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"il visibile leggibile, udibile, intelligibile". Jean-Franois Lyotard, Discorso, figura. "niente da fare: la fotografia ha qualcosa a che vedere con la risurrezione". R. Barthes, La camera chiara

Lo statuto dellimmagine tra icona e simulacro


di Giuseppe Patella 1. Il Bilderstreit Ricordando con rammarico, in una recente udienza papale, che diversamente dal volto di Cristo, tradizionalmente conosciuto nelle immagini acheropite e della Veronica in S. Pietro e del Volto Santo nel duomo di Lucca, non conosciamo affatto il volto della Vergine Maria, stato Giovanni Paolo II a richiamare ancora oggi lattenzione sulla centralit delle immagini nellesperienza religiosa, sulla loro forza spirituale e, pi in generale, sulla loro straordinaria capacit comunicativa, evocativa e persuasiva, memore forse di quella insuperata triade funzionale delle immagini compendiata da San Tommaso, fatta di capacit istruttiva (da esse si pu imparare come dai libri), rammemorativa (portano memoria delle cose sante e le fanno facilmente ricordare) ed emozionale (stimolano alla devozione)[1]. E non poteva essere altrimenti, dal momento che lOccidente cristiano, superato linterdetto veterotestamentario dellimmagine, cui rimane invece fedele la tradizione giudaica, battezzato a nuova vita alla fonte del secondo Concilio di Nicea, nel quale veniva sancita non solo leresia iconoclastica e quindi la liceit dellimmagine, ma, cosa ben pi importante, la sua venerazione, e passato attraverso la straordinaria esperienza iconica del Barocco, che rappresenta la risposta cattolica pi energica alla furia iconoclastica della Riforma protestante, pur tra grandi difficolt e conflitti, si andato sempre pi configurando come una vera e propria civilt dellimmagine, della visione, che poi allorigine stessa di quella che stata chiamata lodierna civilt dellimmagine, in cui il segno visivo nelle sue pi disparate manifestazioni, come si vedr, ha ormai acquistato una potenza sconfinata ed un ruolo del tutto autonomo[2]. Per interrogarsi sullo statuto dellimmagine oggi occorre pertanto prendere le mosse dalle origini stesse delle nostre tradizioni religiose e culturali e fare quindi i conti, in modo specifico, con quel momento fondamentale della nostra cultura, che nella battaglia sulle immagini, il Bilderstreit, ha visto la contrapposizione tra iconofili e iconoclasti e che nel secondo Concilio di Nicea ha poi trovato la sistemazione religiosa e dottrinale pi elevata alla questione dellimmagine. noto che largomento principale contro licona deriva dalla proibizione di fabbricare immagini contenuta nellAntico Testamento: Non farai immagine o figura alcuna n di ci che si trova nellalto dei cieli, n di ci che si trova sulla terra e di ci che si trova nel profondo degli abissi[3]. Come si legge pi estesamente nel Deuteronomio: Poich non vedeste alcuna figura nel giorno in cui il Signore vi parl sullOreb, sul monte, dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita. State bene in guardia per la vostra vita, perch non vi corrompiate e non vi facciate la figura scolpita di qualche idolo - qualunque immagine! -, la figura di maschio o femmina, la figura di qualunque animale che sulla terra, la figura di ogni uccello che vola nel cielo, la

animale che sulla terra, la figura di ogni uccello che vola nel cielo, la figura di ogni rettile che striscia sul suolo, la figura di ogni pesce che vive nelle acque sotto la terra; perch, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutte le schiere del cielo, tu non sia tratto in inganno prostrandoti e adorando quelle cose (IV, 15-19). Fedele a questo divieto, il monoteismo ebraico (nonch quello islamico), rimasto fondamentalmente aniconico per il rifiuto di qualsiasi concezione antropomorfica della divinit, come emerge gi nei primi comandamenti del Decalogo, ha fissato lidentit tra iconismo e idolatria (eikon, eidolon), e in questo senso ne ha sancito la perenne condanna[4]. Diverso, invece, il caso della tradizione cristiana, unica eccezione tra i grandi monoteismi, al cui interno, pur non mancando spinte aniconiche, comunque sempre in funzione anti-idolatrica, ha prevalso una certa considerazione positiva dellimmagine. Nel cristianesimo dei primi secoli, ad esempio, bene attestata lesistenza di oggetti e immagini simbolici, cos come la presenza di affreschi nelle catacombe, nei luoghi di assemblea e di culto, spesso riguardati con vera e propria venerazione. Ma in una prospettiva pi ampia, si pensi ancor pi allaffermazione di S. Paolo secondo la quale Cristo licona di Dio (2 Cor., 4, 4), icona del Dio invisibile (Col. 1, 15), al concetto giovanneo dellincarnazione del logos in Cristo (E il Verbo si fatto carne), oppure a quello di resurrezione dei corpi nel giorno del Giudizio. Si tratta, evidentemente, di qualcosa di pi di semplici concessioni iconiche. In essi gi implicito il riconoscimento della dignit della figura umana e del mondo che essa rappresenta, che affonda le radici in uno dei principi stessi dellantropologia cristiana, nellidea centrale secondo cui Dio cre luomo a sua immagine (ad imaginem) e a sua somiglianza (ad similitudinem) (Genesi, I, 26). Ed a questo concetto di somiglianza che occorrer allora rifarsi per trovare la vera legittimazione dellimmagine, che cos intesa allontana dal pericolo di cadere nellidolatria. In questo contesto, il dibattito sullimmagine si lega pertanto sia alla definizione dellessere delluomo, sia a quella della natura del Figlio, volto e icona perfetti del Padre divino[5]. 2. Nicea e il diritto allimmagine Momento centrale per la definizione dellimmagine cos come oggi la intendiamo la famosa controversia sulle immagini dellVIII e IX secolo, che scoppiata nellOriente bizantino presto si estese allOccidente, in cui si alternarono fasi di iconoclastia e di iconodulia e il cui esito teorico pi importante rappresentato dal Secondo Concilio di Nicea. Il settimo concilio ecumenico della Chiesa Cattolica, tenutosi nel 787 nella illustre metropoli di Nicea delleparchia di Bitinia, ebbe notevoli conseguenze non solo in campo religioso, politico e spirituale, restaurando il culto delle immagini nelle chiese e ammettendo che la loro venerazione era conforme allortodossia e a Dio piacente, ma anche in campo estetico, artistico, e pi ampiamente culturale, dando il via ad una rinnovata produzione di oggetti darte e a nuove formulazioni estetiche. Nel corso di questa controversia il pensiero bizantino si trov impegnato in unampia gamma di questioni che andavano dalla sfera pi propriamente teologica e religiosa (Cristo e la sua natura) a quella politica (i rapporti tra chiesa e impero), a quella pi strettamente estetico-artistica (natura e fini dellarte)[6]. Sicch la

