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SALLY KEMPTON

LA MEDITAZIONE PER AMORE


Gioire della propria esperienza più profonda

Verdechiaro
Edizioni
Sally Kempton

La meditazione per amore


Gioire della propria esperienza più profonda

Traduzione di
Carla Arosio

Verdechiaro
Edizioni
© 2011 Sally Kempton.
Questa traduzione è stata pubblicata su licenza esclusiva della Sounds True, Inc.

© 2011 Sounds True, Inc.

© 2013 Verdechiaro Edizioni


Via Montecchio 29 – 42031 Baiso (Reggio Emilia)

isbn 978-88-6623-185-1

Nessuna parte di questa pubblicazione,


inclusa l’immagine di copertina,
può essere riprodotta in alcuna forma
senza l’autorizzazione scritta dell’editore,
a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.
Indice

7 Prefazione, di Elizabeth Gilbert


11 Prefazione, di Sally Kempton

13 la meditazione per amore

17 introduzione. Risvegliarsi alla meditazione


23 i Il richiamo della meditazione
37 ii Come sperimentiamo il Sé interiore?
57 iii Prepararsi alla pratica
73 iv Scegliere il giusto ingresso
101 v Muoversi verso l’interno: la pratica dell’Unità
115 vi Lavorare con la mente (i). Navigare nel flusso dei pensieri
129 vii Lavorare con la mente (ii). Liberare i pensieri
145 viii Lasciare che la Shakti conduca
161 ix A che punto sei? La mappa stradale del viaggio della meditazione
201 x Uscire di meditazione: contemplazione, memoria, scrittura
del diario
211 xi La vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione
interiore
227 xii Il programma di svolta in tre settimane
249 xiii Il processo della maturazione

255 epilogo. Lasciare che la danza interiore si riveli


257 appendici
259 i Kundalini
269 ii Guida alla risoluzione dei problemi

287 Ringraziamenti
289 L’autrice
Prefazione

La faccenda tra me e la meditazione è che la pratico per quasi la


maggior parte del tempo. Se la meditazione è concentrazione devo-
ta, focalizzata su un singolo pensiero o idea o sentimento… bene,
risulta che in quello sono veramente fantastica. Volete sapere su
cosa meditavo stamane, mentre passeggiavo col cane in un piacevole
bosco? Avendo recentemente avuto una discussione con un amico,
meditavo su come mi avesse trattato slealmente. Con concentrazio-
ne devota, focalizzata sul punto, la mia meditazione si riduceva a una
singola parola, che echeggiava senza fine nella mia testa: ingiusto,
ingiusto, ingiusto, ingiusto, ingiusto…
Quello, dunque, fu un modo riuscito e illuminato per passare
qualche ora focalizzata.
Ma questo non è il mio unico risultato! Talvolta mi scopro per-
sa in questa profonda, vecchia meditazione: stanca, stanca, stanca,
stanca, stanca…
Altri giorni è: stressata, stressata, stressata, stressata, stressata…
Oppure: arrabbiata, arrabbiata, arrabbiata, arrabbiata…
E sebbene queste meditazioni siano, naturalmente, profonda-
mente edificanti, dopo un po’ cominci a riflettere che potresti usare
meglio la tua mente. Cominci a chiederti se questo è tutto ciò che
sei – una costante cantilenante litania di lamentele, desideri, indigna-
zioni, frustrazioni, noia. È questo il modo in cui vuoi passare il mi-
racolo unico della vita umana? In una sferragliante gabbia mentale
di bla-bla-bla senza fine… ?

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Già, neanche io.
Ecco perché, negli anni, mi sono sforzata di sostituire i miei attac-
chi di meditazione accidentale con una pratica di meditazione delibe-
rata, vale a dire, ho cercato di imparare l’arte di sostituire il frastuono
mondano con una mente piena di quieta meraviglia. Quello che voglio
davvero (quello che vogliamo tutti, credo, nel profondo) è la capaci-
tà di scegliere i miei pensieri, piuttosto che vivere eternamente nel
chiuso del mio cervello umano disordinato, a volte lamentoso, a volte
arrabbiato, a volte apatico, ma sempre blaterante come una scimmia.
Il mio viaggio ebbe inizio più di dieci anni fa, quando iniziai a pra-
ticare hatha yoga a causa di una malattia fisica, e mi scoprii strana-
mente rapita dai brevi (ma potenti) episodi di meditazione guidata
che seguivano ogni pratica. La mia curiosità su quella sensazione – il
senso assolutamente insolito di pace e benessere che la meditazione
fugacemente provocava in me – mi portò a cercare veri maestri, che
potessero aiutarmi a imparare come padroneggiare questa pratica.
Fortunatamente, la mia ricerca mi portò da Sally Kempton, i cui scritti
sulla meditazione erano più che utili per me: erano salvavita.
Il dono meraviglioso di Sally è la sua totale mancanza di presun-
zione: non solo è uno dei migliori maestri di meditazione al mondo,
è anche una di noi. Riesce a esplorare senza paura tutte le possibi-
lità dell’universo esterno senza mai perdere la calda voce della cara
amica che sta proprio dietro l’angolo. La cosa più generosa di tutte
è che Sally è onesta circa le proprie manchevolezze: non ha pau-
ra di condividere le proprie delusioni, gli episodi frustranti vissuti
quando la meditazione aveva perso tutta la sua gioia ed era diventata
inaccessibile, secca, o un lavoro di routine. E poi ci mostra come ha
ottenuto tutto di nuovo, come ha testardamente forgiato la sua stra-
da, ancora una volta, verso la sorgente di ogni dolcezza duratura…
e poi ci mostra come anche noi vi possiamo arrivare.
L’essere coi piedi per terra di Sally – la sua suprema disponibilità
– è un dono oltre misura in un campo di studio che troppo spesso
trasforma gli insegnanti in despoti imperiosi e ripetitivi di un’oscura

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magia. Detto semplicemente, un perfezionista paternalistico non è
quello che ti serve quando stai imparando la pratica della meditazio-
ne, così difficile da far tremare. Non hai bisogno di qualcuno che
ti faccia sentire ancor peggio per le tue debolezze naturali, molto
umane. Invece sono necessari vero calore e compassione, pazienza
ed empatia. Sally ha tutto questo.
Per non parlare, naturalmente, del fatto che è un’enciclopedia di
assoluta saggezza. La meditazione per amore è come una preziosa mappa,
generosamente consegnata da un pellegrino esperto e competente.
Pensate a questo libro come alla più importante guida di viaggio che
abbiate mai trovato, scritto da una vera nomade della mente – una
persona che ha fronteggiato ogni demone, indagato ogni trucco, dis-
sepolto ogni nascosto villaggio mistico che la Coscienza abbia da re-
galare – una persona che ora si offre di mostrarci la strada.
Ricevete la sua assistenza. Accettate il suo conforto. Sì, e anche i
suoi suggerimenti (ne avrete bisogno lungo il cammino). Ma, soprat-
tutto, vi prego di prendere con voi un pizzico dello spirito di Sally
Kempton – la parte irresistibilmente divertente di lei che riconosce
che la meditazione non dovrebbe limitarsi a essere un’ancora di sal-
vezza, ma anche un’avventura, niente di meno che una stupenda eu-
foria, un’emozionante rivoluzione del sé. Cos’altro stiamo facendo,
dopo tutto, con le nostre brevi vite meravigliose, di più importante
che trasformare noi stessi, molecola per molecola, in un’esperienza
di puro amore?
Abbracciate questo insegnamento, e osservate la mente che inizia
a cambiare. E poi guardate come la vita comincerà a cambiare.
Come Sally dice così bene: “Lasciate che la danza interiore si riveli”.
Perché non cominciare ora?

Elizabeth Gilbert
Agosto, 2010

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Prefazione

Ho imparato la meditazione da un guru indiano, un maestro che


adorava la realtà come energia divina, o shakti. Era uno yogi total-
mente realizzato e di profonda disciplina, e usava anche molte pa-
role astratte come “Coscienza”, “Consapevolezza” e “Dio” per de-
scrivere il mistero al cuore della vita. Tuttavia, la grande lezione che
mi trasmise fu come connettermi all’energia pulsante che rende la
vita interessante e deliziosa e, allo stesso tempo, essere consapevole
di una Presenza staccata, che osserva, che si erge lontana da ogni at-
tività. Negli anni vissuti con lui e in quelli successivi, il suo esempio
mi ha spronato a fare tutto il possibile per unire i due aspetti della
mia natura – la parte devota, emotiva, che ama la struggente dol-
cezza di un cuore aperto, e il Conoscitore oggettivo che racchiude
tutte le esperienze in una generosa consapevolezza. Questa fusione
di conoscenza e amore è ciò che chiamo “tantra devozionale e con-
templativo”. È ciò che mi ispira a meditare. È ciò che ho cercato di
trasmettere in questo libro.
Questo tipo di meditazione è tantrica, perché identifica il mondo
e noi stessi come un arazzo tessuto da un’unica energia intelligente.
È devozionale, poiché coltiva un’attenzione amorevole a noi stessi e
al mondo. È contemplativa, perché ci chiede di entrare in noi stessi
e di riposare nella spaziosità interiore, dove conosciamo il Sé come
pura consapevolezza trascendente.
Vorrei anche spiegarvi meglio cosa intendo quando uso la parola
tantra. Ci sono innumerevoli scuole di tantra, ma la tradizione tantri-

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ca che io seguo è, nel suo nucleo, un metodo, un insieme di pratiche
yoga che puntano a vincolarci (yoga significa ‘giogo’) alla energia
divina che è nel cuore delle cose. Premessa fondamentale del tantra
è che un praticante esperto può usare qualsiasi cosa – ogni attimo,
ogni sentimento, ogni sorta di esperienza – per unirsi al divino.
Il centro della strategia tantrica è sfruttare e incanalare tutte le no-
stre energie, incluse quelle che apparentemente ci sviano o ci creano
impedimenti, piuttosto che cercare di soffocarle o eliminarle. Quan-
do lo facciamo, l’energia dei pensieri, delle emozioni, dell’umore,
anche dei sentimenti intensi di rabbia, terrore, o desiderio, può
espandersi, e rivelare ciò che sta alla base di tutto, il puro potenziale
creativo della coscienza stessa. I tantrici chiamano questo potenziale
creativo: shakti.
Shakti, il cosiddetto aspetto femminile della realtà divina (nella
tradizione indù è spesso personificata come dea), è la sottile pulsa-
zione della potenza creativa che permea tutte le esperienze. Normal-
mente è così sottile e nascosta che sintonizzarsi con la shakti può
equivalere a togliere tutti i veli dai sensi, come il momento in cui, nel
Mago di Oz, il paesaggio, da bianco e nero, diventa in Technicolor.
Nei momenti contemplativi, possiamo avvertire la sensazione fisica
della shakti sentendo la forza vitale che pulsa nel respiro, spesso è
sperimentata come energia che si muove nel corpo. Nella tradizione
dello yoga, questa shakti interna è chiamata kundalini. Quasi lette-
ralmente, è il potere che favorisce l’evoluzione spirituale. Malgra-
do kundalini abbia migliaia di aspetti, uno dei modi più semplici di
sperimentarla è come sottile forza di attrazione energetica – spes-
so chiamata “corrente meditativa” – che porta la mente all’interno
quando meditiamo. Molte delle pratiche aiutano a prestare attenzio-
ne a questa presenza energetica nella mente e nel corpo.
In queste pagine troverete anche pratiche devozionali e invocazio-
ni. Le offro per la stessa ragione per cui le pratico: perché aiutano a ri-
svegliare il cuore, e ci aprono all’amore che è la vera essenza della vita.

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la meditazione per amore

Ai miei studenti
«Accendi il sé interiore
attraverso la pratica della meditazione.»

Shvetashvatara Upanishad
Risvegliarsi alla Meditazione
introduzione

Un pomeriggio d’estate, durante un ritiro di meditazione, scoprii di


contenere l’intero universo. Accadde in modo piuttosto inaspettato,
tutto in una volta. Sedevo a occhi chiusi in una stanza, con diverse
centinaia di altre persone, molto attenta a ogni sensazione del mio
corpo e a ogni minimo fruscio, colpo di tosse e altri suoni intorno.
La cosa che distinsi subito dopo fu una specie di implosione. Invece
di essere intorno a me, la stanza e tutte le sensazioni e i suoni erano
dentro me. La mia consapevolezza cominciò a espandersi fino a che
fui in grado di sentire al mio interno la terra, il cielo e le galassie. In
quel momento, capii, con una sicurezza al contempo esilarante e
terrificante, che c’è una cosa sola nell’universo: la Consapevolezza e
che quella Consapevolezza sono io.
Dopo un’ora o poco più, l’esperienza si affievolì, ma la compren-
sione che mi diede non scomparve mai più.
A quel tempo, da un paio d’anni percorrevo un sentiero spiritua-
le tortuoso. Come molte persone, avevo iniziato a meditare, non
perché desiderassi l’illuminazione, ma perché stavo vivendo una
discreta crisi esistenziale e speravo che la meditazione mi facesse
sentire meglio. Vivevo a New York, scrivevo per «Esquire», «New
York Magazine» e «Village Voice», conducendo la vita alla quale
mi aveva preparato la mia educazione classica e di sinistra, sen-
tendomi orgogliosa delle mie credenziali. All’esterno, stavo bene.
Avevo ricevuto una proposta da uno dei maggiori editori; avevo
un nuovo fidanzato, che ero sicura fosse l’amore della mia vita;

17
la meditazione per amore

un appartamento con l’affitto bloccato – e un problema cronico


di mancanza di riposo e di sottile disperazione che non erano mai
davvero scomparsi. Avevo già sperimentato matrimonio, politica,
amore, psicoterapia e i frutti del denaro, senza mai scoprire un
antidoto al mio malessere sotterraneo. La meditazione mi attraeva
perché mi sembrava un modo per andare alle radici di me. Anche
a quel tempo, quando la meditazione era ancora considerata un’at-
tività per santi, hippy e altri eccentrici, mi sembrava un gran modo
per stabilizzare la mente.
Il mio nuovo fidanzato era un vecchio “turista” del percorso spi-
rituale. Mi incoraggiò a fare un training di tre mesi, condotto da un
maestro boliviano, Oscar Ichazo. Il training prometteva l’illumina-
zione, che non avvenne, almeno in me. Mi mise a confronto, però,
con alcuni demoni interiori che cercavo fortemente di ignorare. Mi
fece anche innamorare sia della saggezza dello yoga che del potere
di perfezionamento della comunità spirituale. Intanto, mentre cono-
scevo alcuni degli stratagemmi del mio ego, cominciai a desiderare
ardentemente l’esperienza interiore.
Così, quando arrivai a quel ritiro estivo, ero pronta a lasciare che
la meditazione mi trasformasse. Ci ero andata perché il ritiro sareb-
be stato condotto da un celebrato maestro indiano, famoso per la
sua capacità di schiudere i percorsi meditativi negli altri.
Dopo quella meditazione di consapevolezza espansa, ebbi una
nuova relazione con me stessa e il mio mondo interiore. Aprii gli
occhi a un mondo scintillante di amore e conoscenza e sentii con
certezza che avevo trovato le risposte a tutto ciò che volevo dalla
vita. L’estasi, così come la mia espansione di consapevolezza, non
durò; ma, come l’espansione stessa, cambiò ogni cosa. Quel maestro
divenne il mio guru, i suoi insegnamenti e la sua guida avrebbero
indirizzato la mia pratica per gli anni a venire. E la meditazione di-
venne il mio sentiero.

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risvegliarsi alla meditazione

Kundalini e meditazione
Ciò che accadde quel pomeriggio fu un risveglio della kundalini
shakti, l’energia interiore che quasi tutte le tradizioni esoteriche in-
dicano come la forza che sta sotto alla trasformazione spirituale.
Kundalini (letteralmente “energia attorcigliata” – così chiamata per-
ché si dice che, quando l’energia è inattiva, è “attorcigliata”) può
essere risvegliata in numerosi modi: attraverso le posizioni yoga, la
meditazione profonda o, come accadde quel pomeriggio, attraverso
la trasmissione dell’energia di un maestro, la cui kundalini è attiva.
Il risveglio di kundalini può essere delicato o dirompente, ma, in
qualunque modo capiti, porta l’energia dello Spirito al centro delle
nostre vite, cambia le nostre priorità e dà una scossa alle nostre ri-
sorse nascoste di amore, comprensione e intuizione.
Il potere di kundalini si rivela quando meditiamo. L’energia risve-
gliata ci porta negli stati meditativi e comincia a mostrarci le tracce
del nostro paesaggio interiore e, contemporaneamente, sintonizza
il corpo e la mente su un nuovo livello, più acuto e consapevole.
Nel tempo, kundalini trasforma la nostra visione, finché vediamo il
mondo come realmente è: non duro né diseguale e irrevocabilmente
“altro”, ma pieno di un’unica energia d’amore, che ci connette gli
uni agli altri e al mondo.
Gli effetti di questo risveglio sulla mia vita sono stati estesi e varie-
gati. Principalmente ha cambiato il mio senso dell’essere. Una volta
vista quella vastità, per quanto io possa essere coinvolta nei miei pen-
sieri, emozioni o faccende quotidiane, una parte di me sa sempre che
contengo una realtà al di là di tutto questo: che “io” sono, in verità,
Coscienza espansa. Negli anni, ho potuto valutare i miei progressi spi-
rituali constatando quanto sono allineata con quell’intuizione iniziale,
quanto fermamente sia capace di identificarmi con questa Coscienza,
piuttosto che con la persona che a volte penso di essere.
È stata una strada con molte deviazioni e curve a gomito. Ma,
a poco a poco, l’allineamento arriva. Medito tutti i giorni da qua-
si quarant’anni e, malgrado non sia avvenuto tutto in una volta,

19
la meditazione per amore

conto di entrare nello spazio della Coscienza espansa ogni giorno,


almeno per un attimo. Nel tempo, la meditazione ha mandato in
frantumi la percezione di essere solo questa persona fisica, delimi-
tata dalla mia storia, dal mio aspetto, dalla mia intelligenza, dalle
mie opinioni e dalle mie emozioni. La meditazione mi ha insegna-
to a identificarmi – precariamente all’inizio, ma poi sempre più
stabilmente – con quella parte più sottile di me, con quello spazio
infinito dietro i pensieri, con quell’energia tenera del cuore. Con
la pulsazione della spaziosità pura, che sorge quando i pensieri si
placano. Con l’amore.
Fin dall’inizio, la meditazione seduta è stata la via più facile per
entrare in contatto con la tenerezza della pura essenza. Ne ho fatto
tesoro. Naturalmente, la mia relazione amorosa con la meditazione è
stata come ogni altra relazione. Ha avuto i suoi alti e bassi, le sue sta-
gioni fertili e quelle apparentemente aride. Gli stati meditativi, dopo-
tutto, arrivano spontaneamente e naturalmente. Arrivano a proprio
modo e col proprio tempo, regali della kundalini risvegliata. Sono
entrata in meditazione spontaneamente, camminando, scrivendo,
sedendo a un congresso. Ho anche passato settimane in cui non ho
potuto entrarvi in contatto in alcun modo. La meditazione è spesso
sorprendente, e certamente non può essere forzata.
Ma non può neppure essere avvicinata passivamente: che è il pun-
to di questo libro. Lo sforzo richiesto a un meditante è abbastanza
sottile, un modo di sintonizzarsi e prendere consapevolezza. Si im-
para a farlo gradualmente, e lo si impara meditando. Fortunatamen-
te, molto di quello che si apprende può essere condiviso, e, negli
anni in cui ho insegnato e tenuto classi e ritiri di meditazione, ho
scoperto che alcuni dei miei modi di procedere e le pratiche che ave-
vano aiutato me potevano essere d’aiuto ad altre persone. Questo
libro ha preso forma come offerta a coloro che si impegnano nella
meditazione. È un modo per condividere certi principi o atteggia-
menti che la meditazione mi ha insegnato, e che sembrano funzio-
nare non solo per me, ma anche per gli altri.

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risvegliarsi alla meditazione

Il principio fondamentale da capi- Lo spirito è così vicino


re riguardo alla meditazione è questo: che non puoi vederlo!
meditiamo per conoscerci. Di solito la Ma cerca di raggiungerlo…
pensiamo come una pratica o un pro- Non essere il cavaliere
cesso, tuttavia la meditazione è anche che galoppa tutta la notte
e non vede il cavallo
una relazione. Se di processo si tratta,
sotto di lui.
è quello che conduce a una relazione rumi
amorosa con la nostra Coscienza. Nella
Bhagavad Gita, Krishna dà al suo discepolo Arjuna questa definizio-
ne della meditazione: “Dhyanen atmani pashyanti”, “in meditazione si
incontra il Sé [la pura Coscienza, che è la nostra natura essenziale]”.
Questa affermazione suona abbastanza semplice, ma, non ap-
pena meditiamo, ci accorgiamo che il Sé è ben lontano dall’esse-
re semplice. Quale “sé” incontriamo meditando? Sicuramente il
grande Sé, l’atman, come lo chiamano i saggi indiani, la Coscienza
luminosa che sta dietro la mente pensante. Infatti, incontriamo
tantissimi altri aspetti di noi stessi, incluse le parti che sembrano
impedirci di sperimentare la nostra vera essenza. L’aiuto che ci dà
la meditazione, se noi permettiamo a noi stessi di impegnarci pie-
namente in essa, è che non solo vediamo tutto ciò, ma impariamo
a entrarci con amore. In questo atto quotidiano di immersione nel
nostro mondo interiore, le parti separate di noi stessi si riuniscono.
Le parti irrisolte della nostra personalità si sciolgono nella Consa-
pevolezza e noi diveniamo interi.
Naturalmente, questo livello di trasformazione non accade in una
notte. Ed è perciò che noi ci sentiamo a volte confusi. Molti di noi
entrano in meditazione piuttosto ingenuamente. Portiamo con noi
aspettative, idee, pregiudizi. Ad esempio, spesso immaginiamo che
una meditazione riuscita sia una sorta di luna di miele prolunga-
ta, nella quale vaghiamo attraverso campi di felicità e nuotiamo in
profonde lagune di pace. Quando la nostra relazione con il mon-
do interiore diventa problematica, noiosa, o più intima di quanto ci
aspettassimo, ci sentiamo frustrati, delusi oppure confusi. Potrem-

21
la meditazione per amore

mo pensare che in realtà non siamo bravi meditanti, ed è spesso a


questo punto che si abbandona la pratica.
Ci sentiremmo molto meglio se capissimo che la meditazione è
come ogni altra relazione intima: richiede pazienza, impegno e pro-
fonda tolleranza. Come ogni altro incontro, potrà essere meravi-
glioso, ma anche sconcertante, allarmante oppure irritante; il nostro
incontro con il Sé ha i propri umori e sapori. Come ogni altra rela-
zione, anche questa cambia nel tempo e va intrapresa con amore.

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Il Richiamo della meditazione
capitolo primo

La meditazione non è qualcosa per cui serva uno speciale talento,


come potrebbe essere per la matematica o l’arte. La vera chiave per
entrare in profondità nella meditazione è voler andare in profondità.
Più si anela ad assaporare il mondo interiore, più facile è meditare.
In sanscrito questo desiderio viene chiamato mumukshutva, il desi-
derio di libertà che viene dalla conoscenza del Sé. Non è necessario
che il desiderio all’inizio sia immenso. Anche una piccola scintilla di
interesse è sufficiente perché, in realtà, il mondo interiore è in atte-
sa di aprirsi a te. Una volta che l’energia meditativa è stata risveglia-
ta, comincia a pulsare all’interno, proprio sotto la pelle. Manda co-
stantemente dei segnali, sussurrando: “Sono qui! Incontrami! Sono
la tua guida! Ho così tante cose da mostrarti su te stesso!” Ecco
perché, nel momento in cui diventi davvero interessato a conoscere
il tuo Sé, a entrare nel campo della tua propria Consapevolezza, il
mondo interiore comincia a rivelarsi. Non ha bisogno d’aiuto. Esi-
ste per questo.
Il problema è che noi non siamo sempre interessati alla meditazio-
ne. Molti di noi quando meditano lo fanno perché pensano “sia una
cosa buona”. Forse fa parte del proprio processo di miglioramento
oppure è una strategia che usiamo per tenere a bada lo stress. Poco
dopo che questo libro aveva preso forma, un’amica mi espresse le
sue lamentele riguardo alla sua pratica di meditazione che, mi disse,
era diventata piatta. Non la impegnava più nel profondo. Di fatto,
non amava più tanto meditare. Dedussi dal tono della sua voce che,

23
la meditazione per amore

da seria ricercatrice spirituale, provava un po’ di vergogna. Perciò le


chiesi: “Qual è per te la cosa migliore della meditazione?”.
Ci pensò per un minuto, quindi disse: “È la mia terapia. Quando
mi siedo, sono immersa nella solita agitazione, qualcosa mi preoc-
cupa, oppure sono piena di negatività. Ripeto il mantra per quindici
o venti minuti, e quando mi alzo, la mia mente è calma. Mi sento
quieta. Posso andare avanti con la mia giornata”. E aggiunse: “So
che devo farlo tutti i giorni, oppure la mia mente mi fa impazzire”.
La mia amica ottiene qualcosa di importante dalla sua pratica. In-
fatti, sta sperimentando uno dei doni più grandi della meditazione:
il potere di pulire la mente. Ma, poiché è tutto ciò che vuole, si alza
dalla meditazione proprio nel momento in cui la vera dolcezza al suo
interno potrebbe cominciare a rivelarsi. È quando la mente è calma
che cominciamo a percepire la spaziosità del nostro essere, l’amore
interno. Se, oltre ad apprezzare i benefici terapeutici della meditazio-
ne, la mia amica meditasse per entrare in se stessa, potrebbe rimanervi
un po’ più a lungo e andare più in profondità di quanto faccia adesso.
Le persone che sembrano ottenere il massimo dalla pratica sono
coloro cui semplicemente piace l’atto del meditare. Questo non signi-
fica necessariamente che abbiano esperienze esotiche. Al contrario.
Molti giurano che non hanno mai neanche intravisto una luce o avu-
to una visione o sentito i pensieri dissolversi nella spaziosità. Tutta-
via, sentendoli parlare della loro pratica, si capisce che assaporano
la ricchezza dell’intera esperienza meditativa in tutte le sue stagioni.
Quando ci si avvicina alla meditazione con interesse, il semplice
momento di star seduti diviene piacevole in se stesso. Si ascolta il
sussurro del respiro, si assapora la pulsazione di un mantra – una
parola meditativa – mentre scende tra gli strati della coscienza. Si
gode della calma nascente, delle vaghe immagini che fluttuano nello
spazio interiore, e del graduale spostamento in una mente più calma.
Ogni momento, incredibile o apparentemente noioso, può essere
pieno di fascino. Sei con te stesso. Sei con Dio. La meditazione è un
ingresso nella grotta del cuore, la grotta dello spirito.

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il richiamo della meditazione

D’altro canto, se guardi alla meditazione come un dovere, o se


ti avvicini con impazienza e rigida attesa, aspettandoti una qual-
che esperienza e provando noia o rabbia se la mente non si calma
immediatamente, perdi la relazione con la meditazione. Perché la
meditazione è tutt’altro che un atto meccanico. Trovare noiosa l’e-
sperienza interiore, scoraggiarsi se non si realizza come pensi do-
vrebbe, dire a te stesso: “In ogni caso, non sono un buon meditan-
te” – tutto ciò in realtà significa respingere la tua energia interiore,
la tua shakti. Proprio come un’amica si raffredda con te se ti ritrai
da lei, la shakti, che rende la tua meditazione dinamica, diventa
elusiva quando la ignori. Ma verrà di corsa a incontrarti quando tu
comincerai a occuparti di lei con amore.
Quindi, uno dei segreti per approfondire la meditazione è sco-
prire come risvegliare e mantenere vivo il nostro amore per questa
pratica – anche quando la nostra esperienza è leggera e apparente-
mente monotona.
Prendi qualche minuto per osservare la tua relazione con la me-
ditazione. Come ti senti al riguardo? Te la godi? L’avvicini coscien-
ziosamente o metodicamente? Ti ha mai sorpreso? Se sei nuovo
alla meditazione, non sei sicuro da dove partire? Ti chiedi se la stai
facendo “bene”? Cosa significa la meditazione per te? Puoi chiederti
anche come ti senti verso il Sé che sperimenti in meditazione. Qual
è la tua relazione con questo Sé?

Meditazione come gioco


A molti di noi piacerebbe amare la meditazione. Vogliamo che sia
per noi una delizia, una sorgente di gioia. Perché questo accada,
è d’aiuto smettere di preoccuparsi se abbiamo o no una “buona”
meditazione.
La verità è che non esiste qualcosa come una “buona” o una “cat-
tiva” meditazione. C’è solo lo schiudersi della consapevolezza inte-
riore e la relazione con il Sé. Non devi arrovellarti con dubbi come:
“E se salto questa sessione? E se faccio qualcosa di sbagliato? E se

25
la meditazione per amore

sto sprecando il mio tempo?”. Invece, puoi guardare alla medita-


zione come a un esperimento, o ancor meglio, come a un gioco che
fai con te stesso, un’esplorazione. Puoi darti il permesso di essere
creativo. Per esempio, sedendoti a meditare, potresti chiederti: “Che
accadrebbe se io respirassi con la sensazione che sono respirato
dall’universo?”. Poi, potresti provarlo e osservarne gli effetti. Po-
tresti chiederti: “Come sarebbe se passassi questa meditazione solo
essendo testimone dei miei pensieri?” e pro-
La vera pratica
varlo. Potresti avere l’impulso a lavorare con
[della meditazione]
è sedere come se alcune forme classiche di autoanalisi, come:
stessi bevendo dell’acqua “Chi sono io?” e passare un’ora osservando
quando sei assetato. cosa accade al tuo senso di identità. Potresti
shunryu suzuki pensare: “Mi piacerebbe avere un maggior
sentimento di devozione in meditazione”, e
poi passare alcuni minuti pregando o invocando la grazia con alcune
forme di lavoro interiore, come offrire fiori sull’altare del cuore. Op-
pure, potresti decidere: “Oggi chiederò solo la grazia e vedrò dove
la meditazione mi porta”, e poi abbandonarti a qualsiasi esperienza
arrivi. Insomma, puoi permetterti di avvicinarti alle sessioni di me-
ditazione in modo giocoso.

Permesso di giocare
Meditavo già da molti anni prima di capire pienamente che la me-
ditazione mi avrebbe donato le sue maggiori ricchezze non appena
mi fossi data il permesso di giocare. Accadde in un momento in cui
avevo rotto seriamente la mia relazione con la pratica meditativa.
Paradossalmente, allora ero una swami, una “monaca rinunciante”
e un’insegnante, in un ordine di monaci indiani. Ma, come molti
di quelli che vivono in comunità spirituali, avevo fatto del lavoro e
del servizio – karma yoga, come viene chiamato secondo la tradizio-
ne – le mie pratiche basilari. Sebbene negli anni precedenti avessi
meditato intensamente – e sperimentalmente, provando approcci e
tecniche differenti – a un certo punto la mia meditazione si era fissa-

26
il richiamo della meditazione

ta in una certa routine. Sedevo e mi focalizzavo nel modo consueto,


e raramente pensavo di andare oltre. Non mi succedeva di contem-
plare la mia esperienza o di lavorare con la mia pratica. Al contrario,
la prendevo come veniva, assaporando i momenti di contatto con
il mio profondo Sé. Quando questi momenti non arrivavano, sede-
vo comunque, per la mia ora quotidiana, sperando che kundalini
si muovesse in me in qualche modo. In verità, la meditazione era
divenuta quasi un atto inconscio – qualcosa che facevo tutti i giorni
e davo per scontato, come mangiare e dormire.
Poi, un giorno, mi trovai a valutare la mia pratica. Ciò che scoprii
mi sorprese. Meditavo da vent’anni. Avevo sperimentato molti cam-
biamenti positivi nel mio carattere e la mia mente era divenuta più
calma, acuta e brillante. Le mie emozioni erano meno turbolente.
Mi sentivo più equilibrata di quanto fossi mai stata. Ero più felice.
Tuttavia, era da molto tempo che la mia meditazione non si appro-
fondiva. Solitamente i miei pensieri restavano lì, come un substrato
statico al di sotto di tutto. Normalmente, la mia consapevolezza re-
stava superficiale. Di fatto, passavo moltissimo tempo andando alla
deriva attraverso zone di pensieri e fantasticherie.
Era chiaramente tempo di una revisione. Cominciai a pormi alcu-
ne domande fondamentali:

Perché medito?
Qual è il mio vero obiettivo in meditazione?
Cosa mi piace della mia pratica?
Di cosa sento di aver bisogno… cosa potrei cambiare?
Ho intenzione di vivere per i prossimi dieci anni con questo livello di
esperienza interiore?

Giunsi a delle risposte un po’ sconcertanti. La prima cosa che com-


presi fu che la superficialità della mia meditazione era un sintomo
della mancanza di chiarezza verso il mio obiettivo. Se mi aveste chie-
sto cosa volevo dalla meditazione, avrei risposto con disinvoltura:

27
la meditazione per amore

“Realizzare il mio vero Sé”, ma in realtà non vivevo come se la rea-


lizzazione del Sé fosse un vero obiettivo. Usavo invece le mie prati-
che spirituali come cerotti o forse come tonici – tecniche nutrienti
che impiegavo per tenermi in buono stato.

Cosa vuoi realmente dalla meditazione?


Come nel mio processo di scoperta, chiedersi cosa si vuole davvero
dalla meditazione è il primo passo chiave per costruire o ricostruire la
propria pratica. Per me, le risposte giunsero con un potere sorpren-
dente. Capii che volevo la libertà. Volevo finirla con l’ansia, il desiderio
e la paura che avevano creato nella mia vita tanta inutile sofferenza.
Volevo che la meditazione mi portasse oltre le nevrosi, gli attaccamen-
ti, le credenze e le paure che ancora infestavano il mio mondo interio-
re. E volevo che la meditazione fosse quella che era quando l’avevo
scoperta – dinamica e impegnativa, un rendez-vous cui mi avvicinavo
con amore ed eccitazione, qualsiasi cosa accadesse.
A quel punto, mi fermai e ricordai
Incendia il Sé
a me stessa che la meditazione non
entrando nella pratica
della meditazione. può essere sempre piacevole. La me-
Ubriacati col vino del ditazione è anche un processo di pu-
divino amore. In questo modo rificazione. È inevitabile che ci siano
raggiungerai la perfezione. giorni in cui mettersi seduti può essere
shvetashvatara upanishad noioso e anche doloroso – male alle
ginocchia, lunghi periodi di tempo
con in campo solo pensieri. Se avessi insistito nel volerla sempre di-
vertente, come meditante non sarei andata lontano: non ero capace
di sostenere lo sforzo necessario per rimanere seduta ogni mattina e
tenere la mia mente lontana dal vagare.
“Ma… aspetta un minuto!” dissi a me stessa. “Non essere così
puritana! Anche se non è sempre divertente, la meditazione dovreb-
be sicuramente coinvolgerti, interessarti e porre le basi per quella
successiva. Perché vorresti farla, altrimenti?” È sempre bello dire
che si pratica per diventare persone migliori e arricchirci di mezzi

28
il richiamo della meditazione

interiori per vivere con compassione, o per essere genitori, scrittori


o banchieri migliori. Queste sono, naturalmente, buone ragioni per
meditare. Tuttavia, pensavo, i maestri che per primi mi avevano in-
dirizzato sul sentiero spirituale – Ramakrishna, Ramana Maharshi,
Kabir, Muktananda – mi avevano attratto per la gioia della loro ri-
cerca, per il loro senso di meraviglia davanti all’esperienza interiore.
C’era, anzi, la promessa che la meditazione sarebbe stata dinamica:
mi avrebbe condotto verso qualcosa mai visto né udito, mi avrebbe
sorpresa, avrebbe ampliato i miei sensi a un nuovo livello di con-
sapevolezza. In effetti, tutto ciò sarebbe stato gioioso e io volevo
davvero la gioia nella mia meditazione.
Con questo in mente, decisi di riprendere la mia pratica da princi-
piante. Cominciai ad avvicinarmi alla meditazione quotidiana come
a un esperimento, decisi di lasciarmi lavorare con la meditazione in
modo aperto, non alla ricerca di risultati speci-
La bontà infinita
fici. Non mi sarei aspettata niente: avrei consi-
ha sì gran braccia
derato il tempo speso semplicemente come un che prende
momento di apprendimento, come un tempo ciò che si rivolge a lei.
per stare con la mia coscienza e con gli insegna- dante alighieri
menti fondamentali della mia tradizione. Avrei
visto cosa c’era. Decisi anche di meditare con un senso di diverti-
mento… in altre parole, mi diedi il permesso di inserire un elemento
di leggerezza e spontaneità. Mi sarei permessa di giocare. Anzi, ogni
volta che mi sedevo a meditare, avrei ricordato a me stessa conscia-
mente: “Va bene essere giocosi”.
Queste due strategie – vedere la meditazione come un esperimen-
to e concedermi il permesso di giocare – si rivelarono cruciali nel
processo che seguì. Prima di tutto, mi aiutarono a scivolare via dalla
voce critica interiore, l’osservatore giudicante che spesso mi stava
alle spalle, segnalando i difetti della mia pratica. In secondo luogo,
l’approccio sperimentale mi liberò dalla tendenza a rendere la me-
ditazione una routine. La paura di meditare in modo “sbagliato”, o
semplicemente di perder tempo, mi avevano fatto trasformare tecni-

29
la meditazione per amore

che che dovevano essere utili linee guida in regole inderogabili, che
erano divenute siepi che ostacolavano la mia intuizione e immagi-
nazione. Comprendere che andava bene giocare con la meditazione
allentò le molle della tensione, cosicché potei cominciare a vedere
cosa davvero succedeva quando chiudevo gli occhi e rivolgevo la
mia attenzione all’interno.
Il primo insegnamento con cui cominciai a giocare veniva da Ra-
mana Maharshi, uno dei miei primi eroi. Le sue parole: “Prendendo
il Sé come obiettivo della vostra attenzione, dovreste conoscerlo vi-
vidamente nel cuore”. La focalizzazione sul Sé, la Consapevolezza
che sta alla base di tutte le esperienze, fu la parte cruciale dell’e-
quazione. Ma la seconda parte dell’insegnamento di Ramana – l’ho
verificato sempre – fu altrettanto essenziale. Naturalmente, pensai,
io “conoscevo” il Sé interiore. Avevo applicato dei modelli per vol-
germi verso il cuore. Ma, quel particolare mattino, decisi semplice-
mente di rivolgere la mia attenzione all’interno. Di non lavorare con
una tecnica specifica, solo di sedere con l’attenzione verso l’interno,
nello spazio del mio cuore.

Lo spazio della coscienza


Quando ci volgiamo all’energia del centro del cuore, la possiamo
sperimentare in molti modi differenti. A volte, soprattutto all’inizio,
emergono le emozioni: amore, tristezza, oppure rabbia. Se, invece
che sul contenuto, ci focalizziamo sulla loro energia, tali emozioni
cominceranno a sciogliersi e questo ci porterà più in profondità. Al-
tre volte potremo vedere colori, o percepire semplicemente la sen-
sazione di energia. Quel giorno mi focalizzai proprio su questa per-
cezione nello spazio del cuore. Riportai la mia attenzione “dentro”
quel campo di energia. Rimasi con essa, così com’era. Seduta con
questo spazio interiore, notai che lo osservavo come se fosse fuori
di me. Cominciai a chiedermi che cosa sarebbe accaduto se, invece
di restarne fuori, io ci fossi entrata attivamente. Mi avrebbe portato
più in profondità nel mondo interiore?

30
il richiamo della meditazione

Esercizio: esplorare il Cuore interiore


Forse vi piacerebbe provare. Chiudete gli occhi e lasciate che l’atten-
zione si muova gradualmente verso il centro interiore, dietro lo sterno,
qualche centimetro a destra del cuore fisico. Potete cominciare focaliz-
zandovi sul davanti dello sterno, circa otto dita sotto l’osso a forma di
U alla base della gola. Poi immaginate un filo a piombo che cade, giusto
dietro le narici, nel mezzo del petto, dietro questo punto sullo sterno.
Lasciate che il respiro fluisca dentro e fuori da questo punto. Sentite e
percepite l’energia che c’è, nel corpo interiore, dietro lo sterno. Senza
giudicare, osservate come sentite l’energia nel centro del cuore. Potreb-
be essere leggera o spinosa, che scioglie o dura. Per ora, lasciate che il
respiro dalle narici scenda fino al centro del cuore, e poi scorra, indietro,
dal cuore prima di passare di nuovo attraverso le narici.

A quel punto, feci qualcosa che è piuttosto difficile descrivere: en-


trai in quello spazio. Lo feci immaginando che vi fosse un’apertura e
proiettando lì la mia attenzione, come se stessi entrando nell’energia
del cuore. Non appena lo feci, mi sembrò che il cuore si espandesse.
Divenni consapevole che al di là di quello c’era uno spazio apparen-
temente infinito. Cominciai a “muovermi” in esso non con il corpo,
naturalmente, ma con l’attenzione.
Dopo aver vagato qualche minuto in questo luogo interiore, mi
trovai in un profondo “spazio del cuore”. Lo chiamo in questo
modo perché quando ero lì mi sentii radicata in me: ferma, calma, e
piena di tenerezza amorevole, tutti sentimenti che io associo al cuo-
re. La mia mente era abbastanza sveglia e di tanto in tanto mi invia-
va un pensiero o una domanda. Tuttavia, “Io” ero profondamente
immersa in questo spazio.
Cominciai a esplorarlo, a percepire le sue qualità e le sue sottili
caratteristiche. Riuscii a sentire una pulsazione, una sottile increspa-
tura di movimento, una risonanza e, non appena mi focalizzai su
essa, lo spazio si aprì ulteriormente. Ogni volta che lo misi in atto,
mi portò sempre più in profondità nel sentimento d’amore. C’era in

31
la meditazione per amore

esso anche una qualità luminosa. Mi sembrava di essere in un cristal-


lo morbido, totalmente trasparente e splendente.
Da allora, le mie meditazioni divennero esplorazioni dello spazio
interiore del cuore, quel mondo di sensazioni sottili, di amore e lim-
pidezza. Più vi penetravo e più sottilmente esso cresceva, e il trucco
per approfondire l’esperienza (almeno per me) fu di continuare a
muovermi sempre più nel campo dell’energia.
A volte, la zona di luminosità si colorò o si trasformò in un pae-
saggio. Più spesso, rimase una esperienza cinetica, la sottile sensa-
zione di essere toccata dall’interno da una energia d’amore, da una
presenza che si muoveva e fluiva, a volte in modo molto leggero e
sottile, a volte intenso in modo emozionante.

L’amato interiore
Dopo qualche mese di questo tipo di pratica, divenni consapevole
di una Presenza amorevole e inafferrabile al mio interno. C’era qual-
cosa di intensamente personale riguardo alla Presenza, poiché avevo
conosciuto un amante interiore, l’Amato di cui i santi Sufi parlano
in modo così allettante. Egli (a quel tempo
C’è un lo chiamavo “egli”, sebbene, ovviamente,
“Uno Segreto” dentro noi;
non abbia genere) sembrava mi chiamas-
I pianeti di tutte le
galassie passano attraverso se dall’interno in certi momenti del giorno
le sue mani come perle. – intorno a mezzogiorno o nel tardo po-
kabir meriggio. La chiamata assumeva la forma
di un’intensa pressione nel cuore. La mia
attenzione era attirata all’interno così potentemente che resistervi
era doloroso. Se, quando arrivava la chiamata, mi trovavo in riunione
o stavo passeggiando, mi sentivo irritabile: respingere il richiamo a
meditare mi dava disagio quanto resistere agli assalti della fame o al
bisogno di dormire. Era altrettanto intenso e fisico. Se mi trovavo
alla scrivania, mi sentivo quasi forzata a lasciare ciò che stavo facen-
do, a chiudere gli occhi e ad affrettarmi nei corridoi della consape-
volezza verso la Presenza.

32
il richiamo della meditazione

Le mie meditazioni del pomeriggio e della sera divennero appun-


tamenti fissi con questa presenza interiore. Era elusiva, sempre un
po’ irraggiungibile, e tuttavia, ogni volta mi circondava con un man-
to d’amore che, a seconda dei giorni, vibrava leggermente o con
intensità. Quando mi arrendevo totalmente alla chiamata, e sedevo
fino a che uscivo di meditazione spontaneamente, l’incontro con
l’Amato era così incantevole, estatico e delizioso che il suo riverbero
pervadeva l’intero giorno. Mi scoprivo a cercare la bellezza nascosta
e la dolcezza in persone che avevo ignorato o trovato irritabili, come
se le guardassi attraverso gli occhi del mio Amato. C’erano giorni in
cui mi sentivo letteralmente intossicata dalla tenerezza.
Per parecchi mesi, il mio orario giornaliero mi permise di avere
più di un’ora per meditare ogni mattino e sera. E, comunque, rite-
nevo di dover dare la priorità maggiore alla meditazione. Diversa-
mente avrei letto o passeggiato o riempito in qualche modo quelle
ore con attività, quasi facendo resistenza all’intimità dell’incontro.
Ma scoprii che, se rendevo la mia pratica stabile, anche il processo
di scendere in profondità lo rimaneva, e se invece non onoravo la
chiamata interiore, si creava una sorta di distanza da me stessa, una
barriera energetica che rendeva più difficile entrare nello spazio del
cuore la volta successiva.
L’incontro con l’Amato interiore è uno dei frutti più allettanti
della meditazione. Ma ci sono molti modi diversi in cui la coscienza
si può aprire. Arrivai a comprendere, attraverso questi viaggi – come
credo farete voi quando intraprenderete i vostri nel campo sottile
della Consapevolezza – che il mondo interiore è pieno della Presen-
za amorevole. Un segreto per incontrarLa in voi è prestare un’atten-
zione persistente, tenera all’energia che si presenta quando meditate.
Questo genere di attenzione è sottile. È la volontà – rilassata ma
intenzionale – di essere pienamente presenti a se stessi: di fare at-
tenzione alla sostanza energetica della mente, piuttosto che ai suoi
contenuti. Mentre procedete nella meditazione, rendetevi conto con
tenerezza di tutto ciò che emerge: un pensiero, un’immagine, un’e-

33
la meditazione per amore

mozione (anche se forte o dolorosa). Non fissatevi sui suoi conte-


nuti, sulle sue “storie”. Al contrario, state con la sensazione fisica di
quell’energia. La Presenza è uno stato del sentire ed emerge quando
accostiamo il nostro mondo interiore con l’intenzione di penetrare i
suoi misteri attraverso la percezione e i sensi.

I frutti della pratica profonda


Il processo che ho descritto – pormi delle domande sul mio at-
teggiamento verso la pratica, sperimentare la meditazione giocosa-
mente, avvicinarmi alla pratica non come un compito bensì come
un modo di essere presente a me stessa – cambiò la mia esperienza
della meditazione, come cambierà la vostra. Quasi misteriosamente,
cambierà la vostra relazione con voi stessi. Dopo solo pochi mesi
di questa esplorazione, riscontrai più fiducia in me stessa. Percepii
una solidità e una risolutezza del tutto nuove. Prima le mie verità mi
apparivano poco chiare, avevo bisogno della conferma di altri per
accogliere le mie percezioni come importanti e valide. Ora comin-
ciavo gradualmente a credere che le mie intuizioni e reazioni fossero
guide affidabili per agire. Gli amici mi dicevano che ero diventata
più spontanea e più “vera” nelle relazioni. Ma soprattutto sparirono
profondi strati di vergogna e di indegnità. Tutto ciò era, e continua
a essere, il risultato della relazione diretta con la mia shakti, la sotti-
le energia dentro di me. Uno degli insegnamenti
Usa la tua luce
principali della tradizione indiana dello yoga af-
e ritorna alla
sorgente della luce.
ferma che le nostre paure, i dubbi e le sofferenze
Ciò è chiamato sorgono dall’ignoranza della nostra vera natura
praticare l’eternità. e che vengono distrutti dalla conoscenza del Sé.
lao tzu Negli anni, ho avuto spesso la sensazione di spe-
rimentarlo direttamente, e cioè quanto un’ora di
immersione nella mia mente più vasta, o i pochi momenti di rico-
noscimento del gioco dell’energia più profonda nel movimento dei
miei pensieri, potessero cambiare il mio comportamento e le mie
relazioni.

34
il richiamo della meditazione

La meditazione è la base di tutto il lavoro interiore. Possiamo


lottare con grande impegno per cambiare le nostre qualità limitanti;
possiamo impregnarci di insegnamenti e aiuti, concreti e dettagliati.
Tuttavia, alla fine, è l’incontro diretto, nudo, con la nostra Consape-
volezza che cambia la comprensione di chi siamo e ci dà il potere di
restare saldi nel centro del nostro essere. Nessuno può far accadere
questo per noi. La meditazione lo può.
Per far uso dei principi e delle pratiche che seguono, non è neces-
sario impegnarsi a meditare per ore ogni volta. Ciò che è necessario è
la continuità nella pratica, anche se all’inizio sono solo quindici minuti
al giorno. L’azione di sedere ogni giorno con la
Il mondo delle qualità
chiara intenzione di esplorare il proprio essere diventa verde e
interiore darà inizio al processo. Poi, imparando si secca, ma
a far attenzione ai segnali che vengono dall’inter- Kabir medita
no, si imparerà a meditare per periodi più lunghi. sull’Uno che è
È l’intenzione, la percezione dell’obiettivo che l’essenza del mondo.
rende potente anche una meditazione breve e kabir
permette di entrare nel proprio nucleo.
Suggerisco di provare gli esercizi che propongo nei vari capitoli,
via via che si legge. Si può fare in molti modi. Il primo: si può sce-
gliere di leggere tutto il capitolo e poi tornare indietro e praticare gli
esercizi. In alternativa, si può smettere di leggere quando si incontra
un esercizio e provarlo per un momento o due. Molte di queste
proposte, soprattutto all’inizio, sono programmate come aiuto per
assimilare uno dei principi basilari della meditazione. Praticare l’e-
sercizio può davvero rendere vivo il concetto. Si potrebbe anche
tenere accanto a sé un diario intanto che si legge, per annotare ogni
intuizione o cambiamento interiore che si presentano durante l’e-
sercizio. In questo modo, la lettura può diventare un esperimento
della meditazione e della contemplazione, e anche l’esplorazione del
proprio mondo interiore. È mia speranza che questa ricerca porti
sorpresa e piacere e che vi aiuti ad aprirvi più profondamente a voi
stessi e alla grandezza che è in voi.

35
Come sperimentiamo il Sé interiore?
capitolo secondo

Per molti di noi la prima svolta nella pratica della meditazione av-
viene quando cominciamo a contemplare il nostro obiettivo. Fino
ad allora è spesso un processo disordinato. Chiudiamo gli occhi,
seguiamo le istruzioni che ci vengono date
L’Uno che stai
e speriamo che qualcosa accada. Ci chiedia- cercando è lo
mo se stiamo facendo giusto. La meditazione stesso che ti cerca.
corretta significa aderire come un’ostrica al francesco d’assisi
punto su cui ci stiamo focalizzando? È l’atto
del focalizzare che porta risultati? Oppure l’esperienza desiderata è
solo qualcosa che accade, che si verifica spontaneamente? Alcuni
dei più scrupolosi meditanti che conosco hanno sprecato mesi, an-
che anni, chiedendosi cosa stavano cercando o sforzandosi di lasciar
emergere lo stato meditativo. Quando non abbiamo alcuna idea di
dove stiamo andando, spesso cadiamo in una sorta di trance o di
fantasticheria.
C’è una leggenda su Roy Riegels, un centrattacco della squadra
di calcio dell’Università di Berkeley: durante il Rose Bowl Game del
1929, Riegels trasportò la palla in campo in direzione sbagliata, e
aveva quasi raggiunto l’area di meta della propria squadra quando fu
placcato. Era un grande attaccante, a quanto si dice… ma natural-
mente, nessuna delle sue abilità gli fu utile dopo che ebbe iniziato a
correre nella direzione sbagliata.
Allo stesso modo, per quanto siate meditanti seri, non vi sarà di
alcun aiuto se non avete chiaro dove state andando. Così, anche se

37
la meditazione per amore

siete all’inizio del percorso, è enormemente importante comprende-


re quale sia la meta.
L’obiettivo ultimo della meditazione, naturalmente, è sperimenta-
re il pieno emergere della propria pura Coscienza, lo stato interiore
di luminosità, amore e saggezza che la tradizione indiana chiama
“il Sé interiore” oppure “Vero Sé”, o anche “Cuore” – un buddista
può chiamarlo “Natura di Buddha”, “Grande mente”; un cristiano,
“Spirito”. Ma noi vogliamo di più. Noi vogliamo realizzare che siamo
quello: non solo un corpo o una personalità, ma pura Consapevolez-
za, pura Coscienza. Secondo questa definizione, una meditazione
riuscita è quella in cui si entra, anche solo per un momento, nel Sé.
La nostra intenzione di capire e di sperimentare il Sé indirizza la
nostra consapevolezza: è come puntare una freccia. Tuttavia, anche
quando orientiamo la nostra attenzione al Sé, è necessario ricordare
che noi siamo il Sé. Come disse Ramana Maharshi, “Conoscere il Sé
significa essere il Sé”. Quando lo dimentichiamo – che il Sé non è
solo l’obiettivo della nostra meditazione, ma anche chi noi realmen-
te siamo – inevitabilmente ci inceppiamo in una delle innumerevoli
strade secondarie del mondo interiore.
La più comune di queste strade laterali è la fantasticheria: cadere
nello spazio labirintico dei pensieri e delle immagini. Ci si siede a
meditare e si finisce catturati da qualche sequenza di pensieri irrile-
vanti, lasciandosi trasportare di associazione in associazione: “Chi
era quel cantante di blues? Era cieco e veniva dalle Bahamas. Penso
che il suo nome fosse John. No, Joseph. Jonathan lo saprebbe. ‘Ho
intenzione di vivere la vita che canto nella mia canzone.’ La moglie
di Jonathan: Rachel? Roberta? Quanti bambini?”.
Perdersi nei pensieri non è il solo modo di essere distratti. Cono-
sco persone che hanno delle meditazioni sorprendentemente dina-
miche: cascate di luce, belle visioni e brillanti momenti di intuizioni
– espansioni della mente nella spaziosità assoluta. Questa pratica,
tuttavia, non sembra cambiare la loro relazione con se stessi, né aiu-
tarli a modificare i binari su cui procede la loro vita. Questo perché

38
come sperimentiamo il sé interiore?

trattano la meditazione come uno L’occhio attraverso il quale io


show di luci, uno svago o una con- vedo Dio è lo stesso occhio
quista di qualche genere. Non cer- attraverso cui Dio guarda
cano la propria base, il proprio Sé, me; il mio occhio e l’occhio di Dio
la propria essenza tra i movimenti sono un unico occhio, un unico vedere,
un unico conoscere, un unico amore.
all’interno della meditazione. Per
meister eckhart
questa ragione, malgrado i doni
che ricevono, non sentono di andare in profondità. Non trovano
pace. Non sperimentano la soddisfazione.
Perciò, per iniziare la pratica meditativa, chiarite bene il vostro
obiettivo. Cominciate a cercare, a riconoscervi, e a identificarvi con
la vostra essenza.

Identificare il Sé
Come abbiamo appena visto, il grande segreto del Sé – del Dio
interiore – è che siamo noi. Ramana Maharshi diceva: “Siate ciò
che siete. Vedete chi siete e rimanete il Sé”. Questa è la conoscenza
che tutti i maestri spirituali illuminati, da Shankaracharya a Meister
Eckhart, a Bodhidharma, hanno diffuso. Non è necessario entrare
in stati alterati per sperimentarlo; tutto ciò che serve è divenire con-
sapevoli della parte di noi che vede e conosce. Quando si contatta
questo Conoscitore interno, anche per un secondo, si tocca la pro-
pria essenza.
Il modo più facile per me di Anche quando una persona dice:
comprenderlo è di pensare a me “Io sono”, “Questo è mio” e così via,
stessa come composta da due il suo pensiero va a quell’assoluto “Io”
differenti aspetti: una parte che che non dipende da alcun supporto.
cambia, che cresce e invecchia e Quando contempla questo,
egli ottiene una pace durevole.
una parte che non lo fa. La parte
vijnana bhairava 131
che cambia, corpo-mente-perso-
nalità, appare molto diversa adesso dalla ragazzina di dodici anni che
giocava coi ragazzi vicini a Princeton, New Jersey. Da allora le sue
occupazioni e preoccupazioni sono cambiate radicalmente. Questa

39
la meditazione per amore

persona, non soltanto ha vissuto ogni sorta di ruoli attraverso gli


anni – studente, giornalista, cercatrice spirituale, discepola, monaca,
insegnante – ha anche assunto parecchie dozzine di ruoli interiori.
Quindi, questa parte che cambia ha varie personalità esterne e al-
trettanti “segreti sé”. Ci sono aspetti che sembrano antichi e saggi,
e parti che sembrano impulsive, non sviluppate e folli. E assumono
anche diversi atteggiamenti: grande distacco, propensione per il sub-
buglio emotivo, frivolezza e profondità, compassione ed egoismo.
C’è, in breve, un certo numero di caratteristiche interiori che abitano
la nostra coscienza, ognuna con il suo corredo di modelli di pensiero
ed emozioni, e ognuna con la sua voce propria.
Tuttavia, tra tutti questi ruoli esteriori diversi e spesso in conflitto
e i caratteri interiori, un elemento resta costante: la consapevolezza
che le contiene. Questa è la parte del Sé
Chi è che sa che non cambia. La consapevolezza della
quando la mente è piena nostra esistenza in questo momento è la
di rabbia o d’amore? stessa che avevamo a due anni. Questa
Chi è sveglio consapevolezza di esistere è totalmente
quando dormiamo?
impersonale. Non ha programmi. Guar-
Chi sa che abbiamo dormito
da attraverso le personalità come da fine-
e ci riferisce dei nostri
sogni? Dobbiamo stre diverse, senza favorirne alcuna a sca-
meditare su quell’Uno pito di altre, senza mai esserne limitata. A
che è testimone volte la sperimentiamo come un osserva-
di ogni cosa. tore distaccato, il testimone dei pensieri
swami muktananda e delle azioni. Talvolta, semplicemente
come la sensazione di esistere: esistia-
mo e sentiamo di farlo. L’autore sconosciuto di The Book of Privy
Counseling, un testo cristiano del quattordicesimo secolo, la descrive
come “la nuda, cruda, elementare consapevolezza che sei ciò che
sei”. Nello Shivaismo del Kashmir, è chiamata purno’ham vimarsha, la
“pura consapevolezza di Io-sono”, il vero “Io”, libero dal corpo, che
continua a esistere anche dopo la morte.
Quando ci si focalizza e si riesce a conoscerla, essa diviene la

40
come sperimentiamo il sé interiore?

porta d’ingresso per la Consapevolezza più profonda: la Coscienza.


(Per evitare confusioni, la c iniziale di coscienza diventa maiuscola
quando la parola riguarda la Coscienza pura o assoluta. È scritta in
minuscolo quando si riferisce alla consapevolezza in uno dei suoi usi
psicologici consueti, come lo stato in cui si è consci di qualcosa, o
come sinonimo della psiche umana con le sue facoltà di percezione,
cognizione, sensazione e volizione.)
Se, in meditazione, continuerete a esplorare la Consapevolezza,
essa emergerà sempre più distintamente. I pensieri e le altre sensazioni
gradualmente si affievoliranno e comincerete a sperimentare il calmo
e tuttavia fluido campo di nuda Coscienza che è la nostra struttura

Esercizio: divieni consapevole della tua Consapevolezza


Siedi confortevolmente, con la schiena dritta ma rilassata, e gli occhi
chiusi. Dedica un minuto ad ascoltare i suoni nella stanza. Poi porta
la tua consapevolezza nel corpo. Osserva come si sente il tuo cor-
po in questa postura. Diventa consapevole delle cosce che toccano
il sedile, dell’aria sulla pelle, dei vestiti sul corpo. Ora sposta la tua
attenzione all’interno. Forse avverti i brontolii del tuo stomaco o i
muscoli contratti o rilassati.
Divieni consapevole del respiro: la sensazione dell’aria che entra dal-
le narici, la leggera freschezza di quando entra, il leggero calore di
quando esce.
Divieni consapevole di ciò che accade nella mente. Osserva i pen-
sieri e le immagini che attraversano lo schermo interiore. Osserva
i sentimenti profondi, le emozioni e ogni interferenza mentale che
emerge. Non cercare di cambiare niente. Semplicemente mantienilo
nella consapevolezza.
Ora sposta l’attenzione alla Consapevolezza stessa. Divieni consape-
vole della tua Consapevolezza, di ciò che ti fa percepire tutto questo:
la spaziosità interiore che contiene tutte le sensazioni, i sentimenti e i
pensieri che formano la tua esperienza in questo momento. Focalizza
la tua attenzione sulla tua Consapevolezza, come se stessi prestando
attenzione all’attenzione in sé. Sii quella Consapevolezza.

41
la meditazione per amore

sottostante. Alla fine, la Consapevolezza che all’inizio era percetti-


bile solo a strappi, si rivelerà essere un’enorme estensione dell’esse-
re. “Non sono necessarie parole per vedere dentro la realtà” scrisse
Rumi. “Solo essere, ed essa è”.
Secondo la maggioranza delle grandi tradizioni spirituali orien-
tali, la nostra consapevolezza/energia interiore, o coscienza, è in
realtà una forma contratta e limitata della grande Consapevolez-
za/energia che sta alla base, crea e
C’è qualcosa oltre la nostra mente, sostiene tutte le cose. Le Upanishad
che risiede in silenzio la chiamano Brahman, la Vastità. I
all’interno della nostra mente.
sapienti dello Shivaismo del Kash-
È il supremo mistero
oltre il pensiero.
mir la chiamano Chiti (Coscienza
Lasciamo che la mente e lo spirito universale), Paramashiva (Propizio
di ciascuno riposino su Quello, sommo), Parama Chaitanya (su-
e niente altro. prema Coscienza), o Paramatma
kena upanishad (supremo Sé). Il grande filosofo
shivaita Abhinavagupta la chiama
Hridaya, il Cuore. I fisici odierni la chiamano campo quantico. Nel
Buddismo è detta Dharmakaya, il “corpo” della Verità. E, natural-
mente, è anche chiamata Dio.
Nella sua forma originale, espansa, quella vasta intelligenza creati-
va abbraccia e sta alla base di tutto; in un individuo è la sostanza della
mente (in sanscrito: chitta) che forma il bagaglio dei nostri pensieri,
percezioni e sentimenti. Lo Shivaismo del Kashmir – che descrive
in modo elaborato i differenti stadi attraverso cui passa questa intel-
ligenza creatrice, nel processo di diventare il mondo materiale – alla
fine ha una formula semplice: “La suprema Coscienza (chiti), discen-
dendo dal suo stato di completa libertà e potere, diventa la coscienza
di un essere umano (chitta) quando comincia a contrarsi nella forma
degli oggetti della percezione”. In altre parole, nel momento in cui
cominciamo a focalizzarci sugli oggetti, inclusi pensieri, percezioni
e idee, perdiamo il contatto con la vastità interiore che sta alla base
di tutto. E poiché pensieri, sentimenti, sensazioni e percezioni riem-

42
come sperimentiamo il sé interiore?

piono la nostra consapevolezza quasi in ogni momento della nostra


esistenza, non ci si stupisce che raramente riusciamo a vedere l’oce-
ano di Coscienza che sta in noi.
Alcuni anni fa, una mia amica ebbe un incidente automobilisti-
co. Fu sbalzata fuori dalla macchina. Mentre giaceva sul terreno, si
sentì in uno stato di sottile consapevolezza nuovo per lei e tuttavia
stranamente familiare. Si sentiva senza corpo, ma del tutto sicura,
piena di gioia e libera. Per quello che le sembrò un tempo lungo,
restò semplicemente in uno spazio vasto ed espanso di amore. Poi,
lentamente, come una formica che attraversa una finestra, le parole
cominciarono a gocciolare nella sua mente: “Mi… chiedo… se…
penseranno… che… è stata… colpa… mia”.
Nel momento in cui percepì quel pensiero chiaramente, fu di
nuovo nel suo corpo, nel suo stato normale per così dire, con tutte
le sue ammaccature. E si accorse che aveva davvero sperimentato
come i contenuti della mente limitino la Coscienza.
Ma non solo i pensieri lo fanno: l’atto di percepire qualcosa come
oggetto separato contrae la Coscienza e allo stesso modo lo fanno
i modelli energetici creati in noi dai desideri e dalle emozioni a loro
collegati, originati dai sogni e dalle fantasie. In breve, tutto ciò che
coagula la sottile energia della mente, o la corruga in onde e incre-
spature invece di lasciarla stabile e calma, contribuisce a mascherare
la luminosità e l’apertura della nostra Coscienza interiore.
Il lavoro della meditazione è convincere la mente a lasciar andare
le percezioni e le idee che la tengono bloccata, affinché possa espan-
dersi e rivelarsi per quello che realmente è: vasta Coscienza creativa.
Pura Luce ed estasi. Un oceano di pace e potere. Il Sé.

Cos’è il Sé? Ovvero descrivere l’indescrivibile


La parola “Sé”, usata nella maggior parte delle traduzioni della fi-
losofia indiana, si riferisce alla parola sanscrita atman, qualcosa che
viene tradotto anche con “se stesso”. Questa è un buon termine per
descrivere qualcosa che in realtà non ha parole né forma ed è essen-

43
la meditazione per amore

zialmente inafferrabile, qualcosa che non si vede né si percepisce


nell’universo sensoriale e può essere conosciuta solo con l’esperien-
za diretta. Mancando di forma, è anche senza nome. Perciò i sapienti
lo chiamarono atma (se stesso) o tat (Quello). I saggi che abitavano la
foresta dell’India vedica, i cui insegnamenti, raccolti nelle Upanishad,
sono il fondamento del vasto corpo della filosofia spirituale india-
na, cercarono di descrivere l’indescrivibile usando il linguaggio della
similitudine, dell’analogia e della metafora. Immagini come queste
suggeriscono l’esperienza della pura essenza:

Come l’olio nei semi di sesamo, come il ghee nel burro, il Sé risiede
nella mente.
Il Sé è quella cosa per cui la mente pensa, ma non può essere pen-
sato dalla mente.
Quello che splende attraverso tutti i sensi e tuttavia è senza sensi.

Ognuna di queste affermazioni, se ci si riflette, suggerisce un senti-


mento per il Sé, per la pura Coscienza. L’olio e il ghee sono elementi
leggeri estratti dai semi più grossolani e dal burro più denso, proprio
come la pura Coscienza, che è il Sé, è un’essenza sottile che deve
essere scoperta all’interno della sostanza nebulosa della mente. Il
Sé dà potere alla mente e ai sensi perché possano pensare o perce-
pire. Tuttavia, poiché il Sé dà potere al pensare, la mente ordinaria
non può trovare una strada per raggiungerlo, non più di quanto un
burattino possa percepire la persona che tira i fili. Quando si cerca
il Sé, ciò che si sta cercando è in realtà ciò che permette la ricerca. I
maestri zen ci deliziano nel descrivere quanto sia impossibile vederlo
con la nostra percezione ordinaria. “È come un occhio che guarda
un occhio” scrisse un maestro giapponese.
Ma, sebbene il Sé sia indescrivibile, i saggi trovarono il modo di
descrivere le sue caratteristiche perché si potesse cominciare a rico-
noscerlo. Una delle spiegazioni più importanti è che il Sé – atman –
non è la stessa cosa dell’ego personale, empirico. Non è il “me” che

44
come sperimentiamo il sé interiore?

si identifica con il corpo e la personalità, che crea confini e stabilisce


limiti, e che ci dice in continuazione dove finisce l’“io” e dove co-
mincia l’“esterno”.
Un modo per sapere se si sta sperimentando l’ego e non il Sé, è
che l’ego (ahamkara, in sanscrito) fa esperienza sempre paragonan-
dosi agli altri: non si sente mai pienamente uguale a loro, ma li vede
come più elevati o inferiori, migliori o peggiori, amici o potenzial-
mente ostili. Il Sé, invece, è e vede chiunque e qualsiasi cosa come
uguale a sé.
L’ego ha la stessa relazione con il Sé della relazione della lampa-
dina con la corrente elettrica che la attraversa. La lampadina sembra
dare luce indipendentemente, ma di fatto non lo fa: è solo un conte-
nitore. La vera sorgente dell’illuminazione è la corrente elettrica che
scorre attraverso il bulbo.
Allo stesso modo, è il Sé che dà energia all’ego e lo rende ca-
pace di svolgere la sua funzione: infatti ci permette di riconoscere
noi stessi nei confini che pone. L’ego è
uno strumento utile: senza di esso non No, che il mio cuore non dorme.
avremmo la sensazione di essere un sé Il mio cuore è desto, è desto.
Né dorme né sogna, guarda,
individuale. L’ego ci dice chi siamo, in
i limpidi occhi aperti,
senso limitato, terreno: da dove viene segnali lontani e ascolta
il corpo, quant’è vecchio, cosa ci “pia- a riva del gran silenzio.
ce” e cosa “no”. Quindi non è sem- antonio machado
pre un elemento negativo, un nemico
da estirpare; è semplicemente limitato e limitante. Per immerger-
si pienamente nel Sé, per sperimentare il Sé come è, Coscienza
pervasiva e totalmente impersonale, connessa con tutto e senza
confini, è necessario addentrarsi oltre i messaggi limitanti dell’ego.
Una volta che si è lasciata andare la tendenza a identificarsi con il
corpo, con la mente e le emozioni, allora ci si può sperimentare
come vastità, pura essenza, gioia, Coscienza, luce: in ognuno dei
modi con cui il Sé manifesta se stesso. Secondo i saggi del Vedanta,
il Sé ha tre qualità fondamentali: è sat, sempre esistente e perma-

45
la meditazione per amore

nentemente vero; è chit, consapevole di se stesso e di tutto il resto;


è ananda, pieno di gioia.

