcagno del cortigiano da grattargli i geloni.
Atto v, scena prima 155
Entrano [portatori] con una bara, un Prete, Re, Regina, Laerte, Gentiluomini
del seguito.
Atto v, scena prima 157
e seguon chi,
con rito così spoglio? Ciò vuol dire
che il morto che accompagnano s’è tolto
la vita di sua mano disperata, ed è un morto
che conta. Nascondiamoci a osservare.
Laerte – Funerale così povero?
Amleto – È Laerte, è un giovane leale. Stiamo attenti.
Laerte – Così povero? E nient’altro?
Prete – Le esequie son solenni tanto quanto
ci è permesso. La morte è stata dubbia;
ma ai grandi poco importa delle regole,
se no starebbe in terra sconsacrata
sino all’ultima tromba, e per preghiere
avrebbe sassi e ciotoli gettati.
Ma qui le si permette la corona
virginea e fiori sparsi, e corteo funebre
con campane e riti.
Laerte – Ma qualcos’altro si poteva fare?
Prete – No, nient’altro. Profaneremmo il rito,
cantando un requiem e dandole il riposo
degno d’un’anima dipartita in pace.
Laerte – E sia, si metta in terra; e dalla carne
di lei, incontaminata e candida
spuntino viole. E tu prete malnato, io ti dico:
mia sorella sarà l’angelo che giudica,
e tu starai ululando nell’inferno.
Amleto – Come, la tenera Ofelia?!
Regina – [spargendo fiori] – Ultime grazie a te graziosa. Addio.
Sperai tu fossi sposa del mio Amleto,
sperai di sparger fiori sul tuo letto,
ora li spargo qui sulla tua tomba.
Laerte – Oh triplice dolore, ricada triplicato
dieci volte sul capo maledetto del malvagio
che ti tolse il senno, spirito eletto. – No, niente terra, un attimo:
che la prenda tra le braccia ancora un poco. Salta nella fossa.
E ora su vivo e morta butta terra,
158 La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca
Scena seconda
Entra un Gentiluomo.
Una tavola imbandita: Trombe, Tamburi, e Paggi con cuscini. Entrano Re,
Regina, Laerte, [Osric] e tutta la Corte, e Gentiluomini del seguito con fio-
retti e pugnali.
Entra Osric.
Escono marciando [portando via i corpi], dopo di che si ode una salva di
cannoni.
Finis
Appendici
Copioni teatrali, questo era il primo stato dei testi che oggi
chiamiamo William Shakespeare. E in quanto copioni, testi
allo stato fluido che si venivano componendo per aggiunte,
tagli, errori, improvvisazioni d’attore fissate sulla carta – per-
ché durante lo spettacolo avevano funzionato – assenza o ab-
bassamento di voce di un attore, lite e successiva fuga dello
stesso; insomma le mille accidentalità di cui è fatto il teatro,
arte del possibile per eccellenza. Quel che interessa a noi è
capire come arrivassero a coagularsi in testi stampati. E inol-
tre i testi, una volta pubblicati, sono da considerarsi «opera
di», secondo quel concetto di autorialità forte – il Poeta con
maiuscola – che ereditiamo dal liceo? Scrive Jonathan Bate,
nella prefazione all’edizione del Folio (si veda più avanti) da
lui curata: «Shakespeare inizialmente scrisse i suoi plays come
un copione per l’esecuzione pubblica, non come opere lette-
rarie rifinite per la pubblicazione. Per poter capire lo status
dei suoi testi e i problemi editoriali che presentano, dobbia-
mo cominciare ad abbandonare il modello moderno dell’au-
torialità letteraria, col suo movimento dalla figura solitaria
dello scrittore con davanti un pezzo di carta (o una macchi-
na da scrivere o lo schermo di un computer) alla consegna di
Shakespeare in italiano
Shakespeare in rete
National Theatre:
http://www.nationaltheatre.org.uk/
Cito nel saggio introduttivo quasi tutti gli Amleti che, a mio
giudizio bisognerebbe avere in dvd. E qui li elenco di nuovo.