strettamente estetico-artistica (natura e fini dellarte)[6]. Sicch la controversia sulle immagini si trasform presto in una controversia sulle idee, su prospettive di pensiero, vere e proprie Weltanschauungen tra loro opposte, che ebbe naturalmente anche pesanti ripercussioni sul piano immediatamente pratico: nelle fasi del pi violento iconoclasmo si arriv infatti alla distruzione di quasi tutta larte bizantina del passato. Da religioso, il conflitto divenne quindi propriamente estetico, riguardando il concetto di arte, di bello, la produzione artistica vera e propria. A Bisanzio si scontrarono cos due diverse dottrine teologiche ed estetiche, come ben rileva Wladyslaw Tatarkiewicz: quella pittorica dei Greci e quella astratta dellOriente, bench si debba osservare che variamente articolate, molteplici e anche tra loro intrecciate erano le fonti e le ideologie delle due tradizioni. Laccusa di idolatria, ad esempio, lanciata agli iconofili per la venerazione delle immagini e dei simboli antropomorfi, poteva in realt essere facilmente ribaltata anche sugli iconoclasti, per il culto riservato alleffigie dellimperatore (sugli stendardi, i vessilli o le monete). Il ritratto dellimperatore non era in questo senso affatto dissimile dallimmagine di Cristo, giacch il credo iconoclasta imperiale imponeva il culto dellimmagine divina vivente storicamente incarnata nellimperatore. La stessa finale supremazia degli iconofili in questa controversia, la vittoria quindi dellimmagine sullastrazione, rappresenta bens la vittoria della tradizione ellenica, nondimeno conseguita mediante il ricorso ad una teoria mistica. Solo il misticismo pot salvare il culto delle immagini nellimpero dOriente[7]. A questo punto ci si potrebbe tuttavia chiedere: come mai una fede che era cominciata con un esplicito interdetto della rappresentazione, attaccando violentemente la creazione di immagini e resistendo ad esse fino alle estreme conseguenze, continuamente travagliata da una forte tentazione iconoclastica nellintento di rifuggire dallidolatria, ancora ostile allimmagine nel suo atteggiamento di fondo, in quanto legata ad una concezione di tipo platonico che vedeva nel segno visivo il regno delle mere apparenze distinte dalle essenze, delle ombre illusorie solo fonte dinganno, ha successivamente finito non solo con laccettare la presenza delle immagini nel culto religioso, ma ha addirittura capovolto il divieto in permesso e il permesso in consolidata consuetudine, in necessit, accordando in definitiva alle immagini un ruolo inedito e quanto mai fondamentale? A ben vedere, se si presta un po dattenzione, come si diceva anche prima, non si pu non notare che, di l dallinterdetto biblico, limmagine appartiene alla natura stessa del cristianesimo, giacch esso si fonda sulla rivelazione non solo del Verbo ma anche dellImmagine di Dio, manifestata dal Dio che si fatto uomo, tale che Giovanni pu dire: colui che ha visto me, ha visto il Padre (XIV, 9). Sicch lesistenza dellimmagine nel Nuovo Testamento viene quasi ad essere presupposta, implicita nella proibizione contenuta nellAntico Testamento: essa scaturirebbe proprio dal vuoto figurativo veterotestamentario, ne sarebbe come la conseguenza e linveramento, il suo unico compimento. Lantecedente dellimmagine cristiana, infatti, non , come potrebbe prima facie sembrare, lidolo pagano, la statua di Zeus, quanto piuttosto lassenza stessa dellimmagine, il vuoto figurativo, la mancanza di unimmagine concreta prima dellincarnazione.

dellincarnazione. Ed Giovanni Damasceno che meglio di altri si fa interprete e portavoce di questa posizione nei suoi Contra imaginum calumniatores orationes tres[8], che rappresentano una delle vette pi elevate della dottrina della Chiesa a proposito delle immagini sacre. Il suo rappresenta il primo compiuto tentativo, che spicca per vigore e originalit, da parte di un teologo cristiano di considerare in modo sistematico la questione delle immagini, considerate tanto in se stesse quanto in relazione al problema del culto loro attribuito. Egli ricorda anzitutto che lAntico Testamento non vieta espressamente le immagini, quanto piuttosto gli idoli, e distingue pertanto tra adorazione, riservata solo a Dio, e venerazione, rivolta invece ai santi, alle reliquie o alle altre immagini e oggetti sacri. La venerazione di cui le immagini sono oggetto inoltre un culto che non si concentra sulla materia che le costituisce, ma si rivolge alloriginale, transita verso il prototipo divino cui limmagine rimanda. infatti su questa somiglianza tra immagine e originale che si fonda il culto, sicch nel venerare unimmagine sacra Dio stesso che si venera: non tanto il legno di cui fatta la croce, ma il simbolo della passione e della morte di Cristo. Le cose materiali per se stesse non meritano venerazione, ma se rappresentano chi pieno di grazia, il sostenere che esse partecipano di quella grazia conforme alla fede (PG 94, 1264). In questo senso limmagine e lidea sono inseparabili, giacch per il Damasceno limmagine lidea in Dio delle cose. Su questa linea, come noto, si muover il Secondo Concilio di Nicea, nella sua formulazione conclusiva ed essenziale, che grande importanza avr per la storia dellimmagine in Occidente e per lo stesso sviluppo dellarte occidentale: [...] noi definiamo con ogni precisione e diligenza che, accanto allimmagine della preziosa e vivificante croce, le sante e venerabili icone, fatte di colori, di pietre preziose o di altro materiale adatto, vengano innalzate nelle sante chiese di Dio e applicate sui sacri vasi e paramenti, su muri e tavole, nelle case e nelle strade; che siano icone del Signore, Dio e salvatore nostro Ges Cristo, e dellimmacolata Signora nostra, santa Madre di Dio, e degli onorabili angeli, di tutti i santi e degli uomini venerabili. Quanto pi di continuo, infatti, essi vengono visti attraverso la rappresentazione iconica, tanto pi coloro che le guardano vengono innalzati al ricordo ed allardente desiderio dei prototipi. E dichiariamo anche che si pu tributare loro un affettuoso saluto ed una venerazione fatta di onori: non lautentica adorazione della nostra fede, che dovuta soltanto alla divina natura, ma lo stesso tipo di venerazione tributata alla forma della preziosa e vivificante croce, ai santi Vangeli ed alle altre cose sacre dedicate a Dio. Ancora dichiariamo che si pu fare, in onore loro, offerta di incenso e di luci, secondo il pio costume degli antichi, lonore tributato allicona, infatti, passa al suo modello. E chi venera licona, venera lipostasi di colui che dipinto in essa, giacch cos rafforzato linsegnamento dei santi Padri nostri, e cio la tradizione della santa Chiesa universale, che ha accolto il Vangelo da un confine allaltro della terra[9]. E a proposito del Concilio di Nicea, si deve rilevare che non un caso che i padri del niceno secondo si preoccuparono di confutare le argomentazioni delleresia iconoclastica appoggiandosi e discutendo proprio sui numerosi passi tratti dallAntico Testamento, in cui pi forti erano le resistenze alla raffigurazione del sacro. Ci perch ora, alla