Il Sé è sempre presente
A differenza dell’ego, che viene e va, si gonfia e si sgonfia, se-
condo la sua posizione in relazione agli altri ego, il Sé non va mai
da nessuna parte. È la parte di noi che non cambia mai. Tutto il
resto nella vita cambia e si trasforma: il corpo cresce e invecchia;
si prende peso e si dimagrisce; le circostanze della vita cambiano, a
volte in modo allarmante; la personalità è soggetta a bizzarri cam-
biamenti e discontinuità. Ma, attraverso tutto ciò, la trama del Sé
rimane costante. È presente quando dormiamo e sogniamo, come
Consapevolezza che ricorda i sogni. È presente durante il sonno
profondo, sebbene di questo la maggior parte di noi non sia co-
sciente fino a quando non sia considerevolmente progredito nella
meditazione. Quando si è svegli, naturalmente, il Sé è presente
come la consapevolezza che ci permette di sperimentare la vita. Di
fatto, questo è il grande e liberatorio segreto riguardo al Sé: Egli
fornisce il contesto per la nostra intera esperienza di vita, il filo su
cui sono infilate le perle dei nostri pensieri, delle esperienze e delle
percezioni.
Anche se è più facile sperimentarne la purezza quando la mente
è calma, Egli non si eclissa quando la mente è piena di pensieri: in
realtà, è la sorgente stessa di quei pensieri e delle emozioni, che
emergono e si inabissano nella stessa sostanza della Coscienza. Sia-
mo felici o tristi, agitati o calmi, il Sé – che è lo spazio interiore della
Coscienza, la Consapevolezza interna, sostiene e contiene tutto ciò.
E questo significa che in ogni momento, anche nel mezzo di un
pensiero, si può cadere nel Sé. Come dice Kabir, il santo poeta del
XV secolo, “Ovunque tu sia è il punto d’ingresso”. Questo è uno
dei segreti che ogni tradizione spirituale rivela. Sebbene molte tec-
niche possano aiutarci a entrare in meditazione, la verità è che il Sé
è così presente nella nostra esperienza ordinaria che lo possiamo

46
come sperimentiamo il sé interiore?

contattare solo focalizzandoci sull’apertura tra un respiro e l’altro.


La frazione di pausa nel flusso del respiro o dei pensieri, allora, si
apre nella vastità della Coscienza, in quella che in sanscrito vie-
ne chiamato madhya (punto di mezzo), il centro, lo spazio interno
dove possiamo sperimentare la nostra connessione con il tutto.
Tradizionalmente, la via per entrare in madhya, lo spazio del cuo-
re, è attraverso gli insegnamenti e la grazia di un Maestro spirituale
Realizzato. Dacché egli vive in costante contatto con quello spazio
interiore, non solo ce lo può indicare, ma può anche aprire la porta
interiore che lo riveli. Ecco perché seguirne gli insegnamenti può
essere così rivoluzionario: essi contengono un sottile potere che li
rende realizzabili.
Una volta, mentre meditavo col mio guru, egli diede un insegna-
mento: “Meditate sullo spazio dal quale emerge il vostro mantra e
nel quale sprofonda”. Intrigata, cominciai a cercare il piccolo in-
tervallo nel fluire delle parole che stavo ripetendo, lo spazio alla
fine dell’ultima sillaba del mantra e l’inizio della prima. Davvero il
mantra emergeva da quello spazio nella mente? Mentre “guardavo”,
mi focalizzavo e cercavo di percepire lo spazio tra le ripetizioni del
mantra, mi sentii cadere, come Alice nel buco del coniglio, in uno
spazio enorme. Potevo ancora sentire il mio corpo, ma non mi sen-
tivo confinata in esso. Al contrario, “Io” circondavo il corpo e tutto
quello che conteneva. Anche i miei pensieri e le emozioni erano
all’interno della mia Consapevolezza. Era impossibile in quello stato
prendere sul serio la mia piccola mente ansiosa… Non c’era dubbio
alcuno che quella calma ampiezza fosse la vera me.
Quello stato durò per parecchi giorni, e nel frattempo ogni cosa
mi sembrava diversa, specialmente il contatto con gli altri: nor-
malmente, nelle situazioni sociali mi sentivo vagamente alienata
e insicura, provavo una sorta di leggero disagio. In quello stato,
quella sensazione non c’era più. Mi sentivo serena, duttile, tenera e
sicura di me in modo nuovo; sentivo letteralmente di riposare nel
mio centro.

47
la meditazione per amore

Cosa era accaduto? Ero entrata nello spazio della pura Coscienza,
l’esperienza base del Sé. L’insegnamento aveva aperto la porta e se-
guirlo mi aveva permesso di scivolare all’interno.

Il Sé è conscio
Il Sé permea la nostra esperienza quasi allo stesso modo in cui la
luce permea la stanza nella quale stiamo seduti. Se vi venisse chie-
sto di descrivere quella stanza, cosa direste? Potreste menzionare
i mobili, il colore delle pareti, gli oggetti sul tavolo, sulla scrivania,
anche le lampade. Ma parlereste della luce? La notereste? Tuttavia, è
solo perché c’è la luce che si può vedere la stanza e il suo contenuto.
Allo stesso modo, proprio come il Sé sempre presente ci dà il senso
di esistere, è il Sé che ci permette di fare esperienza di ogni cosa. Il
Sé è lo schermo sul quale sperimentiamo la nostra vita interiore ed
esteriore. È quello che ci rende possibile vedere, conoscere e speri-

Esercizio: focalizzati sullo spazio tra un pensiero e un altro

Questa pratica è facile da realizzare con un pensiero mantrico, cioè


un pensiero positivo che ripeti e ripeti, piuttosto che con i pensieri
casuali. Noi useremo il pensiero mantrico “Io sono”, ma sentiti libe-
ro di sostituirlo con uno diverso, breve e positivo, o con un mantra
che ti è familiare.
Chiudi gli occhi e ascolta il tuo respiro, seguendone il flusso per qual-
che minuto, affinché la mente si calmi. Comincia a ripetere la frase
“Io sono”. (Resisti alla voglia di aggiungere qualcosa, come il tuo
nome, a “Io sono”). Dopo averlo ripetuto per qualche tempo, co-
mincia a focalizzarti sul luogo nella mente in cui la parola “sono”
si affievolisce. Osserva la lieve pausa, la fessura. Come le parole “Io
sono” emergono ancora, vedi se riesci a prestare dolcemente atten-
zione a quella pausa. Comincia a sentire che le parole sorgono e si
immergono in quello spazio della mente. Lascia che la tua focalizza-
zione sia sullo spazio, piuttosto che sul contenuto delle parole. La tua
mente può fermarsi lì, e riposare nella pausa per tutta la sua durata.

48
come sperimentiamo il sé interiore?

mentare. La Kena Upanishad dice che il Sé Colui che non può essere
“splende attraverso la mente e i sensi”, espresso in parole, ma
il che è un modo poetico per dire che il per cui la lingua
suo potere permette alla mente e ai sen- parla – sappi che quello
si di funzionare. Quindi, l’eternamente è l’Assoluto. Colui
che non è conosciuto
conscio Sé è ciò che ci rende consci. Es-
dalla mente, ma con il quale
senzialmente Egli è luce. la mente conosce – sappi
Strati di detriti ispessiscono la nostra che quello è l’Assoluto.
consapevolezza e la rendono opaca: nel kena upanishad
momento in cui la nostra visione interiore
diventa abbastanza pura da permetterci di vedere attraverso di essi,
noi capiamo che il mondo è luce. Comprendiamo che siamo luce, che
il mondo è luce e che la luce è l’essenza di ogni cosa. Ecco perché così
tante esperienze di contatto con il Sé sono visioni di luce, luminosità
interiore o chiarezza profonda e cristallina.
Ci sono poi altri modi per sperimentare la luminosità del Sé: Egli si
rivela anche come la nostra capacità di conoscere, di essere consci e di
sperimentare. In altre parole, non è necessario vedere la luce interiore
per sentire quanto il Sé illumini l’esperienza; basta osservare sempli-
cemente cos’è che ci permette di conoscere la realtà. Nella mente, la
“conoscenza” è distinta dai pensieri: non è l’atto del pensare che ci
rende consapevoli dell’esperienza. I pensieri stessi infatti sono ogget-
to di conoscenza. Se puoi conoscere qualcosa, allora quella cosa non
sei tu. È fuori di te. Puoi testimoniare (l’esistenza) della tua mano,
dunque sai che non sei la tua mano. Allo stesso modo, si possono te-
stimoniare i pensieri. Quindi, un modo per individuare il Sé è cercare
di diventare coscienti della parte di noi che osserva l’esperienza, la
parte che è sempre testimone del corpo, delle emozioni e dei pensieri.
Una via facile, immediata per farlo è immaginare di osservare il pro-
prio corpo da tutti i lati, come se si avesse una consapevolezza a 360°.
Molte persone, dopo aver provato alcune versioni di questo eser-
cizio, osservano una presenza spaziosa che spesso sembra essere
posizionata in qualche posto sopra e dietro la testa.

49
la meditazione per amore

Esercizio: Consapevolezza a 360 gradi

Chiudi gli occhi e fai tre respiri lenti e profondi. Poi, porta la tua
attenzione dietro al tuo corpo, in modo da poterlo vedere da ogni
angolatura: da sopra, da sotto, di fronte, da dietro. Osserva il cam-
biamento di prospettiva che si verifica. Vedi se puoi collocarti come
il testimone che osserva il corpo, visto da ogni parte.
Adesso, continuando a mantenere quella prospettiva, chiedi a te stes-
so: “Chi o cosa è il testimone del mio corpo? Chi o cosa è il testimo-
ne dei miei pensieri?”.
Non cercare di rispondere con le parole. Invece, lascia che la tua
attenzione si rivolga all’esperienza percepita che emerge in risposta
alla domanda.

Se ci si focalizza su questa presenza-testimone per un attimo, si


può divenire consapevoli di un’altra presenza-testimone, giusto al di
là. Si può proseguire focalizzandosi sul testimone del testimone del
testimone, quasi all’infinito, senza completamente afferrarlo. Perciò
ora, invece di cercare di trovare colui che vede, sentite che voi siete
colui che vede. Continuando in questo modo, presto o tardi note-
rete un cambiamento nel vostro stato. I pensieri si muovono verso
lo sfondo. La Consapevolezza che conosce viene in primo piano. Si
può sperimentare un senso di enorme chiarezza e libertà, come se
le mura squadrate che normalmente contraggono la consapevolezza
cadessero, lasciandovi liberi in un ampio stato, potenzialmente infi-
nito e infinitamente sereno, pieno di pace, silenzio e coscienza. Sare-
te entrati nell’esperienza di quello che potremmo chiamare l’“asso-
luto conoscitore”, la pura Coscienza che non cambia né scompare.
La Coscienza che non solo sa tutto, ma conosce anche se stessa. Sta-
rete meditando sull’Uno che medita sempre in voi: consapevolezza
di fronte a Consapevolezza, coscienza che si riflette nella Coscienza,
l’aham vimarsha, cioè “L’io che sperimenta se stesso”.

50
come sperimentiamo il sé interiore?

Il Sé è pieno di gioia
Il terzo aspetto del Sé è ananda, gioia. L’aspetto ananda del Sé rag-
gruppa molti diversi tipi di esperienza, che includono amore, bea-
titudine ed estasi. Ananda è anche la sor-
gente della vera creatività: l’impulso a fare Chi può vivere, chi
qualcosa, qualsiasi cosa, in realtà scaturisce può respirare, se quel
Sé beato non dimora
dalla nostra gioia innata, dall’entusiasmo,
nel cuore? È lui
dal piacere. Abhinavagupta, il filosofo illu- Quello che dà gioia!
minato dello Shivaismo del Kashmir, spie- taittiriya upanishad
ga come l’intero mondo sia sgorgato dalla
delizia divina, che egli chiama ananda chalita shakti, la divina energia
che balza avanti nella beatitudine. La Taittiriya Upanishad dice: “Tutte
le cose sono nate dalla beatitudine. Vivono nella beatitudine e si
dissolvono nella beatitudine”.
Naturalmente questo è un insegnamento fondamentale della tradi-
zione sapienziale indiana. Una delle prime verità che si leggono o si
sentono quando si comincia a prendere coscienza di questa visione della
vita è che la nostra esperienza della felicità è possibile solo perché la feli-
cità è già dentro di noi. In breve, non sono l’altra persona, il bel posto, il
film, o il tiramisù che creano gioia: tutto questo può scatenarla, ma la gio-
ia è intrinseca in noi. In realtà, il piacere che sperimentiamo attraverso i
sensi è letteralmente un’ombra della gioia che abbiamo dentro.
La gioia profonda che chiamiamo “la beatitudine del Sé” assomi-
glia ai nostri normali stati di piacere quanto una pantera a un gattino
siamese. È la stessa felicità, vero, ma infinitamente più piena, più
potente e più entusiasmante. Ancor di più: ci dà un senso di com-
pletezza. Invece di eccitare la mente e creare il desiderio di averne di
più, l’esperienza di ananda fa sentire completi. Questo accade perché
lo stato di ananda del Sé è autosufficiente: non va e viene secondo le
circostanze della vita. Così, quando impariamo a richiamare in noi la
pura beatitudine, essa spesso balza fuori da sola, senza che i sensi la
scatenino: ananda c’è quando le cose… vanno bene; ananda c’è anche
quando vanno in pezzi.

51
la meditazione per amore

Questa esperienza permise a San Giovanni della Croce di scrivere


sublimi poesie pur vivendo in una cella di prigione così piccola che
non poteva stare in piedi né sdraiarsi; diede al sufi Mansur al’Hallaj la
capacità di ridere mentre veniva giustiziato. Molti la scoprono quan-
do si sveglia kundalini. “Oh, adesso capisco cosa significa quando
parlano di beatitudine” mi dicono spesso, descrivendo come hanno
afferrato il primo bagliore di quella felicità di fondo.
L’esperienza della gioia profonda, che intensifica la nostra pratica
di meditazione, è uno dei massimi doni del viaggio spirituale. Anche
se in Occidente abbiamo la strana tendenza a diffidarne come se
fosse qualcosa di frivolo, rimane il fatto che per i mistici cristiani,
come per i profeti islamici, e certamente per i sapienti delle tradi-
zioni mistiche indiane, il culmine dell’esperienza interiore è la gioia
dell’amore divino. L’amore è esso stesso l’obiettivo più alto della
meditazione, perché il vero tessuto dell’Assoluto è amore. L’amore
che sentiamo, qualsiasi amore, è, al suo nucleo, amore divino. Se si
vuole parlare di Dio, l’amore è ciò che Dio sente. È anche la sostan-
za di ogni cosa, il terreno interiore della nostra esperienza.
Chiunque persegua il sentiero della somma realtà, alla fine lo sco-
pre. Differenti tradizioni gli danno nomi e attributi differenti, ma la
maggioranza concorda che la natura della realtà suprema è amore o
beatitudine.
Poiché la gioia e l’amore sono intrinseci al Sé, i sapienti ci dicono
che possiamo avvicinare l’esperienza della espandente felicità del Sé
attraverso la soglia dei nostri normali sentimenti di felicità e affetto.
Tutti noi abbiamo momenti di gioia spontanea nelle nostre vite, e,
che ne siamo consapevoli o no, quei momenti ci danno profondi
e significativi assaggi della nostra verità più profonda. La chiave è
separare l’esperienza della felicità dalla sua causa esterna. Se pensa-
te che stare con Joan vi renda felici, allora Joan incarnerà la vostra
aspettativa di benessere e cercherete sempre Joan, anche se siete
consapevoli che stare con Joan non sempre fa lo stesso effetto. Se
invece, nel momento in cui provate amore, gioia immediata o felici-

52
come sperimentiamo il sé interiore?

tà, riuscite a cogliere il sentimento e a mantenerlo senza “annetterlo” alla per-


sona o alla situazione che lo hanno provocato, questo allora può espandersi
e permettervi di entrare nel Sé.
Il Vijnana Bhairava, considerato uno dei testi chiave del Tantra
riguardo alla meditazione, è un compendio di tecniche per entrare
nel puro Sé attraverso la strada della
È la mia natura che
nostra cosiddetta esperienza ordina- fa sì che ti ami spesso,
ria. Il seguente esercizio è basato su poiché io sono l’amore.
un verso che deriva da quel testo. È il mio desiderio
Potresti aver bisogno di ripetere che rende il mio amore intenso,
l’esercizio per qualche volta prima di poiché io bramo di essere
imparare a farlo. Una volta che avrai amata dal cuore.
sperimentato come la sensazione d’a- È la mia eternità che
more provata e la felicità rimangano fa sì che ti ami a lungo,
anche dopo che hai lasciato l’idea del- poiché io non ho fine.
mechthild of magdeburg
la persona che le ha ispirate, comince-
rai a comprendere come l’amore sia in realtà indipendente da ciò che
sta fuori di te. Comprenderlo può cambiare la relazione con gli altri,
e certamente con noi stessi.

Esercizio: focalizzati su un’esperienza d’amore

Chiudi gli occhi. Metti a fuoco il tuo respiro e seguendolo per qual-
che momento, lascia che la tua mente si calmi. Poi pensa a qualcuno
per cui senti amore o che hai amato nel passato. Immagina di essere
con questa persona. Immagina che sia dietro o di fianco a te. Per
fissare il ricordo, diventa consapevole del luogo oppure osserva ciò
che la persona indossa. Lascia che il tuo amore per quella persona
emerga. Apriti a esso. Pienamente presente al sentimento d’amore,
lascia andare il pensiero della persona. Focalizzati interamente sul
sentimento d’amore. Riposa in esso. Senti l’energia dell’amore nel
tuo corpo e nel tuo cuore.

53
la meditazione per amore

Colui che va al Dunque l’esperienza del Sé – qualunque


fondo del proprio cuore essa sia – ha le seguenti qualità: è un’espe-
conosce la propria natura; rienza di pura esistenza; è un’esperienza
e conoscendo la propria di consapevolezza in cui il Sé conosce se
natura, conosce il paradiso.stesso, è testimone della propria esistenza
mencius
come di tutto il resto; ed è un’esperienza
di beatitudine, perché il Sé è gioia, amore. A volte una di queste
qualità è così dominante che non ci rendiamo conto delle altre. Ma
entrando in qualsiasi esperienza della nostra realtà più profonda e
permettendo alle sue sfaccettature di rivelarsi, alla fine troveremo
che tutte queste qualità sono presenti allo stesso tempo.
La domanda è: come sappiamo che stiamo sperimentando il Sé?
È così semplice come sembra il dire che il Sé è la nostra Coscienza
libera dal pensiero? Oppure è più accurato definire il Sé la condizio-
ne di Coscienza espansa, la spaziosità nella quale entriamo quando
spostiamo la nostra normale consapevolezza in uno stato più lar-
go, più ampio, più profondo? Siamo nel Sé quando sperimentiamo
la pura gioia? Oppure la gioia del Sé è l’immenso amore che tutto
comprende e che può a volte sembrare troppo grande da reggere
per il nostro corpo? Il Sé è quell’impeto di ebbrezza che avvertiamo
quando guardiamo la luna salire dall’oceano, o quando vediamo ca-
dere la prima neve? Oppure, questi momenti sono appena bagliori
di qualcosa di molto più grande e molto più straordinario, qualcosa
che possiamo solo sperimentare appieno in uno stato di Coscienza
espansa o transpersonale?
Ecco un modo per osservarlo. La nostra esperienza del Sé è un
continuum: poiché il Sé è sempre presente, possiamo sperimentarlo
in gradazioni diverse e in molti modi diversi. È sia una straordinaria
esperienza che qualcosa di vicinissimo, semplice, familiare. È luce,
beatitudine e una Consapevolezza così globale che noi sentiamo che
tutto è una parte di noi; è anche la calma che sorge quando ci identi-
fichiamo con colui che osserva i pensieri. Si sperimenta il Sé quando,
guardando negli occhi qualcuno che ci infastidisce, si comprende

54
come sperimentiamo il sé interiore?

che la Coscienza che spunta da lui è la stessa che si sperimenta in se


stessi. Oppure quando guardando un fiore se ne percepisce la forza
creativa che si manifesta come colore, fragranza, e che fa incurvare
i petali e le foglie; o, ancora, quando si entra nel “flusso”, nell’azio-
ne perfettamente ben riuscita senza che si abbia la percezione di
agire. Quando si ha un momento di fede totale nel processo della
vita. Uno dei maggiori benefici della kundalini risvegliata insieme
a una meditazione giornaliera e continua è che queste esperienze
giungono regolarmente, e non solo in meditazione: l’esperienza può
verificarsi in ogni momento.
Un esempio potrebbe è descritto nella lettera di uno dei miei
studenti: “Ieri camminavo nel bosco, guardando le foglie cadere.
Guardai in su e mi ritrovai a osservarne una in particolare mentre
discendeva. C’era silenzio. La mia consapevolezza si trasformò: non
c’era altro nell’esistenza, fuorché la foglia e io stesso. Vidi la foglia
cadere: sembrava lo facesse dentro un grande spazio e la mia stessa
coscienza divenne quello spazio”.
Per molti di noi, la “grande” esperienza di espansione capita al di
fuori della meditazione, con gli occhi aperti. Queste vere e proprie
plateali esperienze di Coscienza espansa, potenti cambiamenti di
visione, sono doni: non possiamo farli accadere, vengono a noi a
tempo debito, attraverso la grazia. Come dice la Katha Upanishad, il
Sé rivela se stesso per sua volontà. Nessuna tecnica, nessuna prati-
ca, nessuna quantità di desiderio possono costringere il Sé a rivelare
la sua vastità.
E tuttavia, ecco il paradosso. Sebbene non possiamo far sì che
questa esperienza accada, possiamo invocare il potere che porta la
rivelazione. Questa è una delle ragioni per cui la relazione che in-
trecciamo con il Sé, con la nostra pratica meditativa e con la shakti
interiore, fa tanta differenza: più impariamo come onorare il potere
d’amore che inspira la nostra meditazione, più la ricordiamo, la invo-
chiamo e impariamo ad amarla, più sperimenteremo la sua presenza
e la sua beatitudine.

55
Prepararsi alla Pratica
capitolo terzo

Molti anni fa, uno studente di uno dei miei seminari mi raccon-
tò una storia interessante. Nei primi anni settanta aveva intrapreso
un viaggio di ricerca spirituale, andando dall’India al Giappone, di
maestro in maestro. Come molti durante quegli anni, voleva avere
un’esperienza palpabile della Verità. Voleva conoscere l’unità, voleva
conoscere Dio. Alla fine, dopo anni di pratiche insoddisfacenti, de-
cise di dare un ultimatum al suo Sé interiore. Una sera si mise sul suo
tappetino da meditazione e proclamò: “Mi sederò qui fino all’alba.
Se entro allora non avrò un’esperienza, mi alzerò e non praticherò
mai più la meditazione”.
Non accadde nulla. Ma proprio nulla. Perciò egli si alzò e prose-
guì la propria vita, determinato a non rivolgersi mai più al proprio
interno.
Dieci anni più tardi, un amico lo portò in un centro di meditazio-
ne di Los Angeles. Entrarono nella sala di meditazione e si sedettero
nel buio. Non appena si sedette, percepì una grande sacralità. Capì
che era in un posto dove molte, molte persone avevano compiu-
to pratiche spirituali. Si sentì stranamente
C’è una presenza
umile, immaginando la loro sincerità e il
invisibile che noi onoriamo
loro sforzo. Il suo cuore cambiò, con un e che porta doni.
inconsueto sentimento di riverenza. rumi
Improvvisamente, senza un avverti-
mento, un grande sentimento di amore si manifestò in lui. Poi, come
se si fosse aperta una finestra interna, egli fu proiettato fuori dal suo

57
la meditazione per amore

sé consueto in un immenso cielo interiore. Tutt’intorno a lui c’era


una profonda luce scintillante, coi colori dell’arcobaleno, vibrante
dello stesso fantastico amore.
Sfidare l’universo a dargli un’esperienza del suo mondo interiore
non lo aveva affatto aiutato. Amore, riverenza e gratitudine avevano
aperto la porta. La Katha Upanishad dice: “Il Sé rivela se stesso per
sua volontà”. Il mondo interiore non può essere forzato ad aprirsi:
pur facendo del nostro meglio, non possiamo far sì che la medita-
zione accada, ma il nostro atteggiamento interiore può indurla. Con
l’amore possiamo, come scrisse Rumi, “costruire una strada per te
all’interno di te”.
Si ritorna alla relazione: il Sé, la Coscienza interiore, è sia un “Io”
che un “tu”, un’intelligenza viva, dinamica, piena d’amore, che alcu-
ni poeti mistici chiamano “l’Amico”. E come ogni amico, egli rivela
i suoi segreti quando c’è fiducia e rispetto. Il Sé è amore, perciò
risponde all’amore; il Sé è delicato, perciò è attratto dalla delica-
tezza; il Sé è tenero, perciò naturalmente la tenerezza lo richiama
fortemente. Lo avviciniamo a noi quando lo invochiamo con onore
e quando gli chiediamo la grazia di essere gentile con noi e con la
nostra energia.
In questo capitolo, guarderemo ai modi diversi con cui possiamo
creare questa apertura, questo stato amorevole: lo stato che può su-
scitare la grazia dell’Amico interiore.

Onorare la pratica
Il modo fondamentale di invocare la meditazione è semplicemente
onorare la propria pratica, considerare il tempo in cui ci si siede a
meditare come sacro ed entrarci con rispetto. Creare alcuni semplici
rituali intorno alla pratica aiuta: sono atti fisici che si fanno per in-
durre un sentimento di rispetto.
Se possibile, preparate un posto dove mediterete regolarmente.
Questo spazio raccoglierà una sottile energia, e alla fine, solo sederci
indurrà la mente a volgersi all’interno. Non è necessaria un’intera

58
prepararsi alla pratica

stanza (conosco persone che hanno trasformato un ripostiglio in


una sala di meditazione!). Il luogo per meditare può essere un an-
golo. Se anche questo non è praticabile, create uno spazio portatile:
un cuscino o un tappetino che usate solo per meditare e che si può
mettere sul pavimento o sulla sedia quando è il momento.
Un semplice altare aiuta a dare forza alla celebrazione. L’altare rap-
presenterà per voi lo spazio sacro e potrà anche indurre sentimenti
di calma o di ricordo tutte le volte che ci passerete davanti durante il
giorno. Tradizionalmente, un altare è sollevato. Ho usato spesso una
scatola di cartone ricoperta da una bella stoffa, oppure l’ho posto su
uno scaffale della libreria. Si può averne anche uno portatile – una
bella stoffa da tenere insieme al cuscino da meditazione.
Sull’altare potreste posare una candela o una piccola lampada (per
ricordarvi della luce della Coscienza). Potete aggiungere fiori o fo-
glie, fotografie di persone o di luoghi che creano in voi il senso del
sacro, e un oggetto speciale come una pietra, un cristallo.

Prima di sedere in meditazione, prendete un momento per purifi-


care il corpo. Fare una doccia, o solo sciacquare il viso, le mani e
i piedi prima di meditare significa compiere un atto tradizionale e
fondamentale di purificazione, fisica e mentale. Nel fare il bagno, gli
antichi saggi recitavano dei mantra. Anche se voi non lo fate, potete
avere la sensazione che l’acqua che scorre sul corpo rimuova i detriti
anche dalla mente. Si possono poi indossare abiti riservati alla me-
ditazione; col tempo si satureranno con la vostra energia meditativa
così che indossandoli sarà più facile andare all’interno. Prima di se-
dere, potete accendere una candela o dell’incenso. E fare un inchino.
Inchinarsi è il modo più immediato per onorare il potere che può
condurci al di là della paura, dell’orgoglio e della distrazione dell’e-
go. Nella tradizione indiana, prima di meditare gli yogi si inchinano
verso ognuna delle quattro direzioni, riconoscendo in questo modo
che la divina sorgente è ovunque. Poi si inchinano al proprio posto
di meditazione. Quando proverete questa pratica, scoprirete presto

59
la meditazione per amore

tutti i generi di sfumature racchiusi in quest’azione. Onorare il posto


in cui si medita non è solo un modo per onorare il potere della me-
ditazione che si accumula sul cuscino, ma anche per segnalare alla
vostra essenza interiore che onorate voi stessi. Il grande poeta sufi,
Hafiz, scriveva:

L’Amico ha un tale squisito sapore


che ogni volta che ti inchini a Lui
la tua mente diventa più chiara e pura;
il tuo spirito prepara la sua voce al riso
in una immensa libertà.

Quando vi inchinate a un altare o semplicemente all’universo, potete


pensare: “Che il guscio che mi separa dall’amore si sciolga”, oppure
“Offro me stesso così come sono, con umiltà e amore”, “Prendo ri-
fugio nel Sé”. L’idea è di ammorbidire la durezza che chiude il cuore
e permettere ai sentimenti interiori di resa e tenerezza di emergere.
Vi aiuterà fare tutto ciò lentamente e consapevolmente; se entrate
in meditazione in fretta, spesso proverete un senso di nervosismo
per tutto il tempo. Anzi… se notate un senso di agitazione, prendete
in considerazione di poter tornare indietro e ripercorrere mental-
mente i riti preliminari: l’inchino, il movimento dell’incenso nell’aria.
Con lentezza, e osservando che quando lo fate questo porta la vo-
stra mente in uno stato più equilibrato. Sembra che le pratiche rituali
siano un metodo antico per concentrare la mente.
Un altro modo fondamentale per avvicinarsi al Sé all’inizio della
meditazione è rilassarsi. Suona semplice e ovvio: solo rilassarsi. Tut-
tavia, è l’ultima cosa che pensiamo di fare. Così tante volte mi sono
seduta rigidamente eretta per un’ora, imponendo a me stessa una
dura pratica e costringendomi a stare focalizzata su un solo punto
con un enorme sforzo… Poi, trascorso tutto il tempo stabilito, por-
tavo le gambe al petto e mi rilassavo con la sensazione di slacciare
una cintura stretta. Solo in quel momento si rilasciava la contrazione

60
prepararsi alla pratica

che aveva tenuto limitata la mia consapevolezza, e il mio cuore pic-


colo: allora entravo in profonda meditazione.
Piuttosto che aspettare fin dopo la meditazione per rilassarvi, ha
più senso farlo all’inizio. Calmate il corpo col respiro. Tranquillizzate
la mente accettandovi come siete in quel momento, in qualsiasi stato
vi troviate, ed entrando in meditazione senza domande o aspettati-
ve. L’aspettativa è diversa dall’intenzione descritta prima: avere una
forte intenzione, la consapevolezza dell’obiettivo, aiuta a focalizzar-
vi nella giusta direzione, mentre nutrire un’aspettativa blocca la vo-
stra esperienza, perché questo sovrappone alla spontanea realtà che
fiorisce al momento l’idea di ciò che dovrebbe accadere.
È una buona idea, all’inizio della meditazione, darsi il tempo per
esaminare il corpo, osservando dove i muscoli mantengono una
tensione: allora potete respirarvi “dentro”, immaginare di farlo at-
traverso le spalle tese, nel ventre, nella fronte, e con l’espirazione
sciogliere tutte le tensioni che vi trovate. Nello stesso modo potete
respirare nell’energia della mente, nella rigidezza dei vostri pensieri
coagulati, e lasciare che fluiscano fuori con l’espirazione. Quando vi
focalizzate sulla pratica, mantenete questo senso di relax: ricordate
di tenere l’attenzione soffice e di rilassare ogni senso di tensione.
Tutto questo a volte viene chiamato “sforzo senza sforzo”.

Invocare la grazia
Che cosa ci permette di rilassarci in meditazione, di compiere i
nostri sforzi senza tensione? Essenzialmente, la fiducia. Primo,
crediamo che il Sé – l’obiettivo della meditazione – sia vero e pos-
sa essere sperimentato. Secondo, crediamo di essere connessi a
un potere più grande che sostiene la nostra pratica e la porta a
compimento. In quasi tutte le tradizioni spirituali, questo potere è
chiamato “grazia”: la forza cosmica che risveglia il cuore alla sua
enormità e all’amore. La grazia è l’energia che connette alla su-
prema verità, alla sorgente del nostro essere: a quello che un mio
amico ama chiamare il “Campo di Dio”. I maestri dello Shivai-

61
la meditazione per amore

smo del Kashmir, una filosofia indiana che vede tutte le cose della
vita come espressioni dell’energia divina, la descrivono come una
forza sempre presente nell’universo, più pervadente della gravità
(e infinitamente più sottile). Ciò significa che possiamo accedervi
ovunque e in ogni momento: in natura, in presenza di qualcuno
che amiamo, sintonizzandoci alla presenza che si apre nei momen-
ti di quiete e in infiniti altri modi. La grazia è in noi, dopotutto,
mai distante. Ma, proprio come è necessario sintonizzare la radio
per prendere la stazione giusta, o connettersi a un server per esse-
re online, è necessario invocare la forma particolare di grazia che
illumina direttamente la meditazione.
Ne esistono quattro forme fondamentali con cui possiamo entra-
re in sintonia durante la pratica:
• la prima è la grazia dello Spirito, l’intelligenza d’amore senza
forma, impersonale, che fluisce come cosmo;
• la seconda è la grazia del nostro sé, la nostra Coscienza, ma
anche del corpo, della mente, del cuore;
• la terza è la grazia di una divinità personale archetipo, come
Shiva, Laksmi, Kuan Yin;
• la quarta, e, per me, sempre la più immediata e potente, è la
grazia di un maestro illuminato, specialmente se collegato a
uno dei grandi lignaggi spirituali.
Come sperimenterete nella pratica, potete giocare con ognuna di
queste. Forse preferirete cercarne una in particolare, oppure invo-
carle tutte e quattro come parte di una sequenza.

Invocare la grazia dell’universo


Sappiamo che c’è una Presenza nell’universo. I nativi americani la
chiamano Grande Spirito. Si manifesta come forza vitale, intelli-
genza delle cellule, potere che spinge i bambini fuori dal ventre, la
sensazione fisica di essere vivi che fa così parte della nostra espe-
rienza che tendiamo a darla per scontata. La grazia dell’universo è
impersonale, e perciò è chiamata spesso “Terza Persona, Spirito”,

62
prepararsi alla pratica

Esercizio: connettersi allo Spirito nell’universo

Chiudi gli occhi e focalizzati per un momento sul respiro. Se vuoi,


puoi ricordare un tempo in cui ti sei sentito veramente aperto a una
presenza benigna e amorevole: la presenza dello Spirito, il potere che
fluisce e si manifesta nella forma di questo mondo. Forse eri in un
boschetto di sequoie, in mezzo all’oceano, oppure guardavi il cielo.
Il contatto può essere avvenuto durante un momento d’amore con il
partner o con un amico o un bambino.
Contatta per un momento quel senso di presenza. Se non lo senti,
non importa: l’invocazione sarà ugualmente efficace.
Ora pronuncia o pensa queste parole (puoi comunque personalizza-
re la tua preghiera):
Invoco la grazia dell’universo, la grazia di Dio, la grazia dello Spirito, sempre
presente in questo mondo. Con gratitudine, mi apro alla grazia benevola che
guida la mia meditazione e mi riempie di pace, chiarezza e amore.
Se vuoi usa un’invocazione più corta, dicendo semplicemente: “Chie-
do alla grazia di riempire la mia meditazione” oppure: “Possa la gra-
zia illuminare il mio corpo, la mia mente e il mio spirito”.
Naturalmente puoi sostituire le qualità che ho suggerito prima con
“consapevolezza, dinamismo, intuizione e saggezza”.

spirito che si manifesta come “Ciò che è1” che circonda e pervade
ogni cosa. Questa è la forma di grazia che sperimentiamo così facil-
mente in natura: quanti di noi hanno avuto la prima esperienza dello
Spirito trovandosi in montagna, sotto un cielo stellato o nel mezzo
dell’oceano?

Invocare la grazia del corpo, della mente e del cuore


Wilhelm Reich non fu il primo a riconoscere la saggezza del corpo.
Le pratiche di hatha yoga sono progettate specificamente per met-
terci in sintonia con il potere meditativo nascosto nei muscoli, nelle

1 In inglese “suchness”, intraducibile in italiano. “Such” significa “così, tale” (NdT).

63
la meditazione per amore

Esercizio: chiedere al proprio corpo, alla mente


e al cuore di volgersi all’interno

Mi piace sempre prendere un momento per chiedere al mio corpo,


alla mente e al cuore, il permesso di entrare in meditazione, e la loro
grazia. Prende solo un attimo, ma può fare la differenza:
Caro corpo, per favore dammi il permesso di sedere in silenzio e rivolgere la mia
consapevolezza all’interno. Per favore aiutami a entrare in meditazione.
Cara mente, ti chiedo con amore di sostenere la mia meditazione. Svelami la tua
calma e la tua profondità.
Caro cuore interiore, ti onoro. Ti prego, apriti alla dolcezza che è la tua vera
natura e permetti alla mia meditazione di riempirsi della tua grazia.
Se ti sembra un po’ strano fare delle richieste al corpo e alla mente,
prova con questa dichiarazione:
Ora la mia intenzione è di meditare: permetto alla mia attenzione di fluire all’in-
terno e di riposare nelle profondità della mia Essenza. Invoco la grazia e l’aiuto
del mio corpo, della mia mente e del mio cuore.

ossa e nei sottili canali energetici. Quando il ritmo del corpo e le


intenzioni sono in sincrono con l’intenzione di meditare, il corpo
stesso può trascinarci in meditazione profonda. Allo stesso modo,
la mente (ne parleremo diffusamente più avanti), può essere amica
della meditazione o una delle più indisciplinate distrazioni.

Connettersi all’energia del Guru


Se nel tantra esiste un segreto fondamentale riguardo alla medita-
zione, è che invocare l’energia di un essere illuminato può accendere
la pratica, portare dolcezza a una medi-
O grazia del Guru, tazione arida e aprirci alle forze sottili,
chi è sostenuto dal protettive e trasformative del cosmo. Nel
tuo favore diventa come Buddismo Vajrayana, la pratica di metter-
il creatore dell’intero si in sintonia con l’energia di un maestro
mondo della conoscenza. illuminato è detta “Yoga del Guru”: in-
jnaneshwar maharaj

64
prepararsi alla pratica

fatti è uno yoga, una pratica potente ed esoterica di trasformazione.


Molte tradizioni mistiche hanno simili metodi: il sufismo, il cristia-
nesimo contemplativo, il giudaismo hassidico usano meditazioni e
preghiere con l’intento di invocare il grande maestro del sentiero.
Nelle tradizioni tantriche indiane e tibetane, semplicemente non si
inizia a meditare senza aver invocato l’aiuto del Guru – indicato qui
con la lettera maiuscola perché invocare un Guru non significa mai
obbedire a un essere umano. Un famoso commento tantrico descri-
ve il Guru come “il potere divino di dispensare grazia”. Il corpo e il
cuore di un singolo maestro in realtà sono il veicolo, il contenitore di
questo potere, che è anche l’energia nella nostra stessa anima.
Lo specifico maestro che invochiamo può essere qualcuno viven-
te, ma è allo stesso modo potente (e per molti preferibile) connettersi
a una guida leggendaria defunta: Cristo, Buddha, Padmasambhava,
Ramakrishna Paramahansa, Ramana Maharshi, o un maestro hassi-
dico come Baal Shem Tov. Ognuno di questi esseri può fungere da
collegamento con la sorgente segreta che rende viva la meditazione.
Tukaram Maharaj, uno dei santi poeti della tradizione del Maha-
rashtra, scrisse nel XVII secolo: “Dio vive col Guru. Dunque, ricor-
da il Guru. Portalo nella tua meditazione. Quando ricordi il Guru,
trovi Dio, nella foresta e nella mente”.
Ho contemplato spesso ciò che Tukaram vuole dire con “Dio
vive col Guru”. È uno dei grandi misteri di questo universo: come il
potere universale della grazia, il principio dell’aiuto divino si radichi
nella persona di un maestro illuminato, poi fluisca in chiunque si
colleghi con questo maestro, secoli o anche anni dopo che non è più
sulla Terra.
Molte tradizioni mistiche, non a caso, insistono sul fatto che
quando un meditante si collega a un lignaggio spirituale, egli preci-
samente collega il sé a quella forma di grazia che infiamma gli stati
superiori di Consapevolezza. A ogni stadio del viaggio, dal momen-
to dell’iniziazione fino alla realizzazione finale, la grazia del Guru dà
potere alla nostra pratica e apre il mondo interiore. “Il mio Guru mi

65
la meditazione per amore

diede la grazia di vedere che interno ed esterno sono una cosa sola”
scrisse il Guru Sikh, Nanak, e la Katha Upanishad recita:

Senza insegnamento di un maestro, non vi è accesso là,


Poiché – essere più sottile del sottile –
Ciò è inconcepibile.
Mio caro! Questa conoscenza non si raggiunge
con la ragione.
In verità, per essere facile da capire, deve essere insegnato
da un altro.

Il santo poeta Kabir canta:

Rifletti su questo e comprendilo.


Il sentiero è molto stretto e incerto;
è così sottile che hai bisogno dell’aiuto del Guru per scorgerlo.

Ma la domanda è: cosa intendiamo con “guru”, specialmente in


un’epoca in cui questa parola è popolarmente applicata a ogni esper-
to, come “guru del fitness” o “guru dei capelli”?
Le sillabe sanscrite gu-ru significano “buio-luce”, quindi “guru”
è spesso definito come qualcuno che ci guida dall’oscurità alla luce.
Ma è qui che ci si confonde. Nella vita spirituale la stessa parola
è usata per descrivere l’archetipo della Guida divina e un maestro
umano, che può essere illuminato oppure no. In India, l’insegnante
di musica, il maestro di sanscrito o anche l’insegnante di biologia
può essere appellato come guruji, perché tutti gli insegnanti sono
considerati degni di rispetto. Allo stesso modo, nella vita spirituale
si può incontrare per la prima volta il principio del guru attraver-
so un maestro o un mentore che è casualmente un essere umano
piuttosto comune con qualche conoscenza. In sanscrito, un nome
per questo tipo di insegnante è acharya, cioè “colui che istruisce”. Il
terapista che ti introduce al respiro profondo, l’insegnante di yoga
che ti porta alla tua prima shavasana meditativa, e l’autore del libro

66
prepararsi alla pratica

preferito di meditazione sono tutti importanti per la pratica, a livel-


li differenti. (E ciascuno di loro, nell’India tradizionale, può essere
chiamato guruji o “rispettato maestro”.) Acharya diversi possono for-
nire particolari tipi di insegnamento. Se si è studenti seri, si imparerà
a riconoscere chi ci può aiutare a ogni livello, quando stare con un
maestro malgrado i dubbi e le resistenze, e quando invece è tempo
di allontanarsene.
L’acharya di meditazione non deve essere pienamente illumina-
to, ma dovrebbe avere esperienza, buon allenamento, conoscenza
profonda dei testi e capacità di trasmettere in modo sottile lo stile
di meditazione che si sta imparando. Un maestro che è collegato
a un lignaggio di maestri, probabilmente porterà l’energia di quel
lignaggio, e ciò può migliorare profondamente la nostra pratica. Un
insegnante abile può far molto di più che fornire insegnamenti sulla
meditazione: può aiutarci a risolvere i problemi connessi alla pra-
tica, essere una guida esperta nei punti cruciali e aiutarci a entrare
negli strati sottili. L’energia del guru può scorrere attraverso questi
maestri, di tanto in tanto. Allo stesso tempo, però, non dovrebbero
essere confusi con un sadguru: un maestro di verità illuminato che
possiede il talento di dispensare illuminazione agli altri.

Il Guru come forza che risveglia


Un sadguru è un maestro che incarna pienamente la funzione del
guru. Un tale maestro di verità ha la capacità di risvegliarci alle no-
stre verità nascoste e poi guidarci fino a che non impariamo a incar-
nare la verità all’interno di noi. Non tutti hanno la fortuna di entrare
in contatto con un essere che abbia queste qualità. Tuttavia, se si
comprendono i principi dello “Yoga del Guru”, è ancora possibile
incontrarne uno, anche se non in carne e ossa. Infatti non abbiamo
bisogno di un contatto fisico per sperimentare il potere risvegliante
che il tantra chiama “guru”. A livello mistico, ciò che riceviamo dal
guru è una sorta di stimolo, la trasmissione di uno stato risvegliato
sottile e costante. Questo può avvenire in ogni stato di coscienza,

67
la meditazione per amore

inclusi i sogni (Tukaram stesso ricevette l’iniziazione da un maestro


defunto, in sogno), in meditazione e anche negli stati del dopo mor-
te. Quando c’è una vera connessione con i guru, la loro guida è con
noi, non importa come.
Ecco perché, sia nella tradizione occidentale che in quella orienta-
le, ciò che importa maggiormente è il collegamento interiore con un
lignaggio spirituale. Come la linfa vitale, che porta gemme e boccioli
a un albero dopo lo sterile inverno, così la forza spirituale che fluisce
dalla sottile connessione al guru e al suo lignaggio dà vita, succo e
potenza alla pratica. Può rinvigorire il nostro desiderio di meditare,
rendere percepibile il Sé nascosto e ravvivare una tecnica affinché
i territori segreti della nostra consapevolezza si aprano a noi, tutto
questo soltanto ricordando che il guru può aprire la porta a quella
trasmissione e alzare a un livello del tutto differente una meditazio-
ne abitudinaria.
Ecco un esempio: molti anni fa, sedendo in meditazione in un
ashram in India, mi trovai in uno stato di sconvolgimento totale.
Il giorno prima avevo avuto un incontro difficile e non riuscivo a
togliermelo dalla mente. Le mie emozioni erano in subbuglio, il mio
corpo senza pace, e a tratti sembrava che stessi per scoppiare.
Improvvisamente, il volto del mio guru apparve in me: una vi-
sione vivida. Avvicinò il suo viso al mio e disse: “La tua mente è
pazza. Sto per…”. Non sentii mai la fine della frase, perché il mo-
mento successivo il suo volto si era fuso con il mio e la mia testa era
esplosa nella luce. Cascate di una bianca
Inserisci nell’arco radiosità riempirono il mio corpo, insie-
la freccia affilata della me a una dolce quiete. Quando uscii di
pratica di devozione; poi, meditazione, la mia mente era calma. E,
con mente assorbita
sebbene i pensieri tornassero, non tornò
e cuore sciolto
nell’amore, scocca la freccia
la preoccupazione ossessiva che aveva
e colpisci nel segno: caratterizzato il mio universo interiore.
l’Assoluto imperituro. Quando chiediamo a un guru, a una
mundaka upanishad divinità, a un essere risvegliato di essere

68
prepararsi alla pratica

presente nella nostra meditazione, ciò che chiediamo in realtà è che


lo stato di chiarezza, amore e Coscienza di quell’essere venga alla
luce in noi. Anzi, ci apriamo alla luce che è già in noi, alla presenza,
donata dalla meditazione, del nostro maestro interiore: la guida invi-
sibile che ciascuno di noi porta in sé.
Per tutta la vita questo guru interiore ha vissuto con noi, invisibi-
le e sconosciuto e tuttavia ci ha condotti costantemente, dall’inizio,
ci ha guidati… e ci ha portati al punto in
cui siamo pronti a volgerci all’interno per Io sono lo stesso Sé in
conoscerci. Quando arriva questo momen- ogni essere; niente
to, il maestro interiore ci accompagna dai mi è odioso, niente caro.
Ma quelli che mi invocano
maestri che possano aiutarci nel processo.
con devozione,
Sovente ci può portare da un essere umano essi sono in Me e
destinato a essere il nostro mentore, il no- anch’io sono in loro.
stro sadguru. Ma, alla fine, il nostro maestro bhagavad gita
interno ci condurrà da uno in carne e ossa
per far sì che ci renda consci della sua presenza in noi. Arriveremo a
vedere il maestro umano come una sorta di forma incarnata della sag-
gezza e dell’amore della nostra anima, la nostra Coscienza Cristica, la
nostra natura di Buddha. Come dice la Guru Gita, un poema sanscrito
sul guru, “Il guru non è diverso dal Sé risvegliato”.
Perciò, quando all’inizio della meditazione si invoca un guru o
una forma divina, non lo si fa per motivi superstiziosi o per creare
dipendenza psicologica: li si invoca perché il loro stato illuminato
possa entrare in contatto con la nostra illuminazione nascosta, at-
tivare il nostro illuminato maestro interiore e accendere la nostra
meditazione.
A volte ci tratteniamo da questo tipo di pratica perché non ci sen-
tiamo particolarmente devoti o amorevoli. Tuttavia, paradossalmente,
questo è spesso il momento in cui più abbiamo bisogno di farla. Una
mia amica, una scienziata, ha l’atteggiamento efficiente di andare drit-
ta al punto e preferisce meditare sulla pura Coscienza piuttosto che
su forme di qualsiasi natura. A un certo punto la sua meditazione di-

69
la meditazione per amore

Dal loto sbocciato venne così arida che raramente riusciva a tro-
della devozione, vare interesse nel farla. Perciò si iscrisse a un
al centro del mio cuore, ritiro di meditazione nel quale ogni sessione
sorgi compassionevole cominciava con una serie di elaborate pratiche
maestro, devozionali: inchinarsi a ognuna delle quattro
mio sol rifugio.
direzioni, indirizzare preghiere ai maestri del
jikme lingpa
suo lignaggio e cantare. Di ritorno a casa, ag-
giunse questi rituali all’inizio di ogni sessione di meditazione.
“Lo facevo meccanicamente” disse. “Non provavo grandi sen-
timenti al riguardo. Semplicemente lo facevo: inchinandomi, ricor-
dando il mio maestro, pregando. Dopo qualche settimana, il mio
cuore cominciò a sentirsi intenerito. Letteralmente intenerito. Ora
mi basta cominciare con l’invocazione e questo sentimento di tene-
rezza si manifesta e la mia intera pratica è piena d’amore.”
La sua storia mi ricordò qualcosa che un maestro di recitazione
mi aveva detto anni prima. Egli suggeriva che, quando si doveva re-
citare il ruolo di innamorati, il modo per realizzarlo fosse di prestare
molta attenzione all’attore che si doveva amare. Il pubblico, sostene-
va, percepirà la tua attenzione come amore. Nella spiritualità, presta-
re un’intensa attenzione non solo simula l’amore, ma addirittura lo
evoca. Pregare, invocare e abbandonarsi, alla fine creerà sempre sen-
timenti di devozione, anche se si comincia meccanicamente. Ecco
perché compiamo queste pratiche: esse danno origine all’amore in
noi. La parola sanscrita per devozione è bhakti, che viene da una
radice che significa “assaporare”. Preghiera, invocazione, lode, cele-
brazione, adorazione e rito, le pratiche che vengono dalla tradizione
della bhakti, sono veri mezzi per assaporare i differenti sapori della
dolcezza che abbiamo dentro. Essi fanno sgorgare sentimenti di gio-
ia altissimi e sottili, e quella letizia illumina l’intera pratica.
L’atto di invocare i guru può essere semplice, come prendere un
momento per invitarli a essere presenti, oppure elaborato come la
pratica tantrica di immaginare che il proprio corpo è il corpo del guru.
In qualsiasi modo si faccia, è importante cominciare ricordandosi che

70
prepararsi alla pratica

si sta chiamando in causa un potere universale, la forza stessa della


grazia. Infatti, le scritture tantriche dicono che il nostro atteggiamento
verso il guru e noi stessi determina quanto assimileremo dal guru.
Una invocazione come quella del prossimo esercizio ci coinvol-
gerà molto più profondamente se la pronunciamo con il senso che
il guru sia una forma del nostro maestro interiore, e non qualcosa di
separato dal Sé.
Si può mettere in pratica con il maestro spirituale con cui ci sen-
tiamo più strettamente collegati, o con l’immagine di un essere come
Buddha o Cristo, o Baal Shem Tov, il maestro hassidico del XVI se-
colo. Si può anche usare la figura di una
delle grandi forme divine trasformative, Arrenditi alla grazia.
come Shiva, Krishna, Kuan Yin, Tara, L’oceano si cura
oppure una delle dee indiane Laksmi, di ogni onda
finché raggiunge la costa.
Durga o Kali, che incarnano la funzione
Hai bisogno di maggior aiuto
dispensatrice della grazia del divino fem- di quanto tu creda.
minile. Può essere interessante sperimen- rumi
tare invocazioni a forme diverse, special-
mente se si è nuovi alle pratiche di devozione, tuttavia, essa comincerà
davvero a fiorire quando lo si farà, giorno dopo giorno, con una stessa
forma particolare. In tutte le pratiche infatti, ma soprattutto in quelle
devozionali, la ripetizione ne risveglia il potere interno. Più ci si con-
nette a un essere particolare, più ci si scioglie al flusso della grazia che
scorre nell’intimo della forma con cui ci si collega.
Se non vogliamo una pratica di invocazione così elaborata, ricor-
diamo semplicemente il guru prescelto e chiediamo la sua grazia.
Possiamo rivolgerci a lui brevemente, con semplicità, oppure in
modo elaborato e poetico. Se siamo pieni di desiderio, riempiamo
l’invocazione di desiderio. Se ci sentiamo aridi e privi di interesse,
confessiamolo e chiediamo aiuto. Se la mente è disturbata dalla rab-
bia, dalla paura, dalla preoccupazione, offriamola perché sia trasfor-
mata. L’invocazione è il nostro dialogo col potere della grazia: più è
personale, diretto e sentito, più sarà efficace.

71
la meditazione per amore

Esercizio: invocare il Guru

Siedi in meditazione in una posizione confortevole e con la schie-


na diritta e chiudi gli occhi. Lascia che la tua attenzione si fonda
col respiro; seguilo quando entra e quando esce. Immagina di essere
seduto davanti al tuo guru, oppure davanti a un grande santo o a
un maestro illuminato con cui ti senti particolarmente connesso. Sii
consapevole che i guru non sono semplici esseri umani. Comprendi
che sono l’incarnazione dell’intero potere della grazia che scorre at-
traverso infiniti lignaggi di maestri illuminati.
Non è necessario “vedere” la forma del guru. La cosa più importante
è sentire la sua presenza e permetterle di essere pienamente vera per
te. Percepisci questa presenza come una forza divina risvegliante, il
potere della grazia che ti è familiare, e con il quale sei profondamente
connesso. Riconosci che questa è l’incarnazione particolare del potere
che la grazia ha di avvicinarti allo stato di illuminazione, lo stato della
Verità. Il guru ti ricopre di benedizioni. E ciò avviene con il respiro.
Quando il guru espira, soffia in te l’intero potere di amore e tutte
le benedizioni di un vasto lignaggio di esseri illuminati. Quanto tu
inspiri, porti quell’amore e le benedizioni in te. Espirando, emani
queste benedizioni attraverso l’intero corpo, con la sensazione che la
grazia (la benevolenza) del guru ti riempia dalla testa ai piedi.
Ora siedi sentendo che l’amore del guru e il suo lignaggio per intero
riempie il tuo corpo. Senti in te l’energia di quelle benedizioni. Ri-
posa nelle benedizioni che hai ricevuto. Offri il tuo ringraziamento.

è importante sentire che il maestro ha un vasto potere di elargire


la grazia, e altrettanto è cruciale comprendere quanto ci sia vicino.
Lo ripeto, il guru è in realtà presente in noi, è parte del tessuto in-
teriore del nostro essere. Il potere della grazia che invochiamo non
viene da un altro luogo: si manifesta dall’interno.
Una volta che ci si apre in questo modo, una volta in contatto col
potere della grazia, si è sulla soglia della meditazione. È tempo di
scegliere la porta: l’ingresso attraverso cui passeremo.

72
Scegliere il giusto Ingresso
capitolo quarto

Nei miei primi anni di meditazione, sprecai un numero infinito di


ore chiedendomi quale tecnica usare: la pratica della consapevolez-
za? Oppure una delle complesse visualizzazioni offerte dal mio primo
maestro? Ripetere il mantra? Seguire il respiro? Alcuni dei miei primi
mentori mi avevano suggerito di scegliere una tecnica e attenermi a
quella, perciò pensavo di dover riconoscere la migliore. Ero dunque
preoccupata e mi domandavo quale mantra usare, se meditare sul “te-
stimone” o sul “respiro”, se era permesso lasciarmi la tecnica alle spal-
le e semplicemente rilassarmi in me stessa. Fu solo quando smisi di
considerare le tecniche come delle icone da venerare che cominciai a
scoprire quanto fosse liberatorio lavorare con le pratiche più differenti
– e come fosse importante, alla fine, andare al di là di esse.
In meditazione usiamo le tecniche per una semplice ragione: la
maggior parte di noi all’inizio ha bisogno di un supporto per la pro-
pria mente. Una tecnica dunque fornisce alla mente un posto dove
riposare, mentre si placa nella sua natura essenziale. Ecco la sua vera
essenza: una sorta di cuscino per la mente. Nessuna tecnica medita-
tiva è un fine in sé e non c’è problema
La mente è davvero mutevole.
su quale tecnica si usi, essa si dissolverà
Ma… frequenta
alla fine, non appena la meditazione di-
posti familiari.
venta profonda. Perciò, mostrale
Mi piace pensare a questi strumenti spesso la delizia
come portali, punti per entrare nell’am- dell’esperienza del Sé.
piezza che giace sotto la mente. Lo spa- jnaneshwar maharaj

73
la meditazione per amore

zio interiore è sempre lì, con la sua chiarezza, l’amore e l’innata bontà:
è come il cielo che “appare” improvvisamente sopra le nostre teste
quando usciamo dalla porta della cucina e diamo un’occhiata in su
dopo un mattino tempestoso. Il Sé – come il cielo – è sempre pre-
sente, ma celato dal soffitto e dalle mura della nostra mente. Nell’av-
vicinarci al Sé, è utile avere una porta da attraversare agevolmente,
invece di dover farci largo tra mura di pensieri che ci separano dal
nostro spazio interiore.
Con l’avanzare della pratica, le tecniche diventano mezzi che ci
collegano alla sottile corrente meditativa interna, il potere naturale
che in seguito porterà all’interno la nostra consapevolezza. (Anche io
ho sperimentato, come si vedrà nel capitolo ottavo, come le tecniche
possano sorgere spontaneamente dall’energia meditativa risvegliata,
la shakti). Tecniche diverse sembrano condurci in luoghi diversi del
nostro regno interiore. Il Sé è uno, tuttavia ha infinite sfaccettature:
perciò, lavorare con una tecnica nuova può farci approdare in una
parte del paese interno che non abbiamo mai conosciuto prima.
C’è un’altra buona ragione per sperimentare con le tecniche: quel-
la che usiamo normalmente può portarci a un blocco. Questo acca-
de a moltissime persone: imparano una pratica e si fermano lì, anche
se capiscono che non li aiuta ad andare più in profondità. Dopo un
po’ sentono di non essere dei buoni meditanti, che la meditazione è
troppo rigida o troppo noiosa, oppure che arriva così facilmente che
non hanno la sensazione di crescere. Spesso il loro unico problema
è cercare di entrare in meditazione attraverso la porta sbagliata, op-
pure attraverso una che una volta si è aperta facilmente ma adesso
non scivola più sui suoi cardini.
La ragione migliore per mettere in atto una pratica di meditazione
è che ci piace farla. Questa indicazione ci arriva nientemeno che dagli
Yoga Sutra di Patanjali, un testo così basilare che ogni tradizione yo-
gica in India ne fa il fondamento della pratica di meditazione. Dopo
aver elencato una serie di esercizi per focalizzare la mente, Patanjali
termina il suo capitolo sulla concentrazione dicendo: “Concentrati

74
scegliersi il giusto ingresso

dovunque la mente trovi soddisfazione”. Come si fa a sapere se la


mente trova soddisfazione in una tecnica? Per prima cosa si dovreb-
be provare gioia. Ci si dovrebbe poter rilassare. Dovrebbe infondere
un sentimento di pace. Una volta divenuta familiare, dovrebbe fluire
naturalmente. Se una pratica impegna troppo duramente, può essere
il segno che per noi è sbagliata.
La maggior parte delle persone che meditano da un po’ capiscono
quali metodi avvertono come più naturali. Alcuni hanno propensio-
ne alla visione e rispondono bene alle pratiche che usano le visua-
lizzazioni; altri sono più cinestesici e in armonia con sensazioni di
energia. Per gli uditivi il mondo interiore si apre in risposta al suono,
per altri la pratica è animata da intuizioni o percezioni.
Una volta consapevoli di come si risponde alle diverse modalità,
si può adattare la pratica in modo che funzioni per noi. Chi ha dif-
ficoltà a visualizzare, può render viva
Questo solo è obbligatorio…
una forma visiva immaginandola come
che la mente sia fermamente
energia o sensazione, invece di cercare
dedicata alla vera realtà.
di vederla come un’immagine. Al con- Poco importa
trario, una persona altamente visiva po- come ciò si realizzi.
trebbe annoiarsi con la ripetizione del malinivijaya tantra
mantra, focalizzandosi sul suono delle
sillabe, ma percepirne invece l’effetto visualizzandone le lettere sullo
schermo interiore. Qualcuno sperimenta intenso amore ripetendo
un mantra con devozione, mentre la meditazione di altri decolla solo
quando lasciano andare tutte le pratiche e si concentrano sulla pura
Consapevolezza.
Ognuno di noi, dunque, deve trovare la sua strada. Per farlo dob-
biamo accordarci il pieno permesso di giocare con le diverse prati-
che che ci vengono offerte.

La postura
Il cuore, il fondamento, la base di tutta la pratica è la postura. Una
corretta postura di meditazione è abbastanza comoda da restarci per

75
la meditazione per amore

un po’, è abbastanza stabile da farci dimenticare il corpo, ma abba-


stanza solida da aiutarci a stare vigili. Ecco un insieme di semplici
istruzioni: potreste provare ad allineare il corpo in questa posizione
proprio adesso, mentre state leggendo.

Istruzioni per la postura


• L’aspetto più importante è che la colonna vertebrale sia tenuta
naturalmente eretta, affinché l’energia della meditazione possa
scorrere liberamente. Per questo, non è necessario sedersi nel
modo tradizionale del loto o del mezzo-loto. È comunque vero
che queste posizioni migliorano la pra-
Uno yogi in una postura
tica, poiché possono far sì che il sotti-
stabile facilmente diviene
le flusso energetico nel corpo si volga
immerso nel cuore.
all’interno. Perciò, se avete il corpo fles- shiva sutra
sibile, vi incoraggio a imparare a sedere
nel loto abbastanza a lungo da entrare in meditazione. Un buon
modo per allenarsi è cominciare con dieci minuti, aggiungen-
do un minuto al giorno fino a raggiungere i quaranta minuti in
capo a un mese. Nel frattempo, praticate hatha yoga per aprire
i flessori dell’anca. Provate la posizione del ciabattino (Baddha
Konasana), seduti al pavimento con le piante dei piedi unite e
cercando di avvicinare i piedi al corpo.
• Detto questo, se siete principianti, l’aspetto più importante è sem-
plicemente sedersi comodi, con la colonna eretta, per un tempo
abbastanza lungo da entrare profondamente in meditazione. Io
consiglio spesso a chi inizia – se ha problemi alla schiena o alle
ginocchia – di sedere su una sedia dallo schienale dritto oppure
contro un muro, con un cuscino che la sostenga.
• sedete sul pavimento, fatelo con una postura confortevole a gambe
Se
incrociate, su un cuscino rigido a mezzaluna oppure con una coperta
piegata sotto le anche. Tenerle sollevate permette alla schiena di non
arrotondarsi né accasciarsi e mantiene la naturale curva lombare. Le
ginocchia dovrebbero essere leggermente più basse delle anche.

76
scegliersi il giusto ingresso

• Se invece scegliete una sedia, ponete i piedi al pavimento, alla lar-


ghezza delle anche. Sedete eretti sulla sedia, eventualmente su un
cuscino, in modo da impedire che la schiena si accasci. Potete
inserire un secondo cuscino più sottile, per sostenere maggior-
mente le anche.
• Appoggiate le mani sulle cosce con le palme in giù, con l’indice
e il pollice uniti, oppure tenetele in grembo con le palme una
sull’altra.
• Sentite che le anche e le cosce sono pesanti e radicate, come se
affondassero nella sedia o nel pavimento, e che la colonna verte-
brale si erge dalla base, dritta fino alla sommità della testa. Am-
morbidite il collo.
• Rilassate la testa, lasciatela muovere liberamente verso l’alto finché
non si allinea con la spina dorsale; ammorbidite il viso; rilasciate le
palpebre e le guance; permettete alla lingua di riposare sul palato.
• Inspirate dolcemente e, con l’espirazione, lasciate che il petto si
apra e si sollevi, come se lo sollevaste dal cuore; inspirate e sull’e-
spirazione lasciate che le scapole si fondano sulla schiena.
• Una volta che il corpo è allineato, lasciate che il respiro vi aiuti a
rilassarvi nella posizione: a ogni inspirazione il respiro fluisce in
ogni parte del corpo che sentite tesa o stanca; con l’espirazione, fate
uscire ogni rigidità o contrazione. Questo lo apre, lo ammorbidisce
e lo prepara a mantenere l’energia rilasciata in meditazione.
• Tenete la posizione per un po’. Chiudete gli occhi, inspirate ed
espirate naturalmente; ascoltate i suoni nella stanza, percepite le
sensazioni del corpo. Sperimentate pienamente la sensazione di
essere nel corpo, in questa postura e in questo momento. State
dove siete.
• importante essere comodi; se in meditazione il corpo prova
È
disagio, sentitevi liberi di aggiustare la posizione. Tuttavia, fate
movimenti consapevoli e lenti, che non vi portino fuori dall’e-
sperienza.

77
la meditazione per amore

Pratiche di base
Ogni tradizione spirituale ha le proprie tecniche meditative e il pro-
prio linguaggio per descriverle. Dal punto di vista pratico, la mag-
gior parte di esse si può dividere in tre categorie. Ci sono le pratiche
di concentrazione, che richiedono la focalizzazione su qualcosa: un
suono, una forma visiva, il respiro, un centro nel corpo – come il
cuore o il canale centrale della colonna vertebrale, un’idea sottile
oppure un’esperienza interiore.
Ci sono poi le pratiche che integrano la consapevolezza meditati-
va con l’esperienza ordinaria. La consapevolezza di base, per esem-
pio – essere presente alle proprie sensazioni, al respiro e ai pensie-
ri quando emergono – oppure la “consapevolezza del testimone”,
cioè il processo di riconoscere la Coscienza sapiente presente in
ogni esperienza.
Ci sono inoltre le pratiche contemplative o meditazione analitica,
con le quali si può interrogare la profonda verità che sta al di là
dell’esperienza ordinaria, oppure ci si può focalizzare su una do-
manda o su un’idea spirituale, lasciando che sprofondi nella coscien-
za e faccia nascere un cambiamento interiore o un’intuizione.
La tradizione tantrica è nota per le meditazioni creative e le tec-
niche contemplative. Un testo come il Vijnana Bhairava offre un va-
sto menu di opzioni per immergersi nel Sé, incluse pratiche radicali
come contemplare il vuoto nelle ascelle o assaggiare i dolci preferiti.
In questo capitolo osserveremo alcune tecniche di concentrazione
che la prospettiva tantrica ritiene fondamentali: una con il suono
(ripetizione di un mantra), una cinestesica o energetica (seguire il re-
spiro e focalizzarsi sullo spazio tra due respiri), e svariate possibilità
di visualizzazione. Farò un accenno alle pratiche che si focalizzano
sui centri interni, come la sushumna nadi (il sottile canale energetico
che scorre lungo la spina dorsale), oppure il centro del cuore, e ci de-
dicheremo anche a un’altra pratica basilare: meditare sul testimone
o sulla nuda Coscienza, che opera direttamente con il senza forma,
con la Consapevolezza in sé.

78
scegliersi il giusto ingresso

Tenete a mente che spesso le tecniche possono essere combinate:


per esempio, si può unire il mantra col respiro, oppure osservare
il respiro e concedersi di divenire gradualmente consapevoli della
Consapevolezza che sta in realtà “compiendo” questa osservazio-
ne. Io inizio spesso la meditazione focalizzandomi sullo spazio tra
i respiri, fino a che l’attenzione diventa centrata, e poi riposo nello
spazio del cuore.
Prima di esaminare queste pratiche in profondità, daremo uno
sguardo ad alcuni principi che ci aiuteranno a renderle vive.

