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Nuova biblioteca di cultura 204

Collana diretta da Ignazio Ambtogio

Serie scienfifica
.a cura di Carlo Bernardini
Vladimir IgoreviE Arnold

Metodi matematici
della meccanica classica

Edito~iRiuniti Edizioni Mir


a 63-3n3-x
ISBN 88-359-3573-3
Prima parte
MECCANICA NEWTONIANA
I. Fatti sperimentali
gruppo di 8alilei e le equazioni di Newton, p. I?
d i sistenli meccanici, p. 10.
- -
9 I. Princi i di relativita e di dctern~inismo, p. 11 9 2. I1
93. E r m p i

11. Studio delle equazioni del moto


.
3 4. Sirtemi a un grado di liberti, :?2 - 9 5. Sistemi a due gradi
di liberti. p. 27- 5 L Carnpo di krze cooservativo, p. 33- 9 7.
I1 moraento della qualltit5 tli moto, p. 35- 8. Anallsi del,moto
in un canlpo centrale, p. 38 - fr 9. bloto di un punto in uno
spazio tridimensionale, p. 46 - cj 10. Bloto cii un sistema di n
punti, p. 48 - 9 11. Co~~sitlerazioni di similitudine, p. 54.

Seconda parte
hlECCAKICA LAGHANCIASX
111. I1 principio vi~rii~zionale
9 12. Calcolo dellc variazionI. p. 58 - 5 13. L'e uazione di
Lagrange. p. 62 - 9 I I . La trasiorrnazione di ~ e g e n % e , ~65
: -
9 15. Le equaz~onidi Hamilton, p. 68- 16. I1 teorema I L~ou-
ville, p. 51.
IV. hieccanica lagrangiana su varietl
9 17. Vincoli olonomi, p. 7;- 5 18. Varieti differenziabili, p. 59
- 9 19. Sistemi dinamici lagrangiani, p. 85 - f 20. 11 teorema
di E. Xoether. p. 90-$21. I1 principio di D'Alembert, p. 93.
V. Oscillazioni
9 22. Linearizzazione. p. 100 - 9 23. Piccole oscillazioni, p. 105
- 9 24. Sul cornportalnento delle frequenze proprie, p. 111 -
9 25. Risonanza pararnetrica p. 115.
VI. Corpi rigidi
f 26. Moto in un sistema mobile di coordinate ,124 - $ 2 1 .
Form dVine.rzia.Form di Coriolis,
- - b:
129 $ Corpi riedl,
133 Q 29. Equazioni di Eulero.%escririone del m o b roondo
Ainsot, p. 143 - -
5 30. ~ m t t o l adi Lagrange, p. 148 Q 3i.
Trottola addormentata e trottola veloce, p. 153.
Tena parte
MECCANICA HAMILTONIANA
VII. Forme differenziali
32. Forme esterne, p. 161 - $ 33. Prodotto esterno,
diffemnziali, p. 178 - § 36.
8. -
Q 34. Forme diffemnziali, p. 171 - f 35. Integ~azionede e 167
forme
Differenziazione esterna, p. 485.
VIII. Varieti simplettiche
37. Struttura simplettica su una varietk, p. 198 - 38. Flussi
di fase hamiltoniani e loro invarianti integrali, .200 - 839.
Algebra di Lie dei campi vettoriali, p. 205 - (
-
h. Algebra di
Lie delle funzioni di Hamilton, p. 211 541. Geometria aim-
plettica, p. 216 - § 42. Risonanza parametrica in sistemi a molti
gradi di ,libertl, p. 222 - 8 43. Atlante simplettico p. 226.
IX. Formalismo canonico
44. Invariante integrale di Poincad - Cartan, 230 - f 45.
Comllario del teorema dell'inrariante integrale d;;
Poind -
Cartan, p. 236- 46. Princi io di Huygens, .245 - f 47. Me-
todo di iacmbi - Hamilton Qlintegrarione del?e equazioni u n o -
niche di Hamilton, p. 254 - f 48. Funzioni generatrici, p. 263.
X. Introduzione alla teoria delle perturbazioni
Q 49. Sistemi integrabili, p. 267 - Q 50. Variabili azione-angolo,
p. 274 - f 51. Media, p. 28L - 52. Media delle perturbazioni,
p. 2%.
Appendice 1. Curvatura riemanniana
Appendice 2. Geodetiche delle metriche invarianti a si-
nistra su dei gruppi di Lie e idrodinamica
del fluido perfetto
Appendice 3. Struttura simplettica su varieti algebriche
Appendice 4. Strutture di contatto
Appendice 5. Sistemi dinamici dotati d i simmetria
Appendice 6. Forme normali delle hamiltoniane qua-
dratiche
Appendice 7. Forme normali di sistemi hamiltoniani
nell'intorno di punti fissi e di traiettorie
chiuse
Appendice 8. Teoria delle perturbazioni dei moti quasi
periodici e teorema di Kolmogorov
Appendice 9. Teorema geometric0 di Poincar6, sue
generalizzazioni e applicazioni 429
Appendice 10. Moltepliciti delle frequenze caratteristich~
ed ellissoidi dipendenti dai parametri 439
Appendice 11. Asintotiche ad onde corte 453
Appendice 12. Singolarith lagrangiane 463
Appendice 13. Equazione di Korteweg - de Vriea 471
Indice analitico 475
I n mecEanica classica si utilizzano metodi e concetti matematici
molto diversi: equazioni differenziali e flussi di fase, applicazioni
regolari e varietit, gruppi ed algebre d i Lie, geometria simp lettica
e teoria ergodica. Molte delle moderne teorie matematiche hanno
avuto la loro origine i n problemi di meccanica .e solo i n seguito hunno
assunto quella forma astratta ed assiomatica che ne ren& cosi diffi-
cile lo studio.
I n questo libro l'apparato matematico della meccanica classica
viene costruito sin dall'inizio, i n modo tale che non si richiedono at
lettore conoscenze preliminari, diverse da quelle che si ottengono nei
corsi normali di analisi (derivata, integrale, equazioni differenzia-
li), di geometria (spazio lineare, vettori) e di algebra lineare (opera-
tori lineari, forme quadratiche).
Per mezzo di tale apparato matematico vengono esaminate tutte
le questioni fondamentali relative ai sistemi dinamici, compresa la
teoria delle oscillazioni, la teoria del n o t o del corpo rigido e il
formalismo hamiltoniano. L'autore hu cercato ovunque di mostrare
l'aspetto geometric0 e qualitativo dei fenomeni. I n questo senso il
libro 2 piii vicino a1 corso di meccanica teorica per fisici teorici che ai
corsi tradizionali di meccanica teorica usati dai matematici.
U n a parte significativa del libro 2 dedicata ai principi variazio-
nali e alla dinamica analitica. F. Klein caratterizzb la dinamica
analitica, nelle sue Lezioni sullo sviluppo della matematic? nel
diciannovesimo secolo, nel mod0 seguente: u I fisici possono ricavare
da questa teoria solo una piccola parte di informazioni per i loro
problemi, e gli ingegneri nessccna i. Lo sviluppo della scienza negli
ultimi anni ha decisamente conf utato questa osservazione. I1 forma-
lismo hamiltoniano 2 alla base della meccanica quantistica e rap-
presenta attualmente uno degli strumenti piii frequentemente usati
fra i metodi matematici della fisica. Dopo che fu riconosciuto il
valore della struttura simplettica e del principio di Huygens per
tutti i possibili p r o b h i di ottimizzazione, le equazioni di Hamilton
sono state costantemente usate nei calcoli ingegneristici i n questo
campo. D'altra parte, b sviluppo modern0 della meccanica celeste,
derivante dalla richiesta di studi cosmici, ha fatto rinascere l'interesse
per i metodi ed i prohlenti della Rinamica analilica.
Ci sono ntolti e diversi 1egam.i fra la mecca~zicaclassica ed altri
,
rami della matematica e della fisica. Le a Appendici alla fine del
libro mostrano alcurti di qriesti hgami. .Le npplicazioni dell'apparato
della meccanica classica, che si considerano qui, sono i fondamenti
della geometria rientanniancz, la dinamica clel jliiido perfetto, l a
teoria di Kolmogorov aclle pertlirbazioni dei rnoti quasi periodici,
l'asintotica ad on& corte per le equazioni clella fisica rnatemcitica e la
classificazionc delle catistiche i n otticn geometrica.
Queste appendici so12o dedicate nl lettore 'nteressato e non
entrano nella parte obhligatorin del corso. A lcune di qr~eslenppendici
possono fornire In base per dei corsi speciuli (ad esempio. per ten corso
sui metodi asintotlci della teoria delk oscillazioni non lineari o per
le asintotiche quasi classiclte). Nelle appendici sono anche riportate
delle in.forma.zioni a carattere cli ntanuale (per esetr~pio,l'elenco delle
forme norrnali delle hamilto~zinnequadratiche). L'uutore ha cercato,
nei capitoli fondanlentclli del libro; di riportare tutte le dimostrasio~ti
nel rnodo pi& accurato possibile, euitando di rimandare alla lettura
di altri a.rticoli: nelle appendici invece sono per lo pi11 elencati
i risultati, per la clci dimostrnzione si rimanda alla letteratura
relativa.
L a parte fondamentale del libro b costituita da u n corso obbli-
gatorio di meccanica classica, della durata di tre semestri, tenuto
dall'autore negli anni '66-'68 agli studenti del terzo e del quarto
anno di matematica, cite freqrientavano la facolt& di Meccanica-
illate~naticadell'Universit& Statale di .qfosca (ICfGU).
L'autore ringrazia I . G. Petrovskij, che ha insistito perchi questo
corso di lezioni fosse letto, riscritto e stampato. L'autore ha ricevtcto
un grande aiuto nel preparare le lezioni per la stampa da L . A. Buni-
movii., L . D. Vajngortin,, V . L. Novikov, che hanno fornito i loro
appunti rclativi alle lezioni, e particolarmente da N . N . Kolesni-
kov, che ha organizzato la stampa a rotativa ( M G U , 1968). L'autore
b p t o a queste persone, cosi come a quanti lo hanno segu.ito e ai
colleghi, chc hnnno suggerito le loro osservazioni sul testo stampato:
molte di queste osservazioni sono state u tilizzate per preparnre questa
edizione. L'autore ringrazia infine M. A. LeontoviE, che ha proposto
un'intepretazione dei vincoli per mezzo di u n passaggio a1 limite,
e I . I . 170rovii.e V . I . JudoviE per I'attenta recensione del manoscritto.
V. Arnold
Prima parte
MECCANICA NEWTONIANA

Ln meccanica newtoniana studia il movimento di sistemi di


punt i materiali nello spazio euclideo tridimensionale. In tale
spazio opera il gruppo a sei dimensioni dei movimenti spaziali.
I cor~cettifondamentali e i teoremi della meccanica newtoniana
(anche so formulati in coordinate cartesiane) sono invarianti ri-
spetto a questo gruppo l.
Un sistema newtoniano meccanico potenziale L' individuate
dalle masse dei punti e dall'energia potenziale. Ai movimenti dello
spazio che lasciano invariata I'energia potenziale, corrispondono
delle leggi di conservazione.
Le equazioni di Newton permet.tono di trattare esauriente-
mente una serie d i importanti problemi meccanici, come
ad esempio il problema del mot0 in un campo centrale.

I. Fatti sperimentali
In questo capitolo sono elencati i fatti sperimentali fonda-
mentnli che sono alla base della meccanica: il principio di relati-
vith galileiano e le equazioni differenziali di Newton. Vengono
anche considerali i viocoli imposti dal principio di relativith
galileiano alle oqnazioni clel moto e presentati alcuni esernpi
semplici.

$ 1 . Principi di relativit6 e di determinism0


In questo paragrafo i! introdotto e discusso il concetto di
sistema inerziale di coordinate. La formulazione matematica-
mente rigorosa delle affermazioni di questo paragrafo s a r i fatta
nel paragrafo successive.
'

Ed anche rispetto ad un gruppo piii grande, quello delle trasformazio-


ni galileiane spazio-temporali.
La meccanica classica Q fondata su un certo numero di fatti
sperimentali I. Elenchiamone alcuni.
A. Spazio e tempo. I1 nostro spazio B tridimensionale ed
euclideo, mentre il tempo B unidimensionale.
B. Principio di relativita galileiano. Esistono dei sistemi
d i coordinate (detti ineniali), che soddisfano alle seguenti due
proprietii:
1) Tutte le leggi della natura, ad ogni istante, sono uguali
in tutti i sistemi ineniali di coordinate.
2) Tutti i sistemi di coordinate che si muovono rispetto ad un
sistema ineniale di mot0 rettilineo ed uniforme sono ineniali.
In altre parole, se un sistema di coordinate solidale con la
Terra B ineniale, uno sperifnentatore che si trovi su un treno che
si muova di mot0 rettilineo e uniforme rispetto alla Terra non
pu6 osservare il mot0 del treno con esperimenti che si svolgano
interamente all'interno del treno stesso.
In effetti un sistema di coordinate solidale con la Terra
6 ineniale solo approssimativamente. Con precisione crescente
sono inerziali i sistemi di coordinate solidali con il Sole, con le
stelle, ecc.
C. Principio di determinismo di .Newton. Lo stato iniziale
di un sistema meccanico (l'insieme delle posizioni e delle velocith
dei punti del sistema ad un certo tempo) determina univocamente
tutto il suo moto.
Noi non ci meravigliamo di questo fatto, poichC esso 6 noto
da molto tempo. Si pub immaginare un mondo nel quale, per
determinare il futuro di un sistema, sia necessario conoscere all'i-
stante iniziale anche le accelerazioni. L'esperienza mostra che il
nostxo mondo non B cosi.

$ 2. I1 gruppo di Galiki e b equazioni di Newton


In questo paragrafo viene definito e studiato il gruppo delle
trasformazioni galileiane dello spazio-tempo. Vengono inoltre
considerate le equazioni di Newton e le limitazioni piii semplici
imposte ai loro secondi membri dalla proprietii di invarianza ri-
spetto alle trasformazioni galileiane 2.
A. Notazioni. Con R indichiamo l'insieme dei numeri reali.
Con Rn ir~dichiamolo spazio lineare ndimensionale reale.

Tutti questi 8 fatti sperimentali sono veri solo approssimativamen


te e sono contraddetti da esperimenti pi^ precisi. Per evitare puntualiz-
zazioni noiose, nel seguito tralasceremo questo fatto e parleremo dei nostri
modelli matematici come se rappresentassero una descrizione precisa dei
fenomeni fisici.
"1 lettore cbe non sente la necessita di una formulazione matematica
do1 contenuto del Q I , pub tralaaciare questo paragrafo.
Lo spazio affine ndimensionate An differisce da R" per il
fatto che in esso u non B fissata l'origine delle coordinate D. I1
gruppo Rn agisce in An come il gruppo dci trasporti p m l l e l i
(fig. I):

(In tal modo, la somma di due punti d i An non B definita, ma la


differenza si, ed Q un vettore di Rn.)
Una struttura euclidea nello spazio lineare Rn B una forma

stanza
p(z, Y)==llf.-Y l I ~ V ( ~ - Y 2-Y)
,
dLdb
simmetrica bilineare definita positiva, detta prodotto scalrrre. I1
prodotto scalare permette di definire la di-

tra punti del corrispondente spazio affine An.


Cno spazio affine, in cui B stata introdot- Fig. i. n11eZ
Tras rtO pa-
ta in questo mod0 una distanza, si chiama
spazio eltclideo e si indica con E".
B. Struttura galileiana. Una struttura spazio-temporale ga-
lileiana comprende i seguenti tre elementi:
1) L'universo, cioi? uno spazio affine quadridimensionale AC.
I pullti di A&si chiamano punti di universo o eventi. I trasporti
paralleli dell'universo AC costituiscono uno
spazio lineare Rb.
2) I1 tempo, cioh un'applicazione linea-
re t: R -t R dello spazio lineare dei tra-
sporti paralleli dell'univeno sull' aasse dei

-
A* tempir reale. L'intervallo d i tempo tra
l'evento a E A4 c I'evento b E Ah b il numero
t (b - a) (fig. 2). Se t (b - a) = 0 gli even-
t t i a e b si dicono contemporanei.
Un insieme di eventi contemporanei tra
Fig- 2. L'intervallo
di tempo t.
loro forma un sottospazio affine tridimensio-
nale di A&. Esso viene chiamato spazio
degli eventi contemporanei As.
I1 nucleo dell'applicazione t consiste nei trasporti paralleli
di Ah, che portano un evento (e quindi ogni evento) in un evento
ad esso contemporaneo. Questo nucleo forma uno spazio lineare
tridimensionale Rs, sottospazio dello spazio lineare RC.
C'na struttura galileiana comprende ancora un elemento.
3) Una di&anza tra eventi contemporanei,

Anticamente l'univem era fornito non di una struttura affine, ma


+
lineare (sistema geocentric0 creazione dell'universo).
definita tramite un prodotto swlare nello. spazio Ra. Qubsta
distanza trasforma ogni spazio di eventi contempotanei in uno
spazio euclideo tridimensionale E".
Lo spazio A', fornito di una struttura spazio-temporale gali-
leiana, si chiama spazio galileiano.
Si pud parlare di due eventi accaduti contemporaneamente' in
luoghi diversi, ma l'affermazione 4 due eventi non contemporanei
a, b E A4 sono accaduti nello. stesso posto dello spazio tridimensio-
nale n non ha senso, finch6 non sia stato scelto un sistema di
coordinate.
Si chiama gruppo galileiano il gruppo di tutte b trasformazio-
ni dello spazio galileiano che ne conservano la struttura. Gli
elementi di questo gruppo si chiamano trasfonnazioni galileiane.
Pertanto le trasformazioni galileiane consistono nelle trasforma-
zioni affini di A4, che conservano gli inteivalli di tempo e la di-
stanza tra eventi contemporanei.
E s e m p i o. Consideriamo il prodotto diretto R x Ra
dell'asse t per lo spazio lineare tridimensionale R G o n una strut-
tura euclidea fissata. Un tale spazio, ha una struttura galileia-
na naturale. Chiameremo questo spazio spazio galileiano delle
coordinate.
Diamo tre esempi d i trasformazioni galileiane di questo spa-
zio. In primo luogo il mot0 unifonne di velocitii v

In second0 luogo la trashzione dell'origine

Infine la rotazione degli assi di coordinate

dove G: R3 --t R3 6 una trasformazione ortogonale.


P r o b 1 e m a. Dimostrare che ogni trasformazione galileia-
nu dello spazio R x Rs si pub rappresentare come prodotto di una
rotazione, di una traslazione e di u n mot0 unifonne ( g =
= g,. g,. g,) e cib i n modo unico (cosicch6 la dimensione del gruppo
+ +
galileiano B 3 4 3 = 10).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che tutti gli spazi galiletani sono
isomorfi tra loro 2 e, in particohre, isomorfi allo spazio delle coor-
dinate R x RS.
Sia M un insieme. Un'applicazione biunivoca cp,: M + R x
X RS si chiama sistema galileiano d i coordinate nell'insieme M.

1 Ricordiamo che il prodotto diretto di due insiemi A , B h l'insieme


delle coppie ordinate (a, b ) , dove a E A , b E B. 'I1 prodotto diretto di due
spazi (lineari, affini, euclidei) ha la struttura di uno spazio dello stew tipo.
Cioh esiste un'applicazione biunivoca tra loro che canaerva la strut-
tura galileiana.
I1 sistepaa di coordinate cp, si muove uniformemente rispetto a1 si-
stema cp,, se cp, w c p ; ' : R X RS + R X Rs B una trasformazione
galileiana. I sistemi di coordinate galileiane cp, e. cp, definiscono su M
uh'unica struttura galileiana.
C. Moto, velocitii, accelerazione. Un'applicazione differen-
ziabile x :I -t RN dell'intemallo I dell'asso reale in RN si chia-
ma mot0 in RN.
Si chiama vettore velocith nel punto to E I la derivtaa

Si chiama vettore accelerazione nel punto to la derivata seconda

Supporremo che tutte le funzioni che avremo occasione di


incontrare siano differenziabili con continuith un numero suffi-
ciente di volte. Nel seguito, a meno che non sia esplicitamente

Fig. 3. Traiettoria del mot0 di un Fig. 4. Linee di' universo.


punto.

specificato altrimenti, intenderemo per applicazione, funzione,


ecc. un'applicazione, funzione, ecc. differenziabile, L'immagine
dell'applicazione x :I + RN si chiama traiettoria o curva in RN.
P r o b 1 e m a. Pub una traiettoria di un mot0 differenzia-
bile nel piano avere la forma illustrata nella fig. 31 Pub il vettore
accelerazione avere il valore indicato?
Risposta. Si. No.
Definiamo ora un sistema meccanico di n punti in mot0 nello
spazio euclideo tridimensionale.
'
Sia x :R +Rsun mot0 in Rs.I1 grafico di questa applicazio-
ne B una curva in R X Rs.
Una curva in uno spazio galileiano che sia il grafico di un
moto in un qualche (e quindi in ogni) sistema di coordinate gali-
leiano, si chiama linea di universo (fig. 4).
I1 mot0 di un sistema di n punti b individuato da n linee di
wiverso in uno spazio galileiano. In un sistema di coordinate
I1 grafico di un'applicazione f :A + B B il sottoinsieme del prodotto
diretto A x B, costituito da tutte le coppie del tipo (a, f (a)), a E A .
galileiano esse individuano n applicazioni x , : R + Ra, i =
= 1, . . ., n.
I1 prodotto diretto di n copie d i R%i chiama spazio delle
configurazioni do1 sistema d i n punti. Le nostre n applicazioni
xi : R -t Ra definiscono un'unica applicazione

dell'asse dei tempi nello spazio delle configurazioni. Una tale


applicazione si chiama anche mot0 di un .sisternu di n punti nel
sistenta di coordinate galileiano R x Ra.
D. Equazioni di Newton. Secondo il principio di determi-
nismo di Newton (§ I, B), tutti i moti d i un sistema sono univoca-
mente determinati dalla loro posizione iniziale ( x (to) E R N )
e dalla loro velociti iniziale (i
(to) E RN).
In particolare, la posizione e la velocitdc iniziale individuano
l'accelerazlone. In altre parole, esiste una funziorle F : RN ):
x RN x R -+ R N tale che
..
x = F ( x , x, t). (1)
L'equazione (1) ii stata posta da Sewton a fondamento della
meccanica. Si chiama equazione di Arerrton.
Per il teorema di esistenza ed uniciti della teoria delle equa-
zior~idifferenqiali ordinaric, la fur~ziorleI.' e le condizioni iniziali
a: (t,), ( t o )individuano uni\~ocamen-

-t--p
tc il mot0 '.
La forma della funzione P' per ogni

- ti^ galikiana.
sistcma meccanico concreto i? definita
t sperimentalrnente. I)al punto di vista
matematico la forrna di 1.' perogni si-
Fig. 5. Princi io di relativi- sterna rappresenta la okfinizione di que-
sto sistema.
E. Limiti imposti dal principio di
relativitil. I1 principio di relativiti galileiana afferma che uello
spazio-tempo fisico esiste una certa struttura galileiana (4 classe
dei sistemi di coordinate inerziali B) che soddisfa la seguente
condizione.
Se applichiamo alle traiettorie spazio-temporali di tutti i punti
di un sistema meccanico 2 una ed una sola trasformazione galileianu,
Con alcune candizioni di regolariti che qui, naturalmcnte, si suppon-
goiio soddisfattc. In ge;~erale,la (1) definiace il mot0 solo su un ccrto intervallo
dell'asse dei tempi. Per sernpliciti supporrerno che questo intervallocoinci-
da con l'intero asse dei tempi, conclizione che i! soddisfattn nella ~naggior
parte dci problemi di meccanica.
2 I1 principio di relativiti i! formulato in n~apierache si riferisce sol-
tanto ai sistemi fisici (per l'esattczza meccanici) clriusf, cioi! noi dobhiamo
includere nel sistema. tutti quei corpi la cui interazione ha un ruolo nello
studio del sistema stesso. Da un punto di vista esatto dovremmo includerc
si ottengono le traiettorie &llo stesso sistema (con nuove condizioni
iniziali) (fig. 5).
Questo principio impone certe condizioni alla parte destra
delle equazioni di Newton scritte nel sistema di coordinate
inerziali: l'equazione (1) deve essere invariante rispetto a1 gruppo
delle trasformazioni galileiane.
E s e m p i o 1. Fm le trasformazioni galileiane ci sono le
traslazioni temporali. L'invarianza rispetto alle traslazioni tem-
porali significa che a le leggi della natura sono costanti B, cio8,
se x = cp (t) B soluzione dell'equazione (1). allora, per ogni s E R
la soluzione Q ancora x = cp (t +
s).
Da qui segue che la parte destra dell'equazione (1) in un sistema
inerziale di coordinate non pub dipendere dal tempo

0 s s e r v a z i o n e. I n genere si incontrano equazioni dif-


ferenziali la cui parte destra dipende dal tempo nelle seguenti
situazioni.
Supponiamo che noi studiamo la parte I di un sistema mecca-
nico I + 11. Allora l'influenza della parte I1 sulla parte I
pub cambiare con le variazioni nel tempo dei parametri del siste-
ma di equazioni che descrivono il mot0 della parte I.
E s e m p i o 1. L'influenza della Luna sulla Terra si pub
trascurare nello studio della gran parte dei fenomeni che avvengo-
no sulla Terra. Ma per studiare le maree bisogna tener conto d i
questa influenza, cio6 di come la variazione dell'attrazione lunare
provochi un periodic0 cambiamento. della forza di graviti terrestre.
Le equazioni differenziali a coefficienti variabili possono
.anche apparire come risultato di operazioni formali per risol-
vere qualche problema.
E s e m p i o 2. Fra le trasformazioni galileiane ci sono le
traslazioni nello spazio tridimensionale. L'invarianza rispetto
a tali traslazioni indica che lo spazio 2 omogeneo ovvero che a hit le
stesse proprieti in ogni suo punto,. Cio6 se xi = cpi (t) (i =I,. ..,n)
6 il mot0 del sistema di n punti cbe soddisfano la (1)' allord, per
+
ogni r E Hs,il mot0 cpi ( i ) r (i = 1, ..
., n) 6 anche una'solu-
zione dell'equazione (1).
nel sistema tutti i Corpi dell'universo. Ma l'esperienza mostra che si pub
trascurare l'influenza di molti di questi: per esempio, per studiare il mot0
di un pianeta intorno a1 Sole si pub trascurare l'attrazione delle altre stelle.
D'altra parte per studiare il mot0 dei corpi intorno alla Terra il siste-
ma non B chiuso a meno che non si includa anche la Terra, per studiare il
moto di un aereo il sistema non t3 chiuso fin quando non viene inclusa l'aria
che sta intorno all'aereo, ecc. Nel seguito nel termine 41 sistema meccanico
B sottinteso, nella maggior parte dei casi, che il sistema B chiuso, a meno che
non si parli esplicitamente di sistemi non chiusi, cosa che sarl specificata
(vedi, ad esempio, § 3).
Da qui segue che la parte destra dell'equazione ( 1 ) del sistema
di coordinate inerziali pub dipendere solo dalle a coordinate relatt-
ve B xj - xk.
Dall'invarianza rispetto a trasformazioni . i n sistemi di
..
coordinate che si muovono di mot0 uniforme (cosa che non cam-
bia xi e x j - x k , ma aggiunge a tutti gli xj un vettore costante v )
segue che la parte destra dell'equazione (1) riel sistema inerziale
di coordinate pub dipendere solo dalle velocith relative

E s e m p i o 3. Le rotazioni nello spazio tridimensionale


fanno parte del gruppo delle trasformazioni galileiane. Invarianza
rispetto a tali rotazioni significa che lo spazio 6 isotropo, cioB
che non esistono direzioni preferenziali.
CioB se q i : R -+ Rs ( i = 1, . . ., n) i. il mot0 di un sistema
di n punti che soddisfa la (I), e G: Rs-t R3 i) una trasformazione
ortogonale, allora anche il mot0 Gq,:R -+R3(i = 1, . . ., n )
soddisfa la (1). In altri termini

F (Gx, G;) = G F (2, &),


dove Gx significa (Gxl, .. ., Gx,,), x' E Rs.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che se un sistema meccpnico con-
siste solo di un punto la sua accelerazione in un sistema iherziale di
coordinate 2 uguale a zero ( 4 prima legge di Newton B).
S u g g e r i m e n t o. I n accordo con gli esempi 1 e 2, il
vettore accelerazione non dipende da x, x, t ed in accordo con l'e-
sempio 3 il vettore F I! invariante rispetto all0 rotazioni.
P r o b 1 e m a. Sia dato un sistema meccanico costituito da
due punti. All'istante iniziale la loro velociti (in qualche sistema
inerziale di coordinate) B uguale a zero. Dimostrare che i punti
si muoveranno sulla retta che li congiunge.
P r o b 1 e m a. Sia dato un sistema meccanico costituito da
tre punti. All'istante iniziale le loro velociti sono'nulle (in qual-
che sistema di coordinate inerziali). Dimostrare che i punti si
muovono sempre sul piano nel quale essi giacciono all'istante
iniziale.
P r o b 1 e m a. Sia. dato un sistema meccanico composto di
due punti. Dimostrare che esiste, per qualsiasi condizione iniziale,
un sistema di coordinate inerziali tale che i due punti stanno sem-
pre su di un piano fisso.
P r o b 1 e m a, Dimostrare che la meccanica che si ha nello
specchio B identica alla nostra.
S u g g e r i m e n t o. La riflessione fa parte del gruppo
galileiano, la quale cambia l'orientamento di Rs.
P r o b 1 e m a. La classe dei sistemi inerziali 6 unica?
Risposta. Si ottiene un'altra classe se si cambia l'unitil di
misura della retta e del tempo oppure se si cambia direzione
del tempo.
Q 3. Esempi di sistemi meccanici
Abbiamo giil notato che la forma della funzione F nell'equa-
zione di Newton (1) B definita sperimentalmente per ogni sistema
meccanico. Facciamo degli esempi.
E ovvio che se si vogliono considerare degli esempi concreti
non si possono includere nel sistema tutti gli oggetti dell'uni-
verso. Per esempio, nello studio della mag-
gior parte dei fenomeni che succedono sulla
Terra B possibile trascurare l'influenza delle
Luna. Inoltre di .solito si pub trascurare
l'influenza sulla stessa Terra da parte dei
processi che si studiano e quindi si pub con-
siderare il sistema di coordinate solidale L
con la Terra, 4 fisso n. E evidente che il Fig. 8. Caduta di un
principio di relativita non impono nell'equa-
zione del moto, scritta in un tale sistema
sulla Terra.

di coordinate, i vincoli e le relazioni precedenti. Per esempio,


in prossimith della Terra esiste una direzione privilegiata, quel-
la verticale.
A. Esempio i . Cadutir di un sasso sulla Terra. Gli esperimenti
mostrano che
.x.= -g, g M 9.8 m/secg (Galilei), (2)
dove x B l'altezza del sasso dalla superficie della. Terra (fig. 6).
Se si introduce l'a energia potenziale P Ci = gz, allora l'equa-
zione (2) pub essere scritta nella forma

Se U: E N + R 6 una funzione differenziabile nello spazio


euclideo indichiamo con 8Ul8x il gradiente della funzione U.
Se EN = En' X . . . X En& 6 il grodotto diretto dello ~ p a z i o
euclideo indichiamo il punto x E N con (xl,
8UIax con (8U18xl, .. ., ~ U I ~ X , Per
.. . xL)e il vettore
) . l'esattezza, se xl, . . .,XN
sono le coordinate cartesiane in EN, allora le componenti del vet-
tore 8UIax sono uguali alle derivate parziali, aU/8xl, .. ., 8Ulc91,.
L'esperienza mostra che il raggio vettore che individua il
sasso rispetto ad un qualunque punto della Terra 0 soddisfa
l'equazione
..
x.= -- d" , dove U = gz.
dx
I1 vettore nella parte destra i! diretto verso la Terra. Si chiama
vettore accelerazione g associato alla forza di gravith.
B. Esempio 2. Caduta da grande altasa. Analogamente a quan-
to succede per i fatti sperimentali, la legge del mot0 (2) ha una
regione limitata di applicazione.
Secondo una pi& rigorosa legge della caduta, scoperta da
Newton, l'accelerazione 2 inversamente proporzionale a l h distanza
dal centro delh Terra:
.z=
. -gyp, rd

dove r = r,, +
x (fig. 7).
Questa equazione si pud anche scrivere nella forma (3) intro-
ducdndo l'energia potenziale,

inversamente proporzionale alla distanza dal centro della Terra.