erano le resistenze alla raffigurazione del sacro. Ci perch ora, alla luce della dottrina dellincarnazione, i divieti biblici vengono riletti secondo il disegno provvidenziale della salvezza esposto nel Nuovo Testamento, e quello che per Israele sembrava necessario per scongiurare il pericolo dellidolatria, ora non ha pi senso, giacch con levento dellIncarnazione del Verbo quel pericolo definitivamente scongiurato. cos lo stesso Damasceno che, contro gli iconoclasti fedeli alla mera lettera del divieto biblico, mostra precisamente che limmagine cristiana la diretta conseguenza dellinterdetto biblico, ne anzi come lesito ultimo e lessenziale inveramento, in quanto procede dallintima natura stessa del cristianesimo, che si fonda sullincarnazione, per cui chiaro che, quando tu abbia visto che Colui che incorporeo diventato uomo a causa tua, allora farai limmagine della sua forma umana; quando lInvisibile sia diventato visibile per la carne, allora raffigurerai limmagine di Lui che stato visto; quando Colui che nella sovrabbondanza della sua natura senza corpo e senza figura, incommensurabile ed atemporale, quando Colui che immenso e sussistente nella forma di Dio, si sia invece ristretto alla misura e alla grandezza, dopo aver preso la forma di schiavo, e si sia cinto della figura del corpo, allora riproduci la sua forma su di un quadro, ed esponi alla vista Colui che ha accettato di essere visto. Di Lui riproduci linesprimibile condiscendenza, la nascita dalla Vergine, il battesimo nel Giordano, la trasfigurazione sul Tabor, le sofferenze generatrici dimmortalit, i miracoli-segni della sua divina natura che furono compiuti con virt divina attraverso la virt del corpo, la croce salvatrice, la sepoltura, la risurrezione, lascesa al cielo. Tutte queste cose descrivi con la parola e con i colori[10]. Di qui la centralit dellevento cristiano dellincarnazione, su cui solo possibile fondare il discorso del culto e della venerazione delle immagini sacre e pertanto scorgere la vera e propria legittimazione per la rappresentazione immaginifica di tutto lambito della rivelazione cristiana allinterno della Chiesa[11]. Senza il mistero dellincarnazione limmagine scadrebbe a puro nulla, a vuota menzogna, illusione diabolica, falsit, senza la knsis, lannichilimento, labbassamento di Dio a uomo, lannullamento assunto dal Figlio nel suo lungo esilio dal Padre, la rappresentazione diventerebbe mero orpello. Tutta qui la giustificazione dellicona, la possibilit propria solo del cristianesimo, tra tutti i monoteismi, di dare spazio alla raffigurazione della divinit, di rappresentarla in figure umane sotto forma di immagine dipinta o scolpita, e di adorarla per il tramite di questa sua stessa raffigurazione. E tutta qui pertanto anche la possibilit di essere del sensibile e del visibile, fragile e caduco certo, ma che nelle forme dellarte ne celebra anche la luce e lo splendore. Sicch, sembra cogliere perfettamente nel segno il patriarca Niceforo quando afferma: se si sopprime limmagine, non il Cristo ma luniverso intero che scompare. La teologia dei padri della Chiesa stabilisce dunque le condizioni di possibilit dellimmagine divina e di conseguenza dellopera artistica e materiale in cui essa si manifesta. Nei tempi antichi Dio, incorporeo e senza forma, non poteva essere raffigurato sotto nessun aspetto; ma ora, poich Dio stato visto mediante la carne ed vissuto in comunanza di vita con gli uomini, io raffiguro ci che di Dio stato visto[12], continua il Damasceno. Cos

raffiguro ci che di Dio stato visto[12], continua il Damasceno. Cos attraverso la pittura delle immagini contempliamo leffigie della sua figura corporea, dei suoi miracoli e delle sue sofferenze, siamo santificati e confermati, gioiamo, siamo proclamati beati e prestiamo rispetto, onore e venerazione alla sua figura corporea. Contemplando la sua figura corporea noi consideriamo per quanto possibile anche la gloria della sua divinit[13]. In questo senso, le immagini cos intese non sono fuorvianti, non possono condurre allidolatria, perch ora conosciamo limmagine di Dio nel mondo delluomo, abbiamo ricevuto da Dio la facolt del discernimento e ben sappiamo che cosa viene raffigurato da unimmagine e che cosa invece non circoscritto da essa[14]. dunque lincarnazione stessa di Dio che autorizza a rappresentare il Figlio con sembianze umane e fa s che la venerazione non vada allimmagine in s ma al prototipo che essa rappresenta. Ma se cos, lAntico Testamento non che la prefigurazione del Nuovo; con il suo contrapporre la parola alla visione non si verrebbe pertanto a proibire limmagine in assoluto, ma solo a preparare la nuova immagine neotestamentaria di Dio, che si mostra nella Persona del Verbo incarnato. Cos, annota Leonid Uspenskij, la proibizione di rappresentare il Dio invisibile contiene implicitamente la necessit di rappresentare Dio, una volta che le profezie si siano adempiute. Le parole del Signore: Voi non avete visto immagini; quindi non fatene, significano: Non fate immagini di Dio finch non lavrete visto[15]. Si potrebbe pertanto conclusivamente rilevare che proprio nella misura in cui viene assicurato il rispetto del suo veto viene per ci stesso salvaguardato anche il diritto di essere dellimmagine[16]. E tuttavia si deve pur rilevare che, mai dimentico di questa sua originaria natura di divieto, il recupero che lo spazio rappresentativo viene assumendo col cristianesimo ben lungi dallessere definitivo, acquisito cio una volta per tutte, anche perch esso avviene, come scrive Gianni Carchia, tramite limpiego della nozione equivoca di figura. Ch questa, se da un lato, affermandosi - ben pi che come semplice parusia del logos - come verit incarnata integralmente sottomessa al destino terreno, fa saltare inizialmente, ponendo lurgenza della propria realizzazione, i limiti sociali e ideologici insieme del razionalismo e delleudemonismo tardo-ellenistici, dallaltro, lavora incessantemente a porre lesigenza storica e concreta che la definisce al servizio della trascendenza, dellideologia e, in definitiva, della propria autodistruzione[17]. Sembra perci che nel momento stesso in cui posta, limmagine viene anche negata nella sua autonomia rappresentativa. Sicch, come mossa dallansia della sua fine, essa rimane ancora indecisa nel proprio statuto, in bilico per un suo effettivo riscatto come spazio rappresentativo autonomo, al di l di una semplice funzione di rimando ad un significato collocato al di fuori di essa. Si tratta per, in fondo, del paradosso del cristianesimo stesso, dello scarto che al suo interno sempre si manifesta tra il rilievo dellesteriorit figurale dellimmagine, tanto maggiore nelle forme rigogliose dellarte religiosa, e la propensione per la via dellinteriorit pura dello spirito, che nel proprio cammino espunge tutto ci che parvenza di mera forma. Paradosso compreso e tematizzato a fondo forse da nessun altro come da Hegel, come ricorda ancora Carchia, anche nelle sue riflessioni estetiche sullarte classica e larte romantica[18]. Ma questa dialettica di storicit e trascendenza, visibile

