Sei sulla pagina 1di 12

DIRITTO DEL LAVORO 14/5/2020

SMART WORKING (argomento fuori programma, da sapere per conoscenza,per


aumentare il voto)

Il lavoro agile

Il lavoro agile consiste in una particolare modalità della prestazione di lavoro


subordinata, contrassegnata dalle seguenti caratteristiche: - esecuzione della
prestazione lavorativa in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno,
nel secondo caso senza assegnazione ad una postazione fissa; - assenza di un orario
normale di lavoro, e rispetto dei soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro
giornaliero e settimanale; - possibilità dell’utilizzo di strumenti tecnologici per lo
svolgimento dell’attività lavorativa.

L’adozione della modalità del lavoro agile non può essere disposta unilateralmente
dal datore di lavoro né dal lavoratore, ma richiede un accordo tra le parti, accessorio
al rapporto principale, e da concludersi in forma scritta a pena di nullità. L’accordo in
discorso disciplina: - le concrete modalità di esercizio del lavoro svolto all’esterno
dei locali aziendali; - le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro; - i
tempi di riposo del lavoratore e le misure per garantire a questi la disconnessione
dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro; - l’eventuale diritto del lavoratore agile
all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle competenze; - le
forme di esercizio del potere di controllo del datore di lavoro; - l’individuazione delle
condotte, connesse alla prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali,
che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Il lavoratore agile ha diritto
a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente
applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno
dell’azienda. Il datore di lavoro resta tenuto a garantire la salute e la sicurezza del
lavoratore in modalità agile, e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante per
la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta individuante i rischi
specifici connessi all’agilità del lavoro. Il lavoratore ha diritto ad essere assicurato
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche per gli infortuni
occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a
quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali
aziendali. L’accordo sul lavoro agile può essere a termine o a tempo indeterminato.
Nel secondo caso, ciascuna parte può recedere da esso con un preavviso di 30 giorni,
elevati a 90 nel caso di lavoratori disabili. Peraltro, in presenza di un giustificato
motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel
caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo
indeterminato. Se, a seguito del recesso di una delle parti, l’accordo viene meno, il
rapporto di lavoro torna alla modalità non agile.

Lavoro agile, le norme da conoscere: come si attua, le tutele, diritti e doveri del
lavoratore

Cos’è il lavoro agile, come viene introdotto nel rapporto di lavoro, quali sono i diritti e i
doveri dei lavoratori, le tutele, il rispetto della privacy, le misure legate all’emergenza
covid-19. Tutto quello che c’è da sapere
18 Mar 2020
Nel corso dell’emergenza dettata dal coronavirus, il lavoro agile è stato ripetutamente
preso in considerazione dal Governo come “strumento” di gestione dei rapporti di lavoro
subordinato e di mantenimento dell’operatività aziendale.

In particolare, il DPCM 11.3.2020, al fine di prevenire possibili contagi in azienda e di


limitare la mobilità delle persone, “raccomanda” alle imprese il “massimo utilizzo” del
lavoro agile per tutte quelle attività che possono tecnicamente essere svolte fuori dai
locali aziendali.

Per le medesime finalità, il DPCM 8.3.2020 prevede poi che per tutta la durata dello
stato di emergenza disposto dal Consiglio del Ministri il 31.1.2020 (e cioè fino al
31.7.2020) il lavoro agile possa essere applicato dai datori di lavoro “anche in assenza
degli accordi individuali”, con “obblighi di informativa” in materia di salute e sicurezza
sul lavoro assolti “in via telematica” anche attraverso l’apposita
documentazione predisposta sul sito dell’INAIL.

Forniamo di seguito un approfondimento su che cos’è il lavoro agile, come viene


introdotto nel rapporto di lavoro, quali sono i diritti e i doveri dei lavoratori, le tutele, il
rispetto della privacy, le misure legate all’emergenza covid-19.