L’essenza sottile di una pratica


La chiave più importante in ogni pratica è continuare a cercare la sua
essenza sottile. Ognuna ha una propria vibrazione dei sensi e crea
uno spazio di energia al nostro interno. Per
Dio è al centro
esempio, ripetendo il mantra col respiro
di tutto.
è possibile sentire la sensazione specifica giuliana di norwich
dell’aria che si muove tra la gola e il cuore,
come pure il sottile senso di espansione o di pulsazione nello spazio
del cuore, quando le sillabe del mantra lo “colpiscono”. Focalizzan-
dosi sullo spazio tra i respiri, si può sentire il fiato muoversi dentro
e fuori dal cuore e osservare la sottile espansione del suo spazio fino
a che sembra includere tutto l’esterno. Si può notare che una pratica
particolare attiva certe parti del corpo interiore: lo spazio tra le so-
pracciglia, per esempio, può cominciare a pulsare quando si rivolge
l’attenzione alla propria Consapevolezza. Respirare profondamen-
te può renderci particolarmente attenti alle correnti di energia che
scorrono nel corpo.
Questa sensazione fisica di energia è l’effetto sottile di una tecnica
e la sua vera essenza. È proprio questo che apre la porta al Sé, piut-
tosto che la tecnica stessa. Per questa ragione vogliamo continuare
a muoverci nello spazio creato dalla pratica: nella sensazione ener-
getica di un mantra quando esso scende nella nostra coscienza, nel
percepire fisicamente la pausa tra un’inspirazione e un’espirazione,

79
la meditazione per amore

oppure nella vividezza dell’oggetto che stiamo visualizzando. Facen-


do ciò, saremo automaticamente liberati a un livello più sottile del
nostro essere.
Un altro modo per scoprire l’essenza intrinseca di una tecnica è
lavorare con bhava: una parola sanscrita che significa “sentimento” o
“atteggiamento” oppure “convinzione” riguardo qualcosa. Secondo
la tradizione indiana, bhava è così potente che può trasformare la
nostra esperienza della realtà.
Noi ci teniamo sempre stretto un bhava o un altro. Ma quando
ci identifichiamo con l’essere una donna o un ragioniere, col no-
stro malessere, col sentirci responsabili
Quando un uomo medita dell’universo, non pensiamo siano atti-
sul pensiero che egli tudini o convinzioni: ci convinciamo, al
è radicato nel divino,
contrario, che siano verità oggettive, che
e prega Dio,
allora egli compie un
quello siamo noi. Guardiamo al mondo
atto di pura unificazione. attraverso le lenti del nostro particolare
baalshem tov bagaglio di bhava e immaginiamo che ciò
che vediamo siano le cose nella loro real-
tà, mentre invece stiamo solo guardando il riflesso dei nostri bhava.
Ecco perché modificare i nostri atteggiamenti produce un profon-
do cambiamento nella nostra esperienza quotidiana del mondo.
Ogni volta che si decide di focalizzarsi sul perdono invece che sul-
la rabbia, o di guardare una situazione dal punto di vista di un’altra
persona, di pensare alle proprie qualità invece che rimuginare sui
propri difetti, si scopre quanto potere abbia bhava di trasformare
la nostra esperienza.
La pratica di creare consciamente un bhava interno, esprimendo
uno specifico pensiero spirituale, è chiamata bhavana o “contempla-
zione creativa”. Ogni bhavana ha il proprio effetto su di noi. Per
esempio, se si pratica offrendo la propria meditazione a Dio o per
il beneficio degli altri, essa crea un sentimento di altruismo e aiuta
a non aggrapparsi a una particolare esperienza o a uno stato inte-
riore. Ricordare l’amore o la grazia – respirare sentendo che si sta

80
scegliersi il giusto ingresso

inspirando amore – espande il cuore e dà un senso di contentezza


e protezione. Percepire che tutto è parte della propria Coscienza
allenta la presa della limitazione.
Se si pratica un particolare bhava per un tempo abbastanza lungo,
esso diverrà naturale, cioè diverrà la vostra vera esperienza. Questo
perché la coscienza è così creativa che può modellarsi completamen-
te intorno a ogni sentimento e ricrearsi in quell’immagine. Quando
la sensazione praticata comincia a sorgere spontaneamente come
esperienza, si scoprirà la verità del messaggio di Tukaram Maharaj
quando scrisse: “Dio è il tuo bhava”.
Tukaram era il droghiere impoverito di Dehu, un minuscolo vil-
laggio nell’India occidentale. Aveva nove bambini e una moglie ter-
ribilmente delusa – spesso tali yogi zelanti non hanno spose soddi-
sfatte. Malgrado tutto, egli passava le sue giornate salmodiando e
cantando al Signore, finché non ottenne lo stato di realizzarsi in Dio.
Maestro di bhava, era solito parlare con Dio, ogni giorno in modo
differente. A volte proclamava il suo amore, a volte lo rimproverava
con frustrazione rabbiosa, altre dichiarava di appartenere a Dio e
che Dio gli apparteneva.
Fu Tukaram a enunciare il segreto di bhava. Comprese che sono
i nostri sentimenti spontanei a connetterci al potere più elevato. In
breve, quando si ama Dio, si sperimenterà davvero la realtà divina
nel proprio amore; se se ne ha paura, se si prova rabbia, si farà espe-
rienza di Dio come paura e rabbia. Quando ci si sente una cosa sola
con Dio, la Sua presenza si rivela come il nostro essere più intimo; se
si desidera Dio, si scopre che Egli è nel desiderio stesso. Praticando
questi bhava, essi diventano vivi in noi.
Mentre osserviamo alcune tecniche meditative, guardiamo anche
come possiamo unirle con i diversi bhava.

Ripetere il mantra
La parola “mantra” significa “strumento per la mente”. In special
modo, i mantra sono suoni articolati che si avvicinano al “suono non

81
la meditazione per amore

Il Verbo senza parola, suonato”, la vibrazione dell’Infinito che pulsa


il Verbo nel mondo nel silenzio della pura Coscienza. Queste vi-
e per il mondo; brazioni interiori sono così leggere che non
e la luce brillò possono essere sentite da orecchie fisiche o
nelle tenebre e articolate con la lingua. Tuttavia, i mantra che
il mondo inquieto
discendono dalle diverse tradizioni spirituali –
contro il Verbo
ancora ruotava uditi dai saggi in meditazione profonda e poi
attorno al centro trasmessi ai loro discepoli – portano con sé
del Verbo silenzioso. questa vibrazione elevata e sottile, incorporata
t.s.eliot nelle sillabe. Tali mantra sono detti “risveglia-
ti”, resi vivi dal potere della Coscienza pura
e universale, giacché il Suo pieno potere è in loro. La ripetizione di
un tale mantra illuminato conduce gradatamente la mente all’inter-
no, alla sorgente del mantra stesso, che è la spaziosità della grande
mente originale, il profondo Sé. Questo è il principio fondamentale
di questa pratica. Tuttavia, l’opera del mantra è così sottile che per
comprenderla dobbiamo rivolgerci alla tradizione tantrica indiana, in
cui questa scienza è illustrata in tutta la sua complessità.
Testi di scuola tantrica – come gli Shiva Sutra – ci dicono che le
parole di un mantra sono solo il suo guscio, una sorta di involucro:
la sua vera essenza infatti è la sottile energia incorporata nelle silla-
be, piuttosto simile al codice di una chiavetta usb. Come in questo
dispositivo, l’energia deve essere attivata perché lavori per noi.
Il mantra può essere messo in azione in due modi: il primo, attra-
verso la pratica: si ripete il mantra con focalizzazione e sentimento,
fino a che gradualmente scende sempre più in profondità nel corpo
e nella mente. Il secondo metodo – che il tantra concorda essere il
più facile e potente – è ricevere un mantra potenziato da un maestro
di un lignaggio di maestri. Questo significa averlo attivato alla sor-
gente, imbevuto dello sforzo e dell’esperienza interiore dei maestri
che hanno praticato con esso per secoli.
Più la trasmissione è diretta, più potere è depositato in esso. Ma
la trasmissione non deve avvenire per forza nella forma del sussurro

82
scegliersi il giusto ingresso

nell’orecchio, come nelle vecchie storie guru-discepolo: può essere


verbale, può anche arrivare attraverso la scrittura, può essere rice-
vuto in sogno o in meditazione. Quando si riceve un mantra per
trasmissione, il “codice d’accesso” è già stato sbloccato per noi.

Praticare con un mantra


Il modo più semplice, basico per lavorare con un mantra è combi-
narlo con il respiro. Si inspira dolcemente, pensando al mantra. Si
espira delicatamente, pensando al mantra.
Se si pratica con uno lungo, come Om Na- L’unica verità,
senza forma… eterna…
mah Shivaya oppure Om Mani Padme Hum,
infinita, imperitura,
può essere difficile coordinarlo con il re-
inaccessibile alla mente
spiro. Una soluzione è adattare la velocità e alla parola, splende
della ripetizione con quella del respiro. nell’unione del
Se si comincia a ripetere il mantra men- grande mantra con
talmente in modo piuttosto rapido, pro- il suo profondo significato.
babilmente ci si accorgerà che, mentre la kularnava tantra
meditazione si approfondisce e il respiro
si fa lento, la ripetizione rallenta automaticamente. Un’altra solu-
zione è non seguire il respiro, ma ripetere il mantra dentro di sé in
continuazione.
Molte persone trovano grande forza nello scandirne le sillabe
distintamente e con precisione. Io invece ho sperimentato sempre
che esso si apre più facilmente se non cerco di articolarlo in modo
rigido. Al contrario, permetto alle sillabe di confondersi insieme
in un leggero farfugliare. Ho notato che quando lo ripeto con una
focalizzazione “rigida”, cercando di mantenere le sillabe separate,
tendo a creare un senso di differenza tra me e il mantra e ciò può
diventare una barriera che mi allontana dall’immergermi in medi-
tazione. In questa come in ogni tecnica, dunque, lo sforzo deve
essere leggero – lo sforzo senza sforzo di cui abbiamo parlato
nel terzo capitolo: ci si focalizza, sì, ma non in una bramosa con-
centrazione, non con la mente serrata sulla tecnica. Al contrario,

83
la meditazione per amore

teniamo delicatamente il mantra nella consapevolezza, come fa-


remmo con un uccellino che si è posato sul nostro braccio.

I livelli del mantra


Diventando più intimi col mantra, si comincia a sperimentarlo a li-
velli progressivamente più profondi. Un mantra ha tre aspetti basici:
a livello più semplice, naturalmente, è l’oggetto della focalizzazione:
è un pensiero cui ci si può attaccare per tenere gli altri pensieri con
le spalle al muro. A un livello più profondo è un’energia che viene e
ci collega a un flusso di grazia, a un maestro o a un lignaggio, oppure
all’energia di una divinità. Esso canalizza energia sottile nel nostro
sistema e funziona in noi come una delicata forza di trasformazio-
ne. Al livello più profondo, il mantra è puro fulgore, puro silenzio
e puro amore. Secondo gli Shiva Sutra, questo è il rahasya, il segreto
del mantra. Nel suo nucleo, un mantra è la luce della suprema Co-
scienza stessa. Il Parasurama Kalpa Sutra, uno dei testi esoterici della
tradizione dell’India del nord, dice: “mantra maheshvara”, “Il Mantra è
[una forma della] suprema Realtà”. Nella tradizione tantrica, i man-
tra sono visti come forme-suono di specifiche divinità. Il praticante
li ripete per connettersi con il sottile potere personificato in forme
divine come Durga o Tara. Secondo la tradizione, infatti, questo è
il genere più potente di energia divina, perché ci collega all’ener-
gia vibratoria essenziale nel cuore della divinità. Alcuni mantra, poi,
contengono la luce della realtà senza forma che sta al di là delle
forme: Om è uno di questi, come lo è Om Namah Shivaya. Questa è la
ragione per cui recitarli può offrire un’esperienza diretta e immedia-
ta del sacro. Secondo la cabala, il tetragramma YHWH, usato a volte
nella meditazione, è codificato nel dna e connette l’essere umano
alla sua innata essenza spirituale. Allo stesso modo il mantra del re-
spiro Hamsa o So’ham, che corrisponde ad altri simili della tradizione
ebraica e araba, si crede sia incorporato nella struttura cellulare del
sistema energetico.

84
scegliersi il giusto ingresso

Come lavora il mantra


Naturalmente, tutto questo non è così evidente, all’inizio. Quando
si inizia a praticare con un mantra, si usano le sue sillabe e poi ci
sembra di passare la maggior parte del tempo in meditazione per-
dendone le tracce. Si cerca di stare con esso ma, senza sapere come
accade, ci si trova altrove – a pensa-
Durante la preghiera,
re al bucato, a preoccuparci di no- tutte le azioni compiute
stro cognato visto ieri, a chiederci se si fondono nel mantra.
è meglio andare in città in macchina Il mantra, che è il nome,
o con l’autobus. L’attimo in cui ci si si unisce alla mente.
coglie a pensare è tuttavia un punto Quando la mente si scioglie,
potente della pratica. In quel mo- tutto si dissolve.
mento si pongono due possibilità: si Allora il mondo di ciò che è visto,
può seguire il pensiero che è nato e insieme con colui che vede,
commentare quel che succede – rim- assume la forma
della Coscienza.
proverandosi perché si sta pensando
lalladed
– oppure si può scegliere di ritornare
al mantra. Naturalmente è questa, la pratica: semplicemente tornare
al mantra senza abbandonarsi alle fantasticherie o arrabbiarsi con se
stessi. Dopo un po’ il mantra comincia ad agire come una sorta di
magnete, allineando i frammenti disseminati dell’attenzione. Negli
Yoga Sutra di Patanjali, la pratica di raccogliere i raggi della nostra
energia mentale e allinearli è chiamata dharana, che letteralmente si-
gnifica “concentrazione”.
In ogni punto di questo processo, la shakti incorporata nel mantra
può immergerci nella meditazione, a volte nel bel mezzo di un pen-
siero particolarmente opprimente! Ecco dove la giusta bhavana può
aiutare: accelerando l’energia del mantra e aggiungendo sensibilità
alla pratica.
Una persona una volta mi disse che il mantra ricevuto dal suo
maestro sembrava impenetrabile – “solo parole sanscrite senza si-
gnificato” – fino a che le fu chiesto di ripeterlo con la sensazione
di lasciar cadere dolcemente le sue sillabe nel cuore. Quella bhavana

85
la meditazione per amore

rese per lei il mantra molto più personale. Cominciò a osservare che
quando lo faceva scendere nel cuore sperimentava una lieve espan-
sione di tenerezza, come una carezza interiore. In lei cominciò a
emergere l’amore. Le sillabe del mantra sembravano sciogliersi nel
suo cuore.
Per questa donna, una bhavana devozionale aiutò il mantra ad
aprirsi. Per qualcun altro, può dare apertura sentire che le sue sillabe
pulsano di energia illuminata, oppure offrirlo all’Amato interiore.
Si può pensare al mantra come luce, oppure visualizzarne le sillabe
come lettere di luce. Per alcuni può essere necessario ripeterlo e
insieme visualizzarlo; se si è più sensibili al suono, invece, si può per-
cepire il mantra come suonato per noi, provare ad ascoltarlo come
cantato dentro. Se la nostra tendenza è cinestesica, sentiamo la sua
pulsazione, sperimentiamo la sua energia. Io sono una meditante
cinestesica, e la pratica cominciò a funzionare efficacemente solo
dopo che ebbi imparato a considerare le sillabe come energia e a
percepirne ciascuna come pulsante in me mentre la ripetevo. Allora
l’energia del mantra si aprì in una vibrante dolcezza, il sentimento di
un incontro d’amore.
Alla fine, quando diventiamo sensibili alla percezione del mantra,
impariamo a mantenerne le sillabe nella nostra consapevolezza, in
modo che possiamo davvero avvertirne la vibrazione, la pulsazione
della shakti. A questo punto, cominciamo a essere capaci di scio-
gliere l’attenzione nell’energia del mantra, e facendolo sentiamo che
affonda negli strati del nostro corpo sottile e ci coinvolge a livelli
sempre più profondi: si sposta dal livello conscio, dove dobbiamo
ripeterlo distintamente con ogni respiro, fino a un livello più in-
conscio, dove talora riusciamo a sentirlo fremere al di sotto della
nostra consapevolezza vigile. Le sillabe così sembrano pulsare con
l’amore, con la Coscienza, con un senso di espansione, anche con la
luce. In altre parole, ripetendolo cominciamo a sperimentare in esso
la Presenza, in modo palpabile. Uno degli importanti testi shivaiti,
Spanda Karika, si riferisce a questa Presenza come spanda (vibrazione)

86
scegliersi il giusto ingresso

– la pulsazione originaria della divina energia che crea l’universo, e


resta poi incorporata in ogni sua particella. In realtà, il mantra è uno
dei veicoli principali che possiamo usare per divenire consapevoli di
questa energia di base.
Una volta che si comincia a sentirla, si amerà la ripetizione del
mantra. Come i santi poeti Tukaram e Namdev, la cui pratica essen-
ziale era la ripetizione del nome di Dio,
Se vuoi la verità,
sperimenteremo gioia profonda sempli-
ti dirò la verità:
cemente rigirando le sillabe ancora e an- ascolta il suono
cora nella mente. segreto, il vero suono,
Se sperimentiamo una presenza di che è in te.
energia nelle sillabe è segno che il man- L’uno che nessuno menziona
tra si è “spaccato” per noi e che stiamo parla del suono
entrando in contatto con quello “vero”, segreto a se stesso,
quello interiore. Ramana Maharsi una ed egli è l’uno che
volta disse: “Il mantra è la nostra vera ha fatto tutto ciò.
kabir
natura. Quando realizziamo il Sé, allora
la ripetizione del mantra prosegue senza sforzo. Ciò che a un livello
è il mezzo, a un altro diviene l’obiettivo”.
Questa esperienza può accadere abbastanza presto. Quando siamo
in meditazione profonda, sentiamo spesso che il mantra si dissolve
nella luce, nella pura energia, nella beatitudine. Alcuni hanno “visto”
una divinità che ne scaturiva. Un uomo vide se stesso cavalcarne le
sillabe, che formavano un arco di luce culminante in un oceano di ra-
diosità. Mentre ripeteva So’ham, una giovane donna cominciò a sentire
il mantra che si ripeteva spontaneamente, poi la propria coscienza che
si apriva, e giunse a sperimentare se stessa come pura vastità.
Quando io ripeto il mio mantra con grande trasporto, talvolta mi
accorgo che la sua energia riempie il mio corpo, e poi mi sembra di
trasformarmi in un bianco lingam – il pilastro di pietra venerato in
India come rappresentazione dell’assoluto – di dimensioni umane.
Quando questa forma scompare, io rimango con il senso di una
presenza silenziosa e pulsante.

87
la meditazione per amore

Nella fase in cui il mantra comincia a rivelarsi a livello più profon-


do, spariscono sia le sillabe che la pulsazione, e lo sperimentiamo
come pura Coscienza, puro silenzio. Questo è il samadhi – uno stato
di coscienza in cui si è assorbiti nell’amore, nel potere e nella Co-
scienza cristallina.

Sveliamo un mantra: So’ham


Per la pratica basilare data prima, lavoreremo con uno dei grandi
mantra in sanscrito: So’ham. Tuttavia, chi ha già praticato con un
mantra si senta libero di usare quello che gli è più familiare.
So’ham è chiamato il mantra naturale, perché risuona come il sus-
surro naturale del respiro quando entra ed esce dalle narici. So’ham
significa “Quello sono io”. “Quello” si riferisce alla pura Coscienza,
al cuore della realtà. Quindi, il mantra So’ham ci ricorda che il vero Sé
è identico alla pura Coscienza, ed esprime la realizzazione degli esseri
illuminati. Coordinandolo con il respiro, si comincia a percepire che
ci ricorda la nostra profonda vera identità. Tuttavia, se le pratiche con
il respiro sono disagevoli, sentiamoci liberi
Cerca di ottenere un
momento in cui di pensare al mantra con un ritmo rilassato,
vedi solo Dio in lasciando che diventi parte del flusso di con-
paradiso e in terra. sapevolezza, permettendo a So’ham di diven-
abu yazid al’bastami tare gradualmente il pensiero dominante.

Il bhava essenziale: sentire la Presenza nelle sillabe


Ogni mantra lavorerà più velocemente se si terrà presente che la
radiosità della suprema Coscienza è presente all’interno delle sillabe.
Questo è un insegnamento fondamentale che non concerne soltan-
to questa, ma ogni altra pratica cui ci dedichiamo. È il sommo bhava,
e tuttavia all’inizio sembra abbastanza astratto e difficile da mettere
in pratica.
Il modo migliore per operare con questo insegnamento non è
cercare di consumarlo tutto intero, per così dire, ma usarlo come un
invito a indagare l’esperienza del mantra. Un insegnamento come

88
scegliersi il giusto ingresso

Esercizio: pratica col mantra base So’ham

Siedi in una comoda postura eretta e chiudi gli occhi. Focalizzati sul
flusso del respiro. Dolcemente e con un’attenzione rilassata, comin-
cia a pensare al mantra So’ham. Coordina le sillabe col respiro: so con
l’espirazione, ham con l’inspirazione. Oppure, pensa semplicemente
al mantra con un ritmo dolce e rilassato.
Ascolta le sillabe mentre le ripeti. Fa’ che la tua attenzione si focalizzi
sempre più pienamente su di esse.
Senti che ogni sillaba scende lieve nella coscienza. Entra in sintonia
con la sensazione energetica creata all’interno dal mantra. Se sorge
un pensiero, quando noti che stai pensando, ritorna al mantra. Se
l’attenzione vaga, riportala gentilmente al mantra. A poco a poco, la-
scia che nella tua mente il mantra divenga il pensiero predominante.

questo: “Senti la presenza di Dio, della Coscienza universale, nel-


le sillabe del mantra”, rende subito evidente quanto sia lontana la
nostra esperienza. Ci sfida a comprendere come possa la pura Con-
sapevolezza essere presente in una parola. La risposta che ci verrà
alla mente dovrà essere vera, non solo una soluzione intellettuale.
Perché ciò accada, bisogna chiedersi: “Cosa sto davvero sperimen-
tando? Come devo pormi affinché il mantra riveli la sua essenza
intrinseca? Come posso entrare più profondamente nel mantra?”.
Mantenere questo tipo di sensibilità conscia, contemplativa nel
ripetere il mantra, rende la pratica molto viva: la preserva dal diven-
tare meccanica e conduce all’intuizione. Di recente, un uomo mi
ha raccontato quanto lo avesse scombussolato sentire per la prima
volta “Percepita la presenza divina nelle sillabe del mantra”, tanto
che alla fine cominciò a chiedere aiuto al mantra stesso. “Che cosa
significa che sei divino?” chiese più e più volte. Un giorno, il mantra
gli rispose. Cominciò vibrando di onde estatiche attraverso tutto il
petto. La sensazione di estasi si espanse e insieme cominciarono a
espandersi anche la consapevolezza dell’uomo e il suo senso dell’es-

89
la meditazione per amore

sere, fino a che sentì che il suo corpo conteneva una vasta spaziosità.
Il saggio kashmiro Somananda ci ha lasciato un insegnamento
chiave: durante la pratica dovremmo sentire che noi, il mantra e
l’obiettivo del mantra non siamo diversi. In altre parole, è tutta una
questione di identificazione. Dovremmo coltivare l’idea che il man-
tra descrive chi siamo, proprio nel modo in cui noi normalmente crediamo di
essere il nostro corpo e la nostra storia personale. Se qualcuno ci chiama,
rispondiamo. Proprio nello stesso modo, se ci identifichiamo col
mantra, con la sua luce e la sua energia trasformativa, esso ci porta
immediatamente in uno stato meditativo. Ancora una volta questo
insegnamento è un invito alla contemplazione, un modo per entrare
in relazione più vibrante con il mantra.
Pensando a come identificarci con esso, potremmo scoprire mol-
te cose riguardo a noi stessi e a ciò che esso è davvero. Come si pra-
tica identificandosi con una parola? Negli anni, l’ho chiesto a molte
persone e ho ottenuto risposte fantasiose: un modo è immaginare
il mantra come una nuvola intorno a noi; un altro è immaginarlo
come acqua oppure luce e vedercisi immersi. Un’ulteriore possibilità
è pensare a se stessi come un’energia che si avvicina sempre più al
mantra fino a che non ci si percepisce al suo interno. Tutte queste
pratiche aiutano ad aprirsi all’esperienza della ripetizione del mantra.

Lo spazio tra i respiri


Nel suo libro Pratyabhijna Hridayam (Il cuore del riconoscimento), il saggio
kashmiro Kshemaraja ci offre in poche parole uno dei grandi misteri
mistici, insegnando che il modo per sperimentare la pienezza della
suprema realtà è di espandere madhya, cioè il centro. Madhya è il ter-
mine tecnico per il punto di quiete tra le due fasi di un movimento:
quando un pendolo dondola, alla fine di ogni oscillazione, per la
frazione di un attimo il movimento si ferma. Questa è la pausa,
madhya: il punto centrale di quiete fuori dal quale emerge il movi-
mento del pendolo. Ogni movimento – l’oscillazione di un’ascia,
l’alternarsi del respiro, il fluire del pensiero – sorge da quel punto di

90
scegliersi il giusto ingresso

Esercizio: percepisci il mantra come luce

Siedi quieto e comincia a respirare con il mantra So’ham. Focalizzati


con dolcezza e non cercare di controllare il respiro in alcun modo.
Inspira col pensiero sottile ham ed espira col pensiero so. (Oppure
pensa semplicemente So’ham, So’ham con un ritmo disteso.)
Tieni conto che mentre ti focalizzi sul mantra, le sue sillabe ti stan-
no ricordando che sei Consapevolezza, che nella tua essenza sei la
luce della stessa Coscienza. Comprendi questa cosa fino in fondo. Il
mantra chiama il tuo nome che è il nome del tuo vero Sé. Resta un
momento a percepire e contemplare ciò che significa.
Esci da questa contemplazione e focalizzati semplicemente sull’ener-
gia delle sillabe, mentre scendono nel tuo spazio interiore.
Sentila che vibra nei suoni e immagina che le sillabe pulsino luce.
Lascia che la luce appaia come vuole: può essere dorata o bianca
oppure una semplice energia luminosa. Anche se non sei visivo, puoi
percepire la luce nelle sillabe del mantra come energia.
Senti che questa luce, questa energia, porta infinite benedizioni e si
versa nel tuo corpo attraverso ogni respiro.
Appena Ham entra in te con l’inspirazione, si riversa nel tuo corpo
come luce e benedizioni. Quando so fluisce con l’espirazione, si espan-
de nel corpo come luce e benedizioni. Lascia che l’energia di luce delle
sillabe si espanda con ogni respiro. Sentiti immerso in lei e percepisci
la luce si riversa nel corpo fino a riempirti e circondarti, come un fiume
di liquida luminosità oppure come una nuvola di pulsante energia. Ri-
lassati in queste sensazioni, riposa nel mantra che riempie il tuo essere.
Se sorgono pensieri – anche grandi intuizioni! – lasciali andare e riporta
l’attenzione al mantra e al senso di espansione della sua energia e luce.

quiete che è una porta aperta nel cuore dell’universo, un luogo da


cui possiamo oltrepassare il nostro limite per entrare nella grande
Coscienza. Come scrisse la mistica medievale inglese, Giuliana di
Norwich: “Dio è nel punto di mezzo di ogni cosa”.
Una delle mie descrizioni preferite di questa realtà si trova nel
poema Burnt Norton, all’interno dei Quattro quartetti di T. S. Eliot:

91
la meditazione per amore

Al punto fermo del mondo che ruota.


Non corporeo né incorporeo;
né muove da, né verso; al punto fermo, là è la danza,
ma né arresto né movimento. E non la chiamate fissità,
quella dove sono riuniti il passato e il futuro.
Né moto da, né verso,
né ascesa né declino. Tranne che per il punto, il punto fermo,
non ci sarebbe danza, e c’è solo la danza.
Posso soltanto dire, là siamo stati: ma non so dire dove.
E non so dire per quanto tempo, perché questo è
collocarlo nel tempo.

Il Tripura Rahasya, un meraviglioso testo del Vedanta, chiama “fug-


gevole samadhi” questo significativo punto di quiete, che sussiste in
momenti differenti: nella pausa tra il sonno e la veglia, quando ci si
sveglia prima di essere pienamente coscienti; prima di uno starnuto
o nel pieno di uno sbadiglio; o ancora nello spazio tra i pensieri.
Se focalizziamo la nostra attenzione in una di queste fratture, essa
si può aprire per noi e ci ritroviamo nel madhya, “il punto di quiete
nel mondo che gira”, il luogo senza luogo dove lasciamo le attività
dell’universo manifesto ed entriamo nel vuoto al cuore della mani-
festazione.
Questo è, in effetti, il reame interiore che Ramana Maharshi,
Abhinavagupta e altri saggi hanno chiamato il Cuore – intendendo
non quello fisico né il chakra del cuore, ma il mistico Grande Cuo-
re che contiene Tutto ciò che è: il luogo della quiete suprema, dove il
microcosmo della coscienza umana si espande nella macrocosmica
vastità del supremo. La Coscienza che soggiace a tutte le forme. La
mente divina. Il Sé.
Uno dei punti più accessibili per entrare nel madhya è lo spazio tra
l’inspirazione e l’espirazione, e tra l’espirazione e l’inspirazione.
Nel prossimo esercizio avremo l’opportunità di accedervi focaliz-
zandoci sul suono del respiro. Il segreto è la consapevolezza e una
attenzione sottile e rilassata. Lo spazio tra i respiri è così piccolo ed

92
scegliersi il giusto ingresso

Esercizio: lo spazio tra i respiri

Siedi in una posizione eretta ma rilassata, focalizza la tua attenzione sul


movimento del respiro. L’inspirazione arriva fino alla regione del cuore,
nel centro del petto, l’espirazione parte da lì.
Respirando, lascia che il respiro faccia un leggero suono mentre passa
per le narici. Forse, mentre inspiri, noti il suono leggero di ham e qual-
cosa come so o sah mentre espiri. Come abbiamo visto prima, in san-
scrito ham significa “io”, mentre so/sah significa “quello”. Il suono del
respiro è un mantra naturale, come se ogni inspirazione ed espirazione
ci ricordassero la nostra identità con l’Infinito. Tuttavia, non è neces-
sario sentire il suono come un mantra: è sufficiente ascoltarlo com’è.
Ascolta con attenzione il suono del respiro che va e viene dalla regione
del cuore: c’è una pausa infinitesimale, un sottile “spazio” di quiete.
Focalizzati su quella pausa. Non cercare di allungarla, notala soltanto.
Poi, quando inizia l’espirazione, segui il suono del respiro fino a
quando finisce all’esterno.
Nota nuovamente la pausa. Presta attenzione ma non cercare di al-
lungarla.
Continua a seguire il respiro in questo modo, focalizzandoti dolce-
mente sullo spazio interno e su quello esterno. Permetti alla pratica
di assorbire la tua attenzione.

esile che all’inizio si percepisce a malapena. Dunque, per entrarci


dobbiamo prestare grande attenzione.
Non bisogna preoccuparsi di sentire o meno che qualcosa accade,
né sentirsi frustrati se lo spazio non si amplia immediatamente. La
porta al madhya si apre con la grazia, per la sua volontà. Se stiamo
semplicemente con esso, l’espansione accadrà.
Per me si aprì con un colpo in testa! Qualche settimana dopo
aver preso dal mio maestro i primi insegnamenti su questa pratica,
sedevo nella sala di meditazione nel suo ashram, cercando di sentire
lo spazio tra i respiri. Cercavo quanto potevo ma lo spazio non si
allungava: era così piccolo che sembrava non esistere.

93
la meditazione per amore

Improvvisamente si spalancò la porta e il mio guru entrò. Cam-


minò verso di me e mi batté bruscamente sulla testa. Subito dopo,
tra l’espirazione e l’inspirazione, si aprì un grande abisso: il respiro
si fermò e io mi trovai in un immenso spazio, una sorta di oceano
di Consapevolezza.
Effettivamente questo è un esempio piuttosto plateale di come
un guru possa aiutare uno studente ad aprire lo spazio interiore.
Non è necessario essere colpiti in cima alla testa da un guru o da un
maestro Zen perché accada. È sufficiente sedere, mettere in pratica
la tecnica e attendere. Col tempo si diventa sensibili alla percezione
di quello spazio. Poi un giorno, forse in un momento in cui i pensieri
si saranno diradati e avranno rallentato abbastanza da permetterci
di percepire in modo più sottile, noteremo che lo spazio si allunga.
Allora saremo capaci di scorgere la fessura tra i respiri e di entrarvi,
anche continuando a respirare.
Un modo per sapere che si sta scendendo in profondità nella pra-
tica è quando si comincia ad avvertire il respiro muoversi “orizzon-
talmente”: invece di sentire l’intero arco della respirazione entrare e
uscire dalle narici, è come se si respirasse dentro e fuori dal petto.
A volte, invece che lineare, la respirazione diventa un movimento
circolare apparentemente indipendente dal corpo. A quel punto, è
possibile sperimentare come lo spazio nel corpo sia connesso con
quello esterno e si può comprendere che il campo della Coscienza li

Esercizio: trovare Dio alla fine dell’espirazione

Quando arrivi alla fine dell’espirazione, lascia che il respiro si fermi


per trenta secondi – oppure fino a quando ti è confortevole. Ripo-
sa in quello spazio senza respiro. Poi, chiama quello spazio “Dio”,
“Sé”, “pura Coscienza”. Stare in quel momento di vuoto alla fine
dell’espirazione è un modo per entrare nello spazio del Sé. Osserva
che in quel momento sei pienamente nel presente: non c’è passato né
futuro – solo l’esperienza di adesso.

94
scegliersi il giusto ingresso

collega: la separazione che facciamo normalmente tra dentro e fuori


non è che un’illusione.
In generale, è meglio lasciare che il respiro entri ed esca natural-
mente, non trattenerlo né cercare di allungarlo. Tuttavia, ho scoper-
to che a volte – all’inizio della pratica quotidiana – l’esercizio alla
pagina precedente può imprimere una spinta al processo, dare un
senso allo spazio tra i respiri, e creare lo stato che vorremmo sor-
gesse in modo spontaneo: in questo caso, il momento in cui madhya
comincia a rivelarsi in meditazione.

Meditazione sulla consapevolezza


La meditazione sulla pura consapevolezza è considerata di solito
una pratica avanzata, soprattutto perché è così elusiva e inconsisten-
te che un principiante può avere difficoltà a trovarvi un appiglio. Ma
dopo che la mente si è liberata di qualche agitazione superficiale e ha
acquisito un po’ di sottigliezza, essa si insinua da sé, naturalmente: di
fatto accade spesso in modo spontaneo.
Ogni tecnica di meditazione sparirà, anche se si tenta di mante-
nerla. In India c’è il detto che una tecnica è come l’automobile con
cui si va al tempio: quando si arriva, la si lascia fuori. In realtà, la
“macchina” della nostra tecnica di solito ci lascia molto prima che
arriviamo al tempio: a un certo punto, le sillabe del mantra si dissol-
vono in pulsazioni di energia, la forma visiva si fonde con lo spazio
che la circonda e il respiro rallenta o si ferma. Allora, si rimane con
la propria nuda consapevolezza, le proprie sensazioni interiori, la
vibrazione di base della propria energia.
Arrivati a questo punto, alcuni si preoccupano: pensano di aver
perso la tecnica e che qualcosa sia andato storto. Invece è successo
che la tecnica ha dato i suoi frutti. Una volta che la mente si è centra-
ta ed è divenuta relativamente quieta, la nostra Consapevolezza più
profonda emerge naturalmente e si presenta come oggetto primario
della meditazione. Per usare una metafora di Emily Dickinson:

95
la meditazione per amore

I Sostegni assistono la Casa


finché la Casa è costruita
e allora i Sostegni si ritirano
e adeguata, eretta,
la Casa si sostiene da sé.

La Coscienza, naturalmente, non è una casa né alcun tipo di oggetto:


è il soggetto eterno, è ciò che Meister Eckhart chiamava “Il terre-
no dell’essere”. Poiché questa tecnica è tanto diretta, può creare un

Esercizio: trova la pulsazione nella tua coscienza

Siedi in una posizione comoda, eretta. Con gli occhi chiusi osserva la
tua coscienza interiore. Non stai cercando niente, stai solo osservando
il tuo mondo con l’occhio interno, diventando consapevole di quello
che vede in realtà quando chiudi gli occhi. Forse distingui una luce az-
zurra o una campitura di grigio, forse una scura foschia piena di minu-
scoli punti di luce, come una pittura divisionista. Stai guardando quella
che in sanscrito è chiamata chitta, la materia della mente, la coscienza
interiore. Questo è il campo energetico da cui sorgono e nel quale si
inabissano i pensieri, i sentimenti, le percezioni e le sensazioni.
Ora nota la sua qualità dinamica. Osserva come al suo interno ci sia
il luccichio costante di un movimento sottile, una sorta di vibrazione
o di pulsazione. La tua coscienza interiore è fatta di energia. Vibra, ed
è proprio quella vibrazione che dà origine ai pensieri, alle sensazioni,
alle immagini.
Prova a diventare consapevole della pulsazione della tua coscienza. Nella
sua forma fisica, questa si manifesta come il battito del cuore, ma se
presti maggiore attenzione puoi avvertirne una più sottile che sta sotto.
Se non la percepisci immediatamente, focalizzati sul battito cardiaco.
Ascoltalo finché non cominci a coglierne il livello più sottile, oppure
ad avvertire come la pulsazione riverbera nel tuo corpo. Se senti una
vibrazione d’energia altrove, nel corpo, focalizzati su di essa fino a
che gradualmente diverrai consapevole di quella più sottile che sta
più in profondità.

96
scegliersi il giusto ingresso

grande cambiamento nella nostra comprensione, anche se riusciamo


a mantenerla soltanto per un momento o due.
Spesso comincio la mia pratica quotidiana con una “forma”, come
descritto in precedenza in questo capitolo. Talvolta mi focalizzo sul
mantra, altre seguo il respiro o cerco lo spazio alla fine dell’espira-
zione. A un certo punto – di solito dopo trenta, quaranta minuti – il
flusso dei pensieri rallenta fino a diventare uno sgocciolio, l’oggetto
della focalizzazione si fonde nella Coscienza da cui è sorto e la mia
attenzione si indirizza sull’energia sottile e pulsante che è alla base dei
miei pensieri. A quel punto, la mia meditazione si incentra diretta-
mente sul campo di energia della mia coscienza. Per me, il cuore della
mia pratica meditativa è questo: essere semplicemente presente con la
pulsazione dell’energia che vibra costantemente nella Coscienza.
Osserviamo quella pulsazione: è una delle chiavi più importanti
per entrare in meditazione profonda.

In sanscrito, il livello più sottile di questa pulsazione è chiamato span-


da, che significa “vibrazione”. Secondo lo Spanda Karika (Versi sulla
vibrazione) – uno dei testi chiave dello Shivaismo del Kashmir, spanda
è l’impulso originale di energia che crea la vita e sostiene tutti i mon-
di. Quando sentiamo quella pulsazione in noi, stiamo percependo la
nostra personale scintilla di quell’immensa, primordiale forza vitale. È
l’energia dietro il respiro, il battito del cuore e il movimento dei pen-
sieri e dei sentimenti, ed è anche la fonte di tutte le nostre esperienze
in meditazione. Quando si medita profondamente, si comprende che
è questa vibrazione, questa sottile pulsazione che ci sta meditando.
I testi tantrici parlano di questo come della pura espressione di
kundalini, il potere evolutivo che è in noi.
Un testo shivaita medievale, Tantra Sadbha- Pensare alla
va, dice che lo stesso potere che accende un grandezza del cielo,
mantra è in realtà intrinseco nella mente di meditare sulla
un meditante esperto. Osserviamo il suo Vastità senza
centro e senza confini.
pulsare quanto entriamo in meditazione:
milarepa

97
la meditazione per amore

quell’energia pulsante gradualmente condurrà la mente in medita-


zione. Se ci focalizziamo su essa e la seguiamo, ci accompagnerà alla
sua sorgente, al supremo silenzio del Sé.
Una volta che l’abbiamo percepita, stiamo in sua presenza, lascia-
mo che diventi il nostro punto di focalizzazione, come se fosse un
mantra. Se perdiamo il contatto, ritorniamoci. Stare con la vibrazio-
ne ci trasporterà più in profondità, nel campo del nostro essere.
Naturalmente, ci sono numerosi altri modi per entrare in contatto
diretto con la Coscienza. Alcune di queste pratiche – diventarne
consapevoli oppure essere un osservatore, un conoscitore dei pen-
sieri – si trovano nel secondo capitolo. Quella che segue è un adatta-
mento dal Vijnana Bhairava: una pratica che gli yogi usano da diverse
migliaia di anni.

Concludere la pratica
Proprio come quelle preliminari aiutano a volgersi verso l’interno,
una pratica formale per finire la sessione di meditazione aiuta il pas-
saggio dallo spazio interiore a quello esterno. La cerimonia conclu-
siva crea un contenitore per l’energia generata in meditazione e aiuta
a trasmettere i suoi benefici agli altri.
Innanzitutto, uniamo le mani e ringraziamo silenziosamente il
corpo e la mente di averci sostenuti nella pratica. (Senza la grazia
del corpo e della mente la meditazione non sarebbe mai decollata,
perciò è importante abituarsi a dire “Grazie”, anche se il corpo si è
agitato e la mente è corsa tutt’intorno!)
Secondo passo: ringraziamo per la grazia e l’energia che hanno
sostenuto la pratica e le hanno permesso di mantenersi.
Infine, si può terminare offrendo la propria pratica. Chinando la
testa, si può chiedere silenziosamente: “Possa questo atto di medita-
zione portare benefici a tutti gli esseri”; oppure: “Possa la mia medi-
tazione contribuire alla pace e all’armonia del mondo”. O ancora, si
possono semplicemente offrire benedizioni: “Possano tutti gli esseri
essere felici e liberi ovunque”.

98
scegliersi il giusto ingresso

Esercizio: tu sei un oceano di spazio

Siedi in una posizione comoda e dritta, chiudi gli occhi e dolcemente


fondi la tua attenzione col flusso del respiro che entra ed esce dalle
narici. Riporta la tua attenzione al respiro ogni volta che si mette a
vagare. Fallo finché senti che il respiro fluisce dolcemente e i pensieri
si acquietano.
Immagina il tuo corpo come completamente vuoto, come se la tua
pelle fosse una membrana sottile – la pelle di un pallone – e dentro ci
fosse solo spazio. Non solo il tuo corpo ne è pieno: lo spazio ti cir-
conda da ogni lato. Quando inspiri, senti che stai respirando spazio
dai pori della pelle. Espira con la stessa sensazione. La tua pelle è una
membrana delicata attraverso cui respiri. Sei in un oceano di spazio.
Con ogni respiro, dolcemente, abbandonati in quell’oceano.

Si può anche offrire i benefici della propria pratica per il benesse-


re di una persona particolare, per portare pace e armonia oppure per
risanare una situazione che ne ha bisogno.
Troverete molte pratiche per chiudere la meditazione nel capitolo 10.

Seguire l’istinto
Ognuna delle tecniche suggerite in questo capitolo ci aprirà al Sé.
Tutte sono potenziate, infuse dell’energia di molti lignaggi di me-
ditanti illuminati. Io suggerisco di passare del tempo sperimentan-
dole, osservando quale promuove maggiormente la nostra medita-
zione. Se una pratica non sembra funzionare, proviamone un’altra.
Naturalmente non vogliamo farci drogare dalla tecnica, schizzando
da una all’altra senza mai entrare profondamente in alcuna. Co-
munque, se abbiamo capito con chiarezza che le procedure non
sono fini a se stesse ma rappresentano una porta verso la Consa-
pevolezza più grande, possiamo cominciare a sentire quale si aprirà
per noi più facilmente in un determinato momento. Alcune appor-
tano energia oppure fanno uscire dalla stagnazione; altre suscitano

99
la meditazione per amore

La mente, rivolta l’amore; altre ancora aiuteranno una


all’esterno, dà come risultato mente agitata ad acquietarsi.
pensieri e oggetti. Giocare con le differenti pratiche aiu-
Rivolta all’interno, ta a conoscersi e a sapere cosa funziona
diventa essa stessa il Sé. meglio per noi. Ogni strada è unica e, in
ramana maharshi
fondo, nessuno può dirci di cosa abbia-
mo bisogno. Ecco perché non ci sono regole sul “miglior” modo di
meditare, eccetto il fatto che una pratica dovrebbe dare sollievo alla
smania della mente e renderci facile entrare nel silenzio interiore. Ma
questo lo si scopre solo praticandola, appunto.
C’è un ulteriore principio da tenere a mente nell’uso di una tec-
nica: quasi sempre la difficoltà a entrare in meditazione profonda
dipende da una sorta di separazione che si pone tra se stessi e la
tecnica, tra sé e l’obiettivo. L’antidoto per quasi tutti i problemi che
sorgono in meditazione è abbandonare la sensazione che noi, la tec-
nica e la meta siamo separati. La bhavana dell’unità è così potente che
il solo pensiero, anche non se non ne siamo convinti, cambierà la
qualità della nostra meditazione.

100
Muoversi verso l’interno:
capitolo quinto

la pratica dell’Unità

Anni fa, quand’ero ancora agli inizi della meditazione, mi ritrovai a


nuotare in un oceano di luce. La luce era tutta intorno a me, abba-
gliante nella mia visione interiore, apparentemente senza limiti né
margini. Esperienze come questa capitano di tanto in tanto nel no-
stro percorso, come doni o segnali che ci mostrano che cosa è possi-
bile. Sebbene di solito non durino, rivelano la verità sulla natura della
realtà, che possiamo continuare a contemplare per anni.
In quella meditazione particolare, mentre mi sentivo circondata
di luce, udii una voce dirmi con grande convinzione e autorità: “Di-
venta luce!”. Sentii che se fossi riuscita a farlo, il mio viaggio sarebbe
finito, o quantomeno ci sarebbe stata una svolta. Ma non potei. Non
avevo paura, ero semplicemente ingabbiata, chiusa nel sentimento
di essere “me”. Il mio senso di personale identità limitata era troppo
ostinato per lasciarlo svanire.
Quando uscii di meditazione, mi sentivo enormemente delusa, ma
dentro di me emersero due parole: “Pratica l’unità”. La mia essenza
interiore mi stava dicendo che se non ero in grado di realizzare la
Verità, almeno avrei potuto praticarla, contemplarla e ricordarla. Da
allora mi sono convinta che – se anche dovessimo dimenticare gli
altri insegnamenti – non sbaglieremmo ricordando anche soltanto
che tutto ciò che sperimentiamo è parte di un grande campo di luce,
di energia, di Coscienza.
L’Uno è la Verità. Tutti i maestri delle grandi tradizioni non-dua-
listiche dicono, a modo loro, la stessa cosa: Jalaluddin Rumi, i testi

101
la meditazione per amore

classici dell’Advaita Vedanta come Avadhuta Gita, i maestri tibetani


di Dzogchen e il mistico tedesco Meister Eckhart, tutti ci hanno
insegnato che nell’universo c’è solo una realtà, una Coscienza, e che
non siamo mai separati da essa. Ci avvertono inoltre che tutti i no-
stri problemi – la paura, la brama, il senso di abbandono, l’egoismo,
l’aggressività, la solitudine, la trascuratezza nei confronti della terra e
degli altri – sorgono dal senso di separazione. Perciò, anche un solo
istante speso a ricordare che tutto è uno, va alla radice del nostro
dilemma umano. Ancor meglio è seguire il consiglio del saggio kash-
miro Somananda, autore di Shiva Drishti (Il punto di vista di Dio), un
importante testo tantrico. Ecco cosa scriveva: “Io sono Dio, e tutti
gli strumenti della mia sadhana [pratica spirituale] sono Dio. Essendo
Dio, raggiungerò Dio”.
Naturalmente, saperlo con l’intelletto non è sufficiente. Una fa-
mosa parabola vedantica parla del saggio re Janaka che era solito
ripetere a se stesso più e più volte: “So’ham-Io sono quello” (inten-
dendo “Io sono l’Assoluto”). Un giorno, mentre stava in riva a un
fiume ripetendo “So’ham, So’ham”, udì un uomo sulla riva opposta
che andava ripetendo: “Ho la mia ciotola per l’acqua, ho il mio ba-
stoncino”.
All’inizio Janaka si infastidì, poi si incuriosì. “Perché continui a
gridare che hai la tua ciotola per l’acqua e il tuo bastoncino?” gli
chiese, “Chi ti ha detto che non ce li hai?”
L’uomo (che in queste storie è spesso un illuminato in incogni-
to) gli rispose: “Questo è proprio ciò che volevo chiedere a te! Tu
già sei l’Assoluto, perché devi conti-
La cognizione di nuare a gridarlo?”.
essere uno con il puro
L’aspetto importante che quell’uo-
Sé… libera una persona
mo stava sottolineando è che non è
anche contro la sua volontà,
quando diviene così stabile sufficiente praticare l’unità: abbiamo
come la personale credenza che bisogno di realizzarla, di ottenerla, di
egli è un essere umano. lasciarci essere Quello.
shankaracharya Praticare l’unità aumenta le nostre

102
muoversi verso l’interno: la pratica dell’unità

chance di sperimentarla. Questa è la legge fondamentale della tra-


sformazione interiore: la pratica crea un ambiente interno entro il
quale la grazia può rivelare la realtà che si sta cercando di scoprire. Se
nutriamo il bhava dell’unità nella mente, nell’intelletto e nell’imma-
ginazione, la nostra consapevolezza alla fine risponderà generando
spontaneamente intuizioni e realizzazioni di unità. Questa è l’unica
ragione per cui è così importante per i meditanti leggere e studiare
gli insegnamenti degli esseri realizzati che parlano da quello stato
di unità. Il nostro senso della dualità è così tenace, così radicato in
profondità che mantenere un senso di unità non è facile. La mente
potrebbe assimilarne il concetto per un attimo, solo per affrettarsi a
uscirne quando un’emozione o una paura davvero avvincenti sedu-
cessero la sua attenzione.

I filosofi Shivati del Kashmir


A questo punto, mi piacerebbe spendere qualche parola sullo Shi-
vaismo del Kashmir, il sistema filosofico che è il fondamento della
maggior parte degli insegnamenti di
Prendi una brocca piena
questo libro. d’acqua e immergila
Lo Shivaismo del Kashmir ha una nell’acqua –
storia piuttosto straordinaria. Tra il ora si ha acqua dentro
VII e il XIII secolo della nostra era, e acqua fuori.
nel nord dell’India, fiorì una discen- Non dobbiamo dare
denza di yogi-filosofi. Appartene- a ciò un nome,
vano a una comunità monastica di per paura che gli sciocchi comincino
bramini chiamata pandita, che aveva a parlare di nuovo di
il suo centro nella città di Srinagar. corpo e anima.
kabir
Nessuno li conosceva fuori della
Valle del Kashmir – come è successo con altri ordini di tantrismo
buddista e indù del nord dell’India – sebbene la loro tradizione fos-
se collegata alle scuole degli insegnamenti non-dualistici del sud e
dell’ovest dell’India.
I maestri dello Shivaismo del Kashmir non erano solo filosofi

103
la meditazione per amore

teoretici: molti di loro erano siddha, yogi illuminati che usavano quel
sistema come modo per esprimere con parole le loro esperienze
interiori. Il loro cammino era un succoso amalgama di dottrine
metafisiche, mappe della consapevolezza umana, pratiche yoga e
devozione. Adoravano la suprema Realtà come una grande, divi-
na Coscienza, con due aspetti inseparabili, che chiamarono Shiva e
Shakti: essendo la suprema Consapevolezza e il suo Potere creativo
intrinseco. Poiché avevano compreso che, in questo mondo, Shakti
diviene tutte le forme, sottili e fisiche, amarono la Realtà Assoluta
sia come divinità personale, sia come Consapevolezza senza forma
onnipervasiva e la riconobbero come il proprio Sé interiore. Shiva –
la suprema divina intelligenza – fu anche considerato il maestro da
cui ebbe origine la tradizione e la sorgente somma dei suoi testi fon-
damentali: gli Shiva Sutra, il Malini Vijaya Tantra e il Vijnana Bhairava,
ispirati dalle profonde esperienze meditative dei saggi risvegliati.
La qualità essenziale del sistema shivaita è il suo radicale non-
dualismo: rifiutando la visione vedantica del mondo materiale
come illusorio – un sogno vuoto – i saggi dello Shivaismo del
Kashmir videro tutte le forme dell’universo come manifestazioni
dell’energia creativa divina, Shakti, il principio femminile dinami-
co. Venerarono Shakti in se stessi, nella terra, in ogni cosa tangibile
e intangibile e cercarono il cuore pulsante della beatitudine divina
in ogni sfera dell’esperienza. Acuti cer-
Puoi distogliere la tua mente catori della tradizione, percorsero vie
dai suoi desideri e condurla innumerevoli per scoprire l’esperien-
all’unità originaria? za del divino. Seppero come estrarla
Sai pulire la tua visione da condizioni come terrore o piacere,
interiore fino a che oppure dal culmine di uno starnuto;
non vedi altro che luce?
seppero come trovare la pulsazione
Puoi fare un passo indietro
dalla tua mente
dell’estasi in spazi vuoti, nell’attenzione
e perciò comprendere ferma e nelle sensazioni che vengono
tutte le cose? dall’ondeggiare e dal piroettare, dal go-
lao tzu dersi la musica o gustare del cibo.

104
muoversi verso l’interno: la pratica dell’unità

Ma l’intuizione cruciale dello Shivaismo è il riconoscere che quan-


do la consapevolezza umana abbandona la sua identificazione con il
corpo e si riflette in sé, si rivela come una forma limitata ma perfetta
dell’“Io”, che è Dio. Espandendo oltre i suoi limiti la propria con-
sapevolezza, gli yogi del sentiero shivaita sperimentarono Dio come
se stessi.
Vedendo il mondo come divino, gli yogi shivaiti del Kashmir non
ebbero alcuna difficoltà a godere la vita in tutta la sua varietà. In que-
sto differirono molto dai cugini vedantici e dai buddisti della scuola
Madhyamika (Via di Mezzo) che abitavano la stessa regione dell’In-
dia. Lo Shivaismo non fu un sentiero di rinuncianti. Abhinavagupta,
il genio preminente di questa tradizione, non fu solo un filosofo e
un guru ampiamente venerato, ma anche un esteta, un artista e un
musicista, centro di una cerchia in cui le esperienze sensoriali – in-
cluse arte, musica e teatro – erano costantemente tramutate in yoga.
Questa intuizione distingue lo Shivaismo del Kashmir dalle molte
altre tradizioni yogiche dell’India, e fa sì che questo sistema entri in
particolare risonanza con i nostri tempi: un serio praticante di yoga
non rigetta il suo mondo, ma al contrario trasforma l’esistenza quo-
tidiana attraverso la pratica.
Lo Shivaismo del Kashmir era del tutto scomparso come tradi-
zione vivente, quando una serie di eventi sincronici lo salvò dall’o-
scurità.
Nei primi anni del ventesimo secolo, il Maharaja del Kashmir in-
coraggiò certi importanti studiosi locali a raccogliere alcuni dei testi
della tradizione. Questi, stampati in sanscrito, in un’edizione limitata
col nome di Serie di testi e studi del Kashmir, furo-
no inviati senza clamore alle biblioteche uni- Tu che vuoi
la conoscenza, guarda
versitarie di India, Europa e Stati Uniti, dove i
l’Unità all’interno.
libri si ammassarono, impolverati e inosserva- Là troverai
ti, fino agli anni cinquanta, quando capitò che il chiaro specchio
un gruppetto di accademici di varie parti del che già attende.
mondo – uno studioso bengalese di sanscrito hadewijch

105
la meditazione per amore

a Benares, un francese alla Sorbonne e un professore italiano – ne


notasse alcuni e cominciasse a passarli in rassegna. Apparvero quin-
di traduzioni in francese e italiano. Alcuni studenti laureati viaggia-
rono fino a Srinagar e sedettero ai piedi dello Swami Laksman Joo,
uno degli ultimi maestri viventi della tradizione.
Nei primi anni settanta, uno studioso indiano, Jaideva Singh, co-
minciò a far uscire versioni inglesi commentate di testi chiave dello
Shivaismo del Kashmir. Tra questi c’era il Pratyabhijna Hridayam (Il
cuore del riconoscimento), un distillato conciso degli insegnamenti es-
senziali riguardo l’identità tra individuo e divino, scritto nel deci-
mo secolo da Kshmaraja, uno dei discepoli di Abhinavagupta. Il
Pratyabhijna Hridayam condensa il cuore della filosofia in una forma
particolarmente facile da comprendere per i praticanti comuni. I
venti sutra e i commenti di questo piccolo libro descrivono gli stadi
attraverso cui l’energia divina (chiamata chiti, o Coscienza creativa),
diviene il mondo, creando l’illusione della separazione all’interno
della sua essenziale unità, discendendo nello stato di limitata anima
umana e infine riconoscendosi nuovamente (da qui il titolo del libro,
che significa “Il cuore del riconoscimento”). Il suo punto culmi-
nante è che l’intero processo spirituale – il processo di riconoscere
la propria intrinseca divinità – è portato avanti dalla stessa energia
creativa che ci causa la dimenticanza di chi siamo. In breve, è un
insegnamento di assoluta non-dualità.
Uno dei maestri che riconobbero la radicale importanza di questo
testo fu Swami Muktananda, che vi vide descritta la propria espe-
rienza di stato dopo l’illuminazione. Quando cominciò a insegnare
in occidente, egli portò con sé il Pratyabhijna Hridayam e lo fece co-
noscere ai suoi studenti, alcuni dei quali lo aiutarono a diffondere
questi testi nel mondo della spiritualità occidentale. Egli fu anche
determinante per la sua pubblicazione presso la casa editrice indiana
Motilal Banarsidass.

106
muoversi verso l’interno: la pratica dell’unità

Scoprire gli insegnamenti


Per me, come per i molti che scoprirono lo Shivaismo in quegli anni, que-
sto insegnamento provocò un rinnovamento della consapevolezza, radicale
quasi come l’esperienza del risveglio della kundalini. Da subito, la sola lettura
di alcuni degli aforismi del Pratyabhijna Hridayam trasformò istantanea-
mente il mio stato mentale. Se in un momento ero giù di corda, pre-
occupata o fuori dal mio centro, ricordando uno degli insegnamenti
dello Shivaismo – “La Coscienza Universale manifesta questo univer-
so per sua propria libertà, sullo schermo del suo proprio essere” – la
mia prospettiva si espandeva immediatamente. Era come essere in
una piccola stanza, dove improvvisamente il soffitto si spalancava e
mostrava il cielo. Anche il solo considerare la possibilità che ciò fosse
vero, che tutto potesse essere fatto di una sola Coscienza, richiedeva
una completa riformulazione delle mie idee su me stessa.
Un pomeriggio, a metà degli anni settanta, udii per caso una con-
versazione tra due amici. Stavamo lavorando con una pratica per
riconoscere la nostra identità con la Coscienza divina. Questo im-
plicava osservare i nostri processi mentali – nei quali i pensieri co-
stantemente vengono alla luce, si fermano per un momento e poi si
dissolvono – come uno specchio del processo cosmico di creazione,
mantenimento e dissoluzione delle forme naturali.
Uno dei miei amici stava praticando questa comprensione con
molta ispirazione e diligenza. Quel pomeriggio egli cominciò a de-
scrivere la sua esperienza in modo concitato e coinvolgente. Aveva
realizzato, ci disse, che tutto in lui era una manifestazione della di-
vina Coscienza e che in ogni momento e con ogni umore, avrebbe
potuto riconoscere la presenza dell’energia divina, di Shiva, il Signo-
re supremo.
Mentre egli parlava del fatto che tutti noi siamo Shiva, come tut-
ti siamo Dio, una donna lo ascoltava con crescente disagio. Infine
sbottò: “Ma… se sei depresso?” chiese, “come puoi essere Shiva, se
sei depresso?”.
“Se sono depresso, sono uno Shiva depresso!” egli rispose.

107
la meditazione per amore

“Nemmeno per sogno” rimbeccò la donna.


Potevo condividere il suo problema. Anch’io avevo difficoltà a
sentire che le mie condizioni di infelicità e disagio fossero divine,
che fossero inseparabili dall’interezza della Coscienza. Come quella
donna, restavo convinta di potermi trovare vicina alla Verità (o ad-
dirittura di essere tutt’uno con essa) solo quando ero “brava”, felice,
pura e positiva verso me stessa. Era difficile per me comprendere
che la divinità potesse esistere anche nella depressione e nella rabbia,
come un altro amico buttò lì una volta: “Come posso essere Dio se
non vado d’accordo con mia madre?”.
Riconoscersi intrinsecamente divini opera una sorta di magia: ori-
gina un amore incondizionato per se stessi, il che è anche una via per
cambiare comportamento verso la propria madre e verso la propria
depressione. Non è che i sentimenti negativi
Che sia da scompaiano in una notte: giacché dipendo-
un’immensa gioia o no dalle abitudini e dalle tendenze, possono
attraverso l’angoscia, continuare a emergere, per qualche tempo.
che sia da sopra un muro
E nemmeno possiamo usare il fatto di esse-
o in una caraffa di coccio,
da oggetti
re intrinseca divinità come una scusa per in-
esterni o dall’interno, dulgere nella rabbia, nel risentimento e nelle
rivelati a me, restanti emozioni più oscure. (Ramakrishna
O Signore! Paramahamsa diceva che latte e acqua torbi-
uptaladeva da sono entrambi Dio, ma quest’ultima noi
non la beviamo!)
Ora, quando si ricorda che la divina energia, la pura Coscienza, la
“Deità” è presente anche nel mezzo della paura, della rabbia e della
depressione, diventa più facile lasciare che questi sentimenti vadano
e vengano senza attaccarvisi, senza farsi sviare o rifiutare se stessi
per il fatto di provarli. Ci saranno momenti, invece, in cui il ricordo
dell’unità li dissolverà interamente. Rammentare che si è “uno” aiuta
a far emergere l’amore.
Ci vuole moltissima contemplazione e autoanalisi per mantenere
la comprensione dell’unità. Mentre la pratichiamo coglieremo con

108
muoversi verso l’interno: la pratica dell’unità

evidenza crescente il divario tra le nostre convinzioni intellettuali e


i condizionamenti sottostanti. Negli anni mi sono sentita ripetuta-
mente umiliata, vedendo quanto tenacemente mi aggrappavo all’i-
dentificazione col mio corpo e con i miei programmi personali, e
quanto resistevo alla forza che voleva espandermi.
Tuttavia, questi ostacoli cominciano a sparire se ci si confronta
con loro. Piuttosto che cedere alla forza delle abitudini condiziona-
te della mente o arrendersi alla paura della propria grandezza, ci si
può semplicemente domandare: “Cosa c’è dietro questa resistenza?
Quali sentimenti profondi si nascondono?”. Dopo aver scoperto di
cosa è fatta la resistenza, si può procedere con la pratica di pagina
142, dedicata alle emozioni intense, e proseguire per ognuno dei
livelli successivi. Si può cominciare a indagare che cosa significa per
noi apprendere dai saggi che non siamo diversi dalla Consapevolez-
za, che non siamo diversi da Dio. Di fatto, lo si può fare tutte le volte
che si medita, qualsiasi tecnica si adotti.

Praticare l’unità
Un buon modo per cominciare a praticare l’unità è attraverso uno
degli insegnamenti shivaiti fondamentali: quando si ripete un man-
tra, si dovrebbe capire che non c’è differenza tra noi, il mantra e
l’obiettivo del mantra, ovvero l’esperienza del Sé. Come molti inse-
gnamenti elevati, questo suona semplice… la sfida arriva quando si
cerca di metterlo in pratica. Come possiamo identificare noi stessi
– il nostro sé solido, fisico e personale – con un mantra, con una pa-
rola sanscrita? Come possiamo rendere questo insegnamento vero
per noi stessi?
Bisogna iniziare liberandosi dalla sensazione di essere una perso-
nalità e un corpo fisico particolari. È dura identificarsi con un man-
tra pensando a sé – anche se in modo assai sottile – come Marta,
una brunetta di circa 50 chili, cresciuta nei sobborghi di Louisville,
Kentucky, la persona che si preoccupa segretamente del suo peso e
dubita del proprio aspetto. D’altra parte, se si pensa a se stessi come

109
la meditazione per amore

energia o Coscienza e al mantra come energia o vibrazione, è tutta


un’altra faccenda: allora si può cominciare a portare la propria ener-
gia in allineamento con quella del mantra.
Come? Si può provare a lavorare con la pulsazione nelle sillabe
e nella mente; sentire la vibrazione delle sillabe nel proprio spazio
interiore mentre le si pronuncia; concentrarsi su questa sensazione;
poi sintonizzarsi con il proprio spazio interiore, la propria Consape-
volezza e avvertire in quel luogo lo scintillio dell’energia vibratoria,
diventando consapevoli che si è quella naturale energia. Una volta
messe insieme mentalmente queste due cose, si può percepire che
l’energia del mantra non è differente da quella della nostra Consape-
volezza, e ci si può fondere con essa.
Quindi, la pratica dell’unità aiuta a lasciar andare, almeno provviso-
riamente, l’idea di essere un semplice corpo. Bisogna sentire la propria
energia, o Consapevolezza, e cominciare a contemplare cosa significa
identificarsi con essa invece che col proprio corpo, i propri pensieri o
la propria personalità. Inizialmente questo è il miglior modo per capi-
re il concetto di unità: realizzare che sono la nostra Consapevolezza, la
nostra energia, il nostro amore a esistere con gli altri come un tutt’uno.
(Alla fine arriveremo a comprendere che anche il corpo è energia, ma
all’inizio è più facile soffermarci sulla parte più sottile di noi.) Quando
io e voi siamo identificati con i nostri corpi, siamo mille miglia lonta-
ni gli uni dagli altri. Quando pensiamo a noi stessi come personalità
individuali, siamo enormemente differenti. Solo come energia, come
Coscienza, possiamo sperimentare la nostra unità.
Non appena vediamo e cominciamo a ricordare che “Io” non
sono solo un corpo ma un centro di Consapevolezza ed energia,
tutti i tipi di pratica dell’unità si propongono da soli.

Entrare nell’esperienza
Un modo potente e cinestesico per vivere in meditazione l’espe-
rienza dell’unità è attuare la pratica di entrare in qualsiasi cosa ci si
presenti: un mantra, un’immagine, lo spazio del cuore o la figura del

110
muoversi verso l’interno: la pratica dell’unità

Esercizio: la tua Consapevolezza pervade il mondo

Siedi in una posizione confortevole ed eretta, chiudi gli occhi e presta


attenzione al ritmo del respiro. Osserva il suo fluire dentro e fuori
dalle narici. Se sorge un pensiero, fallo fluire all’esterno col respiro.
Mantieni l’attenzione sul respiro per qualche minuto.
Ora sposta l’attenzione dal respiro alla Consapevolezza che sa che
stai respirando. Non appena ne diventi consapevole, osserva come
tutto ciò che stai sperimentando in questo momento sia in realtà
contenuto in questa Consapevolezza. Non è la Consapevolezza che
sta nella tua mente o nel tuo corpo, ma il tuo corpo, il tuo respiro e i
tuoi pensieri sussistono tutti al Suo interno.
Adesso permetti alla Consapevolezza di espandersi all’esterno. Con
ogni espirazione senti che si estende sempre più. Lascia che riempia
la stanza, il palazzo, tutta l’area circostante, che si espanda nel cielo
e nell’universo. Lascia che si dispieghi quanto più possibile. Riposa
nella spaziosità della tua Coscienza dilatata.