romantica[18]. Ma questa dialettica di storicit e trascendenza, visibile e invisibile nello spazio rappresentativo cristiano non che la peculiarit della stessa fede cristiana, intimamente segnata proprio dal paradosso e dallo scandalo dellevento chenotico, il cui presupposto fondamentale si pu forse compendiare nellespressione: finitum capax infiniti. Ed in definitiva su di esso che si basa il riconoscimento fondamentale del valore dellapparenza sensibile, il diritto allimmagine e, in ultima istanza, la legittimazione dellopera darte, da cui lo sviluppo e la straordinaria ricchezza delle arti figurative nelloccidente cristiano[19]. Ed allora entro questo quadro concettuale, per giungere a posizioni pi recenti, che Gadamer, ad esempio, pu parlare dellimmagine come evento ontologico, di un modo di essere dellimmagine che non si pu comprendere adeguatamente come un semplice oggetto della soggettivit estetica. Essa un fatto ontologico in cui lessere si d in una manifestazione visibile dotata di senso, tale che nella rappresentazione viene a presentarsi un di pi di essere, una crescita nellessere, dice Gadamer. Ed infatti nellimmagine religiosa che ci si verifica in modo esemplare: solo limmagine religiosa pu evidenziare tutta la portata ontologica dellimmagine. della manifestazione divina che davvero si pu dire che essa acquista il suo carattere di immagine proprio attraverso la parola e la figura. Il significato religioso dellimmagine si rivela dunque esemplare. In essa risulta inequivocabilmente chiaro che limmagine non copia di un essere raffigurato, ma ha una comunione ontologica con il raffigurato. In base a questo esempio si fa evidente che larte, in generale e in un senso universale, apporta una crescita nellessere in quanto gli conferisce il carattere dimmagine. Parola e immagine non sono semplici aggiunte illustrative, ma fanno s che ci che esse rappresentano sia davvero completamente ci che [20]. Alla base di questa prospettiva gadameriana evidentemente allopera il superamento della logica del platonismo, il rifiuto della concezione platonica dellimmagine come mera copia sensibile, come semplice imitazione di un originale sovrasensibile[21], a vantaggio di una nuova concezione che vede limmagine come repraesentatio, nel senso etimologico di tenere in luogo di, quindi rendere presente, far essere presente. Allora, se intendiamo limmagine come repraesentatio, fornita quindi di una sua propria valenza ontologica, dovremo modificare essenzialmente, anzi rovesciare quasi, il rapporto ontologico tra originale e copia. Limmagine ha in tal caso una sussistenza autonoma che agisce anche sulloriginale. Propriamente, infatti solo attraverso limmagine (Bild) che loriginale diventa immagine originale (Ur-Bild), solo in virt dellimmagine che il rappresentato diventa davvero qualcosa che si d in una immagine (bildhaft)[22]. Limmagine, lapparire sensibile, non cos pi mera parvenza, illusione, copia, ma repraesentatio, vale a dire vera e propria presenza di essere, aggiunta di essere, essere che si d in presenza. Gadamer pu cos parlare anche di magia dellimmagine, che si verifica quando si ha una perfetta identit e indistinzione tra immagine e soggetto raffigurato, sembrando cos richiamarsi direttamente alle dottrine dei padri greci, a Teodoro Studita, ad esempio, il quale spingendosi anche oltre il Damasceno, sosteneva esattamente non solo la somiglianza, ma addirittura lidentit di Cristo con le sue immagini, giacch se cos non fosse Dio non potrebbe essere il vero prototipo di

giacch se cos non fosse Dio non potrebbe essere il vero prototipo di quelle immagini[23]. Come unombra inseparabile dalloggetto che la produce, cos limmagine inseparabile dal suo prototipo. Siamo in questo modo tornati nellalveo della pi pura iconofilia, di cui abbiamo visto le radici nella teologia dei padri orientali e alcuni sorprendenti affioramenti nel pensiero di Gadamer, ma il cui interprete principale nel pensiero contemporaneo, che merita ora una certa considerazione, deve essere individuato nellarciprete russo Pavel Florenskij. 3. Porta dellinvisibile: licona A partire dalla cultura bizantina, la difesa pi intrepida della posizione iconofila sembra essere rimasta intatta solo nellambito della religione ortodossa, in cui uno sviluppo mai interrotto ebbe la produzione di immagini sacre (icone), e nel cui orizzonte si deve infatti collocare la riflessione sullicona di Florenskij, sviluppata ai primi del Novecento, che appare ancora oggi come la pi interessante ed esemplare. Anzitutto, secondo Florenskij, ci che qualifica in modo essenziale licona il fatto di essere unimmagine sacra e la sua prima e fondamentale determinazione pertanto quella di appartenere al culto. Sicch a fondamento dellicona sta unesperienza spirituale, la percezione di unautentica esperienza spirituale sovramondana. Come una visione sfolgorante, straripante di luce si mostra licona. come se essa non fosse circoscritta, non puoi parlare di questa visione altrimenti che con la parola: soverchia. Si riconosce che superiore a tutto ci che la circonda, situata in uno spazio tutto suo e nelleternit[24]. Essa, dunque, non pu mai essere separata da questa sua espressione liturgica e spirituale: centrale per la sua esperienza infatti la stessa pratica liturgica mediante la quale licona viene consacrata. Ma se cos, si spiega anche perch le icone non sono il prodotto della fantasia creatrice dellartista, e neppure lespressione di un singolo individuo, ma sono manifestazioni della realt divina originaria. Licona non infatti un oggetto artistico, il risultato di una creazione individuale, una rappresentazione sensibile di alcunch, ma pi essenzialmente rivelazione e testimonianza. Essa conferma e proclama, annuncio per mezzo di colori del mondo spirituale[25]: porta regale, dunque, attraverso cui entriamo in contatto con il mondo spirituale, attraverso cui facciamo esperienza della vita dello spirito. Ecco perch ogni icona una rivelazione. Secondo Florenskij licona sarebbe come una finestra, posta al confine tra il mondo umano e quello divino, alla quale i celesti si affacciano sul nostro mondo e, allo stesso tempo, attraverso la quale noi stessi possiamo gettare uno sguardo sul mondo divino. Nel segno visibile, nelle forme colorate dellicona, si manifesta linvisibile, irrompe la sua potenza. Il Cristo e la madre di Dio nellicona sono vere e proprie manifestazioni spirituali, rivelazioni della realt divina che attraverso licona si mostra ai fedeli. allora chiaro come, secondo questa visione, limmagine non possa essere pensata alla stregua di una mera rappresentazione di un modello, come la semplice raffigurazione di un originale. Licona esula da tutto ci. Essa non affatto imitazione delloriginale, non rappresenta alcunch che sta al di l di essa, ma loriginale essa

rappresenta alcunch che sta al di l di essa, ma loriginale essa stessa: lei stessa - non la sua raffigurazione, ma Lei stessa, contemplata attraverso la mediazione, con laiuto dellarte dellicona. Come attraverso una finestra vedo la Madre di Dio, la Madre di Dio in persona, e Lei prego, faccia a faccia, non la sua raffigurazione. S, nella mia coscienza e non una raffigurazione; una tavola con dei colori ed la stessa Madre del Signore [26]. Ecco dunque la porta regale, forma vivente in cui invisibile e visibile si toccano, spazio luminoso in cui i due mondi si avvicinano e si schiudono luno allaltro, testimonianza diretta che proclama il Regno dei cieli nel nucleo stesso della vita quotidiana. Essa pertanto la porta principale attraverso cui Dio irrompe nel mondo visibile, lo spazio colorato in cui facciamo esperienza del Dio invisibile. Non allora un caso che le icone emergono visivamente sempre su un fondo dorato. Esso la pi chiara manifestazione dellatmosfera celeste che circonda i volti e le figure dei santi. La gloria della realt celeste non pu essere avvolta che di luce dorata. Licona ha tuttavia sempre bisogno anche del colore, non pu essere solo oro. Se non fosse rivelazione luminosa non sarebbe neppure pensabile, per se licona fosse solo luce pura finirebbe anche per annullarsi. Loro non si d senza il colore e il colore senza loro. infatti nella tensione, nella giusta distanza tra le distinte sfere dellessere delloro e del colore che propriamente si manifesta licona. Quanto allarte dellicona occorre notare che il carattere collettivo della sua creazione e lidentit propria dellicona stessa, che persiste sempre tale pur nella pletora delle copie, nella sovrabbondanza della produzione, una vera e propria identit nella differenza, la sottraggono alla sfera della creativit individuale e la pongono anche al riparo dallobbligo di cercare sempre nuove forme. Licona infatti sempre unopera collegiale, implica la collegialit del lavoro, e lesigenza della sua forma canonica, della sua fissit formale, pi che una limitazione, sostiene Florenskij, una liberazione, un dono: lartista il quale per ignoranza si immagina che senza una forma canonica creerebbe qualcosa di grande, somiglia al viandante cui sembri dostacolo il terreno e simmagini che appeso per aria andrebbe pi lontano che per terra[27]. Licona, del resto, non n un oggetto qualunque n un oggetto artistico: non unopera darte, unopera darte in senso autonomo, bens unopera testimoniale, a cui necessaria anche larte, insieme a parecchio daltro. La sua natura essenzialmente spirituale spiega quindi anche la sua rigidit formale, il suo evidente disinteresse per ogni forma di realismo come per ogni forma di idealizzazione artistica, quella che pu addirittura sembrare una sorta di pietrificazione della forma artistica, che non deriva certo da incapacit artistica o da insufficienza espressiva, ma esprime invece la intima presenza di perenni motivi spirituali che impediscono la modificazione dellimmagine e giustificano dunque il persistere di un medesimo canone artistico. Alla base dellesperienza dellicona si pu allora in definitiva scorgere quella che Florenskij stesso chiama una metafisica concreta[28], una metafisica dellessere non astratta, inseparabile invero dalle forme della bellezza sensibile; anzi si potrebbe dire una metafisica materiale o anche una teologia sensibile, visiva, centrata proprio sullicona, intesa come punto di contatto tra mondo invisibile e mondo visibile.