Cos’è il lavoro agile

Dopo una ricca esperienza basata su accordi collettivi (specie aziendali) il lavoro agile è
stato ufficialmente introdotto nel nostro ordinamento dagli artt. 18 e ss. L. 81/2017,
come adeguamento e risposta a due fenomeni sociali:

• da un lato, la trasformazione del modo di produrre delle imprese legata al


massivo impiego di strumenti informatici e, in particolare, di digital device di
ultima generazione;
• dall’altro, il radicarsi della convinzione che il lavoro svolto in un contesto di
benessere psico-fisico incrementi i livelli di produttività, conciliando la vita
professionale e la vita privata dei lavoratori e portando a positive ricadute
sull’ambiente (riduzione del traffico nelle città e degli spostamenti, ecc…).

Come chiarito dallo stesso legislatore, il lavoro agile non è una particolare tipologia
di rapporto giuridico, ma solo una possibile modalità di esecuzione di un “normale”
rapporto di lavoro subordinato tra le parti.

In particolare attraverso il lavoro agile una porzione temporale della prestazione


lavorativa continua ad essere svolta, come di norma, all’interno dei locali aziendali,
mentre un’altra porzione viene svolta al di fuori di tali locali, senza precisi vincoli di
orario o di luogo e attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici (utilizzo che la legge
inspiegabilmente definisce come soltanto “possibile”, ma che in realtà pare una modalità
“obbligata” di resa della prestazione al di fuori dell’azienda: anzi, si può dire che
l’utilizzo di strumenti digitali “portatili” e connessi distingue il lavoro agile da altre
figure contigue, quali il lavoro a domicilio e dal telelavoro).

L’introduzione della suddetta modalità di lavoro è compatibile sia con il lavoro a tempo
indeterminato che con quello a tempo determinato, sia con articolazione full-time che
part-time. Sussistono invece alcune incertezze per quanto riguarda la sua
compatibilità con alcune tipologie “speciali” di lavoro subordinato: mentre la
soluzione è ragionevolmente positiva per la somministrazione di lavoro e il lavoro
intermittente, maggiori perplessità si hanno con l’apprendistato (per il quale il lavoro
agile è forse teoricamente possibile, ma non facilmente attuabile per quanto riguarda
l’adempimento degli obblighi formativi).

L’introduzione della modalità agile nel rapporto di lavoro

Secondo la disciplina “ordinaria” la modalità di lavoro agile viene introdotta nel


rapporto di lavoro attraverso un accordo volontario tra datore di lavoro e
lavoratore (da fare per scritto a fini di prova e regolarità amministrativa), stipulabile
all’inizio del rapporto o nel corso dello stesso, con il quale viene stabilito che una
determinata parte della prestazione lavorativa abbia esecuzione (o possa avere
esecuzione) fuori dall’azienda. La materia può ovviamente essere regolata anche
dalla contrattazione collettiva (anche aziendale) che stabilisca i criteri di applicazione
dell’istituto in azienda ai quali i datori di lavoro aderenti sono tenuti ad attenersi.

Ai sensi degli artt. 18 e ss. L. 81/2017 l’accordo per lavoro agile deve individuare:

• la porzione della prestazione eseguibile o da eseguire fuori dall’azienda;