Buddha, il dolore alle ginocchia o la pressione alla testa, lo spazio


tra i respiri, una visione. Si può cambiare la propria relazione con
qualsiasi cosa appaia in meditazione, se ci si entra.
A me piace usare l’immaginazione per attuare questo processo:
penso a una porta o a un’apertura e la attraverso… e continuo a
farlo fino a che non ho la sensazione di essere entrata nella grotta
del Sé, del cuore o della Coscienza. Spesso questo comporta nume-
rose entrate in successive numerose porte interne. Ma se continuo
a immaginare porte o aperture o corridoi e se continuo ad attraver-
sarli, alla fine mi ritrovo negli strati più profondi del mio essere. La
Coscienza sembra riconoscere questa immagine della porta come un
segnale per liberarsi negli strati più sottili e più profondi di se stessa.
È un processo straordinariamente semplice e potente: dall’altra par-
te della porta, ciò che aspetta è il Sé.
Si può lavorare con questo principio in quasi tutte le situazio-
ni. Qualsiasi cosa appaia in meditazione, qualunque tecnica stiamo

111
la meditazione per amore

praticando, possiamo entrarvi: possiamo creare un “accesso” nella


pulsazione del respiro, mentre esce ed entra nello spazio del cuore,
immaginando un’apertura nello spazio tra due respiri; possiamo en-
trare nel respiro o nel mantra immaginando che ci stia intorno come
una nuvola o che noi vi siamo immersi, come nell’acqua; possiamo
ricordare semplicemente a noi stessi: “Questa è una parte della mia
consapevolezza”.
Spesso uso la consapevolezza dell’unità come antidoto ai senti-
menti di blocco o di sconforto. Talvolta, in meditazione arrivo a un
punto dal quale non posso proseguire; come se un muro interiore,
un blocco energetico sbarrasse la strada. A volte avverto anche un
forte senso di pressione o dolore. Se cerco di tornare indietro non
funziona: se invece riesco a lasciar andare la resistenza al mio senso
di sconforto, se non cerco più di spingerlo via ma al contrario entro
nel mio dolore, spesso trovo in esso una via di accesso a un livello
più profondo di energia. Spesso a quel punto il blocco si dissolve.
Quando pratichiamo l’unità, pratichiamo la Verità. Ecco perché
ha un tale potere di cambiarci. Migliaia di maestri illuminati di in-
finiti lignaggi lo hanno realizzato e hanno trasmesso l’esperienza ai
loro studenti. Desiderano fortemente che noi la sperimentiamo e la
forza del loro sostegno si trasferisce in noi ogni volta che ci ricor-
diamo di lasciar andare il senso di separazione. Rammentarlo per un
attimo ci collega al flusso di conoscenza
Quando, con una
mente focalizzata e che fluisce da quegli illuminati e ci apre
libera dai pensieri, alla rivelazione.
un cercatore contempla Naturalmente, la comprensione
la totalità del suo corpo dell’unità deve essere tutt’altro che un
o l’intero universo esercizio intellettuale o la rievocazione
come facenti parte diligente di un bell’insegnamento: dob-
contemporaneamente biamo venire a patti con la tendenza a
della natura della Coscienza, creare separazione. Ciò significa giunge-
egli sperimenta re a un accordo con la mente deduttiva
il supremo risveglio.
– manas in sanscrito – la cui innata ten-
vijnana bhairava

112
muoversi verso l’interno: la pratica dell’unità

denza a scorrazzare nella selva dei pensieri e delle percezioni effet-


tivamente ci impedisce di vedere l’unità dietro la nostra esperienza.
Come Cerbero, che secondo la mitologia greca è a guardia della so-
glia del mondo sotterraneo, la mente si erge vigilante all’ingresso
nella meditazione profonda. Se non diventiamo suoi amici, non ci
lascerà mai entrare; ecco perché i testi di meditazione dedicano così
tanto spazio, attenzione e sforzo all’eterna domanda: come posso
fare i conti con la mente?

113
Lavorare con la mente (i)
capitolo sesto

Navigare nel flusso dei pensieri

Sin da quando gli artisti della Valle dell’Indo scolpirono le loro fa-
mose statuine degli dei cornuti seduti in meditazione – circa 5000
anni prima della nostra era – i meditanti hanno lottato con lo stesso
scenario di base: sediamo in meditazione, ci focalizziamo sul respi-
ro o sulla pratica della consapevolezza o cominciamo a ripetere un
mantra, cerchiamo di mantenere il senso dell’unità, e a quel punto
arrivano i pensieri. Arrivano i pensieri.
Ipensieriarrivanoipensieriarrivanoipensieriarrivanoipensieri. Ve-
loci o lenti. Un’inondazione o uno sgocciolio. Ininterrotti o inter-
mittenti. Apparentemente senza fine. Pensieri sulla telefonata che
dobbiamo fare, pensieri su quel che ci ha detto ieri il maestro di no-
stro figlio, pensieri su una zia. Pensieri sui pensieri. Pensieri nell’or-
dine di: “Sto davvero meditando? Questa non può essere meditazio-
ne. La mia mente non è quieta. E perché non accade?”.
Questa è l’esperienza umana universale – come nascere e lasciare
il corpo al momento della morte. Anche i grandi meditanti la attra-
versano. Tendiamo a presumere che un buon
meditante, una persona che medita con suc- La Mente è sempre
un turista
cesso, non sia mai disturbato dai pensieri: in
che vuole toccare
qualche modo, ai veri meditanti basta sedersi e comprare cose nuove.
e – wham! – sono in un profondo stato di quie- Poi le getta
te, fusi col testimone, o guardano fiori di loto in un cassetto
dorati e luminosi che si spandono dolcemente già pieno.
nello spazio interiore. hafiz

115
la meditazione per amore

Ma questo non è vero: anche i grandi meditanti devono con-


trastare i pensieri. Senza alcun dubbio, lo stesso Buddha passava
ore seduto con gli occhi chiusi, pensando a una cosa o a un’altra e
chiedendosi perché non gli sembrasse di progredire. Ma in questo
processo egli imparò come muoversi attraverso quei pensieri, nella
meditazione.
Per un meditante il gioco cambia quando capisce che, anche se
nella mente ci sono pensieri, la meditazione può accadere comun-
que. Questo è un concetto importantissimo, perciò lasciate che lo ripeta:
la mente non deve essere completamente quieta perché si sperimenti lo stato della
meditazione. Spesso, quando si è profondamente immersi in sé, i pen-
sieri continuano ad attraversare lo schermo della consapevolezza.
Anche quando rallentano, può rimanere un sottile ronzio di elettri-
cità mentale. Questo è un problema se non si comprende che cosa
sia tutto questo e come averci a che fare. Molto dell’arte del meditare
consiste nel sapere come operare con i pensieri e, in sostanza, come
lasciare che si dissolvano nel sottile tessuto della mente.
Dovrebbe essere del tutto evidente che non si può venire a patti
con essi, se vogliamo eliminarli del tutto. La delicata, intelligente
energia che chiamiamo “mente” non risponde bene alla durezza. C’è
una buona ragione per questo, come vedremo nel prossimo capito-
lo, poiché la mente è nella sua essenza nientemeno che una forma
– intasata di pensiero – della pura Consapevolezza, che è l’obiettivo
della nostra pratica. (“Coscienza più pensieri è la mente” dice lo
Yoga Vasishtha, un testo di un supremo Vedanta, “Coscienza meno
pensieri è Dio”). La Consapevolezza piena di pensieri è comunque
Consapevolezza, e per sua stessa natura è libera, potente, elusiva.
Ecco perché quando cerchiamo di sopprimere i pensieri o di sradi-
carli, oppure quando cerchiamo di costringere la nostra attenzione
verso un punto, la nostra mente reagisce ribellandosi.
La tradizione indiana la paragona a un re cui non è stato dato un
apposito seggio: fino a che non sarà seduto sul suo legittimo trono,
sarà inquieto, insoddisfatto e anche litigioso; una volta insediato, in-

116
lavorare con la mente (i). navigare nel flusso dei pensieri

vece, diviene calmo e comincia a manifestare le sue qualità di re. La


sede adatta alla mente – di fatto, l’unico posto in cui la mente sarà
soddisfatta – è nel Sé, nella profonda dimora della pura Coscienza.
L’inquietudine della mente, dunque, viene dal fatto che è in cerca
della sala del trono, aspira al luogo dove può sperimentare il suo
vero splendore in quanto Coscienza. Il nostro compito in medita-
zione è semplicemente quello di tenerla mirata nella giusta direzio-
ne. Se la dirigiamo ripetutamente verso la sua sede essa comincerà a
stabilizzarsi nell’essere Coscienza e alla fine vi prenderà posto da sé.
Sistemare la mente, come molto altro di quello che facciamo nella
pratica di meditazione, implica in egual parte rigore e sottigliezza,
pratica e comprensione. Solitamente, quando cominciamo a pratica-
re – e spesso anche per molti anni a seguire – passiamo la maggior
parte del nostro tempo riportando la mente all’oggetto della foca-
lizzazione. Migliaia di volte i nostri pensieri scapperanno a Parigi.
Migliaia di volte riporteremo l’attenzione indietro – gentilmente,
dolcemente, senza forzare. È noioso, a volte frustrante, ma c’è un
premio. Col tempo, la mente comincia ad ascoltarci. All’inizio potrà
aver fatto l’intero giro di Parigi o ripensato alla relazione con nostra
madre prima che riusciamo ad afferrarla. Ma se continuiamo a fer-
marla e a riportarla indietro, alla fine arriverà fino a mezza distanza
da Parigi. Poi arriverà fino all’aeroporto. Infine, si allontanerà giusto
di un chilometro. E se stiamo con lei, arriverà il giorno in cui starà
piuttosto a proprio agio in meditazione.
La focalizzazione è una sorta di muscolo mentale: se lo consoli-
diamo imparando a mantenere l’attenzione in un luogo per un po’,
invece di lasciarla intrappolata in superficie, automaticamente raf-
forziamo la nostra capacità di mantenere gli stati sottili in meditazio-
ne e di cercare i percorsi interiori che ci conducano più in profon-
dità. Alla fine, questa pratica fondamentale di cogliere se stessi nella
distrazione e riportare la mente indietro comincerà a impregnare
l’intera vita. Non solo la mente diverrà più stabile in meditazione
– affinché si possa stare davvero per lungo tempo nello spazio del

117
la meditazione per amore

cuore o rimanere nella quiete più di un minuto o due – ma acquisirà


una nuova abilità nel focalizzarsi su cose come guidare la macchi-
na, scrivere un resoconto o perfezionare il proprio swing a golf.
Imparare a resistere alla distrazione ci rende più resistenti alla noia,
alla preoccupazione e alla depressione; più radicati e meno inclini a
essere guidati da fantasie indomabili. Ecco perché non è possibile
lasciar perdere questa pratica basilare di accordo con la mente, non
più di quanto un atleta possa esimersi dal riscaldamento.

Affrontare il dialogo interiore


Cosa abbastanza ironica, quando cominciamo a praticare seria-
mente, la mente sembra divenire più molesta. Alcuni si spaventano.
Conosco persone che hanno smesso di meditare perché trovavano
disagevole affrontare questo dialogo interiore. “Non mi importa
ciò che dicono tutti” mi confessò un uomo, “la mia mente non è
mai stata così importuna: la meditazione mi ha reso più irrequieto.
Anzi… mi sento meglio quando non medito!”
Non è che la sua mente stesse diventando più irrequieta, natural-
mente. È solo che, quando si metteva a meditare, notava quanto egli
in realtà lo fosse. Normalmente non siamo coscienti dell’intensità
del nostro dialogo interiore; la nostra attenzione è concentrata su
quanto accade intorno a noi, perciò, a meno che non siamo parti-
colarmente introversi o introspettivi, gli scenari selvaggi e folli che
percorrono la mente generalmente sfuggono al nostro sguardo. Ma
quando sediamo in meditazione – oh, allora li vediamo!
Oltretutto, diventando più consci del nostro normale stato di di-
strazione, possiamo sperimentare qualcosa che potremmo chiamare
“consumare i samskara”. I samskara sono tendenze mentali ed emo-
tive, residui dei nostri pensieri e sentimenti abituali, quelli che repli-
chiamo così spesso che sono diventati solchi nel campo della nostra
coscienza. Quando la meditazione rilascia energia in quel campo,
quei samskara sepolti riemergono e vengono consumati dall’energia
della nostra Consapevolezza, la kundalini.

118
lavorare con la mente (i). navigare nel flusso dei pensieri

Agli inizi, a un certo punto della mia carriera di meditante, notai


che le mie meditazioni mattutine si erano appannate a causa dell’ir-
ritazione. Allora vivevo in un ashram, con parecchie centinaia di
altre persone, e in quell’atmosfera non c’era modo di nascondere il
mio umore. Finalmente posi la questione al mio guru, chiedendogli:
“Cosa faresti se la meditazione ti rendesse irritabile?”.
“Non è la meditazione a renderti irritabile” mi rispose, “l’irritabi-
lità è in te e la meditazione ti sta aiutando a vederla, in modo che tu
possa lasciarla andare.”

Purificazione: lo stufato interiore


La ragione per cui meditiamo è precisamente per ottenere che que-
sto “lasciar andare” accada. Il nostro inconscio è uno stufato tor-
bido, pieno di una gran quantità di oggetti gradevoli e sgradevoli.
Tutte queste cose devono essere rimosse altrimenti la loro presenza
continua a ribollire in noi e a bloccare l’esperienza dell’acqua pura,
pulita, della luce pura che è la nostra vera sostanza. La meditazione
fa sì che questi sentimenti sepolti, le idee che ci sono d’impedimento
e le emozioni dolorose galleggino fino alla soglia della nostra co-
scienza, dove possono essere riconosciute e rimosse.
Una volta che kundalini è risvegliata, questo lavoro di purifica-
zione prosegue più o meno continuamente, sotto la superficie. Tut-
tavia, è durante il momento della pratica che la nostra energia inte-
riore ha la possibilità di lavorare a pieno ritmo: l’azione di sedere
quietamente focalizzandoci all’interno invita la shakti a balzare in
azione e ad agitare l’oceano della nostra coscienza e a rimuovere
tutto quanto vi è sepolto. Così, sedendo in meditazione, possiamo
sperimentare non solo pensieri casuali, randagi, ma anche enormi
“banchi di ghiaccio” carichi di emozioni pesanti e vecchi complessi
sepolti. Quando tutto ciò emerge in meditazione, è segno che certe
ragnatele aggrovigliate di memoria, credenze ed emozioni – blocchi
conosciuti e sconosciuti della nostra libertà – sono pronte per uscire
dal nostro sistema. La nostra parte in questo processo è di lasciarle

119
la meditazione per amore

andare. Non c’è necessità di lasciarsi coinvolgere in questi sentimen-


ti, né di analizzarli – almeno non mentre meditiamo. Invece osser-
viamoli e respiriamoli fuori, lasciandoli liberi con una espirazione.
Oppure ripetiamo il mantra, permettendo alla shakti incorporata in
esso di attraversare le emozioni e le negatività e di scioglierle.
Quando la nostra pratica si approfondisce e diviene più stabile,
otteniamo la forza di fronteggiare questi sentimenti e di essere te-
stimoni del nostro processo di purificazione. Anzi, come vedremo
nel capitolo successivo, il testimone interiore può diventare la piat-
taforma da cui osservare e cominciare a risanare questi sentimenti
sepolti. Ma molti di noi, specialmente nei primi anni di meditazione,
trovano i pensieri troppo densi, veloci e incontrollabili per permet-
tersi di starne lontani a lungo. Questa è una delle ragioni per cui un
mantra potenziato e illuminato è così utile per molti meditanti.

Purificare il proprio cuore con il mantra


Un mantra potenziato agisce come una sorta di forza pulente, una
scopa sottile ma estremamente robusta che spazza la cantina dell’in-
conscio. I testi dello yoga parlano di kundalini come un fuoco inter-
no, un calore che brucia detriti mentali e dissolve i rottami psichici:
un mantra investito di potere è pieno di questo fuoco trasformativo,
e quando lo si strofina contro i pensieri esso genera una frizione
interna. La parola sanscrita per questa frizione è tapas, che significa
“calore”. Tapas indica anche le severità dello yoga, che raffinano e
purificano la mente. Il sottile fuoco del mantra genera il calore di
tapas nella mente: questo è ciò che ripulisce il territorio interiore.
Nel primo anno dopo il risveglio della mia kundalini, l’effetto del
processo di purificazione interna a volte era così intenso e disage-
vole che non riuscivo a sopportare di essere nella mia pelle. A volte
i sentimenti negativi sepolti – colpa, indegnità, rabbia e simili – co-
minciavano a emergere dal momento in cui aprivo gli occhi e ren-
devano tutto torbido per l’intera durata del giorno. Scoraggiata, a
volte disperata, ripetevo il “mio” mantra per distogliermi da quelle

120
lavorare con la mente (i). navigare nel flusso dei pensieri

emozioni. Cominciavo appena sveglia e continuavo tutto il giorno,


ovunque ci fosse spazio nelle attività correnti, e a volte anche duran-
te le conversazioni.
Mantenendo questa pratica, cominciai a notare che il carico emo-
tivo diminuiva drasticamente: i sentimenti emergevano ancora ma
non mi mettevano al tappeto. Il mantra sembrava creare una forza
contraria: rilasciava nella mia mente un’energia di luce, di tranquil-
lità e di felicità che ingoiava il dolore. Dopo qualche tempo, questo
substrato doloroso e profondamente sedimentato – che mi aveva
turbato tutta la vita, se ne andò.
Tutte le volte che sediamo in meditazione con un mantra dota-
to di potere, attraversiamo una versione in scala ridotta di questo
processo di pulizia: a poco a poco la combinazione tra la nostra
intenzione focalizzata e il suo potere intrinseco dissolve i residui
dei pensieri e delle immagini del giorno, e la mente può stabilirsi
nella quiete. Una volta avvenuto questo, il naturale processo del-
la meditazione ha luogo. La shakti interiore comincia a guidarci
all’interno e a dissolvere la nostra normale mente sveglia in pura
energia conscia.

Lasciar andare: la pratica del vairagya


Patanjali nei suoi Yoga Sutra ci ha detto che nel processo di stabi-
lizzare la mente si possono distinguere due aspetti. Noi abbiamo
appena affrontato il primo: abhyasa, la pratica, lo sforzo di stare con
l’oggetto della focalizzazione. La seconda parte del processo è vai-
ragya: il distacco. Vairagya è il modo di neutralizzare gli ingranaggi
della mente, distogliendoci dai pensieri, dai sentimenti, dai desideri
che normalmente agganciano la nostra attenzione.
Qualche anno fa, durante un ritiro di meditazione a nord del-
lo stato di New York, ascoltai questa storia da una giovane donna:
aveva pianificato un viaggio in Giappone e la sua mente stava già
ripassando la lista prima della partenza, chiedendosi quanti maglioni
portare e se fosse necessario mettere in valigia anche un cappotto.

121
la meditazione per amore

Improvvisamente, una voce nella sua mente gridò: “Lascia anda-


re”. Sorpresa, abbandonò i suoi piani e cominciò a focalizzarsi sul
respiro. Non appena fatto questo, fu sopraffatta da un sentimento
di tristezza. Pensò a quanto aveva ricevuto dal ritiro e quanto fosse
dispiaciuta di dover partire.
Allora sentì di nuovo la voce interiore: “Lascia andare!”. “Che cosa
devo lasciar andare?” si domandò. “Qual è il mio blocco più grande
adesso? Il mio senso di indegnità. Va bene, lo lascerò andare.” La
voce insisteva: “Lascia andare”. Ma lei non sapeva che cosa, ancora.
Con un sospiro, cadde in un profondo stato di meditazione. Fu come
se un campo di beatitudine si aprisse nel territorio della sua mente. Si
sentiva come se nuotasse in un’oceanica marea di beatitudine, cullata
nelle sue onde. “Oh, per favore” disse dentro di sé, “non lasciare che
questo si fermi”. Immediatamente, arrivò di nuovo la voce: “Lascia
andare”. “La beatitudine?” chiese. “No, il volerla tenere” rispose la
voce. Abbandonò il suo aggrapparsi alla beatitudine e cadde così
nello stato più profondo, più silenzioso che avesse mai sperimenta-
to. Si sentì totalmente presente, completamente amata e chiara come
un’acqua limpida.
L’esperienza di questa donna indica un percorso che possiamo
seguire: se passiamo fra gli stessi stadi, anche noi possiamo sco-
prire quanta pace si rivela non appena lasciamo andare tutto – i
nostri piani, i pensieri, i dubbi su noi stessi, addirittura il desiderio
di trattenere le nostre belle esperienze. Alla fine, naturalmente, vor-
remo liberarci dai viticci dell’identificazione profondamente radica-
ta, dall’attaccamento e dall’avversione che nutrono la nostra falsa
personalità, ci illudono di essere separati e permanenti. Vorremo
liberarci – almeno per un attimo – del sentimento di essere un “me”
particolare, separato da tutti gli altri. Questa è la chiave, ci hanno
detto i saggi, per entrare nella nostra essenza. L’esperienza della no-
stra innata interezza e libertà si manifesta spontaneamente quando
l’ego della separazione si è dissolto. Naturalmente, pochi di noi pos-
sono dissolvere l’ego separatore in questo modo, specialmente se

122
lavorare con la mente (i). navigare nel flusso dei pensieri

non siamo pienamente sicuri di volerlo. Ma la pratica aiuta, e ci sono


tre livelli di vairagya che possiamo praticare in meditazione.

Lasciar andare le tensioni


Il primo livello di vairagya implica il rilascio delle tensioni nel corpo.
Come abbiamo visto nel terzo capitolo, possiamo farlo all’inizio di
ogni sessione di meditazione, passando in rassegna il corpo, notan-
do dove ci sentiamo tesi o a disagio e quindi espirando la tensione.
Far uscire con il respiro le tensioni dal corpo è più che distenderci
fisicamente: rilassa anche la mente, perché ogni tensione fisica ha
la sua controparte interna. Talvolta, quando lavoro con meditanti
esperti, dopo la sessione di meditazione mi dicono che la parte più
utile del processo non sono state le istruzioni vere e proprie, ma
il tempo che abbiamo impiegato all’inizio per espirare le tensioni.
Per alcuni, questo è tutto ciò che serve per entrare in meditazione
profonda.

Lasciar andare il desiderio


Nel secondo livello di vairagya lasciamo andare gli strati di desiderio
e la sua nutrita progenie: speranza, aspettativa, paura, ansia.
Mi piace cominciare le sessioni di meditazione prendendo la de-
cisione consapevole di lasciare da parte tutto il resto, per un attimo.
Mentalmente, metto da parte il mio lavoro e la mia agenda personale
e stabilisco che non mi lascerò distrarre. Questo è il primo gradino.
Il secondo è rinnovare l’intenzione tutte le
volte che la mente comincia a buttar lì dei I nostri desideri e dispiaceri
bocconi tentatori. sono due scimmie che vivono
sull’albero dei nostri cuori;
Praticare questo livello di vairagya mo-
finché continuano a
stra i legami del desiderio che si annida- scuoterlo e ad agitarlo,
no ovunque nella mente. È solo quando con le corse e
cerchiamo di lasciarli andare che comin- i balzi, non può esserci
ciamo a comprendere quanto siano per- riposo per lui.
vasivi e distraenti. Questo è davvero uno yoga vasishtha

123
la meditazione per amore

dei grandi insegnamenti che possiamo ricevere in meditazione. Ogni


volta che ci sediamo, diamo a noi stessi l’opportunità di affrontare
tutti i travestimenti che il desiderio indossa, e di vedere che anche
uno molto semplice può portarci fuori strada.
Ecco un esempio: quante volte siamo stati tirati fuori di medita-
zione dal profumo di caffè che viene dalla cucina? O dal solo pen-
siero di un caffè? La mente sta appena cominciando a calmarsi… ed
ecco che ci ricordiamo che, oltre al caffè, abbiamo un croissant che
ci aspetta nel suo sacchetto di carta oleata e che se usciamo di me-
ditazione adesso, possiamo metterlo nel forno in modo da avere un
croissant caldo prima di lavorare. Prima di rendercene conto, siamo
già lontani dal tappetino e a mezza strada verso la cucina.
I desideri sanno come riempirci la mente con meravigliose ragioni
per convincerci a seguire il loro canto da sirene. È ovvio che dobbia-
mo fare colazione adesso – altrimenti dovremo affrettarci per arrivare
a scuola! È naturale che dobbiamo alzarci e guardare quel video ades-
so invece di aspettare più tardi – perché, dopo tutto, è meglio non
ingombrare la mente con immagini troppo a ridosso del momento di
andare a letto… è evidente che dobbiamo buttar giù la magnifica idea
che ci è appena venuta in mente – anzi, abbiamo bisogno di accendere
il computer e cominciare a esplorare, poiché ci sentiamo così ispirati.
(In realtà non è una cosa cattiva tenere un taccuino vicino al cuscino
di meditazione per prendere un appunto ogni volta che viene un’idea.
Poi si può ritornare a meditare.) O, ancora più convincente… non è
forse il momento giusto per cercare il numero telefonico del nostro
boyfriend delle superiori, Timmy, il cui viso si è appena affacciato così
languidamente nella nostra visione? Era circondato da una luce azzur-
ra e abbiamo “sentito” che ha appena divorziato…
Anche se si resiste alla tentazione di alzarsi dal tappetino ed entrare
in azione dietro uno di questi impulsi, il solo fatto di soffermarvisi
può seriamente farci uscire dalla pratica. (Ciò è ancor più vero quan-
do il desiderio seguito è sottile – come quelle seducenti speculazioni
filosofiche nelle quali alcuni di noi amano indulgere, oppure i progetti

124
lavorare con la mente (i). navigare nel flusso dei pensieri

e le ipotesi di vita che scorrono come film nella mente se non li cat-
turiamo.) Quando meditiamo, lo vediamo ripetutamente, e dobbia-
mo affrontarne le conseguenze e i costi immediati. D’altra parte, ogni
volta che lasciamo cadere un desiderio, diminuiamo la sua presa su
di noi. Focalizzarci in meditazione ci aiuta a sviluppare il potere della
concentrazione nella vita quotidiana, così come la pratica di lasciar
andare i desideri in meditazione ci allena al distacco: questo fa sì che
durante la nostra vita “da svegli” non siamo continuamente strattonati
da impulsi dispersivi.
Questo genere di abbandono è un atto meditativo essenziale.

Esercizio: espirare pensieri, desideri ed emozioni

Siedi in meditazione, prestando attenzione a radicare gli ischi e a per-


mettere alla tua spina dorsale di allungarsi. Chiudi gli occhi e focalizza
la tua consapevolezza sul respiro fino a che ti senti stabile e centrato.
Ora comincia a osservare i pensieri così come si manifestano. Ogni
volta che spunta un pensiero, un desiderio o un’emozione, falli uscire
con un’espirazione. Inspira ed espira il pensiero. Ne compare un al-
tro: respiralo fuori. Emerge un desiderio, un impulso: espiralo.
In questa pratica ci sono delle varianti: se ti piacciono le visualizza-
zioni dinamiche, puoi immaginare una spada fatta della tua volontà
sottile, con la quale tagliare ogni pensiero; puoi creare un fuoco in-
teriore in cui gettarlo. (Non sono pratiche delicate: i meditanti che
hanno a che fare con i pensieri, talvolta devono agire come guerrieri.)
Io amo anche trascinare i pensieri in una immaginaria icona del ce-
stino, in un angolo della mente. In seguito, contemplate l’effetto di
questo esercizio. Cosa notate del vostro stato interiore? Qual è stato
l’effetto di questa intensa focalizzazione?

Lasciar andare l’identificazione con colui che pensa


Il terzo genere di vairagya è più sottile e implica il lasciar anda-
re l’attaccamento a essere colui che pensa, che si identifica con

125
la meditazione per amore

In questa nudità i pensieri e i desideri, colui che – di


lo spirito trova riposo, poiché fatto, costantemente, sebbene incon-
niente desiderando, sciamente – sceglie di pensare. Al
niente lo solleva, e contrario, ci si identifica con il testi-
niente lo opprime. mone: con l’osservatore dei pensieri.
san giovanni della croce
Non si cerca di scacciarli, dunque: si
lascia che stiano lì, ma ci si ritrae da loro. Ci si identifica con colui
che osserva i pensieri.
Un modo classico per farlo è guardarli come se fossero nuvole
che passano nel cielo. Le nuvole non toccano lo spazio del cielo né
il cielo è interessato alle nuvole che lo percorrono. Niente cambia se
le nuvole sono grosse, nere e piene di tuoni, né se riversano pioggia:
allo stesso modo, la nostra Consapevolezza – il
La pura Coscienza
vero noi – non è toccata dai pensieri; la nostra
non può dire “Io”.
Coscienza è completamente disinteressata a ramana maharshi
tutto ciò che si manifesta.
Diventare colui che osserva i pensieri invece di colui che pensa è
semplicemente una questione di cambiamento di prospettiva. Ecco
un modo semplicissimo per farlo: dire a se stessi: “Il mio nome
è……….”, poi osservare che un’altra parte della mente nota que-
sto pensiero. Quello è il testimone. Quando stiamo “osservando” il
pensiero, siamo nel testimone, ed è semplice: basta identificarsi con
colui che osserva piuttosto che con il pensiero.
Oppure potremmo preferire lavorare con l’immagine del cielo e
delle nuvole.
Non appena ci identifichiamo con il cielo della Consapevolezza
piuttosto che con le nuvole del pensiero, appare un grande senso di
spaziosità. Possiamo lasciare che i pensieri stiano lì senza esserne
coinvolti.
Da qui, c’è solo un piccolo passo verso la comprensione della
grande verità sulla mente: anche i pensieri sono parte del sottostante
campo della Coscienza.

126
lavorare con la mente (i). navigare nel flusso dei pensieri

Esercizio: osserva i tuoi pensieri


che si muovono come nuvole nel cielo della mente

Siedi in silenzio e chiudi gli occhi. Puoi focalizzare la tua attenzione


sul flusso del respiro che entra ed esce dal corpo. Facendolo, divieni
consapevole dello spazio dentro la mente. Immagina che essa sia un
cielo, uno spazio aperto. I pensieri si spostano come nuvole. Lascia
che si manifestino e che si allontanino. Mentre osservi i pensieri-
nuvola che si muovono nel cielo della tua Consapevolezza, tu sei
colui che guarda, non colui che pensa.

127
Lavorare con la mente (ii)
capitolo settimo

Liberare i pensieri

Lasciar andare le distrazioni, portare l’attenzione a un punto di fo-


calizzazione e testimoniare il sorgere dei pensieri e delle immagini
sono tecniche di base nell’allenamento della mente. Il solo proble-
ma è che essi possono farci impigliare in un sottile senso di dualità:
quando si cerca di disciplinare i pensieri, spesso li si vede come av-
versari. Allora la meditazione può trasformarsi in una battaglia tra la
nostra ricerca di quiete e la mente stessa, che speriamo di persuadere
alla calma. In questo modo si perde la relazione con il nostro pae-
saggio interiore.
La pratica somma per gestire la mente è lasciarla essere. Non per-
mettere che ci prenda per il naso, ma lasciarla essere: una tattica che
diventa possibile solo quando capiamo ciò che davvero è.
Che cos’è, dunque? Secondo il tantra, il fenomeno che speri-
mentiamo come “mente” è in realtà una sorta di sottile e vibrante
energia. Anzi, un oceano di energia, nel quale onde di pensieri ed
emozioni si manifestano e si inabissano. I nostri pensieri e le no-
stre sensazioni – quelli difficili, negativi,
ossessivi, come pure quelli tranquilli e Hai perso di vista la
mente originaria e,
intelligenti – sono tutti fatti della stessa
vedendo i pensieri,
“sostanza” sottile, invisibile, altamen- la mente discriminante,
te dinamica. Si tratta di un’energia così prendi ciò per
evanescente che si può dissolvere in un tuo. Ma quella non è
attimo, e tuttavia così potente da creare la tua vera mente.
“storie” che ci condizionano per tutta la sutra of perfect wisdom

129
la meditazione per amore

vita. Il segreto rivelato dai saggi tantrici è che se sappiamo ricono-


scere i pensieri per quel che sono – se siamo capaci di vedere che
un pensiero non è altro che energia mentale – essi la smetteranno di
disturbarci: ciò non significa che cesseranno, ma che noi non sare-
mo più alla loro mercé.
Una delle scoperte più esaltanti della ricerca contemporanea sul
cervello è stata quella che ci ha portato a individuarne l’intrinseca
plasticità: i neuroscienziati hanno osservato a lungo che i neuroni
e i loro dendriti – le strutture fisiche alla base del pensiero e della
percezione – agiscono insieme per creare schemi cerebrali, che noi
sperimentiamo come pensieri e sensazioni. Ciò che hanno scoper-
to di recente è che questa produzione di modelli è profondamente
fluida, plastica e malleabile. Anche schemi profondamente radicati
possono essere cambiati attraverso metodiche come il cognitive shifting
e soprattutto con la meditazione.
Naturalmente i saggi tantrici non avevano accesso alla fMRI (riso-
nanza magnetica funzionale, NdT) e non sapevano nulla di neuroni
e dendriti… ma avevano una visione del perché la fluidità e la creati-
vità della mente umana siano essenzialmente illimitate. Riconobbero
l’energia della mente umana – la consapevolezza – come una for-
ma contratta, miniaturizzata della grande Coscienza dell’universo, la
stessa mente cosmica. Nel mondo dei quanti, l’energia può apparire
sia come particella che come onda: potremmo dire che la mente
individuale è un’onda nell’oceano della coscienza, mentre ogni pen-
siero ne è una particella.
Proprio come le onde, le correnti e le bolle d’aria si manifestano
nell’oceano senza mai abbandonarlo, la nostra mente assume i colori
unici dei pensieri individuali, delle percezioni, delle tendenze e delle
memorie, ma non smette mai di essere una cosa sola con l’oceanica
intelligenza d’amore che è la sorgente di tutto il fenomeno. La po-
tenza di una singola onda è la potenza dell’oceano. Il potere della
mente è il potere della stessa Coscienza.
Come menzionato in precedenza, la parola sanscrita per la nostra

130
lavorare con la mente (ii). liberare i pensieri

coscienza individuale – la mente – è chitta; la parola per la Coscienza


universale è chiti. (Chiti è anche un altro termine per shakti o kunda-
lini). Entrambi i termini, chiti e chitta, vengono dalla radice chit, che
significa Consapevolezza o Coscienza – ma non nel senso limitato in cui
normalmente usiamo il termine “coscienza” in occidente. Chit è la
Coscienza come assoluta intelligenza, un’intelligenza che è illimitata
nella conoscenza e nella creatività, onnipresente e colma di beatitu-
dine, con la capacità sconfinata di divenire tutto ciò che vuole. In
breve, Coscienza come la forza creatrice dell’universo.
In sanscrito, la radice di un termine descrive la sua essenza: l’es-
senza di chitta – la coscienza individuale – è la stessa di chiti, l’im-
mensa intelligenza creatrice dell’universo. La sola differenza è nella
scala: chiti è senza confini, libera, onnipotente; è capace di creare
e dissolvere pianeti solidi, stelle, galassie, anemoni marini e porco-
spini. Chitta, invece, è limitata, contratta e relativamente impotente.
Ciò nondimeno, chitta fa esattamente la stessa cosa di chiti. Anche
operando su piccola scala, l’essenza-coscienza della nostra mente
continua a creare incessantemente. Proprio come chiti crea territori,
persone, pianeti e sistemi solari e li fa funzionare, chitta crea idee,
pensieri, fantasie e umori, per non parlare di romanzi, poesia, siste-
mi filosofici, disegni per costruzioni, concerti per pianoforte, pro-
grammi di software e anche birichinate.
Se si potesse riconoscere questa verità sulla mente, la lasceremmo
immediatamente libera di espandersi verso la sua originaria vastità:
in breve, la nostra chitta comincerebbe a emergere dal suo travesti-
mento e a rivelarsi come chiti. Le ramificazioni di questa verità sono
letteralmente stupefacenti, ma saremo in grado di avvertirle solo se
cominceremo a praticare questa consapevolezza.

I pensieri non sono altro che coscienza


Quand’ero una principiante e mi sentivo completamente vittima dei
miei pensieri, vagabondi e incontrollabili, questo insegnamento mi
offrì un primo indizio sulla possibile esistenza di un sentiero at-

131
la meditazione per amore

L’Essenza della Mente traverso la boscaglia dei miei dialoghi


è come il cielo; mentali. Avevo guardato ai pensieri
a volte è oscurata dalle nuvole come nemici – soprattutto quelli nega-
del flusso del Pensiero. tivi: i rabbiosi, gli irriverenti, gli irreli-
Poi il vento giosi. Ma accadde qualcosa di radicale
dell’insegnamento
quando scoprii che potevo osservarli
del Guru interiore
soffia via il banco di nubi; tutti – sia quelli difficili, negativi, avidi
tuttavia il flusso del Pensiero che quelli pacifici, amorevoli e brillanti
stesso è l’illuminazione. – semplicemente come costruzioni del-
L’Esperienza è così la stessa “sostanza” sottile, invisibile,
naturale come la luce fortemente dinamica. Per la prima vol-
del sole e della luna; ta in vita mia fui capace di non farmi
eppure è oltre attrarre dal contenuto di un pensiero.
lo spazio e il tempo. Il mio vicino di casa, che ha cinque
milarepa
anni, per colazione mangia Froot Loops
(cereali ai frutti, multicolori, NdT), ma solo quelli rossi… e non vuole
toccare quelli verdi, perché non capisce ancora che sia i rossi sia i
verdi sono fatti della stessa materia zuccherina. Allo stesso modo, noi
siamo così raggirati dalle storie che ci raccontano i nostri pensieri –
con il loro contenuto – che trascuriamo di guardare cosa c’è davvero
dentro un pensiero. Faccio spesso un esercizio con gli studenti: chiedo
loro di immaginare una sedia e poi “guardare” la figura della sedia
che si è creata nella loro mente. Poi chiedo loro di che cosa è fatta la
sedia. Molti rispondono “legno” o “metallo”. Ci vuole un momen-
to perché riconoscano che la sedia nella loro mente non ha affatto
sostanza, ma che è fatta di energia, un’energia che la loro mente ha
plasmato in un particolare modello.
Una volta che si è potuto vedere che la sedia formata nella mente
è fatta della stessa sostanza della nostra energia mentale, allora si
può dissolvere quell’immagine, proprio come lo si può fare con una
fantasia che ci distrae o anche con una memoria particolarmente do-
lorosa. È possibile anche lasciare che l’energia che produce i pensieri
nella mente si riposi nella sua sottostante sostanza, per decostruirsi e

132
lavorare con la mente (ii). liberare i pensieri

divenire naturalmente libera e sciolta. Essere in grado di riconoscer-


lo significa liberarsi dalla tirannia dei pensieri.
Forse adesso vuoi provare.
Chiudi gli occhi e osserva i pensieri che attraversano la tua mente.
Ora creane uno – una spiaggia o il nome di qualcuno che ti piace.
Mantienilo per qualche secondo. Adesso focalizzati sulla sua so-
stanza. Osserva lo spazio energetico che crea nella tua mente. Se ti
piace, puoi dargli un’etichetta: “energia” oppure “sostanza del pen-
siero” nello stesso modo, se pratichi la meditazione della consape-
volezza, puoi chiamarlo “pensare”. Adesso osserva cosa gli accade
dopo che l’hai riconosciuto come energia.
Per molti questa pratica ha un effetto quasi magico sulla medita-
zione: prima di tutto, tende a dissolvere l’atteggiamento conflittuale
e preoccupato che spesso abbiamo verso i pensieri; ancora più sor-
prendentemente, gli stessi pensieri tendono a dissolversi. Dopo aver
meditato qualche tempo con la comprensione che i pensieri sono
Coscienza, potrebbe essere difficile trovarne uno, poiché essi si sa-
ranno sciolti nell’energia che era la loro sostanza, proprio come una
nuvola si scioglie nel cielo.

La mente è la Dea
La pratica di riconoscere i pensieri come energia diventa partico-
larmente “succosa” se facciamo il passo ulteriore di guardarli come
fecero i saggi del Kashmir: adorarli come le manifestazioni della
danzatrice divina, di shakti, la Dea Coscienza. Una delle sfaccetta-
ture più significative della metafisica indiana è l’aver capito che lo
spirito è completamente impersonale e senza forma – e allo stesso
tempo totalmente capace di prendere una forma personale. Poiché
lo avevano compreso, i vecchi saggi – anche i più anti-dualistici tra
loro – poterono praticare la devozione per relazionarsi con il divino.
Quando pensiamo all’energia che crea il mondo, la shakti, come a
una forza astratta, può sembrare fantastica ma inavvicinabile. Pen-
siamo alla stessa energia come a una divinità, invece, e improvvisa-

133
la meditazione per amore

mente l’intera situazione diverrà più personale e giocosa: una dea si


può pregare, le si può parlare, la si può onorare e amare. Quando
pensiamo all’energia della mente come a
O mente fluttuante, una “persona” divina, possiamo entrare
desta la tua consapevolezza
in relazione con lei. Una relazione, anzi,
che scorre verso l’alto.
Divieni la sublime
diventa imperativa.
Dea guerriera Kali, Prova per un momento: pensa la tua
che avanza con leggiadro mente, straordinariamente potente, come
potere attraverso i vasti una gloriosa entità femminile, una dea
territori del corpo… che ha dimenticato di esserlo e vaga col-
Lei non è altro che lezionando stracci e bottiglie nel mucchio
primordiale beatitudine, di rottami dei pensieri, accatastandoli con
questo grande cigno ossessione, masticandoli come ossa per
che si muove con leggerezza sputarli poi verso di te.
nella giungla di loto Agisce un po’ da selvaggia, ma chi può
del corpo sottile.
biasimarla? Dopo tutto, anche se ha di-
ramprasad
menticato la propria identità, sa di essere
qualcuno di veramente importante, e non comprende perché non
viene trattata con il rispetto che merita. Possiamo immaginare come
si debba sentire una così grande divinità quando diventiamo impa-
zienti con lei, quando respingiamo i pensieri, quando la trattiamo
come un nemico… o quando ci comportiamo come la debole vit-
tima di ogni pensiero vagante, di ogni fantasia? Com’è naturale, si
offende per la nostra durezza e ci sfugge selvaggia se ci arrendiamo
umilmente a lei. Entrambi questi atteggiamenti verso la mente, sem-
plicemente, incoraggiano la dea a dimostrare il suo potere creativo
in ogni sorta di modo vano.
Quando invece prendiamo in considerazione l’idea che la shakti
stia danzando nella forma della mente, è come se liberassimo la dea:
allora ella può rivelarsi nella sua vera essenza ed espandersi nella sua
forma originaria. È come la leggenda del principe e della principessa
incantati delle vecchie fiabe che vengono liberati da un istante di ri-
conoscimento. Una delle mie versioni preferite di questa situazione

134
lavorare con la mente (ii). liberare i pensieri

archetipica si trova nelle storie del ciclo arturiano, ed è la storia della


vecchia Dama Ragnell.
La storia della Dama Ragnell comincia con un’imboscata. Re Artù
viaggia da solo nella foresta quando viene sorpreso da un cavaliere
nero che lo disarciona e lo fa suo prigioniero. Invece di trattenerlo
per il riscatto, il cavaliere propone un patto: egli porrà un indovinello
e il re avrà una settimana per rispondere. Se dovesse fallire, l’intero
regno passerà al cavaliere.
La domanda è questa: “Cosa vuole davvero una donna?”. Come
molti altri uomini nel corso dei secoli, Artù non trova un indizio.
Mentre si allontana, però, viene avvicinato da una vecchia strega
che si appende alle briglie del suo cavallo e insiste perché si fermi e
la ascolti. È brutta da far paura: gobba, coperta di verruche e calva,
tranne qualche ciocca grigia che le spunta dalla sommità del cranio.
Cammina come un’anatra e la sua voce è una via di mezzo tra una
risata e uno strillo. “Sono la Dama Ragnell” gracchia. “Posso darti la
risposta all’indovinello del cavaliere, se accetti il mio prezzo.”
“Qualsiasi prezzo” dice Artù con un sospiro. “Qualsiasi cosa è
meglio che consegnare il mio regno a quel miserabile.”
“Allora promettimi la mano di Sir Gawain” ridacchia la vecchia.
Artù esita per un attimo, soppesando il destino del regno contro
la prospettiva di rovinare la vita del suo amico Gawain, ma poi sce-
glie il regno.
“Se puoi sciogliere l’enigma” esclama, “Gawain è tuo.”
“Un indovinello così semplice” gli risponde la Dama Ragnell,
“dovrebbe essere ovvio: ciò che una donna vuole è averla vinta!”
Come previsto, questa risulta essere la risposta corretta: il regno
è salvo, e Gawain, che è un suddito leale, accetta di concludere il
matrimonio.
Quando arriva il giorno, nella cappella del palazzo egli incontra la
Dama Ragnell: nell’abito da sposa sembra uno scheletro rivestito. Le
dame della corte scoppiano in lacrime, quando vedono la donna che il
nobile cavaliere sta per sposare, ma Gawain, che è un modello di cor-

135
la meditazione per amore

tesia, non dà segni di afflizione. Dopo la cerimonia, però, scortata la


sposa alla sua camera, le augura buona notte e si volta per andarsene.
“Non così in fretta” gracida la vecchia. “Oggi mi hai sposata e,
perdio, stanotte mi porterai a letto.”
Gawain è sconvolto, ma ancora una volta le sue buone maniere
non vengono meno: con un profondo sospiro, prende la vecchia tra
le braccia e la bacia… e appena le sue labbra la sfiorano, accade un
miracolo: la figura gobba piena di verruche della Dama sparisce ed
ella si rivela di una bellezza sbalorditiva, la vera incarnazione dell’i-
deale femminile di un cavaliere medioevale.
“Tu mi hai salvata” dice a Gawain, guardandolo attraverso le
lunghe ciglia ricurve. “Ero sotto un incantesimo che poteva essere
sciolto solo dal bacio di un gentile cavaliere. Ora sono libera di esse-
re bella, ma solo per mezza parte del dì. Marito, cosa preferisci? Mi
vuoi avere bella di giorno oppure di notte?”
Gawain è combattuto: se la donna rimane bella di notte, egli do-
vrà guardare Dama Ragnell tutto il giorno; ma se resta bella solo di
giorno, nel suo letto la notte avrà la vecchia megera. “Non so cosa
fare” le risponde. “Scegli tu.”
“Ah” esclama sua moglie, “adesso mi hai liberata completamente:
dando a me la possibilità di scegliere, mi hai permesso di essere bella
tutte le ventiquattro ore!”
Questo è ciò che facciamo per la mente quando riconosciamo la
bella dea Chiti sotto la pelle dei pensieri: la lasciamo libera di rivelare
la bellezza e il potere che essi nascondono. Fu la volontà di Gawain
di trattare la sua brutta moglie con gentilezza a fare la differenza.
Allo stesso modo, il nostro rispetto per la dea-nella-mente le per-
mette di rivelare la sua dolcezza e la sua gloria.

Disarmare i pensieri negativi


Questa pratica risulta facile con i pensieri più usuali, casuali; diventa
più problematica invece quando i pensieri riguardano qualcosa che
si desidera intensamente oppure sono negativi o sgraditi. I pensieri

136
lavorare con la mente (ii). liberare i pensieri

Esercizio: vedere la mente come Shakti,


l’energia della creazione

Siedi in una posizione comoda e chiudi gli occhi. Permetti alla tua at-
tenzione di centrarsi sul respiro. Facendolo, di’ a te stesso: “Il mio re-
spiro è la manifestazione di shakti, l’energia divina della creazione”.
Ogni volta che un pensiero si manifesta, ripeti a te stesso: “Onoro
questo pensiero come un aspetto della Dea Coscienza. Onoro que-
sto pensiero come shakti: divina energia conscia”.
Continua per almeno dieci minuti, e nota qual è l’effetto sul flusso
dei pensieri nella mente.

negativi esercitano su di noi un potere particolare, in parte perché


tendiamo a giudicarli più duramente degli altri. Molti di noi applica-
no al contenuto della mente un criterio segreto: giudichiamo accet-
tabile ciò che si adatta all’immagine che abbiamo di noi stessi come
brave persone mature, intelligenti, di animo gentile; altri pensieri
invece contengono un carico di negatività troppo elevato per noi,
oppure ci rivelano che siamo meno evoluti o amorevoli di quanto ci
piacerebbe essere. Questi ultimi noi li giudichiamo, e facciamo del
nostro meglio per allontanarli.
Per i meditanti, l’abitudine di giudicare il contenuto della mente è
una malattia congenita: è una delle manifestazioni più insidiose del
giudice interiore, la spaventosa figura del genitore che molti di noi
trattengono in sé e le cui critiche fulminanti confondiamo spesso
con la voce di Dio. Questo arbitro interno si solleva in moralisti-
ca condanna di tutto ciò che sembra debole,
Un pensiero distorto
immaturo o “cattivo” e monta costantemente
e siamo tutti noiosi e
la guardia per mettere in evidenza la nostra ordinari. Ma con
generale inadeguatezza. Il giudice interiore è il pensiero successivo
colui che ci ha convinti che avere pensieri ne- risvegliato, siamo
gativi ci renda persone cattive. saggi come Buddha.
Ma dal punto di vista non-duale, anche i hui-neng

137
la meditazione per amore

pensieri negativi sono manifestazioni della shakti. Anche i nostri


sentimenti peggiori – la gelosia, la rabbia, l’odio – sono creati dalla
Dea. L’ansia, la paura, le memorie dolorose, sono tutte onde che ap-
paiono nella Coscienza, tutte sono forme e figure della grande dan-
za della Dea. Se possiamo comprendere che un pensiero o un’im-
magine – qualunque essa sia – è solo una bolla, un’onda che sorge
dal mare della Coscienza, allora anche il pensiero più imbarazzante,
timoroso, ostile, spaventoso, non ci disturba. La Coscienza è così
creativa che può trasformarsi in un attimo da uno stato di contra-
zione e rigida negatività in uno di espansione e amore. Proprio come
può manifestare ogni pensiero, la dea Chiti può lasciarlo cadere: il
momento in cui riconosciamo genuinamente un pensiero, un’emo-
zione come parte della nostra Coscienza, automaticamente esso si
riassorbe nel suo stato originario.
Ecco un paio di esempi: mi applico alla scrittura la mattina presto,
dopo una lunga sessione di meditazione. Poiché sono impegnata
nel processo di scrittura, la mia mente in
Dovunque vada la mente, questi giorni è affaccendata e piena di idee,
sia verso l’interno ed è mossa da una spinta compulsiva che io
che verso il mondo esterno, riconosco come creatività. Questa urgen-
ovunque c’è il divino.
za, purtroppo, spesso deraglia in irritazio-
Poiché il divino
è in ogni luogo, ne, ansia e paura. Questa mattina, mentre
dove può andare sedevo in meditazione, ho cominciato a
la mente per evitarlo? focalizzarmi sul respiro, fondendo la mia
vijnana bhairava consapevolezza con le sue pause. Di solito,
dopo un momento cominciano a prolun-
garsi e io scivolo in uno stato di spaziosità che identifico con il Sé,
la mia libera Coscienza. Oggi, invece, lo spazio era agitato, come un
oceano in tempesta. L’energia era intensa e burrascosa, quasi sgra-
devole. Poi, nel mezzo dell’oceano, è apparsa un’onda di ansia op-
primente che ha preso la forma di parole… qualcosa come: “O mio
dio, la struttura, la struttura – non ho impostato la struttura”.
In quel momento, ho sperimentato un lampo di riconoscimento:

138
lavorare con la mente (ii). liberare i pensieri

ho visto che l’ansia era solo energia e che le parole ne erano le forme.
In breve, ho capito che non dovevo prestare attenzione al contenuto
del pensiero. Invece, ho focalizzato la mia attenzione sul fascio di
energia rappresentato dall’ansia e dalla sua espressione verbale. L’ho
guardato, l’ho riconosciuto e in quell’istante si è dissolto imploden-
do in se stesso. La superficie della mia Coscienza si è trasformata in
una beatitudine spessa, palpabile, un mare ondulato di energia.
Talvolta, naturalmente, i pensieri opprimenti che emergono in
meditazione sono messaggi che necessitano di attenzione. Se si ha
la percezione che è così, probabilmente è vero. Però bisogna fare
in modo che questo non ci svii: prendiamo nota del pensiero, pro-
mettiamo a noi stessi che gli presteremo attenzione più tardi, poi
torniamo in meditazione. Se sembra davvero importante, scriviamo-
lo; teniamo una penna e un quadernetto per le intuizioni che non
vogliamo dimenticare. Quando vengono a galla, io prendo la penna,
scarabocchio un promemoria e ritorno in meditazione.

Lavorare con le emozioni intense


Dopo aver scoperto come dissolvere pensieri e sensazioni nell’ener-
gia che li ha originati, non solo abbiamo imparato il segreto di trat-
tare con essi, ma abbiamo anche un modo per lavorare con i carichi
realmente pesanti: gli stati emotivi intensi. A volte le persone dicono
di aver paura di meditare, perché le loro pesanti emozioni vengono
a galla e le colgono di sorpresa non appena chiudono gli occhi. Di
solito si scopre che sono sedute su di un cumulo di sentimenti non
elaborati, che trovano inaccettabili e pertanto soverchianti.
È possibile rendere più sicuro questo processo lasciando che i
sentimenti emergano in meditazione, se si presta parte dell’atten-
zione alla Coscienza più ampia, il nostro “vero” Sé, la pura Consa-
pevolezza. Poi, quando le emozioni forti si manifestano, possiamo
riconoscerle, tenerle in questo spazio interiore e lasciare che la Co-
scienza le dissolva. Se abbiamo paura, o siamo afflitti, oppure siamo
invasi dalla rabbia, dalla gelosia, dall’ansia, la Consapevolezza può

139
la meditazione per amore

divenire sia una culla in cui accogliere i nostri sentimenti, sia un


calderone in cui dissolverli: questo è uno degli apprendimenti più
importanti che possiamo offrire a noi stessi durante la meditazione.
Quando avremo imparato, non avremo più paura dei nostri senti-
menti: non vi è nulla che non si possa gestire, neppure gli eventi
della vita più estremi e scioccanti.

Il crogiolo della consapevolezza


Qualche anno fa una mia amica fu presa in contropiede dall’annun-
cio che suo marito si era innamorato di un’altra e voleva il divorzio.
Lo amava, non aveva mai sospettato che nel suo matrimonio ci fosse
qualcosa di sbagliato. Sentimenti di dolore, rabbia, insicurezza, diffi-
denza, tradimento e confusione fecero irruzione in lei. Comprensi-
bilmente, sembravano quasi incontenibili.
Soprattutto la meditazione era difficoltosa, poiché allora non ave-
va nulla che la distogliesse dalle emozioni che si agitavano nella sua
mente. Alla fine si risolse a mettersi seduta senza cercare di scacciar-
le. Si permise di percepire la bruciante sensazione di rabbia e osser-
vare quanto rendesse caldo il suo petto e
Quando sei intensamente rapido il suo respiro, di sentire quanto for-
arrabbiato o senti gioia te premesse la sofferenza dietro agli occhi,
oltre ogni descrizione, per far uscire le lacrime. Osservò le sue esi-
quando sei ad bizioni interiori di tradimento e vendetta
un’impasse, non sai fino a che conobbe ogni parola.
cosa fare, quando Un giorno, mentre meditava barcol-
sei nel terrore o lando sotto l’assalto dei sentimenti, im-
corri per salvarti la vita,
provvisamente divenne consapevole della
sai che tali intensi
propria Consapevolezza e poté percepire
stati della mente sono
pienamente permeati di come essa circondasse e contenesse i suoi
spanda, la vibrazione pensieri. Poi comparve un’immagine: vide
creatrice della divina un vecchio scaldaletto fuori moda. Capì
shakti. Trovala lì. che rappresentava proprio la sua Consa-
spanda karika pevolezza… e avrebbe potuto contenere

140
lavorare con la mente (ii). liberare i pensieri

i suoi sentimenti “roventi” come uno scaldaletto può contenere


carbone ardente.
Lasciò che le sue emozioni stessero lì, si permise di sentirle in-
sieme con tutte le sensazioni fisiche loro associate, racchiuse dalla
sua Consapevolezza. Dopo un po’ cominciarono a dissolversi len-
tamente, come se si sciogliessero nella Consapevolezza. Quando si
alzò, si sentì libera per parecchie ore.
Ogni giorno da allora sedette in meditazione, e seguì lo stesso
percorso. Facendolo, le si rivelarono diversi strati di dolore; vide
che questo nuovo era alimentato e sostenuto da altre più vecchie
sensazioni di perdita, ferita e rabbia. A volte, quando le memorie
dell’infanzia comparivano come lampi, il suo respiro cambiava. Vide
anche scene che sembravano sguardi su vite precedenti. Tenendo
tutto nella Coscienza, alla fine ogni strato si dissolse. Dopo numero-
se settimane di queste meditazioni giornaliere, scoprì che non solo
aveva elaborato la rabbia e la ferita per l’abbandono del marito, ma si
era anche liberata di una sottile tristezza che aveva controllato i suoi
stati d’animo da sotto la superficie. Strati su strati di vecchie ferite,
rabbie e sofferenze si erano dissolti.
È pur vero che questo processo non è facile; per affrontarlo ci
vuole coraggio. La chiave è lasciar andare il contenuto dei senti-
menti, la trama del proprio dramma personale e focalizzarsi prima
sulla sensazione in sé e poi sulla sua energia. Quando si impara a
praticarlo in meditazione, si arriva al punto in cui lo si può fare in
azione. Quando rabbia, gelosia o dolore emergeranno, noi sapremo
accoglierli nella Consapevolezza e lasceremo che i limiti della pesan-
te energia emotiva si dissolvano nella Sua, ampia e calma.

Tutte le cose hanno origine dalla nostra coscienza


Osservando il contenuto dei nostri pensieri negativi e delle emozioni
intense, e guardando nell’energia che è la loro essenza, alla fine co-
minciamo a vedere noi stessi in un modo profondamente liberatorio.
Capiamo che tutto ciò che appare in meditazione – ogni singola cosa

141
la meditazione per amore

Esercizio: permetti alla tua Coscienza


di dissolvere le emozioni intense

Siedi in una posizione comoda, eretta, e chiudi gli occhi. Focalizzati


sul flusso del respiro, permettigli di portare la tua attenzione nel cen-
tro del cuore, il luogo dove l’inspirazione arriva per riposare. Non è il
cuore fisico, ma un centro sottile, collocato al centro del corpo, sotto
lo sterno a 10-12 cm (a circa otto dita di larghezza) sotto la clavicola.
Entra nello spazio nel centro del cuore. Lascia che si espanda con il
respiro, si ammorbidisca e si estenda.
Mantenendo la consapevolezza in questo spazio, ricorda una situa-
zione che riporti un sentimento intenso, come rabbia, dolore, or-
goglio, paura, desiderio. Se non ci sono situazioni correnti, cerca di
ricordare un’esperienza passata. (Si può praticare l’esercizio con il
ricordo di un’emozione, anche se può non essere così potente come
con qualcosa in atto.)
Mentre l’emozione riempie la tua mente, abbandona i pensieri che
la riguardano. Molla la trama, la drammaticità, la tendenza a essere
ossessionata dalle situazioni che la scatenano. Focalizzati puramente
sulla sua energia, sulla sensazione che dà all’interno del corpo. Dov’è
localizzata? Nella testa, nel cuore, nella pancia, o altrove? Che sensa-
zioni osservi? C’è calore? Asprezza? Pesantezza? Che altro?
Mentre ti focalizzi sull’esperienza di sentire la tua emozione, simulta-
neamente divieni consapevole dello spazio del cuore, il campo della
Consapevolezza che contiene i sentimenti. Mantieni il tuo sentire
nello spazio del cuore come se lo stessi cullando.
Stai con l’emozione, senti la sua energia mentre contemporaneamen-
te mantieni la focalizzazione sulla spaziosità del cuore che si amplia
sempre più.
Siedi fino a che l’energia dell’emozione si dissolve nella Consapevolezza.

– è pura shakti, pura Coscienza. Ogni immagine, ogni pensiero, ogni


sentimento: tutto è fatto di energia; il pensiero più brutto, più spaven-
toso è Coscienza come la visione più bella. In definitiva tutto, anche
l’esperienza interiore più squisita, si deve dissolvere nella Coscienza.

142
lavorare con la mente (ii). liberare i pensieri

Nella tradizione tantrica tibetana, ai praticanti più progrediti viene


affidato il compito di meditare su una divinità particolare: devono
visualizzarla e darle una forma all’interno della propria coscienza.
L’idea è diventare così esperti nella visualizzazione che alla fine si
vedrà la divinità uscire dalla mente, dov’era, e apparire davanti al
praticante in una forma che si muove e parla.
Praticanti esperti di questa visualizzazione difficile e complessa
riferiscono che è possibile far sì che la divinità appaia davvero, per-
ché la Coscienza è infinitamente creativa. Quando ci focalizziamo
su qualcosa con sufficiente intenzione, nella nostra mente quella di-
venta un’entità reale; la sostanza della mente prende quella forma
e dà realtà all’oggetto focalizzato. il resto dipende da che genere di
oggetto, da che esperienza se ne ha.
Ogni esperienza è fatta da tutt’un insieme di pensieri, senti-
menti, immagini e sensazioni corporee. Quando la forma su cui
ci si focalizza è negativa – il pensiero di un
La tua mente è
commento privo di tatto che qualcuno ci ha
in origine pura e
rivolto ieri oppure le ultime notizie sul riscal-
vuota come il cielo.
damento globale – si sperimentano sentimenti Per sapere se questo
di rabbia, tristezza o paura; il cuore si chiude, è vero o no, guarda
il petto si stringe; dietro agli occhi si sente la dentro la tua mente.
pressione delle lacrime trattenute, il respiro si padmasambhava
agita per il risentimento che si ha dentro. La
nostra coscienza si contrae intorno a quel sentimento come una
mano si contrae a pugno e, prima che ce ne accorgiamo, l’intero
nostro mondo è divenuto triste o rabbioso. Un pensiero negativo
crea emozioni e tensione nel corpo e colpisce sempre il sistema
immunitario.
Allo stesso modo, quando ci si focalizza su un mantra, su un sen-
tiero positivo o amorevole, oppure su una meditazione visiva come
una fiamma o la forma di una divinità, questa forma crea il suo com-
plesso di pensieri e sentimenti: di solito amore, venerazione, felicità,
distensione e pienezza. Molti di noi, naturalmente, preferiscono l’in-

143
la meditazione per amore

sieme che viene con i pensieri e le immagini positive, non quello che
associamo ai pensieri negativi.
Tuttavia, anche la forma o l’immagine più bella alla fine devono
dissolversi nella Coscienza. Questo è l’obiettivo dell’esercizio tibe-
tano con la divinità. Dopo che il meditante ha reso la divinità abba-
stanza reale da farla apparire, dovrebbe deliberatamente lasciare che
si dissolva nella propria Consapevolezza. Il sommo scopo dell’eser-
cizio è rivelare che tutto, incluse le forme divine amate dal popolo, è
all’interno della nostra Coscienza e in realtà ne è una manifestazio-
ne. Come dicono i saggi del Vedanta: “Tutto esiste perché tu esisti.
Tutto è nel tuo Sé”.
Il tantra ci ricorda che qualsiasi sia l’oggetto su cui scegliamo di
meditare, in qualunque modo decidiamo di farlo, dovremmo farlo
con questa comprensione: tutti i pensieri, i sentimenti e le immagini,
tutte le emozioni e le forme su cui ci concentriamo in meditazione
sono fatti di Coscienza, di shakti. Sono manifestazioni dell’energia
sotterranea, della shakti che trabocca in noi.
Quando cominciamo ad accogliere questa verità, siamo vicini al
cuore della meditazione, anzi siamo pronti per seguire l’esempio di
Sir Gawain.
Siamo pronti a lasciare che la Shakti ci mostri come vuole medi-
tare.

144
Lasciare che la Shakti conduca
capitolo ottavo

Qualche anno fa, un’amica mi chiese di passare un pomeriggio a me-


ditare con lei. Viveva un momento difficile con la sua pratica e spe-
rava che io potessi aiutarla a trovare un modo per darle una spinta.
“Qual è il problema?” le chiesi.
“Non lo so: penso che il mio cuore sia arido” rispose. “Lì non vi
è energia.”
“Dove la senti?” domandai.
Chiuse gli occhi per un minuto e poi rispose: “C’è una sorta di
pressione tra le sopracciglia. Diventa più intensa quando chiudo gli
occhi.”
“Perché non cerchi di focalizzarti in quel punto?” le proposi. “Stai
in quell’energia e cerca di inspirare ed espirare da lì.”
Mezz’ora dopo aprì gli occhi.
“Com’è stato?” chiesi.
“Favoloso” rispose. “Ho cominciato a respirare in quell’energia
e dopo un attimo si è dilatata: ero in un pascolo di luce smeraldina
e il sole era così splendente che faticavo
a guardarlo. Poi è divenuto immenso e io Sebbene kundalini
splenda brillante come
ero proprio nella luce. È stato grandioso.”
un lampo in ogni
In quel momento mi sentii come se mi individuo, tuttavia è solo
avessero rivelato il segreto supremo della nei cuori degli yogi che
meditazione. “È ovvio” pensai, “Trova essa si rivela e
dove l’energia è attiva e lasciati guidare.” danza nella propria gioia.
Permettiamo all’energia del corpo di de- sharada tilaka

145
la meditazione per amore

terminare come meditiamo: in questo modo, kundalini, l’energia


spirituale, la Presenza risvegliata che è in noi, sosterrà e stimolerà
qualsiasi cosa facciamo.
Questa, come molto di ciò che ho scoperto durante i miei viaggi
nei territori interiori, non è un’idea nuova: era una di quelle basilari
del nucleo di insegnamenti ricevuti all’inizio del mio percorso. Nella
tradizione tantrica, quando la meditazione si dispiega naturalmente,
è il segno che kundalini è risvegliata. Accade in modo diverso per
tutti e il suo realizzarsi è spesso molto sottile, tanto che dobbiamo
essere molto attenti per sintonizzarci con esso. Dopo la conversa-
zione con la mia amica, capii che da tempo pensavo di indagare su
come la shakti kundalini operasse in me.
Naturalmente, ho sempre sentito la sua presenza, specialmente
quando in meditazione prendeva il mio posto e dissolveva i pensieri
nello stato emergente del testimone o mi spingeva in una posizione
di hatha yoga e mi teneva lì, oppure trasformava la mia coscienza
in un tale oceano di felicità che non c’era bisogno di nessun aiuto
per entrarvi. Osservavo come dava impeto a certe pratiche e dava
vita agli insegnamenti perché divenissero esperienze. Tuttavia, allo
stesso tempo tendevo a darla per scontata, come da bambina davo
per scontato che mia madre cucinasse per me o prendesse gli ap-
puntamenti dal dentista. L’unica cosa che non mi era mai capitata
era di chiedere alla mia energia interiore dove volesse condurmi e di
seguire la sua guida.
Quando la kundalini si risveglia in noi, ecco cosa siamo invitati
costantemente a fare: trasferirci dalle tecniche alla dolce e misteriosa
espansione della meditazione spontanea. La nostra meditazione si ap-
profondisce e si apre nel momento esatto in cui prestiamo attenzione
ai segnali della shakti e le permettiamo di guidare la nostra pratica.
Cosa significa davvero lasciare che la kundalini guidi? Forse diven-
tare passivi, sedersi e attendere che qualcosa capiti? Oppure c’è un
modo attivo per lavorare con lei, per seguirla, come un partner nella
danza? Oltre a osservare i passi di base della meditazione – sedere,

146
lasciare che la shakti conduca

dirigere l’attenzione all’interno e invocare la grazia – cosa dobbiamo


fare per entrare in una relazione corretta con la nostra shakti?
Come sempre, è un problema di attenzione: per danzare o fluire
con kundalini, dobbiamo mantenerci in sintonia con la sensazione
corporea della shakti che si muove in noi. Kundalini pulsa e attraverso
le sue pulsazioni comunica sempre con noi, ci conduce “dentro” e ci
mostra il sentiero che ci porterà ancora più profondamente in noi.

Il linguaggio di Kundalini
La shakti interiore comunica con noi attraverso impulsi, sentimenti
e sottili sensazioni, mediante intuizioni, immagini e comprensioni.
Alcune di queste comunicazioni sono immediatamente riconoscibili
non appena ci si sintonizza con loro. Per esempio avvertendo l’ur-
genza di meditare: in momenti diversi della giornata, notiamo un
forte richiamo interiore, il desiderio di focalizzarci in noi. Questo è il
naturale desiderio di meditare, e per un meditante consapevole può
essere forte come l’impulso naturale alla fame e alla sete. L’interesse
per la corrente che scorre in noi può scattare mentre siamo alla scri-
vania o sull’autobus, e spesso si manifesta come una sensazione di
pesantezza o sonnolenza. Se non siamo attenti, possiamo pensare di
aver bisogno di un pisolino o di una tazza di caffè. Ciò di cui abbia-
mo bisogno, invece, è dar ascolto all’impulso che vuole condurci in
meditazione, anche se per un minuto o due. (Se sei in ufficio chiuditi
in bagno, o accosta la macchina sul ciglio della strada.)
Ecco alcuni dei segnali più vistosi dell’opera di kundalini: nel
campo interiore appare una luce… ci ritroviamo in modo natura-
le nello stato del testimone che osserva la propria esperienza… si
manifesta un sentimento di amore che, focalizzandoci, cresce più
forte… la consapevolezza comincia a espandersi, premendo contro
le mura energetiche che ci danno il senso del confine nei limiti del
corpo… il respiro si accelera o si ferma… scuotiamo la testa o la
muoviamo avanti e indietro… sentiamo che ci lasciamo cadere o
salire in uno stato interno differente, cambiando di “livello”… la

147
la meditazione per amore

Consapevolezza che vagava dietro la superficie della mente sembra


balzare in primo piano e appare una visione.
Altri segnali della shakti sono più sottili: una pulsazione nel cuore,
un leggero formicolio sulla fronte, una sensazione di energia su un
lato del corpo, comprendere che il man-
Ho realizzato alla fine
tra “vuole” smettere di essere ripetuto.
la vera natura di
Questi sono indizi più facili da igno-
preghiera e meditazione.
Sono semplicemente rare rispetto a quelli più marcati, perciò
il nostro gioco come desiderio spesso non riusciamo a prestar loro at-
e aspirazione. tenzione. Ciò nonostante, sono altret-
ramprasad tanto significativi: sono le nostre segna-
lazioni personali, le orme che rivelano
la direzione che la nostra shakti sta aprendo per noi. Dobbiamo
imparare a riconoscerle perché non vi è alcun codice che possa de-
scriverle.
Forse in questo momento vuoi chiudere gli occhi ed entrare in
sintonia con l’energia interna del tuo corpo.