mondo visibile. Ora, per, posta complessivamente in questi termini, malgrado lapparente semplicit con cui ci si mostra, la nozione dicona ben teorizzata da Florenskij sembra rimanere nondimeno ambivalente nella sua natura e perci quanto mai difficile da pensare: una difficile bilancia, perennemente inquieta, come la definisce Massimo Cacciari. Daltra parte, secondo Florenskij, una simile esperienza spirituale dellicona si potuta conservare e tramandare solo nella chiesa dOriente, nella religione ortodossa, mentre nel cattolicesimo romano e nellOccidente in genere, soprattutto a partire dal Rinascimento e con lintroduzione della prospettiva nella pittura, invalsa una secolarizzazione e laicizzazione delle immagini: pitture e immagini assolutamente terrene, carnali, mere superfici sensibili[29]. Licona rimane dunque per noi unesperienza estranea, difficile e lontana. Collocata, del resto, al limite tra linvisibile e il visibile, loro e il colore, la luce e lombra, essa si mostra nondimeno intimamente irrisolta, duale, sfuggendo ad una definizione univoca, neutra, equidistante. Muovendosi nel mobile terreno intermedio che si spalanca tra degli opposti, essa sembra inoltre correre il rischio di lacerarsi, di smarrirsi, potendosi contemporaneamente sviluppare o verso lassoluta astrazione della Luce o verso il suo assoluto smarrimento. [...] Poich licona non pu essere perfetta, risolta bilancia tra queste dimensioni, ma il loro continuo, reciproco arrischiarsi, in essa intrinsecamente presente la possibilit di questo dissidio, di questa dissonanza[30]. per questa sua inquietudine, questo suo fluttuare che la fa essere propriamente come tale, che ne costituisce perci anche il fascino principale e ci spinge contemporaneamente a riflettere sullenigma che lavvolge. Che licona sia enigma daltra parte ben evidente: proponendosi di far vedere linvisibile, di presentare limpresentabile, di instaurare il movimento di una visione pi ampia, uno sguardo biunivoco, una corrispondenza di vedere ed essere visto, essa non pu che basarsi su unesperienza essenzialmente enigmatica, posta sotto il segno della comunicazione, della relazione e dello scambio. Ma lenigma non il mistero e licona non limmagine. Se infatti - come si legge in un interessantissimo studio di Marie-Jos Mondzain, pubblicato in Francia di recente, che mette in evidenza la connessione tra immagine, icona ed economia e sembra fondare una sorta di nuova dottrina dellimmagine, liconomie, basata proprio su questa connessione essenziale presieduta dalleconomia, intesa come relazione tra sacro, natura e ragione limmagine invisibile, licona visibile. [...] Limmagine mistero, licona enigma [...]. Limmagine similitudine eterna, licona somiglianza temporale[31]. Allicona proprio in quanto enigma, manifestazione sensibile del mistero invisibile, pertanto affidata la sola possibilit per luomo di ripetere levento dellincarnazione, di mettere in immagine limmagine invisibile che si incarnata nel corpo. Essa propriamente non rappresenta, non raffigura, ma ripete lincarnazione, rievoca la risurrezione. Lesperienza iconica risulta pertanto pienamente comprensibile solo entro le coordinate della teologia orientale, in cui lincarnazione, la chenosi, non meramente umiliazione, abbassamento, povert, ma pi essenzialmente esaltazione e trasfigurazione della carne, come sottolinea la Mondzain. Lincarnazione, scrive la studiosa francese, non affatto materializzazione e licona in quanto memoriale delleconomia

materializzazione e licona in quanto memoriale delleconomia incarnazionale mette in opera una carne che non materia; la carne dellicona tende verso quella che fu la carne della resurrezione chessa commemora e di cui mantiene la promessa[32]. Sicch se dualit esiste nellicona, scrive la Mondzain, essa non ha nulla a che vedere con una concezione che platonicamente oppone lanima al corpo, lo spirito alla materia. La dualit che abita licona figlia dellunit duale del suo modello, di quella misteriosa unit delle due nature del Cristo: corpo carnale e corpo iconico non possono divenire prigione o tomba per il Verbo. Essi ne sono, al contrario, gli strumenti economici, vale a dire le figure materiali della Redenzione[33]. In questa prospettiva, il segno iconico non pu essere compreso che come un trionfo della carne trasfigurata dallo spirito del Verbo. Gli elementi principali dellicona possono allora essere compendiati con le parole del teologo russo Pvel Evdokmov: Licona decosificata, dematerializzata, si fa leggera ma non esce dalla realt. Il peso e lopacit della materia scompaiono, e linee dorate, sottili e serrate, penetranti come raggi di energia deificante, spiritualizzano i corpi. [...] Essa pu rovesciare la prospettiva e far culminare in un solo punto tutti i tempi e tutti i luoghi. Tutto si dispiega fuori dello spazio-prigione, la posizione dei soggetti e la loro grandezza dipendono dal loro valore e significato [...]. Le figure si muovono con una scioltezza sorprendente e scivolano per cos dire lungo la superficie secondo lasse verticale o, al contrario, gravitano a partire dalla superficie, sembrano lasciarla e avanzare verso colui che le contempla [...]. I corpi conservano appena quanto occorre del reale per segnare il loro punto di partenza in questo mondo e poi lanciarsi verso lalto. [...] Lazione si svolge fuori dei limiti del luogo e del tempo, e cio dovunque e davanti a ciascuno. [...] Nelliconografia spesso la prospettiva rovesciata. Le linee si dirigono in senso inverso: il punto di prospettiva non dietro il quadro ma davanti. [...] Il mondo dellicona rivolto verso luomo. [...] Dopo lincarnazione del Verbo tutto dominato dal volto, dal volto umano di Dio [...]. Il volto costruito intorno allo sguardo, il fuoco celeste lo illumina dallinterno ed lo spirito che ci guarda[34]. dunque entro lorizzonte di un faccia a faccia con linvisibile, di uno sguardo dell(sull)assoluto, di unampia visione che contemporaneamente un vedere e un essere visti, che pu in sintesi essere colta lesperienza essenzialmente spirituale dellicona. In questo senso volto e icona, presenza e visione, somiglianza ed evocazione, rivelazione e reminiscenza, appaiono quanto mai prossimi. 4. Limmagine tecnica: il simulacro Nellambito del discorso sullimmagine fin qui svolto, non difficile individuarne il nodo teorico fondamentale nel rapporto che limmagine intrattiene con loriginale. Limmagine sembra sempre portare con s il riferimento ad un modello, ideale o naturale che sia, in relazione al quale si determina il suo stesso significato. Il problema del rapporto dellimmagine con loriginale viene a presentarsi anche nellodierna societ della comunicazione generalizzata in cui ci troviamo a vivere, solo che in essa le cose si complicano terribilmente, fino al punto in cui diventa difficile, se non impossibile (talvolta persino inutile), distinguere luna dallaltro. Qui, la distinzione tra