• la sua collocazione temporale (nella settimana, nel mese, ecc…) o i criteri per
determinare tale collocazione (mediante coordinamento con i superiori gerarchici,
a scelta del lavoratore, mediante programmazione per reparti o funzioni, ecc…);
• gli eventuali criteri di individuazione dei luoghi extra aziendali di esecuzione
della prestazione (in positivo, per tipologie, oppure in negativo, per divieti,
questi ultimi quanto mai opportuni al fine di rendere possibile l’effettiva tutela
datoriale della salute e sicurezza del lavoratore e l’indennizzabilità da parte
dell’INAIL di eventuali infortuni);
• l’eventuale organizzazione della prestazione per “fasi, cicli e obiettivi” di lavoro;
• le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro per quanto
riguarda le attività svolte fuori dall’azienda;
• le modalità di controllo datoriale sullo svolgimento del lavoro fuori
dall’azienda, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 4 L. 300/1970 e dalla
normativa in materia di tutela dei dati personali;
• l’individuazione delle condotte, connesse all’esecuzione della prestazione fuori
dai locali aziendali, che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni
disciplinari.
• l’indicazione dei tempi di riposo del lavoratore e delle modalità tecniche ed
organizzative per assicurare la sua “disconnessione” dagli strumenti di lavoro
durante i riposi; l’accurata determinazione di tali elementi è molto importante, in
quanto è essenziale che il datore di lavoro possa dimostrare di aver attuato
strumenti e politiche idonee a scongiurare, secondo le “best pratice” applicabili, il
rischio di “burn-out” lavorativo del dipendente;
• la disciplina di utilizzo degli strumenti informatici per rendere la prestazione
fuori dall’azienda;
• l’eventuale durata di applicazione dello strumento; in mancanza, esso deve
intendersi convenuto a tempo indeterminato, con facoltà di ciascuna delle parti di
recedere dal patto (tornando alla modalità “tradizionale” di svolgimento della
prestazione per intero in azienda) con preavviso di almeno 30 giorni (nel caso di
lavoratori disabili il recesso dal patto del datore di lavoro deve avvenire con un
preavviso di almeno 90 giorni). In presenza di un “giustificato motivo” (che le
parti possono “tipizzare” nell’accordo) è consentito alle parti recedere in anticipo
dal patto di lavoro agile a tempo determinato e recedere senza preavviso dal patto
di lavoro agile a tempo indeterminato.

Diritti e obblighi del lavoratore in modalità agile

Il lavoratore che opera in modalità agile ha diritto a un trattamento normativo ed


economico non inferiore a quello praticato, sulla base dei contratti collettivi applicabili,
ai colleghi che svolgono le medesime mansioni solo all’interno dell’azienda; sono
tuttavia ovviamente esclusi, in relazione alle prestazioni rese in modalità agile, quegli
istituti che presuppongono l’osservanza di un orario normale o comunque alcune
situazioni connesse alle modalità “classiche” di resa della prestazione (es. compenso per
lavoro straordinario, indennità di mensa, buoni pasto, indennità di trasferta).

Come detto, elemento naturale del lavoro agile è la possibilità per il lavoratore di
autogestire e distribuire anche in modo irregolare la propria prestazione nell’ambito delle
giornate lavorative “agili”, senza un ben preciso orario; ciò non esclude tuttavia che il
lavoratore debba rispettare (e il datore di lavoro debba far rispettare, attraverso apposite
misure di verifica) i limiti massimi di orario giornaliero e settimanale previsti dalla
legge e dai contratti collettivi.

Il datore di lavoro deve poi tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore anche in
relazione alle prestazioni rese in modalità agile, fornendo con cadenza annuale al
lavoratore e al RLS un’informativa scritta sui rischi generali ed i rischi specifici connessi
alla particolare modalità di esecuzione della prestazione; è tuttavia espressamente
richiamata anche a livello normativo (art. 22 c. 2 L. 81/2017) la necessità di una
pregnante “collaborazione” e autoresponsabilizzazione del lavoratore per quanto
riguarda i rischi connessi all’ambiente domestico e ad altre situazioni sulle quali il datore
non è in grado di esercitare la benché minima “signoria”.

Gli adempimenti amministrativi

L’attivazione del lavoro agile deve di regola essere preceduta da una comunicazione
amministrativa da effettuare tramite l’utilizzo di un’apposita sezione del portale del
Ministero del Lavoro “ClickLavoro” accessibile previa registrazione dell’utente;
analogamente, devono essere trasmesse in via telematica le eventuali modifiche e
cessazioni dell’efficacia del patto di lavoro agile.