Fig. 7. Campo di attrazione della Fig. 8. Ma= attaccata ad una


Terra. molla.

P r o b 1 e m a. Calcolare con quale velocith si devo lancia-


re un sasso affinch6 sfugga dalla superficie della Terra e rag-
ginnga una distanza infinita '.
Risposta. 11.2 kmlsec.
C. Eeempio 3. Moto di una massa su una retta sotto I'azione
di una molla. Gli esperimenti mostrano che per deviazioni non
grandi della molla rispetto a1 suo stato di riposo l'equazione del
moto della massa (fig. 8) 8

Questa equazione si pud scrivere anche nella forma (3), se si


introduce l'energia potenziale

Se invece di una massa se ne mettono due uguali, si vede che per


uguali dilatazioni della molla l'accelerazione i! due volte piti
piccola.
1 Questa velocith si cHiama seconda velocitl cosmica v*. Le nostre
zioni no" tengono conto dell'attrarione solare. L'attrazione del%i
B tale che un sasso non esce dal sistema solare, se la sua velocitl rispetto alla
Terra B inferiore a 16,6 kmlsec.
E sperimentalmente
- .. ..
stabilito che, per ogni coppia di corpi,
- -

il. rapporto fra le accelerazioni zl/x, per un'uguale dilatazione del-


la molla B costante (cioB non dipende dall'allungamento della
molla e dalle sue proprietii, ma solamente dai due corpi]. La varia-
bile che esprime questa relazione si chiama rapporto d i massa

Per unitii di massa si considera la massa di un qualunque corpo


fissato, per esempio, 1 litro di acqua. L'esperienza mostra che
la massa di un corpo Q positiva.
I1 prodotto della massa del corpo per l'accelerazione mi'non
dipende dal corpo, ma 6 una'caratteristica dell'allungamento della
molla. Questa quantith si chiama forza agente sul corpo da parte
della molla.
Come unite di fona considereremo il newton. Per esempio,
una molla esercita su un litro d'acqua a& essa sospeso la forza
di 9,8 newton (= 1 kgp), a1 live110 del mare.
D. EBempio 4. Sistema potenziale. Sia EBn = P X . . . X Ea
lo spazio delle configurazioni di un sistema di n punti nello spa-
zio euclideo tridimensionale ES. Sia U:@n + R una funzione
..
differenziabile e siano ml, ., m, dei numeri positivi.
D e f i n i z i o n e. I1 mot0 di n punti di rnizssa m,, . . .
. ..,mn nel campo creato da un potenziale U L definito dal sistema
di equazioni differenziali

Le equazioni del mot0 negli esempi 1-3 hanno proprio questa


forma. Esattamente in questa forma si scrivono le equazioni del
mot0 di gran parte dei sistemi meccanici.
Per esempio, il problema di meccanica celeste dei tre corpi
B un problema del tip0 (4) nel quale

Possono essere ricondotte alla forma (4) certe equazioni dif-


ferenziali aventi un'origine completamente diversa, come per
esempio le equazioni delle oscillazioni elettriche.
Nel capitol0 seguente studieremo principalmente il sistema
di equazioni differenziali (4).
11. Studio delle equazioni del 'mob

Nella maggior parte dei casi (per esempio, nel problema dei tre
corpi) non si riesce a risolvere il sistema di equazioni differenzia-
l i del moto, n6 ad analizzare in mod0 sufficientemente completo
il comportamento delle soluzioni. I n questo capitol0 esamineremo
alcuni problemi semplici, ma importanti, per i quali B possibile
risolvere le equazioni di Newton.

8 4 . Sistemi a un grado di libertQ


In questo paragrafo si studia il piano delle fasi dell'equazione
differenziale (1). Per l'esame qualitativo di tale equazione basta
guardare il grafico dell'energia potenziale. Inoltre l'equazione (1)
si integra per quadrature.
A. Definizioni. Chiameremo sistema a un gra:!o di libertif
un sistema descritto dall'equazione differenziale

Si chiama energia cinetica la forma quadratica

Si chiama energia potenziale la funzione

I1 segno di questa formula B scelto in mod0 tale che l'energia


potenziale di un sasso sia tanto pic grande quanto pic in alto
esso si trova.
Osservi,amo che l'energia potenziale U determina f . Percih,
per assegnare il sistema ( I ) ,6 sufficiente indicare l'energia poten-
ziale. L'aggiunta di una costante all'energia potenziale non modi-
fica le equazioni del mot0 (1).
Si chiama energia totale la somma
E=T+U.
I n questo mod0 l'energia totale B una funzione E (3, i).
B. Teorema (legge della conservazione dell'energia). L'energia
totale di un punto che si muoue secondo il mot0 (1) si c o m m a :
E (x ( t ) , ( t ) ) non dipende & t .
Dimostrazione.

C. Piano delle fasi.


L'equazione (1) B equivalente a1 sistema di due equazioni

Consideriamo il piano con coordinate x, y. Questo piano si chiama


piano delle fusi dell'equazione (1). I punti del piano delle fasi si
dicono punti di fuse. La parte destra del sistema (2) definisce
sul piano delle fasi un campo vettoriale. Questo campo si chiama
campo vettoriale delle velocitiZ di fuse.
La soluzione del sistema (2) B un mot0 del punto di fase sul
piano delle fasi cp: R -+ R2, second0 il quale la velociti del punto
in moto B uguale, in ogni istante, a1 vettore velociti di fase nel
luogo dove si trova in quel dato istante il punto di fase I.
L'immagine dell'applicazione cp si dice curua di fuse. Quindi
la curva di fase B data dalle equazioni parametriche

P r o b 1 e m a. Dimostrare che per ogni punto di fase passa


una ed una sola c w a di fase.
S u g g e r i m e n t o. Consultare manuali sulle equazioni
differenziali ordinarie.
Notiamo che una curva di fase pub consistere di un solo pun-
to. Un tale punto 6 detto stato di equilibrio.. I1 vettore velociti di
fase in uno stato di equilibrio B nullo.
La legge della conservazione dell'energia permette di trovare
facilmente le curve di fase. Infatti, su ogni curva di fase il valore
dell'energia totale B costante. Percib ogni curva di fase appartiene
interamente a un insieme di live110 dell'energia, E (x, y) = h.
D. Esempi.
E s e m p i o 1. L'equazione fondamentale della teoria
delle oscillazioni B

Qui per aempliciti si assume che la soluzione di cp sia definita su


trtto l'asae dei tempi R.
In questo caso (fig. 9) abbiamo
T=- 2'2 s u = ~ E=T+T.
,
2% 29 2%

Gli insiemi di livello dell'energia sono circonferenze concentriche


e l'origino delle coordinate. I1 vettore velocitii di fase nel punt6
(x, y) ha componenti (y, -2). Esso B perpen-
dicolare a1 raggio vettore e uguale ad essoin

@
modulo. Percii, il mot0 di un punto di fase
sul piano delle fasi B una rotazione uniforme
attorno a 0:x = ro cos (9, - t), y = rox
x sen (17, - t). Quindi ogni insieme di livello
2 dell'energia rappresenta una curva di fase.

E s ecolm suo
tenziale
gli insiemi 2. Sia
pdii grafico
olive110 (fig.
dell'enegia
data %+
10).l'energia
Disegnamo
po-
Fig. 9.
dell'equazione z=
+ U (5)fatti.
fasi guenti = E. E uti!e tener presente i se-
=- t. 1. Le posizioni di equilibrio del sistema
(2) giacciono sull'asse x del piano delle fasi.
I1 punto x = f , y = 0 rappresenta una posizione di equilibrio se
f i! un punto critico dell'energia potenziale, cioB se dUldz. I,=E=: 0.
2. Ogni insieme di livello 6

e
una curva liscia nell'intorno di
ogni suo punto, che non rappre-
senti una posizione di equilibrio
(segue dal teorema sulla funzio-
ne implicita). In particolare, se E E~
non 2, un valore critico dell'ener- E3 E4
gia potenziale (cioB non B uguale E~
a1
in valore
uno dei dell'energia
punti critici),potenziale
l'insieme ;i, *
3:

di livello, dove l'energia I! ugua-


le a E l6 una curva liscia.
Per lo studio delle linee di
livello dell'energia, bisogna esa-
minare i valori critici di E o i
valori di E vicini a quelli cri-
tici. A questo fine B comodo sup-
porre una pallina che rotoli in
una buca di potenziale U. Fig. 10. L'energia otenziale e le
Ad esempio, il ragionamento curve di ! a s .
u l'energia cinetica i! non nega-
tiva. Quindi l'energia potenziale h minore o uguale all'energia
tot ale. Quanto pih l'energia potenziale B piccola tanto pid 13 gran-
de la velociti % prende in questo linguaggio la forma u la pallina
non pu6 uscire dalla buca d i potenziale, salendo pih in alto del
livello della sua energia iniziale fissata. Rotolando nella buca la
pallina prende velociti ,. Inoltre ci accorgiamo subito che i punti
d i massimo locale dell'energia potenziale sono posizioni di equi-
librio instabile, mentre i punti di minimo sono di equilibrio
stabile.
P r o b 1 e m a. Dimostrare l'affermazione precedente.

Fig. 11. L'energia potenziale.

P r o b 1 e m a. Di quante curve di fase consiste laseparatri-


ce (a forma di otto) corrispondente a1 livello E,?
Risposta. Di tre.

Fig. 12. Le curve di fase.

P r o b 1 e m a. Determinare la durata del mot0 sulla separa-


trice.
Risposta. Dal teorema di unicitit segue che questo tempo
b infinito.
P r o b 1e ma. Dimostrare che la durata del mot0 da xi a x,
x2
dt
(in una sola direzione) b uguale a t , -t =
fy2(E-U(=))
x.
'

P r o b 1 e m a. Disegnare le curve dciase, conoscendo il


grafico dell'energia potenziale (fig. 11).
Risposta. Vedi la fig. 12.
..
P r o b 1 e m a. Disegnare le curve di fase per u l'equazione
del pendolo piano matematico v z = - sen z.
P r o b 1 e m a. Disegnare le curve d i fase per a l'equazione
d e l pendolo il cui asse ruoti * '4= -
sen z M. +
0 s s e r v a z i o n e. I n questi due problemi x indica l'an-
golo d i inclinazione del pendolo. I punti d i fase, le cui coordina-
t e differiscono per 2n, coorrispondono a un unico stato del
pendolo. Percid invece d i un piano delle fa-
si B naturale considerare un cilindro delle

"k f asi {z(mod 2 4 , y).

ylk;
P r o b 1 e m a. Trovare le tangenti a i
rami della curva di livello critico, corri-
spondente a1 massimo dell'energia potenziale,
E = U (E) (fig. 13). -
Risposta. y = fYU' (f) ( x -6).
P r o b 1 e m a. Sia S (E) 1 area rac-
chiusa all'interno della curva d i fase chiusa,
corrispondente a1 livello di en,ergia E. Dimo-
Fi . 13. Curva di li- strare the il periodo del mot0 su questa cur-
veflo coicrit dell'ener- va B uguale a
gia. T=- dS dE '
P r o b 1 e m a. Sia Eo il valore dell'energia potenziale nel
punto di minimo fo. Trovare il periodo delle piccole oscillazioni
nell'intorno del punto E, To= lim T (E).
Risposta. 2n1
-
VU" (5).
E+Eo

P r o b 1 e m a. Consideriamo un mot0 periodic0 su una


curva di fase chiusa, corrispondente a1 livello d i energia E.
E stabile second0 Ljapunov?
Risposta. No l.
E. Flusso di fase. Sia M un punto del piano delle fasi. Stu-

1
diamo la soluzione del sistema (2)' le cui condizioni iniziali per
t = 0 sono rappresentate dal punto M.
Supponiamo che ogni soluzione del siste-
ma si prolunghi su tutto l'asse tempo-
rale. I1 valore della nostra soluzione per lS+t*"
un valore t dipende da M . Designamo il
punto di fase ottenuto (fig. 14) con
M ( t ) = gtM. Fig. 14. Flusso di fase.
In questo mod0 definiamo un'applicazione del piano
.delle fasi su se stesso, gt: R2 -t R2. Per noti teoremi della teoria
delle equazioni differenziali ordinarie l'applicazione gt costi-
tuisce un diffeomorfismo (applicazione biunivoca differenzia-
bile nei due sensi). I diffeomorfismi gt, t E R costituiscono un
gruppo: gt+' = gt $. Inoltre, l'applicazione $ B l'iden
L'unica eccezione sono i casi in cui il periodo non dipende dall'energia
tit& e l'applicazione g-t B I'inversa di 8. L'applicazione g:
R x RZ+ R '
, g (t, M) = g'M B differenziabile. Tutte queste
proprietii esprimono insieme che le applicazioni g' costitui-
scono un gruppo a un parametro di diffeomorfismi del piano delle
fasi. Questo gruppo si chiama anche flusso di fase, dato dal siste-
ma (2) (o dall'equazione (1)). --
E s e m p i o. I1 flusso di fase dato dall'equazione z = - x
B il gruppo gt delle rotazioni del piano delle fasi di un angolo t
intorno all'origine delle coordinate.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il sistema con energia poten-
ziale U = - d non determina nessun flusso di fase.

Fig. 15. L'azione di un flusao di fase su un cerchio.

P r o b 1 e m a. Dimostrare che, se l'energia potenziale


B positiva, il flusso di fase esiste.
S u g g e r i m e n t o. Usare il principio della 'conservazione
dell'energia per dimostrare I'indefinita prolungabilitii delle solu-
zioni.
P r o b 1 e m a. Disegnare la forma del cerchio st+ (y - I)'<
< 114 sotto l'azione dell'applicazione g' del flusso di fase
..
dell'equazione: a) I( pendolo invertito R = x, b) cr pendolo non
lineare R x = - sen x.
Risposta. Fig. 15.

5 5. Sistemi a due gradi di lib&&


L'analisi del sistema generale a due gradi di libertii supera
i limiti delle possibilith della scienza attuale. In questo paragrafo
si considerano gli esempi piii semplici.
A. Definizioni. Con il termine 4 sistema a due gradi di
libertii R. intenderemo un sistema descritto dall'equazione diffe-
renziale

dove f 13 un campo vettoriale sul piano.


Un sistema si chiama conservativo se esiste una funzione
U: P -t R tale chef = -8UI8x. L'equazione del mot0 del si-
stema conservativo ha dunque la forma

B. Principio di conservazione dell'energia.

E=zx2f U(x),
.
Teorenla. L'energia totale di un sistema conservativo si comerva
i
x 2 = ( x , x).

Si afferma che = 0. Dimostnzione:

in forza dell'equazlone del moto.


Corollario. S e all'istante iniziale l'energia total2 2 uguale a E,
tutta la traiettoria giace nella regione dove U (x)<E, cioi5 il punto
si troveri per tutto il tempo nella buca di potenziale
U (XI, 5 2 ) <E.
0 s s e r v a z i o n e. In un sistema a un grado di liberth
Q sempre possibile introdurre l'energia potenziale

Ron 6 cosi invece in un sistema a due gradi di libertl.


P r o b l e m a. Fornire un esempio di sistema della forma
= f (z),z E E2 che non sia conservativo.
C. Spazio delle fasi. L'equazione del mot0 (1) si pub scrivere
in forma d i sistema

Si chiama spazio delle fasi di un sistema a due gradi di liberti


lo spazio a quattro dimensioni con coordinate XI, x,, y,, y,.
I1 sistema (2) definisce il campo vettoriale delle velociti di
fase nello spazio a quattro dimensioni e cosi pure 2 il flusso di
fase del nostro sistema (gruppo a un parametro di diffeomorfismi
dello spazio delle fasi a quattro dimensioni). Le curve di fase del
In coordinate cartesiane sul piano Ea, abbiamo
1
..
I , = - -
au
a ~ .,
..
I,=
au
--O.I •

2 Con le restrizioni abituali.


sistema (2) costituiscono sottoinsiemi dello spazio delle fasi
a quattro dimensioni. Ogni spazio delle fasi si scompone in curve
di fase. Le proiezioni delle curve di fase dallo spazio a quattro
forniscono le traiettorie del nostro punto
dimensioni sul piano xl, 5%
in mot0 sul piano q, 2,. Queste traiettorie si chiamano anche
orbite. Le orbite possono avere punti di intersezione, mentre le
curve di fase non si intersecano l'una con l'altra. L'equazione
della legge di conservazione dell'energia

E = T5+' U (x)=- 'f+


2
yt +u (xc. x*)
definisce una ipersuperficie a tre dimensioni nello spazio a quattro
dimensioni: h (x,, x,, y,, y,) = E,; questa superficie lTE resta
invariinte rispetto a1 flusso di fase: gtlTEa = HE#.Si pd dire

Fig. 16. Superlicie di livello Fig. 17. Curve di livello dell'ener-


dell'energia e curve di lase. gia potenziale del pendolo sferico.

che il flusso di fase scorre sulla superficie di livello dell'energia.


I1 campo vettoriale delle velociti di fase 6 tangente in ogni punto
alla superficie nE. Conseguentemente, tutta questa superficie
6 costituita di curve di fase (fig. 16).
D. b m p i o I ( a piccole oscillazioni del pendolo sferico )) ).
Sia U = - +;+.: Le curve di livello dell'energia potenziale
.
2
.. - ..
sul piano xl, x, saranno circonferenze concentriche (fig. 17).
.
Le equazioni del mot0 (xl = x,, x, = - x,) sono eqniva-
lenti a1 sistema
zi =Yc,
.
%a= Yz,
a
b(i= -Xc,y,' -X,o

Questo sistema si divide in due sistemi indipendenti; in altre


parole, ognuna delle coordinate x,, x, varia col tempo come nel
sistema a un solo grado di liberti.
Le soluzioni hanno la forma
x1 = c1 cos t + C, sen t, x, = cg cos t C' sen t,+
-
yl = c1 sen t + c, cos t, y, = -
c, sen t cc cos t.+
Dal principio d i consel-vazione dell'energia segue

cio6 la superficie di live110 ll, 6 costituita da una sfera nello spa-


zio a quattro dimensioni.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che le curve di fase sono rappre-
sentate dai cerchi massimi di questa sfera. (Si dice cerchio mas-
simo l'intersezione della sfera con un piano bidimensionale pas-
sante per il suo centro.)
P r o b 1 e m a. Dimostrare che l'insieme delle curve di fase
sulla superficie ll, rappresenta una sfera bidimensionale. Pih
precisamente, la formula w = "1 +
- i ~ fornisce
l la a rappresenta-
+
"2 (YI
zione di Hopf H dolla sfera a tre dimensioni IIE sulla sfera a due
dimer~sioni(piano della variabile complessa w completato dal
punto all'infinito). Le nostre curve di fase sono trasformate in
punti dalla rappresentazione di Hopf.
P r o b 1 e m a. Trovare le proiezioni delle curve di fase sul
piano x,, x, (cio8 disegnhre le orbite del mot0 del punto).
E. Esempio 2 ( (4 figure! di Lissajou * ). Consideriamo un
altro esempio di mot0 piano ( u piccble oscillazioni a due gradi di
libertk w ) :
..
5, = -51,
.x2. = -02x2.
L'energia potenziale 6

Dalla legge di conservazione dell'energia segue che se all'istante


iniziale I'energia totale 1.

tutto il mot0 si svolgeri all'interno dell'ellisse U (x, , x,) 5 E.


Inoltre il nostro sistema consiste di due sistemi, non legatl tra
loro, a una dimensione. Percici la legge di conservazione dell'ener-
gia si applica separatamente a entrambi; si coliservano le quantitl

<
Quindi, la variazione di x, Q limitata dalla striscia I xl I A,,
<
A , = 1/ 2E1(0)'e anche x, oscilla nei limiti della striscia I x , I
<A2. L'intersezione di queste due strisce definisce un rettangolo,
nel quale 15 racchiusa l'orbita (fig. 18).
P r o b 1 e m-a. Dimostrare che questo rettangolo & inscritto
nell'ellisse U< E. La soluzione piii generale delle nostre equazio-
ni B x, = A, sen (t + +
cp,), z, = A, sen (at cp,): il punto i n
mot0 effettua indipendentemente una oscillazione con frequenza 1%
ampiezza A, orizzontalmente e un'o-
scillazione con frequenza o e am-
piezza A, verticalmente.
Per disegnare l'orbita sul piano
x,, x? procediamo nel seguente modo.
Conslderiamo un cilindro di base
2A1 e una striscia di larghezza 2A2.
Disegnamo sulla striscia una sinusoi-
de di period0 2nAllo e ampiezza A? e
avvolgiamo la striscia sul cilindro Fig. 18. Regioni U < E ,
(fig. 19). La proiezione ortogonale U, < E o U, < E.
sul piano x,, x, della sinusoide av-
volta sul cilindro dj. proprio I'orbita cercata, che si chiama
figura di Lissajou.
Le figure di Lissajou si possono agevolmente studiare su un
oscillografo, immettendo due oscillazioni armoniche indipendenti
sugli ingressi verticale e orizzontale.
La forma della figura di Lissajou dipende molto dalla frequen-
za o. Se o = 1 (pendolo sferico dell'esempio I ) , la curva sul

Fig. 19. Costruzione della figura di Lissajou.

cilindro P un'ellisse. La proiezione di questa ellisse sul piano x,,


x, dipende dalla differenza delle fasi cp, - cp,. Con cp, = cp, si
ottiene la diagonale del rettangolo, per piccoie cp,- Q si ha
un'ellisse schiacciata eulla diagonale, inscritta lie1 rettan-
golo. Per q , - q, = n/2 si ottiene un'ellisse con assi principali
x,, x,. Facendo creacere (F? - (F, da ni2 a n , l'ellisse si schiaccia
sulla seconda diagonale; aumentando ancora cp2 - cp,, il process0
riprende dall'inizio (fig. 20).
Supponiamo ora che le frequenze siano uguali solo approssi-
mativamente: o w I. I1 tratto di curva corrispondente
a O<t<2n B molto simile a un'ellisse. I1 tratto successive
E ancora somigliante a un'ellisse, ma esso ha uno sfasamento
cp, - 9, p i i grande di quello iniziale di un valore 2n ( o - 1).
Percia la curva di Lissajou con o 1 B un'ellisse defonnata, che
percorre lentamente tutte le fasi, da quella schiacciata su una
diagonale a quella .schiacciata sull'altra (fig. 21).

Fig. 20. Serie di figure di Lissajou Fig. 21. Figurn di Lissajou con
con o = 1. o =
I.

Fig. 22. Figura di Lissajou con rq =2

Fig. 23. Serie di figure di Lissajou con a = 2.

Se una delle frequenze B due volte piii grande dell'altra


(o = 2). allora per qualche sfasamento la figura di Lissajou si
trasforma in una curva percorsa due volte (fig. 22).
P r o b 1 e m.a. Dimostrare che questa curva B una parabola.
Aume~ita~idolo sfasamento cp, - cp,, otteniamo successi-
vamente le curve della figura 23.
In generale, se una delle frequenze B n volte piii grande del-
l'altra ( o = n), tra le corrispondenti figure di Lissajou c'B il gra-

Fig. 24. Polinomi di teby5ev.

fico di un polinomio di grado n (fig. 24); questo polinomio si


chiama polinomio di dkby;ev.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che se o = mln, la figura di Lis-
sajou B una curva algebrica chiusa, mentre se o B irrazionale, la
figura di Lissajou riempie il rettangolo in mod0 ovunque denso.
Che cosa riempie la corrispondente traiettoria di fase?

5 6. Campo di forze conservative


In questo paragrafo si analizza il legame tra lavoro e energia
potenziale.
A. Lavoro di una fona lungo un cammino. Ricordiamo la
definizione di lavoro di una forza F lungo un cammino 8. I1 la-

Fig. 25. Lavoro di una forza co- Fig. 26. Lavoro di un campo di
stante F su un cammino rettili- forze F su un cammino I .
neo S.

voro di una forza costante F (per esempio, il lavoro della forza


con cui solleviamo un carico) lungo il cammino 8 = M ~ M 6;per
definizione il prodotto scalare (fig. 25)
A = (F, 8) = I F 11 S I*coscp.
Sia dato un campo vettoriale F e una curva 1 di lunghezza finita.
Approssimiamo la curva 1 con una spezzata di lati A S t e denotia-
rno con Fi il valore della forza in un punto di AS,; allora il kzvoro
det campo F lungo il cammino I b per definizione (fig. 26)
A = lim 2
(Pi, Asi).
(AS,(-0

Nel corso di analisi si dimostra che se il campo B continuo, mentre


il cammino B rettificabile, esiste il limite. Esso si indica eon
j (F' dB).
1
B. Condizioni perch6 un campo sia conservativo.
Teorema. Un campo vdtoriale F 2 conservattvo se e solo se it
suo lavoro su ogni cammino M I M , dipende soltanto dagli estremi
e non dipende dalla forma del cammino.
Supponiamo infatti che il lavoro del campo
F non dipenda dal cammino. Allora si puir
definire correttamente una funzione del pun-
M

-4 U (M)=- 1 (F, dS).


$0

Fig. 27. Camp0 non E facile verificare che


conservativo. 8~
F = --
ax '
cioB il campo 6 conservativo ed U t? la sua eneqia potenziale.
Naturalmente l'energia potenziale 6 definita con precisione a meno
di una costante additiva U (M,), che si pub scegliere arbitraria-
mente.
Inversamente, sia il campo F conservativo e U rappresenti
l'energia potenziale. Allora B facile verificare che

j (F, dB)= -U(M)+U(M,).


Mo
cioi! il lavoro non dipende dalla forma del cammino.
P r o b 1 e m a. Dinlostrare che il campo vettoriale F1 = x,,
Fz = - x, non 6 co~iservativo(fig. 27).
P r o b 1 e m a. f3 conservativo il campo, dato sul piano,
I -5
con un punto escluso F1 = -z-:- -1-- , F - 2? Dimostrare che
+x: = - z4-+.T#
un campo B conservativo se e solo se B nullo il suo lavoro su
ogo cammino chiuso.
C, Campo centrale.
D e f i n i z i o n e. Un campo vettariale sul piano E' si
dice centrale con centro in 0 , se esso B invariante rispetto a1 grup-
po dei movimenti del piano l , che lasciano fisso il punto 0.
1 Pra questi anche le riflessioni.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che tutti i vettori di un campo
centrale giacciono s u raggi passanti per 0, mentre il modulo del
vettore del campo in un punto dipende solo. dalla distanza 'del
punto dal centro del campo.
E utile considerare anche campi centrali che non sono defi-
'niti nel punto 0 .
,
E s e m p i o. I1 campo newtoniano F = -k - f B centrale,
mentre il campo che appare nei problemi del punto B non lo 8.
Teorema. Ogni campo centrale F b conseruativo e la sua e m @ a
potenziale dipende solo dalla distanza dal centro del campo, U =
= U (r).
D--i-m.to s t r a z i o n e. In accordo col problem-precedent9
F ( r ) = O ( r ) e,, dove T B il raggio vettore rispetto ad 0, r l a
sua lunghezza e e, il suo versore. Allora,
M2 t(Mz)
\
,

(Fwd#) = @ (4dr*
dar t(~1)
e questo integrale, evidentemente, non dipende dal cammino.
P r o b 1 e m a. Calcolare l'energia potenziale di un campo
newtoniano. ,

0 s s e r v a z i o n e. Le definizioni e i teoremi di questo


paragrafo si traspo~tanoimmediatamente' a1 caso di uno spazio
euclideo En, con un numero qualunque di dimensioni.