persino inutile), distinguere luna dallaltro. Qui, la distinzione tra visibile e invisibile sembra infatti essersi tecnologicamente dissolta, consumata, annullata, resta nondimeno il problema di capire, ora pi che mai, quale sia lo statuto dellimmagine nellepoca dellimmagine del mondo, per dirla con Heidegger, nellepoca cio in cui il mondo si ridotto e trasformato in immagine, nellepoca del trionfo del dominio e della tecnica, la cui essenza sfugge al controllo delluomo e gli si contrappone come un Gestell, per usare ancora lespressione heideggeriana[35]. La questione dellimmagine oggi si pone dunque come un problema di grande interesse e si impone nuovamente alla nostra attenzione nel momento in cui ci troviamo di fronte al fenomeno dellimmagine sociale, cio di quellimmagine prodotta dalluniverso intero dei mezzi di comunicazione di massa, che rendono di fatto possibile parlare oggi di societ dellimmagine. Ma per societ dellimmagine non si deve semplicisticamente intendere una societ in cui lesperienza umana caratterizzata dallesperienza visiva, dalla rappresentazione segnica, perch da questo punto di vista ogni societ una societ dellimmagine. Questa espressione oggi riveste un significato molto pi esteso; significa che viviamo in una societ in cui limmagine, diventata tecnica, anzi ormai elettronica, cio prodotta e riprodotta mediante linsieme delle strumentazioni ideate e controllate dalluomo (non pi solo limmagine fotografica, cinematografica e televisiva, ma ormai anche quella informatica, elettronica, grafica, video...) svolge una funzione essenziale nel processo formativo, informativo e creativo dellindividuo. Limmagine, cio, in questo contesto non pi semplicemente pensabile come un qualcosa che si frappone tra luomo e la realt, ma diventa una realt autonoma essa stessa, una nuova realt, diventa una cosa di cui disporre, da manipolare, che influisce sul nostro stesso immaginario e con cui diviene quanto mai necessario misurarsi e fare i conti. Ora, ben lungi dalla dimensione metafisica introdotta dallicona, dal suo peculiare spiritualismo, si presenta lo statuto dellimmagine con lintroduzione delle tecniche di riproduzione industriale della stessa, le cui origini si possono far risalire indietro fino allinvenzione della stampa, ma che trovano piena realizzazione solo nello sviluppo dei mass media contemporanei e dellodierna societ informatizzata. Gi nel 1964 lo studioso americano Daniel Boorstin[36] parlava della notevole capacit dei media nel loro complesso di costruire degli eventi in apparenza veri e naturali, ma che in realt trovano il loro fondamento solo nellesigenza nutrita dagli stessi mass media di avere dei fatti di cui parlare, dei contenuti di cui disporre. Pseudoeventi, dunque, come li chiamava Boorstin, creati dai media e utili solo per soddisfare il loro bisogno di comunicare e di trasmettere oggetti. Questa la capacit derealizzante dei media, che crea una situazione nella quale limmagine prende il posto del reale. Pi recentemente, in questa direzione, Jean Baudrillard[37] ha ripetutamente parlato di unera della simulazione e della simulacralit, come di un nuovo status in cui il segno ha dissolto il significato, limmagine ha perduto loriginale, in cui la realt quotidiana stata sgretolata dai media ricreandone una completamente diversa, che vive proprio allinsegna della simulazione. Ecco dunque il simulacro, vale a dire una immagine artificiale priva di dipendenza diretta dalla realt. N icona, n visione, il simulacro non ha nessun rapporto

N icona, n visione, il simulacro non ha nessun rapporto didentit con il modello, con loriginale, unimmagine priva di prototipo. Secondo Mario Perniola, che ne ha teorizzato il concetto nel nostro paese, il simulacro non unimmagine pittorica, che riproduce un prototipo esterno, ma unimmagine effettiva che dissolve loriginale; immagine senza identit: esso non identico ad alcun originale esterno e non ha una sua originalit autonoma[38]. Lo statuto dellimmagine contemporanea, segnata essenzialmente dai media, non consiste pertanto nel rinvio ad un significato posto al di l, o al di qua, dellimmagine stessa, quanto nel riferimento a s come ad una mancanza di realt, di esemplarit. Non pi realt, dunque, ma simulazione, non pi immagine ma simulacro. Per una sua adeguata comprensione, allinterno di una pi ampia dimensione epocale va tuttavia inserito il fenomeno del simulacro. Esso infatti sembra profilarsi solo nellepoca del declino della metafisica, del nichilismo compiuto, in cui, come diceva gi Nietzsche nel Crepuscolo degli idoli, insieme al mondo vero si dissolto anche quello apparente. Nel momento in cui tramontano i valori forti della metafisica, la Verit, il Soggetto, in cui diventa difficile appellarsi ad alcunch di unico ed originario, con lerosione del principio di realt introdotto dai media, si fa strada il simulacro, che si basa proprio sulla dissoluzione dellopposizione vero/falso, essere/apparire, originale/copia, presentandosi come immagine che si d in quanto immagine, tutta presente in se stessa, priva di riferimento diretto ad un originale. Esso una effettivit sociale, una presenza immediata, non una versione depauperata, imbarbarita, degradata dellopera darte o del prodotto funzionale, ma unimmagine che si d come tale, che effettiva per la sua coincidenza con loccasione da cui nasce[39]. Il presupposto teorico del discorso sul simulacro trova pertanto la sua legittimazione nella valorizzazione dellimmagine in quanto immagine, nellaffermazione della propria essenziale autonomia, nella pregevolezza del segno nella pienezza della propria presenza. Il simulacro non ha la pretesa di essere alcunch di diverso da quello che , mostrandosi completamente per ci che nel momento stesso del suo apparire. Esso presuppone pertanto sia il superamento della visione platonica dellimmagine come copia sensibile dellidea, sia il superamento dellassolutismo visionario alla base di ogni posizione iconoclastica, tanto di ieri quanto di oggi. Iconofilia e iconoclastia sono in questa prospettiva reciprocamente accomunati nel rifiuto di riconoscere il reale valore dellimmagine in se stessa: per entrambi lessenziale sempre altrove, nellidea, nel modello, nella visione, che sia rappresentabile o meno non ha importanza. Scrive infatti Perniola: Iconofilia e iconoclastia sincontrano nella pretesa metafisica di porre un rapporto tra limmagine e loriginale; che questo rapporto sia didentit, come nelliconofilia, o di differenza, come nelliconoclastia, ha poca importanza: ci che importante il presupposto metafisico, comune ad entrambe, che afferma lesistenza di un originale materializzato nellicona oppure rivelato nella visione. Ma limmagine prodotta dai mass-media non ha originale: essa una costruzione artificiosa, priva di prototipo[40]. Nellepoca della sua riproducibilit tecnica, per dirla con Benjamin, ma ormai anche della sua costruzione, fruizione e manipolazione infinite, limmagine conosce dunque funzioni, ruoli e condizioni del tutto inediti e imprevisti. Si fa largo questa nuova specie