Il diritto di precedenza per determinate categorie di lavoratori

La legge stabilisce in via generale che una volta che il datore di lavoro abbia deciso di
offrire ai suoi dipendenti la possibilità di effettuare prestazioni di lavoro agile, nel caso
di pluralità di richieste deve essere data priorità a due categorie di prestatori, e cioè le
madri nei tre anni successivi alla fine del congedo per maternità ex art. 16 D.Lgs.
151/2001 e i genitori con figli in condizioni di disabilità grave ai sensi della L.
104/1992.

La tutela contro gli infortuni sul lavoro

Durante le prestazioni di lavoro agile i lavoratori beneficiano dell’assicurazione INAIL


contro gli infortuni sul lavoro, che copre anche i cosiddetti infortuni in itinere (e cioè nel
tragitto tra l’abitazione e l’eventuale diverso luogo prescelto e consentito per
l’esecuzione della prestazione). Ovviamente, al fine di consentire il riscontro
dell’indennizzabilità dell’evento da parte dell’Istituto ai sensi delle norma vigenti, è
quanto mai opportuno che l’accordo di lavoro agile specifichi il luogo o i luoghi di
possibile esecuzione della prestazione, in modo compatibile con la tutela della salute e
della sicurezza del prestatore.
Il lavoro agile e il diritto alla riservatezza (privacy) dei lavoratori

Il lavoratore che rende la prestazione lavorativa in modalità agile tramite strumentazione


informatica messa a disposizione dal datore di lavoro – personal computer, tablet, pc,
smartphone, etc. – deve essere reso edotto circa le modalità di impiego degli stessi[1] e le
possibili modalità di controllo datoriale poste in essere (verifica presenza, controllo
email, etc.).

La normativa in materia di controlli a distanza, art. 4 L. 300/1970, si applica a qualsiasi


strumento dal quale possa derivare un controllo a distanza sui lavoratori, compresi
quelli “smart”, e prevede a tal proposito – ultimo comma art. 4 St. Lav. – che il
lavoratore riceva un’informativa idonea e trasparente relativa ai possibili controlli. Pena
per le mancate informazioni: le sanzioni in materia di privacy e l’inutilizzabilità delle
informazioni apprese da parte del datore di lavoro. Per quanto qui interessa il legislatore
ha previsto che: “le informazioni raccolte ai sensi dei comi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i
fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata
informazione delle modalità d’uso degli strumenti ed effettuazione dei controlli e nel
rispetto del D.Lgs. 196/2003”, ossia della normativa in materia di privacy.

L’obbligo di informativa non è ridotto alle semplici istruzioni sull’utilizzo dei


dispositivi e i controlli che ai sensi dell’art 4 L. 300/1970 il datore di lavoro potrà
svolgere a distanza, bensì, in ragione del richiamo alla normativa in materia di
riservatezza dei dati personali il datore di lavoro deve provvedere a rendere una
informativa completa ai sensi dell’art 13 del GDPR, esaustiva di tutti i trattamenti di dati
del lavoratore.

La normativa in tema di privacy, nell’ambito dei rapporti di lavoro, non si ferma qui,
sono infatti tutt’oggi applicabili i provvedimenti e codici deontologici del Garante,
nonché le prescrizioni per la corretta gestione della posta aziendale, delle password di
accesso, dei tempi di conservazione delle immagini in video sorveglianza o delle altre
registrazioni in genere della medesima autorità che non possono essere tralasciate.
Anche i dati statistici sull’utilizzo della strumentazione affidata necessitano di un vaglio
privacy a cui il datore di lavoro è inevitabilmente chiamato.

Il lavoro agile e l’emergenza COVID-19

Ciò posto in via generale, si osserva che il lavoro agile è stato ripetutamente preso in
considerazione dal Governo come “strumento” di gestione dei rapporti di lavoro
subordinato e di mantenimento dell’operatività aziendale nell’attuale periodo di
emergenza epidemiologica da SARS-CoV-19. Questo anche nel recente decreto “Cura
Italia” (D.L. 17.3.2020, n. 18).

