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Lucano nasce a Cordova, figlio di Anneo Mela (fratello di Seneca) è dunque

nipote del filosofo. Intellettuale brillante, era alla corte di Nerone, che per un
certo periodo lo ha fra i suoi intimi amici. In seguito subentra una brusca
rottura con l’imperatore per motivi incerti: le fonti antiche accennano a gelosia
letteraria da parte di Nerone, ma è anche possibile che quest’ultimo non
vedesse di buon occhio le idee improntate ad un nostalgico repubblicanesimo
che Lucano esprimeva nel poema. Caduto in disgrazie aderisce alla congiura di
Pisone, e non appena scoperto il complotto riceve l’ordine di darsi la morte,
che giunge quando ha meno di 26 anni.

1. Una storia versificata?


La formazione intellettuale di Lucano ci sfugge quasi completamente, ed
il naufragio della produzione anteriore alla Pharsalia aggrava la
situazione. Sicuramente fu precoce e molto versatile artisticamente. Dai
titoli delle opere perdute ci sembra di capire che aderisse ai gusti e alle
direttive neroniane (Iliacon – antichità troiane; Silvae – poesie di
intrattenimento), mentre di tutt’altro genere è la Pharsalia, poema epico
sulla storia romana che si risolve con un’esaltazione dell’antica libertà
repubblicana e in un’esplicita condanna del regime imperiale.
La critica antica ha ripetutamente mosso al poema di Lucano una serie di
censure: l’abuso di sententiae, rinuncia agli interventi delle divinità,
ordine della narrazione quasi “annalistico”. Tutto ciò costituiva
all’interno del genere epico una serie di innovazioni che davano adito a
dissensi.
La perdita delle fonti a cui si rifaceva rende difficile capire il rapporto tra
Lucano e il materiale storiografico da lui preso in considerazione, ma è
certo che a volte “deforma” la verità a fini ideologici, colorendo gli
avvenimenti tramandati dalle fonti, o addirittura inserendo episodi
estranei alla realtà dei fatti.

2. Lucano e Virgilio: la distruzione dei miti augustei


Le critiche a Lucano presuppongono un confronto più o meno esplicito
con l’Eneide di Virgilio, a ragione si è potuto parlare del poema come una
sorta di anti-Eneide.
Nelle mani di Lucano il poema epico stravolge le caratteristiche proprie
della tradizione letteraria romana, denunciando la guerra fratricida, il
sovvertimento di tutti i valori romani e l’avvento del regno
dell’ingiustizia.
Tono di risentita indignatio nei confronti del modello: è come se Virgilio
nell’Eneide avesse perpetrato un inganno, coprendo con un velo di
mistificazioni la fine della libertà romana e la trasformazione dell’antica
repubblica in tirannide. Lucano si prefigge il compito di smascherare
l’inganno scrivendo un poema che mostri come il regime imperiale sia
nato dalle ceneri della res publica.
La via scelta da Lucano è quella dell’esposizione, sostanzialmente fedele,
di una storia recente e ben documentata: questa programma di ricerca
fedele del vero spiegherebbe l’assenza di interventi delle divinità.

3. L’elogio di Nerone e l’evoluzione della poetica lucanea


E’ abbastanza probabile che il pessimismo lucaneo sia andato maturando
progressivamente nel corso della stesura del poema: in una fase iniziale
Lucano avrà condiviso le speranze politico-sociali suscitate dall’avvento
di Nerone. La polemica anti-virgiliana incomincia a delinearsi fin dai versi
immediatamente successivi al proemio: nell’epos di Virgilio il tema
storico delle guerre civili era adombrato nel remoto conflitto fra Troiani
e Latini; Lucano vuole invece riproporlo in tutta la sua ineludibile realtà
storica, presentandone le nefaste conseguenze sulla storia successiva.