5 7 . I1 momento della quantitd di moto


Vedremo in seguito che I'invarianza delle equazioni di un
problema meccanico rispetto a un gruppo di trasformazioni corn-
porta sempre un principio di conservazione:Un campo centrale
B invariante rispetto a1 gruppo delle rotazioni. I1 corrispondente
integrale primo porta il nome di momento della quantith di mot0
(o anche momento cinetico).
A. Definizione I1 mot0 di un punto materiale (di massa 1)
in. un campo centrale sul piano B definito dall'equazione
..
r = Q) ( r )e,,
dove 9. B il raggio vettore con l'estremo iniziale nel centro 0 del
campo, r 6 la sua lunghezza ed e, il suo versore. Considereremo il
nostro piano immerso in uno spazio euclideo tridimensionale
orientato.
D e f i n i z i o n e. Si chiama momento della quantita df
mot0 (o momento cinetico) di un punto materiale di massa unitaria
rispetto a1 punto 0 il prodotto vettoriale
N = [ r ,r ] .
11 vettore iK i! perpendicolare a1 nostro piano ed 6 dato da una sola
espressione M = Mn,dove n = [el, e,l B il vettore della normale
e el ed e, una base.che orienta la superficie (fig. 28).
0 s s e r v a z i o n e. I n generale il prodotto vettoriale
Ir, a1 si chiama momento del vettore n aapplicato nel punto w r

Fig. 28. I1 momento della quan- Fig. 29. Scomposizione del vettore
tit& di moto. r nella base t,, e,.

rispetto a1 punto 0.Per esempio, nel corso di statica si & studiato


il momento di una forza.
B. Legge di cokervazione del momento della quantiti di moto.
Lemma. Siano u e b due vettori variabili nel tempo nello spazio
euclideo orientato R3. Allora
d
=[a, bl =[a,61 +[a,61.
D i m o s t r a z i o n e. L'uguaglianza segue dalla defini-
zione di derivata.
Teorema (legge di conservazione della quantiti di moto).
Durante il mot0 in un campo centrale il momento della quantitit
dt mot0 M rispetto a1 centro del campo 0 non varia nel tempo.
D i rn o s t r a z i o n e. Per definizione
M =[ r , GI.
Per il lemma
.
k =,;[ ;I + [T, TI.
..
Dall'equazione del moto, dato che il campo 6 centrale, si deduce
che i vettori 's e r sono collineari. Dunque M = 0, c.v.d.
C. Legge di Keplero. La legge di conservazione del momento
della quantith di mot0 fu scoperta per primo da Keplero con
l'osservazione del mot0 di Marte. Keplero formu16 questa legge
in una forma diversa.
Introduciamo sul nostro piano le coordinate polari r, cp con
polo nel centro del campo 0.Consideriamo nel punto r di coordina-
te I r I=r; cp d ~ i eversori: e,, orientato come il raggio vettore,
cosicchC
r = re,,
e e, perpendicolare a1 primo e orientato nel senso delle cp crescen-
ti. Scomponiamo il vettore velocitk & nella base e,, e, (fig. 29).
Lemma. Vale la relazione
. . +rcpe,.
.r = re,
D i m o s t r a z i o n e. E evidente che i vettori e,, e, ruo-
tan0 con velociti angolare cp, cio8

Derivando l'uguaglianza r = re,, otterliarno

Conseguentemente il momento della quantiti di mot0 6


=[ r , TI = l r , re,[ + [ r , rpe,] = r i [ r , e,] = r2; [e,, e.1.
Dunque si conserva la quantiti

Questa quantith ha un semplice significato geometrico.


Keplero chiamd velocitfi areolare C la ve-
locith di cambiamento dell'area S(t), de-
scritta dal raggio vettore (fig. 30)
c=-ddtS '

La legge trovata da Keplero, attraverso


I'osservazione del mot0 dei pianeti, dice:
I n tempi uguali il raggio vettore descrive
aree uguali, in mod0 tale che la velocith areo- Fig. 30.VelocitA areo-
lare.
lare t costante: - - cost.
dS --
dt
Questa B una delle formulazioni della legge di conservazione
del momento della quantiti di moto. Poich6

consegue che la velocith areolare

B due volte pic piccola del momento della quantith di mot0 del
nostro punto di massa 1 e tlunque costante.
E s e m p i o. I satelliti per comunicazioni i( Fulmine s han-
no orbite fortemente schiacciate. In base alla legge di Keplero
tale satellite trascorre la maggior parte del tempo nella parte
dell'orbita pi& lontana e la quantith b piccola.

ji 8. Analisi del mot0 tn un campo centrale


La legge di conservazione del momento della quantiti di
mot0 permette di ridurre il problema del mot0 in un campo cen-
trale a un problema con un solo grado di liberti. Grazie a cib il
mot0 in un campo centrale pub essere studiato in mod0 completo.
A. Riduzione a un problema unidimensionale. Consideriamo
il mot0 di un punto (di massa 1) in un campo centrale sul .piano:
.. au
r = -- U =U ( T ) .
ar *
E naturale passare alle coordinate polari r, cp.'
In base alla legge di conservazione del momento della quan-
t i t i - d i mot0 la quantiti M = cp (1) P ( t ) b costante (non dipen-
de da t ) .
Teorema. Durante il mot0 di un punto materiale di mcrssa
unitaria in un carnpo centrale, la sua distanza dal centro del campo
varia in mo& corrispondente alla variazione di r nel problem unidt-
rnensionale con energia potenziale
M'
V(r)=U(r)i- %.
P
.=Dr.iem, +orcpe,
s t r a z i o n e. Derivando
troviamo
la relazione data nel Q 5

Dato che il campo 6 centrale,

Quindi l'equazione del mot0 in coordinate polari prende la forma

Ma per la legge di conservazione del momento della quantith di


mot0

dove M b una costante indipendente da t , definita dalle condizio-


ni iniziali. Quindi
..
r = -- au + r T M' ovvem r = --..
aarv , dove V Z U M'+ ~
ar
La quantith V (r) si chiama energha potenziale efficace.
0 s s e r v a z i o n e. L'energia totale del problema unidi-
mensionale cosi ottenuto

coincide con l'energia totale del problema da cui si B partiti

E=++U(~)

B. Integrazione delle equazioni del moto. L'energia totale


nel problema unidimensionale ottenuto sopra si conserva. Dunque
la dipendenza di r da t si determina con una quadratura

Dato' che cp = MlrZ, allora dcp = MI+ , e I'equazione


v2 ( E - v PI)
dell'orbita in coordinate polari si trova per quadratura:

C. Studio dell'orbita. Cominciamo col fissare il valore del


momento costante M. E facile analizzare la variazione di r nel

Fig. 31. Grafico dell'energia pe. Fig. 32, Orbita di un unto in un


tenziale efficace. camp0 centrafe.

tempo, dopo aver disegnato il grafico dell'eneqia potenziale


efficace (fig. 31).
Sia E il valore dell'energia totale. Ogni 01-bita corrispondente
ai dati E ed M giace nella regione V (r) E. Sul limite <
di questa regione, V = E, cioB r = 0. Tenuto conto di cib, la
velociti del punto mobile, in generale, non B uguale a zero, dato
che cp' # 0 per fif # 0.
La disuguaglianza V (r) <
E determina sul piano iina o pih
regioni a forma di anello:

Se 0 < r , i n < r,,, < w , allora il mot0 6 limitwto e si svol-


ge all'interno dell'anello tra le circonferenze con raggi rlnine rmax.
La forma dell'orbita B mostrnta nella fig. 32. L'angolo cp varia
in mod0 monotono, mentre r oscilla tra rmin e r,,, periodicamen-
te. I punti dove r = rminsi chiamano pericentri e quelli dove
r = r,,, apocentri (se il centro B la Terra, perigei e apogei; se il
centro B il Sole, perielii e afelii; se B la Luna
perilunii e apolunii).
Ognuno dei raggi, che conduce dal cen-
tro all'apocentro o a1 pericentro, B asse di
simmetria dell'orbita.
Nel caso generale l'orbita non 6 chiusa:
I'angolo tra successivi pericentro e apocen-
tro si ottiene con I'integrale
rmax
a= M / r Zdr
Fig. 33. Orbita ovun-
que densa nell'anello. I.
'min
v2 ( E - v (r))
L'angolo tra due successivi pericentri B due volte maggiore.
L'orbita B chiusa se l'angolo 0 B commensurabile con 2n,
rn
cioB se @ = 2n - n
, dove m e n sono due interi.
,
Si pub dimostrare che se I'angolo 0 6 incommensurabile con
2n allora I'orbita riempie l'anello in mod0 ovunque denso (fig. 33).
Se rlnin= r,,,, allora E B il valore di V nel punto di minimo
e I'anello degenera in una circonferenza, che rappresenta anche
l'orbita.
P r o b 1 e m a. Per quali a il mot0 su un'orbita circolare in
un campo con energia potenziale U = P,-2 < a < w B stabile
second0 Ljapunov?
Risposta. Solo per a = 2.
Per grandi valori del minimo di V I'anello di E s a r i
molto stretto (rmin r < < r,,,), mentre l'orbita s a r i vicina
a una circonferenza. Nel corrispondente problema unidimensio-
nale r compirh delle piccole oscillazioni wll'intorno del punto
di minimo di V.
P r o b 1 e m a. Trovare I'angolo 0 per un'orbita vicina
a quella circolare di raggio r.
S u g g e r i m e n t o. Vedi il punto D piii in basso.
Consideriamo ora il caso r,, U (r)= lim V (r) =
= w. Se lim
r+to r- w
= U m< w , allora 6 possibile il passaggio all'infinito. Se
l'energia iniziale E I! maggiore di U,, allora il pnnto esce all'infi-
nit0 con velocith finita ; ,= v 2 ( E - U,). Sottolineiamo che
se U (r) tende a1 suo limite ~ i i lentamente
i di r2. allora il Doten-
ziale 'eificace V all'infinito \arb attrattivo (qui si suppone'che il
potenziale U all'infinito sia attrattivo).
Se I U (r) I per r -+ 0 non cresce piii velocemente di M3/2r2,
allora rmin> 0 e l'orbita non si avvicina a1 centro. Se U (r) +
+ M2/2r2+ - w per r -+ 0, allora B possibile 4 la caduta nel
centro del campo n. Che vi sia caduta nel centro del campo B pos-
sibile anche in un tempo finito (per esempio, nel campo U (r) =
-
- -1Ir3).
P r o b 1 e m a. Studiare la forma dell'orbita nel caso che
l'energia totale sia uguale a1 valore dell'energia efficace V in un
punto di massimo locale.
D. Campi centrali in cui tutte le orbite limitate sono ehiuse.
Dalla serie seguente di problemi consegue che tutte le orbite
limitate in un campo centrale sono chiuse solo in due casi:

P r o b l e m a 1. Dimostrare che l'angolo @ tra pericentro


e apocentro 1! uguale a1 semiperiodo dell'oscillazione nel sistema
unidimensionale con energia potenziale W (z)= U M + T (---I
xa
.
S u g g e r i m e n t o. La sostituzione x = Mlr dh

P r o b 1 e m a 2. Trovare I'angolo 0 per un'orbita, vicina


quella circolare di raggio r.
Risposta. @ w @, = ax
M .' U'
rZ 1/)"
w = = n V 3u.+rU".
P r o b 1 e m a 3. Per quali U la quantith a,,, non dipende
dal raggio r?
Risposta, U ( r ) = a f l (a 2 - 2, a # 0) e U (r) = b log r.
Per questo a,,,= nlV a +
2 (il caso logaritmico corri-
sponde a a = 0). Per esernpio, per a = 2 otteniamo mCir= n/2,
e per a = - 1 abbiamo m,,, = n.
P r o b l e m a 4. Sia U ( r ) + o o per r - m . Trovare
lim 0 (E, M).
E-m
Risposta. n/2.
S u g g e r i m e n t o. La sostituzione x = yx,,, trasfor-
.ma 0 in

Per E + a, abbiamo z , + oo, y,,, + 0, e il second0 termi-


ne nell'espressione W* si pub tralasciare.
P r o b 1 e m a 5. Sia U (r) = - kr-0, 0 < 0 < 2. Trovare
0, = lim 0.
E--0
1
Risposta. 0 -
n
. Osserviamo che Do non
0
dipende da M.
P r o b 1 e m a 6. Trovare tutti i campi centrali, in cui
esistono orbite limitate ed esse sono tutte chiuse.
Risposta. U = ar2 o U = - klr.
S o 1 u z i o n e. Se tutte le orbite limitate sono chiuse, al-
lora, in particolare, O,,, = 2n m.- = cost. In base a1 problema 3,
U = a P ( a 2 - 2) ovvero U = b In r ( a = 0). In entrambi i
casi 0,,, = n/lL a + 2. Se a > 0, allora, in accordo col proble-
ma 4, lim 0 (El M ) = n12. Cosi O,,, = n12, a = 2. Se a < 0,
E-w
allora, in accordo col problema 5, lim 0 (E, M ) = nI(2
E--0
+ a).
Cosl nI(2 + +
a ) = n/ 1/ 2 a , a = - 1. Nel caso a = 0 troviamo
O,,, = n l v 9, che non 6 commensurabile con 2~1.Dunque tutte
le orbite limitate possono essere chiuse solo nei campi U = a P
o U = - klr. Nel campo U = a?, a > 0, tutte le orbite sono
chiuse (sono ellissi con centro in 0:vedi esempio 1, 9 3). Nel
.camp0 U = - klr tutte le orbite limitate sono anche chiuse
e ellittiche, come dimostreremo ora.
E. Problema di Keplero. Si tratta del mot0 in un campo cen-
trale con potenziale U = - klr e dunque, V (r) = - -
k
+
+= M2
(fig. 34).
Per la formula generale

Integrando si ottiene
M
--- k
r hf
cp = arccos
k'
A questa espressione si dovrebbe aggiungere una costante arbitra-
ria. Noi la considereremo w a l e a zero, il che B equivalente
a misurare l'ampiezza dell'angolo cp a partire dal periceatro.
Introduciamo le seguenti notazioni:

--i
P
Si ottiene cosi cp = arccos '-, cio6

I? questa la cosiddetta equazione focale di una sezione conica. I1


moto B limitato (fig. 35) per E < 0. Allora e < 4, cio6 la sezione

Fig. 34. Potenziale efficace del Fig. 35. Ellisse di Keplero.


problema di Keplero.

conica B un'ellisse. La quantith p si chiama parametro dell'ellis-


se, mentre e si chiama eccentricith. La prima. legge di Keplero, da
lui scoperta sperimentalmente attraverso l'osservazione del mot0
di Marte, afferma che i pianeti descrivono delle ellissi nei cui
fuochi si trova il Sole.
Se si assume che i pianeti si muovono in un campo centrale
di gravitil, allora dalla prima legge di Keplero segue la legge di
gravitazione di Newton: U = - klr (vedi il punto D pih in
alto).
I1 parametro e l'eccentriciti sono legati ai semiassi dalle
relazioni
2 a =i - r
P + Pi +=e - 1 2~
-29 cio6 a = - P
i-e

c
C=-='
vo"--b', dove c = ae 6 la distanza dal centro a1 fuoco
a a
.(vedi fig. 35).
0 s s e r v a z i o n e: Un'ellisse con piccole eccentricith
B molto simile a una circonferenza l. Se la distanza del fuoco da1
-
centro B un infinitesimo del primo ordine, la differenza tra i se-
miassi B del second0 ordine: b= a V 1-ea r a (I- T) ei
Per.
esempio, in un'ellisse con semiasse maggiore di 10 cm e eccentri-
c i t l 0,1 la differenza tra semiassi B pari a 0,s mm, mentre la
distanza tra il fuoco e il centro B 1 cm.
Le eccentricitl delle orbite dei pianeti sono molto piccole.
Per questo motivo Keplero inizialmente formuli, la sua prima leg-
ge in questo modo: i pianeti si muovono intorno al Sole su delle
circonferenze, ma il Sole non si trova nel centro.
I1 legge di Keplero: la velocitl areolare 6 costante (si veri-
fica in qualsiasi campo centrale).
111 legge di Keplero: il tempo di rivoluzione su un'orbita
ellittica dipende solo dalla misura del semiasse maggiore.
I quadrati dei periodi di rivoluzione di due pianeti che si
muovono su diverse orbite ellittiche stanno nello stesso rapport*
dei cubi dei corrispondenti semia~simaggiori 2.
D i m o s t r a z i o n e. Indichiamo con T il period0 d i
rivoluzione, con S l'area, descritta dal raggio vettore nel tempo T.
2 S = MT. dato che MI2 B la velocitl areolare. Ma l'area del-
l'ellisse B S = nab, da cui T = -
2nab
M E poich6 a = ' l P / kM' -
. -
=- k
2 1 ~ 1
(da a=-
1, b=-. Ma V -
I-e2 k
-
M
1
M =1/2)EJ
, dunque
~ I E I ~
k
T=2n
( ~ m ) ~
rna21EI=-,ecosi~=2na~/2k-~'~.
* a
Notiamo che l'energia totale E dipende, in questo modo, solo
dal semiasse maggiore dell'orbita a , ed 6 unica per tutta una
famiglia di orbite ellittiche, dalla circonferenza d i raggio a a1
segment0 di lunghezza 2a.
P r o b 1 e m a. Nel lancio di un satellite su un'orbita circo-
lare a 300 km dalla Terra, la direzione' della velocitl ha deviato
da quella calcolata d i lo sul lato diretto verso la Terra. Come
varia il perigeo?
Risposta. L'altezza del perigeo diminuiri all'incirca d i
110 km.

Lasciate cadere una goccia di tB non lontano dal centro del bicchiere;
Le onde si raduneranno in un punto simmetrico. La causa di cib B che, i n
accordo con la definizione focale dell'ellisse le onde che escono d* un fuoco
dell'ellisse, si raccolgono nell'altro.
2 Per pianeti si intendono qui punti che si trovano in un campo centrals.
S u g g e r i m e n t o. La differenza dell'orbita da una cir-
conferenza Q di un infinitesimo del second0 ordine e si pui, tra-
scurare. I1 raggio ha il valore calcolato, poich6 l'energia iniziale
ha il valore previsto. Dunque l'orbita si ottiene da quella calco-
l a t a con una rotazione di un angolo di lo(fig. 36).
P r o b 1 e m a. Come cambia l'altezza del perigeo, se la
velociti di lancio B di 1 m/sec minore di quella calcolata?
P r o b 1 e m a. Si chiama prima velocitiz cosmica la velocith
d i mot0 su un'orbita circolare, il cui raggio Q vicino a1 raggio del-

a
la Terra. Trovare il modulo della prima velocitl cosmica v,
e dimostrare che v, = vZ
Risposta. 8 , l kmlsec.
v, (cfr. § 3, B).
P r o b 1 e m a . Durante la sua usci-
t a nello spazio aperto il cosmonauta A. Leo-
nov lancib dalla parte della Terra il coper-
chi0 della cinepresa. Studiare il mot0 del
coperchio rispetto alla navicella spaziale,
considerando la velocitl di lancio pari Fig. 36. Orbita vicina
a 10 mlsec. a quella circolare.
Risposta. I1 coperchio si muoverl ri-,
spetto a1 cosmonauta all'incirca su un'ellisse con asse maggiore
d i circa 32 km e asse minore di circa 16 km. I1 centro dell'ellisse
Bsituato a 16 km davanti a1 cosmonauta sull'orbita, mentre il
periodo di rivoluzione sull'ellisse B uguale a1 periodo di moto
sull'orbita.
S u g g e r i m e n t o. Prendiamo come unitl di lunghezza
il raggio dell'orbita circolare della navicella spaziale, mentre
l'uniti di tempo la scegliamo in mod0 tale che il periodo di rivo-
luzione su questa orbita sia uguale a 2n. Dobbiamo studiare le
soluzioni dell'equazione di Newton
..
r = -r/r3
vicine alla soluzione circolare r, = 1, cp, = t. Cerchiamo queste
soluzioni nella forma

Per il teorema sulla differenziabilith della soluzione rispetto


alle condizioni iniziali, le funzioni rl (t) e rpl (t), a meno di infi-
nitesimi di ordine superiore a1 primo sulla deviazione iniziale,
soddisfano il sistema di equazioni lineari differenziali (equazioni
alle variazioni).
Sostituendo le espressioni per r e e, nell'equazione di Newton,
.otteniamo dopo alcuni semplici calcoli le equazioni alle variazio-

Questo problema B tratto dall'interessante libro d i V. V. Beletskij


corpi celrtti, a Nauka B, Mosca, 1972 (in russo).
Saggi tul mot0 dei
ni nella forma

Risolvendo queste equazioni per le date condizioni ioiziali


(rl (0) = ql (0) = ql (0) = 0, rl (0) = - 11800). otteniamo la
risposta fornita sopra.
Gli infinitesimi del second0 ordine tralasciati danno un
effetto dell'ordine di 11800 rispetto a quanto ottenuto (cioh del-
l'ordine di una decina di metri per giro). Cosi, dopo un giro, il
coperchio, avendo descritto un'ellisse di 30 chnometri in un'ora
e mezza, torna verso la navicella spaziale dal lato opposto alla
Terra, e le passa vicino a una distanza di qualche decina di metri.
Si intende che abbiamo trascurato la differenza dell'orbita
da quella circolare, l'influenza di forze diverse da quelia di gra-
vita, e cosi via.

5 9. Moto di un punto in uno spazio tridimensionale


In questo paragrafo si definisce tl momento della quantith
di mot0 rispetto a un asse e si dimostra che esso si conserva duran-
te il mot0 in un campo con simmetria assiale.
E facile tradurre tutti i risultati, ottennti per il mot0 sul
piano, nel caso di moti nello spazio.
A. Campo conservativo. Consideriamo il mot0 in un c a m p
conservat ivo
..
r = -- " dove U = U (T), T E Es.
ar
Vale la legge della conservazione dell'energia
dE 1 '
r=O (dove E = -2r 2+~(r)).
B. Campo centrale. Legge della conservazione del momento
della quantita di mot0 lli = IT, TI. Durante it mot0 in un campo
centrale il vettore M 2 costante:
=dM
dt
o .
'

Ogni campo centrale B conservativo (si dimostra come nel caso


bidimensionale), e
dM
-=[T,
..
T ] + ~ T , T]=O,
.. dt
poioh6 T = -dUlar, mentre i vettori a U B r e T sono.col1ineari
dato che il campo b centrale.
Corollario. Durante I 1 moto in un campo centrule ogni orbita
2 piana.
D i m o s t r a z i o n e . (iM,r)=([r,rl,r)=O,conseguen-
temente r (t)l19f, e poich6 W , =cost, allora ogni orbita giace
su un piano, perpendicolare a M I. Cosi, lo studio delle orbite in
un campo centrale nello spazio si riduce a1 problema piano, g i i
trattato nel precedente paragrafo.
P r o b 1 e m a. Studiare il mot0 in un campo centrale in
uno spazio euclideo n-dimensionale.
C. Campo con simmetria assiale. Definizione. Un campo vetto-
riale in E3 ha una simmetria assiale, se B invariante rispetto a1
gruppo di rotazioni dello spazio, che lasciano
al loro posto ogni punto .ii un qualche asse. ez
P r o b 1 e m a. Dilnostrare che se un
campo B dotato di simmetria assiale ed B
conservativo, allora la sua energia potenzia-
le ha la forma U = U (r, z), dove r , cp, z sono o p
coordinate cilindriche.
In particolare da cib segue che il vet- 0'
tore del campo giace su un piano che passa
attraverso l'asse z. Fig. 37. Momento del
vettore F rispetto a un
Come esempio di un tale campo pu6 ser- asse.
vire il campo di graviti creato da un solido
di rotazione.
Sia z un asse orientato dal versore e, nello spazio orientato
euclideo ES, F un vettore dello spazio lineare euclideo Rs, 0 un
punto sull'asse z, r = z-0 6 Rs il raggio vettore del punto
x 6 Es rispetto ad 0 (fig. 37).
D e f i n i z i o n e. Si chiama momento M, &l wettore F,
applicato nel punto r , rispetto all'asse z, la proiezione su questo asse
del momento del vettore F rispetto a qualsiasi punto dell'asse z:

M, = (e,, [T, Fl).


I1 valore M, non dipende dalla scelta del punto 0 sull'asse z.
In effetti, consideriamo un punto 0' sull'asse, allora per una
proprieta del prodotto misto, M; = (e,, [ r ' , Fl) = ([e,, r ' l , F ) =
= (fe,, .rl, F ) = M,.
0 s s e r v a z i o n e. M, dipende dalla scelta della direzione
dell'asse z: se si cambia e, in -e,, allora Af, cambia di segno.
Teorema. Durante il mot0 in un campo cnnservativo con simme-
tria assiale intorno all'asse z, i l momento della quantitit di mot0
rispetto all'asse z si conserva.
D i m o s t r a z i o n e . M,=(e,, [T, r ] ) ,

caso M = 0 si lascia a1 lettore.


.. ..
..
poich6 r = F , conseg~lcntementer e ** giacciono su un piano pas-
sante per l'asse z, e dunque [ r , r ] B perpendicolare a e,.
0 P s e r v a z i o n e. La dimostrazione conserva validitb
per ogrii campo di forza, il cui vettore di forza F giace sul piano
tindividuato da r e e,.

.§ 10. Afoto di un sistema di n punti


In questo paragrafo si dimostralto le leggi della conservazio-

-
n o dell'energia, dell'impu1so.e

j 4

Fig. 38. Forze tl'inte-


razione.
del moment0 della quantith di
mot0 per un sistema di punti materiali in E3.
A. F o n e interne ed esterne. Si chiamarlo
equazioni di Newton per il mot0 di un siste-
ma'di n punti rnateriali con masse mi e raggi
vettori r i E E3 1e equazioni

11 vet.tore F, si chiama forza agente sullyi-esimo punto.


Le forze Fi si determinano sperimentalmente. Le osservazio-
ni mostrano che spesso, in un sistema composto di due punti,
,queste forze sono uguali in intensitb, agiscono lungo la retta
che unisce i punti e sono dirette in senso opposto (fig. 38).
Forze simili si chiamano forze d'interazione. (Esempio: le for-
ze d'attrazione universale.)
Se tutte le forze, che agiscono sui punti del sistema, sono
forze d'int.erazione, allora il sistema si definisce chiuso. Per defi-
nizione, in un sistema chiuso la forza, che agisce sull'i-esimo
p1111t.oB

11 vellore Fij si definisce come la forza, con cui il j-esimo punto


.agisce sull'i-esimo.
p ~ i ~ hle6forze Fij e Fji sono dirette in senso opposto (Fij =
- - Fji), allora si possono scrivere nella forma FV = fifeij,
-
dove f i j = f j i indica il modulo della forza, mentre e i j e il versore
della direzione dall'i-esimo punto a1 j-esimo.
Se il sistema non B chiuso, allpra spesso si possono esprimere
le forze che agiscono su di esso nella forma

dove Fij sono forze d'interazione e F I ( r , ) B la cosiddetta forza


.esternu.
E s e m p i o (fig. 39). Dividiamo un sistema chiuso in due
parti I e II. La forza Fi applicata all'i-esimo punto del
sistema I , i determinata dalle forze d'interazione all'interno
del sistema I e dalle forze agenti sull'i-esimo punto da parte dei
punti del sistema II, cioB

i#j
dove FI B una forza esterna nei confronti del sistema I.
B. Legge di conservazione dell'impulso.

Fig. 39. Forze interne ed esterne.

D e f i n i z i o n e. Si chiama impulso (o anche quantith


di moto) di un sistema il vettore
n .
P- 2 mirt.
.i=1
Teorema. La velocith di cambiamento della quantith di mot0 di
u n sistema 2 uguale alla somma di tutte le forze esterne, che agiscono
sui punti del sistema.
D imostrazione.
2 m ,.r.i = 2 Fr= 2 F i j + Z . F ~ 2
n n
dP
-=
dt
= FI.
i= l i= 1 i,j i i

In effetti, 2 F i j = 0,
i. 3
poich6 per le forze d'interazione Fi,=
3
= - Fji.
Corollario I. La quantith di moto di un sistema isolato sz con-
serva.
Corollario 2. S e la somma delle forze esterne, che agiscono
sul sistema, 2 perpendicolare all'asse x, allora la proiezione P , della
quantith di mot0 sull'asse x si conserva: P , = cost.
D e f i n i z i o n e. Si chiama centro d'inerzia di un sistema
(o baricentro) il punto cosi individuato:

r=
2 miri
p i
P r o b 1 e m a. Ilimostrare che il centro d'inerzia B defini-
to in mod0 esatto, cioi non dipende dalla scelta dell'origine per
la misura dei raggi vettori.
La quantitir di mot0 di un sistema b uguale a quella di un punto,
posto nel centro d'inerzia det sistema e di massapari a 2 I&.
E evidente che per come Q definito il centro d'inerzia
(2 m i ) r = ( m i r i ) ,da cui segue (2 2
m i ) & = mi;i.
Ora ~ o s s i a m oriformulare il teorema della auantiti di mot0
come t e o i m a sul mot0 del centro d'inerzia.
Teorema. I1 centro d'inerzia di un sistema si muow come se
tutte le muse fossero concentrate in esso e tutte le forze jossero appli-
cute ad esso.
Dimostrazione. (2 m i ) ;=P, quindi (2 m i ) ;=
--ddtP =
- 2 Fi.
i
Corollario. Se un sislema 2 chiuso allora il suo centro d'inerzia
si muove di mot0 rettilineo uniforme.
C. Legge di conservazione del momento della quantith di moto.
D e f i n i z i p n e. I1 momento della quantith di mot0 di un
punto mteriale rispetto a1 punto 0 B il momento del vettore impul-
so rispetto a1 punto 0:
M = [ r ,m r J.
Si chiama momento della quantita di mot0 di un sistema rispetto
a1 punto 0 la somma dei momenti delle quantiti di mot0 dei punti
del sistema:
n
M= 2 [ r i ,mii*i~.
i=l

Teorema. La velocitir di variazione del momento della quantitir


di mot0 di un sistema b uguale alla somma dei momenti delle forze
esterne agenti sui punti del sistema.
Dimostrazione.