In particolare attualmente il DPCM 11.3.2020, al fine di prevenire possibili contagi in


azienda e di limitare la mobilità delle persone, “raccomanda” alle imprese il “massimo
utilizzo” del lavoro agile per tutte quelle attività che possono tecnicamente essere svolte
fuori dai locali aziendali, con sospensione dell’attività di tutti quei reparti aziendali “non
indispensabili” per la continuazione da produzione di beni o servizi.

Per le medesime finalità, il DPCM 8.3.2020 prevede poi che per tutta la durata dello
stato di emergenza disposto dal Consiglio del Ministri il 31.1.2020 (e cioè fino al
31.7.2020) il lavoro agile possa essere applicato dai datori di lavoro “anche in assenza
degli accordi individuali”, con “obblighi di informativa” in materia di salute e sicurezza
sul lavoro assolti “in via telematica” anche attraverso l’apposita documentazione
predisposta sul sito dell’INAIL.

Il Ministero del Lavoro ha pertanto predisposto una procedura semplificata per l’invio
“massivo” delle comunicazioni di attivazione del lavoro agile connesse all’emergenza
COVID-19, basata in estrema sintesi sulla trasmissione telematica tramite il portaleweb
delle sole generalità del datore di lavoro e dei lavoratori interessati (in apposito file
exel), nonché della durata della misura, con predisposizione e conservazione presso
l’impresa di una “autocertificazione” in cui si da formalmente atto di aver applicato la
misura per uno o più dipendenti.

Infine, il decreto “Cura Italia” (D.L. 18/2020) ha stabilito:

• che fino al 30.4.2020 i lavoratori disabili ai sensi dell’art. 3 c. 3 L. 104/1992


(situazione riconosciuta di handicap grave), o che hanno nel proprio nucleo
familiare persone con disabilità ai sensi del medesimo art. 3 c. 3 L. 104/1992
hanno “diritto” di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile, a
condizione che tale modalità sia “compatibile” con le caratteristiche della
prestazione stessa (art. 39 c. 1);
• che fino al 30.4.2020 ai lavoratori affetti da “gravi e comprovate patologie con
ridotta capacità lavorativa” è riconosciuta la “priorità” (rispetto ai colleghi)
nell’accoglimento delle richieste di lavoro agile (art. 39 c. 2);
• che per tutta la durata dello stato di emergenza (o fino alla precedente data
eventualmente stabilita con D.P.C.M.) il lavoro agile costituisce la “modalità
ordinaria” di svolgimento della prestazione da parte dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni (e, tendenzialmente, delle autorità amministrative
indipendenti), salva la sola presenza negli uffici del personale individuato come
necessario per assicurare attività “indifferibili” anche per la gestione
dell’emergenza. Le pubbliche amministrazioni possono inoltre ricorrere al lavoro
agile senza necessità di stipulare un accordo con i dipendenti e sono esentate da
ogni obbligo informativo nei loro confronti. Infine potrà essere previsto che i
lavoratori pubblici in modalità agile utilizzino strumenti informatici nella loro
disponibilità personale, con esenzione in questo caso dell’amministrazione da
ogni obbligo di garantirne la sicurezza e il buon funzionamento (art. 87).
• che per la durata dello stato di emergenza le amministrazioni aggiudicatrici e le
autorità amministrative indipendenti, anche al fine di agevolare la diffusione del
lavoro agile, potranno acquistare beni e servizi informatici e di connettività con
procedure semplificate rispetto a quelle ordinarie previste dal Codice degli
Appalti (art. 75);
Le recenti misure e pongono alcuni importanti interrogativi, cui si cercherà di dare qui di
seguito una sintetica orientata all’operatività.

ogativi, cui si cercherà di dare qui di seguito una sintetica risposta orientata
all’operatività.