Esercizio: sentire la Shakti

Chiudi gli occhi e permetti al corpo di mettersi in una posizione


eretta e rilassata. Volgi l’attenzione all’interno ed esamina il tuo cor-
po: dove senti le correnti energetiche ora? Come sperimenti la tua
energia interiore? Noti il suo vibrare in particolari parti del corpo?
Ci sono sentimenti associati alla sensazione di energia: tenerezza,
struggimento, desiderio? Senti una pressione, calore oppure durezza
o morbidezza? Suoni o luci? Notali e vedi se ti sono familiari.

Seguire i percorsi della Shakti


Proprio come ciascuno di noi sente le emozioni, elabora le informa-
zioni e risolve i problemi secondo il proprio stile, ognuno sperimen-
ta il mondo interiore della meditazione a modo proprio. Fino a che

148
lasciare che la shakti conduca

non riconosciamo la validità della modalità personale, dubiteremo


spesso della nostra esperienza meditativa, specialmente quando non
è conforme a quelle descritte dal nostro maestro o dai testi classici
della nostra tradizione: se ci hanno insegnato a identificare la vera
meditazione con una mente immobile, o a immaginare che significhi
avere visioni, o entrare platealmente in stati alterati di coscienza,
potremmo non tener conto di altri segnali, dei sottili movimenti di
energia e dei vari cambi d’umore e di sensibilità, che, nel mondo
interiore, sono indicatori ugualmente importanti.
I maestri del Buddismo Theravada o Zen diranno spesso di igno-
rare queste esperienze come meri fenomeni, e di andare oltre. Certa-
mente, è importante non restarvi bloccati né considerarle l’obiettivo
della pratica; ma nella tradizione tantrica, contemplativa, i fenome-
ni interiori sono presi molto sul serio. Le sensazioni di formicolio
o di pressione, di espansione di energia oltre i confini della pelle,
di cambio di temperatura, di piacere o beatitudine, le visioni, udire
suoni o anche poesie e i movimenti fisici spontanei, sono tutti segni
del processo trasformativo che sta avendo luogo al nostro interno.
Sono doni e indicatori che possono segnalare un cambio di consa-
pevolezza oppure mostrarci un sentiero da seguire.

Riconoscere i percorsi della Shakti


Tutte queste sensazioni: visuali, uditive o cinestesiche, sono manife-
stazioni di un aspetto particolare di kundalini: il suo potere di agire,
che è chiamato kriya shakti. Per questa ragione, spesso vengono chia-
mate kriya o movimenti yogici.
Ma kriya shakti non è il solo potere di kundalini: altri quattro aspet-
ti di questa potente energia risvegliata – quando kundalini diven-
ta attiva – e le loro manifestazioni, sono significativi quanto quelli
di kriya shakti. I maestri dello Shivaismo del Kashmir descrivono
queste energie come: il potere della Consapevolezza (chit shakti), il
potere della beatitudine (ananda shakti), il potere della volontà (iccha
shakti) e il potere della conoscenza (jnana shakti).

149
la meditazione per amore

L’esperienza di beatitudine Questi poteri sono inerenti all’energia


più esaltante universale, la shakti che crea e sostiene
in qualsiasi reame dell’essere la vita. Lo Shivaismo ci dice che ogni
è conoscere direttamente azione che ha luogo in questo universo è
la Madre universale, agita da uno di questi poteri della shakti.
la supremamente beata.
Ora, ecco il punto: quando kundalini
ramprasad
diviene attiva in noi, tutti questi poteri
entrano pienamente in gioco nel nostro mondo interiore. Agendo
al nostro interno, ci danno delle esperienze e ogni esperienza che
abbiamo in meditazione è causata da uno o dall’altro di questi cin-
que poteri.
Per esempio, la nostra esperienza di coscienza espansa viene dal-
la chit shakti, il potere della Consapevolezza. Chit shakti può mani-
festarsi come spontanea esperienza del testimone, oppure come la
comprensione che una sola Consapevolezza pervade ogni cosa, o
ancora, sperimentando la pura essenza, al di là del senso ordinario
di corpo e personalità.
Ananda shakti, il potere della beatitudine, si realizza in noi con
l’aumento improvviso di amore spontaneo, di contentezza e gioia,
sentendo il cuore sempre in espansione. La gioia di ananda shakti ri-
svegliata è diversa dal piacere comune, non solo perché è molto più
profonda, ma anche perché è indipendente dai nostri stati d’animo e
dalle esperienze esterne. Quando ananda shakti comincia a crescere,
siamo in grado di avvertire una pulsazione di gioia, non solo quando
le cose vanno bene, ma anche in tempi di tristezza e frustrazione.
Quando la forza di iccha shakti, il potere della divina volontà, si
muove in noi, infiamma la nostra volontà e rende più facile praticare
la disciplina dello yoga, stare focalizzati in meditazione su uno sta-
to sottile, o concentrarci su un punto. Possiamo sentirla come una
forza che attrae la mente verso l’interno, portandoci in meditazio-
ne. Alcuni dicono che quando la loro kundalini diviene attiva, una
forza interiore li porta a essere pienamente svegli un’ora prima del
solito, come se la forza stesse suggerendo che è tempo di alzarsi e

150
lasciare che la shakti conduca

meditare. Iccha shakti può manifestarsi anche come impulso-guida:


la sensazione che un’azione particolare sia giusta o sbagliata, un ri-
sveglio di coscienza o l’intuizione potente che viene in meditazione
o fuori. Un modo per imparare a entrare in sintonia con la guida di
questo potere è seguirne i segnali e osservarne i risultati fintanto che
sappiamo distinguerli dagli impulsi ordinari (e spesso inaffidabili)
che vengono dalla mente.
Jnana shakti, o potere della conoscenza, porta intuizione, com-
prensione e la sottile abilità di riconoscere cosa è vero: rivela la dif-
ferenza tra il nostro sé limitato e ciò che viene spesso chiamato il
Vero Sé, la pura consapevolezza di essere; mostra il significato delle
nostre esperienze e ci dà istruzioni, suggerimenti e comprensione
circa le verità sottili. Jnana shakti è il potere che risponde alle doman-
de che ci vengono dall’interno e, alla fine, ci permette di riconoscere
la Verità.
Di nuovo, è necessario che riconosciamo e onoriamo la forma
con cui kundalini si manifesta in noi. Un amico mi disse una volta
che aveva sempre sottovalutato la propria esperienza perché non
palpitava di luce, beatitudine ed emozione; poi un giorno si mani-
festò un’intuizione, quasi che la sua kundalini gli stesse parlando.
Diceva: “La tua strada non è quella di kriya shakti: è la strada di jnana
shakti, la via della comprensione”. Dopo questo episodio, cominciò
a riconoscere il significato delle sottili rivelazioni che spesso gli com-
parivano in meditazione. Vi si focalizzò, le contemplò e intanto che
la sua meditazione diveniva più centrata sulla Consapevolezza sotto-
stante, egli cominciò a sperimentare un contatto durevole e potente
con il suo Sé. Dopo che ebbe riconosciuto e seguito il percorso che
la shakti stava aprendo per lui, la sua meditazione si approfondì più
che nei dieci anni di pratica precedenti.
Perché così tanti hanno difficoltà a riconoscere le strade e la gui-
da che si aprono in meditazione? Una ragione è che tendiamo a
oggettivare la nostra esperienza: guardiamo alla nostra meditazio-
ne passivamente, come se fossimo al cinema. Quando le esperienze

151
la meditazione per amore

sono sottili, specialmente se sono puramente energetiche, spesso le


ignoriamo oppure le diamo per scontate; se sono grandi e intense,
le trattiamo come un compenso spirituale, come segni che qualcosa
di speciale sta accadendo e che la nostra meditazione ha successo.
In entrambi i casi, ci separiamo da esse. Potremmo essere tentati di
trattarle come una sorta di trofeo o di allontanarle, oppure di farci
prendere dall’analisi, dal cercare di indovinare cosa significano.
Invece, se prendiamo le nostre esperienze come segnali di dire-
zione che ci arrivano dalla shakti e le seguiamo, come ingressi alla
meditazione più profonda, ognuna di loro ci può portare più in pro-
fondità.

Praticare con le esperienze meditative spontanee


Supponiamo che un bagliore vi appaia davanti agli occhi: molto dol-
cemente portate lì la vostra attenzione. Non cercate di trattenerlo né
di aggrapparvi a esso perché rimanga. Gentilmente, spostate solo
più vicino la vostra attenzione (spesso, il modo migliore per far-
lo non è di osservarlo frontalmente ma guardarlo di lato). Sempre
con dolcezza, respiratevi dentro e lasciate che il respiro si unisca
alla consapevolezza, oppure esploratelo: come sembra? Qual è la
sua consistenza? Cosa vedete o sentite? Potreste anche cercare di
cambiare la vostra prospettiva: invece di sentire di essere fuori dalla
visione e di osservarla, immaginatevi dentro. Se si tratta di un suono,
immaginate di esserne circondati, immersi.
Concedere a se stessi di stare in un’esperienza permette di entrare
molto più profondamente nel territorio interiore; forse si ha la sen-
sazione che la consapevolezza si stia espandendo, ma il processo a
un certo punto si interrompe; allora possiamo soffermarci sul bor-
do di questa espansione, percependo la sottile composizione della
coscienza mentre si estende; oppure possiamo entrare nel campo
di coscienza che si distende in noi, dispiegandosi ai sensi interni. Il
modo di entrarvi è diventare quel campo.
Naturalmente, non è il sé fisico che diviene consapevolezza espan-

152
lasciare che la shakti conduca

sa: è la mente consapevole, il sé sottile. Spesso quando mi allontano


Si diventa quello identificandovisi, ri- dalla diversità per entrare
conoscendosi, per prima cosa, come in me stesso, osservo
consapevolezza, attenzione (per alcuni una meravigliosa bellezza. È
può significare liberarsi rapidamente allora che credo più
dall’identificazione col corpo, pensan- intensamente di appartenere
do: “Non sono la mia pelle, le mie ossa, a un destino più alto.
il mio sangue, i miei organi; non sono i plotino

miei sensi, il mio respiro, la mia mente, i


miei pensieri; non sono le mie emozioni o le mie sensazioni. Io sono
Consapevolezza. Io sono energia”). Poi, come consapevolezza, ci
muoviamo nel nostro campo sottile, come fossimo una palla di neve
che rotolando ne raccoglie sempre più.
Quando ci focalizziamo e procediamo sulla traccia che la shakti ci
rivela, il sentiero spesso cambia o scompare: la sensazione di energia
si amplia, o si diffonde. La luce si dissolve e il suono interiore cam-
bia tonalità, diventa una sottile pulsazione, si fonde con il silenzio o
diviene luce. Se stiamo con questa sensazione – la sensazione corpo-
rea dell’esperienza – possiamo seguirla ancora.

Invocare Shakti
Imparare a seguire la guida della shakti è una pratica così impor-
tante per entrare nel cuore della meditazione che, in alcune scuole
di tradizionale meditazione kundalini, agli
studenti viene detto di non cercare di pra- Non sei più in grado di
nasconderti o
ticare alcuna tecnica. Al contrario, di sede-
apparire lontana da me.
re semplicemente e attendere che la shakti
Essendo il mio respiro
li porti dove vuole. Per farlo con successo, e il mio essere legati al tuo
comunque, è necessario mantenersi vigili: mistero potente,
altrimenti si potrebbe finire appesi a qual- sperimento il tuo
che strascico di pensiero seducente. Si dice potere solo come mia
che la Dea abbia due visi: quello di maya, forza inviolata.
che crea separazione e identificazione con ramprasad

153
la meditazione per amore

Esercizio: seguire una pulsazione di energia

Supponi, per esempio, che cominci a notare una pulsazione di energia


nel centro della testa o nello spazio tra le sopracciglia. Senti che questa
è l’apertura della shakti che ti si sta rivelando adesso. Perciò, focalizzati
gentilmente, inspirando ed espirando da essa. Oppure, rammenta che
è la tua stessa energia e lasciati identificare con essa. A un certo punto,
potresti sentire l’energia aprirsi e portarti dentro: è possibile che ti trovi
in una grande bolla o in un campo energetico, oppure in una cavità;
potresti sentire o vedere colori o sensazioni; se ti concedi di restare con
tutto ciò, l’energia potrebbe condurti più profondamente dentro sé. Si
manifesterà come forme, visi, colori, sentimenti d’amore, una sensa-
zione d’espansione. Ci potrà essere un’intuizione improvvisa.
Poi, a un certo punto, scoprirai probabilmente che tutto ciò che si
manifesta – luce, comprensione, sentimenti d’amore – si dissolve,
svanisce, si attenua nella pura energia, nello spazio.
Quando la shakti ci porta all’interno, la sua naturale tendenza è di dis-
solvere le forme – per condurci dal grossolano al sottile e, poi, al regno
più sottile, più profondo, più raffinato, della coscienza, dove i fili di
forme scompaiono nel senza-forma e la mente superficiale si fonde con
la sua sorgente. Quando i punti di riferimento del sentiero della shakti si
sciolgono, puoi lasciarti sciogliere con essi. Puoi espirare la sensazione
di trattenere la tua coscienza, rilassando la rigidezza dei “muscoli” men-
tali e andando verso e dentro ogni nuovo spazio che si apre. Il principio
è di entrare più profondamente nel luogo dove la shakti è attiva. Facen-
dolo, entrerai più in profondità nel mondo interiore.
A questo punto alcuni perdono la consapevolezza oppure cadono
in uno stato inconscio, assonnato. È bene cercare di stare svegli, ma
non preoccuparti se perdi consapevolezza. Quando la tua attenzione
diverrà più stabile, sarai in grado di mantenere questo stato, infine, e
di riposare nella spaziosità.

il piccolo sé, e il liberatore, che dissolve la dualità. Noi vogliamo


stare a contatto con il volto che libera.

154
lasciare che la shakti conduca

Ramakrishna Paramahamsa, che amava grandemente la Madre di-


vina, pregava la shakti come un bambino che si rivolge alla madre:
“Per favore, mostrami il tuo viso liberatore invece della faccia della
tua maya, la tua delusione!” Questa è una piccola preghiera potente.
La provo spesso quando sento la meditazione particolarmente densa
e agitata. Appena pronuncio quelle parole, comincio a sperimentare
un radicale cambiamento di prospettiva: i pensieri prendono forma
dalla coscienza sottostante, rimangono un po’ e poi si dissolvono;
invece di perdermi in essi mi trovo a osservare come l’energia giochi
nella mente: questo mi libera all’istante dall’identificazione coi pen-
sieri e quindi posso entrare in uno stato più profondo.
In sostanza, tutte le volte che vogliamo invocare la shakti, il modo
migliore è cominciare con una preghiera e un invito. Come le invo-
cazioni al guru che abbiamo visto nel terzo capitolo, la nostra richie-
sta può essere molto semplice: “O Kundalini Shakti, mostrami per
favore come vuoi meditare oggi”. Può anche essere una preghiera
elaborata e fantasiosa, come gli inni di lode dei poeti devoti. Se è
nelle nostre corde, possiamo intonare: “Madre Kundalini, tu che sei
il fondamento stesso dell’esperienza interiore, splendi in me come
il sole e purifica la mia mente! Ti prego, sii generosa: guida la mia
meditazione”.
C’è poi un genere di preghiera – in realtà è una meditazione – con
la quale cerchiamo di trovare la presenza della shakti nelle profon-
dità della mente, di sentire la sua intima presenza dentro di noi e di
muoverci con lei: il modo più naturale e immediato che ho trovato
è di meditare su spanda, la pulsazione divina che abbiamo visto nel
capitolo quarto. Se torno continuamente a indicare questa pulsazio-
ne è perché, in verità, essa è come una strada maestra per diventare
familiari e intimi con la propria shakti.
Per l’esercizio che segue ci vuole un po’ di tempo: prima di indi-
viduare la sottile pulsazione interiore, dobbiamo dare alla mente il
tempo di lasciar andare la sua superficie indaffarata.

155
la meditazione per amore

Esercizio: invocare la guida della Shakti

Primo passaggio: decantare la mente


Chiudi gli occhi e siedi in una posizione eretta, rilassata, seguendo i
passaggi delle pagine 76-77.
Focalizza l’attenzione sul respiro. Osservalo senza cercare di cam-
biarne il ritmo. Invece di avere la sensazione di stare respirando, abbi
la comprensione che vieni respirata. Il respiro è condotto dentro e
fuori dall’energia interna del corpo: è Kundalini che ti sta respirando.
Come i pensieri vengono, dai a ciascuno il nome di Coscienza, di
shakti.
Continua per quindici minuti oppure finché la mente si rilassa e di-
viene più quieta. Adesso riposa in questa coscienza, il campo della
tua esperienza interiore.

Secondo passaggio: sperimentare la pulsazione


Senti un leggero scintillio di movimento, la sottile vibrazione, il pul-
sare dell’energia che vibra sempre nella tua coscienza. Nota dove, nel
campo della consapevolezza interiore, percepisci quella vibrazione e
focalizza la tua attenzione.
La pulsazione della shakti può manifestarsi come una sottile vibra-
zione, un palpito pulsante, ma anche come suono o bagliore di luce.
Puoi osservare che la pulsazione è forte soprattutto in un’area del
corpo: nel cuore, tra le sopracciglia, nella gola, oppure sulla cima del-
la testa. Se è quello il caso, lascia che la tua attenzione si concentri in
quel luogo; oppure focalizzati sulla sensazione del battito del cuore
per come si diffonde nel corpo.
Appena avverti la pulsazione nella tua consapevolezza, onorala, dille:
“Ti riconosco come la shakti interiore, la divina kundalini in questa
forma. Ti onoro. Ti conosco come la Dea, madre dell’universo, che
pulsa in me. So che i miei pensieri e i miei sentimenti vengono da te;
da te viene il mantra, il suono divino; da te vengono le visioni, le luci
e le esperienze di beatitudine”.
Ora, rivolgiti alla pulsazione divina, questa forma della Dea al tuo
interno; chiedile guida e aiuto: “Dove preferisci giocare oggi? Dove

156
lasciare che la shakti conduca

preferisci portarmi? In quale direzione dovrò seguirti? Come vuoi


che mediti adesso?”.
Fatte queste domande, attendi con grande vigilanza le risposte che
si manifestano da dentro, ma senza aspettarti nulla, senza avere un
programma.
Una risposta può giungere come intuizione, come un comando ver-
bale, come una sottilissima sensazione, come l’impulso verso una pra-
tica particolare o la focalizzazione in una particolare direzione. Non
preoccuparti di avere la risposta giusta. Abbi fiducia che qualsiasi cosa
emerga è la risposta per te dalla shakti.
Quando si manifesta un impulso, una direzione, una pratica, un’espe-
rienza, seguilo. Se non si verifica nient’altro, continua a focalizzarti
sulla vibrazione, sulla shakti che stai sperimentando. Concedi a te
stesso di sentirti uno con la pulsazione della shakti. Lascia che ti guidi
sempre più in profondità nel suo scintillante campo di vibrazione.

Il permesso di aprirsi
Anche se uso il metodo dell’invocare la shakti da anni, sono sempre
un po’ sbalordita da quanto ravvivi la pratica: il semplice atto di
chiedere la guida alla propria energia di meditazione sembra creare
spazio per nuove aperture e una meditazio-
ne più profonda. Spesso queste arrivano Spirito Santo, che dai vita
quando ci si focalizza su un fenomeno che a tutta la vita, muovi
tutte le creature, radice
prima non era mai stato notato.
di tutte le cose, le rendi
Durante una meditazione, uno studen- pulite, cancelli
te dei miei, dopo aver chiesto alla shakti gli errori,
di condurlo, sentì l’energia muoversi su un risani le ferite,
lato della testa. Normalmente l’avrebbe sei la nostra vera vita,
ignorata, ma poiché cercava un segnale dal- luminoso, meraviglioso,
la shakti, si focalizzò su quello e cercò di risveglio del cuore
entrarvi. L’energia si ammorbidì, si ampliò dal suo antico sonno.
e si espanse. Si trovò su un piano di energia ildegarda di bingen

157
la meditazione per amore

vibrante, dolce, circondato da onde d’amore: come se riposasse in


un’acqua sottile. Il senso di essere un corpo fisico si dissolse ed egli
comprese di essere quel corpo espanso di Coscienza.
Una giovane donna mi disse che, la prima volta che aveva in-
vocato l’aiuto della shakti, in lei si era aperta una distesa di luce,
e che ora lo sperimenta tutte le volte che medita. Un’altra donna
sentì una forte pressione al centro del
Abbi fiducia nel potere divino, suo terzo occhio – tra le sopracciglia –
(della Shakti) ed ella libererà che si risolse in una sfera di luce blu.
gli elementi divini Quando si focalizzò sulla luce, si trovò
in te e modellerà tutto in un immenso oceano radiante, dove
in un’espressione
galleggiò per il resto della meditazione;
di natura divina.
sri aurobindo
dopodiché la pulsazione sulla fronte
continuò a crescere sempre più forte:
non ne fece esperienza solo in meditazione, ma continuò anche a
sentirla per tutto il giorno. Insieme alla sensazione di pressione, nella
sua mente c’era una nuova chiarezza, che descrisse così: “A volte,
quando chiudo gli occhi durante il giorno, mi sento come se guar-
dassi attraverso un cristallo. Anche quando la mia mente è molto
affaticata, sotto c’è sempre questa lucentezza”.
Altre persone riportano movimenti fisici spontanei, kriya, o la sen-
sazione che il testimone-cosciente sia disceso su di loro. Per alcuni
si tratta di provare, durante la meditazione, un semplice sentimento
di dolcezza e di profondità. Un meditante mi raccontò: “Cominciai
a essere condotto in meditazione come non lo ero mai stato prima e
le mie esperienze divennero preziose”.

Il potere di arrendersi
Questo processo di invocare e seguire la shakti è potente perché,
quando lo si compie, si prende parte a tre delle pratiche più im-
portanti di meditazione sulla grazia: riconoscimento, adorazione e
resa. Quando in meditazione cominciamo a riconoscere l’intrinseca
divinità dell’energia che pulsa nella nostra mente, rendiamo la no-

158
lasciare che la shakti conduca

stra shakti interiore libera di rivelare il suo amore e il suo intento


liberatore. Assumendo un atteggiamento di devozione e venerazio-
ne verso l’energia interiore, comunicando con lei, rivolgendole una
preghiera e invocando la sua grazia, entriamo in una relazione d’a-
more con la kundalini. Dandole attenzione e chiedendo il suo aiuto,
otteniamo un accesso alla sua saggezza e alla sua guida, che non
sapevamo essere disponibile. Quando ci arrendiamo – cioè ci impe-
gniamo con sincerità a seguire la sua guida – le diamo il permesso
di mostrarci le profondità del suo amore per noi. Kundalini non
può farlo se noi non le diamo il permesso di agire: prima che possa
rivelarsi a noi pienamente, noi dobbiamo averle dato il permesso di
guidare il percorso.
Questo non è sempre facile. Molti hanno un profondo bisogno
di controllare le cose – in meditazione come nella vita quotidiana.
Quando la shakti si presenta a noi con un’apertura verso la medita-
zione profonda, c’è sempre un momento in cui vogliamo resistere
o tornare indietro. In un momento simile,
dobbiamo consapevolmente ricordare a noi Emergendo nella sua
stessi di lasciar andare, di arrenderci. realtà dai mille petali,
O meditante, diventa
In fondo, la resa non è qualcosa che pos-
consapevolmente la Dea.
siamo “fare”: è un movimento naturale della Ella è la tua essenza,
Coscienza, un rilasciare profondo che acca- tu la sua espressione.
de col tempo e spesso solo in meditazione ramprasad
profonda. Tuttavia, ci sono pratiche che ci
permettono di allentare la nostra “resistenza”: una di queste opera
col respiro – che in meditazione, come abbiamo visto in preceden-
za, è il grande motore del lasciar andare. Inspiriamo e poi espiria-
mo, sentendo che stiamo mandando fuori i pensieri distraenti, i
sentimenti di resistenza e il senso di separazione e di limitazione.
Il gesto interiore di espirare la resistenza non solo aiuta a rilassare
i muscoli mentali – che creano limiti nel respirare – ma anche a
rilasciare la restrizione nella mente e ad allentare il senso di separa-
zione dalla shakti.

159
la meditazione per amore

È importante ricordare che quando pratichiamo il surrender, non ci


stiamo abbandonando a qualcosa di esterno. La shakti che ci guida
in meditazione è la nostra stessa energia, più elevata: il potere evo-
lutivo della coscienza. È l’energia della nostra anima che, per amore,
ci conduce a completare il nostro viaggio nell’essenza di ciò che
siamo. A causa della sua stessa esistenza, ella ci chiede di distenderci,
di espanderci, di crescere e di divenire il sé migliore e più alto. Lo fa
per amore, lo fa perché è, esattamente, il nostro Sé.
Dunque, quando invochiamo la shakti e diveniamo consapevoli
dei suoi segnali, quando in meditazione impariamo ad abbandonare
i nostri programmi e a seguire le sue orme verso il mondo interiore,
possiamo periodicamente smettere di espellere i nostri sentimenti di
resistenza e tensione. Possiamo smettere di ricordare la realtà dell’u-
nità, la congruità ininterrotta tra la coscienza della nostra mente e la
grande Coscienza, ma possiamo ricordare a noi stessi che l’energia
dell’universo è la nostra energia, che la grande Consapevolezza è la
nostra consapevolezza e che la mente di Dio regge, contiene e com-
prende la nostra stessa mente e, essenzialmente, dissolve tutto nella
vastità della pura chiti, la pura Coscienza.

160
capitolo nono

La mappa stradale del Viaggio della meditazione


A che punto sei?

Abbiamo esaminato una serie di pratiche per entrare in relazione


col mondo interiore. Abbiamo anche considerato numerosi principi
che rendono più facile navigare nelle sue acque: devozione, gioco-
sità, apertura verso le tecniche – entrandovi piuttosto che cercando
di “eseguirle” – sentirsi una cosa sola con la propria pratica e il suo
obiettivo, imparare a percepire e a seguire le intuizioni che la nostra
energia interiore rivela.
In questo capitolo, proverò a descrivere alcuni degli stati, degli in-
dicatori e dei punti di riferimento “geografici” che si possono incon-
trare in meditazione. In altre parole, questo capitolo offre una parziale
mappa dei problemi e delle esperienze che si manifestano quando si
viaggia attraverso i territori interiori. Ho cercato di includere le ovvie
fasi di base che quasi tutti sperimentano. Ma, con considerevole umil-
tà, offro anche un breve prospetto di alcuni degli stadi avanzati del
viaggio. Perché la meditazione è un viaggio tanto quanto una pratica,
passa attraverso delle fasi e ci conduce in molti stati differenti.
Naturalmente, poiché l’esperienza interiore è più olografica che
lineare, questo viaggio non è come salire le scale o guidare in auto-
strada: in altre parole, mentre lo si segue, è importante ricordare che
la mappa non è il territorio.

Il movimento verso l’interno


Come abbiamo visto, quando volgiamo l’attenzione al mondo inte-
riore con l’intenzione di penetrare in noi stessi, ci apriamo al naturale

161
la meditazione per amore

movimento verso l’interno della Coscienza. Ormai dovrebbe essere


evidente che questa tendenza è una sorta di dissolvimento: è un pro-
cesso che permette allo stato normale della mente – relativamente
denso – di riassorbirsi in sé, nella sua origine, nello stato di naturale
chiarezza e consapevolezza che la tradizione indiana chiama Cono-
scitore, pura Coscienza oppure Sé. Questo processo accade in modo
differente per ciascuno, con una grande varietà di esperienze interiori.
Qui sorgono molte domande: prima di tutto, vogliamo conoscere
il significato di ciò che sperimentiamo, poi vogliamo comprendere
se è importante avere visioni di volti, cosa significa la luce, perché
la nostra testa cade sul petto, oppure se i sentimenti di gioia che si
affacciano fugacemente sono la suprema gioia del Sé e non invece
qualche piacere di natura inferiore. Se meditando ci sembra di per-
dere conoscenza, siamo solo addormentati oppure no? Se rimania-
mo nel nostro solito stato di veglia, stiamo meditando?
Dietro tutte queste domande c’è quella più importante, l’unica
per cui tutti, alla fine, vogliamo una risposta: sto davvero facendo
qualche progresso con la meditazione? Durante gli anni in cui face-
vo esperienza con la mia pratica, questo particolare dubbio mi colse
periodicamente. Mi chiedevo se stessi realmente andando in profon-
dità oppure semplicemente indulgendo con me stessa, andando alla
deriva nel regno dei sogni e muovendo energia. Per affrontare questi
dubbi, cominciai a osservare attentamente quanto dicevano i saggi
sui reami interiori e a paragonare il mio intuitivo senso del viaggio
con le mappe trovate nei testi sulla meditazione.
Fortunatamente, i grandi meditanti di ogni tradizione ci hanno
lasciato il resoconto di ciò che hanno vissuto e ci hanno indicato
certe esperienze come significative, come segnali che stiamo dav-
vero facendo progressi. Naturalmente, gli indicatori di ciò che la
Shvetashvatara Upanishad chiama “successo nello yoga” differiscono
in certi particolari da tradizione a tradizione. Molti dei grandi mae-
stri di meditazione concordano, però, col fatto che i segni più evi-
denti del progresso spirituale si rivelano nel nostro carattere, nella

162
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

capacità di mantenere la serenità, nel potere di conservare la mente


sgombra e calma, nella compassione, nella gentilezza, nella chiarez-
za e nella capacità di mantenere la centratura.
Nondimeno, se cerchiamo di comprendere cosa significhino le
nostre esperienze e se siano adatte, è importante osservare le mappe
che le differenti tradizioni ci offrono. Sia-
mo portati a ignorare esperienze significati- Sii forte allora, ed entra
ve che non comprendiamo, o a mandare in nel tuo corpo;
corto circuito processi che, non solo sono là hai un posto
normali, ma anche profondi e utili; oppu- solido per i tuoi piedi.
re possiamo cadere nella trappola opposta Pensaci attentamente!
ed esagerarne alcune che sono solo segnali, Non andartene
da un’altra parte!
pensando di aver raggiunto l’obiettivo finale.
Kabir dice questo:
Una mia amica ricorda spesso una delle semplicemente
sue prime meditazioni, nella quale vide una getta via tutti i pensieri
brillante luce dorata uscirle dal cuore. “È delle cose immaginarie
questo!” pensò. “Sono illuminata. E ades- e sta’ fermo in
so?” Cominciava già a pensare a un possibile ciò che sei.
futuro come maestra spirituale, quando rea- kabir
lizzò che la luce era sparita. Più tardi, il suo
insegnante le spiegò che la sua visione, sebbene profonda e signifi-
cativa, non voleva dire che il suo viaggio fosse finito: era invece un
dono, uno dei tanti che avrebbe ricevuto lungo la via.
Un’altra donna scrisse un libro sulla confusione dolorosa di cui ave-
va sofferto dopo essere stata catapultata in uno stato nel quale si era
sentita improvvisamente e – temeva per sempre – priva di ogni senso
di identificazione con il proprio sé. Mancando di punti di riferimento
o di una guida, ritenne che la sua condizione fosse patologica e soffrì
per quasi dieci anni prima di incontrare qualcuno che ponesse l’acca-
duto nella giusta prospettiva. Molti di noi hanno conosciuto o sentito
di persone che hanno sperimentato un lungo periodo di chiarezza,
espansione e beatitudine, ritenendo – come la mia amica – di essere
Realizzati – fino a che lo stato di “risveglio” non è scomparso.

163
la meditazione per amore

Quindi la mappa è essenziale, ma ancora più essenziale è la nostra


contemplazione, la nostra volontà di esaminare ciò che sperimentia-
mo alla luce dei vari paradigmi yogici.
Nella tradizione indiana, la mappa più famosa del viaggio spiri-
tuale traccia il nostro avanzamento su per i chakra: centri energetici
che si trovano lungo la colonna vertebrale. Molti praticanti spirituali
hanno familiarità con i nomi e le posizioni dei principali chakra e
sono anche consapevoli che ognuno di essi è in relazione a un certo
sistema del corpo fisico, così come a particolari stati emotivi o spi-
rituali.
Nel Shat Chakra Nirupana, uno dei più autorevoli testi tantrici sul-
la kundalini e i chakra, il paradigma di base pone le nostre esperienze
puramente umane nel chakra del cuore e in quelli immediatamente
sotto di esso:1 lo svadhisthana (sacro) chakra, vicino alle gonadi – sede
della lussuria e della paura – e il manipura (ombelico) chakra, dove si
trovano le nostre brame di potere.
Al quarto chakra, a livello del cuore – anahata – cominciamo a
muoverci nei centri energetici che governano i livelli più alti di con-
sapevolezza. Mentre questa ascende nel corpo interiore, la nostra
esperienza diviene più sottile. Dopo l’anahata ci spostiamo verso il
quinto chakra, il vishuddha (puro) chakra, che si trova nella gola; e
poi viene l’ajna (comando) chakra, che è nel centro della fronte fra
le sopracciglia. Quando la consapevolezza diviene stabile nel chakra
della corona, detto sahasrara (“dai mille petali”), sperimentiamo la
piena espansione di consapevolezza nell’identità col divino: dive-
niamo – secondo la tradizione – pienamente risvegliati, coloro che
realizzano il Sé.
La recente letteratura occidentale tende a focalizzarsi più sugli
aspetti psicologici e psicofisici dei chakra di quel che faccia la tradi-
zione originale, ma l’idea di base è che attraverso essi noi “ascendia-
mo” a differenti stati e sfere di sviluppo.

1 In questo testo, il muladhara – o base dei chakra – poiché è la sede della kundalini
dormiente, è descritto semplicemente come centro di beatitudine.

164
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

Un’altra mappa yogica viene In questo corpo ci sono veggenti e saggi;


dalla tradizione dello Shivaismo e anche tutte le stelle e i pianeti.
del Kashmir e tratteggia i nostri Ci sono sacri pellegrinaggi, reliquiari,
movimenti in meditazione at- e le divinità nelle teche…
traverso trentasei tattva, o livelli anche il sole e la luna
si muovono in esso.
della manifestazione. Secondo
Anche etere, aria, fuoco,
questo paradigma, il processo acqua e terra sono là.
spirituale è quello in cui ci si al- Tutti gli esseri che esistono
lontana dall’identificazione col sono anche trovati
corpo fisico, con la mente e l’e- nel corpo. Colui che
go separato, attraverso ricono- conosce tutto questo
scimenti progressivamente più è uno Yogi.
sottili della propria identità con shiva samhita

l’interezza della Coscienza (cfr.


Appendici, ii). Nelle fasi più basse, sperimentiamo la realtà come den-
sa e fissa, e noi stessi come limitati e separati dall’intero. Ai livelli
più alti, realizziamo che tutta la realtà esiste all’interno della nostra
Consapevolezza. Sappiamo che non siamo diversi dalla Coscienza
creativa stessa, in tutta la sua libertà e naturale gioia. Attraversando
le varie fasi, sperimentiamo progressivamente stati sempre più sottili
e inclusivi dell’essere.
Queste due mappe sono in relazione e in realtà possono aderire,
poiché l’esperienza di ogni gruppo di tattva corrisponde a un parti-
colare chakra. Entrambe sono collegate alla mappa che prenderò in
esame nel dettaglio in questo capitolo: il paradigma dei quattro stati
e dei quattro corpi, offerto da Shankara, il grande maestro del Ve-
danta. Ho deciso di osservare l’esperienza meditativa secondo que-
sta particolare griglia per tre ragioni: è semplice e facile da seguire,
è stata la prima che ho imparato nei miei primi giorni di pratica e
ci aiuta a comprendere l’avanzamento in meditazione come il pro-
cesso di muoversi verso l’interno, o di “sbucciare” i diversi strati del
nostro essere.

165
la meditazione per amore

I quattro stati e i quattro colori


I testi del Vedanta parlano del corpo fisico, della mente e degli altri
aspetti del nostro essere come delle “guaine” o “corpi” sovrapposti
come gli strati di una cipolla sopra la sottile energia della Coscienza
che è il nostro Sé profondo. Collegati a queste guaine ci sono i quat-
tro stati che i testi indicano come l’esperienza umana fondamentale:
veglia, sogno, sonno profondo e stato di Consapevolezza trascen-
dentale che sperimentiamo in meditazione. Normalmente viviamo
nell’una o nell’altra condizione, cioè viviamo nel “corpo” che cor-
risponde a tale stato. Dunque, quando in meditazione ci muoviamo
verso l’interno, in realtà attraversiamo questi quattro corpi, o se si
preferisce, strati, ognuno più sottile del precedente e ciascuno che si
compenetra negli altri.
Quando siamo svegli, normalmente siamo radicati nel corpo fi-
sico (sthula sharina). Nei sogni e nelle fantasticherie, quando ci per-
diamo nei pensieri o nelle fantasie, in alcune fasi della meditazione,
perdiamo la consapevolezza del corpo fisico ed entriamo nel corpo
sottile (sukshma sharira). Sperimentiamo il corpo causale (karana sha-
rira) nel sonno profondo e in certi tipi di meditazione profonda,
senza forma. Il corpo sovracausale è il posto che abitiamo quando
siamo pienamente assorbiti nel Sé. Questo stato si rivela normal-
mente in meditazione, sebbene, come abbiamo visto nel capitolo
secondo, si possa aprire anche quando siamo del tutto svegli.
Tutto ciò che ci accade in meditazione avviene in uno di questi
quattro corpi. Naturalmente, questa è solo una mappa, una lente
adatta a osservare la nostra esperienza. Nello yoga, tutte le catego-
rie, tutti i paradigmi, sono semplicemente modi di nominare livelli
di esperienza, così sottili e personali che ogni loro descrizione ri-
sulterebbe solo parziale. Dopotutto, siamo nel regno dell’assenza
di parola e cerchiamo di fissare esperienze che sono spesso al di là
del linguaggio. Siccome qui i concetti ci possono intrappolare, dob-
biamo sempre ricordarci di assumerli con leggerezza, perché non
accada che il mondo senza limiti della meditazione sia limitato dalle

166
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

nostre definizioni. Il mondo in cui entriamo meditando ha così tanti


angoli, reami, varietà di esperienze, che non potremo mai descriverli
né adattarli a ciascun paradigma.
Un altro tranello cui prestare attenzione è supporre che il pro-
gresso spirituale sia lineare. Spesso immaginiamo che la coscienza
salga o scenda gradino per gradino, come se salissimo una scala o
montassimo su un ascensore che si ferma a ogni piano. In realtà ci
spostiamo in un modo molto poco rettilineo: possiamo sperimenta-
re stati estremamente sottili durante i primi tempi della pratica e poi,
dieci anni più tardi, trovarci desiderosi di concentrare la consapevo-
lezza sul nostro corpo. Quando kundalini guida il processo interiore
si muove nella direzione e con il ritmo appropriato per noi, in quel
dato momento. Lavora nei differenti “strati della cipolla” e non ne-
cessariamente in sequenza. Comunque, per motivi di convenienza,
qui osserveremo le esperienze meditative nei quattro corpi, a partire
dall’esterno.

Il primo corpo: il corpo fisico


Una delle più universali esperienze meditative nel corpo fisico è il
dolore. Quando sediamo per la prima volta in una posizione yoga,
ginocchia, anche e schiena mostrano la loro resistenza a questa di-
sciplina inconsueta, manifestando ogni sorta di dolore e misterioso
tremore. Il corpo tende a reclamare tutte le volte che cerchiamo di
sedere più a lungo del solito, oppure a spingerlo oltre i suoi limiti.
Perciò molti di noi hanno un atteggiamento piuttosto ambivalente
verso le esperienze nel corpo fisico e, quando in meditazione ne di-
ventano consapevoli, suppongono di non meditare profondamente
o di essere bloccati.
Questo non è vero: il dolore e il disagio che sperimentiamo nel
corpo possono essere una genuina e, che lo si creda o no, signifi-
cativa esperienza meditativa, possono essere il segno che il corpo si
sta purificando. Poiché esso è il supporto per la nostra pratica, ha
bisogno di essere stabile, pulito e forte per poter contenere l’energia

167
la meditazione per amore

che si versa in noi quando kundalini ci conduce nelle fasi più sottili
della meditazione. Così, quando ci sediamo, la shakti risvegliata si
muoverà attraverso i muscoli e le giunture e li aprirà.
Questo processo può essere avviato, aiutato e accelerato dall’ha-
tha yoga e da un sapiente lavoro sul corpo, da massaggi, dalla tera-
pia somatica e da pratiche tradizionali
L’inesperto come il qi gong, o moderne come il
sarà spinto fuori dalla Feldenkrais. Il corpo fisico ha me-
meditazione dai sensi, morie stratificate di vecchie ferite, di
anche se energicamente malattie, di tossine ambientali, di cibo
cerca di controllarli. malsano e di sconvolgimenti emotivi.
La sua meditazione può La shakti rimuove tutto, insieme con
essere disturbata da
le tensioni recenti e antiche che abbia-
distrazioni come freddo, caldo,
piacere, dolore, agitazione mo accumulato.
della mente e zanzare, Una mia amica giura che quando il
che creano dolore suo collo è rigido, nemmeno il chiro-
corporeo e causano pratico può fare qualcosa ma, quando
il vagare della mente. siede a meditare, la shakti muove la sua
yogashikha upanishad testa in cerchio e rilassa i dolori musco-
lari. Altri sperimentano semplicemente
un graduale rilascio della tensione. A volte l’esperienza del rilascio può
sembrare lievemente sgradevole o anche intensamente spiacevole. Ma
in qualche modo il disagio sembra essere parte del processo, perché
aprirsi è un’esperienza in cui si impara come sentire.
Quando i nostri corpi sono tesi e bloccati in profondità, ci sentia-
mo spesso insensibili, e possiamo non essere coscienti del nostro di-
sagio fisico. Quando gli strati superficiali vengono rimossi, passando
attraverso alcuni di questi malesseri fisici, ci apriamo letteralmente
alla sofferenza accumulata in profondità. Possiamo sentire dolori
di cui non siamo stati mai consapevoli prima – e, insieme con essi,
una corrispondente pena emotiva. Questo non è segno di malattia
ma di guarigione. Sebbene parte del lavoro di kundalini abbia luo-
go al di sotto della nostra consapevolezza, gran parte di esso deve

168
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

necessariamente essere conscio: permettendoci di sentire il rilascio


spontaneo che kundalini ispira, impariamo a distenderci e ad aprirci
a noi stessi. Non possiamo farlo se siamo inconsapevoli. Perciò i
dolori che avvertiamo nel corpo durante la meditazione, in realtà ci
insegnano, ci aiutano a divenire più consci di quanto sta accadendo
nei nostri corpi.
Molti dei segnali fisici della shakti che abbiamo menzionato nel
capitolo otto sono segno di questa purificazione. L’intensa pressio-
ne alla fronte o alla corona del capo, sentita da alcuni, è segno che
l’energia lavora per aprire i centri spirituali della testa. Quand’essa
si muove nel chakra del cuore, è possibile sentirvi pesantezza: una
persona me la descrisse dicendo di aver la sensazione di un elefan-
te sul petto. Talvolta, quando kundalini attiva i chakra, avvertiamo
calore o una sensazione pungente alla base o in un altro punto della
spina dorsale.
Quando un chakra particolare è stato attivato, è possibile sentir-
ne gli effetti nell’organo a lui associato; il centro spirituale relativo
all’ombelico è collegato al sistema digerente: quando viene purifica-
to, alcuni manifestano subbuglio digestivo (naturalmente, prima di
decidere che i problemi digestivi sono associati alla purificazione di
kundalini, è altamente consigliabile aver fatto un esame medico!);
quando viene aperto il chakra della gola, è possibile avvertire una
tensione eccessiva in quei muscoli o anche la gola infiammata; se
l’energia si muove per aprire il centro tra le sopracciglia, le persone
spesso sentono una forte pressione. Comprendere la natura di que-
sto malessere ci aiuta a sopportarlo: invece di definirlo come “dolo-
re”, lo possiamo vedere come la pressione della forza interna che si
risveglia. Possiamo comprenderne le intenzioni benigne e possiamo
allentare quella tensione andandole incontro o dentro, invece di al-
lontanarcene. Spesso solo rilassandosi si cambia l’esperienza, uscen-
do dalla zona di disagio.
Per più di venticinque anni, ogni volta che in meditazione la shakti
diventava particolarmente forte, la mia testa si piegava all’indietro e

169
la meditazione per amore

poi si bloccava, talvolta contro la colonna vertebrale. Nei primi anni


di pratica, avevo un sacco di tensione al collo, quindi questa posi-
zione era atrocemente disagevole. In effetti, a volte faceva così male
che cercavo di uscirne, ma non appena raddrizzavo la testa, essa
ritornava all’indietro. Una volta, nel corso di un ritiro di meditazio-
ne, il mio maestro mi si avvicinò e, come per sottolinearne il valore,
mise la mano sul mio capo, e lo piegò di nuovo in quella posizione!
Un’altra volta, in uno dei miei sogni apparve un saggio vestito d’a-
rancione che spingendomi nella “testa-bloccata-contro-la-schiena”,
disse: “Questa è la posizione d’oro”.
Una sera mi trovai spinta così forte che non riuscivo a muover-
mi. Non avevo altra scelta se non assecondarla. Presto divenne evi-
dente che la mia resistenza a stare in quella postura la rendeva più
dolorosa di quel che non fosse, ma io non sapevo come smettere
di resistere. Allora, si manifestò un pensiero: “Questo è un dono
di kundalini. L’energia divina nel mio corpo sta facendo questo per
amore, al fine di liberarmi. Anche se io non lo capisco ancora, è
un atto d’amore”. A quel pensiero, un grande sentimento d’amore
mi inondò e, allo stesso tempo, qualcosa rilassò il mio collo. La
postura, che era stata fortemente dolorosa, divenne facile e dol-
ce, e pochi minuti dopo il capo si raddrizzò spontaneamente. Fu
come se quel lasciar-andare, quel momento di comprensione e di
accettazione, avesse aperto la strada, affinché kundalini liberasse il
mio collo della sua tensione.
Più tardi lessi in un testo di hatha yoga che questa è una classica
posizione di apertura del centro del cuore. Manifestandosi sponta-
neamente anno dopo anno, il centro del mio cuore si aprì.

Kriya fisici: i movimenti della Shakti risvegliata


Movimenti fisici spontanei come il mio blocco del collo – chiamati
kriya – possono variare, da un dolce dondolio del tronco all’agitarsi
selvaggio della testa e del collo, fino alla capacità di assumere facil-
mente asana spontanee di hatha yoga anche se il corpo non è abi-

170
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

tuato a tali posizioni. Ognuna di queste kriya ha un effetto sia fisico


che sottile. Mentre allentano la tensione nel corpo fisico, rimuovono
anche i blocchi energetici sottili.
Per esempio, molti meditanti sperimentano una kriya in cui l’e-
nergia li induce a piegarsi in avanti dai fianchi e portare la fronte al
pavimento. Questa posizione, chiamata mahamudra, è una delle più
importanti posture di hatha yoga, per attivare kundalini e l’apertura
del canale centrale, la sushumna nadi, al centro del corpo. La sushumna
nadi è la via che kundalini prende muovendosi attraverso i chakra.
Una volta aperta, il respiro, che normalmente fluisce dentro e fuori
dalle narici, può cominciare a scorrere nella sushumna. Questo av-
viene quando il respiro e la mente diventano calmi, e noi siamo in
grado di entrare in profondi stati meditativi.
A livello fisico, la postura mahamudra apre le anche. Quando la
fronte preme contro il pavimento, non solo pulisce i seni nasali, ma
apre anche il ajna chakra, il centro del terzo occhio tra le sopracciglia.
Questo centro è il punto di giunzione di molte diverse nadi, o cana-
li sottili della forza vitale o prana. Esso è anche la sede di uno dei
granthi interni, i nodi di energia sottile che bloccano l’accesso agli sta-
ti superiori di coscienza. Il nodo al centro del terzo occhio, chiamato
il rudra granthi, è una sorta di guardiano che impedisce alla nostra
consapevolezza di entrare nei centri spirituali della parte superiore
della testa. Questo nodo ci tiene nell’illusione della separazione. Una
volta che questo nodo è aperto, interviene un profondo cambia-
mento nella consapevolezza di se stessi. Cominciamo a realizzare
direttamente, attraverso l’esperienza, che la nostra coscienza non è
confinata nei limiti del corpo fisico. Siamo in grado di riconoscerci
come molto più grandi e più sottili di quanto normalmente credia-
mo di essere. Smettiamo di aggrapparci alle limitazioni dell’ego, alle
paure e alle costrizioni. Cominciamo a sperimentare la nostra unio-
ne con gli altri e con Dio.
Ci sono centinaia di tipi differenti di kriya. Per esempio, possiamo
sperimentare le seguenti:

171
la meditazione per amore

• La mascella può effettuare rapidi movimenti laterali, come se


stesse cercando di allentarsi. Questi movimenti sono utili ad
aprire il chakra della gola.
• Il corpo può ruotare i fianchi, il bacino può dimenarsi circo-
larmente avanti e indietro o su e giù. Questi movimenti sono
relativi ai primi tre chakra: muladhara, svadhisthana e manipura.
• Le mani possono muoversi in gesti come di danza. Le dita pos-
sono spontaneamente premere la fronte o il cuore – di nuovo,
gesti che aiutano ad aprire questi centri.
• Il corpo può mettersi in una posizione di hatha yoga come
quelle menzionate prima. Si può cadere all’indietro nella posi-
zione yoga chiamata suptapadmasana, una postura che vivifica i
reni e gli organi digestivi.

Quando si verificano le kriya (non tutti le sperimentano), è un se-


gno che la kundalini sta lavorando intensamente e che la meditazione
spontanea è in corso. Di solito si hanno kriya fisiche durante la prima
parte di una sessione di meditazione; a un certo punto l’energia rilas-
serà il corpo, e si sarà in grado di entrare in meditazione silenziosa.
Se possibile, è meglio permettere alle kriya di manifestarsi, esserne
testimoni, ma non entrare in cortocircuito con loro. Tuttavia, se un
particolare movimento è estremamente disagevole – o se disturba le
persone intorno a noi – si può provare a lasciare che la consapevolez-
za si approfondisca, nel cuore o un altro centro spirituale, spostandosi
coscientemente dal fisico a un livello più sottile. Oppure è possibile
invocare la shakti e chiederle di offrirci un’esperienza più tranquilla.
Il disagio che a volte sperimentiamo quando questi processi han-
no luogo (e, di nuovo, non tutti sono accompagnati da movimenti
fisici) è una sorta di dolore della crescita. Ci vuole moltissimo corag-
gio per essere capaci di sedersi con questo disagio, e avere la volontà
di essere aperti all’ignoto. C’è una grande nobiltà nell’atteggiamento
di un meditante che siede con l’intenzione di sperimentare tutto ciò
che l’energia interiore vuole dare. È l’atteggiamento del guerriero

172
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

spirituale, il guerriero dello yoga, che dedica se stesso (almeno per


l’ora di meditazione) a scegliere la crescita, a scegliere la svolta, a
scegliere la trasformazione.
Allo stesso tempo, non dovremmo pensare di dover andare più
veloce, o di stare più a lungo di quanto desideriamo. Non è che qual-
cuno ci premierà per la resistenza o lo stoicismo. Non siamo qui per
farci male o per dimostrare quanto siamo forti. In definitiva, siamo
qui per amore. Quindi, se qualcosa ci sembra troppo per ora, fidia-
moci di noi stessi e diamoci il permesso di fare marcia indietro. Spo-
stiamoci quando la posizione diventa rigida, chiediamo all’energia
interiore di darci un’esperienza più dolce, o semplicemente usciamo
dalla posizione per qualche minuto e rilassiamoci. Ci sono momenti
in meditazione quando è giusto spingersi attraverso una sensazione
di disagio e momenti in cui la tattica migliore è quella di rilassarsi,
di fare marcia indietro. Sperimentando con la pratica, impareremo a
percepire tutto questo e anche a onorare le nostre intuizioni.

Il secondo corpo: il corpo sottile


Di solito, dopo che siamo stati seduti per un po’, la percezione del
corpo fisico si riduce. Se abbiamo avuto delle kriya, esse si attenuano
e noi diventiamo più consapevoli non solo dei nostri pensieri, ma
anche delle immagini, dei cambiamenti e delle correnti energetiche
che si muovono sotto la superficie del nostro essere.
Il corpo sottile è fatto di energia: l’energia della nostra forza vitale,
dei pensieri, dei sentimenti e delle percezioni. Secondo la Brihada-
ranyaka Upanishad è il corpo sottile che trasmigra, lasciando il corpo
fisico dopo la morte, e proseguendo a sperimentare la vita nell’al di
là, nonché la vita in altri corpi fisici.
Il corpo sottile consiste di:
• Prana, o energia vitale.
• Gli strumenti psichici – la mente sensoriale, l’intelletto, l’ego e
la materia subconscia della mente – insieme con i pensieri, le
immagini e le percezioni generati dalla mente e dall’intelletto.

173
la meditazione per amore

• Il potere del percepire – vista, udito, e così via – che agisce at-
traverso gli organi fisici per permetterci di ricevere le informa-
zioni dal mondo esterno, e che opera internamente nei sogni,
nell’immaginazione e nelle fantasticherie.
• Gli elementi sottili della realtà sperimentabile, chiamati tanmatra
in sanscrito. Questi creano un mondo interiore di immagini,
suoni, gusti e sensazioni che noi sperimentiamo quando la no-
stra attenzione si ritira dal mondo esterno; possono corrispon-
dere alle capacità di produrre schemi del sistema nervoso fisico.
• Il sistema di canali chiamati nadi, che portano l’energia vitale agli
organi, alle membra del corpo fisico e ai chakra, i centri dell’e-
nergia sottile.
• L’energia della Kundalini.

L’energia vitale
L’aspetto energetico del corpo sottile viene talvolta chiamato prana-
maya kosha, “guaina vitale”. Ed è davvero una sorta di involucro, uno
strato di pura vitalità, l’energia che alimenta la nostra vita. Prana è il
nome che i saggi yogici diedero alla forza che diviene la linfa negli al-
beri, l’energia radiante del sole, gli ioni negativi nell’atmosfera, il nu-
trimento nell’acqua. I testi yoga dicono che, prima di divenire questo
mondo di materia, l’energia creatrice di questo universo si trasforma
in prana, una forma più grossolana della pura Coscienza e che colle-
ga l’universo relativamente spesso e solido con la sua essenza sottile.
Nel corpo umano, il prana forma il ponte energetico tra corpo,
mente e spirito, connette tutti i sistemi e gli apparati corporei e ali-
menta il sistema nervoso, gli organi interni e i muscoli. È la forza che
accende i neurotrasmettitori quando portano gli impulsi attraverso
il cervello, negli organi e nei muscoli. Il prana mantiene la mente in
movimento attraverso i sensi, portando all’interno le impressioni e
formando i pensieri. Respirando, assorbiamo il prana dall’atmosfera
insieme con l’ossigeno, e in meditazione, possiamo operare diretta-
mente con esso usando il respiro. Quando rallenta (uno stato che

174
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

gli yogi cercano di indurre praticando il pranayama, o controllo del


respiro), la mente in risposta si placa. Ecco perché seguire il respiro
in meditazione è così utile.
Il pranamaya kosha compenetra il corpo fisico, scorrendo attraver-
so una filigrana di canali sottili (nadi) e portando energia a tutti gli
arti e agli organi, dando loro forza e vita. Fino a
Studenti, ditemi,
che kundalini non è risvegliata, abbiamo solo la
cos’è Dio?
consapevolezza subliminale di questa “guaina”:
Egli è il respiro
riconosciamo se ci sentiamo pieni di energia o dentro il respiro.
con la vitalità bassa ma, a meno che non prati- kabir
chiamo hatha yoga o tai chi, o qualche pratica
vibratoria di guarigione, continueremo a vivere inconsapevoli del
modo in cui l’energia scorre in noi. Quando kundalini si sveglia, la
sua grande forza comincia a muoversi nel corpo insieme a esso e
allora le sensazioni legate al prana diventano inequivocabili.
Il sottile “tocco” della shakti, la sensazione cinestesica di mo-
vimento interiore che abbiamo visto nel capitolo ottavo, in realtà
è una manifestazione del prana attivato dalla kundalini. A volte si
sperimentano sottili formicolii, oppure si avverte una leggera sensa-
zione di espansione: il campo di consapevolezza sembra espandersi
all’esterno fino a due o tre volte del normale. Sotto un altro aspetto,
possiamo avvertire il prana come pesante e spesso. La gente dice:
“Mi sento come se mi mettessero ko”, oppure “Mi sento come se
stessi sprofondando sott’acqua”, o ancora “È come se fossi trasci-
nata in un sonno profondo”. Percepire la testa pesante, la sensa-
zione di energia che danza sotto la pelle, formicolii nelle braccia e
nelle gambe, energia in sovrabbondanza, pressione nel cuore o nella
fronte: tutte queste sono manifestazioni praniche.
Più clamorosamente, durante la meditazione il prana può cambiare
il ritmo del respiro, il quale a volte diviene lentissimo o sembra addi-
rittura fermarsi. Sembra solo, naturalmente, perché – fino a che siamo
vivi – il respiro non si ferma veramente mai. È solo che negli stati yo-
gici, il respiro non entra ed esce dalle narici, ma si muove nella sushum-

175
la meditazione per amore

na nadi, il canale sottile proprio al centro del corpo. Normalmente


espiriamo e inspiriamo attraverso due sottili condutture, ida e pingala,
che scorrono lungo la sushumna. Quando il
La luce divorò l’oscurità. prana le attraversa, la mente tende a esse-
Ero solo dentro, re estroversa e attiva; se invece scorre nella
respingendo
sushumna, significa che la forza vitale sta vol-
il buio visibile,
io ero il tuo obiettivo, gendosi all’interno.
o signore delle grotte. Questo è un avvenimento yogico impor-
allama prabhu tante, perché quando il respiro si calma, lo
fa anche la mente e si può entrare nello sta-
to di samadhi. Le primissime volte in cui ciò accade, può risultare
qualcosa di non familiare e fonte di spavento: potremmo aver paura
di non essere in grado di emettere un altro respiro… a volte, nel
panico, si cerca di respirare e succede che si esce di meditazione.
Non c’è davvero nulla di cui spaventarsi: quando in meditazione il
respiro rallenta o sembra fermarsi, siamo sostenuti da un livello più
profondo del nostro essere, dal prana shakti stesso. Ci si può fidare:
quando la meditazione spontanea giunge a termine, il respiro ripren-
derà di nuovo a entrare e uscire dalle narici. La cosa migliore è lascia-
re che il processo accada e osservare come influenza il nostro stato
interiore: quanto i pensieri divengano calmi al rallentare del respiro
e come l’energia automaticamente cominci a rivolgersi all’interno.
Un altro effetto classico di kundalini è di entrare spontaneamente
in bhastrika pranayama, o respiro a mantice: un movimento veloce
e ritmico di inspirazione ed espirazione – quasi un ansimare – ac-
compagnato da contrazione e rilascio dei muscoli addominali. Di
nuovo, se accade, osserviamone gli effetti sulla mente. Nella pratica
tradizionale di hatha yoga, il respiro a mantice è spesso agito deli-
beratamente per attivare kundalini. Se accade spontaneamente, aiuta
kundalini a manifestarsi nel corpo, quieta i pensieri e può essere il
precursore di una meditazione più profonda.
Spesso, quando la meditazione si approfondisce, sembra che il
prana divenga più sottile e più espanso. Sebbene il respiro continui

176
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

a essere rallentato, si può cominciare Durante il periodo della sadhana,


a percepire quello “interiore”, il de- si vedono nebbia, fumo, fuoco,
licato aumentare e diminuire dell’e- aria, lucciole, lampi, cristallo
nergia nella sushumna nadi. Seguendo e forme come la luna e il sole
le correnti del prana, ci troveremo negli spazi interiori.
Tutte queste visioni
insediati più profondamente all’in-
precedono la luce di Dio.
terno: questo è uno dei modi con shvetashvatara upanishad
cui esso crea un ponte tra la nostra
consapevolezza normale di veglia e i reami più sottili. Sentirlo ci
connette alla shakti: è lui il veicolo che cavalchiamo quando la
shakti risvegliata ci conduce delicatamente attraverso gli stati del
nostro essere sottile.

Le visioni
Meditare nel corpo sottile assomiglia spesso a una sorta di stato
di sogno. Immagini vaganti passano davanti ai nostri occhi interni:
una scena, un colore, un viso, uno scorcio di panorama, la scena di
un film; le immagini possono essere familiari oppure qualcosa di
inedito; talvolta si dispongono in un piccolo scenario, come succe-
de nei sogni. In effetti è proprio ciò che sono: passando attraverso
i diversi stadi della meditazione nel corpo sottile, spesso entriamo
nello stato di sogno e facciamo esperienza della nostra banca di
immagini.
Molte delle esperienze che si manifestano in questo stato simile
al sogno dovrebbero essere osservate come fenomeni di passaggio,
come i pensieri. I nostri corpi sottili sono così carichi di immagi-
ni memorizzate – poiché sono pieni di pensieri e sentimenti – che
quando andiamo in profondità, vi passiamo letteralmente attraverso,
proprio come attraversiamo i campi dei pensieri.
Proprio come i sogni, talvolta anche le immagini che si verificano
in meditazione hanno significato. La loro importanza può essere
psicologica invece che spirituale: possono essere pertinenti alla no-
stra storia personale e al processo di crescita psicologica, al lavoro

177
la meditazione per amore

che facciamo, alle sfide professionali o di relazione del momento.


In meditazione ci arriva ogni sorta di apprendimento e i messaggi
del nostro inconscio, anche se non dovrebbero essere confusi con
le immagini transpersonali che spuntano dai livelli più elevati del
nostro essere, possono talvolta essere preziosi – nella loro sfera.
Ecco un esempio: parecchi anni fa, un giovane avvocato sta-
va meditando prima di recarsi in tribunale a discutere un caso di
brevetto. Nella sua meditazione si affacciarono le parole “Articolo
509”. Essendo un praticante di lunga data, prese questo messaggio
abbastanza sul serio da darci un’occhiata. Prima di arrivare in aula,
si fermò nella biblioteca del tribunale e cercò l’articolo 509 in un
codice di leggi sui brevetti. Quel giorno, il suo avversario sollevò
un’eccezione estratta da quell’articolo che lui fu in grado di confu-
tare, citandolo. Il giudice fu comprensibilmente impressionato dalla
sua accurata preparazione e l’avvocato ritenne sempre che la sua
conoscenza dell’articolo 509 fosse ciò che aveva volto a suo favore
la decisione del giudice.
Un altro esempio: in un gruppo di meditazione, stavamo facendo
un esercizio che implicava il dissolvimento dei pensieri nella Con-
sapevolezza. Un uomo vide con sorpresa i suoi pensieri rimpiazzati
dall’immagine di demoni che uscivano da un pozzo. Sentendo la
presenza di un essere elevato vicino a lui, gli chiese di difenderlo
da quegli esseri. Quando contemplò l’immagine, comprese che quei
demoni erano sentimenti sepolti in profondità, che cominciavano
a emergere poiché la sua meditazione si era approfondita, e poiché
ne aveva paura, li aveva demonizzati. Vide anche che siccome aveva
un forte senso di connessione con una divina Presenza protettiva, si
aspettava che questo alto potere lo proteggesse “uccidendo” i suoi
sentimenti negativi. Proseguendo nella contemplazione, capì che
poteva tenere un atteggiamento differente verso i suoi “demoni”:
poteva vederli come aspetti della Coscienza invece che cercare di
ucciderli. Questo lo portò a un’attitudine molto più amorevole e di
consenso verso il suo mondo interiore.

178
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

Una delle ragioni per cui è così utile scrivere le proprie esperienze
ogni volta che si medita è precisamente perché anche il flusso appa-
rentemente sciocco di immagini che emergono può avere un significa-
to. Bisogna però capire che, anche dopo averle contemplate a fondo,
non si può agire in base a esse senza averci pensato bene: finché la
mente non è stata pienamente purificata, i messaggi dal mondo inte-
riore sono spesso inaffidabili e fuorvianti. Come dice una mia amica,
sono “cento per cento accurati per il cinquanta percento del tempo”.

Lo stato di Tandra o Yoga Nidra


Talvolta, comunque, le immagini che appaiono in meditazione sono
di una qualità davvero particolare: i colori sono più brillanti, la luce
diversa, il loro contenuto ha un sapore “vero” che le distingue dalla
serie di immagini casuali che normalmente attraversano lo schermo
interiore mentre viaggiamo nel corpo sottile.
L’esperienza di avere immagini e visioni più ricche, brillanti e
obiettive in meditazione è chiamata tandra. Le immagini del sogno
di solito escono dal nostro inconscio, mentre le immagini di tandra
sono vere visioni di paesaggi interni o esterni, di figure simboli-
che o di avvenimenti che accadono nel mondo. Infatti, molti medi-
tanti non entrano nello stato di tandra
solo durante la meditazione ma anche Nostro Signore aprì
nel sogno. Come il Giuseppe biblico, il mio occhio spirituale
o gli antichi greci che chiedevano con- e mi mostrò la mia anima
siglio all’oracolo di Delfi e ottenevano nel mezzo del mio cuore,
la risposta in sogno, molti di noi hanno e io vidi l’anima così grande,
questi sogni “veri” o addirittura sacri. come se fosse un mondo
La tradizione ebraica li chiama “profe- infinito, e come se fosse
tici”, non nel senso che predicono, ma un regno benedetto.
giuliana di norwich
perché vengono da un centro interno di
saggezza, dal regno transpersonale.
Una deliziosa descrizione di questo si può trovare in questa poe-
sia di Antonio Machado:

179
la meditazione per amore

Stanotte mentre dormivo


ho sognato, felice illusione!,
che un alveare avevo
dentro il mio cuore;
e le api dorate
fabbricavano in esso
con le vecchie amarezze,
bianca cera e dolce miele.
Stanotte mentre dormivo
ho sognato, felice illusione!,
che un sole ardente splendeva
dentro il mio cuore.
Ardente perché dava calore
di rosso focolare,
e sole perché rischiarava
e perché facea lagrimare.
Stanotte mentre dormivo
ho sognato, felice illusione!,
che era Dio quel che avevo
dentro il mio cuore.

