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ECONOMIA DEI MEDIA: PARTE 1

Saranno quattro lezioni che ci faranno vedere l’economia che sta dietro al mondo dei media.

L’economia dei media si occupa di studiare nel dettaglio il mercato dei mezzi di comunicazione di
massa. Media sta proprio per mezzo di comunicazione.

In generale il termine comunicazione signi ca quell’attività che consiste nel trasmettere un


contenuto da un soggetto mittente a un soggetto destinatario. Quindi l’attività della
comunicazione consiste nel trasmettere messaggi da un soggetto a un altro soggetto.

I media o il medium è lo strumento per far pervenire le informazioni, cioè il contenuto, da un


soggetto a un altro soggetto. Quindi noi parliamo di media nel senso di televisione, giornale,
internet in generale.

La pubblicità ha la duplice funzione di rendere pubblico, di di ondere al pubblico qualche


informazione che era prima riservata e ha un secondo signi cato più moderno, di essere una
tecnica che consente a un’impresa di in uenzare un messaggio, quindi tecnica intenzione,
persuasoria e di massa (nel senso che non mira a un soggetto solo ma mira alla di usione di
messaggi nell’interesse sociale).

Parliamo di mezzi di comunicazione. Le più grandi famiglie di mezzi di comunicazione sono i


“mezzi classici” come la televisione, il cinema, i periodici, i giornali, la radio dove c’è un soggetto
che è un mittente e i destinatari della comunicazione invece sono tanti. Normalmente in questi
casi la comunicazione è univoca e l’economia stava nel cercare di di ondere al massimo uno
stesso messaggio possibilmente senza perdite di qualità del segnale ecc..

Una logica completamente diversa hanno invece i mezzi di comunicazione della tipologia “da
molti a molti” cioè tutti con tutti come il telefono, e-mail, social media dove chiunque può
comunicare con chiunque. Il telefono e le e-mail hanno come destinatari una porzione della
popolazione (quella di cui disponiamo numero di telefono e indirizzo e-mail), mentre i social
network permettono a persone che non si conoscono di mettersi in contatto tra di loro.

Ma che cosa studia l’economia dei media? In generale possiamo dire che studia due cose:

- studia i mercati della comunicazione entrando nello speci co del singolo mercato (esempi di
mercati possono essere la televisione, i giornali, la pubblicità su internet ecc dove abbiamo una
domanda e un’o erta e ci possono essere essere dei meccanismi economici particolari);

- Studia le logiche delle scelte (economia) dei soggetti che operano in questi mercatiù
Ci sono una varietà di mercati diversi. La prima riga è
costituita dai cosiddetti mezzi di comunicazione
“classici” ma poi potremo parlare di mercati dei media
non tanto il mezzo che trasmetto ma quanto ciò che è
trasmesso quindi potremo parlare di comunicazione
pubblicitaria di un prodotto, oppure della comunicazione
interna d’impresa (per intendere non il mezzo di
comunicazione utilizzato, quanto i mille modi diversi di
far viaggiare un certo tipo di contenuto), o la
comunicazione politica e pubblica.

In generale, non c’è un numero nito di mercati.


Possiamo classi carli o per tipo di soggetti coinvolti
(comunicazione delle università, comunicazione dei musei..) o potremmo classi carli per mezzi o
piattaforme utilizzate (cinema, giornale ecc, è la tecnologia che discrimina i mezzi) o potremmo
classi carli per tipologia di contenuto trasmesso (mercato della musica, mercato dei romanzi
ecc.). Quindi ci sono in niti mercati classi cabili o per la natura del soggetto trasmittente, o per la
tecnologia di trasmissione utilizzata o per ciò che viene tramesso.

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Mentre in economia vi erano degli esempi precisi di mercati (mercato delle scarpe, del ca è ecc),
nei mercati dei media ci sono arene competitive, ci sono mercati che in realtà si sovrappongono
tra di loro; per esempio i giornali hanno un concorrente nei social network perchè anche i social
network in qualche modo di ondono informazioni, di ondono contenuti informativi di attualità e
quindi molte persone si informano attraverso questa forma di mezzi e quindi i giornali si trovano a
competere anche con questi soggetti che non sono simili a loro ma di fatto sono in grado di
rubare destinatari del prodotto o servizio che stanno o rendo.

Net ix e YouTube 10 anni fa e più nessuno avrebbe mai pensato che sarebbero potuti essere
concorrenti della televisione. Il contenuto è simile, la tecnologia è diversa ( no a un certo punto) e
quindi sono concorrenti di un mercato televisivo.

Anche all’interno dello stesso mercato, quale quello dei giornali o dei libri, si a accia una
tecnologia nuova che da un lato potrebbero togliere clienti ai miei vecchi clienti che potrebbero
comprare il giornale online invece di quello sico oppure si apre più facilmente a concorrenti che
non hanno bisogno di avere un palazzo di giornalisti ecc ma in qualche modo raccolgono
informazioni da terzi, da agenzia ecc e le erogano a dei destinatari. Quindi nei mercati dei media
assistiamo a contaminazioni e sovrapposizioni tra arene competitive che magari nascono lontane
e poi si avvicinano e quindi ci possono essere delle forme di concorrenza anche tra concorrenti
che sono largamente diversi mentre nei mercati normali un conto sono le bibite, un conto sono le
scarpe (non c’è concorrenza tra i due mercati).

I mercati dei media si possono senz’altro studiare col metodo tradizionale (domanda e o erta) ma
ci sono altri due modi per studiare queste forme di mercato. Uno è quello delle liere produttive e
l’altro è quello dei mercati a due facce.

In una liera si scompone il processo di o erta in stadi o fasi del processo produttivo in cui
operano attori diversi e quindi come dire l’o erta è frammentata in fasi in cui ci sono dei soggetti
largamente diversi.

Un esempio di liera è l’editoria libraria. Ci sono dei soggetti molto precisi che sono gli scrittori.
Lo scrittore non è in grado di far arrivare il suo contenuto a tante persone che sono i lettori e in
mezzo nel processo di o erta per esempio ci sono le case editrici che prendono il manoscritto
dello scrittore, lo valutano e se reputano che valga e che possa avere un successo di mercato lo
impagino e a loro volta lo passano a un altro soggetto ancora che è lo stampatore che prende il
le e lo trasforma in veri libri. Dopo, il processo di o erta continua perchè quando il libro è
stampato non è ancora arrivato ai lettori ma manca la distribuzione attraverso librerie, vendito on
line sia del prodotto sico che dell’e book dello stesso libro. E poi arriviamo ai consumatori.

Quindi l’o erta non è più soggetto solo, ma il processo di o erta è suddiviso in tante fasi diverse.

I mercati a due facce sono caratterizzati dalla presenza di una piattaforma che sarà poi l’impresa
che però collega due domande diverse. Cioè ci sono due soggetti che domandando qualcosa a
questa piattaforma (pensiamo alla televisione commerciale, alla radio). Tra le diverse domande
esistono esternalità che sono positive, per cui quello che succede a una faccia di questo
mercato, ha un impatto per quello che succede sull’altra faccia del mercato, come ad esempio il
mercato della radio che ha due tipi di domande ovvero gli ascoltatori (che vogliono programmi) e
degli inserzionisti pubblicitari (che vogliono spazi). La piattaforma mette insieme questi due
soggetti e o re un palinsesto che ha programmi con dentro un po’ di pubblicità. In casi come
questo la radio non fa pagare nulla per i programmi al consumatore nale perchè il suo fatturato è
fatto da una domanda, quella di spazi pubblicitari. Ma ci sono altre piattaforme (pensiamo a Sky)
che funzionano allo stesso modo ma il suo fatturato è generato dalla domanda degli ascoltatori;
anche un poco dalla domanda degli inserzionisti ma principalmente dalla domanda degli
ascoltatori.