I1 primo termine 6 uguale a zero, mentre il secondo, in base alle


equazioni di Newton, Q uguale a

Effettivamente, la somma dei momenti di due forze d'interazione


Q uguale a zero, poich6
Per questo & ugliale a zero la somma dei momenti di tutte le
forze d'interazione:
n n
dM
2 [ r t , 2 F , , ] = 0. Dunque x= [ r i , FI] c.v.d.
i= 1 i #j i= 1

Corollario I (legge di conservazione del momento della quanti-


tb di moto).
Se un sistema 2 chiuso allora M = cost.
Indichiamo la somma dei momenti delle forze esterne con
n
dl11
N = 2 Iri,
i=l
Fil. Allora, per il teorema dirnostrato -;7i- = A ~ ,
da cui consegue
Corollario 2. Se il momento delle forze esterne rispetto all'asse z
B nullo, allora Af, si c o m m a .
D. Legge di consewazione dell'energia.
D e f i n i z i o n e. Si chiama energia cinetica di un punto
di m a m

D e f i n i z i o n e. Si chiama energia cinetica di un sistema


di punti materiali la somma delle energie cinetiche dei singoli
punti:

dove mi sono le masse dei punti e r i le loro velociti.


Teorema. L'incremento dell'energia cinetica di un sistema
B uguale alla somma dei lavori di tutte le forze, che agiscono sui punti
del sistema.
Dimostrazione.

-.
i= 1

Quindi,

Lo spazio delle configurazioni di un sistema di n punti mate-


riali in Ea & il prodotto diretto d i n spazi euclidei: Esn=Esx ...x E a .
Esso stesso ha la struttura di spazio euclideo. Indichiamo con
.
r =!r,, . ., r,) il raggio vettore di un punto dello spazio delle
conf~gurazioni,e con F = (Fi,. . ., F,) il vettore della forza. I1
precedent0 teorema si pud scrivere nella forma

T (ti)-T(to)=
ra(tl)
1 (F, dr)= I' .
( r , F) dt.
4 0 ) 10
In altre parole,
l'incremento dell'energia cinetica 2 uguale a1 lavoro dellu
(I forza n 3n-dimemionale F sul u cammino n r (t) nello spazio delle
conf igurazioni.
D e f i n i z i o n e. Un sistema si dice comervativo (o poten-
ziale) se le forze dipendono soltanto dalla posizione dei punti del
sistema, F = F ( r ) , e il lavoro F su un qualsiasi cammino dipende
solo dagli estremi del cammino stesso:

Y ( F , dr)=O(Mi* M*).
Mi
Teorema. Affinche' un sistema sia comer vat it;^ 2 necessario
e suff iciente che esista l'energia potenziale, cio2 u r n f unzione U (r)
tale che

D i m o s t r a z i o n e . Vedi $ 4, B.
Teorema. L'energia totale di un sistema comervativo E = T U +
si conserva durante i l moto: E (t,) = E (t,).
D i m o s t r a z i o n e. Per quanto dimostrato sopra

T(t,)-T(to)=r(f)(F, dr)=U(r(t,))-U(r(t,)), c.v.d.


r(to)
Ammettiamo che tutte le forze, che agiscono sui punti del
sistema, si dividano in forze d'interazione e forze esterne cosicchd
Ft = Z:
i4-j
Ftj+F:,

dove F = -Fji = ftjrij.


A fi! e r m a z i o n e. S e tutte le forze d'interazione dipendono
solo dalla distanza, fi! = f i j (1 ri-r j I), allora sono comervative.
D i m o s t r a z I o n e. Se il sistema consiste in tutto di due
punti i , j Q facile verificare che l'energia potenziale dell'interazio-
ne B data dalla formula
T

ui j (11 = - S f i j (PI dp-


TO

In effetti, allora
Per questo l'energia potenziale d'interazione di tutti i punti saril

Se anche le forze esterne sono conservative, cio6 Fi =


= - aUrlOri, allora
il sistema 6 conservativo e la sua energia
potenziale totale 6

Per un tale sistema si conserva l'energia meccanica totale

Tuttavia se il sistema non 6 conservativo, allora l'energia


meccanica totale in generale non si conserva.
D e f i n i z i o n e. Si chiama increment0 dell'energia
non meccanica E' una diminuzione dell'energia meccanica,
E (to) - E (tl),

Teorema (legge della conservazione dell'energia). L'energia


totale H = E + E' si conserva.
Si capisce che questo teorema 6 una conseguenza evidente della
precedent0 definizione. I1 suo significato consiste in cib, che nei
sistemi fisici concreti si trovano espressioni per la grandezza del-
l'energia non meccanica E' attraverso altre grandezze fisiche
(temperatura, ecc.)
E. Esempio. Problema dei due corpi. Due corpi di masse
m,, m 2 interagiscano con un potenziale U, cosicch6 le equazioni
di mot0 hanno la forma

Teorema. La variazione di r = r , - r , nel problema dei due


corpi 2 la stessa di quella del moto di un punto di massa m =-
m1IIL*
m,+m,
in un campo con potenziale U (I r I).
Indichiamo con r o il raggio vettore del centro d'inerzia

In accord0 col teorema sulla conservazione della quantiti di


mot0 il punto 9'0 si muove di mot0 rettilineo e uniforme.
Consideriamo ora il. vettore r = r, -r,: Moltiplicando la

do troviamo -m,r = (m,


.. - +
prima delle equazioni di mot0 per ma, la seconda per m, e sottraen-
m,) au ,
d o v e U = U (IT,-r, I) = U (I r I).
In particolare, nel caso di una forza
d'attrazione newtoniana i punti descrivono
intorno a1 comune centro d'inerzia delle
sezioni coniche con fuoco nel centro d'iner-
zia (fig. 40).
Fig. 40. Problema dei P r o b 1e m a. Determinare il semiasse
due corpi.
mamiore dell'ellisse. che descrive il centro
d e l i i Terra intornb a1 comune centro
d'inerzia della Terra e della Luna. Dove si trova questo
centro d'inerzia: fuori o dentro la Terra? (La massa della Luna
B 81 volte pi6 piccola di quella della Terra.)

5 11. Considerazioni di similitudine


I n alcuni casi si pub ottenere un'informazione importante,
non risolvendo le equazioni di moto, dalla loro forma, impiegan-
do considerazioni di similitudine e dimensione. La sostanza di
tali considerazioni consiste nella scelta opportuna di una varia-
zione delle grandezze (tempo, lunghezza, massa, ecc.), per l a
quale le equazioni di mot0 conservano la loro forma.
A. Esempio. Ammettiamo che r (t) sia soluzione dell'equazione
Br
m-=-- au
dt* ar

Poniamo t, = a t , m, = a2m. Allora r(t,) soddisfa I'equazione


Gr
m,. -= -- au In altre parole,
dt1 ar .
se si diminuisce la massa del punto quattro volte, allora e m
potrd percorrere la stessa orbita nello stesso campo di forze due volte
piG velocemente l.
B. Problema. Sia l'energia potenziale di un campo centrale
una funzione omogenea di grado v:
U (ar) = aVU (r) per qualunque a >O.
Dimostrare che se la curva y 2 un'orbita del moto, allora anche
la curva omotetica a y 2 un'orbita (per le corrispondenti condizioni
iniziali). Determinare il comportamento dei tempi di rivoluzione

Qui si assume che U non dipende da m. Nel campo di gcavitazione U


b proporzionale a m, e dunque il periodo non dipende dalla massa m del
punto in moto.
su queste orbite. Dedurre da qui l'isocroniciti delle oscilIazioni del
pendolo (v = 2) e l a terza legge di Keplero (v = -1).
P r o b 1 e m a. Considerando che il raggio di un pianeta
B a volte minore del raggio della Terra e che la sua massa B $
volte minore, trovare quante volte l'accelerazione di gravitii, la
prima e la seconda velociti cosmiche sono minori rispetto ai
valori della Terra.
Risposta. y = Pa-', 6 = l/ra.
Per esempio, per la Luna a =-3,7, fi x 81. Conseguentemente
I'accelerazio~?edi gravitii risulta essere circa 116 di quella terre-
stre ( y x 6), mentre le velociti cosmiche sono circa 115 di quelle
terrestri (6 x 4,7).
P r o b 1 e m a I. Gli animali di un desert0 devono compiere
grandi distanze tra le diverse sorgenti d'acqua. Come dipende il
tempo massimo, che pub correre un animale, dalle dimensioni
dell'animale I,?
Risposta. E direttamente proporzionale a L.
S o l u z i o n e. La riserva d'acqua 6 proporzionale a1 volu-
me del corpo, cioh a L3, la trasudazione all'area della
superficie, cio6 a L2. Quindi il tempo massimo di coma da una
sorgente d'acqua all'altra B direttamente proporzionale a L.
Notiamo che la massima distanza che pub percorrere un ani-
male cresce anch'essa proporzionalmente a L (vedi il seguente
problema).
P r o b 1 e m a l. Come dipende la velocita di corsa dell'ani-
male in un l u o p piano e in montagna dalle dimensioni
dell'animale L?
Risposta. I n un luogo piano, -Lo, in montagna, -
S o 1 u z i o n e. La potenza esercitata da un animale B pro-
L-I.
porzionale a L2 (il coefficiente d'azione utile dei muscoli 6 quasi
costante, circa il 25%, il restante 75% dell'energia chimica va in
calore; il rendimento termico B proporzionale alla superficie
del corpo, cioh a L2, quindi anche la potenza utile B proporzio-
nale a L').
La resistenza dell'aria 6 direttamente proporzionale a1 qua-

L2, conseguentemente, v -
spesa per vincerla B dunque proporzionale a v2L2v. Cosi v3L2 -
drato della velociti e all'area della sezione trasversale; la potenza
- Lo. In effetti la velociti di corsa
in pianura, per animali non pih piccoli della lepre e non piii gran-

--
di del cavallo, praticamente non dipende dalle dimensioni.
- LSv; poich6 la potenza esercitata B -
Per correre in montagna 6 necessaria una potenza mgv
L2, troviamo v
Effettivamente il cane sale facilmente di corsa su un colle, men-
L-l.
tre il cavallo segna il passo.

J. Smith I&e matematiche in biologia, 6 Mir B, 1970, o Cambridge,


1968.
P r o b 1 e m a I. Come dipende dalle dimensioni dell'anima-
le l'altezza che esso pub raggiungere con un salto?
Risposta. -- Lo.
S o 1 u z i o n e. L'energia necessaria per un salto di altezza
h 6 proporzionale a Lsh, mentre il lavoro compiuto dalla forza.
muscolare F B proporzionale a FL. La forza F B proporzionale
loro sezione). Dunque Lsh -
a L2 (poich6 la robustezza delle ossa 6 proporzionale all'area della
L2L, cio6 l'altezza del salto non
dipende dalle dimensioni dell'animale. Effettivamente il top0
delle piramidi e il canguro saltano pi& o meno alla stessa altezza.

J . Smith Idee matematiche in biologia, cl Mir D, 1970, o Camblidge,


1968.

56
Seconda parte
MECCANICA LAGRANGIANA

La meccanica lagrangiana descrive il mot0 di un sistema


meccanico per mezzo dello spazio delle configurazioni. Lo spazicl
delle configurazioni di un sistema meccanico ha una struttura
di varieti differenziabile. Sulla varietA differenziabile I3 definito
il gruppo dei diffeomorfismi. I concetti fondamentali ed i teoremi
della meccanica lagrangiana (anche se formulati in termini di
coordinate locali) sono invarianti rispetto a questo gruppo '.
'Un sistema meccanico lagrangiano Q definito mediante una
varieti (a spazio delle configurazioni B) e una funzione sul suo
fibrato tangente (a lagrangiana 9).
Ogni gruppo a un parametro di diffeomorfismi dello spazio
delle configurazioni, che lasciano una lagrangiana inrariata,
definisce una legge di conservazione (cioQ un integrale primo
delle equazioni del moto).
Un sistema newtoniano definito da un potenziale B un caso
particolare di sistema lagrangiano (in questo caso lo spazio delle
configurazioni Q euclideo e la lagrangiana I3 la differenza tra
I'energia cinetica e I'energia potenziale).
I1 punto di vista lagrangiano Q utile per lo studio completo
di una serie di problemi importanti, per esempio nella teoria dclle
piccole oscillazioni e nella dinamica del corpo rigido.

I1 I. I1 principio variazionale
In questo capitol0 dimostriamo che i moti di un sistema new-
toniano definito da un potenziale sono estremali per un principio
variazionale, il cosiddetto a principio di minima azione di
Hamilton n.
Da questo fatto derivano parecchie conseguenze importanti,.
come ad esempio la possibilitil di scrivere rapidamente le equazio-
L'invarianza sussiste anzi anche rispetto ad un gruppo piii grande
di trasformazioni; comprendente anche trasformazioni del tempo.
ni del mot0 in coordinate curvilinee, e anche varl rlsultati quali-
tativi, come il teorema sul ritorno vicino ad un punto iniziale.
In questo capitol0 useremo uno spazio munito di coordinate
n-dimensionale. Un vettore x di questo spazio B un insieme di n
numeri ( x , . . . x ) . Corrispondentemente aftax significa
(af!dx1, . . ., 3flax,), (0, b) = albl + . . .+
a,bn.

12. Calcolo &lie variazioni


S e l seguito avremo bisogno di alcuni risultati del calcolo
delle variazioni. Una trattazione piii approfondita potrl essere
trovata, per esempio, nei testi di M. A. Lavrentjev e L. A. Ljuster-
nik Corso di calcolo delle variazioni, Mosca-Leningrado, 1938
o di G. E. Silov Analisi matematica. Corso speciale, Fizmatgiz,
1961.
11 calcolo delle variazioni si occupa della ricerca degli estre-
mi di funzioni il cui dominio di definizione 8 uno spazio di di-
mensione infinita: lo spazio delle curve. Tali funzioni sono chia-
mate funzionuli.
Un esempio di funzionale 8 la lunghezza di una curva in un
piano euclideo
y={t, x: x ( t ) = x ; t0<t<tl),
tl -
@(y)= \ vl+&dt.
io
In generale, un funzionale B una qualunque applicazione del-
lo spazio delle curve nell'asse reale.
Consideriamo una curva y' a vicina n a y, y' = {t, x: x =
= x (t) + h (tj). La indicheremo con y' = y + h. Prendiamo in
esame I'incremento del funzionale @, @ (y + h) - @ (y) (fig. 41).
A. Variazioni.
D e f i n i z i o n e. I1 funzionale 0 s i dice differenziabile
+
se 0 (y h) - @ (y) = F +
R , dove F dipende linearmente
+
da h (cio8 per un y fissato F (hl h,) = F (h,) + F (h,) e F (ch) =
= c F (h)) mentre R (h, y) = 0 (h2), nel senso che da I h I < e
e 1% I < a consegue I R I < Ca2. F (h), parts lineare dell'incre-
m'entd, si chiama differenziale.
Si pub dimostrare che, se il funzionale 0 B differenziabile,
allora il suo differenziale 6 univocamente determinate.
I1 differenziale di un funzionale si chiama anche variazione, e h
viene chiamato variazione della curva.
Occorrerebbe specificare su quale classe di curve b definito il funzio-
nale @ e quale 6 lo spazio lineare descritto da h. Si ub, ad esempio, assumere
cbe si tratti in entnmbi i casi dello spazio delfe funzioni infinitamente
differenziabili.
E s e m p i o. Sia y = { t , x: x = x (t), t,<t t,) una <
' &
-
curva nel piano ( t , x); x = dt ; L = L (a, b, c) sia.una funzione
differenziabile di tre variabili. Costruiamo il funzionale
ti

(3( y ) = jL (3 ( t ) , ;(t),t )d f .
to

Ad esempio, nel caso particolare L = 1/ 1 + b" otteniamo


la lunghezza della curva y.

Fig. 41. Variazione di una curva. Fig. 42. Costmzione della fun-
zione h.

t1
Teorema. I1 funzionule (3 (y) = L (x, ,; t ) dt 2 differen-
t
ziabile e il suo differenziale 2 &to dalla formula

Di m o s t r a z i o n e .

@(y+h)-O(y)=
ti . . t).-L(x, ,; t ) ] d t =
5 [ L ( x + h , x+h,
to

a~ a~
h + Th ) dt, R = 0 (h2).Integrando per parti
t9
dove F (h)= J {= a2
10
otteniamo
B. E9tremali.
D e f i n i z i o n e. Un estremale di un funzionale differen-
ziabile Q, (y) 6 una curva y, tale che F (h, y) = 0 per ogni h.
(Esattamente come quando si dice che y e un punto stazio-
nario per una funzione, se ivi si annulla il differenziale.)
Teorema. A ff inch4 la curva y: x = x (t) sia estremale per il
f unzionale Q, (y) = L (x, x, t) d t nello spazio delle curve passan-
t;
ti per i punti x(to) = xo e x (t,) = XI, 2 neeessario e sufficiente
che lungo la curva x (t) valga

Lemma. S e la funzione continua f (t), t,<t<tl, b tale che

f (t) h (t) dt = 0 per ogni funzione continuu h (t), per la guu-


;o
le h (to) = h (ti) = 0, allora f (t) = 0.
D i m o s t r a z i o n e d e l l e m m a . Sia f ( t * ) > O ,
to < t* < t,. Per l a continuiti s a r i f (t) >c in un intorno A del
<
punto t*: to t* - d (t (t* +
d < t,; sia h (t) = 0 fuori
d
di A , h ( t ) > 0 in A e h ( t ) = 1 in A ( t * - A 2< t < t * i Z . ) .

Allora evidentemente f (t) h (t) dt,ldc > O (fig. 42). La


ir
contraddizione ottenuta mostra che f (t*) = 0 per ogni to (
(t* (t,, c.v.d.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a . Per il teorema
precedente

I1 second0 termine della somma 6 uguale a zero, dato che h (to) =


= h (t,) = 0. Se y 15 un estremale, allora F (h) = 0 per ogni h
per la quale h (to) = h (t,) = 0. Pertanto per ogni h (t) di questa
classe j f ( t ) h ( t ) d t = 0, dove f ( t ) = z(y
aL ) - x
a% .
~~
aL. Per i1
20
lemma allora f (t) = 0. Viceversa, se f (t) = 0 allora, evidente-
mente, F (h) = 0, c.v.d.

0 anche per qualunque funzione h (t) infinitamente differenziabile.


E s e m p i o. Verifichiamo che gli estromali della iunghez-
za sono le rette. Si ha

C. Equazione di Eulero - Lagrange.


D e f i n i z i o n e. L'equazione

s i chiama equazione di Eulero - Lagrange per il funzionale

Siano ora x un vettore dello spazio n-dimensionale delle coordi-


nate Rn, y = { t , x : x = x ( t ) , to <
t<tl) una curva nello spa-
zio n + 4-dimensionale R X Rn e L: Rn X Rn X R + R una
funzione di 2n +
1variabili. Analogamente a1 precedente teorema
s i dimostra
Teorema. Affinche' una curva y sia u n estremale del funzionale

U) ( y ) = L ( x ,,; t ) dt ncllo spazio delle curve x ( t ) che congiun-


t
gono due punti fissati (to,xo)e (t,, x,), 2 necessario e sufficiente che
lungo di essa sia verificata l'equazione di Eulero - Lagrange
-atd aL
a;
; ax
aL o
Questo B un sistema di n equazioni del secortdo ordine e la
soluzione dipende da 2n costanti arbitrarie. Per individuarle
occorrono le 2n condizioni x (to) = soe x (t,) = x,.
P r o b 1 e m a. Trovare esempi nei quali le curve estremali
che congiungono due punti dati sono pi; di una ed esempi dove
non ne esiste alcuna.
D. Ossewazione importante. La proprieta di curva di essere
estremale di u n funzionale non dipende dal sistema di coordinate.
Ad esempio, lo stesso funzionale, la lunghezza'di una curva,
6 dato, in coordinate cartesiane o polari, da diverse formule
Gli estremali sono gli stessi: le rette nel piano. Le equazioni
della retta in coordinate cartesiane e in coordinate polari sono
date da funzioni diverse: xl = xl (t), x, = x, (t); r = r (t),
cp = cp (t). Ma sia le une che le altre soddisfano le equazioni di
Eulero - Lagrango

solo cha nel primo caso I..,= xi. z,; LC.,=


. .
~ x : + x ~e nel
second0 ipol = r , cp; L m I = ; " r2i2.
In tal mod0 possiamo scrivere facilmente le equazioni dif-
ferenziali per la famiglia d i tutte le rette in coordinate qualunque.
P r o b 1 e m a. Scrivere le equazioni differenziali per la
famiglia di tutte le rette del piano in coordinate polari.

3 13. L'equazione di Lagrange


In qucsto paragrafo B illustrato un principio variazionale, l e
cui curve estremali sono le soluzioni delle equazioni del mot0 d i
Newton per un sistema definito da un potenziale.
Confrontiamo le equazioni della dinamica newtoniana

con le equazioni di Eulero - Lagrange

A. Principio di minima azione di Hamilton.


Teorema. I moti del sistema dinamico (1) coincidono con gli
t
estremali del junzionule O, (y) = L d t , dove L = T -U 2 lo
to
differenza tra l'energia cineticd e l'energia potenziale.
rf
D i m o s t r a z i o n e . Poichd U = U ( r ) e T = Z mi - a bbia-
mo - ar, -
-- aT = m i r i , - a~ = -- au
a;i a& art art .
.
Corollario. . Siano (q,, . ., q,) coordinate arbitrarie nello
spazio delle configurazioni di u n sistema di n punti materiali.
Allora la variazione di q nel tempo verifica & equazioni di Eulero -
Lagrange
- -
d a~ --=0,
a~ dove L = T - U .
a4 )
; i ~ ( ~
D i m o s t r a z i o n e. Per il teorema precedente la l e g p
S
del mot0 B un estremale del funzionale L dt. Pertanto per ogni
sistema di coordinate sono verificate le equazioni di Eulero -
Lagrange, scritte in quelle coordinate, c.v.d.
D e f i n i z i o n c. In meccanica viene utilizzata la seguente
terminologia: L (q, q, t) = T - U 6 la funzione di Lagrange o la-
grangiana, qi sono le coordinaie generalizzate, qi le celocith
generulizzate, --;-= pi gli impulsi generalizzati , - le forze
a91
aL
"
a9t

generalizzate,
tn
L (q,
B I'equazione d l Lagrange.
i , t) dt 6 l'azione c d a~
(7)aqi -=a~
=0

L'ultimo teorema si chiama 4 principio di minima azione nel-


la forma di Hamilton n in quanto spesso il mot0 q (t)
B non solo un estremale. ma B tale da far assumere il valore minimo
a1 funzionale dell'azione 5 L dt.
11

to
B. Esempi semplici.
E s e m p i o 1. Per un punto materiale libero in E3

in coordinate cartesiane qi = ri abbiamo

In questo caso le velociti goneralizzate sono le componenti


del vettore velociti. gli impulsi generalizzati pi = mqi sono le

*
componenti del vettore quantiti di moto, le equazioni di Lagrange
coincidono con le equazioni di Newton dt = 0. Gli estremali sono
delle rette. Dal principio di Hamilton segue che le rette non sono
solo i cammini piii brevi (cioB estremali della lunghezza
1 {a + 6: + k dt) . ma
1,

i;
anche estremali dell'azione 1(k +
+ kP+r ok)b dt.1 e m a. Dimostrare che questo estremo B un minimo.
E s e m p i o 2. Consideriamo il mot0 in un campo centrale
piano, scritto in coordinate polari qi = r , q, = 9. Dalla relazione
T
.=re,. + cpre, troviamo l'energia cinetica T = -mra
=
m
2 -
(r'+
+ h)
r 2 2 ) e la lagrangiana L (q, q )= T (q, - U ( q ) , U =U (9,).
Gli impulsi generalizzati saranno p =aL~ cioe ,
acr
pi = mr, p, = mr2q.

L a prima equazione di Lagrange p1 =* aq1


assume la forma

Avevamo giit ottenuto questa equazione a1 5 8.


Poich6 q, = cp non compare esplicitamente in L abbiamo che
aL = 0. Pertanto la seconda equazione di Lagrange sarit p, =
..,
= 0, p, = cost. Questa B la legge di conse&azione del momento
della quantiti di moto.
Nel caso generale, quando il campo non 13 centrale, U =
= U (r, cp), otteniamo p, = --
au
ace .
Questa equazione pu6 essere riscritta nella forma
d
7ii-(Jf9e z ) = N 9 dove N = ( [ r , F ] , e,), F = --ar .
(La veiocita
di carrzbiamento del momento della quantita di mot0 rispetto
all'asse z 2 uguale a1 momento della forza F rispetto all'asse 2.)
In effetti, si ha che d U = xau d r f - au a@ d q = - ( F , dl*)=
= -( F , au
e,) dr - r ( F , e,) dcp e pertanto -- = r ( F , e,) =
a?
= r- ([en F l , e,) = ( [ r , Fl, .e,).
L'esempio ora considerato ci induce a generalizzare la legge
d i conservazione del momento della quantitit di moto.
D e f i n i z i o n e. La coordinata qf si chiama ciclica se
non compare esplicitamente nalla lagrangiana: aL - 0.
Teorema. L'irnpulso generalizzato, corrispondeni~ad una coor-
dinata ciclica, si conserva: p i = cost.
D i m o s t r a z i o n e. Per .l'equazione di Lagrange
g 14. La trasformazione di Legendre
La trasformazione di Legendre 6 un algoritmo matematico
ausiliario, che consiste nel passare dalle funzioni definite su
uno spazio lineare alle funzioni definite sullo spazio duale. La
trasformazione di Legendre 6 connessa con la dualith proiettiva
e le coordiilate tangenziali in geometria algebrica, ovvero con la
costruzione del duale di uno spazio di Banach in analisi. Si incon-
tra spesso anche in fisica (per esempio, nella definizione delle
grandezze termodinamiche).
A. Definizione. Sia y = f (x) uxia funzione convessa f" (x) >O.
Si chiama trasformata di Legendre della funzione f una nuova
funzione g di una nuova variabile p, costruita nel seguente mod0

Fig. 43. La trasformazio- Fig. 44. La trasforrnazione 'di Legendre


ne di Legendre. porta un angolo in un segmento.
(fig. 43). Tracciamo sul piano s , y il grafico della funzione f.
Sia dato il numero p. Consideriamo la retta y = px. Prendiamo
il punto x = x (p) nel quale la distanza tra la curva e la retta
lungo la verticale 6 massima: la funzione p s - f (2)= F (p, s )
ha un massimo in x, per p fissato, nel yunto x (p); allora g (p) =
= F (P, x (PI).
I1 punto x (p) B individuato dalla condizione di essere un
estremo: 6Fl6x = 0, cio@f' (x) = p. Per la convessitii di f il
punto x (p) 6 univocamente determinato '.
B. Esempi.
E s e m p i o 1. Sia f(z)=x2., Allora F(p, z ) =px-s2,
P 1
z ( P ) = ~ ,g(p)=.pz.
mx= P=
E s e m p i o 2. Sia f ( x ) = - ~Allora g ( p ) = - 2m '
xa 1
E s e m p i o 3. Sia f ( x ) = ~ .Allora g ( p ) = 4 . dove
B --+
i
+g=l(a>i, p>1).
Se esiste.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che se la funzione f b definita su tutto
l'asse x, i l dominio di definizione di g pub essere un punto, un intervallo
o una semiretta. Dimostrare che se la funzione f 13 definita su un intervallo,
allora g 13 definita su tutto l'asse p.
E s e m p i o 4. Sia f (x) una poligonale convessa. Allora
anche g (p) 15 una poligonale convessa ed 15 tale che ai ver-
tici di f (x) corrispondono i segmenti di g (p) e ai segmenti di f (x),
i vertici di g (p). Per esempio, l'angolo illustrato nella fig. 44
diventa per una trasformazione di Legendre un segmento.
C. Involutlvitil. Supporremo che la funzione f sia differen-
ziabile un numero sufficiente di volte e che f a (x) > 0. E facile
verificare che la trasformazione di Legendre porta funzioni con-
vesse in funzioni convesse. Pertanto essa pub essere applicata
due volte.
Teorema. La trasformazione di Legendre2 involutiva, c i d il suo
quadrat0 2 la trasformaztone identica: se f va in g sotto la trasforma-
zione di Legendre, allora trasformando g si otterra nuovamente f.
D i m o s t r a z i o n e. Per applicare la trasformazione di
Legendre alla funzione g della variabile p, dobbiamo, per defini-
zione, considerare una nuova variabile indipendente (che indi-
chiamo con x), costruire la funzione
G (x, P) = 3P - g (P),
trovam un punto p (x) nel quale G ha un massimo:
-
aG
dP
= 0, cioh g' (p) = x;
allora la trasformata di Legendre di g (p) s a r i la funzione di x,
pari a G (x, p (x)).
Dimostriamo che G (s, p (x)) = f (x). A questo scopo osser-
viamo che G (x, p) = s p - g (p) ha una semplice interpretazione

yk5
geometrica: 13 l'ordinata del punto di ascis-
sa x sulla retta tangente a1 grafico di f (x)
con inclinazione p (fig. 45). In effetti, per
un p fissato, G (s, p) i! una funzione lineare
di x, per la quale X / a x = p, e per x =
-. x (p) abbiamo G (x, p) = xp- g ( p ) =
= f (x), per definizione di g (p).
'

Fissiamo ora x = x, e facciams varia-


re p. Allora i valori di G (x, p) saraiino le
ordinate dei punti di intersezione della
retta x = x, con le tangenti a1 grafico di
Fi . 45. Involutiviti f (x), con le diverse inclinazioni p. Per la
defla trasformazione convessiti de1 grafico, tutte gueste tangenti
di Legendre. giacciono a1 di .sotto della cunta, e quindi il
massimo di C (3, p), per s (p,) fi.ssato, 6
uguale a f (x) (e si ottiene per p = p (x,) = f' (x,)), c.v.d.
Grollario '. Sia data la famiglia di rette y = px - g (p).
A llora la curva inviluppo di tale famiglia ha l'equazione y = f (x),
dove f 2 la trasformata di Legendre della funzione g.
E facile rendersi conto che questo corollario lion L altro che la teoria
dell'a equazione di Clairaut ,.
D. Dieuguaglianza di Young.
D e f i n i z i o n e. Due funzioni f, g trasformate di Legen-
dm l'una dell'altra si dicono duali secondo Young.
Per la definizione della trasformazione di Legendre, F (x, p)=
= px - f ( 2 ) G g (p) per ogni x, p. Da cib segue la disuguaglianza
di Young

E s e m p i o 1. Se f (x) = T ,allora g (p) =PI


2%
2
e otteniarno
23 p=
la nota disug~laglianzap x G T- f -
per ogni x, p.