L’individuazione delle prestazioni che possono essere oggetto di lavoro agile

In primo luogo, pare ovvio che l’applicazione del lavoro agile potrà in ogni caso
riguardare soltanto quei rapporti di lavoro le cui mansioni siano oggettivamente
compatibili con un utile svolgimento delle attività caratterizzanti fuori dall’impresa,
mediante collegamenti informatici.

A tal fine, è opportuno che il datore di lavoro privato effettui una motivata (e
documentata) “mappatura” delle posizioni aziendali, per definire:

• quelle astrattamente suscettibili di essere coperte mediante lavoro agile, alla


luce della loro natura e del loro contenuto materiale;

tra le precedenti posizioni, quelle suscettibili di essere coperte mediante lavoro


agile in virtù dell’indispensabilità o meno della presenza fisica del dipendente al fine
di garantire un’ordinata, efficace e sicura prosecuzione dell’attività di produzione
di beni/erogazione di servizi propria dell’impresa.

In particolare, ove il lavoro agile sia materialmente compatibile con l’oggetto della
prestazione, l’esclusione della misura potrà essere determinata solo da una valutazione
di indispensabilità della presenza in loco in funzione dell’ordinata e sicura
prosecuzione dell’attività di produzione di beni o di erogazione di servizi propria
dell’impresa.

In ogni caso di presenza fisica, ovviamente, il datore di lavoro dovrà curarsi di


approntare (e documentare) tutte le misure di prevenzione e sanificazione suggerite
dal Governo , dalle Istituzioni specializzate e dal protocollo sottoscritto il 14 marzo
2020 tra le Parti sociali tra cui:

• l’allestimento dei luoghi di lavoro con distanza interpersonale di almeno un


metro;
• la sanificazione straordinaria degli ambienti e degli strumenti di lavoro;
• la messa a disposizione di soluzioni disinfettanti in adeguato numero;
• l’adeguata pubblicizzazione delle regole di comportamento;
• l’assidua vigilanza datoriale sul rispetto delle regole, con applicazione di
sanzioni disciplinari fino al licenziamento ai trasgressori.

Per quanto riguarda i datori di lavoro pubblici, la “mappatura” di cui sopra dovrà
condurre all’applicazione del lavoro agile come “regola”, nel senso che le uniche
attività legittimamente esercitabili in persona sono quelle riconosciute come
“indifferibili” (anche per la gestione dell’emergenza) e che non possono essere svolte da
remoto.

La necessità o meno dell’accordo

In secondo luogo, si pone la questione se a seguito delle attuali misure sia ancora
necessario un accordo, ancorché informale, tra datore di lavoro e lavoratore per
l’attivazione della modalità di lavoro agile.

Al riguardo si ricorda che l’art. 2087 c.c. sancisce il generale obbligo del datore di
lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale del lavoratore; e questo non solo osservando gli obblighi, i divieti e le
prescrizioni legali, ma anche compiendo quelle scelte che corrispondono a standard di
prudenza e best pratice applicabili, tutelando il lavoratore anche contro suoi
comportamenti colposamente inosservanti.

Ora, in un contesto in cui:

• il Governo espressamente “raccomanda” alle “imprese” il “massimo utilizzo”


del lavoro agile, per motivi di tutela della salute dei dipendenti e della
collettività (art. 1 c. 1 n. 7, punto a) DPCM 11.3.2020);
• la normativa da la facoltà al “datore di lavoro” di “applicare” il lavoro agile
“anche in assenza degli accordi individuali” previsti dagli artt. 18 e ss. L.
81/2017 (art. 2 c. 1 lett. r) DPCM 9.3.2020 per il lavoro pubblico art. 87 D.L.
18/2020);

a mio avviso il datore di lavoro dovrà unilateralmente disporre (e se del


caso imporre) la prestazione di lavoro agile ai propri dipendenti in tutti i casi in cui ciò
sia possibile alla luce della “mappatura” dei posti di lavoro di cui sopra,
con comportamento proattivo diretto a scongiurare le conseguenze pregiudizievoli
della permanenza in azienda e della connessa mobilità sul territorio.