Andiamo a vedere su una liera un pochino più complicata che è la liera televisiva.

Le imprese televisive (Rai, Mediaset ecc) o comprano dei prodotti già fatti (acquisendo i diritti di
un format di un programma e poi auto produrselo oppure acquisendo i diritti di un contenuto per
poterlo trasmettere all’interno del proprio palinsesto) oppure facendo delle produzioni proprie.

Le imprese televisive per arrivare allo spettatore devono erogare il segnale. Possono erogare il
segnale attraverso internet o attraverso una rete distributiva del segnale in cui operano dei
soggetti alla gran parte di noi sconosciuti che si occupano della tecnologia di trasmissione del
segnale. Quindi le imprese televisive fanno il palinsesto mettendo insieme dei contenuti e poi ci
sono o altri loro parenti o soggetti terzi che distribuiscono il segnale nel mondo o in una certa area
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locale dove le imprese vogliono che venga erogato il loro segnale. Le più grandi reti sono il
digitale terrestre, il satellitare e l’erogazione via internet. Alla ne ci sono altri soggetti che entrano
in gioco e sono quelli che producono gli apparati per ri-decodi care il segnale (che siano pc, o
televisori o tablet ecc) che anche loro devono essere a conoscenza che agli spettatori serve la
possibilità di decodi care questo segnale e quindi consentono agli utenti nale di poter fruire del
prodotto (costruendo televisioni, pc, tablet ecc). Ma è chiaro che chi fa contenuti deve anche
sapere quello che succede nell’hardware dei televisori, di tecnologia di distribuzione del segnale e
come e cosa si può fare quando si eroga lo stesso contenuto prodotto da imprese televisive
attraverso internet ( se cambia la qualità ecc). Quindi non è facile come fare le scarpe dove la
tecnologia di produzione è quella e faccio tutto in casa. Qui mi avvalgo di tante fasi del processo
produttivo in cui ho bisogno di interagire con altri soggetti quindi l’o erta sostanzialmente è fatta
da mille attori di tipo diverso che operano nel mercato televisivo (chi fa reti, chi fa palinsesti, chi
produce televisori).

I MERCATI A PIÙ FACCE

La televisione commerciale o privata è un esempio di


mercato che può essere letto con gli occhi di un
mercato a due facce. C’è una terza faccia nella gura in
questione, che è la faccia dei fornitori del contenuto
editoriale. Quando il mezzo non produce da solo, ma
può voler usufruire di contenuto editoriale prodotto da
altri soggetti terzi (pensiamo ai social network), soggetti
terzi che sono specializzati nel produrre contenuti, come
giornalisti, agenzie, o per esempio imprese
cinematogra che che hanno fatto lm lo forniscono al
mezzo alla piattaforma. Allora le domande del mezzo
sono tre in questo caso: da un lato ci sono i produttori di
contenuti che vorrebbero passare attraverso il mezzo
per arrivare ai consumatori, dall’altro ci sono gli
inserzionisti pubblicitari che vorrebbero passare attraverso il mezzo per arrivare ai consumatori e
dall’altro ci sono i consumatori che vorrebbero normalmente dei contenuti editoriali (normalmente
non gliene importa nulla della pubblicità salvo che non serva ad abbassare il prezzo del palinsesto
o il prezzo del contenuto editoriale).

Prendiamo come esempio i social network, come Facebook. Facebook ha cercato delle forme di
remunerazione ai giornali (anche se i giornali si sono tirati dietro da questa o erta), pur di avere
dei contenuti da erogare.

Nel telefono il contenuto editoriale è auto prodotto dagli stessi utenti.

La tabella mostra tanti esempi di mercati a più facce.

Nel mercato del cinema e della


musica non c’è la pubblicità.
Quando non c’è la pubblicità,
è chiaro che i due lati del
mercato potrebbero essere un
fornitore del contenuto
editoriale (musicista, editore
musicale o casa discogra ca)
e i consumatori dall’altro lato.

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Vediamo ora il funzionamento di un mercato a due face, ricordano che per l’impresa quello conta
è la massimizzazione dei suoi pro tti. Naturalmente conta la massimizzazione del pro tto
COMPLESSIVO dell’impresa. Questo NON vuol dire che l’impresa debba massimizzare le entrate
in ognuno dei due o tre lati ma deve massimizzare le entrate complessive. A volte massimizzare le
entrate complessive può voler dire far pagare prezzo zero per il proprio prodotto (pensiamo a
radio e televisioni commerciali, che danno ai consumatori (che sono un lato del mercato) un
prodotto gratis, però bisogna far soldi dall’altro lato del mercato).

Altre imprese come Sky pensano a un modello di business diverso prendendo i soldi dai
consumatori e pochissimi dalla pubblicità. Sono due diversi modelli di business in una stessa
tipologia di mercato che non possiamo assimilare alla concorrenza perfetta, al monopolio ecc.
perchè è una forma di mercato che è stato codi cato nel mercato a più facce. Quindi andremo a
distinguere come possono convivere in uno stesso tipo di mercato anche imprese che si
nanziano in modo largamente diverso, cioè che hanno modelli di business largamente diversi
come la Rai, Mediaset e Sky. Cruciale sarà vedere che diverso può essere il livello del prezzo in
ognuna delle facce o versanti di questo mercato.

Facciamo un esempio. Ci potrebbe essere una televisione


che fa pagare un certo prezzo per l’abbonamento mensile
alla propria rete. Se il prezzo del mercato degli
abbonamenti (il gra co a sinistra) fosse Pa 1, la quantità di
abbonamenti venduti sarebbe Qa 1. Supponiamo che ci
siano 100 abbonamenti di cento famiglie; allora se ci sono
cento famiglie, avremo poi una domanda di spazi
pubblicitari perchè con cento famiglie se noi mettiamo un
prezzo per lo spot pubblicitario al minuto dello spazio
chiamato Ps 1, comporterà che noi raccoglieremo una
certa quantità di inserzioni pubblicitarie Qs 1, vendendo
una carta quantità di spazi e naturalmente l’area in giallino
a destra rappresenta il ricavo totale che noi otteniamo dal
versante degli inserzionisti, mentre l’area in giallino a
sinistra corrisponde ai ricavi totali che invece stiamo
ottenendo nel versante degli ascoltatori. La nostra televisione è quindi una televisione a
pagamento dove fatto un prezzo Pa 1 e l’abbonamento e fatto un certo numero di spazi
pubblicitari, i ricavi totali saranno l’area gialla a sinistra più l’area gialla di destra.

Ora supponiamo per qualche ragione di aver abbassato il prezzo degli abbonamenti a Pa 2.
Naturalmente la domanda degli ascoltatori aumenta da Qa 1 a Qa2. L’area azzurrina rappresenta i
nuovi ricavi totali che io ho dagli abbonamenti. Dal gra co di sinistra l’area azzurrina corrisponde
all’area in giallino quindi posso dire che i nuovi ricavi totali saranno uguali.

Nel mercato delle pubblicità è cambiato


qualcosa? La domanda di pubblicità si sarà
spostata verso destra perchè, aumentato il
numero degli ascoltatori, raggiungeranno un
numero maggiore di persone con lo stesso
spazio pubblicitario. Ecco allora che il prezzo
degli spazi pubblicitari aumenterà no a Ps
2, non cambiando il minutaggio però (e
quindi la quantità rimane in Qs 1). Allora i
ricavi dal versante degli inserzionisti di
pubblicitari aumenteranno.