Meditanti risvegliati di ogni tradizione ci hanno lasciato resoconti di


visioni e sogni simili, e di luci e suoni che possono apparire in medi-
tazione. Esperienze del genere possono produrre intuizioni che cam-
biano la vita delle persone per sempre. Spesso sono precursori di un
grande cambiamento nella percezione, stazioni di sosta lungo il sen-
tiero, che trasformano una persona normale in un individuo capace di
tenere dentro di sé la luce della verità. Dal celebre racconto del viaggio
notturno nei cieli del profeta Maometto, a Santa Teresa d’Avila cui ap-
parve un angelo che le trafisse il cuore con una lancia d’oro dalla pun-
ta infuocata, mandandola in estasi, alle visioni di esseri divini soffusi
di azzurro e di luci a forma d’uovo, dipinte da Ildegarda di Bingen,
vediamo quanto queste esperienze abbiano il potere di ispirare non
solo persone che le attraversano, ma anche chi le ascolta o le legge.
Quando la meditazione è alimentata da kundalini risvegliata, espe-

180
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

rienze come queste sono così numerose che ci convinciamo che le


esperienze mistiche sono il regno naturale della vita umana. Non le
hanno solo i santi o i mistici, ma anche persone come voi e me.
Ecco come un uomo descrisse la sua esperienza durante una me-
ditazione guidata da un maestro: “Come mi sedetti ad ascoltare le
istruzioni, kundalini si liberò. Sentivo una sensazione alla base del-
la mia spina dorsale. Cominciò con una spirale alla base della mia
schiena, e subito quella zona del mio corpo fu piena di shakti. Come
salì, divenni sempre più consapevole della shakti. In un primo mo-
mento risi: la sensazione era così
meravigliosa; ma appena kunda- In quel momento, per favore divino
lini aumentò ancora, cominciai a e l’assistenza spirituale dello sceicco,
piangere. Chi può contenere una il mio cuore fu aperto.
Vidi che in me c’era qualcosa
simile esperienza? Presto fui pie-
che assomigliava a una coppa capovolta;
no di shakti… ero shakti! Rimasi quando questo oggetto fu raddrizzato,
in meditazione in quello stato, un sentimento di illimitata felicità
e l’esperienza fu indescrivibile. riempì il mio essere.
Presto mi trovai su una battigia tevekkul-beg
davanti a un vasto oceano bian-
co. Era del bianco più bianco che si potesse immaginare. Cominciai
a camminare nell’acqua fino a quando fui completamente sommer-
so. Sperimentai una libertà al di là di qualsiasi cosa avessi mai cono-
sciuto. Ero libero. Libero da tutte le limitazioni. Nuotavo e rotolavo
nell’estasi dell’oceano”.
Questa visione, disse l’uomo in seguito, aveva creato una trasfor-
mazione nel suo senso di Sé, nelle sue priorità e nella comprensione
della sua vita.
Non tutte le visioni dei meditanti hanno un effetto così potente.
Alcune sono solamente curiose ed eccentriche. Ma tutte rivelano
l’incredibile varietà del mondo interiore.
Una donna si sente uscire dal suo corpo e salire fino al centro dell’u-
niverso, dove incontra la forma di Gesù, che ha amato per tutta la vita.
A New York un uomo vede sul Canale Meteo la stessa forma

181
la meditazione per amore

energetica ondulata, che gira intorno a un nucleo, osservata in me-


ditazione: è lo schema energetico di un uragano che sta procedendo
lungo la costa atlantica.
Una donna alle Hawaii vede un muro di luce azzurra che si alza
davanti ai suoi occhi; in esso scorge i suoi coinquilini che stanno cu-
cinando la colazione nella stanza accanto; può vedere tutto ciò che
fanno e più tardi è in grado di averne la conferma.
Una donna in un ritiro ebbe l’istruzione di meditare sul testimo-
ne. Più tardi scrisse: “Sentivo l’istruttore dire: ‘Voi siete eterni testi-
moni’. Ogni volta che mi focalizzavo sulla parola ‘testimone’ scivo-
lavo dietro i miei pensieri al luogo da cui ascoltavo. Presi a lasciarmi
andare più lontano, sempre più lontano in un silenzio davvero pro-
fondo che comprendeva tutto ed era infinito,
L’anima non è così pieno e tranquillo che sorse un pensiero:
nell’universo;
‘Se potessi stare qui, perché agire?’. Come
al contrario,
in risposta, ebbi una visione: per prima cosa
l’universo è nell’anima.
plotino
c’era l’infinito spazio del cielo notturno, pie-
no e tuttavia vuoto, colmo d’energia e tut-
tavia senza forma. Poi, da questo spazio infinito molte mani che
compivano un’infinita varietà di azioni raggiunsero la terra; talvolta
erano sole, talvolta insieme; a volte restavano impigliate e combat-
tevano le une con le altre. Quando l’immagine si aprì davanti a me,
emersero delle parole: ‘Non ha importanza quali azioni tu compia,
esse vengono tutte dallo stesso posto, esse spuntano dall’Infinito’”.

Stati d’animo divini: i sapori emotivi del mondo interiore


La maggior parte delle nostre esperienze avviene in un’area di stati
di percezione sottili. È arduo classificare e descrivere tali visioni,
spesso più che appaganti e trasformative: esse sono gli stati d’animo
(bhava) spontanei e i sapori (rasa) del mondo interiore. L’intera espe-
rienza meditativa di alcune persone avviene nell’area delle emozioni
e delle sensazioni: “Dopo che medito da circa venti minuti, scende
su di me questo straordinario senso di pace” mi disse un uomo. “È

182
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

la mia esperienza di riferimento. Occasionalmente ho una visione o


altro, ma apprezzo molto questo senso di pace perché posso por-
tarlo con me anche quando esco dalla meditazione.” Una donna
mi raccontò che spesso, sedendo, sentiva la trasformazione da uno
stato d’animo a un altro: un iniziale senso di depressione o di ansia
si scomponeva in scintillanti particelle di luce che sembravano gal-
leggiare lontano da lei, lasciandola in uno stato di serenità.
Altre persone hanno descritto come a un certo momento per-
cepiscono uno spontaneo sentimento di resa oppure provano fi-
ducia nella benevolenza dell’universo, sapendo che “Tutto va bene,
qualcuno si prende cura di me, sono amato”. Oppure avvertono la
consapevolezza dell’unità, comprendendo che il mondo intorno è
parte di loro e che sono pienamente connessi a ogni essere del mon-
do. Possono verificarsi intuizioni spontanee: “Tutto ciò è amore”,
“posso perdonare” oppure “Ecco come affrontare la situazione”.
Spesso il contenuto delle ispirazioni non è niente di nuovo né di
sorprendente, ma arriva con una sicurezza e una energia che gli dà
un potere trasformativo.
Riguardando le nostre esperienze meditative, spesso realizziamo
che intuizioni come queste hanno un impatto forte e a largo raggio
sulle nostre vite: perché le profonde comprensioni che si presentano
vengono in realtà dal regno della pura Coscienza, il regno del Sé. La
via del Sé è di insegnarci dall’interno. Una volta capito che la sorgen-
te dell’amore è dentro di noi, non cadiamo più così facilmente nella
dipendenza emotiva; se ci rendiamo conto che benedicendo inte-
riormente un nemico possiamo sciogliere la rabbia e il risentimento,
non ci sentiamo più vittime dei nostri sentimenti. Le intuizioni in
meditazione possono cambiare la nostra vita.
Il regno del corpo sottile è ampio e contiene un magazzino quasi
infinito di esperienze. È un vasto universo in sé: infatti i testi del-
lo yoga affermano che tutto ciò che può essere visto nell’universo
esterno può essere trovato all’interno del corpo sottile di un essere
umano. Molti di noi indugiano per anni in qualche angolo del regno

183
la meditazione per amore

sottile, e invece ci sono altri meditanti che sembrano oltrepassarli


del tutto e vanno dritti al livello successivo dell’esperienza, lo stato
chiamato corpo causale, lo stato del vuoto.

Il terzo corpo: il corpo causale


Talvolta, in meditazione, sembriamo perdere del tutto coscienza.
Descrivendo l’esperienza in seguito, possiamo dire solo: “Ho chiuso
gli occhi e subito dopo ho sentito il suono della sveglia” oppure
“non so dove sono andato”, “sono giunto così in profondità che
non so altro, non ero nemmeno consapevole”. Se cerchiamo di ri-
cordare come ci sentivamo in quello stato, non rammentiamo altro
che un senso di riposo, di pace, di sollievo; sentiamo che avremmo
potuto star lì per ore, con la testa reclinata sul petto o all’indietro
contro il muro, e il respiro calmo e regolare. È come essere addor-
mentati, ma non esattamente. Forse vediamo un’oscurità violacea;
forse non vediamo niente del tutto. Ma ci si sente bene.
Nello stesso tempo, può essere sconcertante passare tanto tempo
in una sorta di vuoto. Può indurci a chiederci se sia davvero medi-
tazione, specialmente se ci si trova immersi in questo stato di vuoto
giorno dopo giorno, per mesi o anni.
È meditazione. È la meditazione nel corpo causale: karana shaki-
ra. Questo è uno strato dell’essere composto interamente di oscu-
rità – un’oscurità intensamente felice. Normalmente abitiamo il
corpo causale quando siamo profondamente addormentati, nel-
lo stato di riposo senza sogni. Un segno caratteristico e attraente
dell’esperienza nel corpo causale è quello di essere un luogo di
grande beatitudine.
Il corpo causale è vicino al Sé: ecco perché meditarvi ci porta
tanto appagamento. Spesso, dopo aver meditato in quello stato di
profonda oscurità, ne usciamo ristorati, felici e ringiovaniti. È il re-
galo del corpo causale. Ma non è lo stato finale: il corpo causale è
inconscio, mentre lo stato del Sé è di super-consapevolezza, super-
coscienza.

184
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

Il corpo causale ha questo nome per due ragioni: primo, perché è


la parte del nostro sistema sottile che ospita l’insieme di impressioni,
tendenze, desideri, credenze e concetti riguardo alla realtà che cau-
sano il realizzarsi delle nostre vite così come sono; secondo, perché
questo corpo è la casa dell’oscurità primordiale di maya, il potere
di celamento che ci impedisce di vedere la
nostra essenziale unità e luce. Maya è an- Oscurità dentro oscurità.
che un’energia potente: è la forza che dà La porta per comprendere
origine a tutte le esperienze della nostra tutto.
esistenza limitata; ci induce a sperimentare lao tzu

noi stessi come individui e il mondo come


un oggetto al di fuori di noi. Quindi maya è la “causa” della nostra
esistenza come individui. Ciò rende il corpo causale un luogo molto
potente.
Solo quando il velo di maya si solleva possiamo sperimentare il
mondo e noi stessi quali siamo in realtà: pura luce, Consapevolez-
za e beatitudine, ma per oltrepassare questo stato – e raggiungere
il numinoso regno della super-coscienza – dobbiamo attraversarne
l’oscurità. Questo non è un viaggio simbolico: il corpo causale è
letteralmente un “corpo” di oscurità – l’oscurità del mare profondo
dell’inconscio collettivo descritto da Jung, l’oscurità del buio da cui
hanno origine tutte le forme, l’oscurità del profondo sonno.
A un certo punto, potremmo sperimentare questo corpo come
una luce di un nero violaceo, la fiamma del vuoto: se ci meditassimo,
ci porterebbe molto in profondità. Anche quando ci troviamo nel
corpo causale in uno stato di relativa incoscienza, qualcosa di molto
significativo e necessario sta accadendo.
Ecco perché la meditazione nel corpo causale è di estrema impor-
tanza. Come sappiamo, una delle funzioni principali della kundalini
risvegliata è di pulire i karma accumulati, le impressioni passate, le
memorie profondamente fissate e le paure radicate che si nascondo-
no in ogni parte del nostro sistema sottile, specialmente nel corpo
causale. Molti di noi ci girano intorno da lungo tempo e ci sono

185
la meditazione per amore

passati attraverso tante volte, in qualche modo, è un po’ come suc-


cede con quel paio di stivali che abbiamo comprato dieci anni fa e
che, da allora, portiamo tutti gli inverni: li abbiamo fatti aggiustare e
rattoppare perché ci piacciono e sono comodi… ma sono davvero
malconci, hanno graffi, strappi e buchi sulle dita e sono consumati
nella fodera. Noi siamo uguali: siamo stati rattoppati e riciclati molte
volte e, sebbene ci teniamo su, soffriamo di molti danni da usura.
Il tempo della meditazione è il tempo che diamo a kundalini di
sciogliere, spazzare, spolverare, cesellare e lavar via non solo le ten-
sioni del corpo fisico, ma anche le cause sottili di queste tensioni: gli
strati accumulati di vecchi pensieri dimenticati, di opinioni e senti-
menti che abbiamo ammassato negli anni e nella vita. Solo per dare
un’idea di quanta pulizia ci sia da fare, proviamo a pensare a tutte le
opinioni che abbiamo avuto nella vita: ti ricordi di quando pensavi
che far parte di una squadra di calcio fosse la cosa più importante
del mondo, o che le persone che praticavano religioni diverse dalla
tua fossero degli illusi, oppure che una particolare posizione politica
fosse l’unica verità? Ti ricordi di chi eri innamorata a quindici anni e
come appariva quell’innamorato rivedendolo dieci anni dopo? Tutto
questo è contenuto nel nostro sistema sottile, con ogni canzone che
abbiamo ascoltato e tutte le cose insensibili che abbiamo detto alle
persone amate, per non parlare di quelle che loro hanno detto a noi.
Tutte le idee, buone e cattive, sono lì… i sogni… le speranze. La
vergogna provata quando a quattro anni ti hanno sorpresa a rubare
caramelle dal buffet; il dolore alla gola quando ti hanno tolto le ton-
sille; la simpatia per il ragazzino che tutti prendevano di mira, l’eb-
brezza di andare in bicicletta giù per la collina… e il cuore spezzato
per la fine del tuo matrimonio.
Kundalini sradicherà fino all’ultima queste vecchie memorie e le
accompagnerà fuori dal nostro sistema, se la incoraggeremo a farlo
meditando ogni giorno. Ciò non significa che le perderemo: saremo
ancora in grado di ricordare il nome dei nostri bambini e cosa man-
giamo a colazione il sabato mattina. Al contrario, i ricordi saranno

186
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

più intensi. Ciò che se ne sarà andato è il cari- Ogni cosa dipende
co di queste memorie: incluso il desiderio che da questo:
sentiamo spesso di tornare ai momenti che un’incomprensibile
rievochiamo come felici e che ci distolgono naufragio in un
dall’essere pienamente presenti là dove siamo. insondabile nulla.
johannes tauler
Ciò che si dissolve è il bagaglio sentimentale
connesso a quelle esperienze, il loro potere di scagliarci su una china
emotiva. In realtà, probabilmente non ci dispiacerebbe così tanto se
alcuni ricordi fossero rimossi: chi vuole ricordare le cose cattive che
tu e la tua migliore amica avete detto a Louise Frankovitch quando
eravate alle medie? Alcune cose sarebbe meglio fossero completa-
mente eliminate.
Tutte queste memorie e impressioni, o samskara, sono alloggia-
te in parti differenti del nostro sistema sottile e fisico, ma la gran
parte si trova nel corpo causale, che è il luogo degli strati davvero
profondi, delle vasana o tendenze, che ci governano dal di dentro.
Una volta sognai che vivevo in una grande dimora: in cantina viveva
un uomo che non veniva mai ai piani superiori ed era l’unico che
faceva funzionare il posto, prendendo tutte le decisioni, curando il
mantenimento e imponendo sottilmente la sua volontà su tutti gli
abitanti della casa. Ciò è esattamente quel che fanno questi samskara
sepolti: ci governano dall’interno e, poiché ci sono così familiari, ce
li facciamo amici.
Quando meditiamo e permettiamo a kundalini di operare nel cor-
po causale, essa sradica l’influenza dei tiranti segreti: ecco perché tal-
volta nella pratica è importante lasciarsi andare nel riposo profondo,
lo stato dove siamo “spenti”, persi in uno stato molto simile al son-
no. In quei momenti, da meditanti, stiamo entrando consciamente
nello stato di sonno.
Anni fa, un mio amico che cadeva abitualmente in uno stato pro-
fondo, inconscio, decise di fare in modo di stare sveglio; perciò una
mattina – prima di meditare – bevve una tazza di caffè e, abbastanza
sicuro, rimase “conscio” per tutta la durata della meditazione. Pro-

187
la meditazione per amore

prio alla fine dell’ora, vide un’arcana figura di donna che sembrava
sgusciasse fuori dal suo cuore e che, alzato lo sguardo, gli chiese:
“Cosa fai sveglio? Questo è il momento del mio lavoro. Ecco per-
ché ti metto sempre ko”. Allora egli tornò al suo modo abituale… e
qualche tempo dopo la sua meditazione si spostò dal livello causale
ed egli cominciò ad avere una meditazione più conscia.
Comunque, poiché il viaggio meditativo non è necessariamente
una linea retta, una progressione senza interruzioni che ci conduce
da un regno dell’anima al successivo, ma piuttosto un due-passi-
avanti e uno-indietro a zigzag, negli anni ci troveremo a visitare mol-
te volte questo stato profondo e apparentemente inconscio.

Il quarto corpo: il corpo sovracausale


Quando tutto è detto e fatto, che la nostra meditazione sia calma o
agitata, alla fine dobbiamo tornare a colui che osserva, al puro “Io”
che è l’obiettivo della nostra pratica. In ogni sessione possiamo at-
traversare tutti e tre i corpi che abbiamo appena descritto. Quando
pratichiamo per le prime volte, di solito passiamo molto tempo ag-
giustando la posizione, respirando nella tensione, forse osservando i
movimenti di kriya shakti mentre scuote la nostra testa o fa oscillare
il busto. Dopo un po’, seguendo la shakti in uno stato più profon-
do e più sottile, potremmo trovarci a osservare le immagini oniri-
che meditando nel corpo sottile oppure ad attraversare le correnti
energetiche. Una visione profonda può esplodere davanti a noi: un
improvviso bagliore di luce o un’intuizione. E possiamo passare del
tempo nell’oscurità violetta del corpo causale, completamente inco-
scienti di dove siamo, fino a quando non ne emergiamo.
Tuttavia, in ognuno di questi stati e in ogni momento, c’è sem-
pre la possibilità che la pura Consapevolezza, la sempre presente
esperienza del Sé, possa emergere, e può succedere in molti modi:
possiamo sentirci sollevati in un limpido campo di Consapevolezza,
con il chiacchiericcio dei pensieri lasciato indietro, oppure in qual-
che luogo al di sotto del cielo espanso e pieno di pace nel quale

188
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

ci troviamo. Forse i pensieri si dissolvono in un pozzo di profon-


da contentezza; forse il nostro sentirci un piccolo sé sparisce in un
senso più grande, più espanso dell’essere; possiamo trovarci in una
qualche rievocazione – chiedendoci: “Dov’è il mio Sé in tutto que-
sto?” oppure “Chi è il vero io?” – e diventare gradualmente sempre
più consapevoli della presenza del testimone, che forse contiene e
circonda il corpo-personalità-sé, o che, posto oltre e dietro la testa
osserva senza commentare, semplicemente là. Quando il puro “Io”,
la grande Consapevolezza, mostra il suo volto sottile, ciò che dob-
biamo fare è essere in lei, dissolverci in lei, permettere a noi stessi
di diventare lei.
I testi del Vedanta chiamano turiya, “il quarto”, lo stato al di là di
veglia, sogno e sonno profondo, l’essere “in” o “con” il nostro supre-
mo Sé. In The Nectar of Self-Awareness (Il nettare della Consapevolezza di
Sé, NdT), Jnaneshwar Maharaj, il poeta illuminato, lo descrive come
“l’occhio del tuo occhio, dove il vuoto
giunge al proprio compimento”. È la Guarda intensamente nel cuore
ardente della gioia
riva più lontana dell’esperienza umana,
e vedrai la Madre mia beata,
il luogo in cui l’uomo si riconosce come matrice di tutti i fenomeni,
esteso, impersonale, divino. E sebbene che brucia le barriere
la piena esperienza di ciò sia senza limi- convenzionali, pervade
ti e senza forma, alcuni Siddha tantrici menti e mondi con la luce,
(maestri di yoga realizzati) ci hanno det- rivela la sua bellezza elevata,
to che questo stato illimitato ha anche dove gli amanti si fondono
un “corpo”, una forma. Sperimentare la con la Madre Realtà,
forma di questo quarto corpo è uno dei sperimentano il solo
più segreti e sublimi raggiungimenti che gusto della non-dualità.
ramprasad
un meditante possa conseguire.
Jnaneshwar descrive come questo corpo trascendentale possa
essere visto come una luce blu, grande come un seme di sesamo,
che guizza velocemente dentro e fuori dallo spettro di visione di un
meditante, apparendogli talvolta anche quando non sta meditando.
Forse Gesù si riferiva a questo, quando descrisse il regno dei cieli

189
la meditazione per amore

grande “come un granello di senape”.


Il punto di luce blu, o bindu, è descritto nel tantra come il punto
della manifestazione da cui scaturisce l’universo. Questi testi parlano
di un momento in cui l’intera energia creativa dell’universo, il potere
della manifestazione, si raccoglie in un rombo vibratorio, il suono
di Om, e poi in un minuscolo punto di luce, un bindu. L’universo
di materia e forza erompe da questo punto di energia intensamen-
te concentrata. (Si può notare come questa visione della creazione
abbia una certa corrispondenza con la teoria fisica del Big Bang).
Quando abbiamo la visione del punto di luce blu, stiamo vedendo
questo seme di primaria, intensa, concentrata energia.
Poiché i saggi che scrissero questi testi basano la loro metafisica
sulle proprie visioni mistiche, possiamo ritenere che loro stessi abbia-
no visto questo bindu, questo minuscolo punto di energia. In effetti,
l’immagine di una sfera blu di immenso potere è disseminata in tutta
la letteratura spirituale: Ildegarda di Bingen dipinse la luce blu; i saggi
della tradizione dello Shivaismo del Kashmir e i santi-capofamiglia2
del Maharashtra ne parlano nei loro poemi; A. H. Almaas, uno scrit-
tore contemporaneo della tradizione Sufi, la descrive come una visio-
ne dell’essenza, chiamandola “la perla senza prezzo”.
Questi saggi – e altri della tradizione devozionale – scrissero
anche di un altro tipo di visione che talvolta giunge ai meditanti
nello stato di turiya: come la visione personale di Dio, in forma
di luce, che Ildegarda di Bingen, e molti scrittori indiani e tibeta-
ni, descrissero come un essere interamente costituito di luce blu.
Quella forma può apparire come Gesù, Krishna, un buddha, una
Dea e quando appare nello stato di turiya, sembra che si sciolga
nello stesso corpo del meditante, in modo che sperimenti davvero
in sé quella specifica forma divina. Nella tradizione tantrica questa
esperienza è vista come la rivelazione che l’individuo è una cosa
sola con l’Assoluto, e può portare con sé la profonda convinzione
che l’Essenza umana non sia diversa dalla divina, che – per usare
2 Che avevano scelto, cioè, di non rinunciare alla vita di famiglia (NdT).

190
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

il linguaggio della tradizione indiana – jiva, l’individuo, non sia di-


verso da Shiva, l’Assoluto.
Tuttavia, tutte le tradizioni concordano che sperimentare il di-
vino in una forma non sia l’esperienza definitiva: è solo una tappa
importante sul sentiero, una visione del corpo di luce della Real-
tà che sostanzialmente è senza alcuna forma. Ma la verità al cuore
dell’esperienza meditativa è oltre tutto questo: la troviamo nella va-
sta Presenza, nell’Essenza immobile che si manifesta quando colui
che vede si immerge in se stesso, quando nella consapevolezza non
c’è più alcun oggetto.
Questa consapevolezza senza oggetto è pura Coscienza, pura sa-
pienza, puro essere, lo stato di immersione in colui che vede, il Sé.
Entrare in quello stato è anche detto, di nuovo, samadhi, la condizio-
ne di completo assorbimento; o samavesha (letteralmente, “identicità
con la divina Presenza”), lo stato in cui
ci si congiunge con la propria Coscien- L’occhio non può vederlo,
za. Naturalmente, si può sperimentare il l’orecchio non può sentirlo
samadhi a diversi livelli. Nel primo, chia- né la lingua pronunciarlo;
mato savikalpa samadhi (assorbimento solo nel profondo assorbimento
la mente può,
in una forma), si ha il senso di fondersi
cresciuta pura e silenziosa,
con un oggetto, sebbene sottile: divenire fondersi con la verità
completamente assorbito in un mantra, senza forma.
o essere una cosa sola con la luce oppure Colui che la trova è libero;
sciogliersi in un sottile senso di beatitu- ha trovato se stesso;
dine. Nello stato di savikalpa, i pensieri ha risolto il grande enigma;
possono rimanere. il suo cuore è in pace
Ma, nel livello più profondo, det- per sempre. Totalità,
to nirvikalpa samadhi (assorbimento nel egli entra nella Totalità.
senza forma), non ci sono pensieri, solo mundaka upanishad

quiete: un’esperienza di vuoto che è


contemporaneamente totalmente pieno e beato. “Nirvikalpa è chit,
Coscienza senza sforzo, senza forma” scrisse Ramana Maharshi,
che continuò:

191
la meditazione per amore

“Per alcune persone le cui menti sono diventate mature alla fine di una
lunga pratica, nirvikalpa arriva improvvisamente, come un’inondazione,
ma per altri avviene durante l’azione spirituale, in un processo che porta
lentamente verso il basso i pensieri che ostacolano e rivela lo schermo
della pura consapevolezza, l’“Io-io”. La pratica continua rende lo scher-
mo permanentemente presente: questa è la realizzazione del Sé, mukti…
Il solo Samadhi può rivelare la verità. I pensieri gettano un velo sulla
realtà, e quindi la verità non è realizzata come tale negli stati che non
siano il samadhi. Nel samadhi c’è solo la sensazione di “Io sono” e
nessun pensiero. L’esperienza di “Io sono” è “essere quieto”.

C’è un paradosso riguardo questo stato, uno dei più grandi para-
dossi della vita umana: lo stato trascendentale, la sede dell’anima,
il luogo del Sé, è oltre la nostra normale coscienza, ma anche al suo
interno. Da una parte trascende tempo e spazio: è l’occhio recondito
dell’occhio, l’io che guarda se stesso; non è toccato dai pensieri, dai
sentimenti, dalle ambizioni, confusioni e limitazioni di visione che
sperimentiamo nello stato di veglia; le immagini evanescenti dello
stato di sogno non lo toccano e non è influenzato dall’oscurità cau-
sale del vuoto. È uno stato di totale Consapevolezza, una Consa-
pevolezza così sottile e raffinata che riduce tutta la materia alla sua
essenza e rivela un universo fatto di luminosità. In breve, è uno stato
interamente “extra-ordinario”.
Allo stesso tempo, il corpo sovracausale, lo stato trascendenta-
le, è totalmente e costantemente accessibile perché pervade ogni
esperienza e ogni stato dell’umana esperienza. Non è altro che il
background della nostra esperienza; è ciò che torna dentro di sé e
riflette sull’esperienza; è la sempre-presente onniscienza che parteci-
pa di tutti i pensieri e le sensazioni, anche dello stato di sonno pro-
fondo. Nel Tripura Rahasya, il testo preferito di Ramana Maharshi, si
dice che tocchiamo questo testimone libero dai pensieri molte volte
al giorno: nella pausa tra due respiri, nel momento in cui gli occhi
mettono a fuoco un oggetto da vicino a lontano, in un momento di
silenzioso appagamento. Per una persona consapevole, ognuno di

192
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

questi “fuggevoli samadhi” può produrre un vero e proprio ricono-


scimento del Sé.
Il punto è che possiamo sperimentare lo stato sovracausale in ogni
momento: poiché è sempre presente, non si deve essere in medita-
zione per sperimentarlo. Conosco una donna che regolarmente “si
sveglia” di notte e si trova in uno stato di totale oscurità, senza pen-
sieri o sensazioni: sperimentare di essere “svegli” durante il sonno
profondo è entrare nel testimone sempre-presente.
Molti di noi hanno il primo bagliore della vera realtà in un lam-
po e nello stato di veglia, come se il tessuto della realtà si rivoltas-
se dall’interno per rivelarsi come unità. Una mia amica lo chiamò
“supermarket samadhi”, perché lo sperimentò la prima volta nel
Ralph’s Market di Cupertino, California, quando i pacchetti di cere-
ali del corridoio dieci cominciarono, senza avvertimento, a brillare
di luce, rivelando che una sola intelligenza, un amore scintillante era
stato in qualche modo svegliato dentro le pile di merci secche, i car-
relli della spesa, le luci fluorescenti e sua figlia che dormiva adagiata
nel passeggino.
In un commento a uno degli Shiva Sutra, Udyamo bhairavaha (o “Il
divino prorompe”),Kshemaraja descrive come la Coscienza divina, il più
alto stato di intuizione, il testimone, possa improvvisamente emer-
gere come se uscisse allo scoperto, lampeggiando e prendendo in
consegna la nostra consapevolezza. In meditazione questo si verifica
nei momenti in cui la Consapevolezza di base, colui che conosce se
stesso, la chiara spaziosità chiamata coscienza del testimone, inghiot-
te improvvisamente la nostra coscienza ordinaria. “La mia mente si
sciolse come un chicco di grandine
Di nuovo la luce divampa per me.
nell’oceano del supremo Assoluto”,
Di nuovo vedo la luce
scrisse Shankaracharya in un famo- chiaramente. Apre nuovamente
so passo del Viveka Chudamani. Un i cieli; ancora porta via
meditante contemporaneo descrisse la notte. Di nuovo
di essersi sollevato al di sopra della rivela ogni cosa.
mente fino a che non gli sembrò di simeone, il nuovo teologo

193
la meditazione per amore

essere seduto sopra se stesso, in un’ampia e calma consapevolezza, e


di osservare il chiacchiericcio della mente ordinaria come se essa si
trovasse a una grande distanza, molto piccola e debole.
Quindi, lo stato trascendentale, lo stato del Sé, entra nella nostra
meditazione in molti modi e in qualunque momento. Può manife-
starsi come un sentimento di profonda beatitudine o di amore. Op-
pure può essere un’apertura alla compassione profonda. Una volta,
dopo aver meditato, dopo una visita al tempio di Chidambaram in
India, potei sentire i morsi delle zanzare sul corpo del mio autista,
e i muscoli doloranti delle persone che trebbiavano il grano lungo
la strada. Quando osservai alcuni ragazzini che sguazzavano in uno
stagno, l’acqua che scorreva sui loro corpi sembrava scorresse sul
mio. Cominciai a piangere sentendomi intensamente intima con il
mondo e con la profondità della sua gioia e del suo dolore.
Potremmo sperimentare turiya come un campo di luce. Quando a
una meditante esperta venne chiesto di descrivere la sua esperienza,
disse: “Quando siedo a meditare, mi sento entrare in uno spazio pie-
no di pace, quieto. Dopo un momento, quello spazio diventa infuso
di una luce blu, un esteso spazio di luce. Poi, all’interno di quel cam-
po, accadono diverse manifestazioni. Talvolta vedo un’esplosione di
una radiosità bianca così lucente che mi acceca. È come guardare al
sole, solo più splendente”.
Teresa d’Avila scrisse di queste luci interiori:

La luce che adesso si rivela è una luce così diversa dalla nostra che quella
del sole, in confronto, sembra molto appannata, tanto che dopo non si
vorrebbe nemmeno aprire gli occhi. È come se da una parte si vedesse
un’acqua limpidissima scorrere sopra un cristallo illuminato dal sole, e
dall’altra un’acqua molto torbida volgere fra la polvere sotto un cielo
nuvoloso. Non già che si veda sole o luce che abbia somiglianza con
quella del sole. Anzi, questa sembra piuttosto artificiale e quella soltan-
to naturale: luce senza tramonto, che nulla può turbare perché eterna,
di tal portata che nessuno potrebbe immaginare, neppure se fosse di
grandissimo ingegno…

194
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

A volte, semplicemente leggere considerazioni come questa può dare


il via a un incontro con la luce, con la Consapevolezza che sottende
le esperienze materiali, e allo stesso modo lo può una pratica come
meditare sulla luce – magari immaginando che un campo di radiosità
blu riempia la mente – oppure attraverso l’esercizio che segue.

Esercizio: la luce della Consapevolezza


alle spalle della tua esperienza

Chiudi gli occhi e focalizzati per qualche minuto sul respiro. Silenzio-
samente di’ a te stesso: “Alle spalle dei miei pensieri c’è la luce della
pura Consapevolezza: essi escono da quella luce e si re-immergono
in quella luce. Dietro il mio respiro c’è la luce della pura Consape-
volezza. Il mio respiro si manifesta e sprofonda in quella luce. Le
sensazioni del mio corpo provengono da quella luce. È la luce della
Consapevolezza che mi permette di percepire e quella luce di Consa-
pevolezza è in ogni cosa che percepisco, che sento, che odo”.
Come emergono pensieri e si manifestano come percezioni, sii con-
sapevole che tutti appaiono e scompaiono nella luce di fondo della
pura Coscienza, la sorgente divina. Quando apri gli occhi e cominci
a guardarti intorno, abbi la sensazione che è la luce della Consape-
volezza che ti permette di vedere e che appare in ogni cosa che vedi.

Quando turiya si manifesta in me, arriva spesso come uno sciogli-


mento graduale dei confini tra interno ed esterno, fino a che non
sperimento tutto, il dentro e il fuori, come parte della mia stessa
coscienza. Questo accade più spesso in meditazione, ma occasio-
nalmente l’ho sperimentato anche a occhi Solo Dio si rivela
aperti. Seduta in una stanza affollata, noto un a Se Stesso,
subitaneo cambiamento di sguardo: invece di essendo il conoscitore
vedere la stanza intorno a me e percepirmi ciò che è conosciuto.
al suo interno, l’intera stanza è in me, i suoni meister eckhart

195
la meditazione per amore

accadono in me, l’aria stessa pulsa in me. Quando qualcuno si muo-


ve, i suoi movimenti solleticano la mia consapevolezza. Gli Shiva
Sutra dicono che una delle esperienze dello stato trascendentale è
la sensazione che il proprio corpo divenga l’universo. Nella tradi-
zione tantrica, si dice che un essere perfettamente realizzato viva
in quest’esperienza tutto il tempo, in meditazione e non, sempre
consapevole del mondo intorno come un’emanazione della propria
Consapevolezza piena di beatitudine.
Talvolta, un desiderio intenso o una focalizzazione possono cata-
pultarci in uno stato di turiya. Una mattina, in meditazione, un uomo
cominciò a chiedersi a cosa assomigliasse l’esperienza interiore di un
essere illuminato. Quando il suo interrogativo divenne più intenso,
sentì un rombo e la sua consapevolezza fu “tirata indietro” finché si
trovò in un luogo di luce blu. Onde di luce ondeggiavano intorno a
lui. La sensazione di energia crebbe fino a che sentì la sua coscienza
vibrare intensamente. Il rombo si intensificò. Poi, repentinamente, il
movimento dell’oceano si calmò. Il fragore si risolse nella pulsazio-
ne di una consapevolezza: io sono, io sono, io sono. Da quella vibrazio-
ne, onde su onde di amore lo percorsero.
Come tutte le esperienze di stato trascendentale, quest’ultima
contiene elementi che possiamo riconoscere nei testi di yoga e nel-
le scritture dei saggi: l’oceano blu appare in
Il mio Io è Dio, molte delle abhanga (canzoni) dei santi-poeti
e io non conosco altro Io indiani, e Ramakrishna Paramahamsa parlò
che questo mio Dio. spesso di come avesse sperimentato la Dea
caterina da genova Kali, la forma divina da lui amata, come un
campo di infinito blu. Il suono fragoroso
era probabilmente un’esperienza di megha nada (rombo di tuono),
che i testi di laya yoga (letteralmente “lo yoga del dissolvimento”, una
pratica meditativa assai sottile) descrivono come il suono che ci ac-
compagna nel samadhi, l’esperienza di fusione nell’Assoluto.
La consapevolezza di “Io sono”, il riconoscimento di sé come
pura essenza, conosciuto come purno’ham vimarsha, o perfetta co-

196
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

scienza di sé, è descritto nelle opere Non so dove sia l’“Io”,


del saggio Abhinavagupta e degli altri né lo cerco…
come la suprema esperienza della sog- sono tuffata e immersa
gettività divina; si tratta del “Io sono ciò nella sorgente del Suo infinito
che sono” udito da Mosè sul Sinai, o lo amore, che è quasi come se fossi
in mare sott’acqua
stato sommo di cui si parla nel Vijnana
e non potessi toccare,
Bhairava e in altri testi. Gli antichi scrit- vedere, sentire nulla
tori usavano un linguaggio metaforico da nessuna parte
per descrivere il massimo paradosso di che non sia acqua.
questo stato, dove il nulla contiene tut- caterina da genova
to e l’assenza di esperienza esterna per-
mette di sperimentare nel modo più pieno la vastità interiore: essi lo
descrivono come luce che si mescola alla luce, come lo spazio che
rimane dopo che la canfora si è dissolta,3 o ciò che rimane quando
a uno si sottrae uno.
Non c’è un modo diretto per descrivere questo stato, perché esso
è davvero totalmente al di là delle parole. “Qui l’intelletto, vergogno-
so, si ritira insieme con la mente e i sensi” scrive Jnaneshwar. Nel
suo poema Notte oscura dell’anima, San Giovanni della Croce dice che
per raggiungere il luogo dove si sperimenta tutto, uno deve passare
attraverso il diventare niente. Nel Nettare della Consapevolezza di Sé,
Jnaneshwar Maharaj descrisse lo stesso stato dicendo: “Per un mo-
mento il Sé appare come un oggetto della percezione. Ma quando
colui che vede e la cosa vista si uniscono, entrambi svaniscono. Allo-
ra la cosa vista è la stessa cosa di chi la vede e colui che vede si è fuso
nel visto. Entrambi svaniscono e solo la Realtà rimane.”
Lo stato sovracausale non è qualcosa cui possiamo ascendere o
che possiamo raggiungere. Si rivela da sé, attraverso la grazia. Tut-
tavia, come abbiamo visto prima, noi possiamo “attrarlo” perché è
sempre presente. Quando kundalini è sveglia, questo stato può ma-
nifestarsi periodicamente e in effetti lo fa. Molte delle pratiche del

3 La canfora sublima, passando direttamente dallo stato solido a quello gassoso.


(NdT).

197
la meditazione per amore

secondo capitolo ci aiutano ad attraversare il ponte tra la coscienza


ordinaria e questo stato di samadhi. Eccone un’altra: un semplice
esercizio che si può effettuare con gli occhi aperti o chiusi. Se pre-
ferite, potete sostituire la parola Dio con altre: “Pura Presenza”,
“amore”, “Consapevolezza” oppure “vuoto”.

Esercizio: Dio è in ogni cosa

Siedi in una posizione eretta, confortevole e chiudi gli occhi. Prendi


qualche momento per rilassare il corpo respirando in ogni sensazio-
ne di tensione, poi espirandola fuori.
Focalizza l’attenzione sul respiro, sentendo la leggera frescura quan-
do entra e il leggero tepore quando esce dalle narici.
Abbi questa consapevolezza: “Dio, la Presenza che dà vita a ogni
cosa, è nel mio respiro. Dio è nei miei pensieri. Dovunque vada la
mia mente, Dio è là. Dio è il corpo fisico. Dio è nell’aria. Dio è nella
sedia su cui siedo. Dio è negli abiti che indosso. Dio vede attraverso
i miei occhi e pensa attraverso la mia mente. Ovunque si rivolgano i
miei pensieri, ovunque vada la mia attenzione, Dio è là. Quello che
vede è Dio; quello che sente è Dio; quello che io chiamo “Io” è Dio.
Dopo qualche momento, apri gli occhi e guardati intorno con questa
consapevolezza.

Sebbene possa non darci la piena esperienza dello stato trascenden-


tale – ma tuttavia aprire delle porte nella nostra consapevolezza e
renderci pronti per l’emergere della piena esperienza – anche un
esercizio simile può cambiare per sempre il nostro senso di chi sia-
mo, soprattutto se siamo in grado di ricordarlo, di mantenerlo nella
nostra consapevolezza, e ritornarci con la memoria.
Accumulando l’esperienza di questo stato sovracausale, possia-
mo anche cominciare a comprendere che c’è di più, che il viaggio
della meditazione non culmina nel samadhi interno. Ci sono altri

198
a che punto sei? la mappa stradale del viaggio della meditazione

stati oltre il turiya. Nella tradizione induista Colui che


dei Siddha e in quella dello Shivaismo del senza esitazione
Kashmir, la vera realizzazione del Sé viene vede tutto questo mondo
descritta come sahaja samadhi, o samadhi tangibile come tua forma,
naturale. Nella descrizione che ne fanno i Avendo riempito l’universo
Con la forma del
Siddha, la consapevolezza della non-duali-
proprio sé,
tà non muta mai. La parola non-duale qui è eternamente
è significativa: non indica che ogni cosa pieno di gioia.
si fonde nell’unità – come nello stato di uptaladeva
samadhi interno – ma che riconosciamo,
anche nell’esperienza di veglia, che non esiste niente in cui l’Assolu-
to non sia. Nello stato sahaja, siamo consapevoli della particolarità
delle persone e degli oggetti, dell’unicità e della moltitudine… ma
recepiamo che si manifestano all’interno e come unica Coscienza,
che spirito e materia, assoluto e relativo non sono due diverse realtà.
Ramakrishna Paramahamsa, il grande maestro del XIX secolo,
descrisse le estasi in cui il mondo inanimato e quello animato gli si
rivelarono come divini, pieni di luce e vivi nella Coscienza, anche
quelle parti che apparentemente sono prive di sensibilità. Ramana
Maharshi disse che in quello stato, che si mediti, si mangi, si dorma
o si cammini, il samadhi è ininterrotto.
Kabir scrisse:

Sempre immerso nella beatitudine, non ho paura


nella [mia] mente, [Io] colgo lo spirito dell’unione
nel mezzo di tutti i piaceri.
L’infinita dimora dell’Essere Infinito è ovunque:
nella terra, nell’acqua, nel cielo e nell’aria…
Colui che è dentro è fuori:
io vedo Lui e niente altro.

Esseri Realizzati di diverse tradizioni descrivono lo stato sahaja in


modi diversi, ma spesso da un’unica prospettiva. U. G. Krishnamur-
ti disse: “Ogni persona che arriva in questo stato lo esprime in un

199
la meditazione per amore

unico modo, in termini significativi per la sua epoca”. Descrisse an-


che la propria esperienza come uno “stato disinnescato” nel quale
il pensiero si ritira, e il mondo è sperimentato senza la mediazione
della conoscenza concettuale, ma l’azione ha luogo, se necessaria,
spontaneamente. “Non si può affatto comprendere l’immensa pace
che è sempre lì, in te, che è il tuo stato naturale” egli scrisse nella
Mistica dell’Illuminazione. “Non è una cosa che si può portare all’esi-
stenza per volontà. È là. È lo stato del vivere. Questo stato è solo
l’attività funzionale della vita… È la vita dei sensi che funziona na-
turalmente senza l’interferenza del pensiero… Ciò che è qui, questo
stato naturale, è una cosa vivente. Non può essere catturato da me,
tanto meno da te. È come un fiore. Fiorisce.”
La suprema promessa della meditazione è che essa ci rivelerà il
nostro intimo sahaja, l’esperienza a occhi aperti del mondo, scintil-
lante di un unico sapore, non condi-
Si racconta di un maestro zionata dal pensiero ordinario. Ecco
che quando voleva contemplare perché, col tempo, comprendiamo
le cose individuali,
che non è sufficiente sperimentare
doveva mettere in scena
in meditazione la pace o la gioia o il
spettacoli per reprimere
la sua vista spirituale, gusto della nostra pura Consapevo-
perché altrimenti avrebbe visto tutte lezza. Noi vogliamo che quello stato
le cose individuali si diffonda nei nostri giorni, riem-
del mondo come una sola. pia la nostra consapevolezza anche
martin buber nel mezzo dell’andare e venire della
vita. In altre parole, vogliamo cono-
scere per diretta esperienza cosa vogliono significare i saggi quando
dicono che il Sé è sempre presente, che lo stato di turiya, lo stato del
samadhi, pervade la nostra vita da svegli, quella del sogno e anche
quella del sonno profondo. Dunque, cominciamo a prestare atten-
zione ai primi momenti dopo la meditazione e ai modi in cui possia-
mo portare quella consapevolezza nel quotidiano.

200
Uscire di Meditazione:
capitolo decimo

contemplazione, memoria, scrittura del diario

È mattina presto. Siedo in un lago di quiete che si distende intorno


al mio cuore. Più rimango qui e più si espande e diventa piacevole,
finché il mio corpo vi scompare e io riposo dolcemente nelle sue
acque lisce e vibranti. Poi suona la sveglia, troppo rumorosamente.
Mi agita così tanto che salto su, balzando fuori di meditazione, di
colpo consapevole della sedia, del mio corpo e della necessità di
schiacciare il pulsante della sveglia. Goffamente mi metto in piedi e
vado alla finestra. Sto brancolando con la tenda quando mi accor-
go che barcollo, che non sono realmente nel
corpo e che devo tornare indietro e rientrare, Una persona guarda;
i boccioli ricordano:
perché altrimenti ci sarà troppa discrepanza
osservando il cuore puro
tra la meditazione e il resto del giorno. nella purezza del cuore.
Mi ci volle molto tempo per imparare sun bu-er
qualcosa su come rientrare nello stato di ve-
glia, per capire che anche se si sente di non essere andati in profon-
dità, bisogna comunque prendere del tempo per uscire di meditazio-
ne lentamente. Quando lo facciamo, nel bagliore residuo accadono
cose sorprendenti: una mia amica dice che se sta seduta ancora per
un po’, a sessione finita, e poi apre gli occhi, vede il mondo intorno
a sé spuntare da una punta di spillo, ricrearsi davanti ai suoi occhi
come fosse la prima volta. Lei sa davvero cosa significa dire che ogni
cosa si manifesta e si inabissa nella propria coscienza.
Questi momenti dopo la meditazione sono spesso il tempo in
cui raccogliamo i frutti di un’ora di “lavoro” di focalizzazione e del

201
la meditazione per amore

fatto di aver lasciato che i pensieri rallentassero, in cui sentiamo la


pace e gustiamo la beatitudine. Quantomeno, essi danno alla nostra
consapevolezza il tempo di ritornare pienamente allo stato di veglia:
infatti, se talvolta ci sentiamo irritabili o ipersensibili dopo una me-
ditazione profonda, di solito è perché non ci siamo dati abbastanza
tempo per farlo.
Ma ci serve tempo anche per un’altra ragione: è nei momenti
successivi alla meditazione che comincia il processo di integrazione
in cui impariamo come portare nel nostro quotidiano la quiete del
mondo interiore.
Se la grande domanda per un meditante agli inizi è: “Come faccio
a entrarci?”, la questione per una persona che medita da un po’ è:
“Come faccio a mantenerlo?”. Spesso alla fine di un corso o di un
seminario di meditazione, qualcuno mi dice: “Mi sento meraviglio-
samente mentre medito ma, quando apro gli occhi e la vita mi crolla
addosso, prima che me ne renda conto sono sommerso dalle attività
e tutto sparisce, quasi non l’avessi sperimentato affatto”.
Molti di noi hanno la propria versione di questa lamentela; si trat-
ta di un’altra di quelle frustrazioni universali riguardo al meditare:
uscire da una meditazione profonda ed entrare nel quotidiano, solo
per vedere la pace e la quiete sparire dalla nostra mente.
Naturalmente, tutte le esperienze – siano piacevoli o dolorose,
esaltanti o deprimenti – vanno e vengono. Parte di ciò che imparia-
mo meditando è permettere a uno stato di cedere a un altro. Tutti
abbiamo conosciuto persone che hanno cercato di stare in medi-
tazione tutto il giorno: normalmente si possono riconoscere dagli
occhi lievemente vitrei, l’aria di non essere perfettamente focalizzati
sulle banalità della realtà – piatti sporchi, posti al parcheggio, segnali
di stop – la tendenza a dimenticare dove sono… e dall’attitudine a
fare tutto molto lentamente, prendendo talvolta tanto tempo per
rispondere a una semplice domanda. Ricordo vivamente la mia fase
“esuberante” tra le nuvole, durante la quale una volta, andando a
fare la spesa cercando di stare in meditazione, guidai il furgone di un

202
uscire di meditazione: contemplazione, memoria, scrittura del diario

amico per trenta isolati prima di realizzare che il freno a mano era
ancora tirato.
Quindi è inevitabile che corra una differenza tra i nostri stati di
meditazione e i nostri stati di coscienza di normale veglia. Infatti,
possiamo fidarci che anche quando ci dimentichiamo quello che è
successo in meditazione, il processo interiore che ha avuto inizio
durante quell’ora all’interno è ancora vivo in noi, opera ancora la sua
alchimia nella nostra coscienza. Nella pratica ispirata a kundalini, il
lavoro interiore va avanti costantemente sotto la superficie della co-
scienza. La naturale intelligenza interna integra le nostre esperienze,
inserendole nel tessuto del nostro stato di veglia, senza che noi ci
rendiamo nemmeno conto che ciò stia accadendo.
Allo stesso tempo, un segno inequivocabile di maturità spirituale è
la capacità di vivere a partire dal fulcro di tale stato interiore, mante-
nendo la chiara spaziosità della Consapevolezza come fonte del netta-
re di giovinezza, cui possiamo attingere a
volontà. Infatti, se la nostra pratica di me- Un grande yogi è ancora
ditazione è più di una via di fuga, di una pieno dello stato
sorta di ginnastica interna o di qualcosa del samadhi anche quando è
nella coscienza normale,
che facciamo per darci conforto, alla fine
perché anche allora
si deve scoprire come mantenere la con- egli vede l’intera
sapevolezza di sé durante il giorno. Ecco massa di cose che si
perché pratichiamo per vivere in uno stato dissolvono nel cielo della
di piena veglia. Coscienza, come un po’
La differenza tra un essere illuminato e di nuvole in autunno.
una persona in cammino è questa: l’esse- kshemaraja
re illuminato ha imparato a trattenere la
sua esperienza interiore e la rende parte del tessuto della vita quoti-
diana. L’abilità di fondere il nostro interno con il mondo esterno è
una delle grandi arti della vita spirituale.
Come farlo? Il primo passo è prendere l’abitudine di richiamare
consapevolmente alla memoria e contemplare le nostre esperienze
di meditazione, con l’aiuto di un diario. Il secondo passo è quello di

203
la meditazione per amore

imparare a tornare a quelle esperienze portandole nelle meditazioni


successive, e anche soffermandovisi tra una meditazione e l’altra.

I momenti dopo la meditazione


Nel Pratyabhijna Hridayam, un testo dello Shivaismo del Kashmir,
un sutra descrive come nei momenti dopo la meditazione possiamo
assaporare e ricordare l’esperienza avuta. Assaporando l’energia che
abbiamo raccolto, aiutiamo l’integrazione. Ecco come si può farlo
alla fine della meditazione:
Per prima cosa, prima di sederti in meditazione, punta la sveglia
(se la usi) in modo che scatti dieci minuti prima di quando ti alzerai.
Quando squilla, stai quieto per qualche minuto o scivola dolcemente
in shavasana – la posizione del cadavere – steso sulla schiena con le
braccia lungo il corpo. Questo è un buon momento per cominciare
a ricordare l’esperienza vissuta.
Diventa conscio di come ti senti, osserva il tuo stato: cosa sente il
tuo cuore? Quali sono le sensazioni nel corpo? E la mente? Com’è
la tua energia? Il tuo corpo è rilassato? Pieno di vitalità? Asson-
nato? Fa’ una fotografia di tutto questo e
Sii e sappi anche poi ripensa alla meditazione: richiama alla
la condizione memoria le sue qualità, i suoi umori, la sua
del Non Essere, consistenza, prendendo nota di qualsiasi
interminato fondamento circostanza inusuale, o semplicemente del-
della tua interna
la sequenza della tua esperienza.
oscillazione,
Poi, abbraccia il tuo stato post-medita-
che tu questa volta
almeno la porti tivo, avendo la percezione che lo stai te-
a vero compimento. nendo nella consapevolezza. Intanto che
rainer maria rilke dolcemente ti lasci tornare con agio allo
stato ordinario, cerca di mantenere una
parte della tua consapevolezza in contatto con la sensazione provata
in meditazione.
All’inizio, probabilmente non sarai in grado di tenerla che per
pochi minuti ma, attraverso la pratica, ti accorgerai che anche dopo

204
uscire di meditazione: contemplazione, memoria, scrittura del diario

essere entrato pienamente nello stato di veglia conscio, potrai sen-


tire la presenza della consapevolezza meditativa per periodi sempre
più lunghi. La fotografia interiore dello stato meditativo rimane con
te e, ogni volta che ne scatti una nuova, rafforzi la sua traccia. Ri-
cordando ripetutamente la tua esperienza, alla fine imparerai come
rientrare in quello stato solo ripensandoci.

Registrare le proprie esperienze


Il momento migliore per scrivere nel diario è in quei primi attimi
dopo essere usciti di meditazione. Se si scrive non appena si aprono
gli occhi o dopo aver preso qualche minuto per ricordare e mante-
nere l’esperienza, si sarà ancora in contatto con lo stato meditativo,
e la sensazione di quello stato emergerà sulla carta. Le esperienze di
meditazione sono molto spesso così sottili che se non le si cattura in
forma scritta, scompariranno quasi prima di aprire gli occhi. Eppu-
re, se riusciamo a tenerle strette, queste sottili realizzazioni possono
trasformare la vita. Quando rileggiamo i nostri diari mesi o anni
dopo, ci rendiamo conto che le cose che abbiamo registrato sono
tesori ai quali possiamo tornare ripetutamente.
Nel registrare queste esperienze, la sfida sta nel trovare il linguag-
gio per catturare la loro sottigliezza sulla pagina. Quando si medita,
si è nel regno del mistico, e questo significa che ci si muove in un
ambito dove la lingua non arriva. Questa può essere la ragione per
cui così tante descrizioni di esperienze spirituali parlano di visioni, di
voci, o di altre manifestazioni concrete del mondo interiore: è molto
più facile descrivere la stella brillante apparsa al nostro occhio inte-
riore che descrivere il senso di una presenza amorevole, onnicom-
prensiva, oppure la sensazione di attraversare strati di veli fin dentro
alla consapevolezza, passando da uno stato spesso e contratto a uno
leggero e trasparente. A volte non ci sono parole per descrivere que-
sti cambiamenti energetici e queste sottili sensazioni. Se vuoi evitare
di cadere di nuovo nelle vecchie scelte come “dolcezza”, “nettare
interiore”, “spazio profondo” o “beatitudine” – parole logorate da

205
la meditazione per amore

un uso eccessivo – è necessario cercare nuovi modi per catturare la


propria esperienza interiore.
Lo sforzo di trovare le parole per il mondo spirituale è profonda-
mente utile, perché fissa nella mente le nostre esperienze. È un fatto
della vita umana che quello che abbia-
L’amato Cuore è il solo rifugio mo messo in parole diventa reale per
per il manifestarsi noi in un modo che l’inarticolato, l’i-
e l’inabissarsi di quell’“Io”. nespresso spesso non fa. Non importa
Il Cuore, la sorgente, che le parole siano belle e neppure che
è l’inizio, il punto
abbiano un significato per altri che per
di mezzo e la fine di tutto.
Il Cuore, lo spazio supremo,
noi. Non scriviamo per nessun altro.
non ha mai forma. Oltre a scrivere quello che è suc-
È la luce della verità. cesso in meditazione, mi piace anche
ramana maharshi ricordare e registrare il processo at-
traverso il quale vi sono arrivata. Ri-
petendo un mantra? Osservando il respiro? Penso che la tecnica mi
abbia spinto verso un cambiamento? Oppure è stato un coup de foudre,
un puro atto di grazia? Penso forse che non sia successo niente…
ma quel “niente” a che cosa assomiglia? Ci sono stati un paio di mo-
menti di distacco dai pensieri, un piccolo spazio che si è aperto tra
di loro? Ho sentito la variazione di energia? È emersa un’intuizione,
o un senso di benessere? Oppure sono diventata super consapevole
di una certa ansia persistente o di un qualche problema? C’è stato un
momento in cui la mia consapevolezza sembrava divenire più nitida,
più luminosa? Tutte queste cose vale la pena registrarle.
Ecco un estratto da uno dei miei diari di meditazione:

Nel cuore un amore traboccante, e il respiro ha cominciato a emergere


dal sentimento d’amore. Il respiro si manifesta come se l’amore stesse
respirando. Ogni espirazione pulsa di una morbida shakti, dolce energia
nel cuore. Una percezione: questa energia sono io… Ho offerto men-
talmente fiori alla shakti nel mio cuore. Adorate il vostro Sé. È questo
che significa adorare l’energia che pulsa nel cuore?

206
uscire di meditazione: contemplazione, memoria, scrittura del diario

Quando rilessi questo passaggio un anno dopo, un giorno in cui


la meditazione non era stata così dolce, esso mi riportò indietro, al
sentimento di devozione di quel momento. Le parole mi ricordaro-
no della connessione con la divinità che è all’interno di me, che è
sempre presente anche quando non accade di sentirla.
Un altro meditante scrisse la sua visione in forma poetica:

Incarnati adesso!
Durante l’inspirazione, il Tutto.
Durante l’espirazione, amore.

In questa meditazione aveva compreso che solo essendo “nel” cor-


po poteva sperimentare il sentimento d’amore. La pratica di inspi-
rare l’universo ed espirare amore si era manifestata naturalmente,
come risultato della sua intuizione.

Elaborare le esperienze
Una volta scritte le nostre esperienze, abbiamo materiale non solo
per la contemplazione, ma anche per approfondire l’esperienza stessa.
Osservando quelle scritte nel mio diario, è chiaro che sebbene fossero
molto sottili, c’era in esse tanto da contemplare: realizzazioni che ave-
vano creato un altro minuscolo cambiamento nel senso del sé.
Ogni volta che comprendiamo qualcosa di più sulla nostra vera
sottigliezza: che le emozioni sono in realtà energia, o che la spazio-
sità dietro i pensieri è il vero sé, che si è “respirati” da una forza
maggiore (invece di essere noi a respirare), lasciamo andare un altro
atomo di attaccamento al sé limitato. Ogni minuscola realizzazione
o intuizione che si verifica in meditazione crea un nuovo modello
nella nostra coscienza, che siamo liberi di rivedere in qualsiasi mo-
mento. La memoria è là, ed è una memoria di libertà… e il modello
si approfondisce nuovamente ogni volta che ci si ritorna. Infatti,
l’esperienza di una meditazione può diventare la focalizzazione da
mettere in pratica nella successiva.

207
la meditazione per amore

Seguire i sentieri
Questo ha senso se si considera che la maggior parte delle grandi
tecniche di meditazione e yoga è iniziata probabilmente nella forma
di un’esperienza spontanea di qualcuno. Un praticante – forse un
saggio o un futuro saggio – sentì o intuì una strada da seguire che
scaturiva da dentro: “Chiedi a te stesso: ‘Chi sono io?’” oppure “Se-
gui il movimento del respiro”. O forse una visione, un suono inte-
riore si manifestarono spontaneamente conducendolo in uno stato
più profondo. Più tardi avrebbe rintracciato i suoi passi lungo tale
percorso meditativo, solo che questa volta l’avrebbe fatto delibera-
tamente. Alcune di queste vie sarebbero diventate la base per l’intera
tradizione della meditazione.
Non c’è bisogno di essere saggi o maestri per utilizzare le nostre
esperienze come tecniche per la pratica. Supponiamo che durante
la meditazione la nostra attenzione sia richiamata al centro della te-
sta, e la focalizzazione diventi come un laser
Impara ad ascoltare mentre “osserviamo” i pensieri e i sentimenti
la tua voce interiore. che passano davanti a noi. In una meditazio-
Il tuo corpo e la mente ne successiva, potremo stabilire l’attenzione
diverranno uno, e in quel centro e da quel luogo saremo il testi-
tu realizzerai mone dei nostri pensieri.
l’unità di tutte le cose. Oppure, supponiamo di avere l’esperienza
dogen zenji
di “Sono respirato da una forza più grande”.
In un’altra meditazione, potremo richiamare
questa intuizione e praticarla. Mentre sperimentiamo la consape-
volezza del respiro, richiamiamo la sensazione dell’esser respirati.
Cerchiamo la presenza della forza più grande che porta il respiro
dentro e fuori. Per farlo, è sufficiente ricordare l’esistenza di quella
presenza più vasta e sintonizzarci con essa… stare in essa… esplo-
rarla… aprirci a essa. Un meditante che un giorno ha avuto l’in-
tuizione di essere respirato, quando più tardi siede in meditazione
mantiene la consapevolezza che: “L’intera forza di questo universo
si muove in ogni mio respiro”. Io ho praticato per anni con la dha-

208
uscire di meditazione: contemplazione, memoria, scrittura del diario

rana: “Dio respira in me”, scaturita da un reale esperienza che avevo


avuto in meditazione.
Ogni esperienza meditativa suggerisce nuovi percorsi per medita-
re. Quando ci sentiamo apatici, col bisogno di ispirazione o sempli-
cemente avventurosi, il nostro diario è lì per essere esplorato.
Alla fine, cominceremo a notare che la pratica di stare a contatto
con le intuizioni meditative influenzerà il nostro stato di veglia. Le
impressioni di unione e di amore, di attenzione consapevole, della
Presenza interiore, si fisseranno maggiormente nella nostra consa-
pevolezza. Spesso manifestandosi quando ne abbiamo bisogno, mo-
strandosi come antidoti naturali a sentimenti di rabbia o tristezza,
aiutandoci quando ci sentiamo disconnessi o frammentati. Questo
avviene quando iniziamo a sperimentare delle vere trasformazioni
in noi, dei reali cambiamenti nel nostro modo di capire, di fatto,
quando molti meditanti cominciano a comprendere che le abilità
acquisite in meditazione sono trasferibili: in altre parole, si comincia
ad applicare alla vita quotidiana ciò che si impara meditando.

209
capitolo undicesimo

La vita quotidiana di un meditante:


mantenere l’Attenzione interiore

La pratica della meditazione, presto o tardi molti di noi lo scoprono,


non è solo ciò che accade quando siamo sul tappetino. Alla fine, si
irradia all’esterno finché l’intera vita diventa un allenamento conti-
nuo a vivere dal centro. Mentre l’intrinseca alchimia della meditazio-
ne opera i suoi cambi sottili nella coscienza e nel carattere, simulta-
neamente ci sfida a intervenire su quello che stiamo diventando, a
portare le abilità, le intuizioni e le esperienze acquisite in meditazio-
ne nel resto della nostra vita.
La forza della nostra pratica viene collaudata in ogni interazione e
in ogni singolo momento. Siamo in grado di portare l’amore vissuto
in meditazione nelle nostre azioni? Siamo in grado di rimanere in
contatto con la Consapevolezza quando lavoriamo, quando stiamo
traslocando in una nuova casa, o quando qualcuno cui vogliamo
bene ci delude? Stiamo parlando e muovendoci da quel livello più
profondo dell’essere, o agiamo con il pilota automatico – forse an-
che facendo la cosa giusta – ma senza alcun senso di contatto con
la nostra essenza, alcun accesso alla sua ispirazione e al suo amore?
Sicuramente ci saranno momenti in cui il mondo interiore con
il suo stimolo e la visione più ampia sembrerà essere a portata di
mano, momenti in cui l’amore spazierà su tutti noi. Ci si potrà im-
provvisamente trovare nel cosiddetto “flusso”, in cui si agisce infal-
libilmente senza alcuno sforzo apparente e con una mente tranquil-
la. Il testimone potrà insorgere nel bel mezzo di una discussione o
di una crisi, mantenendoci stabili e in equilibrio in una situazione

211
la meditazione per amore

dove normalmente si finirebbe in un abisso emotivo. Si potranno


avere mattine in cui il mondo brilla di sacralità, quando si trova si-
gnificato nelle foglie cadute sul marciapiede,
Mentre ancora vivi, quando le cartacce a terra sembrano pulsare
pratica la meditazione. col traboccare della nostra felicità. Speri-
Non meditare solo menteremo la continua magia della sincro-
nascosto in un angolo nicità, quando una conversazione sentita sul
buio, ma medita bus o un messaggio visto su un cartellone
sempre, in piedi, sembrerà dare sottili insegnamenti spiritua-
seduta, in movimento, e
li. In quei momenti, il lavoro si tramuterà in
nel riposo. Quando la
meditazione continua culto, e una passeggiata nel bosco si trasfor-
durante la veglia e il merà in una processione lungo la navata di
dormire, ovunque una cattedrale.
tu sia è il cielo stesso. Tuttavia, ci saranno altri momenti, molti,
hakuin in cui i doni della meditazione ci saranno
solo se si lavora per ottenerli. Il mero fat-
to di meditare non ci renderà improvvisamente immuni dal dolo-
re psicologico. Non eliminerà i cambiamenti di umore, i sentimenti
di inadeguatezza, i problemi con le altre persone. Le persone che
meditano possono essere soggette agli alti e bassi come chiunque
altro. Le differenze maggiori si trovano nell’atteggiamento verso gli
stati d’animo e le tendenze, e nelle risorse che si hanno per affron-
tarli. Quando compaiono tristezza, rabbia e frustrazione, i meditanti
esperti sanno separare il proprio intrinseco senso di sé dai loro stati
d’animo e dai loro sentimenti: sanno che una parte di loro, profonda
e centrale, non viene intaccata dal clima emotivo. Non solo, in medi-
tazione hanno appreso alcune abilità che li possano aiutare durante
un incontro difficile o un blocco mentale; fruiscono di una maggio-
re scelta su come affrontare i propri sentimenti, come lavorare con i
desideri, le paure e le crisi che potrebbero altrimenti sviarli.
Vivere dal proprio centro costa sforzo, ma è anche eccitante.
Quando vediamo la vita come un continuo allenamento spirituale,
viviamo all’interno di una visione che conferisce significato anche

212
la vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione interiore

alle interazioni più comuni. Non pensiamo troppo in termini di vit-


toria o sconfitta, successo o fallimento: esiste solo l’addestramento,
lo sforzo coerente per tornare all’amore e alla lucidità che si hanno
dentro, e per portare i valori del mondo interiore nelle nostre azioni
esterne.
È questo, quindi, il secondo livello della pratica: stare in contat-
to col nostro centro da svegli, coltivare il carattere, contemplare e
imparare dalle situazioni che la vita ci presenta, e scoprire tecniche,
insegnamenti, discipline e forme di esercizio a occhi aperti che ci
possano permettere di vivere a partire dalla consapevolezza del Sé
che stiamo sviluppando.

Mantenere l’attenzione interiore


Nella tradizione yoga shivaita, si dice che un essere illuminato viva
in shambhavi mudra, uno stato nel quale anche quando gli occhi sono
aperti, l’attenzione è incentrata sul campo interiore di costante Con-
sapevolezza luminosa. Si tratta di una rappresentazione potente del-
lo stato illuminato ed è anche una chiave per la pratica a occhi aperti.
Questa è una sorta di gioco del “come se”. Ci si comporta da esseri
illuminati, agendo e pensando come si farebbe se si fosse davvero
in quello stato.
Una pratica chiave per farlo è mantenere la consapevolezza inte-
riore – una corrente costante di attenzione alla propria Consapevo-
lezza, al senso dell’essere, o della Presenza, con cui ci si sintonizza
quando si volge l’attenzione a se stessi.
Come molte delle pratiche essenziali, Il vero uomo di Dio
siede nel mezzo della sua
quest’ultima è estremamente semplice,
compagnia di uomini, e si alza
senza essere del tutto facile. L’atten-
e mangia e dorme
zione interna ha un modo frustrante di e si sposa e acquista
dissolversi nei momenti cruciali, come e vende e dà e prende…
ad esempio quando si è preoccupati, eppure non dimentica mai Dio
eccitati, o sotto pressione. Anche nei neanche per un solo momento.
giorni normali, ci si muove naturalmen- abu sa’id ibn abi’l-khayr

213
la meditazione per amore

te dentro e fuori da essa, dal momento che la Consapevolezza essen-


ziale tende a essere vissuta a sprazzi, in flash che vanno e vengono.
Questo è il motivo per cui è utile lavorare con pratiche diverse in
momenti diversi. A volte ci si troverà direttamente nella luce della
Consapevolezza. Altre ci si avvicinerà lateralmente, attraverso il re-
spiro, una bhavana, o anche una postura fisica.
Mantenere l’attenzione interiore in modo stabile richiede un tri-
plice sforzo.
Primo, è necessario avere un buon numero di pratiche per la foca-
lizzazione interiore, o che ricordino il Sé: devono essere efficaci per
noi e bisogna farle regolarmente.
Secondo, è necessario fare un “lavoro sul personaggio”, esami-
nando le proprie motivazioni e atteggiamenti, e imparando a espri-
mere le qualità del Sé: compassione, delicatezza, gentilezza, saggez-
za stabile, sincerità e calma.
Terzo, è necessario sviluppare l’abitudine di fare un controllo su
se stessi per monitorare il proprio stato, in modo da riconoscere
quando si è scivolati fuori dal centro, e quindi trovare il modo di
tornarci.

Pratica con gli occhi aperti


Molte delle pratiche descritte in questo libro – ripetizione del
mantra, consapevolezza della Consapevolezza, focalizzazione sul
testimone, attenzione al respiro, considerazione del respiro come
energia – si intendono da applicare nelle situazioni giornaliere. Lo
stesso sono le diverse bhava, le attitudini spirituali con cui si lavora
mentre si medita.
Allo stesso modo in cui iniziamo la meditazione donando la no-
stra pratica a Dio, o all’elevazione dell’umanità, possiamo offrire le
azioni quotidiane come servizio, e vedere come quel semplice gesto
ci sposti dall’egocentrismo e sciolga la tendenza ad attaccarci ai ri-
sultati. La pratica di diventare consapevole della Consapevolezza, di
essere il testimone dei nostri pensieri, o di vedere l’intero contenu-

214
la vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione interiore

to della meditazione come shakti, può diventare una base di riferi-


mento interiore cui tornare durante il giorno. Ci aiuta a uscire dalle
emozioni forti, dalle distrazioni o dai modelli di pensiero nevrotici.
Ricordare l’unità, mantenendo la comprensione che il mondo ap-
parentemente solido è essenzialmente energia, ci consente di agirvi
con un senso di apertura e fluidità, di sentire la parentela con gli altri
esseri, con la natura e anche con gli oggetti inanimati, come il nostro
computer o l’automobile.
Può essere utile stabilire dei tempi nel programma: per la pratica
della ripetizione mantra, della consapevolezza della Consapevolez-
za, o del ricordare l’unità. Si potrebbe fare un rituale due volte al
giorno, offrendo le proprie azioni, i pensieri e i sentimenti, all’inizio
e alla fine della giornata lavorativa. Si potrebbe prendere l’abitudine
di ricordarsi di riportare l’attenzione nel cuore una volta ogni ora,
oppure di impostare la sveglia dell’orologio da polso in modo che
suoni cinque minuti prima dell’ora, e quindi utilizzare quei cinque
minuti per portare alla mente un insegnamento che si sta contem-
plando, oppure trascorrere un momento chiedendosi: “Chi sono
io?” o “Dov’è il mio Sé in tutto questo?”. Si potrebbe operare con
una pratica diversa ogni giorno, fino a trovare quella o quelle che si
sentono proprie, e poi passare un po’ di tempo a esplorarle profon-
damente. Quando siamo in attesa nello studio del medico, invece di
leggere, facciamo un esercizio. Pratichiamo camminando: uno dei
miei esercizi preferiti, quando cammino, è quello di accogliere in me
tutto ciò a cui passo davanti.
Praticando questa meditazione a occhi aperti, si vedranno i suoi
effetti. Prima di tutto, ci si sentirà più integrati; il divario tra la me-
ditazione e il resto del giorno sarà minore: sarà più facile entrarvi e
ci vorrà meno tempo per “deprogrammarsi” dallo stress quotidiano.
Poi, durante le ore di veglia, di lavoro, ci sarà probabilmente una cer-
ta dolcezza del vivere, un senso di apertura e di spazio nel proprio
mondo. Ci sentiremo più vicini agli altri, meno paurosi, più calmi e
più ispirati. Durante i momenti di ansietà, i giorni indaffarati e i pe-

215
la meditazione per amore

riodi in cui la vita sembra franarci addosso, queste pratiche possono


diventare un rifugio vero. Ci aiutano a stabilizzare il nostro stato.