La mancata adozione di tale comportamento è suscettibile di esporre il datore di lavoro


a conseguenze pregiudizievoli (civili-risarcitorie o addirittura penali) nel
malaugurato caso di contagi da COVID-19 avvenuti in occasione dello svolgimento
delle prestazioni lavorative che abbia determinato per il lavoratore l’esposizione a un
rischio specifico o “generico aggravato” rispetto a quello del contesto sociale in cui
vive.

Coerentemente, con quanto procede il datore di lavoro dovrà accogliere tutte le


richieste di lavoro agile dei propri dipendenti (stipulando appositi accordi, che
nell’attuale situazione potranno essere anche al limite orali), nei limiti in cui siano
compatibili con la “mappatura” di cui sopra. Va da se che l’eventuale rifiuto dovrà
essere adeguatamente motivato con la corrispondente incompatibilità rispetto alla
mappatura “effettuata” (e, per i datori di lavoro pubblici, anche con il più severo
requisito l’“indifferibilità” dell’attività che richiede la presenza fisica del lavoratore in
ufficio).

Nel caso di pluralità di richieste e di impossibilità di loro contemporanea soddisfazione,


varranno i criteri di priorità stabiliti dall’art. 18 c. 3 bis L. 81/2017 (lavoratrici madri nei
tre anni dalla fine del congedo; lavoratori genitori di figli disabili, v.sopra) e dall’art. 39
c. 2 D.L. 18/2020 (“gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa”, v.
sopra). Non è stata stabilita una “gerarchia” tra le varie ipotesi di priorità, ragion per cui
l’ordine di accoglimento potrà ragionevolmente essere quello “cronologico”.

Come visto sopra, esiste oggi un unico caso di “diritto” del lavoratore a svolgere le
sue prestazioni in modalità agile, vedendo disposta tale misura o accolta la sua
richiesta con il solo limite della materiale compatibilità della mansione con la suddetta
modalità. Si tratta dei lavoratori disabili o con membri del proprio nucleo familiare in
condizioni di disabilità grave riconosciuta, ai sensi dell’art. 3 c. 3 L. 104/1992. In
questi casi, la mancata attivazione del lavoro agile potrà essere giustificata solo alla luce
dell’incompatibilità materiale delle mansioni, senza che sia possibile addurre ragioni di
tipo organizzativo e/o connesse alla funzionalità dei servizi o della produzione.

Infine, il lavoratore non potrà unilateralmente auto-attivarsi il lavoro agile; nel caso
di richiesta formulata al datore di lavoro e di rifiuto di quest’ultimo, il lavoratore – ove
ritenga illegittimo tale rifiuto per via della compatibilità del lavoro agile con le proprie
mansioni e per la non indispensabilità della sua presenza fisica per la continuazione della
produzione in condizioni di sicurezza – potrà scegliere se esercitare l’eccezione di
inadempimento ex art. 1460 c.c., rifiutandosi di rendere la prestazione lavorativa
“in presenza”.

Poiché l’eccezione ex art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento) è esercitabile senza


alcun preventivo controllo giudiziale, è ovvio che il lavoratore si dovrà assumere il
“rischio” della sua scelta: infatti, ove il suo rifiuto non sia ritenuto giustificato (per
incompatibilità del lavoro agile con le sue mansioni o per ragionevole indispensabilità
della prestazione, con allestimento da parte del datore di lavoro di tutti i presidi di
sicurezza necessari) l’interessato potrà subire le conseguenze disciplinari dell’assenza
ingiustificata e dell’insubordinazione alle direttive datoriali.