Ma quello che succede al consumo degli


abbonamenti incide anche su altri soggetti
che non sono in uenzati da questo (cioè che
non hanno fatto nulla in questo mercato)
provoca un’esternalità positiva che va dal
mercato degli abbonamenti al mercato
pubblicitario.

Ma se io ho più entrate dal mercato degli inserzionisti sono una televisione che ha più risorse
economiche che quindi può portare contenuti più belli o migliorare la redazione portando la
domanda del mercato degli abbonamenti a spostarsi verso destra alzando il prezzo o trovando
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più abbonati. Questo è un circolo virtuoso perchè più abbonati è uguale a più entrate
pubblicitarie, più entrate pubblicitarie uguale più abbonati e ognuno dei due mercati ha esternalità
positive sull’altro.

Questa forma di mercato privilegia le imprese GRANDI. Infatti abbiamo avuto il duopolio Rai-
Mediaset per anni proprio perché questi soggetti per la loro grandissima dimensione
raccoglievano enormi risorse pubblicitarie e con queste riuscivano a erogare contenuti di qualità
largamente superiori rispetto alle televisioni locali le quali avevano meno risorse e quindi meno
telespettatori.

Inoltre ci potrebbero essere delle esternalità tra inserzionisti e contenuto editoriale. Se io o ro un


contenuto legato alla pubblicità, ne bene cia la pubblicità che ha il traino editoriale e ne bene cia
il contenuto perchè io sto facendo la pubblicità di qualche cosa che interessa gli utenti di quella
cosa lì. Ognuno ha bene cio dalla domanda dell’altro.

Ma ci sono delle esternalità tra il contenuto editoriale e i consumatori. Il consumo può essere
in uenzato dal contenuto editoriali e viceversa. Naturalmente ci sono degli aspetti politici di
in uenza e di libertà delle scelte da considerare.

A volte valutiamo la bravura del mezzo di comunicazione, dell’impresa che gestisce la


piattaforma:

- come numero di utenti (una piattaforma che attira tanti consumatori è una piattaforma di
successo)

- Performance economiche (dobbiamo vedere se sta facendo pro tti o no. Per esempio
Facebook era vicino al fallimento perchè aveva tanti utenti ma non trovava il modo di fare
pro tti)

- Capacità di generare esternalità positive o negative di ciascuno di questi mezzi

Quattro problemi che sono oggi sul piatto della bilancia:

- aspetto scale: dove vanno i pro tti di queste grandi piattaforme?

- Raccolta delle informazioni sui cittadini: queste piattaforme, soprattuto quelle che passano
attraverso internet, registrano il nostro comportamento e ci conoscono molto bene. Alcuni dei
grandi soggetti riusa le nostre informazioni e non buttarle come dice la legislazione.

- Eccessiva concentrazione del mercato pubblicitario: un abuso della posizione dominante può
limitare la concorrenza egli altri portando il mercato a essere gestito da pochi operatori.

- Esternalità culturali: in un mondo in cui le grandi piattaforme governano le informazioni che


arrivano ai cittadini, ci sono dei ri essi su come diventeranno i cittadini che ricevono
informazioni da questi mezzi.

LEZIONE 15 - 13 NOVEMBRE

ECONOMIA DEI MEDIA: PARTE 2

Nei mercati dei media l’o erta potrebbe essere scomposta in una di quelle che noi abbiamo
chiamato liere in cui lavorano e operano attori diversi che svolgono diverse fasi del processo
produttivo.

La forma organizzativa di questi mercati a volte può assumere non la classica forma in cui c’è
un’o erta e una domanda ma anche le caratteristiche di quei mercati chiamati dagli economisti
mercati a più facce in cui c’è una piattaforma che serve più tipi di domande diverse.

Oggi invece vedremo i caratteri distintivi dell’economia dei media.

Cosa distingue i mercati dei media dai mercati tradizionali?

Un carattere che distingue l’organizzazione economica dei mercati dei media è la PRODUTTIVITÀ.

Abbiamo già parlato di produttività quando abbiamo parlato della funzione di produzione e
abbiamo visto che la produttività è una misura dell’e cienza di un fattore della produzione; misura
in generale il rapporto tra l’output (il prodotto) e l’input (quantità di un fattore). Per esempio il
rapporto tra paia di scarpe prodotte all’anno e numero di lavoratori impiegati all’anno ci dice
mediamente ogni singolo lavoratore quante paia di scarpe produce e quindi una misura
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dell’e cienza di quel processo produttivo, misurando di fatto l’e cienza di un processo
produttivo misurando attraverso la produttività.

Finchè si tratta di beni materiali, misurare la produttività è molto semplice ma se il bene è


materiale è molto più di cile. Come potrei misurare, per esempio, la produttività di un regista o di
uno scrittore ? In questi casi la produttività inteso come rapporto tra output e input non è
misurabile anche perchè l’output potrebbe essere uno solo ma di estrema qualità.

Essendo processi creativi, non ci sono macchine che possono automatizzare il lavoro dell’uomo
(come invece per esempio può avvenire in un calzaturi cio).

È anche molto di cile, oltre che a misurare la produttività, misurare anche la qualità della
produzione. La qualità della produzione potrebbe essere misurata con il successo a posteriori ma
si tratta di una misura che io faccio dopo la vendita del prodotto (se produco scarpe la qualità del
prodotto posso misurarla anche prima di metterle in vendita). Inoltre bisogna dire che spesso il
valore delle vendite spesso non ri ette la qualità della produzione.

La seconda caratteristica che distingue i settori dei media dai settori dei beni sici normali è
naturalmente la forma immateriale dei prodotti come le, notizie, storie, stream (anche perché
spesso si tratta di un servizio).

Si passa dall’avere in proprietà un bene che contiene la notizia ma semplicemente al possedere


un servizio che ti consente di fruire di quei contenuti informativi. È più rilevante avere un bene
immateriale che un paio di scarpe.

I beni immateriali spesso potrebbero avere la natura dei beni pubblici ma non è sempre così
anche perchè potrebbe succedere che i consumatori ne fruiscono senza remunerare il produttore
e quindi il lato dell’o erta di questi beni diminuisce rischiando di provocare il fallimento del
mercato (fenomeno free-riding).

Ma allora che cosa si può fare se il prodotto scambiato è una storia, o un le? Quello che si può
fare è trasformare il bene pubblico o in un bene di club o in un bene privato. Per esempio un CD è
un’opera musicale schiacciata su un supporto e fruita attraverso quel supporto; allora quel
supporto è il mezzo sico che fa passare il contenuto andando a far diventare un bene pubblico in
un bene privato.

E in tutto questo, qual è il ruolo del diritto d’autore ? Il diritto d’autore trasforma un bene
immateriale in un bene privato dando al titolare (l’autore), il diritto di sfruttamento economico. In
termini puramente economici, possiamo dire che lo stato permette all’autore di diventare il
padrone della storia che ha inventato in modo da sfruttarla economicamente vendendola a una
casa editrice per esempio. Legittimando il diritto d’autore, lo stato dà al soggetto il monopolio su
ciò che ha inventato che sia una storia o un prodotto nel caso di un’invenzione.

La cosa brutta del diritto d’autore è che trasforma un mercato concorrenziale (l’idea è un bene
pubblico) in un bene privato e quindi dando il diritto di monopolio, il monopolista vende di meno e
a un prezzo più alto rispetto a quello che succederebbe se il mercato fosse concorrenziale. È
quindi la circolazione di un’opera è limitata (svantaggio).

Il vantaggio è quello di consentire al mercato di non fallire perchè dando una remunerazione
permette a gente di vivere facendo lo scrittore, il regista, l’inventore. Quindi di fatto è una
remunerazione economica che consente di far diventare un hobby in un vero e proprio lavoro.