condizioni del tutto inediti e imprevisti. Si fa largo questa nuova specie di immagine, la cui realt assai pi complessa e articolata di qualunque altra forma di realt, giacch essa non assume pi un carattere esemplare, unico, originario, sul tipo dellopera darte, quanto piuttosto presenta i tratti di unimmagine senza referente, di una costruzione artificiale senza modello, senza prototipo e incapace di presentarsi essa stessa come un modello. Simulacro allora il termine pi adatto per descrivere linsorgenza di questa nuova congerie visiva, espressione peculiare del nostro tempo. Con ci, dallimmagine come copia, riflesso sensibile dellidea sovrasensibile, e dallimmagine come icona, accesso privilegiato ad una visione spirituale, siamo passati allimmagine come cosa, artefatto che non pi n copia n originale, che ha la propria realt in se stesso, autonomo e sganciato dal riferimento ad un prototipo. Immagini dunque che sono diventate cosa[41], cose reali ed effettive, sempre pronte e disponibili, effetto per del processo di simulacralizzazione del reale, nel quale la realt stessa, quella pesante ed opaca che sempre stata parte essenziale di noi e delle nostre esperienze, si come dissolta, tecnologicamente sgretolata, lasciando il posto a questa nuova realt simulacrale, sulla cui portata dobbiamo ancora continuare ad interrogarci. Qualunque discorso imagologico non pu oggi fare a meno di tenere conto di queste nuove configurazioni dellimmagine, cos come non pu dimenticare quale ne sia la provenienza: il diritto allimmagine conquistato a Nicea in seguito alla trasgressione del divieto biblico, che per oggi diventato anche diritto alla panvisibilit. Nel profluvio visivo nel quale siamo immersi, limmagine sembra tutto, di tutto si d immagine e tutto non sembra altro che immagine. A questa sovrabbondanza visiva sembra tuttavia corrispondere una grande povert teoretica (da theorein) e immaginativa, cio una reale mancanza di capacit di vedere (leggere, udire, capire) le stesse immagini che frettolose scorrono davanti a nostri occhi. Esse non sembrano voler dire altro che la propria proliferazione e per ci stesso di esse non sembra essere pi nulla. Nel nostro impero visivo, in cui tutto pu e deve essere visto, limmagine divenuta metastasi del mondo come panvisibilit[42]. Possiamo con ci concludere dicendo di essere giunti alla fine (dellet) dellimmagine? Negata e rimossa, in realt, limmagine fa sempre il suo ritorno. Il suo potere tale e tanto che come laraba fenice capace di risorgere dalle sue ceneri. Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo assistito a numerosi casi di iconoclastia politica, evidente nei crolli dei regimi dellEuropa orientale. Assieme ai regimi crollavano e dovevano essere distrutte le immagini eloquenti dei protagonisti e degli ispiratori cui quei regimi si erano richiamati. Ecco allora le immagini dellabbattimento delle statue di Lenin a Mosca, o di Marx ed Engels sulla Potsdamerplatz a Berlino, insieme a quelle di gioiosi bambini che divertiti si aggiravano tra le rovine spezzate di quelle statue. Ma con ci ecco allora limmediato avanzare di una nuova iconologia, liconologia delliconoclastia, il trionfo delle immagini delle distruzioni delle immagini. Che sia ancora un vecchio simbolo del potere, di ogni potere, come in questo esempio o sia una nuova conformazione elettronica costruita dai media, che dissolve il nesso copia/originale, come nel caso del simulacro, limmagine certo ancora ben lungi dal conoscere

del simulacro, limmagine certo ancora ben lungi dal conoscere lavvento del proprio tramonto.
[1] Cfr. III Sent., IX, 2, 2: Fuit autem triplex ratio institutionis imaginis in Ecclesia. Primo, ad instructionem rudium, qui eis quasi quibusdam libris edocentur. Secundo, ut incarnationis mysterium et sanctorum exempla magis in memoria essent, dum quotidie oculis repraesentantur. Tertio ad excitandum devotionis affectum, qui ex visis efficacius incitatur quam ex auditis. Dove si fa quanto mai evidente il riconoscimento dellimportanza del senso della vista e si esprime chiaramente una posizione emblematica che alla base dellampio sviluppo dellarte sacra occidentale. [2] Per specifici approfondimenti sulla storia dellimmagine in Occidente si possono utilmente vedere: M. Brusatin, Storia delle immagini, Torino, Einaudi, 1989; D. Freedberg, Il potere delle immagini, [1989], trad. it., Torino, Einaudi, 1993; R. Debray, Vie et mort de limage. Une histoire du regard en Occident, Paris, Gallimard, 1992; A. Besanon, Limage interdite. Une histoire intellectuelle de liconoclasme, Paris, Fayard, 1994. [3] Esodo, XX, 4-5. Di prescrizioni aniconiche lAntico Testamento abbonda: Esodo, XX, 23; XXIV, 17; Deuteronomio, IV, 12; IV, 20; IV, 27-28; si pensi pure al noto episodio del vitello doro: Esodo, XXXII. [4] Esodo, XXX, 20. Interessante, da questo punto di vista, sembra il singolare accanimento, fino alla maledizione, del veto figurativo biblico contro la forma artistica della scultura: Maledictus homo, qui facit sculptile et conflatile, abominationem Domini, opus manuum artificium (Deut., XXVII, 15). Forse pi di ogni altra arte, la scultura ha infatti la pretesa di fissare nello spazio circoscritto della materia lincommensurabile grandezza dellirrappresentabile, costringendo la libert dello spirituale alla certezza di unindividuazione. Niente di pi estraneo alla mentalit giudaica, per la quale - come ricorda Bultmann - il primato tra i sensi spetta alludito, poich Dio non pu n deve essere veduto [...]. Il modo in cui luomo riesce a percepire Dio consiste nellascoltare, a differenza della cultura ellenica, per la quale la vista il senso pi alto (Il cristianesimo primitivo, trad. it., Milano, 1964, pp. 15-16). Il tendenziale aniconismo delle religioni monoteistiche, il rifiuto di qualsiasi rappresentazione sensibile della divinit, si spiegherebbe, secondo W. Worringer in chiave psichica, con linquietudine provata dalluomo di fronte ai fenomeni naturali di un mondo ostile. Impulsi diversi presiederebbero al politeismo e al monoteismo. Se il naturalismo delle religioni politeistiche nascerebbe da un rapporto armonico e fiducioso tra luomo e il mondo esterno, da un rapporto empatico con la natura, nei monoteismi dominerebbe invece un impulso allastrazione, che scaturisce dal bisogno di trovare un punto fermo, ideale, assoluto e necessario, sottratto allinarrestabile e minaccioso fluire del divenire della natura. Cfr. W. Worringer, Astrazione e empatia, [1907], trad. it., Torino, Einaudi, 1975, pp. 33-45. [5] Delle tre parole greche che stanno per immagine, eidolon, eikon, agalma, quella riservata al Cristianesimo, come immagine di culto, che rimanda sempre ad un paradeigma, un modello, platonicamente, eterno, ovviamente eikon. noto infatti che i Settanta impiegarono il termine eidolon, quando nel Decalogo si dice del divieto di fare immagini di Dio, ma eikon, ovviamente, quando nel Genesi si narra di Dio intento a creare Adamo. Su tutto ci cfr. il lucido saggio di K. Kerenyi, Agalma, Eikon, Eidolon, trad. it. in Demitizzazione e immagine, in Archivio di Filosofia, 1-2, 1962, pp. 161-171. [6] A questo proposito Wladyslaw Tatarkiewicz scrive: Ci si pu chiedere se la disputa iconoclastica appartenga alla storia dellestetica e non piuttosto a quella della teologia. In realt, essa appartiene ad entrambe: alla teologia, per quanto implichi conseguenze estetiche e a unestetica che si fonda su presupposti teologici. [...] La disputa bizantina riguardava non solo la natura di Dio ma anche la natura del bello. Quando, per ordine di Costantino V, i mosaici della vita di Cristo in una delle grandi chiese di Costantinopoli furono distrutti e sostituiti da rappresentazioni di animali e di piante, i contemporanei affermarono che ogni bellezza spar dalle chiese, come dice un testo del tempo che ci rimasto (Storia dellestetica, vol. II, trad. it. Torino, Einaudi, 1979, p. 56). [7] W. Tatarkiewicz, Storia dellestetica, cit., p. 51. Su questi problemi nellestetica bizantina cfr. V. Byckov, Lestetica bizantina. Problemi teorici [1977], trad. it., Galatina, Congedo, 1983 e S. Averincev, Lanima e lo specchio. Luniverso della poetica bizantina [1977], trad. it., Bologna, il Mulino, 1988.