E s e m p i o 2. Se f (x)=,,
za
allora g (p)=-,
P
P*
-+$=I
a
e otteniamo la disuguaglianza di Young

E. Caso di pi& variabili. Sia ora f (x) una funzione convessa


della variabile vettoriale x = (r,, . . ., x,) (vale a dire la forma
azf
quadratica (= d z , d x ) i. definita positiva). Allora si chiams
trasformata di Legendre una funzione g ( y )della variabile vettoria-
le p = (p,, . . ., p,), definita in modo
analog0 a quanto fatto sopra:
- F ( y . x(p)) = maaF(y,x), F(:,(:~I
.c
f
= (P,x ) - f ( 4 , P = =d.
Tutti i risultati precedenti, compresa
la disuguaglianza di Young, si trasportano

-
senza alcun cambiamento a auesto caso.
P r o b 1 e m a. Sia f:'~" R una ~ i 46.~ L~. trarforma-
funzione convessa sullo spazio lineare Rn. ta di Legendre di una
Indichiamo con Rn*lo spazio lineare duale. forma quadratica.
Dimostrare che le formule precedenti defi-
niscono completamente un'applicazione g: Hn*+ R (nell'ipotesi
che la forma linerae df , 1 descriva tutto lo s p a d o Rm*quando x
descrive tutto Rn).
2
P r o b 1 e m a . Sia f una forma quadratica: f (x) = f i j x g j .
Dimostrare che la sua trasforrnata di Legendre 6 ancora una forma
quadraticn g ( p )= 2 gijpipf tale che i valori delle due forme nei
punti corrispondenti sono uguali (fig. 46):
$ 15. Le equcrzioni di Hamilton
Con una trasformazione di Legendre, il sistema di equazioni
differenziali del secondo ordine di Lagrange si trasforma in un
sistema di 2n equazioni del primo ordine, dotato d i una notevole
simmetria: il sistema delle equazioni di Hamilton (o delle equazioni
canoniche).
A. Equivalenza delle equaaieni di Lagrange. e di Hamilton.
Consideriamo il sistema di equazioni di Lagrange = aLlaq,
dove y = a ~ l a * ,definito da una funzione di Lagrange L : Rn x
x Rn x R -t R che supporremo convessa rispetto a1 secondo
argomento q.
Teorema. I1 sistema delle equazioni di Lagrange 2 equivalente
ad u n sistema di 2n equazioni del primo ordine, le equazioni di
Hamilton

dove H (p, q , t ) = pq - L ( q , h, t )2 la trasformata di Legendre del-


la funzione d'i Lagrange, considerata come funzione d e l k i.
D i m o s t r a z i o n e. Per definizione, la trasformata di
Legendre in h. di L ( q . h, t ) 6 una funzione H (p) = pb - L (h)
4
nella quale B legato a p dalla formula p = a ~ l a ei che dipende
inoltre dai parametri q e t. Questa funzione H si chiama funzione d i
Hamilton.
I1 differenziale totale della funiione di Hamilton

aL .
6 uguale a1 differerlziale totale di pq- L con p= -
af '
aL
d H = q dp-- % dq-- aL
at
dt.
Le due espressioni per dH devono coincidere. Pertanto

Ricordando le equazioni,di Lagrange i'= aLlaq otteniamo le


equazioni di Hamilton.
Quindi se q ( t ) soddisfa alle equazioni d i Lagrange, (p ( t ) ,
q ( t ) ) soddisfa alle equazioni di Hamilton. Analogamente si
dimostra l'inverso. In definitiva i sistemi di Lagrange e di Hamil-
ton sono equivalenti, c.v.d.
Nelle a~plicazioniquesta funzione convessa sara generalmenb una
forma quadratica definita positiva.
0 s s e r v a , z i o n e. I1 teorema dimostrato riguerda tutti
i problemi variazionali e non solo le equazioni lagrangiane della
meccanica.
B. h n z i o n e di Hamilton e energia.
E s e m p i o. Supponiamo di considerare delle equal:
della meccanica, con la funzione d i Lagrange della eolita forma,
L = T - U, dove l'energia cinetica B una forma quadrntica in 4:
aij=aji(q, t); U=U(q).
Teorema. Per queste ipotesi la funzione di Hamilton H b uguale
all'energia totale H = T + U.
La dimostrazione si basa su un lemma sulla trasformata di
Legendre di una forma quadratica.
Lemma. I1 valore di una forma quadratiw f (3) e della sua tra-
sformata di Legendre g ( p ) coincidono nei punti corrispondenti:
f ( 4 = g (P).
E s e m p i o . Per la formn f (x) = xZ si tratta di uria rlota
proprieti della tangente ad ilna parabola. Per la forma f ( I ) =
-- ~n
-tl
abbiamo p = mx e g ( p ) = 2m = 2 = f ( 5 ) .
2
D i m o s t r a z i o n e d e l l e m m a . P e r i l teoreme di
Eulero sulle funzioni omogenee

Di conseguenza g (1) (x)) = px - f (3) = - af x - f = 2f (x) -


dx
- f (x) = f ( x ) , c.v.d.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a . Ripetendo il
ragionamento del lemma, troviamo H = pq - L = 2T -
-(T - U) = T + U, c.v.d.
E s e m p i o. Per un -mot0 unidimensionale

1 - P¶
In questo caso T=-2- q2, U = U ( q ) , p = q , H = T . f U(q), e le
eql~azionidi Hamilton assumono la forma

Questo esempio b utile per ricordare rapidantente quale delle du


equazioni di Hamilton ha il segno meno.
I)al teorema sull'equivalenza tra le equazioni del mot0 e un
sistema hamiltoniano seguono alcuni corollari importanti. Per
esempio, la legge di conservazione dell'energia prende una forma
molto semplice.
Corollario I . Vale l'uguaglianur dHldt = aHlat e, in parti-
colare, per sistemi la cui humiltoniana non dipende esplicitamente
dul tempo (aHlat = O), vale la 1-e della conservazione della fu.n-
zione di Hamilton: H ( p ( t ) , q (t)) = cost.
D i 111o s t r a z i o n e. Calc,oliamo la variazione di H lullgo una
traiettoria H ( p ( l ) ,q ( t ) , t). Allora per le equazioni di Hamilton
=dH -dH -- i)H aH aB aH aB C.,,.d.
dl c~p ( dq ) . t F T + ~ = ~ ?

C. Coordinate cicliche. Studiando un campo centrale abbiamo


osservato che, introducendocoordinate yolari, il problema diventa-
va unidimensionale. Hisulta che ogrli simmetria del problema,
permettendo la scelta di un sistema di coordinate q tale che la
e Iiamilton lion dipenda da alcune delle coordinate,
f u n z i o ~ ~di
permettt! di trovare degli integrali primi e trasformare quindi il
prohlema in un problema con un minor numero di coordinate.
D e f i n i z i o 11 e. Se la coordinata q1 non compare nella
fu~lzionedi Ha~niltonH ( p , , p,, . . ., pn; ql, . . ., qn; t ) , sicchi
dHldq, = 0, quesla coordinata si chiama ccclica (il termine pro-
viene dal caso particolare della coordinata angolare cp in un campo
centrale). E eviderlte clie la coordinata q, L; ciclica se e solo se rlon
compare ~iella ftlnzione di Lagrange (8Lldql = 0). Dalla forma
Bamiltoniana delle equazioi~idel moto segue.
Corollario 2. Sia q, una coordinata ciclica. Allora p1 b un
integrale primo. Inoltre l'evoluzione delbe restanti coordinate b quella
di un sistema di n - I coordinate indipendenti q,, . . ., Qn con
hamiltoniana

dipendente dnl parametro c = pl.


D i m o s t r a z i o n e. Poniamo p' = (p,, . . ., pn), q ' =
- (q,, . . .. 9,). Allora il sistema di equazioni di Hamilton prende
la forma

L'ultima equazione mostra p l -


cost. Pertanto nel sistema di
equazioni per p', q' la grandezza p, entra solo come un parametro
nella funzione di Hamilton. Una volta risolto questo sistema di
2n - 2 equazioni, l'equazione per 9, prende la forma

e si pub integrare facilmente.


Quasi tutti i problemi risolubili della meccanica si risolvono
con l'aiuto del corollario 2.
Grollario 3. Ogni sistcrna con due gradidi libertit (n = 2), che
possieda una coordinata ciclica, b intcgrabile. Infatti in questo caso
il sistema di equazioni per p', q' 6 unidimensionale e si integra
senz'altro con l'aiuto dell'integrale primo H (p', q') = c.

f 16. I 1 teorema di Liouville


I1 fiusso nello spazio delle fasi, corrispondente alle equazio-
ni di Hamilton, conserva il volume in questo spazio. Da cib
consegue, ad esempio, che un sistema hamiltoniano stabile non
pub essere asintoticamente stabile.
Consideriamo per semplicith il caso in cui l'hamiltoniana
non dipende esplicitamente dal tempo: H = H (p, q).
A. Fllleeo di fase.
D e f i n i z i o n e. Lo spazio a 2n dimensioni, di coordinate
.
pl, . . ., p,,; q,, . ., qn si chiama spazio delle. fasi.
..
E s e m p i o. Nel caso n = 1 si tratta del piano delle fasi
=,
del sistema z = - au studiato nella prima lezione .
, Come in questo &mpio semplicissimo, il secondo membro del-
le equazioni di Hamilton individua un campo vettoriale: ad ogni
punto ( p , q) dello spazio delle fasi 6 applicato un vettore 2n-
dimensionale (-13Hldq, I3HlI3p). Supponiamo che ogni soluzione
delle equazioni di Hamilton possa essere prolungata su tutto l'asse
dei tempi '.
D e f i n i z i o n e. Si chiama flusso di fuse il gruppo a un
parametro di trasformazioni dello spazio delle fasi

dove p (t), q (1) sono una soluzione del sistema delle equazioni di
Hamilton (fig. 47).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che g' 6 un gruppo.
B. Teorema di Liouville. 1) I 1 f l w o di fuse conserva il vo-
lume: per ogni regione D si ha (fig. 48)
volume g'D = volume D .
Dimostreremo una proposizione un pol pia generale, anch'essa
dovuta a Liouville.
Sia dato - u n sistema di equazioni differenziali ordinarie
x = f ( x), x = (zl, . . ., zn), la cui soluzione sia prolungabile
su tutto l'asse dei tempi. Sia g' il corrispondente gruppo di

1 Ad esempio B sufficiente che gli insiemi di live110 della funzione H


siano compatti.
trasformazioni:

Sia D (0) una regione nello spazio { x ) e v (0) il suo volume:


v ( t ) = volume D ( t ) , D ( t ) = gt D ( 0 ) .
2) Se div f r 0 , g' conserva il volume: v ( t ) = v (0).

Fig. 47. Flusso di fase. Fig. 48. Conservazione del volume.

C. Dimostrazione.
Lemma i . Vale la relazione

D i m o s t r a z i o n e. Per ogni t , per la definizione di


jacobiano,
v(t)= 1
det agtx dz.
D(0)
Calcolando 8g'x/8x con la formula ( I ) , troviamo, per t -+ 0,

Applichiamo ora un fatto algebrico noto.


Lemma 2. Per ogni matrice A = 11 a t , 11 vale la relazione

dove t r A = :x
11

i=l
a t , 2 la traccia &lla matrice A (la somma &gli ele-
menti diagonali).
(La dimostrazione del lemma 2 si ottiene sviluppando il
determinante: si ha 1 , poi n termini moltiplicati per t e i restanti
moltiplicati per t2, t3, ecc.)
Perci6
det - ag'x = 1 + t t r -
dx
dl'
d~ +
O(t2).
==2
n
Ma t r 6'f afi
-=
azi
div f. Pertanto
i=l

v ( t )= S +
[I t div f +O (t2)jdx,
D(0)
il che dimostra anche il lemma 1.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a 2). Poichknon
fa differenza considerare, nel lemma 1, t = to o t = 0, lo possia-
mo riscrivere nella forma

div f dx.

Allora se div f = 0, *= dt
0, c.v.d.
In particolare per un sistema hamiltoniano, abbiamo
a
d
ap r ) ~
diu f=-(--)+-(-)=0.
OQ 011. AH
dp

I1 teorema di Liouville 1) B cosi dimostrato.


P r o b 1 e m a. Estendere il teorema d i Liouville a1 caso d i
sistemi non autonomi (H = H ( p , q , t ) o f = f (x, t ) ) .
P r o b 1 e m a. Dimostrare la formula di Liouville W =
= U.'Oe 1 per il ,vronskiano di un sistema linearex = A ( t ) x .
I1 teorema di Liouville ha numerose applicazioni.
P r o b 1 e m a. Uimostrare c l ~ eper un sistema hamiltoniano
non e possibile avere posizioni di equilibrio o cicli limite asintoti-
camente stabili nello spazio delle fasi.
I1 teorema di Liouville ha delle applicazioni particolarmente
importanti in meccanica statistics.
I1 teorema di Liouville permette di utilizzare per lo studio
dei problemi meccariici i metodi della cosiddetta teoria ergodica I .
Riportiamo solo un esempio molto semplice.
D. Teorema del ritorno di Poincark. Sia g una trasforrna-
zione continua, biunicoca, che conservi il ~:olume,che porti una
regione limitata D dello spazio euclideo in se': gD = D.
Allora in ogni intorno U di un punto qualsiasi della regione D
esiste un punto x 6 U che ritorna in U, ciob g"x 6 U, per qualche
n > 0.
Questo teorema si applica, per esempio, a1 flusso di fase g'
d i un sistema bidimensionale con un potenziale U (x,, x,) che
cresce all'infinito; in questo caso un insieme invariante limitato

Cfr., per esempio, Halmos Lectures on Ergodic Theory, Chicago, 1956.


nello spazio delle fasi B individuato dalla condizione (fig. 49)
D = b,q: T + UGE).
Si pub rinforzare il teorema di Poincad, 4.irnostrando che
quasi ogni punto ritorna molte volte alla sua posizione iniziale.

Pig. 49. I1 .noto di una pallina in Fig. 50. Le molecole ritornano


una buca asimmetrica B ignoto; nella prima camera.
comunque il teorema di Poincar6
assicura che questa torperk nelle
vicinanze dcl punto. di partenza.

Questo B uno dei pochi risultati generali sul carattere del moto.
G i i nel caso
..
x = -- , Z = (=I. IJ
i dettagli del mot0 non sono noti.
Una conseguenza alquanto paradossale dei teoremi di Poin-
car6 e Liouville B la seguente: se apriamo un setto, che divide una

Fig. 51. I1 teorema del ritorno. Fig. 52. Un insieme ovunque


denso sulla circonferenza.

camera piena di gas da una camera vuota, dopo un certo tempo le


molecole del gas si raccoglieranno nuovamente tutte nella prima
camera (fig. 50).
La soluzione del paradosso sta nel fatto che questo cl certo
tempo n B maggiore della vita del, sistema solare.
Dimostrazione del teorema d i Poin-
c a r 6 . Consideriamo le immagini dell'intorno U (fig. 51):
.
u, g ( 0 gZ ( 0 . ., g" ( 0 . ..
Tutte hanno lo stesso volume positivo. Se non si intersecassero, il
volume della regione D sarebbe infinito. Percib per qualche k>O,
120, k >1

Quindi g a U n U # 0. Sia gAx = y, x E U, y E U. Allora


x E U, g"z E U (n = k - I), che B quanto si doveva dimostrare.
E. Applicazioni del teorema di Poincad.
E s e m p i o I. Sia D un cerchio e g la rotazione.di un an-
In
golo a. Se a = 2n , g" B la trasformazione identica e il teorema i?
banale. Se a non B commensurabile con 2n allora il tcorema di
Poincar6 implica
V.6 > 0, 3): I g"z - x I<6 (fig. 52).
Oa cii, segue facilmente
Ill
Teorema. Se a # 2n -;;- , allora l'insieme dei punti del tip0
$s t ovunque &nso1 iulla circonferenza
(k = I , 2, . . ., n).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che ogni .
orbita relativa a un campo centrale con po-
tenziale U = rC B chiusa ovvero r i e m ~ i ein
mod0 ovunque denso un anello tra due c h o n - ~ i 53.~ . tom.
ferenze.
E s e m p i o 2. Sia D un toro bidimensionale, 9,e cp, coor-
dinate angolari su di esso (longitudine e latitudine) (fig. 53).
Consideriamo il sistema di equazioni differenziali ordinarie
sul toro

(PI = a,, cp, = a,.


E evidente che div f = 0 e il mot0 corrispondente

conserva il volume dcp, dcp,. Dal teorema di Poincar6 segue facil-


mente il
Teorema. Se alla, 2 irrazionale l'elica g' (cp,, cp,) ovunque
densa sul toro.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che se o B irrazionale, la figura
di Lissajou ( x = cos t, y = cos o t ) B ovunque densa sul quadrat0
I x l < l , I !/ IGI.
L'insieme A B ovunque denso in B 3e in ogni intorno di ogni punto
di B c'B un punto di A .
E s e m p i o 3. Sia D un toro n-dimensionale T", cio4 un
yrodotto direttol di n cerchi:

Un punto del toro n-dimensionale B individuato da n coordillate


angolari cp = (q,, . . ., 9,). Sia a = (a,, . . ., a,) e sia g' una
trasformazione che conserva il volume
g':,Tn+ T", cp + cp + at.
P r o b 1 e m a. Per qualicondizionisu asollo ovunque dense:
a ) la traiettoria R'cp, b) la traiettoria $9 (t E R appartiet~ea1
gruppo dei numeri reali R, k E Z a1 gruppo dei numeri interi Z).
Le trasformazioni negli esempi 1-3 sono strettamente legate
alla meccanica. Ma poich6 il teorema di Poincarh B astratto, esso
ha anche applicazioni non legate alla meccanica.
E s e m p i o 4. Consideriamo le prime cifre dei numcri
2 n : 1 , 2 , 4 , 8 , 1 , 3 , 6 , 1 , 2 , 5 , 1 , 2 , 4, . . .
P r o b 1 e m a. In questa successione compare la cifra 7?
E quale cifra si incontra pi6 spesso: 7 o FI? E quanto pia spesso?

1 I1 prodotto diretto degli insiemi A , B, . . . B l'insieme delle collezio-


ni di punti (a, b, .. .), a E A , b 6 B, ...
76
IV.. Meccanica lagrangiana su varieti

In quest0 capitol0 sono introdotti i concetti di varieti diffe-


renziabile e di fibrato tangente. Una funzione di Lagrange, asse-
gnata sul fibrato tangente, definisce sulla varieti un u sistema
olonomo n lagrangiano. Casi particolari sono dati da sistemi di
punti materiali sottoposti a vincoli olonomi, per esempio il
pendolo o il corpo rigido.

8 17. Vincoli olonomi


In questo paragrafo viene definito il concetto d i sistema di
punti materiali, sottoposto a vincoli olonomi.
A. Esempio. Sia y una curva regolare sul piano. Se nelle
vicinanze di y agisce un campo di forze molto intenso, diretto

Fig. 54. Un vincolo come un cam- Fig, 55. L'energia potenziale .,iL
po di forze infinite.

verso la curva, un punto mobile si troveri tutto il tempo vicino a


y. Nel caso limite di un campo di intensiti infinita, il punto sari
costretto a restare sulla curva y. In questo caso si dice che il
sistema Q sottoposto ad un vincolo (fig. 54).
Per poter dare una definizione rigorosa, introduciamo un
sistema di coordinate curvilinee nell'intorno della curva y: q,, q,; q,
6 un'ascissa lungo la curva e q, 13 la distanza dalla curva stessa.
Consideriamo un sistema con energia potenziale
U N = Nd + uo (91, 9,).
che dipende dal parametro N (che verrP poi mandato all'infi-
nito) (fig. 55).
Consideriamo le condizioni iniziali su y:

Indichiamo con 9, = cp (t, N) la funzione che descrive l'evolu-


eione temporale della coordinata 9, con le stesse condizioni ini-
ziali nel campo definito dal potenziale U,.
Teorema. Per N -c oo esiste il limite
lim q ( t , N ) = 9 (t).
N-0
La funzione limite 9, =9 (t) soddisfa l'equazione di Lagrange

dove L, (q,, q,) =: T Iq -.


I-qb'O
- , ,
(T a i'energia c i M k a
lungo y).
Pertanto per N -t oo il sistema delle equazioni di Lagrange
per q,, q, tende all'equazione di Lagrange per ql = rp (t).
Lo stesso risultato si ottiene considerando, a1 posto del piano,
lo spazio 3n-dimensionale delle configurazioni di n punti, coati-
n
tuenti un sistema meccanico, con la metrica d 9 = ~mtdr~(mt
i=l
sono le masse dei punti); anzich6 la curva y, una sottovarietir
dello spazio 3n-dimensionale; invece di q,, un qualunque sistema
di coordinate 9, su y e anzich6 q, un sistema di coordinate q,
nella direzione perpendicolare a y. Se l'energia potenziale ha la
forma
U = U, (91) Nq: +
allora per N + a, il mot0 su y definisce un sistema di equazioni
di Lagrange, con lagrangiana
L,=TI .
. --UolqI=O.
QI=QI=O
B. Definizione di sistema vincolato. Non dimostreremo il
teorema precedente ' n6 ne faremo uso. Esso ci serve solo a giusti-
ficare la seguente
D e f i n i z i o n e. Sia y una superficie m-dimensionale
nello spazio 3n-dimensionaledelle configurazioni dei punti r , , . . .
La dimostrazione si basa sul fatto che, per la conservazione dell'ener-
gia, un punto mobile non pub allontanarsi da y di una distanza maggiore di
c N - Y a , distanza che tende a zero per N + OD.
. . .,r , di masse m,, .. ..
., m,. Sia q = (q,, ., q,) un qualun-
que sistema di coordinate su y: r t = T i (4).I1 sistema descritto
dalle equazioni

si chiama sistema di n punti materiali, soggetto a 3n - m vincoli


olonomi ideali. La superficie y si chiama spazio &elk configurazionl
dcl siatema vincolato.
Se la'superficie y b individuata da k = 3n -
m equazioni
funzionalmente indipendenti f, (r) = 0, . . ., f k (r) = 0, si dice
che il sistema b soggetto ai vincoli f, = 0, . . ., f k .=O.
Un vincolo olonomo potrebbe essere anchc definito come caso
limite di un sistema eon grande energia potenziale. L'iaterksse
di questi vincoli nella meccanica sta nel fatto che, come mostra
l'esperienza, molti sistemi meccanici appartengono con maggiore
o minore approssimazione a questa classe.
Per brevith clliameremo nel seguito semplicemente vincoli i
vincoli olonomi ideali. In questo libro non saranno considerati
altri tipi di vincolo.

Q 18. ~ a r i e t hdifferenziabili
Lo spazio delle configurazioni di un sistema vincolato B una
varietl differenziabile. In questo paragrafo vengono fornite le
nozioni piii semplici sulle varietl differenziabili.
A. Definizione di varietil differenziabile. Sull'insieme M
b data una struttura di varieti differenziabile, se M b fornito di

Fig. 56. Carte compatibili.

una collezione finita o numerabile di carte, tale che ogni punto


sia rappresentabile almeno su una carta.
Per carta si intende un dominio aperto U dello spazio euclideo
munito delle coordinate q = (q,, . . ., q,), insieme ad una tra-
sformazione cp, univocamente invertibile, da U su un sottoi~lsieme
di M, cp: U -+ cp (U) c ill.
Se un punto di M b rappresentabile su due carte U e U',
allora cii, deve accadere anche per degli intorni V e V' di questo
punto nelle rispettive carte (fig. 56). In tal mod0 si ottiene una
trasformazione 9'-'cp: V +.V' d i una parte di una carta V c U
su una parte di un'altra carta V' c U'.
Questa B una trasformazione di una regione V dello spazio
euclideo delle coordinate q, nella regione V' dello spazio euclideo
delle coordinate q', e pertanto B individuata da n funzioni di n
variabili q' = q' (q), (q = g (9')). Le carte U e U' si dicono
compatibili se queste funzioni sono differenziabilil.
Per atlante si intende l'insieme di queste carte, compatibili
l'una con l'altra. Due atlanti sono equivalenti se la loro unione
B ancora un atlante.
Una varieti differenziabile B una classe di equivalenza d i
atlanti. Considereremo solo varietii connesse2. In questo caso il
numero n B lo stesso per tutte le carte e si chiama dimensione
della varieti.
L'intorno di un punto di una varietii B l'immagine sotto la
trasformazione cp: U + M di un intorno del suo punto rappre-
sentativo nella carta U. Supporremo che ogni coppia di punti
distinti possieda intorni disgiunti.
B. Esempi.
E s e m p i o 1. Lo spazio euclideo Rn B una varieth, con un
atlante composto da una sola carta.
+ +
E s e m p i o 2. La sfera S L {(x, y, z): x2 y2 z2 = 1)
possiede una struttura di varieti, un atlante della quale B com-

Fig. 57. Un atlante della sfera. Fig. 58. Pendolo iano, pendolo
sferico e pendolo $oppio piano.
posto, per esempio, da due carte (Ul, cpr, i = 1, 2) ottenute per
proiezione stereografica (fig. 57). Un'analoga costruzione B pos-
sibile per la sfera n-dimensional0

E s e m p i o 3. Consideriamo il pendolo piano. I1 suo spazio


delle configurazioni, il cerchio S1, B una varieti. Comunemente si
usa l'atlante formato con la coordinata angolare cp: R1+ S1,
Ul = (-n, n), U, = (0, 2n) (fig. 58).
Per differenziabiliti intendiamo qui l'essere differenziabile con con-
<
tinuiti r volte; il valore preciso di r (I r < oo) non B essenziale (per esem-
pio si pub supporre r = w).
Una varieti B connessa se non B possibile suddividerla in due parti
disgiunte che risultino a loro volta delle varieti.
E a e m p i o 4. Lo spazio delle configurazioni del pendolo
matematico a sferico B B la sfera bidimensionale Sa (fig. 58).
E s e m p i o 5. Lo spazio delle configurazioni del a pendolo
doppio piano B b il prodotto diretto di due cerchi, cio6 il toro
bidimensionale Ta = S1 X S1 (fig. 58).
E s e m p i o 6. Lo spazio delle configurazioni di un pendolo
sferico doppio b il prodotto diretto di due sfere, Sa x S'.
E s e m p i o 7. Un segmento rigido sul piano ql, 9, ha come
spazio delle configurazioni, la varietl Ra x S1 oon coordinate
41, Qa, Qs (fig- 59)-
Questa varietl B ricopribile con due carte.
E s e m p i o 8. Un triangolo rettangolo rigido OAB che
ruota attorno a1 vertice 0. La posizione do1 triangolo B individuata

Fig. 59. Lo spazio delle configura- Fig. 60. Lo spazio delle configu-
zioni di un segment0 rigido nel razioni dl un triangolo.
piano.

da tre numeri. Infatti la direzione OA E SBB individuata da due


numeri e, fissato OA, si pu6 ancora ruotare OB E S1 attorno
all'asse OA (fig. 60).
Alla posizione del triangolo OAB si pub associare un sistema
di riferimento ortonormalo, oriontato positivamente el =
--OA e, = OB e, = [el, e,]. Questa corrispondcnza B
-
l0Al '
biunivoca e pertanto la posizione del triangolo B individuata da
una matrice ortogonale do1 terzo ordino, con determinante 1.
L'insiemo di tutte le matrici del torzo ordine B lo spazio a
nove dimensioni Re. Le sei condizioni d i ortogonalitii seleziona-
no due variotl connesse tridimensionali, di matrici con detormi-
nante +oI-1. Lo rotazioni dello spazio a tre dimensioni (deter-
minante pari a +1), formano un gruppo, cho si irldica con SO (3).
Pertanto lo spazio &lle configuraztoni &l triangolo OAB 2 il
PUPPO so (3).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la va'rieti SO (3) B omeomorfa
a110 spazio proiottivo reale tridimensionalo.
D e f i n i z i o n o. La dimonsiono dollo spazio delle confi-
gurazioni si chiama numero di gradi di libertiz.
E s e m p i o 9. Consideriamo un sistema di k barre incor-
nierato a -formant una catena chiusa.
P r o b.1 e m a. Quanti gradi d i libortl ha questo sistema?
E s e m p i o 10. Varietiz immersa. Si dice c11e 11.1 6 una sot-to-
varieti di dimensione k immersa nello spazio euclideo En
(fig. 61), se in un intorno U di ogni punto x 6 M sono definite
n - k funzioni f,: U -r R, . . ., f,,-&: U + R, tali che l'in-
tersezione di U con M b individuata dalle equazioni f, = 0, . . .
. . ., in-& = 6 e i vettori grad f,, . . ., grad fn-k in x sono line-
armente indipendenti.
facile introdurre una struttura di varieti su &I, ciol! intro-
durre del le coordinate nell'intorno di a (come?).
Si pub dimostrare che 6 possibile immergere ogni varieti in
uno spazio euclideo.
Nell'esempio 8, SO (3) b un sottoinsieme di R9.