L’autore è remunerato in proporzione al successo dell’opera.

Quindi da una parte abbiamo un vantaggio e dall’altra un vantaggio e bisogna capire dove si trova
l’ottimo. Per trovare l’ottimo bisognerebbe capire quando dovrebbe essere lungo il diritto d’autore
(problema del bilanciamento dell’incentivo). Ad oggi il diritto d’autore cade dopo 50 anni dopo la
morte dell’autore. Il bilanciamento è trovare il periodo di tempo in modo che rimanga l’incentivo a
inventare ma non sia un monopolio dato a vita o quasi a vita.

Il quarto carattere è il doppio valore del prodotto perchè ci può essere un valoro economico della
singola opera ma ci può essere anche un valore culturale che potrebbe includere esternalità
positive. I beni di merito sono quei beni che consentono esternalità positive (come ad esempio il
vaccino). Quando ci sono esternalità positive lo stato potrebbe intervenire dando dei sussidi a chi
consuma quel tipo di beni con lo scopo di promuovere il valore culturale (che genera esternalità
positive) di queste opere (come il bonus cultura da 500 euro). Se c’è un valore culturale, in alcuni
processi produttivi come ad esempio la televisione sono imposte alcune quote di prodotti che
devono derivare da quell’area geogra ca speci ca tenendo conto quindi anche della produzione
culturale che viene dalla propria terra essendo così obbligati ad acquistare almeno il 50% della
produzione da società europee.

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La quindi caratteristica distintiva riguarda la produzione di prototipi e le economie di scala.

Nella slide vi è il processo produttivo di un’opera dell’ingegno che sia un libro o un lm. Vi è un
altissimo costo iniziale nella creazione di un
prototipo. Questo alto costo iniziale viene
chiamato sunk costs (costo a ondato) perchè
non è più recuperabile. In compenso i costi
marginali sono estremamente bassi (addirittura
pari a zero in caso di le digitali). Se c’è un
costo marginale molto basso e un costo iniziale
dell’opera molto alto, il costo medio totale ha
un andamento decrescente. Questo fenomeno
si chiama economia di scala, ovvero riduzione
del costo medio all’aumentare della scala o
processo produttivo. Quindi in altre parole, in
questi mercati, chi vende più copie riesce ad
avere un costo medio della singola opera molto
più basso di chi ne vende poche. Ed è per
questo che in questo tipo di mercato si
a ermano imprese che producono GRANDI
volumi. Questo meccanismo di produzione
avvantaggia la grande produzione. Tendenzialmente questi mercati evolvono verso oligopoli/
monopoli non rendendo possibile la formazione di mercati concorrenziali in presenza di economia
di scala (perchè i piccoli editori per esempio avranno costi medi ben più alti rispetto a Repubblica,
corriere della sera ecc.).

La sesta caratteristica riguarda l’innovazione e la essibilità.

Nei beni a contenuto informativo, il contenuto non si può cambiare ed è quello perchè per
esempio il libro è stato completato e pubblicato e la notizia e stata pubblicata. Quindi spesso
distinguiamo in un contenuto che sono questi prodotti e in un contenitore che invece è il veicolo
che distribuisce quel prodotto. Per esempio la stessa notizia posso metterla per scritto nel
giornale ma anche metterla sul web (il contenuto è lo stesso ma il contenitore è diverso). Questo
fa sì che l’inventore o il proprietario del contenuto spesso può cambiare il contenitore e quindi
vendere diverse versioni di quello stesso contenuto a soggetti diversi che ne fruiscono attraverso
contenitori diversi (per esempio un lm che è il contenuto può stare in contenitori diversi come
dvd, cinema, ti ecc). QUESTO è UN ESEMPIO DI DISCRIMINAZIONE DI PREZZO.

La settima caratteristica riguarda il mercato dei best seller. Questa è una cosa che accade nei
mercati un po’ di tutte le opere creative. Mediamente su 10 opere, la quantità di quelle che fanno
pro tti sono pochissime: più o meno 2 fanno pro tti, 3 arrivano a fare un pareggio e mediamente
5 sono in perdita. Nel 1906, Pareto sosteneva che l’80% dei ricavi e dei pro tti di ogni impresa è
fatto solo dal 20% dei prodotti. Quindi un’impresa ha pochi prodotti che fanno una largissima
parte dei ricavi totali e poi ha l’80% dei prodotti che fanno solo il 20% dei ricavi rimanenti. I best
seller tengono vive le case editrice e le case cinematogra che in grado di sostenerle.

La di coltà è nel cercare di capire ex ante quando si propone l’opera, se farà pro tti o meno.
Quest’idea che solo pochi prodotti abbiano un grande successo è più premiante per il grande
produttore (altra ragione per cui si a ermano poche imprese di grandi dimensioni perchè queste
ammortizzano il rischio di fallimento
con il successo di alcune opere).

Anderson dice che in realtà il digitale


consente anche la vita a soggetti che
possano permettersi di vendere poche
copie. Quindi anche per esempio
Net ix o Amazon possono permettersi
di avere nel proprio catalogo opere che
sono scaricate da pochissimi utenti. Se
riescono ad avere un catalogo così
grande puoi permetterti di vendere
poche opere ma di avere un parco titoli
assolutamente enorme. Secondo la
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teoria di Anderson, il digitale consente lo sfruttamento della coda lunga cioè puoi fare ricavi verdi
da tantissime opere.

Altri economisti contestano Anderson a ermando che la regola del 20-80 funziona ancora
benissimo .

L’ottava caratteristica riguarda la varietà delle risorse economiche. Spesso molti operatori nel
mercato dei media operano fronteggiando delle domande diverse. Questo fa sì che la piattaforma
possa avere diverse fonti di ricavo, per esempio ricavi che vengono dalle vendite del prodotto (il
prezzo pagato dagli utenti) o ricavi che potrebbero provenire da un contributo pubblico (come la
Rai o il museo), oppure ricavi che vengono dal lato della pubblicità. Quindi parliamo di modelli di
business diversi, quindi piattaforme o imprese che possono avere ricavi che provengono da fonti
largamente diverse e, come nel caso della televisione, a volte se confrontiamo Mediaset, Rai e
Sky, possiamo dire che hanno simili valori dei ricavi totali pur venendo da componenti
radicalmente diversi.

La nona caratteristica riguarda il ciclo di vita dei prodotti. Sostanzialmente esistono due tipi di
prodotti per quelle imprese che operano e vendono opere dell’intento in generale. Vi sono i
prodotti stock (prodotti ad utilità ripetuta), Como ad esempio i manuali, i libri che continuano a
vendere sempre regolarmente e per non farli cadere in pubblico dominio dopo vent’anni dalla
prima uscita a volte vengono aggiornati essendo comunque lo stesso prodotto.

Poi vi sono i cosiddetti prodotti usso (prodotti che perdono rapidamente capacità di generare
interesse nel pubblico), ovvero quei prodotti che hanno un ciclo di vita rapidissimo come ad
esempio il giornale che il giorno dopo non serve più. Quindi questi prodotti usso sono
tipicamente dei prodotti che durano pochissimo e bisogna continuare a farli ogni giorno
ripartendo con un prodotto nuovo e la modalità di lavoro di un prodotto usso è radicalmente
diverse al tipo di produzione dei prodotti stock.