Riconoscere dove è necessario lavorare


Pochi di noi riescono a praticare a lungo senza notare come la vita
abbia un certo modo di sfidarci con delle situazioni che verificano
con quale costanza abbiamo mantenuto il nostro stato interiore.
Poniamo il caso che ti ammali e devi stare a letto per qualche gior-
no. Una delle prime cose che noterai è quanto ti senta irritabile – e
anche che non riesci a uscire dalla tua irritabilità! – Magari tuo
figlio adolescente ti dirà: “Mamma, mi stai di nuovo strillando!” o
piuttosto il tuo collaboratore ti chiederà apertamente se hai medi-
tato di recente.
Un tale momento di riconoscimento è estremamente utile, spe-
cialmente se si resiste all’impulso di prendersi a calci perché non
ci si controlla più. Non solo ci mostrerà dove abbiamo bisogno di
intervenire ma, essere consapevoli di avere un carattere o un com-
portamento non costruttivi, in realtà è il primo passo per cambiarli.
In altre parole, la consapevolezza che ci permette di riconoscere il nostro stato è
anche la sorgente di energia che ci permette di trasformarlo.
Molte delle emozioni e dei comportamenti più disturbanti pro-
vengono da aree della nostra psiche dove abbiamo deciso che essi
rimanessero inconsci. In hindi, la parola per queste qualità inconsce,
immature è kacha, che significa: “acerbo”, “non cotto”. Tutti noi
siamo parzialmente kacha. Diventiamo pukka (maturi) con la pratica,
specialmente con tapas, il processo del calore yogico che kundalini
accende e che la nostra pratica alimenta affinché divampi. Comun-
que, il tipo di pratica che ci fa maturare non è la meccanica accu-
mulazione di rituali o gli esercizi di focalizzazione: è praticare con
consapevolezza e praticare la consapevolezza che trasforma davvero
la consistenza della nostra coscienza. La Consapevolezza stessa, con
la sua chiarezza, la sua impersonalità, la sua spaziosità e la sua capa-
cità di contenere in sé ogni cosa, è il fuoco che cucina, fa maturare i

216
la vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione interiore

nostri sentimenti e i nostri comportamenti immaturi. Mantenendoli


senza giudicare nella Consapevolezza – essendone testimoni senza
agire su di loro né cercare di sopprimerli o perdersi nelle storie o
nelle credenze su ciò che sta accadendo – è spesso sufficiente per
cambiare la loro qualità, da cruda a cotta.
Questo principio è vero in ogni situazione che fronteggiamo, che
sia generata dall’interno o esternamente. Poiché la nostra consape-
volezza è una versione in scala mino-
re della grande Consapevolezza che Partecipare al momento
sottostà a tutto questo, quando, sen- significa partecipare all’eternità.
Occuparsi della parte significa
za giudicare, dirigiamo l’attenzione
occuparsi dell’intero.
verso qualcosa che causa sofferenza Essere presente alla realtà
a noi o agli altri, stiamo portando significa vivere costruttivamente.
quello stato, quell’umore, quel com- pirke avot
portamento nella luce della stessa
grande Consapevolezza. Essa non solo illumina gli angoli bui della
nostra psiche, ma tramuta anche le energie strane e i sentimenti acer-
bi che vi dimorano. Allora l’energia che vi era imbrigliata è libera di
diventare disponibile per imprese più creative
Siamo spiritualmente maturi, “cotti”, quando tutte le nostre ener-
gie e i sentimenti aggrovigliati sono stati liberati e ricanalizzati, per
manifestarsi come saggezza, potere e amore. Come questo accada
è uno dei misteri della Coscienza, ma la nostra azione di volgere la
Consapevolezza verso i nostri stati d’animo e sentimenti interiori è
la tattica buona per mettere in moto questa alchimia.

Indagine sul Sé
I saggi del Vedanta diedero il nome atma vichara, o auto-indagine,
all’atto di divenire consapevoli di sé. Il termine Vichara non significa
solo pensare a qualcosa e neppure ha lo stesso significato dell’auto-
analisi psicologica. È una pratica yoga di riflessione su di sé nella
quale manteniamo l’attenzione sui fenomeni interiori in un modo
stabile, focalizzato, senza entrare in meditazione.

217
la meditazione per amore

Ci sono due tipi fondamentali di vichara: uno è la contemplazio-


ne che facciamo per entrare in contatto con la nostra saggezza più
profonda, per aprirci allo spazio della rivelazione, per comprendere
gli insegnamenti spirituali o per toccare il nostro Sé. La classica do-
manda: “Chi sono io?” (insegnata da Ramana Maharshi e altri) è un
esempio di questo tipo di vichara.
L’altro tipo di auto-indagine consiste nella contemplazione di cosa
blocchi la nostra esperienza del Sé. Quando ci sentiamo giù di corda,
invece di dare la precedenza ai sentimenti, o di perderci nelle storie
che ci raccontiamo, focalizziamo la nostra attenzione sui sentimen-
ti stessi; permettiamoci di sperimentarli pienamente; osserviamo i
pensieri che li accompagnano; osserviamo la condizione della nostra
energia, le sensazioni nel corpo. A volte può essere utile seguire un
sentimento fino alla sua sorgente, per scoprirvi magari un desiderio
frustrato, una paura o una aspettativa che possono averlo scatenato.
Ma la cosa più importante è continuare a osservare il nostro sentire
interiore, e lo stato della nostra energia, fino a quando notare i sin-
tomi dell’essere fuori-centro diventa una seconda natura.
Solo quando sappiamo riconoscere e identificare la vera sensazio-
ne di essere fuori allineamento con noi stessi possiamo ritornare in
contatto. Senza questo, sappiamo solo che siamo inquieti e abbiamo
scarse possibilità di sistemare il nostro stato.

Indagine sul sé in azione


Immagina il seguente scenario: è mattino presto e tu sei stata alzata
fino a tardi per lavorare a un progetto la cui scadenza è imminente.
Devi andare in ufficio presto per incontrare i tuoi colleghi e con-
cludere alcune questioni in sospeso. Hai appena messo il caffè sul
fuoco che tua figlia di dieci anni ti annuncia di sentirsi male: ha la
febbre alta e un brutto raffreddore; ha bisogno di un giorno di ripo-
so e del dottore. Realizzi che non hai nessuno che possa stare con lei
in così breve tempo: dovrai stare a casa e prendertene cura. Tuttavia,
se non tieni fede al tuo appuntamento in ufficio, il tuo progetto non

218
la vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione interiore

ha alcuna possibilità di essere completato in tempo. Il pensiero di


cosa questo significhi ti manda in una rapida spirale di panico. Senti
che stai pensando: “Perché queste cose capitano sempre a me?”. “La
mia vita è impossibile!” Paura, frustrazione, rabbia e disperazione.
In quel momento fai una scelta yogica cruciale. Invece di lasciarti
andare a mettere in azione il tuo panico o la tua rabbia, prendi con-
sciamente una pausa. Decidi di prestare attenzione al tuo stato e di
affrontarlo, prima di cercare di agire.
Fai un paio di respiri profondi e poi entri in contatto con te stessa.
Esamini il tuo corpo e osservi il ritmo del respiro. Scopri che il tuo re-
spiro è incostante – anzi, in realtà lo stai trat-
tenendo. Noti che i muscoli del diaframma Più consapevolezza si ha,
e dello stomaco sono tesi e hai oppressione più si è vicini a Dio.
al petto. Realizzi che anche il tuo cuore si rumi

sente stretto e chiuso, e che lampi di paura lo


attraversano. La tua energia è alternativamente agitata o pesante: pre-
cipiti in ondate di panico o ti appiattisci quasi in depressione e in uno
stato di impotenza. I tuoi pensieri sono tutti incentrati sul vittimismo:
“È così ingiusto. Perché, tanto per cambiare, qualcuno non si prende
cura delle cose oltre a me? Perché succede sempre così?”.
Questo momento di sosta, di possibilità di volgersi all’interno,
di entrare in contatto con te stessa, di osservare come ti senti e la
qualità dei tuoi pensieri, senza investimento emotivo, è un momento
di yoga profondamente significativo. Ti darà il potere di agire muo-
vendoti da un luogo di maggiori risorse e abilità, piuttosto che di
re-agire alle difficoltà della situazione. Ora, invece di bloccarti nello
sconforto o cercare di distrarti, invece di far prevalere le emozioni e
gettarti in avanti a prescindere da come si muove la tua energia inte-
riore, invece di permettere alle tue forti emozioni di sopraffarti, fino
a farti esplodere con tua figlia, o paralizzarti nel risentimento e nella
paranoia, usi questi sentimenti come segnali di stop e di ritorno in te.
Una volta che hai riconosciuto il tuo stato, puoi cominciare a la-
vorarci. Per questo hai una serie di opzioni.

219
la meditazione per amore

Rifugiarsi nel respiro


La prima cosa che faccio quando mi sento catturata dall’ansia, dalla
fretta o dal desiderio è ricordare silenziosamente a me stessa, con
voce rassicurante, ferma e posata, di fare una pausa. Talvolta mi dico
davvero, come un mantra: “Pausa. Pausa. Reeeespiiiira. Reeeespiiiira”. Il
respiro collega automaticamente la mente ordinaria al Sé profondo.
Quando centriamo la nostra mente sul respiro, esso finirà per con-
durre la nostra consapevolezza all’interno del cuore. Perciò quando
vogliamo “centrarci”, cominciamo sempre dal respiro.
Possiamo cominciare semplicemente seguendolo con attenzione,
facendo un’inspirazione naturale e lasciando che l’espirazione si pro-
lunghi. Respiriamo contando: inspiriamo per quattro battiti, espiria-
mo per otto; oppure inspiriamo per quattro, tratteniamo per quattro,
espiriamo per otto. Proseguiamo così per cinque minuti, oppure pra-
tichiamo un respiro pieno in tre parti: inspiriamo sentendo che stiamo
riempiendo i polmoni in tre sezioni: la terza più bassa per prima, poi
la parte di mezzo e quindi l’ultima. Espiriamo vuotando la parte supe-
riore per prima, poi quella di mezzo e alla fine la più bassa.

Richiamare l’attenzione verso il cuore


Per me, questo è il secondo passo. Una volta recuperato il mio acume
attraverso qualche serie di respiri regolari e intenzionali, faccio cadere
una sorta di filo di piombo interno dentro l’area mediana del petto,
dietro lo sterno, e lascio che la mia attenzione riposi in quel luo-
go fino a che non senta lo spazio del cuore rilassarsi ed espandersi.
Quando l’energia è bloccata in testa, i pensieri tendono ad andare in
cerchio e le soluzioni ai problemi che ci vengono in mente sono solo
meccaniche e non creative. Una volta che l’attenzione si sposta nel
cuore, automaticamente entriamo in contatto con l’intuizione: siamo
in uno dei centri essenziali della saggezza spirituale e della consa-
pevolezza. Riposando nella sede del cuore, possiamo fare qualsiasi
altra pratica sia necessaria.

220
la vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione interiore

Esercizio: entrare nel cuore


Focalizza la tua attenzione nel centro del cuore. Come abbiamo vi-
sto, questo centro spirituale sottile è collocato all’interno del corpo,
sotto lo sterno, in un punto a dieci-dodici cm (o approssimativa-
mente a otto dita di profondità) sotto la clavicola. Puoi posarci la
mano all’inizio dell’esercizio per aiutarti ad ancorare la tua consape-
volezza. Inspira ed espira dallo spazio del cuore fino a che ti senti
centrato. Se ti sembra più facile centrarti respirando nel centro sotto
l’ombelico, puoi respirare in un punto nel centro del corpo a circa
tre dita sotto l’ombelico.
Se senti che l’energia nell’area del cuore è bloccata, immagina un’a-
pertura nel blocco e lascia che la tua consapevolezza si muova al suo
interno. Continua fino a che senti il blocco cominciare a sciogliersi

Portando l’attenzione nel cuore, quasi automaticamente si allenterà


la presa della mente superficiale, con la sua tendenza a preoccuparsi,
a fantasticare e a sentirsi disperatamente separata dagli altri e dal
mondo intorno. Quando entriamo in contatto con il centro del cuo-
re nel nostro corpo, apriamo la porta al grande Cuore, al nocciolo
dell’essere, la Coscienza, che è la sorgente dell’essenza dell’amore,
dell’ispirazione e della saggezza. Se ci sentiamo emotivamente so-
praffatti, possiamo effettivamente mantenere le emozioni in quello
spazio e permettere al potere della Coscienza di scioglierle nella loro
energia essenziale. Oppure possiamo chiedere alla nostra intuizione
– cui molti di noi accedono più facilmente attraverso il centro del
cuore – quale sia la cosa migliore da fare.
Ma queste sono solo due della opzioni disponibili. Ne abbiamo
delle altre: potremmo decidere che ci serve del tempo per calmarci,
forse sostituendo i pensieri agitati con uno più positivo o con un man-
tra. Potremmo quindi portare l’attenzione al mantra e mantenerlo in
prima linea nella consapevolezza, finché sentiamo che calma il nostro
campo energetico interiore. Potremmo praticare qualche momento

221
la meditazione per amore

di attenzione “seduti” nel cuore osservando i pensieri, i sentimenti e


le sensazioni che si manifestano. Potremmo porci domande del tipo:
“Puoi lasciare andare questo pensiero?” oppure aspettare semplice-
mente la naturale accettazione del fatto che i pensieri e i sentimenti si
manifestano e vanno oltre – e che si possono lasciar andare.
Potremmo anche scegliere di operare direttamente con l’energia
che sta dietro le sensazioni di panico, di rabbia e frustrazione. Ri-
cordando per prima cosa a noi stessi che dietro il loro contenuto
c’è pura energia. La paura è semplicemente un particolare tipo di
energia, la rabbia ha il suo, come pure la disperazione. Permettia-
moci di sentire l’energia come energia, lasciando andare il contenuto
del sentimento e focalizzandoci sulla sensazione che crea nel nostro
spazio psichico e nel corpo. Osserviamo l’energia che sta dentro il
sentimento e siamo consapevoli dell’energia di fondo, della consa-
pevolezza dentro la quale il sentimento si manifesta e si immerge.
Lasciamo il sentimento nella Consapevolezza e osserviamo come
l’energia della paura o della rabbia si dissolvano in Essa, nella Co-
scienza che è la loro base.

Rifugiarsi nella verità


Un’altra delle cose che si possono fare è ricordare a noi stessi la Ve-
rità. Intendo la grande Verità: la Verità dell’unità. Se tua figlia comin-
cia a lamentarsi o ad agire in modo scontroso, cerca di ricordare che
lo stesso Sé, la stessa energia, la stessa Coscienza che è divenuta te,
è anche divenuta lei; ricorda che il suo umore, la tua frustrazione e
ogni altra cosa, sono semplici forme di un’unica energia. Mantenere
questa bhavana, anche temporaneamente, può avere un effetto glo-
bale sul tuo stato, aprendoti alla compassione, eliminando l’asprezza
della paura e permettendoti di agire con più risorse, semplicemente
perché non ti sentirai più sopraffatta dall’apparente rifiuto del mon-
do a funzionare come vuoi tu.
Certi insegnamenti spirituali avranno un particolare rilievo in una
certa situazione oppure avranno una speciale risonanza per noi. Per

222
la vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione interiore

esempio: una donna aveva delle difficol- Se non comprendi


tà nel suo ruolo di capo del dipartimen- la sorgente,
to universitario. Durante le riunioni, un inciampi nella
collega ostile la sabotava e la tormentava confusione e nella tristezza.
continuamente. Lei affrontò la cosa ricor- Quando realizzi
da dove vieni,
dandosi: “Tu sei nella mente piena di pace
divieni naturalmente
di Dio”. Allo stesso modo, un uomo con tollerante,
la tendenza a perdere le staffe durante i disinteressato, divertito,
momenti di frustrazione usa una famosa di buon cuore
tecnica yoga che si trova negli Yoga Sutra come una nonna,
di Patanjali, chiamata “Praticare l’oppo- dignitoso come un re.
sto”. Quando nota che la collera prorom- lao tzu
pe in lui, prende del tempo per divenire
consapevole dei pensieri associati a quel sentimento e poi riempie
la mente con pensieri contrari come: “Ho grande tolleranza e ri-
spetto per queste persone”. Anche se non sempre succede, mante-
nere questo pensiero positivo calma la sua mente quanto basta, da
renderlo meno reattivo.
Per quanto mi riguarda, ogni volta che vengo catturata dal de-
siderio di un particolare risultato, si affaccia in me un verso della
Bhagavad Gita: “Tu hai un diritto particolare all’azione, ma in nessun
caso… ai suoi frutti”. Contemplare questo insegnamento misterio-
so, risonante, mi aiuta a distaccarmi dalle paure, da ciò che voglio e
dalle aspettative, così riesco ad agire più oggettivamente.
Quindi, dopo aver fatto una pausa, aver dato uno sguardo a noi
stessi e aver riconosciuto come ci sentiamo quando siamo fuori dal
nostro centro, abbiamo molte opzioni per cominciare a rientrare in
noi. Quando lavoriamo con questo triplice processo di riconosci-
mento, auto-inchiesta e pratica, impariamo a navigare nelle nostre
acque turbolente e a ritrovare i porti che sono sempre lì.
A un certo punto, forse riconosceremo di aver bisogno di esami-
nare le emozioni più direttamente, oppure semplicemente di sco-
prire quali sono i problemi che ci causano ansia e paura. Per farlo

223
la meditazione per amore

dovremo appartarci silenziosamente, poi potremo operare con la


pratica per affrontare le emozioni intense di cui abbiamo parlato nel
settimo capitolo, oppure usare questa variante che opera allo stesso
modo con un mantra.

Esercizio: affronta le emozioni


nel tuo stesso Cuore

Dopo che ti sei centrato nel cuore (guarda a pagina 221 per le istru-
zioni), porta l’emozione in quello spazio, mantenendola lì e lascian-
do che l’energia del cuore la circondi. Ancora focalizzato sul cuore,
espandi la tua consapevolezza al punto da essere conscio dell’intero
campo di Consapevolezza nel quale ha luogo la tua esperienza. Inclu-
di l’intera stanza, il tuo stesso corpo, mantenendo, simultaneamente,
l’emozione nello spazio del cuore e la sensazione di un campo di
Consapevolezza che circonda e contiene il tuo corpo.
Senti l’energia nell’emozione. Diventa consapevole che l’emozione è
in realtà un ammasso di energia. Poi immagina in esso un’apertura e
attraversala. Nel farlo, osserva come cambia il tuo stato.
Se preferisci, mescola il mantra all’emozione, lasciando che la sua
energia rompa o dissolva i sentimenti intensi. Qui è importante
non creare un senso di opposizione tra mantra ed emozioni – non
usare il mantra come un randello per respingere i sentimenti vio-
lenti. Porta semplicemente il mantra nell’emozione e lascia che esso
operi la sua alchimia in qualsiasi modo si manifesta, senza cercare
di forzare alcunché.

Alcuni effetti collaterali piuttosto miracolosi fluiscono dalla pratica


di osservare quando siamo fuori centro e poi di tornare di nuo-
vo nel cuore. Tutto ciò che facciamo diventa molto più divertente.
Sembra che per ottenere risultati sia necessario meno sforzo. Ci
sentiamo più vicini alla nostra saggezza intuitiva e probabilmente
più fiduciosi nel seguirla. Non siamo così impazienti con noi stessi

224
la vita quotidiana di un meditante: mantenere l’attenzione interiore

e con gli altri. Le responsabilità sembrano Il monte è il monte,


meno onerose, e la routine non così noio- e il sentiero non è mutato
sa. E, naturalmente, è più facile anche per dai tempi antichi.
coloro che ci stanno accanto. Invero ciò che è cambiato
Continuando a tornare verso il nostro è il mio cuore.
kumagai
centro e ad agire da esso, ci accorgiamo
che possiamo prendere per certe la forza, la comprensione e l’amo-
re, e vi abbiamo accesso perché siamo nutriti alla fonte. Ciò accade
quando la meditazione comincia davvero a cambiare le nostre vite.

225
Il programma di Svolta
capitolo dodicesimo

in tre settimane

La decisione di rendere la meditazione più profonda non si prende


solo una volta. Lo facciamo ripetutamente, a livelli sempre più pro-
fondi, sapendo che nessuna singola intenzione ci farà progredire per
sempre. Il fermo proposito di questo mese diventa malessere nel
prossimo, a meno che non lo rinnoviamo re-inventandolo, focalizzan-
doci di nuovo su di esso. Al meglio, rinnoviamo la nostra intenzione
giornalmente e motiviamoci ancora, se necessario, tenendo presente
la brevità della vita umana, le opportunità che ci offre, la velocità con
cui tutto in questo mondo cambia, la sofferenza che sperimentiamo
quando non siamo in contatto con il nostro centro, la dolcezza del
mondo interiore e i benefici di una consapevolezza stabile.
Tuttavia, chiunque conosce periodi in cui la pratica è dura, op-
pure in cui è meno focalizzata. E talvolta noteremo di esserci sem-
plicemente addormentati su noi stessi, o che abbiamo cominciato
a dare per scontata la pratica, oppure che siamo rimasti inceppati
nella routine. Questa è una buona ragione per ritagliarsi del tempo e
incoraggiare una svolta.
Un’altra ragione per cui potremmo decidere di essere pronti per
fare un passo avanti è perché sentiamo la chiamata del Sé, l’attra-
zione del mondo interiore. Percepiamo che le mura della nostra co-
scienza sono pronte per cadere, che le porte sono pronte per aprirsi.
Perciò, ci impegniamo a compiere uno sforzo maggiore e diciamo:
“Questa settimana, questo mese, quest’anno, ho intenzione di me-
ditare più seriamente. Ho intenzione di mettere in atto una svolta”.

227
la meditazione per amore

Chiunque abbia mai compiuto un’incursione riuscita nelle forze


dell’inerzia sa che il gesto decisivo è quello dell’impegno. Nel mo-
mento in cui decidiamo con determinazione di dirigere la nostra
piena intenzione verso un piano, un progetto, un obiettivo, l’uni-
verso comincia a cambiare in nostro favore; i sentieri si aprono;
gli eventi cospirano per aiutarci. Questo è ovvio specialmente in
meditazione, dove entriamo in rapporto con l’universo interiore,
infinitamente fluido ed espanso: dacché la Coscienza interiore è
infinitamente creativa, una singola forte intenzione può avere quasi
l’effetto di un miracolo.
Quindi, il primo passo della svolta è il nostro intento e, più la
nostra intenzione sarà appassionata e seria, più diventerà uno stru-
mento potente.
Tradizionalmente, le persone che vogliano entrare in meditazione
profonda vanno in ritiro. Il programma che segue può certamente
essere fatto in un ritiro e, se siamo terribilmente indaffarati o abbia-
mo bambini piccoli, probabilmente abbiamo bisogno di appartarci
in un ritiro per poterlo seguire. E in effetti, quelle persone i cui
giorni sono così zeppi di responsabilità che è difficile per loro tro-
vare qualche minuto per praticare, potrebbero considerare l’ipotesi
di trovare lo spazio per un giorno di ritiro una volta a settimana, o
anche una volta al mese.
Per coloro che possono farlo, questo programma è stato disegna-
to per adattarsi alla vita quotidiana, e l’integrarlo nella propria routi-
ne porta un grande vantaggio. Meditare in un ritiro è relativamente
semplice: siamo fuori dal nostro solito contesto, lontani almeno da
qualcuno dei nostri impegni quotidiani e probabilmente siamo in
un posto particolarmente silenzioso, che favorisce la meditazione.
Tuttavia, ogni ritiro, per quanto profondo
La perla è nell’ostrica. e quieto, giunge inevitabilmente al termine.
E l’ostrica è Allora dobbiamo affrontare l’integrazio-
nel fondo del mare. ne della nostra vita da ritiro con la nostra
Immergiti in profondità.
esistenza ordinaria e, più lontano ci siamo
kabir

228
il programma di svolta in tre settimane

spinti rispetto alla vita normale, più duro sarà tradurre la nostra pra-
tica nella routine dei giorni indaffarati e pieni.
Quando mettiamo in atto a casa il nostro programma di svolta,
creiamo un’atmosfera da ritiro all’interno del consueto ambiente.
Creiamo una nuova routine e l’abitudine di essa rimane nell’aria,
spronandoci anche una volta che il programma è concluso.

Prendere l’impegno
Per cominciare il programma di svolta, è necessario prendere l’im-
pegno di:
1. Meditare giornalmente, se possibile, da un’ora e mezza a tre ore
al giorno. Questo può essere fatto in una sessione di meditazione
o due. Se sei troppo occupato per meditare per un’ora o più alla
volta, oppure se hai figli piccoli, o un lavoro molto impegnativo,
sentiti libero di adattare il programma alle tue esigenze. I suoi
principi ti aiuteranno anche se mediti solo per venti minuti o
mezz’ora alla volta, e, quando introduci una continuità nella
pratica, potrai cominciare a vedere che la tua situazione si aprirà
in modo inaspettato.

2. Tieni un diario per la meditazione nel quale scriverai tutto ciò


che accade e dedica del tempo ogni settimana per rileggere le
tue esperienze e per contemplarle.

3. Passa almeno dieci minuti al giorno leggendo un libro che


induca a meditare e ispiri amore per il mondo interiore.

Potrebbe sembrare scoraggiante pensare di trascorrere così tanto


tempo in meditazione ogni giorno, specialmente se siamo molto
occupati. Ecco perché il programma di svolta è impostato per durare
solo tre settimane. Con la corretta pianificazione, anche le persone
con esistenze veramente indaffarate possono riuscire a trovare tre
settimane nelle quali impegnarsi a meditare intensamente.

229
la meditazione per amore

Per fare un passo avanti nella meditazione, la continuità della pra-


tica è importante. Quando meditiamo due volte al giorno, la pratica
sostiene la nostra intera giornata e ci dà anche l’opportunità di con-
solidare gli stati che possiamo aver sperimentato durante le sessioni
precedenti. Come abbiamo detto in precedenza, molte persone de-
vono meditare per circa un’ora perché la pratica si approfondisca in
modo significativo, semplicemente perché alla mente estroversa ser-
ve del tempo per stabilizzarsi, per invertire la sua normale tendenza
a vagare per l’universo e cominciare ad affondare in sé. Più siamo
normalmente attivi, più ci vorrà tempo per digerire il residuo delle
impressioni della nostra giornata. Ma, se ci raccogliamo abbastanza
a lungo, la Coscienza comincerà a emergere naturalmente dagli strati
dei pensieri che muovono la sua superficie, rivelando le sue silenzio-
se profondità.

Dedicare del tempo


Durante il giorno, tutti noi abbiamo il momento migliore per me-
ditare, che non sempre è la mattina presto: ogni periodo del giorno
ha la sua particolare energia, che influenza il nostro campo energeti-
co. Tradizionalmente, i momenti del giorno più potenti per la medi-
tazione sono i sandhya, o punti di giunzione. Il sandhya è un punto del
giorno in cui c’è un cambio nell’energia atmosferica.
Ci sono tre sandhya: quello del mattino presto è il periodo dell’al-
ba, appena prima e appena dopo il sorgere del sole; il sandhya del
mezzogiorno segna il cambiamento dal mattino al pomeriggio, e
dura dalle undici e mezzo circa fino alle dodici e mezzo; il sandhya
del tardo pomeriggio comincia appena prima del tramonto e dura
fino allo scendere della notte.
Così come lo spazio tra i respiri è una porta per il madhya, il centro
della Coscienza, questi spazi, tra una porzione del giorno e un’altra,
sono come delle crepe tra i mondi, dei momenti in cui la nostra
energia cambia al ritmo dell’energia del giorno e crea una naturale
apertura verso il mondo interiore.

230
il programma di svolta in tre settimane

Anche se ciò non significa che dobbiamo entrare in meditazio-


ne ogni volta, tuttavia, molti sentono che durante i sandhya la loro
energia si rivolge all’interno naturalmente. Osservando i nostri ritmi
giornalieri, potremmo aver notato una tendenza ad “addormentar-
ci” durante questi momenti. Non è la mancanza di zucchero nel
sangue: in verità è il potere dei sandhya che ci guida al nostro interno.
Perciò è una cosa molto buona sperimentare la meditazione nei
diversi momenti del giorno: potremmo aver supposto che il mo-
mento migliore per noi è la mattina presto,
quando invece meditiamo altrettanto bene Dobbiamo, allora,
o forse meglio, nel tardo pomeriggio o anche nel mezzo delle
occupazioni, ritirarci
all’ora di pranzo.
all’interno di noi stessi.
Una volta che abbiamo scoperto il perio-
teresa di avila
do migliore del giorno per meditare, accer-
tiamoci di restarvi abbastanza tempo per permettere a noi stessi di
entrare in profondità. In generale, prendiamo un momento al gior-
no per meditare almeno un’ora, lasciando dello spazio alla fine per
poter stare più a lungo. Il secondo periodo, se necessario, può essere
di mezz’ora.

Stile di vita durante il programma di svolta


Quando in meditazione si vuole attuare una svolta, lo stile di vita è
importante. Naturalmente, non è necessario seguire un orario mo-
nastico, diventare vegetariani o casti, né farsi schiacciare dalla di-
sciplina yogica. Tuttavia, certe norme di base faranno una chiara
differenza nell’esperienza della meditazione. Eccone alcune:

1. Se mediti la mattina all’alba, vai a letto abbastanza presto da


alzarti comodamente in tempo. Prima di andare a letto, leggi
qualcosa di elevato o ripeti dei mantra.
Un mio amico ama ripetere che la decisione di meditare si prende
la notte prima. Se hai intenzione di alzarti per meditare, devi andare
a letto a un’ora ragionevole e con la mente pulita. Questo è uno dei

231
la meditazione per amore

grandi segreti della meditazione mattutina. Se guardi la televisione o


leggi il giornale o un romanzo stimolante prima di dormire, questo
non solo influenzerà le modalità del tuo sonno, ma anche program-
merà il modo in cui ti svegli la mattina.
Puoi fare questo esperimento: osserva cosa stai pensando quan-
do stai per andare a dormire; poi nota il primo pensiero che ti
viene in mente quando ti svegli la mattina successiva. A meno che
non abbia fatto un sogno così intenso da sentirne le suggestioni
anche da sveglio, il pensiero con cui ti alzi è quasi sempre quello
con cui sei andato a dormire. Se nel momento prima di andare a
letto stai pensando ai tuoi problemi in ufficio, o al progetto cui stai
lavorando o alle possibilità che hanno i Lakers di farcela alle eli-
minatorie, c’è una buona probabilità che ti sveglierai con lo stesso
problema in mente.
Invece, se prima di andare a letto stavi leggendo una poesia di
Rumi, un libro del tuo maestro o altri libri spirituali, questo è quello
che ti verrà in mente al risveglio. Ancor meglio, se vai a letto facendo
una pratica, scoprirai che la pratica è con te quando ti alzi.

2. Ripeti un mantra o focalizzati sul respiro prima di andare a


letto e quando ti alzi.

3. Al mattino, alzati immediatamente.


Se indugi a letto, dai al dialogo interiore il tempo di mettersi in moto
e rischi di tornare a dormire.

4. Fa’ una doccia o lava le mani, la faccia e i piedi immediata-


mente prima della meditazione.
Lavarsi prima della meditazione significa ben più che pulire il corpo
e svegliarsi: è anche un modo per pulire la mente. Mentre l’acqua
scorre sul corpo, puoi ripetere il mantra mentalmente o immaginarla
come una doccia di luce che lava via la polvere dei pensieri accumu-
lati dal tuo corpo interiore.

232
il programma di svolta in tre settimane

5. Sii moderato nel mangiare.


La vera chiave di una dieta yogica è: non rimpinzarsi. Questo non
significa che dovresti stare a digiuno. L’ideale è alzarti da tavola pri-
ma che ti senta pieno. Mangiare a sazietà stressa il sistema digestivo
e consuma l’energia che potresti usare in meditazione.
Molti meditanti preferiscono avere una dieta vegetariana o preva-
lentemente tale. Però, assumi proteine a sufficienza: la loro mancan-
za rende molte persone “intorpidite” e anche se per un momento
questo stato può essere piacevole, alla fine rende arduo sia far fun-
zionare la tua esperienza che integrarla.
Cerca di mangiare a orari regolari e di Per l’uomo che è
creare un rito piacevole intorno ai pasti. moderato nel cibo
Se possibile, consumane almeno uno in e nello svago, le cui
silenzio. Mentre mangi, è meglio se non azioni sono disciplinate,
leggi né guardi la televisione, focalizzati che con misura
dorme e sta sveglio, lo yoga
invece pienamente su ciò che stai facendo.
distrugge tutto il dolore.
Mastica bene il cibo – almeno cinquanta bhagavad gita
volte per boccone. Questo non solo lo rende
più facile da digerire, ma ti aiuta a focalizzarti nel processo del mangiare.
Diventi più conscio, più consapevole, più centrato… e mangi meno.
Mentre mangi, ripeti un mantra oppure mantieni la consapevo-
lezza focalizzata sul respiro e, fallo anche mentre cucini. L’energia
del mantra si mescolerà col cibo e ti darà un nutrimento sia sottile
che fisico.

6. Regola la tua vita sociale.


Chiediti: “Senza abbandonare la mia famiglia, né privarmi di un’in-
terazione normale e un adeguato nutrimento sociale, quali impegni
non necessari posso eliminare durante il mio programma di svolta?”.
Parzialmente è una questione di tempo. Quando la quantità delle
ore giornaliere è limitata e noi vogliamo dedicarne una parte alla pra-
tica spirituale, la via più facile per rendere quel tempo disponibile è
sottrarlo alla vita sociale, al tempo libero.

233
la meditazione per amore

Ma, a questo punto, ci sono altre ragioni per cui voler passare al
vaglio i propri impegni: le persone con cui trascorriamo il tempo
influenzano profondamente il nostro stato interiore e, sebbene non
sia possibile circondarsi interamente di esseri elevati che ci sosten-
gano nella pratica meditativa, possiamo certamente star lontani da
persone e avvenimenti che agitino la nostra mente o che ci rendano
difficile entrare in noi.
Naturalmente, se le persone che ci distraggono sono le stesse con
cui viviamo, questo ci metterà a dura prova! Può darsi che con il no-
stro coinquilino, con il nostro coniuge o con i nostri figli ci risulti
difficile trovare il tempo per il silenzio; o forse le persone a noi vicine
– coniuge, partner, compagna di stanza, bambini – si sentono minac-
ciate dalla nostra pratica: pensano che ci allontani da loro, si sentono
gelosi, oppure pensano che meditare sia stupido; magari, invece ci
sostengono, ma trovano difficile creare un’atmosfera favorevole alla
meditazione.
Quando ero una principiante, andai a trascorrere un fine settima-
na da un’amica. Accadeva negli anni settanta, quando a molti la me-
ditazione appariva una pratica strana. Ogni mattina nel mezzo della
mia pratica, la mia amica cominciava a sbatacchiare rumorosamente
i piatti nella stanza vicina. “Stai ancora meditando?” mi chiedeva di
tanto in tanto. La mia reazione seccata era distraente tanto quanto
la sua interruzione.
Anche se i tuoi cari sono entusiasti di sostenere la tua pratica, è
sempre una buona idea discuterne con loro, spiegando cosa stai cer-
cando di fare e perché; ponendo le tue richieste in termini di tempo e
privacy; chiedendo il loro sostegno. Poi dai la possibilità di esprimere
il loro sentire al riguardo, e di chiederti ciò di cui hanno bisogno per
star bene e per sostenerti. Impegnati – entro limiti ragionevoli – a fare
qualsiasi cosa renda le cose più facili.

234
il programma di svolta in tre settimane

7. Durante questo periodo, sii disciplinato nelle letture, nel


guardare la televisione e nell’andare al cinema.
Le immagini, le idee e le impressioni della mente determinano il
tuo umore, lo stato interiore e i sentimenti. Hai già un immen-
so deposito di immagini, idee e impressioni che ribollono nel tuo
subconscio, che rendono la tua coscienza densa e creano sottili
barriere tra te e il mondo interiore: più riesci a tenere pulita la
mente, durante il programma, e più facile sarà meditare più pro-
fondamente.
In ritiro, molti meditanti seri abbandonano ogni lettura che non
riguardi la meditazione. Se riesci a farlo anche tu, durante questo
programma, tanto meglio. Tuttavia, forse è poco pratico per la tua
professione ignorare i quotidiani del mattino o le notizie della sera:
in tal caso, decidi qual è la quantità minima necessaria per essere ben
informato, e cerca di ridurre le letture inutili.
Potresti scoprire che il “digiuno” di informazioni e divertimento
crea uno spazio di benvenuto nell’atmosfera della tua mente e che
desideri mantenerlo anche dopo le tre settimane del programma.
Molti di noi vivono con la dipendenza da informazioni, cinema, ro-
manzi e riviste. A volte, inconsciamente, usiamo la lettura o guardia-
mo la televisione per barricarci contro un senso di depressione sot-
terraneo o contro quelle domande della vita che vogliamo evitare. A
volte, addirittura, associamo il silenzio alla noia.
Ma il prezzo di questa elusione è caro: quando riempiamo il no-
stro spazio interiore con rumori e colori, con storie e distrazioni,
ci separiamo dalla gioia naturale e dalle intuizioni che si manife-
stano nell’essere semplicemente con se stessi. Dunque, approfitta
di questa opportunità per sperimentare il potere del silenzio, anche
se significa dover ascoltare le interferenze mentali che hai sempre
evitato, oppure sperimentare i sentimenti sepolti che hai tenuto na-
scosti a te stesso.

235
la meditazione per amore

8. Nello spazio della giornata, inserisci pratiche come la ripe-


tizione del mantra, la contemplazione o il respiro yogico.
Ogni volta che la tua mente non è occupata dal lavoro né da altre
occupazioni essenziali – per esempio, mentre cammini, quando vai
in gita o in bicicletta, mentre cucini o pu-
Tutto questo parlare e lisci – volgi la tua consapevolezza verso il
trambusto e rumore e
mondo interiore. Recita il mantra sentendo
movimento e desiderio è
che stai chiamando il tuo Sé interiore. Svolgi
esterno al velo; dentro
il velo c’è silenzio e i tuoi compiti seguendo il ritmo del respiro.
calma e pace. Esegui consapevolmente un esercizio – im-
abu yazid al-bistami magina che sei circondato da una coltre di
amore divino, o guarda qualcuno negli occhi
conscio che la stessa Consapevolezza guarda dai suoi occhi come dai
tuoi. Cammina con la sensazione di procedere nella Vastità. Offri le
tue azioni a Dio, al benessere degli altri, alla guarigione della terra,
oppure al sempre presente Sé interiore. Nei diversi punti del giorno,
sii consapevole del testimoniare della Consapevolezza.

Calendario del programma di svolta


Il giorno prima di iniziare metti da parte del tempo per stare solo e
compiere il processo di esame interiore che segue.
Adesso, scrivi nel tuo diario la seguente promessa che fai a te stes-
so (se il linguaggio non ti soddisfa, la puoi riscrivere):

Io, (nome), prometto a me stesso che durante le prossime tre settimane


darò la priorità alla mia pratica di meditazione. Organizzerò i miei orari
in modo da darmi il tempo di meditare regolarmente per (numero) ore
al giorno. Durante questo tempo, organizzerò la mia vita affinché la
dieta, gli orari del sonno e la mia vita sociale sostengano la meditazione.
Offro questa promessa al mio Sé interiore per il vantaggio di tutti gli
esseri e chiedo al supremo Sé, che vive in me e in ogni cosa, di darmi la
grazia di mantenere la mia promessa.

236
il programma di svolta in tre settimane

Esercizio: indagine nella tua pratica meditativa

Chiediti:
Quali sono i punti di forza della mia pratica?
Dove reputo ci potrebbe essere un miglioramento?
Perché meditare? Cosa spero di ottenere dalla meditazione?
Quali sono i miei obiettivi a breve termine?
Quali sono i miei obiettivi a lungo termine?
Quando la meditazione mi è piaciuta in modo particolare?
Che cosa succedeva in quel periodo nella mia vita?

Esaminando il tempo in cui hai più apprezzato la meditazione, chie-


diti se c’erano delle pratiche o degli atteggiamenti che hanno contri-
buito alla tua gioia.
Quali pratiche ti hanno aiutato maggiormente a entrare in medita-
zione?
Prendi tutto il tempo che ti serve per contemplare tutte queste do-
mande e scrivi le conclusioni.

Programma di meditazione
Durante ogni sessione di meditazione delle tre settimane di pro-
gramma, suggerisco che tu segua la stessa sequenza di passi prelimi-
nari indicati sotto. La sequenza è disegnata per aiutarti a uscire dallo
stato mondano, ordinario e a entrare nel sottile stato di consapevo-
lezza che conduce alla meditazione.

Pratiche preliminari
1. Punta la sveglia per un’ora.
Oppure per tutto il tempo che hai concordato con te stesso di me-
ditare ogni giorno.

2. Offri il tuo saluto.


Accendi una candela. Se hai un altare, per qualche minuto volgi a

237
la meditazione per amore

esso la tua attenzione. Inchinati a esso, o semplicemente allo spazio


davanti a te. Facendolo, abbi la sensazione che ti stai inchinando alla
tua Coscienza interiore, al supremo spirito che è in te e nell’univer-
so. Ora inchinati a ognuna delle quattro direzioni – nord, est, sud,
ovest – muovendoti in senso orario. A ogni inchino, senti che stai
offrendo i tuoi saluti alla divina Coscienza che risiede in ogni angolo
dell’universo.

3. Assumi una posizione.


Siedi in una postura eretta e rilassata, assicurati di essere comodo
(Vedi alle pagine 76-77 per i punti base della postura di meditazione
e per il metodo di rilassamento del corpo)

4. Esprimi la tua intenzione.


Formula un’intenzione chiara, forte. Per esempio: “Sto meditando
sul mio Sé interiore… considero qualsiasi cosa si manifesti come
una forma di Coscienza… lascio andare i pensieri distraenti o le
emozioni e mi immergerò nella mia pura Consapevolezza (oppure
‘nell’energia del mantra’ o ‘nel cuore’)”.

5. Invoca la grazia del Guru.


Immagina che il tuo guru, o un grande maestro o il santo con cui ti
senti più profondamente connesso, sia seduto vicino a te. Senti che un
raggio di energia, una corrente d’amore, collega il tuo cuore al cuore
del maestro. Immagina che fiumi di grazia e be-
Dio deve agire e
nedizioni scendano su di te dal cuore del guru.
sgorgare in te
nel momento in cui
Percependo la connessione col cuore, parla
ti trova pronto. al maestro con parole tue, offrendogli i tuoi
meister eckhart saluti e chiedendogli la benedizione di entrare
profondamente in meditazione. Potresti chie-
dere benedizioni per meditare focalizzato, per immergerti nel Sé o
per entrare nel cuore. Potresti semplicemente offrire la meditazio-
ne al guru, sentendo che egli ti ascolta e acconsente alla tua richie-

238
il programma di svolta in tre settimane

sta. Concedi a te stesso di ricevere le benedizioni che fluiscono dal


grande cuore del maestro.

Una volta compiuti i passi preliminari, puoi praticare una qualsiasi


delle tecniche del quarto capitolo, oppure seguire le istruzioni forni-
te nella sezione seguente, che sono una versione un po’ più avanzata
di quelle. Sentiti libero di provarle o di usarne qualsiasi altra che apra
lo spazio interiore e ti aiuti ad andare nel profondo. È importante
ricordare che usiamo queste tecniche per calmare la nostra energia
mentale, per placare i pensieri e aiutare l’attenzione a volgersi all’in-
terno e a stabilirvisi. Esse sono aperture verso la meditazione, non
fini a se stesse.
Dopo che il flusso del pensiero si è calmato ed è rallentato, puoi
cominciare a sentire dove vuole portarti l’energia interiore. A quel
punto, potresti voler lasciar andare la tecnica e seguire i sentieri in-
teriori suggeriti dalla tua shakti. Se si manifestano i pensieri, se vedi
che ti distrai, oppure se perdi contatto con la shakti, ritorna alla
tecnica.
Quando hai deciso per quanto tempo intendi meditare nel cor-
so di una determinata sessione, è importante che tu ci rimanga
fino a quando la sessione è finita. Non importa cosa faccia la tua
mente, tieni il corpo sul tappetino. (Se sei a disagio, è bene che
ti muova nella postura o ti allunghi.) Restare stabile sul tappeto è
essenziale per andare più in profondità. Questo crea il contenito-
re e il contesto all’interno del quale può manifestarsi uno stato di
meditazione.
Naturalmente, può accadere che tu esca di meditazione una, due
o più volte nel corso di una sessione. Questo è normale. Basta che
ti sieda, entri in sintonia con l’energia interna al tuo corpo, e torni
a qualsiasi tecnica o pratica di centratura che stavi utilizzando, fino
a che senti che la tua attenzione si volge ancora una volta verso
l’interno.

239
la meditazione per amore

Calendario per tre settimane di pratica


Per ogni settimana, vengono offerte dalle due alle quattro pratiche.
Puoi sceglierne una e lavorare con quella per tutta la settimana, ma
anche sperimentare con differenti gruppi di istruzioni. Vorrei anche
suggerire che lavori con la pratica descritta alle pagine 156-157: “in-
vocare la guida della Shakti”, almeno una o due volte per settimana.
Potresti registrare un tuo audio con alcune di queste istruzioni da
ascoltare prima della meditazione.

prima settimana
Focalizzazione suggerita: “Entra nella pulsazione interiore”

Istruzione n. 1: medita sulla pulsazione del mantra


Compi le cinque pratiche preliminari (pagine 237-239).
Comincia a ripetere il mantra, coordinandolo con il respiro. Foca-
lizzati sull’energia, sulla pulsazione dentro le sillabe – non sul signi-
ficato ma sulla pulsazione al loro interno.
Ora immaginati circondato dal mantra. Sei al suo interno: indivi-
dua un ingresso nella sua pulsazione ed entraci. Ora pensa al mantra
come a una nuvola che ti circonda e ti tiene al suo interno.
Quando ti senti davvero immerso, lascia andare le sillabe e foca-
lizzati sulla pulsazione dell’energia che esse hanno creato nella tua
mente. Comprendi che la pulsazione è il mantra: quella pulsazione
di energia è la shakti del mantra. È piena di grazia, di divina Consa-
pevolezza, di visione, d’amore.
Concediti di riposare nella pulsazione di quell’energia. Immagina
ancora un’apertura, una porta al suo interno e tu che armoniosa-
mente ci entri. Non è il corpo: sei tu come energia, come punto
di consapevolezza. Entrando nella pulsazione, stai introducendoti
nella tua stessa coscienza, nel campo di energia tuo proprio.
Riposaci. Se si manifestano i pensieri, sai che sono energia, shakti.
In qualsiasi momento di questo processo, la shakti della tua co-
scienza interiore può cambiare il tuo stato e, in qualche modo, gui-

240
il programma di svolta in tre settimane

dare la meditazione. Ricorda, le esperienze interiori che emergono


in meditazione – i sentimenti sottili, le luci, i suoni – sono tutte
espressioni di shakti. Apriti a quel processo, permettendo all’energia
di portarti più in profondità. Se dovessi distrarti, ritorna a focaliz-
zarti sulla pulsazione nel mantra.

Variazione
Dopo aver indirizzato la tua consapevolezza sulla pulsazione inte-
riore, forse vuoi chiedere alla shakti di guidare la meditazione, come
nella pratica descritta nel capitolo ottavo, pagine 156-157. Focaliz-
zato sulla pulsazione all’interno della tua consapevolezza, onorala,
riconoscila come una pulsazione di kundalini. Allora chiedile di gui-
dare la tua meditazione, di mostrarti come vuole che tu mediti o
semplicemente di darti qualsiasi esperienza sia giusta per te, oggi.

Istruzione n. 2: medita nello spazio del Cuore


Comincia con i cinque passi preliminari (pagine 237-239).
Segui il ritmo del respiro, focalizzandoti sullo spazio dove l’in-
spirazione si dissolve nella regione del cuore e dove l’espirazione si
dissolve all’esterno. Abbi la comprensione che i pensieri che compa-
iono e poi passano sono fatti di Coscienza e lascia che si dissolvano
nel respiro.
Diventa consapevole dello spazio del cuore: è collocato in un
punto a circa dieci-dodici cm sotto la clavicola, internamente. (Non
è il cuore fisico, naturalmente, ma un sottile centro di Coscienza,
un centro dove possiamo sperimentare direttamente il Sé interiore.)
Lascia che la tua consapevolezza, con il respiro, si ancori nello
spazio del cuore. Sii consapevole dell’energia in quello spazio, l’e-
nergia del tuo cuore. Come la senti? Cosa percepisci in quel luogo?
Esploralo, cerca di sentire se dentro quello spazio puoi percepire la
sottile pulsazione, l’energia vibratoria. C’è il battito, ma c’è anche
una vibrazione sottile: la vibrazione della tua energia più profonda,
la vibrazione del cuore.

241
la meditazione per amore

Mentre la tua consapevolezza esplora quello spazio, abbi la sensa-


zione che ci sia un’apertura, un ingresso in quell’energia. Ti sta con-
ducendo all’interno. La puoi immaginare visivamente o solo avver-
tirne la presenza. Concedi alla tua attenzione di introdursi in quella
apertura, nel profondo dello spazio del cuore. Non è il tuo corpo
che attraversa quello spazio, ma la tua attenzione. Riposa in questo
spazio profondo, lascia che la tua attenzione si sciolga nell’energia
che vi si trova.
Quando sei pronto, immagina un’altra apertura. Attraversala con
la tua attenzione, entrando più profondamente nel cuore fino ad
arrivare nel luogo dove la tua attenzione si vuole fermare. Riposa
là, nello spazio del cuore e, facendolo, senti che respiri nella pura
energia cosciente. Espirando, permetti alla pura energia cosciente di
espandersi nel tuo cuore. Il tuo respiro è pura energia cosciente. I
tuoi pensieri sono pura energia cosciente.
Durante questo esercizio può accadere che l’energia conduca la
tua attenzione a un altro centro spirituale, come lo spazio tra le so-
pracciglia o la corona della testa. Se accade, seguila.

Istruzione n. 3: entra nello spazio tra i respiri


Comincia con i cinque passi preliminari (pagine 237-239).
Focalizza la tua attenzione sul movimento del respiro. Mentre in-
spiri senti che stai respirando la Coscienza pura, sottile. Con ogni
espirazione, fai uscire i tuoi pensieri.
Alla fine di ogni inspirazione, osserva il luogo dove il respiro si
dissolve nella regione del cuore. Focalizzati dolcemente in quello spa-
zio, non forzare, non costringerti a trattenere il respiro, nota sem-
plicemente lo spazio, quando si verifi-
Dio è molto più vicino a noi ca. Nello stesso modo, focalizzati sul
della nostra stessa anima, luogo esterno alla fine dell’espirazione,
poiché egli è la base dove il respiro si dissolve.
in cui si erge la nostra anima. Talvolta, mentre pratichi questa
giuliana di norwich dharana, troverai che lo spazio interno

242
il programma di svolta in tre settimane

si fonde con quello esterno e realizzi che il corpo non è più una bar-
riera tra interno ed esterno. Puoi semplicemente riposare.
Diventando sempre più centrato in quello spazio tra i respiri, imma-
gina un’apertura alla fine dell’espirazione. Puoi visualizzarla come una
porta, o percepirla semplicemente come uno spazio aperto. Entraci.
Non è il tuo corpo, ma la tua consapevolezza che vi entra come atten-
zione. Mantienila nello spazio, anche se il respiro continua a scorrere
naturalmente dentro e fuori. Non stai trattenendo il respiro, stai sem-
plicemente permettendo a te stesso di riposare in quello spazio.
Inoltrati sempre più in profondità: medita su quello spazio inte-
riore. Se si manifestano pensieri, ricorda che sono fatti di Coscienza,
di energia, di shakti.

Dopo la meditazione
Prendi del tempo per uscire di meditazione e stai ancora seduto quan-
to basta per assaporare la sottile sensazione che rimane. Se hai spazio,
puoi sdraiarti nella posizione del cadavere (come descritta a pagina
204) per qualche minuto. Talvolta, quei pochi momenti di riposo of-
frono tutti i frutti della meditazione. Il cambiamento nel Sé di cui for-
se non ti sei reso conto durante la seduta di meditazione può arrivare
tutto in un attimo nei momenti che seguono, mentre ti riposi.
Non appena la meditazione è terminata, registra ciò che hai speri-
mentato. Se le esperienze sono troppo sottili, forse devi contemplar-
le per un momento, al fine di trovare il linguaggio per descriverle. È
importante che tu lo faccia, non importa quanto la lingua ti sembri
imprecisa. Offri la tua meditazione per il beneficio e l’elevazione di
tutti gli esseri.
Osserva quanto a lungo mantieni il senso di connessione con la
tua spaziosità interiore. Puoi farlo portando la tua attenzione nel
cuore, focalizzandoti sul respiro o ripetendo il mantra con la consa-
pevolezza della pulsazione nelle sillabe.
Continua a praticare questi esercizi ogni giorno, mattina e sera,
per il resto della prima settimana.

243
la meditazione per amore

seconda settimana
Focalizzazione suggerita: Meditazione sulla Coscienza

Istruzione n. 1: diventa “colui che conosce”


La seguente meditazione è basata su una pratica classica del Ve-
danta sulla conoscenza di sé, chiamata neti neti, cioè “non questo,
non questo”. In questo processo profondamente liberatorio, noi ci
distacchiamo dall’identificazione con il corpo, con la mente e con
l’ego, perché la pura Consapevolezza possa rivelarsi.
Comincia con le cinque pratiche preliminari (pagine 237-239).
Siedi comodamente, diventa consapevole di dove sei in questo
momento. Nota i suoni intorno a te, la sensazione dell’aria sul viso,
degli abiti sulla pelle. Nota le sensazioni che hai da seduto: gli ischi
che incontrano il pavimento o la sedia, il modo in cui i muscoli
fanno presa per tenerti in posizione, sii consapevole di quelli della
schiena, di come si contraggono per mantenere la colonna eretta o
si rilassano contro lo schienale della sedia.
Ora divieni consapevole di ciò che senti all’interno del corpo:
come sta il tuo stomaco? Le guance e la fronte sono rilassate o tese?
Senti alcune parti calde, altre fredde?
Di’ a te stesso: “Io osservo questo corpo e se posso conoscerlo,
deve essere al di fuori di me”. E continua: “Sono consapevole del
mio corpo, ma non sono il mio corpo”.
Divieni consapevole del respiro, osservando come fluisce dentro e
fuori dalle narici, come entra in te espandendo i polmoni. Mentre lo
segui, ripeti a te stesso: “Sto osservando il mio respiro; poiché posso
farlo, deve essere al di fuori di me. Io non sono il mio respiro”.
Ora divieni consapevole della tua energia: com’è? Ti senti vigile?
Annoiato o addormentato? Fresco? Collegato?
Osservando la tua energia, di’ a te stesso: “Io testimonio lo stato
della mia energia e poiché posso farlo, deve essere al di fuori di me.
Deve essere altro da me. Io non sono la mia energia”.
Divieni consapevole del flusso del pensiero e delle immagini nella

244
il programma di svolta in tre settimane

mente, della narrazione continua, delle interferenze. Sii consapevole


anche delle emozioni che compaiono, dell’umore sotterraneo che
prevale. Osserva il flusso dei pensieri e dei sentimenti. Osserva il
tuo umore.
Ora afferma: “Io conosco i miei pensieri, sono consapevole dei
miei sentimenti. Io sono testimone dei miei stati d’animo, di conse-
guenza, essi sono esterni a me. Io non sono i miei pensieri né i miei
sentimenti. Io non sono i miei umori”.
Diventa consapevole del tuo senso dell’“Io”, del tuo ego. Nota
come ci sia una parte di te che si percepisce come un particolare
“me”, che si identifica come qualcuno. Di’
a te stesso: “Io sono colui che conosce il In verità, è l’Infinito,
senso dell’“Io”. Poiché lo osservo, deve es- senza inizio e
sere altro da me. Io non sono il mio ego”. senza fine, che esiste come
esperienza della
Adesso chiediti: “Chi è il conoscitore, il
pura Coscienza.
testimone del corpo, della mente, dell’ego? yoga vasishta
Chi è il conoscitore?”.
Poni solo la domanda: “Chi è il conoscitore?” e aspetta di vedere
che cosa si manifesta. Se lo fai con ispirazione, prosegui, poni la
domanda, aspetta in silenzio, chiedi ancora. Non stai cercando delle
parole come risposta, oppure di avere un’esperienza particolare. Stai
invitando il Sé, la Coscienza che testimonia, a rivelarsi.
Infine, riposa nel conoscitore, Medita come conoscitore.
(Sperimentando questa pratica, forse preferisci porre una doman-
da diversa, tipo: “Chi è il testimone” oppure: “Chi sono io?”)

Istruzione n. 2: Medita sulla tua stessa Consapevolezza


Comincia con le cinque pratiche preliminari (pagine 237-239).
Focalizza la tua attenzione sul respiro, seguendo l’inspirazione e
l’espirazione. Con l’espirazione abbi la sensazione che stai lasciando
andare ogni tensione del corpo, ogni paura, ogni senso di limitazio-
ne. Quando emergono i pensieri, respirali al di fuori. Se si manife-
stano emozioni, fai altrettanto. Osserva lo spazio interiore che resta

245
la meditazione per amore

Quando diventi calmo, ogni volta che espiri pensieri, emozioni


quando ti stabilizzi o limitazioni. Continua a espirare pen-
nel respiro, sieri, tensione, paura e limitazioni fino a
trovi te stesso nel cuore… che la mente comincia a divenire calma.
Se diventa una Concediti di osservare la Consapevo-
tua pratica abituale,
lezza attraverso cui conosci il tuo corpo,
puoi semplicemente
sedere sul tappetino il tuo respiro e i tuoi pensieri. Mantie-
e camminare dentro ni l’attenzione sulla Consapevolezza.
il tuo cuore, il cuore sottile, Quando arrivano pensieri, quando l’at-
l’intimo nucleo tenzione si sposta su altri oggetti, lascia
del tuo essere. andare pensieri e oggetti insieme al re-
swami chidvilasananda spiro e focalizzati sulla Consapevolezza.

Dopo la meditazione
Segui le istruzioni date per la prima settimana.

terza settimana
Focalizzazione suggerita: Meditazione devozionale

Segui le cinque pratiche preliminari (pagine 237-239), poi pratica


una delle seguenti tecniche:

Istruzione n. 1: Inspira l’Amore


Comincia col divenire consapevole della presenza di una tenerezza
fondamentale, una dolcezza, una gentilezza amorevole intorno a te.
(Potresti farlo chiedendo: “È presente l’amore?”) L’amore con cui
ti sintonizzi qui non è un’emozione: stai mettendoti in armonia con
la tenerezza della vita per la vita, la naturale, amorevole qualità del-
la Presenza, la benigna, affettuosa intenzione che fluisce attraverso
l’universo e dà la vita.
Concedi alla tua attenzione di concentrarsi sul respiro che fluisce
dentro e fuori. Senti che stai inspirando l’amore come una sensazio-

246
il programma di svolta in tre settimane

ne tenera e dolce che scorre dall’aria stessa, senti che quella tenerez-
za amorevole soffonde il tuo corpo e permettile di fluire, espirando,
attraverso il tuo corpo e fuori nell’atmosfera.

Istruzione n. 2: Ripeti il Mantra di devozione


Ripeti il tuo mantra con una delle seguenti bhavana:
Senti che stai offrendo il mantra all’Amato che sta nel tuo cuore
oppure che stai lasciandoti cadere nel cuore di Dio.
Immagina ogni ripetizione del mantra come un fiore offerto
all’Amato nel tuo cuore.
Ripetendo il mantra, senti che è Dio, il tuo divino Sé, che lo va
ripetendo.

Istruzione n. 3: Riposa nel Cuore Divino


Focalizzando l’attenzione sul respiro, permetti a ogni inspirazione
di portarti alla consapevolezza dello spazio interiore del cuore. Non
stai entrando in contatto con un cuore
fisico, ma con un centro sottile nella re- Cos’è il corpo?
gione del petto, nel luogo dove l’inspira- Quell’ombra di un’ombra
zione arriva naturalmente, per fermarsi. del tuo amore,
Molto gentilmente, ripetendo il man- che in qualche modo contiene
tra, di’ a te stesso: “Il mio cuore è il cuo- l’intero universo.
re di Dio” oppure “Il mio cuore è il cuo- rumi

re dell’universo”. Ogni volta che ripeti


queste parole, fa’ una pausa e riposa nello spazio creato in te dal
pensiero che il tuo cuore è il cuore di Dio, il cuore dell’universo.
Percepisci che riposi nel cuore divino e se si manifestano pensieri,
lasciali dissolvere nello spazio di quel cuore.

247
Il Processo della maturazione
capitolo tredicesimo

Una gran parte del lavoro della meditazione è sotterranea, e la mag-


gior parte impercettibile. Ecco perché misuriamo i progressi che
facciamo non tanto da quello che accade durante una particolare
sessione di meditazione, quanto dai modi sottili in cui una prati-
ca regolare cambia i nostri sentimenti verso noi stessi e il mondo.
Altrimenti la nostra esperienza giorno dopo giorno spesso sembra
seguire una progressione non percepibile. Ancora più spesso risulta
un po’ come se ci muovessimo attraverso una mappa dei modelli
climatici.
Se si guarda una mappa climatica, si vede che è segnata da colori
e vortici: nella zona blu c’è pioggia; in quella rossa, sole. La zona
verde mostra le tempeste tropicali e quella gialla una nevicata fuori
stagione. Succede spesso così anche in meditazione: modelli clima-
tici sembrano succedersi gli uni agli altri. Un periodo di profonda
meditazione silenziosa può essere seguito da un periodo burrascoso
di agitazione, quando la mente proprio non si vuole acquietare, cui
segue una sorta di periodo grigio in cui la meditazione sembra piut-
tosto superficiale, e uno in cui si sente resistenza a meditare.
Potremmo passare un giorno o una settimana di grande luminosi-
tà e beatitudine; poi, il giorno successivo trovarci bloccati in qualche
emozione pesante: il cuore arido, la mente spessa e opaca. Un gior-
no potremmo avere una piena esperienza del testimone e il succes-
sivo la mente potrebbe rifiutarsi di lasciar andare il pensiero. Mar-
tedì usciremo di meditazione sentendoci brillanti, in pieno accordo

249
la meditazione per amore

Ricordi come col nostro mondo e penseremo: “La


la tua vita desiderasse meditazione è una gran cosa: rende
uscire dall’infanzia verso la mia mente acuta come un ago”. E
la “grande cosa”? invece il mercoledì ce ne andremo in
Vedo che adesso desidera giro sentendoci così ottusi, o vaghi e
andare avanti oltre la grande cosa
sognanti da non poter fare a meno di
verso la più grande.
Ecco perché chiederci: “Forse la meditazione mi
non cessa di essere difficile, sta facendo perdere la memoria”.
ma ecco anche perché Perché tutto ciò? Non perché la
non cesserà di crescere. meditazione cambi: semplicemente
rainer maria rilke perché, come abbiamo visto, il nostro
viaggio all’interno ci porta continua-
mente attraverso differenti strati o territori della nostra Coscienza in-
teriore. Talvolta il mio guru mi sorprendeva per la sua insistenza a ve-
dere in una luce positiva tutto ciò che gli si portava. Che gli dicessimo:
“Sono in estasi” oppure “Mi sento terribilmente triste”, rispondeva
sempre: “Molto bene”. Se gli avessimo riportato una visione o una
valanga di pensieri, oppure la sensazione che non accadesse niente
del tutto, avrebbe risposto: “Molto bene”. Io, impaziente di analizzare
il processo o sospettosa sui possibili sviluppi, mi chiedevo talvolta se
capisse quanto fosse noioso il nulla, e quanto speciale la visione.
Col passare degli anni, e dopo essere passati attraverso fasi diverse
dell’universo interiore, noi studenti cominciammo a capire cosa egli
volesse significare, in altre parole: a riconoscere che davvero tutto
andava molto bene. Quanto più interiorizzavamo il riconoscimento
tantrico che la coscienza umana è irrimediabilmente colorata con
la tinta della divinità, tanto più sperimentavamo come tutte que-
ste bolle e onde di sentimenti, pensieri e immagini si dissolvessero,
alla fine, nel tessuto della Consapevolezza primaria, la cui essenza
è amore. Dove altro possono dirigersi i pensieri e le immagini di
sentimenti ed emozioni se non ritornare nella Coscienza di cui sono
fatti? E – qui per me stava il miracolo – quando si manifestavano
in meditazione e gli veniva concesso di placarsi, il tessuto interiore

250
il processo della maturazione

della mia coscienza si alleggeriva, diventava più libero, più giocoso,


meno volatile. Più puro.
Con il tempo, arrivai a vedere che la cosa più importante era con-
tinuare a meditare, perché lo stesso processo meditativo mi avrebbe
portato ad attraversare ciò di cui avevo bisogno e a uscire dall’altra
parte. Uno dei grandi principi della vita spirituale è “Continua a muo-
verti”. Le nostre strutture di credenze e paure – quelle che restano
sempre in attesa nei recessi della mente personale – possono iniziare
a intasarci se passiamo troppo tempo a pensare e a preoccuparci del-
le nostre esperienze. La contemplazione è necessaria ma cercare di
comprendere i perché e i percome di ciò che stiamo sperimentando,
oppure spaventarci o scoraggiarci per una sensazione strana o per
un umore (o in alternativa sovreccitarci per un’esperienza “elevata”)
può bloccarci proprio in uno dei nostri concetti limitanti. L’unica
soluzione è andare avanti. La Coscienza stessa correggerà ogni squi-
librio. La meditazione stessa ci mostrerà ciò che dobbiamo sapere.
È un processo e si evolve.
Quando un pilota vola da New York a Parigi non è mai esat-
tamente sulla rotta: aggiusta continuamente, corregge sempre con
leggere deviazioni. Perciò il suo modello di volo potrebbe essere
descritto come un processo che,
In questo processo, nessuno sforzo
di correzione in correzione, infine
viene mai perso. Anche un minimo
arriva a destinazione. Il nostro pro- di questa pratica
cesso è molto simile: un costante protegge dalla grande paura.
processo di equilibrio. Il progresso bhagavad gita
spirituale non è, come talvolta si
immagina, una linea retta: somiglia più a uno zigzag, due passi avanti
e uno indietro. Tuttavia, se perseveriamo con forte intenzione, arri-
viamo a destinazione.