Come detto, il rifiuto della prestazione “in presenza” potrà avvenire anche in caso di
mancato allestimento delle idonee misure di sicurezza e prevenzione da parte del
datore, anche qui con l’avvertenza che, in caso di controversia, se il datore di lavoro
riuscirà a dimostrare che l’ambiente lavorativo, per le iniziative adottate, non
determinava alcun rischio specifico o generico aggravato di contrazione del SARS-CoV-
19, il lavoratore sarà esposto alle conseguenze disciplinari della sua iniziativa.

L’ “autocertificazione” ed i suoi contenuti


Infine, nel caso di accordo informale con il dipendente il datore di lavoro dovrà riportare
nella “autocertificazione” eccezionalmente sostitutiva dell’accordo scritto la
precisazione che il lavoro agile è stato attivato, d’intesa con il dipendente, in relazione
alla dichiarazione da parte del Governo dello stato di emergenza nazionale, inserendo
tutti gli altri elementi concordati tra le parti (come sopra visti). Tali elementi dovranno
ovviamente essere compatibili con le restrizioni vigenti in materia di emergenza
COVID-19.

DIRITTO SINDACALE min 56.00

https://doc.studenti.it/vedi_tutto/index.php?h=4621f442&pag=4

art 39 Cost. L’organizzazione sindacale è libera.


Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso
uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento
interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in
proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia
obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Che cosa significa? Questo articolo è stato elaborato in netto contrasto con quanto
successo negli anni del fascismo, quando i sindacati vennero sciolti e sostituiti dalle
corporazioni, costituite da lavoratori e industriali ma in realtà controllate dallo Stato. La
libertà sindacale sancita dall’art. 39 rappresenta una garanzia costituzionale sia per le
organizzazioni sindacali, libere di costituirsi e di svolgere le loro attività di tutela degli
interessi dei lavoratori, sia per i lavoratori, liberi di aderire alle organizzazioni esistenti
oppure di formarne di nuove o ancora di non iscriversi ad alcuna associazione.
La Costituzione vieta i sindacati misti (quelli che riuniscono sotto un’unica
organizzazione sia gli imprenditori sia i lavoratori) e i sindacati di comodo (quelli
costituiti con il contributo determinante dei datori di lavoro).
Esistono limiti soggettivi che riguardano alcune categorie di lavoratori, come quella dei
militari o della Polizia di Stato: la libertà sindacale di cui godono è ristretta dalle loro
particolari funzioni lavorative (garantire la sicurezza dello Stato e la difesa della
collettività).
Va inoltre sottolineato che il secondo, il terzo e il quarto comma dell’articolo non sono
mai stati applicati: i contratti nazionali sono dunque validi, in linea teorica, solamente
per i lavoratori iscritti a quei sindacati che firmano gli accordi.

Ma perché...? In Italia esistono parecchi sindacati, a volte coesi tra loro, più spesso in
contrasto: le cause delle divisioni riguardano soprattutto l’orientamento politico; alcuni
sindacati sono inoltre storicamente propensi alla contrattazione, altri allo sciopero. I
sindacati non sono distribuiti in modo omogeneo ma, a seconda delle regioni e dei
settori, sono prevalenti alcuni sindacati piuttosto che altri. La forza di un sindacato si
misura in base ai suoi iscritti e alla sua capacità di catalizzare intorno a sé il consenso
dell’opinione pubblica e delle forze politiche.
Nella società occidentale i sindacati sono sorti tra il XIX e il XX secolo, per difendere e
promuovere i diritti dei lavoratori in un contesto caratterizzato da grandi aziende, ampie
masse di lavoratori dipendenti e scarse tutele per i lavoratori. Molti commentatori
ritengono che oggi le forme della lotta sindacale e il peso che i sindacati hanno nelle
scelte economiche siano improprie (i sindacati non avrebbero il diritto di interferire con
le scelte aziendali) e dannose per l’economia (per tutelare i propri iscritti, i sindacati
danneggerebbero la competitività delle aziende); altri sostengono invece che il loro ruolo
sia ancora fondamentale per difendere i diritti dei lavoratori.

art 40 Cost.

Potrebbero piacerti anche