La decima caratteristica riguarda i beni esperienza (l’utilità si può stimare solo dopo l’uso). I beni a
contenuto informativo che sono scambiati nei mercati dei media sono beni che in termini
economici sono anche chiamati beni esperienza perchè il consumatore può stimare l’utilità che
deriva da un singolo bene solo dopo l’uso. Facciamo un esempio: quando andiamo a vedere un
lm, pur sapendo di cosa tratterà, solo alla ne possiamo dire se ci è piaciuto o meno e se valeva
il prezzo del biglietto. Mentre se vado a prendere un biglietto della metropolitana so perfettamente
quanto costa il biglietto e il bene cio che mi darà l’acquisto di quel biglietto (ho perfettamente
idea ex ante dell’utilità che mi dà quel bene e lo stesso vale per un paio di scarpe). Con il libro,
lm o giornale non si ha l’idea se ci piacerà o meno. Questo è un problema per il venditore che
ovviamente dovrebbe far provare il bene al consumatore e lo fa attraverso il trailer, un’anteprima
dei contenuti, un estratto o delle prove gratuite con lo stesso scopo che ha il campioncino di
profumo nel mercato classico dei profumi.

L’utilità può variare molto da consumatore a consumatore; per esempio lo stesso lm che
vediamo io e un’altra persona, a me potrebbe piacere moltissimo mentre all’altra persona invece
no. I venditori potrebbero fare una discriminazione di prezzo: per esempio nel caso di una
canzone, questa può essere messa su un CD, su YouTube a seconda del bene cio che associano
i consumatori a quella canzone disposti a pagare diverse utilità. Per esempio lo stesso lm che
esce in prima visione un anno, dopo tre o quattro anni esce in televisione gratis. Il venditore
chiede un prezzo alto a chi ha alta utilità e basso prezzo a chi ha bassa utilità.

Se il bene è un bene esperienza conta moltissimo la reputazione degli autori o degli editori (per
esempio se un regista sappiamo che fa lm bellissimi, andremo a guardare un suo futuro lm
anche senza sapere questo come sarà).

L’undicesima caratteristica riguarda il rischio economico. Il fatto che ci siano rilevanti economie di
scala più il fatto che ci sia il fenomeno dei best seller, spinge questi mercati ad essere
complessivamente mercati dove con un rischio così elevato è più facile che ci siano pochi
operatori di grandi dimensioni. Questo spiega perchè abbiamo le major nel mercato
cinematogra co: perchè la dimensione di queste case produttive gigantesche sia talmente grande
da potersi permettere sia spese elevatissime per lm sia il rischio di lm che possano non essere
di successo mentre il cinema europeo ha budget più piccoli, rischi più grandi.

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Quindi il fenomeno del rischio è presente nel mercato dei media proprio per il coesistere della
dimensione grande che bisogna avere per riuscire a produrre con costi bassi con il fenomeno del
rischio economico.

LEZIONE 16 - 18 NOVEMBRE

CONTINUAZIONE PARTE 2

Andiamo a vedere quali sono alcune cose importanti che avvengono in queste quattro fasi del
processo produttivo.

È di cile che un’impresa che venda prodotti a contenuto informativo faccia tutto: spesso è
possibile leggere questi prodotti o servizi che fruiamo in liere e queste possono essere
scomposte in quattro fasi: produzione, confezionamento, distribuzione e consumo.

PRODUZIONE

È lo stadio in cui nasce l’idea del contenuto e qui cerco di


parlare un po’ per tutti i mezzi di comunicazione. Per fare bene
in questa fase si deve partire o da un’idea dell’autore, da
qualcosa di creativo (produzione spinta dal lato dell’o erta) o se
parte dal consumo (studiare quello che vogliono i consumatori e
poi agire di conseguenza). Bisogna analizzare quindi il mercato.

In questa fase di creazione dell’opera, vi è il reperimento delle


risorse tecniche e professionali che siano in grado di esporre la
propria idea. Usare la community o usare dei lucidi permette a
un professore di accompagnarsi con delle risorse tecniche.

CONFEZIONAMENTO

In inglese diremmo editing. In alcuni casi l’autore si occupa del funzionamento, oppure anche
l’editore che deve scegliere come suddividere il giornale, come mischiare i contenuti. Anche
l’editore librario è un soggetto che deve ltrare il manoscritto aiutandolo a ridurre alcune parti, o
dividendo il libro in capitoli. L’impresa televisiva “confeziona” il palinsesto come insieme di
programmi. Bisogna curare bene l’idea che si ha avuto nella fase precedente. Il palinsesto
funziona bene con i prodotti usso mentre per l’editore
librario è bene costruire un certo catalogo (scegliendo
delle opere, quindi il confezionamento di queste).

A volte gli editori lavorano in quei mercati che abbiamo


chiamato mercati a due facce in cui il contenuto si deve
mischiare con la pubblicità. L’impresa televisiva deve far
conto che deve avere delle interruzione e deve decidere
quante interruzioni e in quali punti (si fa durante il
confezionamento del palinsesto).

Un’altra scelta editoriali riguarda le possibili versioni del


prodotto: di uno stesso libro possiamo scegliere se fare
delle versioni elettroniche o meno, il tipo di carta da
utilizzare, quindi fare diversi contenitori utilizzando sempre
lo stesso contenuto, al ne di massimizzare i ricavi.

A volte ci sono anche da amministrare dei diritti (se da


un’opera letteraria passo a un lm per esempio). A volte
per massimizzare i ricavi si cedono i diritti sulla propria opera a un terzo soggetto.

L’ultima scelta importante è la scelta delle distribuzioni, ovvero scegliere i canali attraverso cui le
mie confezioni arrivano sul mercato, il modo in cui arriva al
mercato e rappresenta una scelta cruciale.

LA DISTRIBUZIONE

Abbiamo cinque osservazioni da fare.

Tante opere sono immateriali e quindi una prima scelta radicale


è quella tra vendere o a ttare il proprio prodotto (pensiamo a
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cinema o musica). Basti pensare ai vari abbonamenti per esempio iTunes (in questo caso si
a ttano i lm e si vende la musica), Apple Music o Net ix.

Abbiamo visto che ci possono essere delle versioni diverse. Si tratta di nestre temporali che
cercano di massimizzare i ricavi per esempio dalla stessa opera televisiva. La scelta di quali e
quanti canali fare e il conseguente livello di prezzo si esplica per esempio nel caso di spotify dove
troviamo una versione free e una premium. In questo caso sbagliare il livello di prezzo di ognuna
di queste versione è vietato.

Supponiamo poi che la visualizzazione online dei giornali è in versione gratuita. Questo potrebbe
provocare enormi riduzioni delle vendite complessive (un prodotto mangia un prodotto fratello).

Il ruolo del distributore oggi è abbastanza cruciale. In tutto questo possiamo dire che la
distribuzione oggi è una fase molto importante. Vi è una remunerazione a monte. Ma quanto torna
nelle tasche dei primi stadi della liera? Se non vi è una
remunerazione si rischia un fallimento del mercato.

La scelta degli standard soprattuto nel digitale è cruciale.


Scegliere uno standard che nessuno riesce a leggere è
negativo per il distributore perchè non riesce a massimizzare
le vendite dell’opera. Appoggiarsi a un certo standard può
limitare le vendite al contrario di chi sceglie standard più
conosciuti.

Discriminazione di prezzo di secondo grado: si vende lo


stesso contenuto ma con contenitori (o versioni) diversi.

LA VENDITA E IL CONSUMO

Bisogna stare attenti al reddito dei consumatori, ai gusti e ai trend di consumo.

Il lato del consumo si appoggia a degli apparati (device) e a degli standard sconosciuti al
consumatore. Net ix ha dovuto convincere i costruttori di televisioni a mettere l’applicazioni
all’interno dei televisori. Nel caso della musica, l’industria della musica si dovette adattare all’ipod.