Fig. 61. Sottovarietii immersa. Fig. 62. Spazio tangente.


P r o b 1 e m a. Dimostrare che SO (3) 6 immerso in Re e
nello stesso tempo verificare che SO (3) b una varieti.
C. Spazio tangente. Se h? I? una varieth k-dimensionale,.
immersa in En, in ogni suo purito x possiede uno spazio k-dimen-
sionnle tangente, Trlfa. In effetti TM, I? il complemento ortogo-
nale a110 spazio generato da {grad f,. . . ., grad fa-*) (fig. 62).
I vettori dello spazio tangente Tfif* con origirle in x si cliiamano
vettori tangenti ad A/ in x. Questi vettori possono anche essere
defiriiti direttamente come i vettori velocith delle curve su A!:

LA defirlizio~iedi vettore tangente pub anche essere data in-


trinsecamente, senza ricorrere all'immersione di, h? in En.
Diciamo che due curve x = cp (t), x = 10 (t) sulla varieti
sono eguivalenti se p (0) = 9 (0) = x e =0
i-u
in una qualunque carta. In questo caso questa relazione di tan-
genza 6 Vera in qualunque altia carta (dimostrarlo!).
D e f i n i z i o n e. La classe di equivalenza delle curve
cp (t), cp,(O) = 3: si dice vettore tangente alla varieth M nel yunto x.
E facile definire le operazioni di moltiplicazione di un vettore
tangente per un numero e di somma di due vettori tangenti. L'ln-
sieme dei vettori tangenti ad M in x forma lo spazio linenre
Questo spazio si chiama anche spazio tangente ad M in s.
Per varieti immerse questa definizione coincide con la pre-
cedente. I1 suo vantaggio sta perd nel fatto che essa B utilizzabile
anche per varieti astratte M non immerse.
D e f i n i z i o n e. Sia U una carta di un atlante di M con
coordinate q,, . . ., q,. Le componentl del vettore tangente alla
c u k a q = 9 ( t ) sono i numeri 5,. ..
.. L,dove 5, = t=o.
D. Fibrato tangente. L'unione degli spazi tangenti alla
varieta M nei suoi punti U
TM, possiede una struttura natu-
*EM
rale d i varieti diffemnziabile, la cui dimensione B doppia della
dimensione di. M.
Questa varieta si chiama fibrato tangente della varieth M e si
indica con T J l . Un punto di T M Q un vettore 6 tangente ad M in
un qualche punto x. Delle coordinate locali per TM si c o s t ~ i s c o n o
nel segnente modo. Siano q,, . . ., qn delle coordinate locali sulla
varieti M s &, .
. ., En, le componenbi del vettore tangente in
questo sistema di coordinate. Allora i 2n .nurneri (q,, ..
., Qn9
El, . . ., En) danno un sistema di coordinate locali su TM.
L'applicazione p: T i l l + M che ad ogni vettore tangente 5
associa il punto x E U nel qualc il vettore B tangente ad M (6 E
E TM,), ~i chiama proieztdne n a t w a b .
La controimmagine del hunt0 x hf
second0 la proieaione natural0 p-I ( x ) 15
lo spazio tangente TM,. Questo spazio
si chiama fihm corrispondente a1 punto x
nel fibrato.
E. Variete riemanniana. Se M 13 im-
mersa in uno spazio euclideo, la metrica
euclidea permette di misurare su M la
lunghezza delle curve, gli angoli tra
vettori, i volumi, ecc.
9
63. Metria ri
niana.
Tutte quest.e grandezze possono essere espresso per mezzo~della
hmghezza dei vettori tangenti, c i d attraverso una forma quadra-
tics definita positiva, assegnata in ogni spazio tangente TM,
(fig, 63):

Per esempio, la lunghezza di una curva y su una varieth si


=I

eaprime in questo modo come 1 ( y ) = )I(&,


dx) ovvero, se la
-0
curva B espressa con equazioni parametriche,
y: [ t o , t , J - t M , t-tx(t)€M,
-
allora I ( y ) = j V(i,+ d t .
tl

ro
D e f i n i z i o n e. Una varieti differenziabile M con una for-
ma.quadratica definita positiva fissata (8, k) in ogni spazio tangente
TM,,si chiama varietct riemanntana. Questa forma quadratica si
chiama metrica riemanniana.
0 s s e r v a z i o n e. Sia U una carta dell'atlante di M con
coordinate q,, . . ., q,. Allora una metrica riemanniana B data
dalla formula
dsz = a y (q) dqi dqj. at = ajt,
i,j=l
dove le dq, sono le coordinate d i un vettore tangente.
Si intende che le funzioni a t j (q) sono supposte differenzia-
bili fino all'ordine necessario.
F. Derivata di un'applicazione. Sia f : M +N un'applica-
eione della varietl M nella varieti N. L'applicazione f si dice
differenziabile, se espressa in co-
ordinate locali di 1M e di N d i
luogo a funzioni >differenziabili.
@
JJ mr f*r
D e f i n i z ' i o n e . La de-
rivata di un'applicazione d i f f s
renziabile f: M + N nel punto
3: E M b l'applicazione lineare
tra spazi tangenti
Fig. 64. Derivata di un'applica-
zione. f*,: TMz-t TNf(z,,
definita come segue (fig. 64).
Sia v E TM,. Consideriamo la curva cp: R + M , cp (0)= x
con vettore velocitg
dP
della curva f o 8: R + N,
1
t=o = V. Allon f.,v & il vettore velocitl

P r o b 1 e m a. Dimostrare che il vettore f+,v non dipende


dalla curva 8 , ma solo dal vettore v.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che l'applicazione fa,: TM,.+
4 TNf,,( b lineare.
.
P r o b 1 e m a. Siano x = (x,, . ., x,) coordinate in un
intorno del punto x E M e y = (y,, . . ., y,) coordinate in un
intomo del punto y E N. Sia f, l'insieme delle coordinate del
vettore v e q l'insieme delle coordinate del vettore fr,v. Dimo-
strare che

Riunendo le applicazioni f., corrispondenti a tutti gli x


otteniamo un'unica applicazione di tutto il fibrato tangente
f,: TM + TN, f,v = ft,v per v E TM,.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che f , b un'applicazione diffe-
renziabile.
Problems. Sia f : M + N , g: N - r K , h = g o f : M +
-t K. Dimostrare che h, = g, o f,.

69. SIstmzi dinamki lugrangiani


I n questo paragrafo viene definito un sistema dinamico la-
grangiano su una varieti. Come caso particolare si avranno i siste-
mi con vincoli olonomi.
A. Definizione di sistema lagrangiano. Sia M una varieti
differenziabile e TM il suo fibrato tangente. Sia L: T M - t R
una funzione differenziabile. L'applicazione y: R -+ M si dice
essere il mot0 in un sistema lagrangiano con varietb delle configura-
zioni M e funzione di Lagrange L, se y 8 un estremale del funzio-
nale

to
dove ; ;
8 il vettore velociti, ( 1 ) E T M y ( t , .
E s e m p i o. Sia M una. regione dello spazio delle coordi-
nate, con coordinate q = (q,, . ., 9,). La funzione di Lagrange
.
L: T M -.+ R assume l'aspetto d i una funzione di 2n coordinate
,

, q). Come 8 stato dimostrato nel 8 12, l'evoluzione nel tempo


(P
del e coordinate di un punto mobile soddisfa le equazione di
Lagrange.
Corollario. L'evoluzione delle coordinate locali q = (q,, . ..
.. ., q,,) del punto y ( t ) per il mot0 in un sistema lagrangiano mr
urn varietb M soddisfa le equazioni di Lagrange
---
d aL --
dt a;
aL
aq*

dove L (q, 4)
h l'espressione della funzione L: T M -P R in coordi-
nate q e m T M .
Molto spesso si incontra il seguente caso particolare.
B. Ststemi .naturali. Sia M una varieti riemanniana. Si
chiama energia cinetica una forma quadrati'ca definita su tutti
gli spazi t a n ~ e n t i
1
T =T(v, v), v E T M Z .
Si chiama energia potenziale una funzione differerlziabilc U:
M+R.
D e f i n i z i o n e. Un sistema lagrangiano su una varieti
riemanniana si dice naturale se la funzione di Lagrange L; uguale
alla differenza tra un'energia cinetica e un'energia potenziale,
L=T-U.
E s e m p i o; Co~lsideriamodue punti d i massa ml e m,,
uniti da un segmento di lunghezza I nel piano z, y. Allora lo spa-
zio delle configurazioni ;una varieth tridimensionale

e si ottiene dallo sptizio delle configurazioni quadridimensionale


Ra x R1 di due punti liberi (x,, y,), (z,, y,) con la condizione
v ( x t - XI)'+ (yl - YZ)' = 1 (fig. 65).

1Y
m
2-
Nello spazio tangente a110 spazio quadri-
dimensionale (x,, x,, y,, y,) B definita una
f o m a quadratica

Fig. 65. I1 segmen-La nostra varieth tridimensionale, essendo


nel piano. immersa nello spazio a quattro dimensioni, B
fornita di una metrica riemanniana. I1 sistema
olonomo ottenuto si chiama, in meccanica, segmento d i lunghezza
costante sul piano x, y. L'energia cinetica B data dalla formula

C. Sistemi con vincoli olonomi. Nel $ 17 abbiamo definito


un sistema di punti materiali soggetti a vincoli olonomi. Dimo-
etriamo che questo Q un sistema naturale;
Consideriamo infatti la varieth delle configurazioni M del
sistema vincolato immersa nello spazio 3n-dimensionale delle con-
figurazioni di un sistema di punti liberi. La metrica nello spa-
zio 3ndimensionale 6 assegnata dalla forma quadratica 2" m c .r t .
i=t
Allora il sistema naturale corrispondente alla varieth rieman-
niana immersa hf e all'energia poteniiale U coincide con il
sistema definito nel 8 17 o col caso limite del sistema con poten-
ziale U +
Nq:, N + oo, rapidamente crescent& fuori M.
D. Metodo per risolvere problemi con vincoli. 1. Trovare
la varieti delle configurazioni e scegliere su di essa delle coordi-
nate q,, ..
., qk (l'intorno d i ciascun punto avrh, in generale,
le proprie coordinate).
2. Esprimere l'energia cinetica T = 1 T1m l r :' come forma
quadratica rispetto alle velocita generalizzate
3. Cost.mire la lagrangiana L = T U (q) e risolvere le
'-

equazioni di Lagrange.
E s e m p i o. Consideriamo' il mot0 di un punto di massa
unitaria su una superficie di rotazione nello spazio tridimensio-
nale. Si pud dimostrare che le orbite saranno le geodetiche della
superficie. In coordinate cilindriche r, g, z la superficfe B de-
scritta (localmente) con le equazioni r = r (2) o z = z (r). L'ener-
gia cinetica avrl rispettivamente la forma (fig. 66)

nelle coordinate cp, z;


I
= 7 [(I +zis) r2+r2g21
nelle coordinate r, g.

(E stata utilizzata l'identitlis + 3 = >+ +$.)


La funzione di Lagrange B L = T. In entrambi i sistemi
.di coordinate g Q una coordinata ciclica. L'impulso comispondente
si conserva; p, = 9; non B altro che la componente lungo l'asse
e del momento della quantiti di moto. Poich6 il sistema ha due
gradi di liberth, la conoscenza della coordinata ciclica g B suffi-
sciente per integrare completamente il problema (cfr. corollario 3,
3 15, p. 71).
E pi& facile ottenere un'espressione esplicita per le orbit",
ragionando in maniera leggermente differente. Indichiamo con a
l'angolo tra l'orbita e il meridiano. Abbiamo r; = I v I sen a,
dove I v I Q il modulo del vettore velocitl (fig. 66).
Ma per la legge di conservazione dell'energia, H = 15 = T si
conserva. Pertanto I v I = cost. Quindi la legge di conservazione
.di p, assume la forma
r sen a = cost
(a teorema di Clairaut s).
Questa relazione mostra che il mot0 si svolge nella regione
I sen a 1 < 1, cioB r>r, sen a,. Inoltre l'angolo tra l'orbita e il
meridiano cresce a1 diminuire del raggio r. Raggiunto il minimo
valore possibile r = r, sen a,, l'orbita si inverte e torna nella
regione con r grande (fig. 67).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che tutte le geodetiche della
superficie di rotazione nel disegno si dividono in tre classi: meri-
diani, curve chiuse e geodetiche ovunque dense nell'anello rat.
P r 0 b 1 e m a. Studiare le proprietl delle geodetiche sulla
+
superficie del toro ((r - R)2 za = pa).
E. Sistemi non autonomi. Un sistema 'kgrangiano non auto-
nomo differisce da un sistema autonorno, quali quelli studiati

Fig. 66. Una superficie di rota- Fig. 67. Geodetiche su una super-
zione. ficie di rotazione.

fin qui, per la dipendenza esplicita dal tempo della funzione d i


Lagrange:
L: T M x R -t R, L = L (q, *, t ) .
In particolare in un sistema naturale non antonomo sia l'energia
cinetica che l'energia potenziale possono dipendere dal tempo:
T: TM x R + R , U: M x R + R , T=T(q, i,t), U = U ( q , t).
Un sistema di n punti materiali, sottoposti a vincoli olonomt,
dipendenti dal tempo si definisce con l'aiuto di una sottovarieth,

&
variabile nel tempo, dello spazio delle confi-
gurazioni di un sistema libero. Una tale varie-
t i 6 assegnata con un'applicazione
i: IIf x R -+ Egn, i (q, t)= x ,
che ad ogni t E R fissato definisce un'immer-
Y sione ill -t E3". I1 metodo indicato a1 punto D
rimane valido per sistemi non autonomi.
E s e m p i o. I1 mot0 di una pallina su
una circonferenza verticale di raggio r (fig. 68),
. palli- che ruota con velocith angolare o intorno ad
~ i 68.~ una
na su una circonfe- un asse verticale passante per il centro 0 della
renza ruotante. circonferenza. La varieth M 6 data dalla cir-
conferenza. Indichiamo con q la coordinata
angolare sulla circonferenza, misurata a partire dal punto pic alto.
Siano x, y, z coordinate cartesiane in E3 con origine 0 e.
asse verticale z . Sia cp l'angolo formato dal piano della circonfe-
renza e il piano xOz. Per ipotesi cp = a t . L'applicazione i:
M x R -+ E3 I! data dalla formula
i (q, t) = (r sen q cos a t , r sen q sen at, r cos q).
Da questa formula (o piii semplicemente analizzando uw
e triangolo rettangolo infinitamente piccolo ), ricaviamo

T=- m2 (02r2 sen2 q +r+), u =m r cos q.

Per nostra fortuna la lagrangiana L = T - U B risultata indi-


pendente dal tempo, bench6 il vincolo dipenda dal tempo. Snoltrer

Fig. 69. Energia potenziale effettiva e piano delle fasi della ,pallina.

la lagrangiana si 6 rivelata identica a quella di un sistema unidi-


mensionale con energia cinetica

e con energia potenziale

La forma delle traiettorie nello spazio delle fasi dipende dalla


relazione tra A e B. Per 2B < A (ciol! per una rotazione della
circonferenza cosi lenta da aversi 02r< g) la posizione piii bassa
della pallina (q = n) B stabile e il carattere del mot0 B complessi-
vamente analog0 a quello del pendolo matematico (a = 0).
Per 2B > A, cioC per una velociti di rotazione della circon-
ferenza sufficientemente alta, la posizione piii bassa della pallina
diventa instabile, mentre compaiono due posizioni di equilibria
A
stabili per la pallina sulla circonferenza, per cos q = - -=
26,
- --
wsr
. Le proprieti del mot0 della pallina per tutte le possi-
bili condizioni iniziali risultano chiare dalla forma delle curve,
h
di fase nel piano q, (fig. 69).
Le diverse leggi di conservazione (della quantiti di moto, del
momento della quantita di moto, ecc.) sono casi particolari d i un
teorema generale: ad ogni gruppo ad un parametro di diffeomor-
fismi della varieth delle configurazioni di un sistema lagrangiano
che conservino la funzione di Lagrange, corrisponde un integrale
primo delle equazioni del moto.
A. Fomulazione del teorema. Sia M una varieti regolare,
L: TM + R una funzione regolare a valori reali sul suo f.ibrato
tangente TM.Sia h: M + M un'applicazione regolare.
D e f i n i z i o n e. L'applicazione h 2 ammissibib per il
sistema lagrangiano (M, L) se per ogni vettore tangent0 v E TM
L (h,v) = L (v).
E s e m p i o. Sia M = {(z,, z,. x,)), L = T(2+h + ;))-
- U (z,, 2,). Le traslazioni lungo l'asse z,, h: (z,, z,, z,) -t
+ (x, + s, z,, 2,) sono ammissibili per il sistema. mentre, in gene-
rale, non lo sono quelle lungo l'asse z,.
Teorema pi Noether. Se il slstema (M, L) ammette il gnrppo
di diffeomorfisrni ad un parametro ha: Af + M, s E R, h0 = E,
b equazioni di Lagrange cornispondenti
ad L hanno un tnbgrab primo I:
TM + R.
I n coordinute locali q su M l'inte-
grab I assume la forma

P-0

Fig. 70. Per il teorema di B. Dimmtrazione. Supponiamo


Noether. per corninciare che M = Rn, sia lo
spazio delle coordinate. Sia 9: R+ M,
q = cp (t) una soluzione delle equazioni di Lagrange. Poich6 h,
conserva L, la traslata h' cp: R + M, per s arbitrario, soddisfa
0

ancora le equazioni di Lagrange l. Consideriamo l'applicazione


a: R x R -t Rn, q = @ (s, t) = h' (cp (t)) (fig. 70).
Indicheremo la derivazione rispetto a t con un punto e la
'derivazione rispetto ad s con un apice. Per ipotesi

.dove le derivate parziali di L sono calcolate nel punto q = 0 (s, t)


q = 0 (s, t).
Gli autori di alcuni testi affermano erroneamenteche vale anche l'inver-
so, cioa che se ha applica soluzioni in soluzioni, allora hg c o n m a L.
Come abbiamo mservato sopra, per ogni valore fissato di r
l'applicazione @ I,=, ,t: R --t Rn soddisfa le equazioni di La-
grange

aL
Introduciamo la notazione F (s, t) = 7 (@ (s, t),
* Qb (s, t)) e
sostituiamo a1 posto di -aL
aq
nella (4).
d
Scrivendo q' nella forma di zq', troviamo

0 s s e r v a z i o n e. L'integrale primo I = -
aL q' 6 stato
4
definito sopra a mezzo di coordinate locali q. Si pub dimostrare
che la grandezza I (v). non dipen.de dalla scelta del sistema di coor-
dinate q.
In effetti, I 6 la velociti con cui L (v) varia, quando il v e t
tore v E TM. varia in TM. con velociti & (_oh8x. Pertanto
I (v) B una funzione ben definita del vettore tangente v E TM,.
I1 teorema di Noether, con questo ragionamento, 6 dimostrato
anche nel caso in cui M sia una varieti.
C. hempi.
E s e m p i o 1. Consideriamo un sistema di punti materiali
d i masse mi:

sottoposto ai vincoli f, (x) = 0. Supponiamo che le traslazioni


lungo l'asse el,
h': xi -+ xi + se, per ogni i,
siano ammissibili per il sistema.
In altre parole i vincoli permettono lo spostamento del siste-
ma tutto intero lungo l'asse e, e, cosi facendo, non cambia l'ener-
gia potenziale.
Dal teorema di Noether possiamo concludere:
S e il sistema ammette b traslazioni lungo 1'- el allora la
proiezione del suo baricentro sull'asse el si muove di mot0 rettilineo
e uniforrne.
In effetti,
ti I
s=O
hast = el. Per l*omervazione fatta alla fine
del punto B, si conserva la grandezza

cioa la prima componente P1 del vettore quantiti di moto. Questo


fatto era g i l stato dimostrato in precedenza, per un sistema non
vincolato.
E s e m p i o 2. Se il ,sisternu ammette le rotazioni attorno
all'crsse el, allora si comrva il momento della quantitit di moto
rispetto a quell'asse

In effetti B facile verificare che se h' rappresenta


-- una rota-
d
zione di angolo s attorno all'asse el, allora h8xt =
=[el. XI] da cui I=z-[el,
i
8L
");Ft
x t l = Z (rnt&,
t
[el, xt])=

= 2 ([st, mtxt1, el).


i
P r o b 1 e m a 1. Supponiamo che una particella si muova
sulla elica omogenea x = cos cp, y = sen cp, z = ccp. Trovare la
legge di conservazione che corrisponde a questa simmetria elicoi-
dale.
Risposta. In ogni sistema che ammette moti elicoidali che si
svolgano sulla nostra linea elicoidale, si conserva la grandezza
I = cP, + M,.
P r o b 1 e m a 2. Supponiamo che un corpo rigido si muova
per inerzia. Dimostrare che il suo centro d'inerzia si muove di
mot0 rettilineo uniforme. Se il centro d'inerzia B in quiete, allora
si conserva il momento della quantiti di mot0 rispetto ad esso.
P r o b 1 e m a 3. Quali grandezze si conservano nel mot0 di
un corpo rigido pesante, fissato in un punto 01 E, in particolare,
se il corpo B simmetrico rispetto ad un asse passante per O?
P r o b 1 e m a 4. Generalizzare il teorema di Noether ai
sistemi lagrangiani non autonomi.
S u g g e r i m e n t o. Sia Ml = M x R la varieti delle
configurazioni' generalizzata (prodotto diretto della varieti delle
configurazioni M con l'asse dei tempi R).
Definiamo la funzione L1: TMl + R come L dtldz, cioa in
coordinate locali q, t su Ml
Avulichiamo il teorema di Noether a1 sistema lagrangiano
m, Ll).
Se L, ammette la trasformazione ha: MI -t MI, troviamo
l'integral; primo 11:TMl -c R. Poich6 L dt = Ll d r . q u e
sto ci porta ad un integrale primo I: TM x R + R del sistema
d i partenza. Se, in coordinate locali (q, t) su MI, abbiamo I, =
= 1 q t, , $ 6, i,
) allon I (q, t ) = 11 (q1 1, 1).
In particolare se L non dipende esplicitamente dal tempo,
allora Ll ammette le traslazioni lungo il tempo h' (q, t) = (q,
+
t s). I1 eorrispondente integrale primo B l'integrale dell'energia.

3 21. I 1 primipio di D'Alembert


Viene data una nuova definizione di sistema di punti mate-
riali soggetto a vincoli olonomi e sene mostra l'equivalenza alla
definizione data a1 3 17.
A. Esempio. Consideriamo un siste-
ma olonomo (M, L), dove M B una su-
perficie nello spazio tridimensionale .{XI:
i *
L=TmsEz-U(x).

In termini meccanici, 4 il punto materia- Fig. 71. Reazione "in-


ie x di massa m B vincolato a restare colare.
sulla superficie regolare M n.
Consideriamo il mot0 del punto x (t). Se fosse soddisfatta
l*equazione di Newton & + = 0, in assenza di forze esterne
(U = 0) la traiettoria sarebbsuna retta e non potrebbe restare
sulla superficie M.
Dal punto di vista n;wtoniano questa B un'indicazione della
presenza di una nuova forza che a costringe il punto a rimanere
sulla superf icie n.
D e f i n i z i o n e. La grandezza

si chiama reazione vincolare (fig. 71).


Tenendo conto della reazione vincolare R (t), le equazioni di
Newton sono evidentemente soddisfatte:

I1 significato fisico della reazione vincolare R diventa chiam


se consideriamo il nostro sistema vincolato come il limite di un
sistema con energia potenziale U + NU,, N -+ 00, Cl, (2)
= p2 ( x , M). Per grandi N l'energia potenziale del vincolo NU,
dU
-
d l luogo ad una forza F = -N 3 as
che varia molto rapidamente;
passando a1 limite (N -t w ) resta il valor medio R della forza F
sulle oscillazioni di x attorno ad M. La forza F 6 perpendicolare
alla superficie M. Pertanto la reazione vincolare R k perpendico-
lare ad M: ( R , g) = 0 per ogni vettore tangente g.
B. Formulatione del principio di D'Alembert - Lagrange.
In meccanica i vettori tangenti alla varieti delle configurazioni
sono chiamati spostamnti vir$uali. I1 principio di D'Alembert -
Lagrange afferma:

per ogni spostamento virtuale g, o in altre parole, il lavoro delk


reazioni vincolari pet ogni spostamento virtuale 2 n u b .
Per sistemi d i punti materiali xi di masse mi le reazioni
+
vincolari Ri si definiscono come Ri = mixi -, e i l princi-
*' dU
dXi
pio di D'Alembert assume la forma 2 (Ri, = 0 ovvero
.. + E ), t i )= 0. eiok
2 ( (mixi
fi)

dXt
la somma dei lavori compiuti dalle reazioni vineolcrri per un
qualunque spostamento vtrtuale { g i ) E T M , 2 zero.
I vincoli che hanno questa proprieti si dicono ideali.
Se si definisce un sistema con vincoli olonomi come limite
per N + w , il principio di D'Alembert - Lagrange diventa un
teorema; l a dimostrazione B stata accennata sopra per il caso pi&
aemplice.
Tuttavia si pub definire un vincolo olonomo ideale per mezzo.
del principio di D'Alembert - Lagrange.
Abbiamo cosi tre definizioni di sistema olonomo vincolato:
N-tw.
1) Limite di un sistema con energia potenziale U +
NU,,
2) Sistema olonomo (M, L), dove M k una sottovarietl rego-
lare dello spazio delle configurazioni di un sistema senza vincali
e L k una lagrangiana.
3) Sistema che soddisfa a1 principio di DIAlembert - La-
grange.
Tutte queste tre definizioni sono matematicamente equiva-
lent i.
Le dimostrazioni delle implicazioni 1) + 2) e 1) *
3) sono
state accennate in precedenza e non ci soffermeremo ulteriormente
su di esse. Dimostriamo che 2) e 3).
C. Equivalenza tra il principio di D'Alembert - Lagrange
e I1 prineipio variazionale. Sia M una sottovarieth dello spazio
euclideo M c RN e x: R + M una cuwa; .x (to) = t o , x (tl) =
= XI.
D e f i n i z i o n e. La curva x si chiama estremale condizio-
nato del funzionale d'azione
t4 .
0= (*- u (x)} dt
to
se il differenziale 6 0 = 0 alla condizione che per il confront0 ci si
limiti a curve vicine t r a xo e x, su M.
Scr iveremo
6nrQ2= 0. (1)
Evidentemente l'equazione (1) B equivalente alle equazioni di
Lagrange

in ogni sistema di coordinate locali q su -51.


Teorema. Perch6 la curva x: R -t M c RY sia u n estrenale
condizionato per l'azione (cioh perche' soddisfi l'equazione (i)),2.
necessario e sufficiente che soddisfi l'equasione. di D'Alembert

<
Lemma. Sia f : {t: to< t t,) + RN u n camp0 vettoriale
ccntinuo. S e per i;gni campo vettoriale continuo 5 tangente ad Jd
lungo x (g (t) TJl,(t,, [ (t) si annul-
la per t = t o , t,), .vale
1'
J
\ f ( t , j ( t )dt = 0,
to
allora il campo f ( t ) h perpendicolare p
alla superficie Y in ogni punto x (t) Fig, 72. Lemma del campa
(ciod (f( t ) , t c ) = 0 per ogni vettore normale.
h E Thfz,t,) (fig. 72).
La dimostrazione del lemma rivete i ranionamenti. con i
quali sono state introdotte le equaioni di Eulero - ~ a ~ r a n ~ e
nel 4 12.
D i m o s t r a z i o n e d e 1 t e o r e m a. Confrontiamo il
valore ,di 0 su due curve x (t) e x (t) +
6 (t), 8 (to) = 5 (tl) = 0.
A rigore, per definire la variazione di &Q, occorre definire una strut-
tura di spazio lineare sull'insieme delle curve su M vicine ad x. Questo si
pub fare a mezzo di coordinate su M; la proprietb di essere un estremale
condizionato non dipende dalla xelta del sistema di coordinate.
Abbiamo, integrando per parti,

Da questa formula B evidente che l'equazione (1) aMQ,= 0 Q


equivalente all'insieme delle equazioni
tr

per tutti i campi vettoriali tangenti % (t) E TM,(o, b (to) =


= % ( t ) = 0 Per il lemma (ponendo f = x
.. + g)
l'insiemr
delle equazioni (3) B equivalente all'equazione di D'Alembert -
Lagrange (2). c.v.d.
D. Osservazioni.
0 s s e r v a z i o n e 1. Possiamo dedurre dal teorema ora
dimostrato il principio di D'Alembert - Lagrange per s.ktemi di n
punti xi E Rs, i = 1, ..
., n con masse mi, con vincoli olonomi.
In coordinate = ; (21 = l/ & xi) l'energia cinetica assume
la forma T = i 2 . 1'
mix: = px2.
Per il teorema dimostrato'gli estremali del principio d i minima
,azione soddisfano la condizione

(principio di D'Alembert - Lagrange per i punti di Ran.: la rea-


zione vincolaru 3n-dimensionale B ortogonale alla varietii M nella
metrica T). Tornando alle coordinate xi abbiamo

cio6 il principio d i D'Alembert - bagrange nella forma indicata


prima: la somma dei lavori delle reazioni vincolari per sposta-
menti virtuali B nulla.
0 s s e r v a z i o n e 2. I1 principio di D'Alembert - La-
grange pu6 esser messo in una forma un po' diversa, rifacendosi
alla statica. Si chiama posizione di equilibrio un punto totale che
coincida con un'orbita del moto: x (t) = so.
Supponiamo che un punto materiale si muova su una super-
ficie regolare M sotto l'azione d i una forza f = --aU/~x.