Tutto quel che non menziono – quasi tutti i più noti e notori
Amleti in versione film – ha la mia disapprovazione.
Premessa
1
Sulla particolarissima natura dei testi shakespeariani si veda l’appendi-
ce «La questione testuale».
2
Dramaturg: che in italiano si usi la parola tedesca – senza però la maiusco-
la che un sostantivo vorrebbe – è indicativo della scarsa familiarità che si ha
con questa figura professionale ritenuta ormai indispensabile nei teatri europei
e americani. La definizione minima che se ne può dare è: esperto di testi tea-
trali e di tutti i tipi di lavoro testuale che il teatro comporta: traduzione, ridu-
zione, rielaborazione, trasposizione da un altro medium – ad esempio roman-
zo, racconto o, spesso oggi, sceneggiatura cinematografica. E inoltre, scelta dei
testi, proposte, viaggi esplorativi per conoscere altre tradizioni teatrali etc. Se si
vuole trovare un capostipite al mestiere, non se ne potrebbe incontrare di più
illustri: Goethe, negli anni in cui fu Intendant al Teatro di Corte di Weimar.
Un altro illustre esempio, fuori dalla tradizione tedesca, Vladimir Nemirovič-
Dančenko, che per anni lavorò in tandem con Konstantin Stanislavskij.
1
Nell’Italia dei nostri giorni c’è un rivelatore infallibile per capire se abbia-
mo davanti un cretino, o cretina: pronuncia midia, credendo sia parola ingle-
1
È da segnalare al lettore e ancor più all’attore e al regista che è conven-
zione grafica adottata nelle edizioni critiche shakespeariane distinguere le
molte didascalie decise dal curatore, e tutte intese a chiarire l’azione sceni-
ca, con parentesi quadre, dalle rade didascalie che compaiono nelle fonti,
in massima parte nel Folio.
La questione testuale
1
The Rsc Shakespeare, Complete Works, pp. 50-52.
2
La divisione in atti, già per alcuni testi di Shakespeare scritti per il
I tre Amleti
1
Hamlet – To be, or not to be, I there’s the point, / To Die, to sleep, is
that all? I all: / No, to sleep, to dreame, I mary there it goes, / For in that
dreame of death, when wee awake, / And borne before an everlasting Judge,
/ From whence no passenger ever returned, / The undiscovered country, at
whose sight / The happy smile, and the accursed damn’d… (Hamlet, da Q1,
detto anche Bad Quarto).
Amleto – Essere, o, non essere, sì, questo è il punto: / morire, dormire,
ed è tutto? Sì, tutto. / No, dormire, sognare, sì, certo qui è il nodo, / poi-
ché in quel sogno di morte, quando ci svegliamo / e siamo condotti davanti
a un Giudice eterno, / da cui nessun passeggero è mai ritornato, / il paese
inesplorato, alla cui vista / i giusti sorridono e i maledetti sono dannati…
(Traduzione di Alessandro Serpieri. Cito da Il primo Amleto, a cura di Ales-
sandro Serpieri, Marsilio, Venezia 1997. Ottimo e fondamentale contribu-
to agli studi shakespeariani in italiano.)
2
La citazione compare nell’articolo di Jonathan Bate, «The Folio resto-
red», sul Times Literary Supplement del 20 aprile 2007. L’edizione curata
da Charlotte Porter e Helen Clarke apparve in dodici volumi per l’editore
Thomas Crowell, New York 1903.
3
Tagli al Fus (Fondo unico per lo spettacolo) permettendo.
4
Hamlet, a cura di Ann Thompson e Neil Taylor, The Arden Shakespe-
are, London 2006; Hamlet. The Texts of 1603 e 1623, The Arden Shake-
speare, London 2006.
Ristampa Anno