Gli switching cost sono dei costi che sosteniamo noi


consumatori quando cambiamo il fornitore di un servizio:
se passiamo da spotify a Apple Music un costo aggiuntivo
dovuto al passaggio da spotify ad Apple Music potrebbe
essere l’impossibilità di trasferire le playlist che magari ci fa
restare a spotify. Se cambio un giornale, magari il formato è
diverso e quindi potrei non essere convinto a fare lo
switching.

Gli switching cost possono prevedere un esborso di denaro


(esempio quando si cambia la sim o costi di chiusura)
oppure altre rinunce.

Ci sono esternalità di rete quando alcuni utenti che si


aggiungono a una rete generano bene cio per altri
soggetti: pensiamo a un social network, quando ci
iscriviamo sono contenti anche quelli che stanno già sul social network che hanno un nuovo
contatto da reperire. Pensiamo anche al fatto delle telecomunicazioni: quando c’è una certo
standard e tecnologia condivisa, si genera un bene cio maggiore anche dal lato dell’o erta intesa
come produzione di contenuti (come ad esempio il 5g che dà bene cio a noi, ai nostri amici
quando ci chiamano e ai produttori di contenuti che potranno ottimizzare i contenuti).

LEZIONE 17 - 19 NOVEMBRE

Il modello di business di Apple e Spotify lascia molti dubbi sulla remunerazione a monte della
liera e quindi degli artisti e degli autori.

ECONOMIA DEI MEDIA : PARTE 3


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I NUMERI DEI MERCATI DELLA COMUNICAZIONE

I dati utilizzati provengono da AGCOM, l’autorità


garante della comunicazione che vigilia su tutti i
mercati della comunicazione. Ogni anno questa
autorità fa una relazione.

Per quanto riguarda i servizi di telecomunicazione


(telefonia ssa e mobile), i ricavi sono diminuiti. Il
settore dei media (televisione, radio, editoria
periodica e la comunicazione via internet) sia
aumentato di circa un miliardo di euro. Anche i
ricavi dei servizi postali sono aumentati di circa un
miliardo dal 2015 al 2019. Sommando i ricavi totali
otteniamo circa 52 miliardi, ovvero circa il 3% del
PIL (valore di beni e servizi scambiati in Italia).
Aggiungendo altri settori come musica, teatro,
eventi e videogiochi si arriva al 4%.

I SERVIZI DI TELECOMUNICAZIONE

La spesa (e quindi anche i ricavi dei venditori) è passata da 35 miliardi del 2013 no ai 30 miliardi
del 2019. Scendono sia le sse (meno) che le mobili (di
più). Nel 98 il settore aveva un solo operatore
(Telecom) ma per una legislazione europea, tutti i paesi
europei sono stati obbligati a far entrare altri operatori
nel mercato, trasformando il monopolio naturale in un
mercato concorrenziale. Quindi nonostante i nostri
consumi sono aumentati, i prezzi sono diminuiti. Il
prezzo medio delle telecomunicazioni scende da 100
del 2010 a 77 del 2019 per la pressione competitiva.
Questa è una delle più belle e classiche espressioni
del gioco concorrenziale: più operatori ci sono, più
cala il prezzo.

Della spesa complessiva 2/3 vengono dalle famiglie e


1/3 dalle aziende. Le quote di mercato (ricavi
dell’azienda rispetto ai ricavi complessivi) complessivo
( sso e mobile), Tim ha una quota del 44%, Vodafone del 19%, Wind Tre 19%, Fastweb 9%.

La media di tra co è di 7 giga a utente (in grandissima espansione).

L’indice di mobilità è del 27%: ogni anno un individuo su 3 cambia operatore in cerca di tari e
migliori. Prima per cambiare operatore si doveva cambiare numero (era uno switching cost) ma
l’Agcom vietò questa cosa permettendo a tutti di trasferire lo stesso numero a un nuovo gestore
in massimo 3 giorni lavorativi (prima la pratica era molto più lunga).

I SERVIZI MEDIA

Negli ultimi 5 anni televisione e radio hanno fatturato insieme


circa 8.7 miliardi mentre l’editoria quotidiana e periodica sono
crollate ed anche nei 5 anni precedenti vi era stato un crollo
quindi questo trend decrescente di circa il 6% all’anno lo
vediamo da 10 anni.

Internet ha raddoppiato il suo fatturato passando da 1.6


miliardi a 3.3 miliardi.

La pubblicità pesa in questi settori mediamente il 56% (quindi


per esempio in un giornale fatti 100 i suoi ricavi, 56 vengono
dalla pubblicità e 44 dai compratori della copia, idem per la televisione a livello aggregato).

LA RACCOLTA PUBBLICITARIA
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Il mercato pubblicitario negli ultimi 5 anni è cresciuto: la raccolta pubblicitaria complessiva è
aumentato da 6.2 miliardi a 7.6 miliardi anche se è
cambiata la composizione percentuale. Ai giornali
quotidiani un tempo niva il 13% della raccolta
complessiva, ora il 7%. Internet prima raccoglieva
1/4 ora praticamente la metà dei ricavi (oggi la
pubblicità è presente in maniera determinante su
internet). La televisione è passata dal 52% al 41%
mentre la radio rimane stabile più o meno al 7%.
(Quindi i due trend riguardano internet e i giornali).

Internet comincia a farsi largo e a mostrare il suo


peso principalmente dal 2008. C’è
cannibalizzazione tra mezzi: i giornali e i periodici
raccoglievano tanto dalla pubblicità ma con
l’arrivo di internet gli investitori si sono spostati.

Il principale mezzo di comunicazione per


informarsi sono la televisione e subito dopo
Internet, Radio e giornali.

LA TELEVISIONE

La televisione in chiaro (rai e Mediaset) è stabile con 4.7 miliardi di ricavi mentre la televisione a
pagamento ha registrato un calo nel 2019.

I modelli di business delle varie televisioni sono


largamente diversi. La Rai ha entrate che vengono per
l’80% dal canone mentre per il 20% dalla pubblicità.

Mediaset fa il 90% del fatturato sul lato degli inserzionisti


pubblicitari mentre il 10% dagli abbonamenti.

Sky fa il 92% dei ricavi con gli abbonamenti e l’8% dalla


pubblicità. Quindi i modelli di business sono largamente
diversi. Mediaset e Sky sono più in di coltà rispetto alla
Rai.

Rai fa il 34% dell’audience, Mediaset il 30% mentre Sky il


7% ma essendo tutti paganti ricava di più.

LA RADIO

La situazione è stabile (anzi in leggera crescita).

I QUOTIDIANI

Le copie cartacee vendute dal 2012 al 2019 sono letteralmente dimezzate.

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INTERNET E LA PUBBLICITÀ ONLINE

Il colore scuro è dovuto alla raccolta diretta (raccolta


dall’editore che possiede lo spazio, per esempio un giornale
ha dei box vuoti e potrebbe scegliere lui stesso gli
inserzionisti, quindi è venduta direttamente alla piattaforma)
mentre quello più chiaro dovuto alla raccolta via piattaforme
(l’editoria si appoggia a un intermediario, in particolare Google
e Facebook. La piattaforma in modo e ciente riempie gli
spazi.) stiamo andando verso un mondo in cui le piattaforme
mediano circa l’80% della pubblicità, portando agenzie
piccole e medie a chiudere, portando da una concorrenza
monopolistica a praticamente quasi un duopolio.

I SERVIZI POSTALI

Il servizio universale è un servizio che deve essere


fornito in maniera obbligata a delle tari e comuni e
sse. Il valore degli incassi delle poste per la
di usione di lettere e pacchi diminuisce mentre i
servizi postali e non universali (corrieri) sono
aumentati del 30% perchè è aumentato il commercio
online.