1 La distanza del punto a: ( t ) + ( t )da M B un infinitesirno del eecondo


ordine rispetto a & ( t ) .
Teorema. Perch4 il punto xo della stcperficie M sia una posi-
&one di equilibrio 2 necessario e sufficiente che la forza sia perpen-
dicolare alla superficie: (f (x,), g) = 0 per ogni 8 E TM=,.
Si tratta di una conseguenza delle equazioni di D'Alembert -
Lagrange, se si pone z = 0.
D e f i n i z i o n e. - n;j! si chiama forzadi inerzia. Adesso il
principio di D'Alembert - Lagrange assume la forma seguente:
Teorema. Se alla forza effettiva aggiungiamo la form di iner-
zia, x diventu una posizione di equilibrio.
Infatt i l'equazione di D 'Alembert
(-m;c'+f, B ) = O
esprime, in base a1 teorema precedente, il fatto che x B una posi-
zione di equilibrio del sistema con le forze -& + f.
Affermazioni del tutto analoghe valgono anche per un sistema
d i punti:
Se x = { x i ) 2 uha posizione di equilibrio, la somma dei Zavori
delle forze effettive per spostamenti virtuali 2
nulla.
.
-
..
Se aggiungiamo alle forze effettive le forze
di inerzia -m,xl (t), x (t) diventa urn posi-
ti
zione di equilibrio.
Pertanto il problema del mot0 B ricon-
dotto a1 problema di trovare il punto di
equilibrio di un altro sistema di forze.
0 s s e r v a z i o n e 3. Finora non ci
siamo occupati del caso in cui i vincoli di- Fig. 73. Un anel-
pendono dal tempo. Tutto quanto detto fin lino surotante. una
qui si trasporta a questo caso senza cambia-
menti.
E s e m p i o. Consideriamo un anellino che si muove lungo
una sbama, inclinata di un angolo a rispetto ad un asse vertical0 e
in rotazione uniforme, con velocita angolare o , attorno a questo
asse (trascuriamo la forza peso). Prendiamo come coordinata q la
.distanza dal punto 0 (fig. 73). L'energia cinetica e la lagrangiana
sono date da

..
L'equaziohe di Lagrange B mq = mo2q sen2 a.
La reazione vincolare B perpendicolare agli spostamenti vir-
tuali (cio8 alla direzione della sbarra) ad ogni istante, ma non 8
affatto ortogonale alla traiettoria effettiva.
0 s s e r v a z i o n e 4. E facile ricavare le leggi di conser-
vazione dalle equazioni di D 'Alembert - Lagrange. Per esempiu,
ire tra gli spostamenti virtuali v i B la traslazione lungo l'asse q

la aomma dei lavori compiuti dalle reazioni vincolari per questo


spostamento i3 nuUa:

Consideriamo ora le reazioni viacolari come forze esterne. Osserc


viamo allora che la somma delle prime componenti delle forze
esterne i3 nulla. Cib significa che si conserva la
prima componente P I del vettore della quantith
di moto.
Lo stesso risultato era stato ricavato in
precedenza con il teorema di Noether.
0 s s e r v a z i o n e 5. Sottolineiamo anco-
ra una volta che l'olonomia di.questo o quel
~ i 74.~b .rer- vincolo fisico (con un maggiore o minore grado
zione "incolare di precisione) B un problema sperimentale. Dal
del tavolo. punto di vista matematico l'olonomia dei vin-
coli B u'n postulato con motivazioni fisiche; B uh
postulato che pub essere introdotto in diverse forme, per esempio
come principio di minima azione (I) o come principio di D'Alem-
bert - Lagrange (2), ma in ogni caso nell'introdum i vincoli ci
si riferisce sempre a fatti sperimentali nuovi rispetto a1 quadro
delle equazioni di Newton.
0 s s e r v a z i o n e 6. La nostra terminologia differisce
alquanto da quella in uso nei trattati di meccanica, dove il prin-
cipio di DIAlembert - Lagrange B esteso ad una classe di sistemi
piii vasta (u sistemi anolonomi con vincoli ideali n). In questo
libro non considereremo sistemi anolonomi. Ossemiamo solo che un
esempio di sistema anolonomo B dato da una sfera che rotola su
una superficie senza strisciare. Nello spazio tangente alla varieti
delle configurazioni di un sistema anolonomo, in ogni punto B
fissato un sottospazio a1 quale deve appartenere il vettore velo-
citi.
0 s s e r v a z i o n e 7. Se il sistenia B composto di punti
materiali, uniti da sbarre, cerniere, ecc. pu6 sorgere la tentazione
di parlare della reazione vincolare di un vincolo determinate, tra
quelli introdotti.
Noi abbiamo introdotto la u reazione vincolare totale di
tutti i vincoli n R t per ogni punto material0 mi. Non si pub defi-
nire il concetto di.reazione vincolare di un singolo vincolo, come
si pub vedere gih dal semplice esempio della trave con tae appoggi.
Se cerchiamo di definire le reazioni vincolari di ciascun appoggio
R,,R,, R , con un passaggio al)limite (considerando ogni appoggio
come dovuto ad una molla molto rigida) vediamo che il risultato
dipende dalla distribuzione della rigiditi.
I problemi dei manuali sono scelti in mod0 da non incontrare
questa difficolth.
P r o b 1 e m a. Una sbarra di peso P, inclinata sulla super-
ficie di un tavolo con un angolo di 60°, comincia a cadere con
velociti iniziale nulla (fig. 74). Trovare la reazione vincolare del
tavolo all'istante iniziale, supponendo il tavolo: a) perfetta-
mente liscio, b) perfettamente ruvido. (Nel primo caso il vincolo
olonomo mantiene l'estremiti della sbarra sulla superficie del
tavolo, mentre nel second0 la mantiene nel punto dato.)
V. Oscillazioni

Poich6 Q facile studiare e risolvere le equazioni linean, la


teoria delle oscillazioni lineari Q una delle parti della meccanica
pih sviluppata. In molti problemi non lineari la linearizzazione
fornisce delle soluzioni approssimate soddisfacenti. Nei casi in
cui cib non Q vero, lo studio del problema linearizzato Q spesso un
primo passo nello studio del mot0 del sistema non lineare.

In questo paragrafo sono definite le piccole oscillazioni.


A. Posizioni di equilibrio.
D e f i n i z i o n e. I1 punto x , Q chiamato posizione di equi-
librio del sistema

se x ( t ) e x , Q una soluzione di questo sistema. In altre parole si


pub:dire chef (x,) = 0, cioe che il campo vettoriale f ( x )si annul-
la nel punto X O .
E s e m p i o. Consideriamo i l sistema dinamico elementare
definito da una lagrangiana L ( q , q ) = T -U, T = TZ
i
at, ( q ) X

Le equazioni di Lagrange possono essere scritte come un


sistema di 2n equazioni del primo ordine dello stesso tip0 di (1).
Cerchiamo di trovare le posizioni di equilibrio.
Teorema. I1 punto q = go, q = q , 2 una posizione di equili-
brio dal sistamo (2) se e solo seb,
= 0, ed il punto q , i u n punto
critic0 dell'energia potenziale, ciob

D i m o s t r a z i o n e. Scriviamo le equazioni di Lagrange

Dalla (2) B evidente che se q = 0 allora -=


aT
0, -
aT = 0.
89
Quindi q = q o B ana soluzione se e solo se la (3) 1! verifi-
-
a;
cata, c.v.d.
B. Stabilith delle posizioni di equilibrio. I n questa sezione
ci occupiamo di studiare il mot0 di un sistema quando le condi-
zioni iniziali sono vicine alla posizio-
ne di equilibrio.
Teorema. Se il punto go b un
punto di minimo assoluto locale &llle-
nergia potenziale U, allora la posizione
di equilibrio q = q0 b stabile nel senso
di Ljapunov.
'Dimostrazione. S ia
&I:+.
h

P
*

U (q,) =.h. Sia dato e >0 abba-


stanza plccolo. Allora la componente
connessa dell'insieme {q: U (q) h < +
+ e ) s a r i un intorno piccolo a pia- Fig. 75. Posizione di equi-
librio stabile.
cere del punto qo (fig. 75). La regione
dello spazio delle fasi {p,q: E (p, q) <
<h + E ) (=
aT
~ -: B I'impulso, E = T
aa
+U B I'energia totale)
che corrisponde a questa componente connessa s a r i un intorno
abbastanza piccolo del punto p = 0, q = qo.
Ma la regione {p, q: E<ic + s) 6 invariante rispetto a1
flusso di fase in virtc del principio di conservazione dell'energia.
Questo implica che, se le condizioni iniziali p (O), q (0) sono ab-
bastanza vicine a (0, go), tutta la traiettor.ia di f a s e p (t), q (t) B
vicina a (0, go), c.v.d.
P r o b 1 e m a. La posizione di equilibrio q = go, p = 0 pub
essere asintoticamente stabile?
P r o b 1 e m a. Dimostrare che in un sistema anulitico con un
grado di libertl la posizione di equilibrio q,, che non B un punto
di minimo assoluto locale dell'energia potenziale, non B stabile
nel senso di Ljapunov. Fare un esempio di sistema infinitamente
differenziabile in cui cib non B vero.
0 s s e r v a z i o n e. Sembra verosimile che, in un sistema
ad n gradi di libertA ed analitico, una posizione di equilibrio che
non B un punto di minimo non sia stabile, ma questa affermazione
non B stata dimostrata.
C. Linearizzazione di un'equazione differenziale. Riconside-
riamo adesso il sistema generale (1). Per studiare le soluzioni del
sistema (I), che sono vicine alla posizione di equilibrio x,, spesso
q i introduce la linearizzazione. Supponiamo che x, = 0 (il caso
generale si pub riportare a questo facendo una traslazione iielle
coordinate). Allora il primo termine dello sviluppo di Taylor di f
d lineare:

dove l'operatore lineare A B definito dalla matrice ail, quando si


usano le coordinate q, . . .,
x,,:

D e f i n i z i o n e. I1 passaggio dal sistema (1) a1 sistema

si chiama linearizzazione del sistema (1).


P r o b 1 e m a. Dimostrare che la linearizzazione Bun'opera-
zione correttamente definita, cioB che l'operatore A non dipende
dal sistema di coordinate.
I1 vantaggio del sistema linearizzato consiste nel fatto che B
lineare e quindi si risolve immediatamente:
A%'
g(t)--eAty(O), dove eAt=E+At+T+...
La conoscenza delle soluzioni del sistema linearizzato (4) permette
di dire qualcosa sulle soluzioni del sistema di partenza (1). Per x
sufficientemente piccoli la differenza fra le soluzioni del sistema
linearizzato e quello di partenza Re (x) B piccola rispetto a x.
Percib durante un intervallo di tempo lungo, le soluzioni y (t),
x (1) di entrambi i sistemi con condizioni iniziali y (0) = x (0) =
= x, rimangono vicine. Piii esattamelite, B facile dimostrare il
seguente
Teorema. Per ogni T >0 e per ogni e >0 si pub trovare un
6 > O t a b che,se Ix(O)1 (6, allora I x ( t ) -y (t) l ( e 6 per
ogni t che appwtenga all'intervallo 0 < t < T.
D. Linearizzazione di un sistema lagrangiano. Ritorniamo di
nuovo a1 sistema lagrangiano (2) e cerchiamo di linearizzarlo
nell'intorno di una posizione di equilibrio q = q,. Per semplifi-
care le formule scegliamo un sistema di coordinate tale che q, = '0.
Teorema. Per linwrizzare il sistema lagrangiano (2) nell'in-
torno di una posizione di equilibrio q = 0, 2 sufficiente sostituire
i ..
('energia cinetica T = T E a t (q) qtqj con I1 NO vawre per q = 0,

e sostituire la sua energia potenziak U (q) con la sua parte quadra-


tics

D i m o s t r a z i o n e. Riportiamo il sistema di Lagrange


alla forma (i),utilizzando le variabili canoniche p, q:

Essendo p = q = 0 una posizione di equilibria, allora lo sviluppo


dei membri a destra, in serie di Taylor nell'intorno dello zero,
comincia con dei termini lineari in y e q. Essendo i membri a
destqi delle derivate parziali, questi termini lineari sono def init i
dai termini quadratici H, dello sviluppo di H (p, q):Ma H, B
esattamente l'hamiltoniana del sistema con lagrangiana L, =
= T, - U,, dato che, evidentemente, H, = T2 (p) U, (q). +
Quindi le equazioni linearizzate del mot0 sono le equazioni del
mot0 per il sistema descritto nel teorema con L, = T, - U,,
c.v.d.
E s e m p i o. Consideriamo un sistema con un grado di li-
berth

Sia y=qo una posizione stabile di equilibrio:

fase possiamo vedere che, per condizioni


iniziali vicine a q = go, p = 0, la [soluzione B periodica con perio-
do z che dipende, in generale, dalle condizioni iniziali. Dai due
teoremi pr&edenti segue il
Corollario. I 1 periodo z delle oscilluzioni-vicino allu posizione
d i equilibrio go terz.de, a t tendere a zero delle oscilluzioni massime,
a1 limite z0 = - 2%
, dove oi = -b;; ,
00

Infatti, supponendo go= 0, si ha che T, = 1 aq2, ' 1


U, = -2- bq2
per i l sistema linearizzato. Le soluzioni dell'equazione di La-
..
grange q = -o: q hanno i l periodo TO -.
= 2JI
0 0
q = ci cos oot +c2 sen oot
per qualsiasi ampiezza iniziale.
E. Piceole oscillazioni.
D 6 f i n i z i o n e. I1 mot0 nel sistema linearizzato (L, =
= T , - U,) si chiama piccola oscillazione intorno alla posizione

Fig. 76. Linearizzazione. Fig. 77. Pallina su una guida.

di equilibrio q = go. Nei problemi unidimensionali i numeri . z o ,


oo sono chiamat i periodo delle piccole oscillazioni e frequenza &lle
piccole oscillazioni.
E s e m p i o. Trovare il periodo delle piccole oscillazioni di
una pallina di massa 1 su di una guida y = U (x), e sotto l'azione
del campo gravitazionale con g = 1, intorno alla posizione di
equilibrio s = zo (fig. 7 7 ) .
S o 1 u z i o n e. Abbiamo
u= mgy=u (x),

Sia zo una posizione di equilibrio stabile: au GU


= 0; -
dz.'
>O. Allora la frequenza delle piccole oscillazioni o B de
to
tramite la formula

I ' i
poich6 per il sistema linearizzato T, = q2, U 2 = w2q? (q=
= 3 - 50).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che non solo le piccole oscilla-
zioni, ma anche tutto il mot0 della pallina Q equivalente in mod0
m t t o a1 mot0 in un qualche sistema unidimsnsionale con lagran-
1 Nel caso in cui la posizione di equilibrio non B stabile diremo che si
,
tratta di u piccole oscillazioni non stabili anche se in questo caso il mot0
non ha carattere oscillatorio.
giana:

S u g g e r i m e n t o. Prendere come q la lunghezza Iungo


l a guida.

5 23. Piccole oscillazioni


In questo paragrafo viene dimostrato che un sistema lagran-
giano, che compie delle piccole oscillazioni, B dato dal prodotto
diretto di sistemi a un grado di liberti.
A. Problema della coppia di forme. Consideriamo pia in
dettaglio il probloma delle piccole oscillazioni. Consideriamo cioh
un sistema le cui energie cinetice e potenziale sono delle forme
quadrat iche
1
T=- ( A , q ) u=
"
+ ( ~ q!
, I)€ R',
q, i € R", (1)
dove l'energia, cinetica 6 una forma definita positiva.
Cerchiamo il sistema di coordinate pih opportuno, affinch6 si
possano integrare le equazioni d i Lagrange.
fi noto dall'algebra lineare che si pub diagonalizzare con una
sola trasformazione lineare di coordinate una coppia di forme quadra-
tiche, (Aq, q), (Bq, q) la prima delle quuli sia definita positiva *:
a = c q , s = (Q,, . ., Q,).
Queste coordinate si possono scegliere in mod0 tale che la forma
(Aq, q) diventa una somma di quadrati ( a , a ) . Sia (2 un tale.
sistema di coordinate; poich6 6
= c&, abbiamo che

i= 1 i=l
I numeri hi si chiamano autovalori della forma B rispetto a2la
f orma A.
P r o b 1 e m a. Dimostrate che gli autovalori di B rispetto
ad A soddisfano l'equazione caratteristica
det I B - hA I = 0, (3)
le cui radiqi sono tutte reali essendo le matrici A e B. simmetriche,
A >O.
Volendo si puL introdurre una struttura euclidea considerando la
rima forma come un quadrat0 scalare e quindi diagonalizzare la seconda
Porma mediante una trasformazione ortogonale rispetto a questa struttura
euclidea.
B. Oacillazioni proprie. Nel sistema di coordinate Q le equa-
zioni di Lagrange si riducono ad n equazioni indipendenti

In questo mod0 B stato dimostrato il


Teorema. Un sistema che compie delle piccole oscillazioni 2 il
prodotto diretto di n sistemi ad un grado di 1ibertiZ che compiono a lor0
volta delle piccole oscillazioni.
Per ognuno di questi sistemi unidimen.

&
sionali si possono verificare tre situazioni
1verse:
C a s o 1. h = o2>0; la soluzione
B data da Q = Cl cos a t + C, sen o t
(oscillazioni).
d* C a s o 2. 5 = 0; la soluzione B datr.
Fig. 78. Osoillazioni +
da Q = C1 C2t (equilibrio indifferente).
proprie. C a s o 3. 5 = -kg <3; la soluzione
B data da Q= Cl ch kt +
C, sh kt
(instabilith).
Corollario. Sia &to 51 cam in cui uno &gli autovalori &lla (3)
sia positivo: h = o2 >0. A llora il sistema ( 1 ) pu6 compiere un'o-
scillazione periodica del tip0
q (t) = (Cl cos wt + Ca sen a t ) g, (5)
dove % 2 l'autovettore che corrisponde a h (fig. 78):

Questa oscillazione B il prodotto del mot0 unidimensionale


.Qt = Cl cos wit + C, sen o l t e di moti triviali Q = 0 (j# i ) .
D e f i n i z i o n e. I1 moto periodico (5) si cbama oscilla-
zione propria del sistema (I), il numero w si chiama frequenza
propria.
0 s s e r v a z i o n e. Le oscillazioni proprie e le frequenze
proprie sono anche dette principali o normali I. Inoltre anche ad
un h non positivo corrisponde un autovettore; il mot0 corrispon-
dente sarh chiamato ugualmente, per brevith, a oscillazione pro-
pria H apche se non B periodico; le corrispondenti a frequenze
proprie B saranno immaginarie.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il numero di oscillazioni
proprie (reali) linearmente indipendenti B uguale all'indice positi-
1
vo d'inerzia dell'energia potenziale, 2. (Bq, q).
Adesso il risultato precedente pub essere formulato in questo
modo:
Useremo anche il termine t frequenza caratteristica (N.d.T.).
Teorema. I 1 sistemu (1) ha n oscillaziont proprte aventi dire-
zloni a due a due ortogonali rispetto a1 prodotto scalure individmto
drrll'energia cinetica' A.
I n effetti il sistema di coordinate Q , in virtir della (2), B
ortogonale rispetto a1 quadrat0 scalare (Aq, q).
C. Decomposizione in oseillazioni proprie. Dal teorema di-
mostrato .segue il
Corollario. Ogni piccolu oscillazione 2 una sommu di oscillu-
zioni proprie.
I n generale, l a somma di oscillazioni proprie' non B periodica
(ricordarsi delle figure di Lissajou!).
Per decomporre un mot0 nella somma di oscillazioni proprie B
;
- -

sufficiente proiettare le conhizioni iniziali q, sulle direzioni


proprie e risolvere i corrispondenti problemi unidimensionali (4).
Percib le equazioni di Lagrange per il sistema (1) possono
essere risolte nel seguente modo. Cerchiamo inizialmente le oscil-
lazioni proprie nella forma q = ei@tg.Sostituendo nelle equazioni
d i Lagrange
-
d
dt
-
Aq="Bq
otteniamo
(B - 02A) 5 = 0.
Dall'equazione caratteristica (3) otteniamo n autovalori lk= of.
Ad ognuno di questi corrisponde un autovettore gh, ogni autovet-
tore essendo ortogonale a tutti gli altri. La soluzione generale, nel
caso I # 0, avrB la forma
n
q (t) = Re ~kc~@k'tk.
k=l

0 s s e r v a z i o n e. Questo risultato e vero anche quando


uno degli autovalori B degenere.
I n tal mod0 otteniamo che, in un sistem lagrangiano, diver-
samente dal caso generale &lle equazioni differenziali linemi, m n
si ottengono termini risonanti del tipo t sen o t , em., anche nel caso
di autovabri degeneri.
D. Eaempi.
E s e m p i o 1. Consideriamo un sistema costituito di due
pendoli matematici uguali con lunghezza 1, = 1, = 1, massa
m, = m, = 1 nel campo di gravitB con g = 1. Supponiamo che
i due pendoli siano uniti da una molla senza peso, la cui lunghezza
sia uguale alla distanza fra i punti di sospensione (fig. 79). Indi-
chiamo con q, e q, gli angoli fra i pendoli e la verticale. Allora
avremo che, per piccole oscillazioni, T = 1 (9:' + &), U =
= 1 (9: + q; + a (ql - qJ2), dove a12 (q, - q2)2 B l'energia po-
tenziale elastic8 della molla. Poniamo
Q 1 =-
q t + h , Q,+- 4 - 9 9
vz vz '

ed entrambe le forme vengono diagonalizzate:


1
~ = ~ ( & + i ) . 3 .~ = t ( m t ~ + o ! ~ 3 .
dove o1 = 1, o, = 1/1+ 2a (fig. 80). I n questo mod0 si h a ~ o
due oscillazioni proprie (fig. 81):

Fig. 79. Yendoli uguali accoppiati. Fig. 80. Spazio delle configunzict
ni dei pendoli accoppiati.

1) Q, = 0, ciot3 ql = 9,: entrambi i pendoli oscillano in fase


con la prima frequenza, che 6. uguale ad 1, la molla non lavora;

Fig. 81. Oscillazioni proprie dei pendoli accoppiati.

2) Ql = 0, cio6 ql = -9,: i pendoli si muovono in opposi-


zione di fase, la loro frequenza o,> 1, cresce a causa dell'azione
della molla.
Supponiamo adesso che la molla sia molto debole: a << 1.
Allora compare uri effetto interessante detto trasferimento d'energia.
E s e m p i o 2. Supponiamo che all'istante iniziale i pendoli
siano in quiete e che ad uno di questi sia data una velocith q, =
= v. Dimostrare che dopo qualche tempo T il primo pendolo b
quasi immobile e tutta l'energia passa a1 secondo.
Dalle condizioni iaiziali segue che Q1 (0) = Q, (0) = 0.Quin-
diQl = q s e n t,Q, = c,sen ot, o = vi +
2a % 4 a(a<<l)* +
Ma i),(0) = Q,(0) = V
m.
Percid cl = v
V Z ' Ca=-
-V
, 0 la av,112
nostra soluzione ha la forma I

V i v
qi=T(sent+T;senmt), q,=T(sen t-- 0I sen at)
o, trascurando i termini v ( 4 -+) sen a t , dello stesso ordine
d i grandezza di a
V
+
qf k -2- (sen t sen at) = v cos et sen o't,
V
qa B (sen t-sen ot) = -vcos o't sen et,
e 0-1 -
= a a'=-- - I.
a
La variabile e s T B dello stesso ordine di grandezza di a e quindi
q1 fa delle oscillaiioni con frequenza
o' B 1 e con ampiezza che varia len-
tamente v cos et (fig. 82).
Dopo un tempo T = 2e "a
JI

oscilbrB praticamente solo il second0


JI
--
pendolo, dopo 2T di nuovo solamente
il primo e cosi via (u battimenti B)
(fig. 83).
E s e m p i o 3. Studiare Ze oscil-
k i o n i proprie di due pendoli diversi
(4 #. ma, 1, # la, g = I),uniti da
una molla di energia potenziab toria Fig. 82. Battimenti: traiet-
i nello spazio delle fasi.
g a (q, - qa)*(fig. 84). Come variano
le frequenze proprie quando a + 0 e quando a + oo?

Fig. 83. Battimenti.


Abbiamo che
T=
i
(mfqh +- fnta~k),
~ + ~a( q i - q z ) * *
U = m i l i0:~ + % l a 9;
Quindi (fig. 85)

e l'equazione caratteristica ha la forma


mgli+a-Amil: -a
det 18- AAI =det
mzlz + a -A%tf
OPPUre
+
ah2- (bO baa) A + (c, +cia) = 0,
dove
a = mlm,c$
+ la), 4 = %l:+ mag,
bo = %4mals(4
0 =a q ql, mala. - +
Questa equazione B un'iperbole nel piano a, h (fig. 86). Per
a -F 0 (molla debole) le frequenze tendono alle frequenze dei

Fig. 84. Pendoli accoppiati. Fig. 85. Energia potanziale di pen-


doli fortementa accoppiati.

,
pendoli liberi (o:, = 1;,'J; per a -t oo (molla molto forte) una
delle due frequenze tende all'infinito, mentre l'altra tende alla

Fig. 86. Dipendenza delle frequen- Fig. 87. CLSO limite di pendoli
re proprie dalla rigiditk della accoppiati mediante una molla
molla. infinitamente rigida.

frequenza propria o, del pendolo con due masse su una sola asta
(fig. 87):
P r o b 1e m a. Studiare le oscllazioni proprie di un pendolo
piano doppio (fig. 88).
P r o b l ' e m a. Trovare la forma delle traiettorie delle picco-
le oscillazioni di un punto materide posto su di un piano, al

Fig. 88. Pendolo doppio. Fig. 89. Sistema con un insieme


infinito di oacillazioni proprie.

centro di m triangolo equilatero ed unito ai vertici (fig; 89) me-


diante delle molle uguali.
S o 1 u z i o n e. I1 sistema si trasforma in sB per una rota-
zione di 1200. Quindi tutte le direzioni sono proprie e entrambe le
i
+
frequenze proprie coincidono: U = oa(9 pa). Questo signi-
fica che le traiettorie sono ellissi (vedi la fig. 20).

5 24. Sul comportamento dclb frequenze proprie


In questo paragrafo B dimostrato il teorema di Rayleigh -
Courant - Fisher sul comportamento delle frequenze proprie
quando aumenta la rigiditii e sono applicate altre forze vincolari.
A. Comportamento delle frequenze proprie per variazione
della rigiditll. Consideriamo un sistema che compie delle piccole
oscillazioni con energia cinetica e potenziale

D e f i n i z i o n e. Sia dato un sistema avente la stessa


energia cinetica del precedente ed energia potenziale U'. Un tale
sistema si chiama pih rigido se
i 1
U' = (B'q, q) >T (BQ,9) =U per ogni q.
Noi vogliamo studiare come cambiano le frequenze proprie quan-
do aumenta la rigiditii del sistema.
P r o b 1 e m a. Considerare il caso midimensionale.
Teorema I. Quando aumenta la rigiditit tutte b frequenze
proprie aumcntcmo, ciod, se ol< o, < . ..
< a,, sono b fre-
quenac proprie deL ststerna meno rigido e o; 4 o; 5: .. .
,5 oL
sono quelle del sistema p i 3 rigido, allora o; < o;; os < o;; ...
.. .;Questo
o, < ok.
teorema ha un significato geometric0 semplice. Pos-
siamo supporre, senza perdita di generaliti, che A = E, cio8-
che noi consideriamo una struttura euclidea definita dall'energia
I * '
cinetica T = -2-(q, q). Ad ogni sistema associamo un ellissoide:
E: (Bq, q) = l, E': (B'g, q) = l. E evidente il

Fig. 90. 1 semiassi dell'eliissoide Fig. 91. Vincolo lineare.


interno sono piii piccoli.