Luniverso della poetica bizantina [1977], trad. it., Bologna, il Mulino, 1988. [8] Difesa delle immagini sacre, trad. it. a cura di V. Fazzo, Roma, Citt Nuova, 1983. [9] Vedere linvisibile, a cura di L. Russo, Palermo, Aesthetica Edizioni, 1997, p. 147; il libro presenta per la prima volta in italiano i testi sulle immagini del Secondo Concilio di Nicea, insieme ad un utile apparato critico e ad appendici storica, storico-artistica e teologica. [10] Discorsi, I, 8, PG 94, 1237 D-1240 A e Discorsi, III, 8, PG 94, 1328 D. [11] E. Benz, Teologia dellicone e delliconoclastia, in Archivio di Filosofia, cit., pp. 201-202. [12] Discorsi, I, 16, PG 94, 1245. [13] Discorsi, III, 12, PG 94, 1336. [14] Discorsi, III, 8, PG 94, 1328. [15] L. Uspenskij, La teologia dellicona [1980], trad. it. Milano, La Casa di Matriona, 1995, p. 11. [16] Nella Dialettica dellIlluminismo (trad. it. Torino, Einaudi, 1969, p. 31), proprio in questo senso Horkheimer e Adorno scrivono: il diritto dellimmagine salvato nella ferma esecuzione del suo divieto. [17] G. Carchia, La legittimazione dellarte, Napoli, Guida, 1982, p. 28. [18] Cfr. G.W.F. Hegel, Estetica, t. I, trad. it., Torino, Einaudi, 1976, pp. 595-605. Egli significativamente scrive: Lideale classico, quando sta al suo vero livello, chiuso in s, autonomo, riservato, refrattario, un individuo conchiuso, che respinge ci che altro da s. [...] le figure degli dei antichi, pur essendo umane, non appartengono al mortale, poich questi dei non hanno provato la fragilit dellesistenza umana, ma si sono immediatamente elevati al di sopra [...]. La soggettivit infinita, lassoluto dellarte romantica, non invece immerso nella propria apparenza, esso in s ed appunto perci ha la propria esteriorit non per s ma per altri, come lato esterno lasciato libero a disposizione di ognuno. [...] qui Dio stesso discende nellesistenza finita, temporale, per mediare e conciliare lopposizione assoluta che vi nel concetto dellassoluto (p. 597). [19] Presupposto che ovviamente non vale per qualunque posizione iconoclastica, riassumibile invece nellespressione: finitum non capax infiniti, che esprime lassoluta discontinuit e incomunicabilit tra il piano della storia e quello della trascendenza, implica una visione della divinit assolutamente pura e disincarnata, quindi non suscettibile di rappresentazione sensibile, nonch un tendenziale rifiuto della realt mondana. Tratti essenziali che in sintesi caratterizzano il monoteismo giudaico, quello islamico e un certo protestantesimo. [20] H. G. Gadamer, Verit e metodo, trad. it., Milano, Bompiani, 1983, p. 177. [21] Sui molteplici aspetti della concezione platonica dellimmagine si rimanda allilluminante saggio di J.-P. Vernant, Nascita di immagini e altri scritti su religione, storia, ragione, trad. it., Milano, il Saggiatore, 1982, in particolare pp. 119-152. [22] H. G. Gadamer, op. cit., p. 176. [23] Non erra chi dice che nellimmagine presente la divinit, scrive Teodoro Studita in Antirrheticus I, 12 (PG, 99, 344). [24] P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sullicona, trad. it., Milano, Adelphi, 1977, p. 70. [25] Ivi, p. 77. [26] Ivi, p. 65. [27] Ivi, pp. 79-80. [28] Cfr. ivi, p. 125, nonch pi in generale R. Salizzoni, Icona e mito, in Rivista di Estetica, 1, 1979, pp. 108-115 e, ora, Id., Lidea russa di estetica, Torino, Rosenberg & Sellier, 1992. [29] Cfr. P. Florenskij, La prospettiva rovesciata ed altri scritti, Roma, La Casa del Libro, 1983. [30] M. Cacciari, Icone della Legge, Milano, Adelphi, 1985, p. 191. [31] M.-J. Mondzain, Image, icne, conomie. Les sources byzantines de limaginaire contemporain, Paris, Seuil, 1996, p. 15. [32] Ivi, pp. 123-124. [33] Ivi, pp. 149-150. [34] P. N. Evdokmov, Teologia della bellezza. Larte dellicona, Milano, Edizioni Paoline, 1982. [35] Cfr. M. Heidegger, Lepoca dellimmagine del mondo, in Sentieri interrotti, trad. it., Firenze, La Nuova Italia, 1968 & 1984, pp. 71-101 e Id., La

interrotti, trad. it., Firenze, La Nuova Italia, 1968 & 1984, pp. 71-101 e Id., La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, trad. it., Milano, Mursia, 1976, pp. 527. Lepoca dellimmagine del mondo, scrive a questo proposito Gianni Vattimo riferendosi proprio ad Heidegger, definisce propriamente la modernit come quellepoca in cui il mondo si riduce - o piuttosto si costituisce - ad immagini; non tanto alle Weltanschauungen come sistemi di valori, prospettive soggettive, oggetto di una possibile psicologia delle visioni del mondo, ma alle immagini costruite e verificate dalle scienze, che si dispiegano sia nella manipolazione dellesperimento, sia nellapplicazione dei risultati alla tecnica, e che, soprattutto (il che Heidegger non esplicita, peraltro), si concentrano alla fine nella scienza e nella tecnologia dellinformazione (La societ trasparente, Milano, Garzanti, 1989, p. 26). [36] Cfr. D. Boorstin, The Image, New York, Harper, 1964. [37] Cfr. J. Baudrillard, La societ de consommation, Paris, Denoel, 1970; Id., Pour une critique de lconomie politique du signe, Paris, Gallimard, 1972; Id., Lchange symbolique et la mort, Paris, Gallimard, 1976. [38] M. Perniola, La societ dei simulacri, Bologna, Cappelli, 1983, p. 20 e pp. 128-129. [39] Ivi, p. 153. [40] Ivi, p. 121. [41] Sulla tendenza dellimmagine video a determinarsi come cosa, cfr. M. Perniola, La cosa videomatica, in Transiti, Bologna, Cappelli, 1985, pp. 217-229, nuova ediz. Roma, Castelvecchi, 1998, pp. 199-209. [42] L. Russo, Presentazione, in Vedere linvisibile, cit., p. 10. inizio pagina

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