ECONOMIA DEI MEDIA: PARTE 4

Faremo un approfondimento verticale su uno dei mercati dei media, ovvero i giornali.

Prima con giornale si intendeva quello che noi sappiamo tradizionalmente ma oggi quei correnti
del giornale cartaceo si trovano in un’arena competitiva che potremmo de nire settore delle
notizie, in quanto oggi i concorrenti dei giornali sono quelle che troviamo liberamente su internet o
veicolate tramite i social media. Dal settore dei giornali
si passa al settore delle notizie dove non vi sono
solamente pubblicazioni a stampa. Si tratta di una
questione controversa in quanto questi intermediari
hanno ri utato l’etichetta di editori in quanto si sono
de niti piattaforme dove ognuno è libero di pubblicare
qualsiasi cosa ma i giornali non sono d’accordo.

La situazione mostra
lo stesso trend della
situazione italiana.
Dal 2007 al 2017 è
passato da circa
200 miliardi a circa
140 miliardi. Ma è così in tutto il mondo? In Europa negli ultimi 5
anni la di usione delle copie cartacee è diminuita del 20%, nel
Nord America è diminuita del 11%, in America Latina del 5%, in
Australia del 30%, mentre in Asia è aumentata del 40%.

I sistemi economici più sviluppati 8 (Europa, Nord America e


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Australia)stanno a rontando una situazione simile. Anche se non abbiamo i dati del 2019 la
situazione non cambia.

Quali sono le cause?

La crisi economia generale c’entra ma ci sono altri fenomeni di riduzione di fatturato e di copie
cartacee dei giornali:

- un cambiamento nel modo di fruire delle notizie dal lato della domanda;

- Un cambiamento negli attori dal lato dell’o erta (entrata degli editori digitali e degli aggregatori
(come Google news che è un aggregatore che fa trovare le notizie tutte in uno stesso posto);

- Un diverso ruolo della pubblicità, le cui entrate stanno ora diminuendo.

Quindi vi sono meno ricavi dal lato delle vendite ma anche dal lato della pubblicità.

I giornali vengono considerati un bene di merito, infatti vi è un’iva agevolata dal 22% al 4%.

Inoltre vi sono anche dei nanziamenti anche se sono diminuiti da 160 milioni a 62 milioni
(esempio di intervento dello stato nei singoli mercati abbassando l’IVA e quindi il prezzo e dando
nanziamenti).

Poi vi sono dei nanziamenti indiretti, dovuti al fatto che alcune testate pubblicano avvisi di gare
pubbliche, o agevolazioni al credito di imposta per investimenti pubbicitari (lo stato vuole
incentivare gli investitori a usare i giornali per fare pubblicità attraverso crediti di imposta quindi
sconti sulle tasse).

Poi vi è la direttiva copyright del 2019 per snippet (box molto piccoli come una piccola anteprima
o piccolo riassuntino ) e link : quindi dal 2019 bisogna chiedere anche l’ autorizzazione all’editore
per pubblicare queste piccole anteprime, microriassunti, titolo e link in pagine proprie (come
Google news) devono chiedere autorizzazione all’editore in modo che quest’ultimo possa
monetizzare. Ma Google non ha accettato di pagare nessuno, ha semplicemente detto che non
utilizzerà quelle testate e quindi i lettori di google
news non vedranno quelle testate (è un’arma a
doppio taglio questo).

Dal lato della tecnologia, anche i giornali hanno fatto


un errore, mettendo in formato pdf i propri giornali
togliendo consumatori alle copie cartacee
(concorrenza interna).

Il mercato del giornale è un mercato a due facce e


vediamo ora che succede a ognuna di queste due
facce.

Partiamo dal soggetto LETTORI. Se il numero dei


lettori aumenta, incrementano i ricavi dalla pubblicità
e viceversa (esternalità positive tra le due domande e
questo potrebbe far crescere velocemente ma anche
diminuire con la stessa velocità perchè se
diminuiscono i lettori, diminuiscono anche i ricavi dalla
pubblicità).

A livello mondiale, sono stabili le copie vendute (ma


ricordiamo che in india e in Asia le copie vendute sono
aumentate mentre nel resto del mondo sono diminuite)
mentre le copie digitali sono aumentate negli ultimi 4
anni.

Nel 2012 i ricavi venivano dal 95% dalla carta e il 5%


dal digitale mentre oggi dal 90% dalla carta e il 10%
dal digitale.

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Cambia anche il modo di consumare da parte dei lettori.
Guardiamo l’uso dei cinque mezzi (online comprendenti
anche i social media, social media, radio, carta stampata e
TV ) per fasce d’età. Nella fruizione di notizie online
troviamo un 64% da parte dei giovani e un 25%
da parte degli anziani. Per quanto riguarda i
social media, il primato è ancora dei giovani
anche se con percentuali più basse (28%). Gli
utenti della radio più o meno sogli stessi
indipendentemente dalla fascia d’età di
appartenenza. Le persone più anziane si
informano principalmente dalla televisione (53%
degli anziani) e in seconda battuta dalla stampa
(12% degli anziani), la quale è usata come
principale fonte di notizie da una quota molto
piccola della popolazione.

Passiamo ora alle fonti algoritmiche e alle fonti


editoriali. Noi utilizziamo le fonti algoritmiche
quando ci informiamo attraverso il nostro social
network (e quindi ci pensa lui a darci attraverso
gli algoritmi certe notizie) o attraverso degli
aggregatori, come Google News, che pensano
loro alle notizie da fornirci. Utilizziamo invece le
fonti editoriali quando le notizie le prendiamo
direttamente dal sito web dell’editore andandole
a cercare nel posto giusto, senza intermediari
come invece avviene nelle fonti algoritmiche.
Mediamente vediamo che quando noi diciamo
che ci rivolgiamo all’online (quello visto in
precedenza), di fatto usiamo spessissimo degli
aggregatori e raramente andiamo speci ci sulla
pagina del nostro editore. Quindi il ruolo degli aggregatori di fatto è importante.

Tuttavia, in una dichiarazione sull’a dabilità delle diverse fonti, le piattaforme in generale (e quindi
possiamo pensare anche agli aggregatori) sono ritenuti meno a dabili rispetto alle testate
giornalistiche. Quindi, in termini di veridicità di una notizia, è vero che noi ci crediamo poco solo
se la troviamo su un social; ci crediamo perfettamente di più se la troviamo sul sito di un editore.
Quindi emerge abbastanza chiaro che tutti reputiamo più a dabili delle fonti di informazione di
tipo giornalistico rispetto all’aggregatore perchè l’algoritmo sa lui quali notizie ci fa vedere e non è
detto che ci proponga sempre cose che sono ltrate, variate.