Agli occhi di Lucano, inoltre, Nerone è la vera realizzazione delle


promesse del Giove virgiliano. Resta il fatto che, all’interno della
Pharsalia, l’elogio di Nerone suona come una nota stridente: nello stesso
progetto del poema era insita la contraddizione fra la visione
pessimistica dell’ultimo secolo di storia romana, che Lucano era venuto
maturando, e le aspettative suscitate dal nuovo principe. Nel resto
dell’opera Nerone non è mai più nominato.

4. Lucano e l’anti-mito di Roma


Come L’Eneide, la Pharsalia si articola intorno ad una serie di profezie,
che rivelano non le future glorie di Roma, ma la rovina che le l’attende.
La più importante è costituita dalla “nekyomantèia” del libro 6
(negromanzia). Introducendo il mondo dell’oltretomba Lucano mostra la
volontà di creare un pezzo simile alla catabasi di Enea. La collocazione
dell’episodio nel libro 6 costituisce un probabile indizio della posizione di
centralità che Lucano intendeva accordargli nell’architettura del poema,
e quindi della estensione della Pharsalia in 12 libri, al pari del poema
virgiliano.

5. I personaggi del poema


La Pharsalia non ha un personaggio principale, ma ruota soprattutto
intorno alle personalità di Cesare, Pompeo e Catone.
CESARE. Domina a lungo la scena con la sua malefica grandezza, assurge
a incarnazione del furor che un’entità ostile, la Fortuna, scatena contro
l’antica potenza di Roma. Nell’incessante attivismo dispiegato da Cesare,
si è voluto intravedere talvolta quasi il segno dell’ammirazione di
Lucano: è indubbio che il poeta sembri qui e lì soccombere al fascino
sinistro del suo personaggio. Cesare è spogliato della clemenza verso i
vinti (stravolgendo anche la realtà storica).
POMPEO: relativamente passivo, un personaggio in declino affetto da
senilità politica e militare: questo tipo di caratterizzazione serve tuttavia
a limitare le responsabilità di Pompeo, poiché la forsennata brama di
potere di Cesare è la principale responsabile della catastrofe che porterà
Roma al tracollo. Ne fa una sorta di Enea cui il destino si mostra avverso
anziché favorevole ed è unico personaggio a subire una evoluzione
psicologica.
Lo mostra molto legato alla moglie ed ai figli ed alla fine va incontro ad
una sorta di purificazione: consapevole della malvagità dei fati capisce
che la morte in nome di una causa giusta è l’unica via di riscatto morale.
CATONE: di fronte alla consapevolezza della malvagità di un fato che
ricerca la distruzione di Roma, non può aderire alla volontà del destino
che lo stoicismo pretendeva dal saggio, e matura così che il criterio di
giustizia è da ricercarsi altrove che nel volere del cielo. Nella sua
ribellione “titanista” si fa pari agli dei poiché non ha bisogno del loro
consiglio per cogliere il discrimine fra il giusto e l’ingiusto. Si impegna
nella guerra civile, con piena consapevolezza della sconfitta alla quale va
incontro, e della conseguente necessità di darsi la morte, l’unico modo
che gli resta per continuare ad affermare il diritto e la libertà.
Intorno ai tre protagonisti una serie di personaggi minori, la cui
caratterizzazione è condizionata dall’appartenenza all’uno o all’altro
schieramento.
Molti pompeiani sono presentati come combattenti valorosi anche se
sfortunati. L’esercito di Cesare è al contrario costituito da mostri assetati
di sangue, legati al capo da sudditanza psicologica e avidità di prede:
anche quando ne presenta singoli atti di eroismo non manca di
sottolineare l’ingiustizia della causa per cui combattono.

6. Lo stile
Incalzante ritmo narrativo dei periodi, che si susseguono senza freno e
lasciano debordare parti della frase oltre i confini dell’esametro e ciò si
rispecchia nel continuo enjambement. L’io del poeta è onnipresente nel
giudicare e condannare con tono indignato, molti interventi personali del
poeta a commento degli eventi che sta narrando.

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