Maturare
La fioritura interiore prende il suo tempo. Questa è semplicemente
una delle grandi verità universali della vita spirituale. Non possiamo

251
la meditazione per amore

accelerare il processo di risveglio, per quanto lo si voglia fare. D’altra


parte, una volta iniziato, possiamo avere fede che il nostro processo
interiore si svilupperà.
Talvolta si vuole prendere d’assalto il mondo interiore, come il
primo discepolo di Ramakrishna che si svegliò e disse: “Un altro
giorno andato, e ancora nessuna visione di Dio!”. Pieni di aspira-
zione e desiderio, non riusciamo a capire perché l’universo interiore
non si apra a noi immediatamente.
Altre volte, ci chiediamo se potremo mai imparare a tenere la men-
te calma per più di cinque minuti. Ci scoraggiamo perché i “cattivi”
sentimenti di cui pensavamo esserci già liberati sono ancora in noi,
dimenticandoci quanto il processo della meditazione riguardi l’auto-
confronto, l’auto-riconoscimento, e l’umiliante incontro quotidiano
con il divario tra chi vorremmo essere e ciò che siamo in realtà.
Quando si pianta un albero di pesco, ci vuole il suo tempo perché
germogli. Ci mette diverse stagioni per crescere, produrre le foglie
e poi i fiori. Quando raggiunge un certo punto di maturazione, pro-
duce i frutti. Quanto tempo sia necessario dipende da molte cose
– il suolo, il tempo, il tipo di albero, la qualità dell’acqua – ma alla
fine l’albero darà i suoi frutti, e una volta iniziato a farlo, continue-
rà, anno dopo anno. La crescita spirituale è esattamente così. Per
la maggior parte delle persone è un processo lento e graduale, una
questione di maturazione. Succede a tempo debito. Noi non sap-
piamo quando avverrà la realizzazione. Tutto quello che possiamo
sapere è che ci sarà.
Lasciatemi fare un esempio più personale: nel primo capitolo ho
descritto una delle esperienze fondamentali in quella che ho chia-
mato l’apertura del mio cuore. In realtà, quella era una fase di un
processo che aveva richiesto anni. Dopo l’intensa dolcezza delle mie
prime esperienze a seguito del risveglio, ero entrata in una fase in
cui ogni volta che sedevo in meditazione, sentivo un’energia dura
e quasi dolorosa intorno al cuore. Di tanto in tanto, l’involucro da
cui era circondato sembrava dissolversi, e mi trovavo nel mezzo di

252
il processo della maturazione

un campo di dolcezza. Per lo più, però, trascorrevo le mie ore di


meditazione a confrontarmi con quel muro intorno al cuore. Arrivai
a dare per scontata e ad accettare questa sensazione pungente di
intensa energia che spingeva contro la regione del cuore. Ripetevo
il mantra, mi focalizzavo sul respiro, e spesso andavo abbastanza in
profondità in uno stato di quiete ampia ed estesa. Ma il guscio resi-
steva saldamente al suo posto.
Durante quel periodo, pregavo intensamente per sentire una
maggiore quantità d’amore e perché il mio cuore si aprisse comple-
tamente. Ma non succedeva mai per più di poche ore o, al massimo,
giorni. Era terribilmente frustrante.
Poi, dopo quasi dieci anni di pratica costante, un giorno compresi
che, senza che io avessi notato ciò che stava accadendo, il mio cuore
si era ammorbidito. L’energia non era più dura e dolorosa. A poco
a poco nel corso degli anni successivi, la sensazione di ammorbidi-
mento e di apertura continuò a crescere. Oggi la mia normale espe-
rienza quotidiana è di una dolcezza setosa e tenera intorno al cuore,
che si approfondisce durante la meditazione in quella che posso solo
descrivere come una sensazione di perfetto amore.
Col senno di poi, naturalmente, capisco perché ci sia voluto così
tanto tempo. L’apertura del nodo del cuore non è una questione
semplice, per nessuno. Avevo molti, molti strati di armatura intorno
al cuore, strati che dovevano essere rimossi uno a uno – strati che
sono ancora in fase di rimozione, dal momento che spesso tendiamo
a sostituire una forma di armatura con un’altra. Ci vuole così tanto
in queste profonde trasformazioni interiori, inclusi la straordinaria
disposizione della grazia, lo sforzo personale e il puro lavoro del
tempo. Quella particolare trasformazione coinvolse anni di pratica
interiore, costante meditazione quotidiana, e il canto. Inclusi anche
azioni di servizio, molta preghiera, e il procedere della vita stessa: il
lavoro interiore delle relazioni, delle esigenze di vita in una comuni-
tà, di fare un lavoro che mi piaceva e uno che non mi piaceva affatto,
di ottenere ciò che volevo oppure di non riuscire ad averlo.

253
la meditazione per amore

Ad attraversare tutto questo, a dargli energia e a renderlo possi-


bile fu la grande, imponderabile, non quantificabile e segreta opera
della grazia. Lavorando attraverso la mia pratica e le situazioni che
ostacolavano il mio cuore, la grazia gradualmente pulì e rese sottile
il mio campo energetico. Gli strati si dissolsero e io potei assaporare
la dolcezza che giaceva al di sotto. Il sottile si rinforzò, così che il
mio corpo potesse contenere più energia. Più di tutto, durante quel
tempo, quella amorevole energia interiore, l’energia della grazia, lenì
e risanò molte delle mie ferite emozionali, quei luoghi scorticati che
tutti teniamo nel cuore, così alla fine fui in grado di lasciar andare il
carapace che avevo innalzato a guardia dell’area interna ferita. Quin-
di l’amore che era là poté essere sentito ed espresso.
L’intero processo divenne ancor più misterioso quando capii che
anche se dicevo “Io” lascio andare, la verità era che non lo facevo.
Non potevo farlo. Semplicemente accadde e accadde a suo tempo e ci
volle il tempo che ci voleva.
Il processo di maturazione è come questo. La nostra pratica crea
il terreno che gli permette di accadere. Ma le variazioni, i cambia-
menti interiori e le aperture, come accadono? Così naturalmente, così
sottilmente che quando il processo è conclu-
Saluto il Sé! so, spesso sentiamo che i nostri sforzi non
Mi inchino a hanno niente a che fare col cambiamento.
me stesso – la Coscienza Tuttavia, è l’interazione tra i nostri sforzi e
indivisa, il
la grazia che rende il cambiamento possibile.
gioiello di tutti i mondi
visibili e invisibili!
Ecco perché, forse, è una buona idea
yoga vasishtha
chiedersi periodicamente: “Come mi sono
trasformato da quando ho iniziato a medi-
tare?”. Puoi osservare i cambiamenti nel modo di percepire te stesso,
i mutamenti nel carattere e nel modo di rapportarti agli altri, la diffe-
renza nel modo di lavorare. Osserva, anche, le mutazioni più sottili
nell’atmosfera interiore, nella chiarezza della mente e nel fluire dell’e-
nergia. Scrivi ciò che scopri e prenditi anche del tempo per onorare il
tuo processo e il potere che agisce attraverso la tua meditazione.

254
Lascia che la Danza interiore si riveli
epilogo

La proposta di questo libro e dell’intera esperienza di meditazione


è fatta per aiutarti a entrare in profonda meditazione con te stesso.
I principi e le discipline di queste pagine – l’impegno a meditare
giornalmente, con intenzione conscia e rispetto, e a tenere un diario
– sono offerti non come riti da dover seguire, ma come chiavi per
rendere più veloce il tuo processo. Sono progettati per creare una
struttura all’interno della quale puoi librarti. Tutte le istruzioni
dovrebbero essere prese come piattaforme di lancio per la tua
esplorazione interiore, come veicoli attraverso i quali kundalini può
dirigere la tua meditazione. Più li investi – e così ogni pratica – con
il tuo sentimento, con la tua intenzione e con la tua ispirazione, più
l’energia che in essi si rivela balzerà su di te, danzando attraverso il
tuo essere, e ispirandoti maggiormente.
Quindi, quando un’intuizione si manifesta, quando nuovi modi di
meditare si suggeriscono da sé, riconoscili come doni della shakti. Se
ti senti condotto a meditare in un luogo differente dal solito o in un
momento bizzarro, dai seguito all’impulso e contemplane gli effetti.
Lascia che il filo della meditazione tessa i suoi percorsi attraverso la
tua vita, e osserva come ti fa sentire.
Queste pratiche possono stabilire un modello per il resto della
tua vita da meditante, specialmente se ricordi che ciò che cerchi
in meditazione è il tuo stesso Amato, la tua stessa intelligenza
interiore, la tua stessa Consapevolezza, la tua Verità. Colei che vive
in te si rivela in così tanti modi: danza, come la sottile energia che

255
si raccoglie nel corpo quando chiudi gli occhi; vive nel respiro, e
si manifesta come consapevolezza che è mossa da una forza più
grande. È là come il senso d’amore o di dolcezza che si intrufola
in te quando rilassi i muscoli tesi, come la pressione sulla fronte,
come la consapevolezza della Consapevolezza. Viene come il senso
di pace nel silenzio interiore, come l’intuizione del tuo splendore,
come l’altissimo pensiero che sai tenere su di te, e come il sollievo
che avverti quando espiri la tensione.
Anche quando la tua energia si sente tesa, sfilacciata, opaca o
dolorosa, anche quando i pensieri e le emozioni turbinano come
vortici di sabbia nel tuo spazio interiore o quando l’opacità giace
come melma nel tuo cuore, lei è là, in fondo alla tua agitazione e
dietro i sentimenti, le memorie e le sensazioni. Lei è in ogni momento
della tua meditazione; è la tua amica interiore, la tua innamorata, il
tuo Sé.
Continua a cercarla, a cercarlo, a cercare Quello – sempre sapendo
che ciò che stai cercando è ciò che già sei. Appena percepisci quella
presenza, stai con lei. Soprattutto, sii lei. Medita sul tuo Sé, l’unico
che è sempre lì per te, l’unico che ti contiene nella sua calma, l’unico
che medita sempre in te.
Possa la tua pratica meditativa rivelarsi gioiosamente in tutte
le sue stagioni e ti conduca ripetutamente al tuo cuore, il Cuore
dell’universo, il grande Sé.

256
appendici
Kundalini
i

“La tua vita sola, grande Madre, è il respiro di ogni creatura” scris-
se Ramprasad, il poeta bengalese del diciannovesimo secolo. I suoi
versi toccano il mistero della Kundalini shakti, l’energia interiore che
molti testi yogici descrivono come la forza della crescita spirituale.
Kundalini è una misteriosa fonte di fascino e di confusione, ed è
l’oggetto di uno dei rami più esoterici della letteratura spirituale. È
anche un’energia percettibile – sebbene sottile – che si inizia a rico-
noscere quando la meditazione si rivela.
Citata nei testi yogici Indiani risalenti almeno al sesto secolo e.V.,
kundalini è descritta anche nel manuale dello yoga taoista: The Secret
of the Golden Flower, e in molti testi chiave dello yoga Tibetano. Ai
giorni nostri, testi tradizionali sulla kundalini yoga come Shiva Samhita
e Hatha Yoga Pradipika sono disponibili presso le librerie online, in-
sieme ai libri contemporanei in materia, sia eruditi che divulgativi.
Le persone che meditano da molto tempo, in particolare coloro che
sono stati iniziati da maestri appartenenti a certi lignaggi di Guru,
indiani e tibetani, hanno sperimentato Kundalini nel corso della loro
pratica. Nonostante ciò, in molti testi classici dello yoga, kundalini è
spesso trattata – almeno a giudicare dalle apparenze – come se fosse
un’energia quasi meccanica, che può essere manipolata, che si può
imparare a controllare, o esattamente il contrario.
Invece, kundalini è molto di più di questo, e qui sta l’essenza del suo
fascino e del suo mistero. Come afferma lo studioso francese Jean Va-
renne in Yoga e tradizione indù: “La kundalini è shakti, è il potere divino

259
la meditazione per amore

incarnato nel corpo e strettamente coinvolto nel suo destino”. I saggi


indù che redassero i tantra – testi yogici in cui la kundalini è invocata e
celebrata – la consideravano una forma interiore del divino femmini-
no, la Dea, il cui speciale dono per noi è la consapevolezza spirituale.
Come dichiara un verso del Niruttara Tantra: “Senza la conoscenza di
Shakti, la liberazione è irraggiungibile”.
Nella tradizione Tantrica, il nome kundalini – che significa “at-
torcigliato” – è uno dei nomi dell’energia cosmica creativa, la shakti
o potere del divino e, per comprendere come lavora all’interno del
corpo umano, dobbiamo capire l’elemento fondamentale della sua
natura. Questa tradizione, che include i testi dello Shivaismo del
Kashmir, descrive la suprema realtà come un binomio inscindibile
conosciuto come Shiva/Shakti. Spesso personificati nella mitologia
come la coppia divina, Shiva e Shakti rappresentano i due poli com-
plementari di un’unica e ininterrotta realtà divina. Shiva è il terreno
fermo, la pura testimonianza della Coscienza che contiene tutto ciò
che esiste. Shakti è la forza dinamica e il potere creativo insito nella
realtà, la potenza che, secondo la tradizione, manifesta gli universi in
libera beatitudine. Come sostiene il Pratyabhijna Hridayam: “La som-
mamente libera Chiti [un nome per shakti] è la causa della manife-
stazione, del mantenimento, e del riassorbimento dell’universo. Lo
manifesta sul suo proprio schermo”. Shakti, quindi, è l’energia che
diviene ogni cosa nell’universo – e ogni cosa al di là dell’universo.
È il sé che Diviene, il terreno primordiale creativo in cui tutto si
manifesta. Non c’è nulla nell’universo o al di là di esso che non sia
shakti, e quindi nulla senza coscienza, poiché shakti è soprattutto
consapevole, viva, senziente. Questo è un concetto radicale, anche
se è più facile da capire quando si ha una certa comprensione della
fisica quantistica.
Shakti, ci dicono i testi shivaiti del Kashmir, diventa l’universo
attraverso un processo di contrazione – l’energia vasta, informe, in-
finitamente sottile si solidifica in materia, come il vapore si condensa
a formare acqua e poi ghiaccio. Non appena l’energia cosmica si

260
appendice

contrae, copre la sua vera natura, nascondendosi dietro lo schermo


delle forme, e identificandosi in figure particolari, particolari corpi
ed ego. Quando shakti è contratta, un essere umano – che in essenza
è Coscienza pura e libera – si identifica con il proprio corpo, con la
propria mente e con la sua storia personale. Perciò non può real-
mente conoscere la verità su di sé.
Questo è un punto essenziale della visione tantrica del mondo: lo
stesso potere che ha manifestato le forme di questo mondo funzio-
na dentro di noi, per volgere i nostri sensi verso l’esterno e creare
l’illusione che siamo individui particolari, separati dal tutto il resto.
Pertanto, non ci può essere esperienza di unità, a meno che il potere
consenta, per così dire, di trasformare la mente e rivelare l’essenza
dietro le forme.
Si dice che, quando siamo in questo stato di contrazione e di re-
strizione, kundalini sia “addormentata”. In questa condizione, la
nostra energia è costretta a identificarsi con le limitazioni del corpo,
della mente e della nostra storia personale – la condizione chiamata
“ego” o auto-contrazione. Quello che viene chiamato “il risveglio di
kundalini” è in realtà l’inversione della tendenza dell’energia a con-
trarsi, così che invece di nascondere la verità che siamo pura energia,
luce, e beatitudine, kundalini risvegliata inizia a rivelarla. Ma prima, il
corpo umano deve essere preparato a sperimentare se stesso come
pura Coscienza. Altrimenti, la nostra densità fisica, i nostri blocchi
fisici e psicologici, i nostri blocchi emotivi e le nostre paure ci im-
pedirebbero di contenere il livello di energia che kundalini espansa
scatena nel nostro sistema.
Solitamente, quando il risveglio si verifica, l’energia che stava vol-
gendo la mente e i sensi verso l’esterno, dandoci la sensazione di
separazione e differenza, ora inizia a facilitare il movimento verso
l’interiorità e l’unità. L’energia si muove attraversando il corpo fisico
e il sistema sottile, purificandoli, eliminando le tossine dal sistema,
dissipando blocchi emozionali, rendendo la mente sottile, e dandole
il potere di concentrarsi verso l’interno.

261
la meditazione per amore

Kundalini opera attraverso il prana, la forza vitale del corpo,


e attraverso i canali pranici chiamati nadi. La maggior parte delle
tradizioni yogiche descrivono la sua attività come un movimen-
to in salita, dove l’energia fluisce verso l’alto attraverso un canale
sottile chiamato sushumna nadi, che scorre dalla base della spina
dorsale fino alla sommità della testa, nel nostro sistema sottile,
o energetico. Ma fluisce anche con la forza vitale in ogni parte del
corpo, eliminando i blocchi dal sistema nervoso fisico e dai cana-
li energetici. Quando kundalini è in azione nel corpo, creerà una
varietà di effetti fisici e psicologici. Alcuni degli effetti fisici sono
stati descritti nel capitolo nono.
Psicologicamente, l’attività di kundalini dà enormi poteri a ogni
pratica o disciplina si stiano facendo – meditazione, yoga, psicote-
rapia, arte o lavoro di self-help. Questo potere può essere avvertito
come la netta sensazione di essere stati benedetti, illuminati, o tra-
sformati dall’interno, poiché le paure svaniscono, e nascono emozio-
ni più elevate come coraggio e amore. Kundalini può notevolmente
aumentare l’aspirazione spirituale e la capacità per la pratica. D’altra
parte, può richiamare recondite emozioni o ricordi, permettendo di
affrontarli direttamente. Inoltre, l’energia risvegliata facilita qualsiasi
pratica si utilizzi per eliminare i blocchi psicologici, le convinzioni, e
i traumi personali, così che ogni forma di lavoro su se stessi, e ogni
pratica spirituale, diano risultati più velocemente.
Come molti altri, il cambiamento più emozionante che avver-
tii al risveglio della kundalini fu che la mia pratica di meditazione
si approfondì in modo tangibile. Pratiche che facevo da un po’ di
tempo con scarsi risultati cominciarono ad aprire nel mio cuore e
nella mente dei regni che non avevo mai sperimentato prima. Sta-
ti di meditazione cominciarono a verificarsi spontaneamente, con
intuizioni spirituali e un nuovo livello di comprensione filosofica,
di creatività, e apertura di cuore. Contemporaneamente, ci furono
periodi di sconvolgimento emotivo, quando le ferite a lungo sepolte
riaffiorarono – e dovetti imparare come lavorare con loro senza, per

262
appendice

esempio, mettere in atto una esplosione di rabbia o perdermi nella


tristezza o credere che una sensazione di romantica infatuazione an-
nunciasse, necessariamente, la connessione con un’anima gemella.
Se si è quello che i testi chiamano un medio aspirante “monda-
no” – cioè un praticante che non è passato attraverso le rigorose
discipline delle scuole tradizionali di yoga – è normale che kundalini
lavori inizialmente sul livello fisico e psicologico. Molti scrittori occi-
dentali, seguaci di Carl Jung, associano questi cambiamenti psicolo-
gici con il movimento di kundalini attraverso i chakra. Ma molti testi
tradizionali considerano l’apertura dei chakra come un movimento
separato di kundalini, che può avvenire simultaneamente con il pro-
cesso di pulitura fisica e psicologica, ma che spesso si verifica solo
dopo un certo periodo di purificazione.
In questo processo, chiamato vedha mayi, o perforazione dei cen-
tri, kundalini si muove attraverso i chakra – centri spirituali che si
trovano lungo la sushumna nadi – e li apre, spalancando così le porte
alle dimensioni mistiche dell’esperienza. Alla fine, quando kundalini
diventa stabile nel chakra più alto, situato sulla parte superiore della
testa, il praticante sperimenta l’unione, l’unità con tutte le cose. Col
tempo, questa esperienza inizia a permeare l’attività dei sensi estro-
versi, permettendo l’esperienza di un’ininterrotta coscienza di unità.

Kundalini e le tradizioni
Poiché kundalini è una potenza universale, i suoi effetti sono stati
avvertiti – e registrati – dai mistici di ogni tradizione e anche da
molti che non si definiscono tali. Le visioni, le estasi, le intuizioni,
e le realizzazioni descritte dai mistici cristiani come Teresa d’Avila
o Ildegarda di Bingen, da mistici ebrei come Baal Shem Tov, e da
sufi, taoisti e praticanti buddisti, corrispondono alle esperienze di
kundalini risvegliata descritte nei testi indiani dello yoga. Gli scrit-
ti del Buddismo Vajrayana, così come alcuni scritti della tradizione
ermetica occidentale e cabalistica, sono molto simili alle descrizioni
di kundalini che si trovano nei tantra indù. Elaine Pagels, nei Vangeli

263
la meditazione per amore

Gnostici, cita un antico testo del cristianesimo gnostico che recita:


“In ogni essere umano risiede un potere infinito, radice dell’univer-
so. Tale potere infinito esiste in ognuno in una condizione latente”.
Gli scrittori cristiani parlano di questa energia spirituale come dello
Spirito Santo. Nello yoga cinese viene chiamata chi interno e in quello
giapponese ki, per distinguerla dall’energia fisica esterna. I boscimani
!Kung dell’Africa parlano di una potente sottile energia chiamata n/
um, mentre gli Hopi del sud-ovest americano descrivono la colonna
vertebrale umana come un asse contenente centri vibratori. Questi
centri corrispondono al sistema dei chakra del kundalini yoga.
Nei testi di yoga indiani, kundalini è spesso raffigurata come un ser-
pente: Sir John Woodroffe, il primo studioso a descrivere ampiamente
il kundalini yoga della tradizione indiana, la descrive come il potere
del serpente; venerabili testi egizi e celtici associano l’immagine del
serpente con le antiche religioni della dea; alcuni scrittori contempo-
ranei della tradizione cabalistica hanno fatto notare che il serpente nel
Giardino dell’Eden può essere associato con kundalini e l’iniziazione
alla conoscenza superiore; Carlos Suarès, in Il codice della Genesi descrive
come la Cabala faccia riferimento al serpente, che appare a Adamo
ed Esha (Eva) nel Giardino dell’Eden, come alla resurrezione dalla
sepoltura di Aleph, il principio di tutto ciò che è e di tutto ciò che non
è. Secondo questa tradizione, quando il serpente appare, Adamo ed
Eva stanno giusto emergendo da uno stato di profondo oblio: il suo
compito è di risvegliarli e dare inizio al loro cammino evolutivo. Un
testo cabalistico afferma che quando la voce di Dio interroga Eva su
questo evento, quello che lei dice veramente non è: “Il serpente mi ha
ingannata”. Al contrario, spiega che il serpente ha mischiato il suo fuo-
co terreno con il perduto fuoco celeste di lei, facendola tornare in vita.

Il risveglio di Kundalini
Come viene risvegliata allora kundalini? I testi orientali ci dicono che
può avvenire in uno di questi quattro modi: spontaneamente, maga-
ri come effetto di precedenti pratiche; attraverso alcune posture di

264
appendice

hatha yoga e di esercizi di respirazione;1 Esplora la vita che è la vita


attraverso la meditazione concentrata, il della tua forma presente.
culto, e la preghiera; oppure attraverso Un giorno scoprirai
la trasmissione di energia da parte di un che non è differente
guru. I testi tradizionali dicono che il dalla vita del Segreto Uno,
e il tuo cuore
metodo più naturale e sicuro per risve-
canterà trionfante la canzone
gliare kundalini è attraverso la trasmis- di sentirsi a casa
sione di energia da parte di un guru, ovunque.
la cui kundalini sia completamente di- the radiance sutras
spiegata. Questo processo, chiamato
shaktipat nella tradizione dello yoga shivaita dell’India, è raro, ma
estremamente efficace. Quando il guru attiva l’energia, si forma una
connessione tra il guru e l’allievo attraverso cui l’energia viene auto-
maticamente regolata e guidata.
Quando kundalini è risvegliata attraverso altri mezzi – con le pra-
tiche oppure come risultato spontaneo – è comunque importan-
te ricevere indicazioni e consigli da insegnanti qualificati. Un inse-
gnante esperto può aiutarci a lavorare con l’energia risvegliata, e può
aiutarci a comprendere ciò che realmente significano i movimenti
spontanei e le esperienze. Nella maggior parte delle persone, l’ener-
gia opera secondo la preparazione e la necessità individuali, tutta-
via, se il risveglio è stato forte e la persona è impreparata o ignora
quel che accade, paura e incomprensione possono creare problemi,
a meno che non ci sia una guida appropriata. Naturalmente, questo è
particolarmente vero per chi è psicologicamente instabile. Sebbene
kundalini risvegliata possa contribuire a curare gli squilibri psicologi,
essa può anche aggravarli. Una persona che abbia un tale squilibrio
dovrebbe continuare con il suo regime terapeutico, assumendo far-
maci se necessario, e ricevendo assistenza psicologica.

1 I maestri della tradizione talvolta mettono in guardia gli studenti che quando si
praticano hatha yoga e pranayama intensi per attivare kundalini, ciò può creare
un risveglio improvviso e parziale che può essere nocivo per il praticante. per
questa ragione, è importante eseguire queste pratiche solo con una guida esperta.

265
la meditazione per amore

Per il praticante medio, comunque, kundalini è un potente aiuto:


l’energia risvegliata dà slancio a ogni pratica si stia facendo, così che
anche le più semplici possano avere come conseguenza profonde
intuizioni e aperture e ciò è specialmente vero quando il pratican-
te comprende la natura di quell’energia. Comunque, è importante
avere un atteggiamento pratico e sperimentale, e il senso di come il
proprio sistema risponda a essa.
Qui di seguito, offro alcuni consigli su come lavorare con kunda-
lini che si espande.

Atteggiamenti che sostengono il dispiegarsi di kundalini


In primo luogo, si tratta di capire che kundalini è la nostra stessa
energia vitale, non qualcosa di imposto dall’esterno. Quindi, quando
è in azione in noi, opera attraverso il nostro sistema, e in normali
circostanze elabora e purifica secondo il ritmo adatto alla nostra
costituzione fisica e alla nostra preparazione interiore.
Come secondo punto, occorre riconoscere che kundalini non è
solo un’energia personale o fisica. È la nostra porzione personale,
per così dire, della divina energia creativa dell’universo. Più siamo
in grado di comprendere questo – apprezzare e rispettare la qualità
cosmica di kundalini – più amorevole sarà la nostra esperienza. Nel
capitolo ottavo, descrivo come l’energia stessa, quando prendiamo
un rispettoso atteggiamento verso kundalini, inizierà a guidarci e a
insegnarci dal di dentro. Ognuno ha bisogno di sviluppare il proprio
rapporto con l’energia, e di imparare a distinguere le indicazioni di
kundalini dalle varie voci della mente egoica. Nel tempo, con un
appropriato controllo e attenzione, cominciamo a riconoscere come
opera in noi, e a imparare come collaborare con essa.
Come terzo punto, elementi importanti per lavorare con kun-
dalini sono la dieta e l’esercizio fisico. Tradizionalmente, una dieta
ricca di proteine, frutta e verdura aiuta a nutrire l’energia. Quando
kundalini sta lavorando intensamente, dolci e rinfrescanti fragranze
come il legno di sandalo possono stabilizzarla, così come un vigoro-

266
appendice

so esercizio fisico. È importante mangiare regolarmente – tre pasti


leggeri al giorno – quando kundalini sta lavorando fortemente, per-
ché l’energia, se non alimentata, può consumare sostanze nutritive.
Quando ciò accade, possiamo perdere peso, sentirci deboli o fuori
fase. Erbe toniche, cinesi o ayurvediche, possono aiutare, come il
consumare più proteine. D’altra parte, se cibarsi in modo spartano
consente all’energia di lavorare dinamicamente, farlo in modo esa-
gerato, la frenerà.
Alimentata con disciplina e comprensione, kundalini renderà spi-
rituale la nostra vita in una miriade di modi. L’effetto finale della
pratica con una kundalini risvegliata è l’esperienza dell’unione: l’u-
nione dell’umana coscienza con la vasta Coscienza di cui è parte,
o – come affermano i testi yogici – il riconoscimento che non c’è
separazione tra noi e il tutto. In questo stato, il Sé si riconosce, e noi
realizziamo la nostra vera identità come Coscienza illimitata – pur
celebrando con gioia la nostra particolarità unica e il nostro posto
nella danza cosmica. Questo è lo stato chiamato non-duale – lette-
ralmente: non-due – nel quale possiamo simultaneamente sperimen-
tare la diversità del multiverso2 e riconoscere che niente è altro dalla
Consapevolezza stessa.

2 Per multiverso si intende un insieme di universi coesistenti e alternativi, al


di fuori del nostro spazio-tempo, spesso denominati dimensioni parallele, che
nascono come possibile conseguenza di alcune teorie scientifiche.

267
Guida alla risoluzione dei problemi
ii

Gli ostacoli sono importanti: B.K.S. Iyengar, maestro di hatha yoga


e autore del classico Vita nello Yoga, ha scritto che la maggior par-
te delle sue innovazioni nella terapeutica pratica dello hatha yoga
deriva dal lavoro fatto con le proprie ferite e con gli impedimenti
incontrati. Le sue difficoltà gli hanno insegnato come funziona il
corpo: gli ostacoli sono i nostri insegnanti e la meditazione è un per-
fetto laboratorio per imparare da loro. La maggior parte dei blocchi
interiori che emergono quando meditiamo sono versioni di diffi-
coltà abbastanza familiari: paura, frustrazione, ottusità e distrazione
non ci affliggono solo in meditazione, ma anche sul posto di lavo-
ro, nell’amore e nella vita familiare. Questo perché gran parte delle
volte abbiamo imparato a ignorare questi sentimenti, a distrarci o a
usare qualsiasi cosa per non affrontarli. Quando ci sediamo sul tap-
petino della meditazione, però, le nostre tendenze e i nostri blocchi
si siedono proprio di fronte a noi, sfidandoci a guardarli negli occhi
e ad affrontarli.
Fortunatamente, non esistono blocchi, ostacoli, o sfide che pos-
siamo trovarci di fronte in meditazione che non siano stati affron-
tati dai saggi. È un grande privilegio che così tanti uomini e donne
determinati abbiano intrapreso il cammino interiore prima di noi,
e abbiano lasciato testimonianze di quello che hanno fatto quan-
do si sono scontrati con i problemi che noi adesso ci troviamo di
fronte. Le domande che seguono provengono dagli studenti della
mia classe di meditazione. Le risposte sono basate sia sui consigli

269
la meditazione per amore

dei miei insegnanti, che sulla mia personale esperienza nella pra-
tica.

Come posso evitare di dormire in meditazione?


Prima di tutto, assicurati di aver dormito a sufficienza durante la
notte. Se il tuo corpo è stanco, userà il tempo di meditazione per
sonnecchiare.
Poi, devi stabilire se stai veramente dormendo: ci sono livelli di
profonda meditazione che sembrano sonno ma in realtà sono sta-
ti yogici. Come abbiamo visto nel nono
Per qualsiasi cosa la mente capitolo, quando la meditazione entra nel
si manifesti… instabile,
corpo casuale entri in uno stato buio e
egli la conduca
sottomessa solo al Sé.
apparentemente incosciente. Qui riposi,
bhagavad gita
mentre l’energia della meditazione ripuli-
sce i tuoi samskara, le impressioni sepolte
più profonde e limitanti. Questo processo è una parte significativa
del viaggio interiore.
Comunque, la meditazione nel corpo casuale ti lascia rinfrescato
e pieno di energia. Se esci dalla meditazione intontito e fiacco, pro-
babilmente hai sonnecchiato e non meditato.
A volte, semplicemente, non possiamo evitare di addormentarci.
Appena kundalini si attiva, durante una sessione di meditazione, la
mente inizia a ruotare verso l’interno. A questo punto, passerai dallo
stato di veglia a uno più sottile che, secondo la forza della tua foca-
lizzazione, sarà sonno o meditazione. Se la tua volontà interiore non
è allenata a stare all’erta quando la forza della meditazione è molto
intensa, ti addormenterai.
La maggior parte di noi, quando inizia a meditare, si trova in que-
sta situazione. Nel mondo interiore non siamo abituati a stare sul-
la cresta dell’onda, quindi non sappiamo come rimanere a galla. È
per questa ragione che nei testi di meditazione c’è così tanta enfasi
sull’imparare a focalizzare la mente.
La focalizzazione, come abbiamo detto prima, sviluppa una sor-

270
appendice

ta di sottile volontà, in modo che la mente può mantenersi ferma


ed entrare in meditazione invece di addormentarsi. Questa volontà
sottile può svilupparsi in diversi modi: uno è quello di mantenere
l’attenzione concentrata durante quei momenti della giornata in
cui tendi a divagare o a fantasticare. Mentre sei in auto, sul bus,
cammini, o lavi i piatti, fa’ attenzione a dove la tua attenzione sta
vagabondando e continua a riportarla sotto controllo. Concentrati
sui tuoi compiti reali: il camminare o il movimento delle tue mani
sui piatti.
Un altro modo per potenziare la concentrazione è praticare con
un mantra. Continua a ripetere il mantra anche quando l’energia del-
la meditazione ti spinge verso il sonno. All’inizio, sentirai che lo stai
combattendo. Dopo poco, però, ti accorgerai di essere in grado di
continuare a recitare il mantra anche quando sei “spento”. Alla fine
diventerà automatico mantenere una parte di te attenta e concentra-
ta. Poi, appena la mente si volge verso l’interno, entrerà in samadhi
invece che nel sonno.

Altre soluzioni
Alcune pratiche possono aiutarti a vincere la tendenza ad addor-
mentarti. La maggior parte di quelle elencate di seguito sono spiega-
te nel dettaglio in tutto il libro.
• Siediti in una posizione sostenuta. I glutei fermamente ap-
poggiati a terra, la colonna vertebrale allungata, le scapole ver-
so il basso e all’indietro, il cuore sollevato verso l’alto. Durante
la meditazione rinnova la postura di tanto in tanto.
• Esegui qualche posizione di hatha yoga prima di medita-
re. Oltre a renderti più flessibile, l’hatha yoga sposta l’energia
nel tuo corpo così che diventi allo stesso tempo più calmo e
più vigile.
• Chiedi la grazia. Quando invochi la grazia prima della medita-
zione, chiedi: “Per favore oggi permettimi di concentrarmi pro-
fondamente e di rimanere cosciente durante la meditazione”.

271
la meditazione per amore

• Sii determinato a rimanere sveglio. Fai un patto con te stes-


so: “Oggi, solo per quest’ora, rimarrò cosciente”. Poi mantieni
l’attenzione molto ferma e chiara sull’oggetto della meditazio-
ne. Ogni volta che ripeti il mantra prova a farlo come se fosse
il tuo ultimo pensiero sulla terra.
• Rileggi il quarto capitolo e scegli un nuovo punto focale o
un nuovo accesso per entrare in meditazione.

Cosa significa quando durante la meditazione profonda mi sento male, oppure


ho la nausea?
A meno che tu non abbia l’influenza o un altro acuto disturbo fisico,
la nausea è spesso il segno che la meditazione in corso sta lavorando
più forte di quanto il tuo corpo al momento sia in grado di gestire.
La meditazione può essere una forza potente, e per integrarla, dob-
biamo essere forti e stabili. Quando il corpo non è abbastanza forte,
ci manda segnali come sensazioni di debolezza, disorientamento e
nausea. Se il tuo malore o la nausea si verifica solo durante la me-
ditazione e scompare quando ti alzi, questo è probabilmente il tuo
problema.
La soluzione immediata è quella di ridurre i tempi di meditazione
per un po’. Questo può voler dire non meditare per qualche giorno
o una settimana, o meditare solo per pochi minuti alla volta, mentre
ricostruisci la tua forza… (continua a leggere!)
Quando meditiamo profondamente, attingiamo dalle nostre riser-
ve di energia vitale. In sanscrito questa riserva di energia è chiamata
ojas. Secondo l’Ayurveda, il sistema di medicina indiana tradizionale,
ojas è un fluido sottile situato nel midollo osseo. Un’intensa attivi-
tà, specialmente quella sessuale, lo consuma. Così come mangiare e
dormire in modo irregolare, o parlare, pensare e preoccuparsi trop-
po. Molte persone moderne hanno impoverito le riserve di ojas.
Il modo tradizionale per reintegrare ojas è mangiare cibi che lo
nutrono, in particolare proteine. Bevande proteiche come il latte o
latte di mandorla sono utili. Così come una moderata quantità di

272
appendice

frutta e dolci naturali, come il miele grezzo. Verifica se sei carente


di proteine: alcuni vegetariani soffrono di ojas insufficiente, soprat-
tutto durante una dieta con un contenuto di proteine estremamente
basso. Ci sono anche alcuni tonici a base di erbe ayurvediche e cinesi
particolarmente adatti alla insufficienza di ojas, conosciuta nella me-
dicina cinese come jing.
Un moderato esercizio fisico, in particolare l’hatha yoga e il cam-
minare, è ideale per aumentare la forza.
Talvolta sintomi di nausea o malattia sono segni di purificazione
yogica, segni che una malattia latente si sta manifestando per essere
espulsa dal tuo sistema. Quando ciò accade, puoi sentirti indisposto
o molto caldo, o per un breve tempo avere una sintomatologia di
tipo influenzale. Se i tuoi sintomi sono il risultato di una purificazio-
ne yogica, saranno di breve durata: si manifesteranno intensamente
e se ne andranno nel giro di poche ore o di un giorno.
Quando cominciai a meditare di tanto in tanto avevo febbri alte.
La febbre arrivava fino a 39 o 40°, durava tutto un pomeriggio, poi
ritornavo alla normalità. Nessuno trovava nulla di seriamente alte-
rato in me. Quando la febbre terminava, mi sentivo fresca e legge-
ra, come se qualcosa fosse stato rimosso. Questo è uno dei classici
segni che la purificazione è avvenuta: un senso di liberazione e di
leggerezza dopo l’episodio.

Mi sembra di non saper stare in profonda meditazione: cosa posso fare? Sono
profondamente in me, quando all’improvviso vengo catapultato nel consueto stato
di veglia.
Questo è abbastanza normale. Nel corso Lo yoga non è
di un’ora, possiamo entrare o uscire dalla di colui che troppo
meditazione più e più volte. Andiamo in mangia, né di colui
profondità per qualche tempo. Poi la no- che non mangia affatto
stra coscienza risale in superficie, solo per … non del troppo sonno
volgersi di nuovo all’interno e tornare nel o di colui che veglia
profondo. Una volta, un meditante piut- bhagavad gita

273
la meditazione per amore

tosto esperto contò il numero di volte che usciva dalla meditazione


nel corso di una singola sessione, e scoprì che avveniva quasi una
decina di volte.
Il segreto è accettare il ritmo della tua esperienza meditativa, e
permetterle di essere quello che è. Quando ti senti saltar fuori dalla
meditazione, rimani seduto nella tua posizione. Se hai la necessità
di muovere le gambe o di allungarti, fallo lentamente e dolcemente.
Rilassati e sperimenta come ci si sente seduto in quella posizione. Sii
consapevole di come si sente il tuo corpo. Fa’ attenzione al respiro.
Ripeti il tuo mantra, o pratica la tecnica che usavi all’inizio della
meditazione. A poco a poco ti immergerai di nuovo, spesso ancora
più in profondità.

Medito da due anni e mi sembra di non aver mai smesso di pensare né di essere
mai entrato in meditazione. Cosa devo fare?
Anche meditanti esperti attraversano periodi in cui la meditazione
non è altro che duro lavoro. È come remare contro corrente. Metti
da parte i pensieri e provi a focalizzarti, ma non c’è alcuna immer-
sione nel tuo Sé più profondo, nessuna esperienza del passaggio
dalla “coscienza di veglia” alla “coscienza di meditazione”, nessuna
sensazione che la shakti ti stia abbracciando e portando all’interno.
Sebbene abbia sentito più e più volte che un meditante dovrebbe ab-
bandonare le aspettative, ancora ti domandi: “Perché succede que-
sto? Perché non ho alcuna esperienza tangibile?”.
La risposta è: “Non fare niente”. Se tu stessi imparando a giocare
a tennis, non ti aspetteresti di battere un servizio, senza sforzo, dopo
solo tre settimane di lezione. Ti arrenderesti a provare la tua battuta
per ore, a fare tiri sbagliati, e a provare ancora. Ti alleneresti fino a
far diventare la tecnica una seconda natura e a sentire che è il tennis
a giocare te.
La meditazione è anche un’abilità. Ci vuole tempo per sviluppare
i “muscoli” interni della focalizzazione e per imparare a lasciarsi an-
dare nel mondo interiore. Ci vuole pratica per scoprire come muo-

274
appendice

versi lungo i sentieri della shakti interiore, per rimanere cosciente


senza pensare, e mantenere uno stato interiore quando si verifica.
Se hai difficoltà a entrare in meditazione, la soluzione migliore
è tenersi un tempo lungo per ogni sessione. Ognuno di noi ha un
punto naturale in cui i pensieri rallentano automaticamente ed emer-
ge uno stato meditativo. Devi solo essere disposto a stare seduto
abbastanza a lungo fino ad arrivare a questo punto. Per la maggior
parte delle persone, questo punto di ingresso automatico avviene
tra i quarantacinque minuti e l’ora di meditazione. Se hai una mente
molto indaffarata, potrebbe richiedere più tempo. La maggior parte
delle persone avrebbe una migliore meditazione se si prendesse da
un’ora a settantacinque minuti per ogni sessione.
Conosco un uomo che si lamentò per anni che tutto quello che
faceva durante la meditazione era sedersi e pensare. A peggiorare le
cose, era sposato con una donna la cui meditazione aveva preso im-
mediatamente fuoco e che ogni mattina fluttuava con estasi in regni
di luce, oppure si sedeva tranquillamente nel buio vellutato del nulla,
emergendo con una luce stellata e beata negli occhi. Suo marito, al
confronto, si sentiva come un essere spirituale da quattro soldi.
Ma perseverò. Come molte altre persone mentalmente attive,
scoprì che stare seduto per più di un’ora funzionava magicamente.
Iniziò a entrare in uno stato di morbida,
beata energia durante la meditazione. La Puoi convincere la tua
sua mente divenne più calma e dopo un po’ mente a non vagare
si accorse che la meditazione stava comin- e a ritornare alla sua
ciando a influenzare la sua vita esteriore. Il originale unità?
senso di frustrazione per le sue ambizioni Puoi pulire
la tua visione interiore
insoddisfatte diminuì, e paradossalmente il
finché non vedi altro
riconoscimento professionale che gli man-
che luce?
cava cominciò ad arrivare. Puoi fare un passo indietro
Passarono dieci anni – dieci anni di me- dalla tua mente
ditazione quotidiana e costante crescita in- così da comprendere tutto?
teriore. Poi un giorno durante un seminario lao tzu

275
la meditazione per amore

di meditazione, ebbe la visione di un tempio mezzo sepolto nella


terra. Vide che il tempio un tempo era stato completamente sepolto.
E si rese conto che quello era ciò che il suo lavoro interiore aveva
fatto. Aveva spazzato via buona parte degli strati di “sporco” attor-
no al suo essere interiore, così ora poteva cominciare a vederlo.
Quest’uomo aveva un profondo interesse per la meditazione, e
continuò a praticarla. Sperimentò differenti tecniche, atteggiamenti,
e discipline. Fu il suo costante impegno a portarlo a una svolta – e
quando la svolta arrivò, se l’era meritata. Fu una conquista, per così
dire: le sue esperienze interiori furono i suoi guadagni e anche doni
della grazia. Così fu in grado di conservarli e inserirli nella sua vita
quotidiana.

Cosa posso fare per trattenere la mente dal commentare la mia meditazione? Mi
sta facendo impazzire.
Questo è uno dei trucchi della mente. Quando la tua mente si rende
conto che non hai intenzione di prestare attenzione alle sue chiac-
chiere mondane, inizia a fare commenti sulla tua meditazione. “Sto
facendo tutto bene? Caspita, sto facendo un’esperienza!” Puoi trat-
tare le chiacchiere spirituali come ogni altra. Cioè, cerca di non farti
sedurre dal messaggio e ricorda che tutti i pensieri sono fatti di Co-
scienza, di energia, e lasciali andare.
Se i commenti ti portano fuori dalla consapevolezza meditativa,
riporta la tua attenzione sulla pratica che stavi facendo o semplice-
mente espira pensando: “Lascia andare”. Lasciati di nuovo fluire in
meditazione.

Continuo a trovarmi a un punto in cui sento che mi sto sciogliendo in una sorta
di cielo interiore. Allora mi ritraggo terrorizzato. Sono furioso con me stesso
perché sento che avrei potuto fare un cambiamento enorme, ma ero troppo spa-
ventato. Cosa posso fare per la paura che compare in meditazione?
Non c’è probabilmente nessuno al mondo che, a un certo punto,
non si sia tirato indietro spaventato da quella che avrebbe potuto es-

276
appendice

sere un’esperienza profonda. Parte di questo è inevitabile. Tutti noi


abbiamo sacche di paura, e così come passiamo attraverso altri stati
in meditazione, passiamo anche attraverso la paura. Tendiamo an-
che a spaventarci quando non comprendiamo cosa ci sta accadendo.
Per esempio: qualche volta in meditazione il respiro si ferma. Se
non sai che questo è un profondo kriya che può portare allo stato
di samadhi, avrai paura che il respiro non torni. Allo stesso modo,
quando la tua coscienza si espande per la prima volta, puoi non
renderti conto che stai sperimentando lo stato originale della tua
Coscienza, che in realtà comprende tutto. Capire il significato di una
particolare esperienza può a volte eliminare la paura.
Un’altra ragione per cui ci si spaventa è perché l’ego – la parte di
noi che identifica l’“io” come il sé psicologico – è fuori dal suo spa-
zio e sta cercando di riportarci a uno stato in cui si sente a suo agio.
Guardiamo al rapporto tra ego e meditazione. L’ego svolge un’im-
portante funzione psichica. Il suo compito è di fare in modo che
non dimentichiamo la nostra identità come individui. Se vogliamo
muoverci nel mondo, ricordando il nostro nome e dove dovremmo
trovarci a una certa ora della giornata, abbiamo bisogno che l’ego
continui a ricordarci i piccoli dettagli della nostra identità personale,
come “Stai proprio bene in beige” e “Ricordati che questo cibo con-
tiene del latte, e tu sei intollerante al lattosio”.
Sfortunatamente, l’ego tende a estendere le sue attività fino a che
non si senta come l’unico protettore della nostra vita. Questa è una
delle ragioni per cui in meditazione si trova in difficoltà. Inizialmen-
te prova piacere nella pratica spirituale: gli piace l’idea del miglio-
ramento di sé, che ovviamente definisce a modo suo; l’ego vuole
migliorare nel suo gioco – più veloce, più intelligente, più umile, più
puro o qualsiasi altra cosa il nostro specifico ego cerchi. Spera che la
meditazione lo aiuterà ad attuare il suo programma.
Il problema per lui arriva quando la meditazione comincia a dis-
solvere i suoi confini. Se stessimo veramente per sperimentare Dio,
l’ego non sarebbe in grado di venirci dietro. Non c’è spazio per la

277
la meditazione per amore

sensazione di essere una piccola, limitata persona nell’oceano della


Coscienza. E l’ego lo sa. Così ogni volta che i nostri limiti – corpo,
mente, avere l’impressione di essere noi i protagonisti delle nostre
azioni e così via – allentano la loro presa e la nostra identità si allar-
ga un po’, l’ego riconosce che il suo territorio è minacciato e lancia
la sua prima linea di difesa. La paura che senti è in realtà il terrore
dell’ego che tu riesca a essere più grande di lui, più grande del de-
limitato e curato territorio di ricordi e opinioni, affetti e avversioni
che l’ego identifica come “io”.
Anziché temere la tua paura, dovresti vederla come un segnale
necessario per prenderti cura del tuo piccolo sé e rassicurarlo. Gli
sarà così più facile integrare le tue esperienze di espansione. E ti
permetterà di proseguire.
La prima cosa da fare con la paura è di darle un nome. A volte
dico alla mia paura, “Ciao paura. So che sei solo il mio ego che
sta parlando”. Questo potrebbe essere abbastanza per scacciarla. Se
non lo è, ecco alcuni antidoti.
Potresti ricordarti che tutto ciò che ti spaventa e la paura stessa
sono tutti aspetti della tua Coscienza, nessun altro che te. Come avrai
potuto notare, la comprensione: “Tutto quello che sperimento in me-
ditazione è una manifestazione della mia Coscienza”, risolve molti
problemi di meditazione. Perché? Perché ogni cosa torna alle sue ori-
gini. Questa cognizione ci rimette in contatto con il nostro vero Sé,
che è onnipresente ed è il tessuto della nostra intera vita, così come
della nostra meditazione. Quando siamo in contatto con la nostra ve-
rità, siamo anche in contatto con il nostro naturale coraggio.
Un’altra cosa che puoi fare è affrontare la tua paura e diventarne
il testimone. Questo è il metodo del guerriero. Ecco come funziona:
inizia a entrare profondamente in te stesso, senti la paura salire, nota
la tua tendenza ad allontanartene, a scappare davanti a essa, per così
dire, e a lasciarti portare fuori di meditazione. Invece di cedere, in-
dugia al limite della tua paura e guardala. Osserva come si manifesta.
Dove si trova nel tuo corpo? La senti nel cuore? Cosa ti sta dicendo?

278
appendice

Ha un colore? Una forma? Stai vicino Come potremmo dimenticare


alla paura, ma ai margini, osservando. questi antichi miti,…
Ti accorgerai che finché la guardi, c’è miti sui draghi
una parte di te che non è influenzata che all’ultimo momento
da essa: l’osservatore non è toccato. vengono trasformati in
principesse? Forse
Continua a guardarla, ricordando di
tutti i draghi nelle nostre
identificarti con l’osservatore invece vite sono principesse che
che con la paura. aspettano solo di vederci
Un’alternativa è entrarvi e sentire la agire, almeno una volta,
sua energia. La paura non è altro che con bellezza e coraggio.
energia e tu la puoi cavalcare a uno sta- Forse ogni cosa
to più profondo. che ci fa paura,
Facendo questo esercizio un uomo nella sua essenza più profonda
disse: “Quando entrai nella paura, mi è qualcosa di indifeso
sentii quasi sopraffatto da essa. Poi no- che vuole il nostro amore.
rainer maria rilke
tai che non stavo provando solo paura:
c’era anche resistenza, la sensazione d’essere trattenuto. Stetti così,
ascoltando ciò che percepivo. Per un attimo, fui pieno dell’energia
della paura, poi mi lasciai cadere più in profondità, e fu semplice-
mente pura, forte energia. Un groviglio di energia. Rimasi con essa,
e a un certo punto, il complicato groviglio cominciò ad allentarsi.
Poi l’energia si espanse, e potei sentire una lieve pulsazione sprigio-
narsi dal mio cuore verso l’esterno”. Nello Spanda Karika, uno dei
testi più avanzati dello Shivaismo del Kashmir, un verso si riferisce
allo stato di paura come a uno stato pieno di potenzialità per la piena
Consapevolezza. Sostiene che la pura esperienza di spanda, la pura
energia creatrice dell’universo, è particolarmente presente “quando
uno si trova in uno stato di terrore o scappa per mettersi in salvo”.
La paura è una condizione di energia intensa, concentrata. Quando
entriamo in quell’energia, essa ci porta alla sua origine.
Infine puoi rifugiarti nel tuo guru – l’immagine dell’essere illuminato
con il quale ti senti più in sintonia – oppure in Dio. L’energia del guru
è pienamente presente nel tuo universo interiore. Quando la chiami,

279
la meditazione per amore

scoprirai quanto fermamente questa presenza protettiva sia in grado di


sostenerti. Questo è uno dei motivi per cui in meditazione invochiamo
la grazia, in modo che quando ci sentiamo spaventati o fuori dalla no-
stra profondità, possiamo pregare per chiedere aiuto e guida.
Ecco una preghiera che ho usato quando ho sentito il mio pro-
cesso interiore muoversi troppo velocemente per il mio benessere:
“Questo è troppo per me. Per favore calma la mia meditazione: ren-
dila un po’ più dolce”.
Nota la formulazione: non stai chiedendo all’esperienza di andare
via. Dopo tutto, non vuoi che queste esperienze di espansione fini-
scano, vuoi solo che siano un po’ meno intense.
A volte ci chiediamo cosa stia realmente accadendo quando invo-
chiamo un guru o una personale forma spirituale. In che senso il guru
ci sente? Stiamo davvero chiedendo un intervento personale da parte
del guru? Oppure si tratta di una specie di trucco che giochiamo al
nostro inconscio per accedere alla nostra fonte interiore di forza e
coraggio? La mia esperienza è che quando facciamo appello allo spi-
rito usando il “tu”,1 in realtà stiamo accedendo alla shakti del guru,
la forza dell’universo, protettiva e dispensatrice di grazia, che è in noi
così come in ogni altra cosa. Non è un’energia personale, ma non è
nemmeno “altro”. Sebbene sia richiamata con il nostro collegamento
a un particolare insegnante o a una personale forma divina, è in realtà
un aspetto della nostra shakti, l’energia della kundalini risvegliata.

Qualche cosa in me resiste proprio al meditare. Anche quando lo faccio, appena


comincio ad andare in profondità, la resistenza diventa così forte che in realtà
mi spinge fuori.
Come la paura, la resistenza è una normale manifestazione dell’ego.
Quando la paura di andare più in profondità non funziona, la mente
limitante ricorre ad altre strategie per tenerti sotto controllo. Ti ri-

1 In inglese “Thou” (che rimanda al verso biblico “Thou shalt not kill”, Non
ucciderai), per cui è immediatamente comprensibile che si riferisca al Divino.
(NdT)

280
appendice

corda di tutte le altre cose che potresti fare. Ti fa notare che non hai
mai avuto esperienze interessanti in meditazione. Ti dice che un’ora
è troppo lunga e che se tu smetti mezz’ora prima, puoi fare alcune
delle telefonate che hai bisogno di fare. Non c’è nulla di arcano in
queste voci. Sono semplicemente segnali della tua mente mondana.
Dopo un po’, se fai attenzione, dovresti conoscerli bene.
La resistenza spesso arriva proprio nel momento in cui stai andan-
do più in profondità. Arriva come un impulso, quasi una necessità a
ritornare al familiare e al conosciuto. Questa membrana di resisten-
za, questo desiderio profondo, conservatore, di non andare avanti, è
estremamente tenace e convincente. È in grado di gettarti completa-
mente fuori dalla meditazione. George Gurdjieff, il maestro del ven-
tesimo secolo, diceva che ci sono due forze nell’universo: una che dice
“Sì” alla crescita spirituale, e l’altra che dice “No”. Queste due forze
giocano in noi continuamente, e noi costante-
mente scegliamo quale seguire. La resistenza è Lotta e serenità
l’espressione della forza del “No”. entrambe avvengono
La cosa migliore da fare quando compare la in Dio.
resistenza è di non muoversi: stare solo seduti. rumi

Tieni il corpo sul tappetino, non importa quan-


ta voglia abbia di alzarti, mantieni la tua consapevolezza focalizzata,
senza giudizi o avversione o paura, sulla sensazione di resistenza. Non
devi fare nient’altro. Se riesci a stare seduto con la consapevolezza
della tua resistenza, la consapevolezza stessa la dissolverà. Poi:

• Chiediti: “Cosa c’è dietro la mia resistenza ad andare più


in profondità?”. Scrivi cosa affiora. Quindi domandati: “C’è
qualcos’altro?”. Continua a chiedertelo finché senti di essere
andato il più a fondo possibile nella domanda. Leggi le risposte
che hai scritto, poi interrogati: “C’è qualcosa dietro a questo?”.

• Stai seduto in silenzio e richiama la sensazione di resi-


stenza. Rimani così per pochi minuti. Poi chiedi alla tua resi-

281
la meditazione per amore

stenza: “Cosa hai da dirmi? A cosa stai resistendo?”. Annota


qualsiasi risposta emerge nella tua mente, non importa quanto
strano o irrilevante ti possa sembrare all’inizio.

A una donna che si poneva questa domanda venne fuori: “Le perso-
ne che meditano sono strane”. Approfondendo ciò, emerse: “Temo
che se mi lascio andare, non sarò in grado di agire”. E approfonden-
do ancora di più: “Supponiamo che perda la mia personalità?”.
A un giovane uomo si presentò: “Ho bisogno di rimanere attacca-
to ai miei pensieri perché sono importanti”. Più in profondità, sco-
prì questo sentimento: “Ho bisogno di fare qualche cosa. La medita-
zione è una perdita di tempo a confronto del lavoro che devo fare”.
Una volta scoperte le tue resistenze specifiche, allora puoi affron-
tarle. Puoi dare loro una risposta. E rassicurarti.
Per esempio: “Invece di rendermi incapace di agire, la meditazio-
ne è la base e il punto di partenza dell’azione”. “Guarda X, Y e Z
(inserisci i nomi dei grandi maestri o dei meditanti di lungo corso
che hai incontrato, o di cui hai letto): hanno personalità molto forti
e definite.” Una risposta ancor più valida per la paura di essere stra-
ni è l’atteggiamento di totale auto-accettazione: “Mi va benissimo
essere strano”.
Un altro modo per analizzare la tua resistenza è parlare alla sen-
sazione direttamente, come se fosse una persona, e chiederle come
operare. Una giovane donna convocò la sua sensazione di resistenza
e le chiese: “Come posso imparare a liberarmi di te?”. Dall’interno
sentì: “Ti basta ripetere continuamente il tuo mantra. Esso mi dis-
solverà”.
Anche se esamini, comprendi e rispondi al contenuto della tua re-
sistenza, puoi avere la necessità di lavorare a livello energetico (vedi
a pagina 142) con la sensazione stessa, per mantenerla nella Consa-
pevolezza fino a che la senti dissolversi in pura energia senza conte-
nuto. Nulla è più potente della pura Consapevolezza per dissipare i
blocchi della tua coscienza.

282
appendice

Nella mia meditazione non succede mai nulla. Che posso fare?
Non ti dico quante volte ho sentito le persone pormi questa do-
manda. Generalmente, la loro meditazione è molto più intensa di
quanto essi pensino. Il loro problema è che hanno concetti su ciò
che costituisce una vera e propria “esperienza meditativa” e la loro
reale esperienza non corrisponde alle loro idee.
Questo è qualcosa che un meditante deve contemplare con at-
tenzione. Può darsi che il tipo di esperienze meditative di cui si
parla nella tua tradizione spirituale in realtà rappresentino solo
una parte dello spettro dell’esperienza interiore. Ogni percorso
ha il proprio linguaggio per descriverle e – non importa quanto
universale questo percorso possa essere – la maggior parte delle
comunità spirituali tendono a enfatizzare alcuni tipi di esperienze
rispetto ad altre. Di solito, sono quelli che il maestro ha incontrato
sul proprio cammino: egli descrive queste esperienze a beneficio
dei suoi seguaci, per ispirarli o per mostrare loro alcuni dei pun-
ti di riferimento sul percorso. Ramana Maharshi si risvegliò alla
verità suprema ponendosi la domanda: “Chi sono?” fino a che il
senso dell’Io si rivelò essere una finzione – e questo è il percorso
che lui e i suoi seguaci contemporanei hanno insegnato. I buddisti
privilegiano l’esperienza del vuoto, mentre i mistici cristiani come
Teresa d’Avila o i meditanti indiani dei percorsi devozionali descri-
vono spesso quali straordinarie visioni e “doni” interiori. Eppure
la maggior parte dei maestri hanno detto che il loro percorso e la
loro esperienza è proprio questo – la loro personale esperienza – e
che un altro meditante potrebbe avere un cammino completamen-
te diverso.
Ancora, non conta quante volte il maestro ci ricordi che il mondo
interiore è illimitato, e che ogni individuo ha la propria traiettoria
in meditazione: i seguaci tendono a credere che la descrizione del
loro insegnante abbracci l’intera gamma dell’esperienza spirituale
“accettabile”. Se la loro esperienza è diversa, concludono che stan-
no mancando la meditazione, o che stanno andando per una strada

283
la meditazione per amore

sbagliata (se sono del tipo che si auto-biasima), oppure (se sono del
tipo arrogante) che è il maestro che sbaglia.
Molte persone patiscono queste conclusioni perché la loro espe-
rienza non è descritta nei testi della loro particolare tradizione. Nel
suo libro Come crescere un fiore di loto, Jiyu-
Ho la sensazione Kennett Roshi descrive come visse i dubbi
che la mia barca sull’autenticità delle sue visioni perché nel-
si sia arenata, la sua scuola zen le visioni non erano am-
laggiù nel profondo mirate né incoraggiate. Quando una catto-
contro una grossa cosa. lica contemplativa sperimentò uno stato
E non succede nulla! di vuoto interiore, in cui il suo personale
Nulla… sé svanì, il suo direttore spirituale cattoli-
Silenzio… Onde…
co, non avendo familiarità con quell’espe-
Non succede nulla?
rienza, dubitò della sua autenticità. Un mio
Oppure tutto è successo,
e ci troviamo ora, studente era portato a concentrarsi su un
in silenzio, campo interiore di energia con la sensazio-
nella nuova vita? ne che Dio vi fosse presente. L’unica esatta
juan ramón jiménez descrizione che poteva trovare per questa
esperienza era nel testo cristiano mistico
La nube della non-conoscenza. Ma questo non fece di lui un meditan-
te cattolico, come la meditante cristiana non divenne buddista solo
perché la sua esperienza era descritta nei testi buddisti.
La verità è che non abbiamo idea di quali samskara abbiamo, di
quali pratiche spirituali fatte nel passato stiano ora portando frutti, o
quale parte dell’universo interiore abbiamo esplorato. Non abbiamo
modo di sapere quanta purificazione interiore deve essere fatta pri-
ma di avere “esperienze” evidenti. Il Pratyabhijna Hridayam dice che
dal punto di vista della Realtà ultima, ogni posizione filosofica e ogni
tipo di esperienza spirituale sono semplicemente un gradino sulla
scala verso l’unità suprema. Lo Splendore, in breve, può apparire in
qualsiasi modo voglia – e lo fa: appare spesso sotto forma di cam-
biamenti di vita che diventano evidenti solo dopo che ti sei alzato
dal tuo cuscino di meditazione.

284
appendice

Se senti che nulla sta accadendo Pensa allo spazio vuoto


nella tua meditazione, la prima cosa racchiuso in un vaso.
da fare è di esaminare la qualità di Quando il vaso si rompe
questo “nulla”. Prima di sminuire in pezzi, solo il vaso
la tua meditazione come noiosa e si rompe, non lo spazio.
La vita è come il vaso.
statica, esamina il tuo stato interio-
Tutte le forme sono come
re, sia durante che dopo. Lo stato il vaso. Esse costantemente
di vuoto e noia, o l’esperienza di si riducono in pezzi.
pensieri persistenti, non significa Quando funzionano,
necessariamente che qualcosa sia non se ne rendono conto.
sbagliato. Può semplicemente esse- Ma Lui lo sa, in eterno.
re un invito a entrare nel tuo campo brahmabindu upanishad
interiore e lavorare su di esso, come
descritto nei capitoli primo e quarto. Forse ora è il momento di
esplorare la tua nuda consapevolezza o di vedere i pensieri come
shakti. Se entri nel vuoto interiore che pensi di stare sperimentando,
potresti scoprire che quello che sembra “nulla” è in realtà immensa-
mente pieno, fertile di Consapevolezza e creatività.
Ecco un altro indizio da cercare per valutare la meditazione
sottile. Presta attenzione ai cambiamenti che percepisci quando ti
alzi dopo la meditazione. Anche se durante la pratica non hai mai
smesso di pensare, quando ti alzi puoi sentirti più leggero, come se
qualcosa sia stato rimosso. Forse la tua mente, che poteva sembrare
così occupata quando i tuoi occhi erano chiusi, è notevolmente
più chiara. Forse ti senti calmo e felice. Forse qualcosa che ti aveva
preoccupato è stato risolto.

Forse la tua visone è cambiata e si è ampliata, in modo che tu possa


vedere il mondo con occhi più profondi, pieni di meraviglia. Forse
i tuoi sogni stanno diventando più lucidi, o forse ciò che intravedi
degli stati più profondi, la maggiore consapevolezza, le sensazioni
e le visioni divine che cerchi in meditazione, stanno accadendo nei
tuoi sogni. Molti meditanti hanno questo tipo di sogni. Spesso pos-

285
la meditazione per amore

Esercizio: studiare il Nulla

Chiudi gli occhi. Concentrati sul vuoto “spazio” che appare davanti
ai tuoi occhi. Guarda il vuoto, il campo davanti a te. Cosa ti sembra?
Forse vedi un campo tutto grigio con poche venature o punti di luce.
Forse è nero. Forse blu con striature oro.
Questo è il campo della tua coscienza. è la coscienza di fondo entro
cui tutta la tua esperienza sale e scende. Abbandonati a esso. Se i
pensieri arrivano, lasciali lì, nel campo della tua coscienza. Mantieni
la tua consapevolezza focalizzata sullo stesso spazio, su quel “nulla”
interiore che vedi quando chiudi gli occhi.
Quando sei pronto, prova la sensazione che ti stai muovendo nel
campo interiore del nulla. Non è il tuo corpo, naturalmente, che si
muove, ma tu come attenzione, come Consapevolezza. Lascia la tua
coscienza fluttuare, nuotare, o navigare attraverso il campo della va-
cuità. Nota ciò che incontri. Nota i differenti campi di energia che
salgono e scendono dentro il campo della tua coscienza. Esplora
la tua coscienza – tutto il tempo, comprendendo che questo vuo-
to, questo spazio dentro di te, è la Coscienza stessa. Proprio questo
campo di vuoto è il Sé, la realtà suprema. Col tempo si rivelerà a te.

siamo riconoscerli dalla luce e dai colori, dal fatto che sono pervasi
da luminosità divina che è chiaramente lo scorcio di un altro mondo.
Anche queste sono esperienze di meditazione – solo che avvengono
nello stato di sogno.
Quando mediti sinceramente, si creano sempre cambiamenti nel-
la tua vita. E sempre, alla fine, essa ti trasformerà.

286
Ringraziamenti

Molto di ciò che so sulla meditazione l’ho imparato da Swami


Muktananda e Gurumayi Chidvilasananda, ai quali offro la mia im-
mensa gratitudine.
La mia vita interiore deve tanto all’ispirazione di Ramakrishna
Paramahamsa, ad Abhinavagupta, guru dello Shivaismo del Kash-
mir, al suo discepolo Kshemaraja e al saggio del XX secolo, Ramana
Maharshi.
Grazie a tutti coloro che hanno letto questo libro, nella prima ste-
sura e in quella definitiva e mi hanno offerto suggerimenti preziosi,
inclusi Jonathan Shimkin, Margaret Bendet, Swami Ishwarananda,
Paul Muller-Ortega, Rudy Wurlitzer, John Friend, Richard Gillett,
e alla Sounds True, Tami Simon, Jennifer Coffee, il mio brillante
editor, Haven Iverson.
Grazie agli studenti, le cui domande e intuizioni mi hanno in-
segnato come comunicare sottili verità con le parole. Mi inchino
profondamente ai miei amici nel viaggio, particolarmente a Ruthie
Hunter, il cui profondo sostegno è stato indispensabile nella mia
vita da insegnante, e a Marc Gafni, per la sua saggezza e creatività sia
come collega che come “provocatore”. Non sarebbe stato possibile
portare alla pubblicazione Meditation for the Love of it senza l’aiuto di
Michael Zimmerman. Molte grazie a lui.
Infine, ora e sempre, offro i miei omaggi a Shiva Mahadeva, guru
dei guru originario, la guida interiore che vive come Consapevolezza

287
in ciascuno di noi ed è presente laddove la verità è conosciuta ed
espressa. E, soprattutto, all’eterno gioco di Shakti, l’amore pulsante
al cuore della realtà, che è divenuta tutto ciò che è e attraverso la cui
grazia tutti noi, alla fine, saremo resi liberi.

s. k.

288
L’Autrice

Sally Kempton ha trascorso più di quarant’anni praticando, studian-


do e insegnando meditazione e filosofia spirituale, inclusi due decen-
ni come swami, o monaca, in uno degli ordini di Saraswati. Dopo
essere stata, negli anni Sessanta e Settanta, giornalista e scrittrice
della cultura cittadina a New York, ha vissuto e studiato per molti
anni con il suo guru, un maestro indiano illuminato. Ha lungamente
studiato i testi della filosofia yoga dell’India, compreso lo Shivaismo
del Kashmir, e insegna dai primi anni Ottanta. Sally tiene una rego-
lare rubrica, Wisdom sullo «Yoga Journal» e conduce seminari, ritiri,
corsi via web e corsi residenziali di formazione negli Stati Uniti e in
Europa. È conosciuta per la sua abilità nel condurre gli studenti in
profondi stati di meditazione e per il dono di rendere la saggezza
dello yoga applicabile alle situazioni della vita quotidiana.
Il suo sito è www.sallykempton.com.

289
Verdechiaro nasce dalla fusione del verde e del giallo e rappresenta
la realizzazione nel concreto di un progetto individuato attraverso
l’intuizione: poter contribuire alla circolazione delle idee in cui cre-
diamo. Le nostre proposte editoriali sono libri che portano il seme
di un messaggio evolutivo che sentiamo in modo particolare. Sono
opere indirizzate alla mente e al cuore dell’uomo, che pensiamo non
debbano mai essere disgiunti per il raggiungimento di una più pro-
fonda consapevolezza.
Che questi libri possano essere un faro per colui che desidera ad-
dentrarsi nel viaggio interiore.

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seminario del professor Boni, relatore noto a livello
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compagnato da un libretto introduttivo, per capire il
metodo dei seminari di trasformazione personale.

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che teorizza l’unione come spirituale, psichica e, infine,
sessuale.

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simo. Io sono Sai Baba è una biografia magistrale, che
esamina la figura di questo maestro vivente contestua-
lizzandola nello scenario indiano nel quale si muove,
tenendo conto dei testi sacri cui ha attinto e della cul-
tura nella quale è cresciuto.
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La vita di Gesù in India


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Gesù ha vissuto veramente in India, dove è morto in


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luoghi storicamente collegati con Gesù in Israele, nel
Medio Oriente, in Afghanistan e in India, arrivando
a conclusioni davvero sorprendenti e raccontando la
verità sulla Sacra Sindone.
Pagine 352 – € 20,00 – isbn 978-88-88285-54-2
Finito di stampare
nel giugno 2013.

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