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Passiamo agli spazi pubblicitari. Diminuendo le copie vendute, anche i ricavi della pubblicità
vanno giù, e quindi le entrate pubblicitarie sono di meno passando da 80 miliardi (2012) ai 51
miliardi del 2017. Per quanto invece riguarda la pubblicità digitale (copie digitali + siti) questa,
anche se di poco, è cresciuta passando da 7,3
a 11,4 miliardi. Questo dato ci stupisce perchè
in realtà sarebbero almeno dovute raddoppiare.
Perchè questo non avviene? Cresce poco la
pubblicità digitale nonostante triplicano le
copie digitali a causa della scarsa e cacia
della pubblicità digitale (che provoca scarsa
attenzione) e anche perchè gli spazi pubblicitari
su internet sono in niti (l’o erta di spazi
aumenta e quindi i prezzi diminuiscono cosa
buona peer l’intermediario Facebook o google
e l’inserzionista ma meno per gli editori). Inoltre
il programmatic advertising lascia poco agli
editori. Si tratta della capacità degli intermediari
(Google e Facebook principalmente) di vendere
loro la pubblicità, quindi loro vendono gli spazi
per esempio del Corriere della Sera facendo in
modo di trovare i lettori giusti per le singole e diverse pubblicità senza che l’editore si preoccupi di
nulla (ad un lettore giovane verrà mostrata una certa pubblicità, mentre a un anziano un’altra
ancora). Naturalmente Google e Facebook vengono pagati per questo servizio. Una volta i giornali
avevano le loro concessionarie di pubblicità, ovvero delle divisioni che andavano a vendere la
pagina. Adesso è molto più di cile con internet, servono competenze diverse e quindi i giornali
esternalizzano e cedono a questi intermediari questa capacità di trovare clienti e quello che
succede con questo programmatic advertising è il fatto che questi intermediari facciano
incontrare domanda e o erta, quindi hanno centinai e migliaia di inserzionisti che desiderano fare
pubblicità pagando poco e al volo combinano gli spazi disponibili sulle pagine che sono diversi da
utenti a utenti quando noi guardiamo queste pagine. Ma questo programmatic advertising,
essendo intermediato, lascia poco ricavo agli editori, nel senso che Google e Facebook
guadagnano ma gli editori poco.

Guardiamo esattamente quanto. Fatto 1 euro di investimento pubblicitario, l’intermediario


trattiene 61 centesimi, all’editore ne vanno 29, e se c’è un’agenzia pubblicitaria che mette in
collegamento l’editore con l’intermediario, l’agenzia trattiene 10 centesimi. Prima, l’agenzia
tratteneva il 15% e l’editore l’85% anche se è vero che poi doveva pagare gli stipendi a coloro
che lavoravano per fare la vendita degli spazi pubblicitari.

LE DINAMICHE DELL’OFFERTA

In questa tabella vi sono tutti i giornali insieme. La tiratura sono le stampe. Non solo calano,
passando da circa 5 milioni da inizio 2013 alle 3.4 milioni di ne 2017 (dati giornalieri), ma le copie
rese dalle edicole sono 1.2 milioni (delle 3.4 milioni).
Quindi un terzo delle copie stampate sono restituite
e disgtrutte. Le copie digitali sono poche ma in
crescita. Quindi teoricamente se la carta diminuisce
e il digitale aumenta, dovrei fare uno switch degli
occupati dalle redazioni cartacee a quelle digitali
ma questo non è semplice perchè: innanzitutto i
mie giornalisti dovrebbero essere reperibili h24 e
non solo la sera e la notizia non è la stessa perchè
nel digitale devo permettermi articoli più brevi e un
modo diverso di vendere la notizia e utilizzare una
quantità di immagini e video nettamente superiore
alla copia cartacea.

In una situazione in cui le copie cartacee diminuiscono e ci sono elevate economie di scala, i costi
medi per coppia aumentano. Cosa si può fare? Si possono creare dei gruppi editoriali perchè in
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questo modo avranno un numero di copie più alte
anche se purtroppo dovranno licenziare un po’ di
giornalisti. L’idea di fondo, quindi, è di sfruttare
economie di scalae quindi avere una stessa struttura
produttiva che possa servire un numero di lettori
maggiore. Per esempio il gruppo Gedi ha dentro
testate diverse tra cui La Repubblica, la Stampa, il
Tirreno ecc. . Questi gruppi a volte hanno anche
testate di periodici e a volte sono presenti altri mezzi
di comunicazione, come per esempio le radio.

CARTA E DIGITALE

Vediamo ora la situazione tra carta e digitale ma a livello


mondiale. Il fatturato cartaceo è passato dal 95% (2012) al 89%
(2017) mentre il digitale è passato dal 5% del 2012 all’ 11% del
2017. Quindi i trend sono confermati ma i cambiamenti sono
molto lenti.

Se la pubblicità faceva il 56% delle vendite su tutti i media in


generale, adesso a livello mondiale, per i giornali la pubblicità era
più del 50% nel 2012 ma al contrario degli altri media, adesso il
peso della pubblicità sta diminuendo ed è sotto il 40%, mentre le
vendite son passate dal rappresentare poco più del 45% dei
ricavi a inizio 2012 no a rappresentare poco meno del 60% nel
2017. Il mercato continua ad essere a due facce ma negli ultimi
anni, diventano più rilevanti le vendite dirette dai privati.

Quindi oggi, sembrerebbe più premiante fare un giornale basato sulle vendite e di fatto la
pubblicità è una fonte meno rilevante.

Gli editori (almeno quelli italiani) non hanno una linea chiara: hanno il piede in due scarpe,
intendendo che cercano di puntare a entrambi i modelli di business anche se rischiano di vendere
due prodotti che si cannibalizzano l’uno con l’altro, quello free ti toglie il lettore a pagamento. I
lettori dovrebbero fare scelte più nette.

Il “Guardian” lascia tutto libero e lascia libera scelta se pagare e non avere pubblicità altrimenti si
può leggere lo stesso giornale gratis con la pubblicità. Ha scelto quindi il modello basato sulla
pubblicità e quindi è solo una versione premium senza pubblicità quella a pagamento in quanto
tutti hanno tutto anche in quella gratuita. Il guardian sta andando male.

Il New York Times ha scelto il modello di business opposto: tutto a pagamento, a parte un numero
bassissimo di articoli liberi al mese, il resto a pagamento.

Se lasciassi che gli intermediari (Google e Facebook) usino le mie notizie avrei diversi vantaggi
come ad esempio il fatto di avere nuovi lettori nella parte free del sito, ma dall’altra parte lo
svantaggio è che potrei perdere un cliente che dandosi solo di Google News non compra più il
giornale.

Il caso spagnolo riguarda il fatto che gli editori si siano scagliati contro Google News in Spagna
(che volevano essere remunerati da google perchè stava usando snippet di loro articoli) e questo
abbia chiuso Google News, non permettendo di aver clienti che attraverso google news possono
arrivare al giornale ogni giorno.

Anche Apple ha deciso di fare da intermediario promettendo di mettere anche le notizie del Wall
Street Journal (che dà alcune sezioni del suo giornale) e quest’ultimo ha detto di sì mentre il New
York Times e il Washington Post hanno detto di no.

La versione digitale di alcuni quotidiani italiani, riporta sicuramente notizie molto diverse dalla
questione cartacea. Sul sito digitale possiamo infatti trovare molti più pettegolezzi e in generale
notizie con lo scopo di farci rimanere sulla pagina il più a lungo possibile.

In Olanda, il Corrispondent, non ha deciso di citare fatti dell’attualità ma pubblica solo commenti e
opinioni che si muovono più nel lungo periodo.

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C’è un problema di occupazione ed è per
questo che gli editori chiederebbero un
intervento pubblico nel mercato per il
sostegno di una dimensione che va a essere
grande di queste case editrici rispetto a
quanto è necessario oggi (riferimenti alle
copie vendute).

C’è una questione importantissima riguardo


la qualità delle fonti perchè le informazioni
che arrivano intermediate possono essere sia
ltrate dagli algoritmi che selezionate in
maniera svantaggiosa per la democrazia.

Gli editori devono basarsi ancora sulla carta perchè questa fa ancora il 90%. Il digitale va
benissimo ma non deve essere il corrispondente della carta; vanno trovati dei prodotti giusti che
possano essere diversi rispetto all’equivalente cartaceo.

La nuova direttiva copyright lascia agli editori il diritto di poter chiedere dei soldi ma questi non
sono in una posizione di forza. Di fatto molti si sono piegati.

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