Lemma I. S e il sistema U' 2 piii rigido del sistema U, allora


l'ellissoide corrispondente E' giace dentro E.
E ugualmente evidente il
Lemma 2. La lunghezza dei semiassi principali 2 uguale all'in-
verso del le frequenze propr ie w i :
oi
I
=-
Qi

Quindi il teorema 1 13 equivalente alla seguente proposizione


geometrica (fig. 90).
Teorema 2. S e l'ellissoide E con semiassi a, > a , >/ . . .
. . . >a, contiene l'ellissoide E' con semiassi a; > a; >, . . . > a6
e con lo stesso centro, allora i semiassi dell'ellissotde znterno sono
minori:
a, 2 a ; , a , >/ a;, . . ., a, > a;.
E s e m p i o. Aumentando la rigiditi a della molla che con-
giunge i pendoli dell'esempio 3 del $ 23, l'energia potenziale au-
menta e, a causa del teorema 1, le frequenze proprie aumentano:
-
d0i
da
>o.
Consideriamo ora il caso, quando la rigiditi della molla tende
all'infinito: a -+ oo. Allora, a1 limite, i pendoli sono rigidamente
accoppiati e si ottiene un sistema con un grado di liberti; la
frequenza limite propria soddisfa ol < o, < o,.
B. Comportamento delle frequenze proprie per applicazione
d i un vincolo. Ritorniamo a1 caso generale di un sistema con
n gradi di libertl e siano T = 1 " q), U=F(Bq, I
q ) , q E Rn
l'energia cinetica e potenziale del sistema quando compie delle
piccole oscillazioni.
Sia Rn-l c Rn un sottospazio n - 1-dimensionale di Rn
(fig. 91). Consideriamo il sistema con n - 1 gradi di libertl
(q E Rn-I), che ha energia cinetica ed energia potenziale uguali
alla restrizione di T ed U a Rn-l. 111 questo caso si dice che il

Fig. 92. Separazione delle frequsn- Fig. 93. I semiassi della sezione
ze. separano i semiassi dell'ellissoide.

sistema cosi definito I! stato ottenuto dal precedente mediante


applicazione di u n vincolo lineare.
Supponiamo che il sistema di partenza avesse n frequenze
proprie ol < o, < ; . . . 4 on, ed il sistema con vincolo abbia
n - 1 frequenze proprie

Teorema 3. Le frequenze proprie del sistema con vincolo sepa-


rano le frequenze.proprie del sistema di partenza (fig. 92):

Come nel caso del lemma 2 questo teorema I! equivalente alla


seguente affermazione geometrica.
Teorema 4. Consideriamo l'intersezione dell'ellissoide n-dimen-
sionale E = { q : ( B q , q ) = 1) a semiassi al ) a , ) . . ..>/ an
con l'ipersuperficie Rn-l. Allora i semiassi dell'ellissoide n - l-di-
mensionale ottenuto come sezione, E', separano i setniassi dell'ellis-
soide E (fig. 93):

C. Proprietl estremali degli autovalori.


Teorema 5. Per ogni sezione dell'ellissoide E a semiassi
al >, a2 2 . . .>an con un sottospazio k-dimensionale R k , il
semiasse minore 2 minore od uguale ad ah:
a,= max min 11 x 11
( ~ k )Z E R ~ ~ E
(l'estremo superiore va fatto nel sottospazio individuato dai semiassi
al > a, >, ... ,Iah).
'.
D i m o s t r a z i o n e Consideriamo il sottospazio Rn-k+'
.
individuato dai semiassi ak >/ ak+i ) . . >/ a,. La sua dimen-
sione B uguale a n - k +
1. Quindi interseca Rk. Sia x un punto
di intersezione clle giace sull'ellissoide E. Allora 11 x 11 ah,
in quanto x E Rn-k+l. Essendo 11 x (1 non piii piccolo della lun-
ghezza del semiasse m inore dell'ellissoide E fl Rk, quest 'ult imo
non B piii grande di ah, c.v.d.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a 2. I1 piiipic-
colo semiasse di ogni sezione k-dimensionale dell'ellissoide inter-
n
no Rk E' non B piii grande del piii piccolo semiasse di Rk E. n
Per il teorema 5
a i =mar min 11 x ll<max min llxll=ak, c.v.d.
{Itk) w€ItknE' {R~W
) E R ~ ~ E

D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a 4. La disugua-
glianza a; < ak segue dal teorema 5, dato che per calcolare ak i
massimo viene fatto su di un insieme piii grande. Per dimostrare la
disuguaglianza a;, > ah+,, intersechiamo Rn-' con un sottospa-
zio k + I-dimensionale, Rk+'. L'intersezione ha una dimensione
non piii piccola di k. I1 semiasse minore dell'ellissoide E' fl Rk+l
Q non minore del semiasse minore di E n Rk+'. Per il teorema 5
a i = max min 11xII>, max min IIxIl>,
o€FtknE'
(ItkcItn-') { R ~ + ~ c Ra€Itk+'n~'
~)
max min IIx 11 =ak+', c . v . ~ .
&Itk+'n~
(Itk+'~Itn)

I teoremi 1 e 3 seguono immediatamente da quelli dimostrati,


P r o b 1 e m a. Dimostrare che, se si aumenta l'energia
cinetica, senza cambiare l'energia potenziale del sistema, allora
ogni frequenza propria diminuisce.
P r o b 1 e m a. Dimostrate che, se si proietta ortogonalmente
un ellissoide, che appartiene ad un sottospazio dello spazio
euclideo, in un altro sottospazio, tutti i suoi semiassi diminui-
scono.
P r o b 1 e m a. Supponiamo che la forma quadratica A (e)
.nello spazio euclideo Rn dipenda in maniera continua differen-
ziabile dal parametro e. Dimostrare che ogni autovalore B diffe-
renziabils rispetto ad e e trovare la sua derivata.
Risposta. Siano &, . . ., A1, autovalori di A (0). Ad ogni
autovalore l i con molteplicitil vi corrisponde un sottospazio
RVi. Le derivate degli autovalori di A (e) in 0 sono uguali aglt
autovalori della restrizione dello formu B = d A. , 1 in Rvt.
E utile considerare il caso n = 3, k = 2.
I n particolare, se tutti gli autovalori di A (0) sono semplici,
allora le loro derivate sono uguali agli elementi diagonali delh
matrice B definita nella base degli autovettori di A @).
Dall'affermazione di questo problema segue che, aumentando
la forma, i suoi autovalori crescono. I n tal mod0 o'tteniamo una
nuova dimostrazione dei teoremi l e 2.
P r o b 1 e m a. Come cambia l'ampiezza del suono di una
campana quando compare una frattura?
Q 25. Risonanza paramekica
Se i parametri di un sistema cambiano periodicamente nel
tempo, allora la posizione di equilibrio pub diventare. instabile
anche nel caso in cui b stabile per ogni valore

F
fissato del parametro. A causa di questa insta-
biliti si pub dondolare sull'altalena.
A. Sistemi dinamici nei quali i parametri
cambiano periodicamente nel tempo.
E s e m p i o 1. Un'altalenu, in cui la lun- #
ghezza del pendolo matematico equivalente 1 ( t )
cambia col tempo in maniera periodica:
1 (t+ T) = 1 ( t ) (fig. 94). Fig. 94. Alta-
E s e m p i o 2. Un pendolo in un campo lena.
(in cui h form di gravita varia periodicamente
per esempio la Luna) 2 .&mitt0 dall'equazione di Hille

E s e m p i o 3. Un pendolo, il cui punto di sospensione oscilk


verticalmente, 6 descritto anch'esso da un'equazione della forma (1).
Le equazioni del mot0 di un sistema i cui parametri variano
periodicamente nel tempo sono tali che le loro parti destre sono
delle funzioni periodiche del tempo. Le equazioni del mot0 pos-
sono essere scritte sotto forma di un sistema di equazioni diffe-
renziali ordinarie del primo ordine

in cui i membri a destra sono periodici. L'equazione (1) pub


essere scritta, .per e~empio,sotto forma del sistema

xi =z2,
{:
x2 = -02z1,
o (t $-T )=o ( t ) .

B.. Applica~ione per un periodo. Ricordiamo le proprieth


generali del sistema (2). Indichiamo con gt: Rn-t Rn l'applica-
zione, che associa a1 punto x E Rn il valore a1 tempo t, gtx=cp (t),
della
soluzione cp del sistema (2) con condizione iniziale cp (0) = x
(fig. 95).
Le applicazioni g' non formano un gruppo: in generale infatti

P r o b 1 e m a. Dimostrate che {g') b un gruppo, se e solo


s la parte destra d i f non dipende da t.
P r o b 1 e m a. Dimostrate che, se T b i l periodo di f , allora
g ~ + 8= g".gT e, i n particolare, gnT = (gT)", i n mod0 tale che
le applicazioni gnTforrnano u n gruppo ( n intero).

Fig. 95. Applicazione per Fig. 96. Rotazione e rotazione iperbolica.


un periodo.

L'applicazione gT : Rn + R n a v r l in seguito un ruolo molto


importante; noi la chiamiamo applicazione per u n periodo e la
indichiamo con
A : Rn+Rn, Ax(0) =x(T).
E s e m p i o. Per i sistemi

che possono essere considerati periodici con qualunque periodo T ,


l'applicazione A B rispettivamente la rotazione e la rotazione
iperbolica (fig. 96).
Teorema. 1 ) I 1 punto so $ u n yunto fisso dell'applicazione
A ( A x , = x,), se e solo se la soluzione con condizioni iniziali
3: (0) = t o 2 periodica con periodo T .
2) La soluzione periodica x ( t ) 2 stabile nel senso d i Ljapunov
(asintoticamente stabile), se e solo se i l punto fisso sodell'appliccrzio-
ne A b stabile nel senso di Ljapunov (asintoticamente stabile) '.
1 I1 punto fisso xo dell'applicazione A 2 stabile nel senso di Lfa unov
(corriapondenternente ulntoticanunte stabile) ss v c > 0, 36 > 0 tale cfm da
x - x0 1 < 6 segue I Anx - AnxO1 < e per tutti gli 0 < n < oo (cor-
rispondentemente Anx - Anxo -t 0 per n -t oo).
3) S e il sistcma (2) b lineare, ciob f ( x , t) = f (t) x b u r n fun-
zione lineare d i x, allora l'applicazione A 2 lineare.
4) Se it sistema (2) b hamiltoniano, allora I'appUcazione A
consem il volume: det A = 1.
D i m o s t r a z i o n e. Le affermazioni I ) e 2) seguono dalla
relazione gT+' = &A. L'affermazione 3) segue dal fatto che la
somma di soluzioni di un sistema lineare B di nuovo una soluzio-
ne. L'affermazione 4) segue dal teorema di Liouville.
Applichiamo il teorema ora dimostrato all'applicazione A
del piano delle fasi {(z,,x,)) su se stesso, corrispondente all'equa-
zione (1) e a1 sistema (3). Dato che 'il sistema (3) B lineare ed
hamiltoniano ( H = $+ 'I
02$) otteniaxno il
~orollario.' ~ ' a ~ ~ l i c a z i o.A
n k 2 lineare e conserva t'area
(det A = I). Condizione necessaria e sufficiente per la stabilitd
della soluzione nulla &ll'equazione (1) b la stabilith dell'appliea-
zione A.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la rotazione del piano Q
un'applicazione stabile e che la rotazione iperbolica 6 un'appli-
cazione instabile.
C. Applicazioni lineari del piano su se stesso che consewano
l'area.
Teorema. Sia A urn matrice che individua un'applicazione &t
piano su se stesso, lineare e che conserva l'area (det A = 1). Allora
l'applicazione A 2 stabile se ( t r A 1 (2, instabile se 1 t r A 1 >2
+
(tr A = a11 a,%).
D i m o s t r a z i o n e. Siano A,, A, gli autovalori di A.
Essi soddisfano l'equazione caratteristica h2 - t r Ah + 1=0a
coefficienti reali & + I , = t r A, 4-3Cp= det A = 1.
Le radici %, A, di questa equazione quadratica a coefficienti
reali sono reali se I t r A I > 2 e complesse coniugate se I tr A I (2.
Nel primo caso uno degli autovalori B maggiore di uno in
modulo, mentre l'altro 6 minore di uno in modulo; in questo caso
I'applicazione A B la rotazione iperbolica e quindi non B stabile
(fig. 97).
Nel second0 caso gli autovalori giacciono sul cerchio unitarjo
(fig. 97):

L'applicazione A 6 eqnivalente alla rotazione di un angolo a


(dove &, efia), si riduce cioB ad una rotazione inediante la
scelta adeguata- del sistema di coordinate nel piano. Per questo
motivo 6 stabile, c.v.d.
In tal mod0 tutte le questioni riguardanti la stabiliti della
soluzione nulla dell'equazione del tip0 (1) si riconducono a1 cal-
colo della traccia della matrice A . Purtroppo il calcolo di tale
traccia pub essere fatto esplicitamente solo in casi speciali. Questa
pud essere sempre trovata approssimativamente, integranb nu-
mericamente l'equazione nell'intervallo 0 < t < T. Nel caso
importante in cui o (t) B quasi costante, possono essere utilizzati
dei semplici argomenti di carattere generale.
D. Stabilia forte.
D e f i n i z i o n e. La soluzione nulla di un sistema hamil-
toniano lineare B fortemcnte stabile se essa B stabile, e anche la

Fig. 97. Autovalori dell'applica- Fig. 98. Frequenza istantanea oo-


zione A . me funzione del tempo.
soluzione nulla di ogni sistema hamiltoniano lineare abbastanza
vicino B stabile I.
Dai due teoremi precedenti segue il
Corollario. Se I t r A 1 (2, allora la soluzione nulla 2 forte-
mente stabile.
Infatti, se 1 t r A 1 < 2 e se A' B una trasformazione, che
corrisponde ad un sistema sufficientemente vicino, anche per
essa Q soddisfatta la condizione
I t r A' 1 (2, c.v.d.
Applichiamo questo risultato
ad un sistema a coefficienti quasi
costanti (che variano di poco).
Consideriamo, per esempio,l*equa-
zione
..
Fig. 99. Zone di rimnanu pan-
metrica.
= (I + (t)) I* '*
(4)
dove a (t + 2n) = a (t), per esempio a (t) = cos t (fig. 98). (Caso
di un pendolo la cui frequenza oscilla intorno a o con piccola
ampiezza e con period0 2n.)2
Ogni sistema (4) sari rappresentato mediante un punto sul
piano dei parametri e, o >O. E evidente che i sistemi stabili
con I t r A 1 < 2 formano sul piano ( o , e) un insieme aperto,
come anche i sistemi stabili con 1 t r A 1 >2 (fig. 99).
La distanza Ira due sistemi lineari a coefficienti periodici z = B, (t)z,
z = Ba (t)r 6 definita come il massimo della distanza fra gli operatori
Bl ( t ) , Ba (1) rispetto a t .
2 Nel caso in cui a (t) = cos (t) l'equazione (4) B detta equazfone dl
Mathieu.
La frontiera di stabiliti 6 individuata dall'equazione
1 t r A I = 2.
Teorema. Tutti i punti dell'asse o, esclllsi gli interi ed i semiin-
.
ieri o = - , k = 0, 1, 2, . ., corrispondono a sistemi fortemente
k

stabili (4).-
Di conseguenza, l'insieme dei sistemi instabili pub toccare
l'asse o solo nei punti o. = k f 2 . I n altri termini, si pub far oscil-
lare l'altalena. con una piccola variazione periodica della sua
lunghezza, solamente qnando il periodo di tale rariazione B
vicino a$ un numero intero di semiperiodi delle oscillazioni pro-
prie, risultato che B ben noto dagli esperimenti.
La dimostrazione del teorema en11nciat.o 6 basata sul fatto
che, per e = 0, l'equazione (4) ha coefficienti costanti e quindi si
risolve esplic itamente.
P r o b 1 e m a. Cakolare per il sistema (4),con E = 0, la
matrice della trasformazione A per un periodo T = 2n nella base x, x.
S o 1 11 z i o n e. La soluzione generale B
x = c, cos o t j c, sen ot.
La soluzione particolare che corrisponde alle condizioni iniziali
z = 1, x = 0 6 data da
x = cos o t , x = -o sen a t .
La solrizione particolare con condizioni iniziali x = 0, x = 1 B
data da
x=- I senot, z-cosot.
0

Risposta.

-4 = / cos 2no
-o sen 2x01 cos 3no
I
sen 2 n o

Quindi I t r A I = 12 cos 2 o n 1 < 2 se w #


k
k =O, I , . . .,
-
ed il teorema segue dal corollario precedente.
Un'analisi piii approfonditalfa vedere che, in generale, (e per
k = 1, 2 . . ., l a
k
a (t) = cos i) nell'intorno dei punti o = -, 2
regione d'instabilith (regione ombreggiata nella fig. 99) in effetti
si avvicina all'asse delle o.
T , k = 1, 2 . . ., la posizione d i equi-
k
In tal modo, per o
librio piii bassa dell'altalena, idealizzata (4) non B stabile ed essa
oscilla per qualunque piccolo cambiamento periodic0 della lun-
Confrontare, per esempio, il problema presentato piii avanti.
ghezza. Questo fenomeno detto rbnunzct paramtrim. La parti-
colare caratteristica della risonanza parametrica. consiste ml fatto
che si manifesta in mod0 molto pi& forte quando la frequenza d i
variazione dei parametri v (nel caso dell'equazione (4) v = I ) B
di due volte pih grande della frequenza propria o;
0 s s e r v a z i o n e. Teoricamente le risonanze parametri-
che si osservano per infiniti valori di v , che soddisfano la rela-
zione olv = kl2, k = i , 2,, . .. Pratica-.
E mente si possono osseware solo nei casi in
cui k non B grande (k = i, 2, e piii rara-
mente 3). I1 fatto B che
a) Per grandi k, la regione d'instabi-
l i t i si avvicina all'asse o con una striscia
molto stretta e si ottengono del confini
molto precisi per le frequenze di risonanza
o (-ek per il caso di funzioni regolqi a (t)
Fi . 100. ~ f f e t t o nella (4)).
defl'attrito sulla riso- b) L'instabiliti stessa diventa poco pro-
nanza parametrica- nunciata per grandi k, data che I tr. A I - 2
non Bgrande e gli autovalori si avvicinano a 1.
c) Un comunque piccolo effetto di attrito fa si che, per o t t a
nere una risonanza parametrica, esista un valore minimo dell'am-
piezza E,, (per valori minori di e le oscillazioni si smorzano).
Quando k cresce, ek cresce velocemente (fig. 100).
Osserviamo inoltre che per l'equazione (4) la variabile s
cresce in mod0 illimitato, nel caso d'instabiliti.
Nei sistemi concreti le oscillazioni possono avere solo delle
ampiezze finite, dato che per grandi valori di z la stessa equazione
linearizzata (4) perde significato e bisogna tener conto'degli effetti
non lineari.
P r o b 1 e m a. Trovare la f o r m della regione di stabilita
nel piano e, o per il sistema definito dall'equazwne

S o 1 u z i o n e. Dalla soluzione del problema precedent8


segue che A = A,A,, dove
i ck = cos mok,
Ck Sk
Ah = , sk= sen nok,
-0kSh ck Oi,,=Of 8.

Qr~indila frontiera della zona di stabiliti 6 definita dall'equazione


5 = o0 -+8e
Dato che e <( 1, abbiamo 20% -B 1. Introduciamo la
notazione
0
+ 3 = 2 ( 1 +A).
0 2 01

2e2
Si ha che A =7 0 (e4) +- < 1, come B
facile verificare. Utiliz-
+
zando le relazioni 2c1c2= cos 2ne cos 2no, ~ S ~ = S ,cos 2ne -
-cos 2no, riscriviamo l'equazione (5) nella forma
-A cos 2ne + (2 + A) cos 2 n o = f2,
oppure
2+Acos2ne
cos 2no= 2+A * (61)
-2+A cos 2ne
cos 2n0= 2+A
Nel primo caso cos 2 n o k: 1. Quindi poniamo
o =k +
a, I a I << 1; cos 2 n o = cos 2na= 1 - 2n2a2 +O (a4).
Riscriviamo l'equazione (6,) nella forma

cos 2 n o = 1- -
A
24-A
(1 -cos 2ne)
ovvero 2 n 2 a 9 0 (a&)= An2e2 + 0 (e4).
Sostituendo il valore A =
282
7 +0 (e4), otteniamo

I n mod0 analog0 si pub risolvere l'equazione (6,); otteniamo come


risultato

Quindi la regione cercata ha la forma disegnata nella fig. 101.


E. Stabilitil del pendolo rivoltat.6, il cui punto di mpensione.
oscilla verticalmente.
P r o b 1 e m a. & possibile che la posizione di equilibrio
superiore di un pendolo, che di solito 2 instabile, sia stabile quando
il punto di sospensione oscilla verticalmente? (fig. 102).
Sia 1 la lunghezza del pendolo, a <( 1 l'ampiezza d i oscillazio-
ne del punto di sospensione, 22 il period0 di tale oscillazione,
inoltre supponiamo che durante ogni semiperiodo l'accelerazione.
del punto di sospensione sia costante ed uguale a *c (per cui
c = 8.).
2'
Si ha ehe, per oscillazioni sufficientemente rapide del
punto di sosper~sione( t <
I),la posizione superiore di equilibrio
diventa stabile.
S o 1 u z i o n e. Le equazioni del mot0 possono esere scritte
nella forma*; = (02 f d2)z (il segno cambia dopo ogni inter-
vallo di tempo T ) , dove o" -11, d" - cll. Se le oscillazioni del

Fig. 101. Zone di risonanza para- Fig. 102. Pendolo rivoltato, il cui
*
metrica per f = o e. punto di sospensione oscilla.

punto di sospensione sono sufficientemente rapide allora CEL >


>oq+ =
&
>).
t e problema precedente A
~ h a l o ~ a m e ha1 =Ad,, dove

Ai =
chh~
kshkr
-shk19
1

chkr
d2=I cos ~2t
-52 sen Qz
1
=senQz
cos Qt * I
La condizione di stabilitl 1 tr A 1 < 2 ha quindi la forma

Dimostriamo che questa condizione B soddisfatta per oscilla-


zioni sufficientemente rapide del punto di sospensione, cioB quan-
do c )) g. Introduciamo le variabili adimensionali e, p:

all=e"l, glc=p2<1.
Allora
k r = 2 VZe V m , Qz=21/ZeVl-p2,
Perci6 per piccoli valori di e, p sono corretti gli sviluppi, con un
+
errore o (c4 p4),

E quindi la condizione di stabilith (7) prende la forma


16
2 ( 1 - 1 6 e ~ + ~ e ~ + t l e ~ p.~.)+1tie2p2<2,
+.
2
cioB, trascurando gli infinitesimi di ordine superiore, T16e4>
e
2 32p2e2ovvero p <-1/5 '
o ancora glc <a/31. Questa condizione
put3 essere riscritta nella forma

i
dove N = - 22
13 il numero di oscillazioni del punto di sospensione
nell'intervallo di tempo unitario. Per esempio, quando la lun-
ghezza del pendolo B 1=20 cm e l'ampiezza di oscillazione del
punto di sospensione B a = 1 cm, allora
N >0,311/~g.20 N 43 (numero di oscillazioni a1 secondo).
Per esempio, la posizione di equilibrio superiore stabile se il
numero di oscillazioni a1 secondo del punto di sospensione B
maggiore di 50.
VI. Corpi rigidi

In questo capitol0 sono analizzati in dettaglio alcuni pro-


blemi meccanici estremamente particolari. Questi problemi ven-
gono inclusi nei corsi di meccanica classica per tradizione, data
dal fatto che essi sono stati risolti da Eulero e da Lagrange, come
pure dal fatto che noi viviamo nello spazio euclideo tridimensio-
aale e che la maggior parte dei sistemi meccanici con un numero
. finito di gradi di liberth, che ci capita di incontrare, B costituita
da corpi rigidi.

26. Moto in un sisternu mobile di coordinate


In questo paragrafo Q definita la velocitb angolare. .
A. Sistema mobile di coordinate. Consideriamo un sistema
lagrangiano definito, nel sistema di coordinate q, t , dalla lagran-
giana L (q, q, t ) . Spesso B utile passare ad un sistema mobile di
coordinate Q = Q (q, t ) .
Affinch6 si possano scrivere la equazioni del mot0 nel sistema
mobile, B sufficiente scrivere la lagrangiana mediante le nuove
coordinate.
Teorema. Se la traiettoria y: q = cp ( t ) &lle equazioni di
Lagrange --aL-;.= - 2 scritta nelle coordinate locali Q , t ( Q =
dt ,,
- a
a9
= Q (q, t ) ) , nella forma y : Q = Q, ( t ) , allora la funzione Q, ( t )
d aL' - aL'
soddisfa le equazioni di Lagrange - ,- - -
dt & aa ,dove L' (Q,d,t ) =
-
= L (9, q , t ) .
D I m o s t r a z i o n e. La traiettoria y Q uu estremale:
S
6 L (q, q, S
t ) dt = 0. Di conseguenza 6 Lr (Q, 6,
t ) dt = 0 e
Y Y .
0 ( 1 ) soddisfa le equazioni di Lagrange, c.v.d.
B. Moti, rotazioni, moti traslatori. Consideriamo in particola-
re il caso importante in cui q B il raggio vettore cartesiano di un
punto rispetto a un sistema inerziale di coordinate k (che noi
chiameremo fisso) e Q il raggio vettore cartesiano dello stesso
punto rispetto ad un sistema di coordinate mobile K.
D e f i n i z i o n e. Siano k, Kdue spazi linearieuclidei orien-
tati.
I1 mot0 di K rispetto a k B un'applicazione che dipende in
modo regolare da t
Dt: K + k
e che conserva la metrica e l'orientazione (fig. 103).

Fi . 103. I1 moto Dt si scompone Fig. 104. I1 raggio vettore di un


oef prodotto di una mtazione Bt e punto rispetto ad un sistema di
di una traslazione C t . coordinate fissa q)ed a un sistema
\ (a).
mobi e

D e f i n i z i o n e. I1 mot0 Dt si chiama rotazione se esso


applica l'origine delle coordinate di K nell'origine dellecoordinate
di k, cioB se Dt Q un operatore lineare.
Teorema. Ogni mot0 Dt si scompone in mcrniera univoca nel
prodotto di unr. rotaztone B,': K --t k e di unu traslazione Ct :
k + 1c:
Dt = CtBt,
dove ctg = 4 + r (1)' (4, E k).
D i m o s t r a z i o n e. Poniamo r (t) = D t O , Bt = CrlDt.
Allora B t O = 0 , c.v.d.
D e f i n i z i o n e. I1 mot0 Dt si chiama traslatorio, se la
corrispondente applicazione B,: K + k non dipende da t: Bt =
= B, = B, DtQ = BQ + r (t).
Koi chiameremo k sistema di coordinate f isso, K sistema mobile,
q (t) E k raggio vettore del punto mobile rtspetto a1 sistemu fisso;
Q (t) detto raggio vettore del punto rispetto a1 sistemu mobile,
se (fig. 104)

A v v e r t i m e n t o. I1 vettore B t Q (t) E k non deve essere


confuso con Q (t) K: essi giacciono in spazi diversi!
C. Scomposizione delle velocitA. Adesso esprimiamo la u velo-
cite assoluta B mediante il mot0 relativo Q (t) ed il moto del
sistema di coordinate Dt. 'Dalla formula (1) trovia o, differen-
"i
ziando rispetto a t, la formula di scomposizione de le velocita

Per poter spiegare il significato dei tre termini che compaiono


nella (2), consideriamo inizialmente dei casi particolari.
Caso del mot0 traslatorio ( B = 0). In questo caso I'equazione
(2) diventa = BG + i. In altri termini 6 dimostrato il
Teorema. S e il sistema mobile K si muove d i mot0 traslatorio
rispetto a k, allora la velocitti w o l u t a 2 uguale alla somma &lla
velocitti relativa e della velocitti d i mot0 del sistemiz K:
v = v' + 00,
dove
v = q 6 k b la velocitti assoluta,
E
v' = ~ ( ; jk P la velocitti relativa (non confondere con E K!),
vo = r 6 k P la, velocitti di mot0 del sistema mobile d i coordinate.
D. VelocitA angolare. Nel caso in cui il sistema K ruota, l a

9
relazione fra la velocitl relativa e la velocitb assoluta non 6 piir
cosi facile. Consideriamo prima il caso in cui
il punto in considerazione B in quiete rispetto a
K (cioB 6 = 0), ed il sistema di coordinate K
ruota (cioB r =O). In questo caso il mot0 del
punto q ( t ) ii detto rotazione di trascinamento.
E s e m p i ,o. Rotazione con velocitti a n g o h e
0 costante o E k. Sia U (t): k + k la rotazione
dello spazio k intorno all'asse o di un angolo
Fig- 105. Vela- I o I t. Allora B ( t ) = U ( t ) B (0) si chiama
anp'nre. rotazione u n i f o r m dello spazia K con velocitti
angolare o.
I?, evidente che in questo caso la velocitb di t.rascinamento del
punto q B data dalla formula (fig. 105)

Ritorniamo, ora, a1 caso gerlerale di una rotazione qualun-


que di K ( r = 0, (I = 0).
Teorema. I n ogni istante t si.pub trovare un vettore o ( t ) E k,
mediante il quale si puii esprimre la velocitti di trascinamento con la
formula
c;=[o,!?I, VqCk. (4)
I1 vettore o B detto velocitti angolare istantanea; 6 evidente che B
definito da!la formula (4) in mod0 univoco.
Corollario. Supponiamo che it corpo rigido K ruoti intorno
ad un punto fisso 0 dello spazio k. Allora in ogni istante esiste un
crsse istantaneo di rotazione, cio2 una retta del corpo, pasante per 0,
tale che ogrti suo punto in quell'istante ha velocitiZ nulla. L a veloci.th.
degli altri punti 2 perpendicolare a questa retta e proporzionale alla
distanza da essa.
L'asse istantaneo d i rotazione nello spazio k B individuato da
un suo vettore o ; in K il corrispondente vettore B indicato da
Q = B-lo E K; B B detto vettore velocit& angolare &l corpo.
E s e m p i o. La velociti angolare della Terra B diretta dal
centro a1 polo nord ed B uguale a -
2n
sec-I =
7,3.10-L sec-I.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a . In accordo con
l a (2) abbiamo

.
Quindi se noi esprimiamo Q mediante q , otteniamo q = BB-lq =
= Aq, dove A = BB-I: k -F k B un operatore lineare da k a k.
Lemma I. L'operatore A 2 antisimmetrico: A' +
A = 0.
D i m o s t r a z i o n e. Dato che l'operatore B: K + k 6
un operatore ortogonale, che fa passare da uno spazio euclideo ad
un altro, il suo aggiunto coincide con l'inverso, B' = B-l: k +
-t K. Differenziando rispetto a t l a relazione BB' = E, otteniamo

k m m a 2. Ogni operatore antisimmetrico A nello spazio eucli-


deo tridimensionale orientato 2 u n operatore di prodotto vettoriale
per u n vettore fissato:
Aq = I o , ql per ogni q E R3.
D i m o s t r a z i o n e. Tutti gli operatori antisimmetrici
R3 -+ R3 formano uno spazio lineare. La sua dimensione B 3,
dato che una matrice antisimmetrica 3 x 3 B definita dai tre
elementi che si trovano da una parte della diagonale.
L'operatore di prodotto vettoriale per o B lineare e antisim-
metrico. Gli operatori del tip0 prodotto vettoriale per un qua-
lunque vettore dello spazio tridimensionale o formano un sotto-
spazio lineare d i t u t t i gli operatori antisimmetrici.
La dimensione di quest0 sottospazio B uguale a 3. Quindi il
sottospazio, formato dagli operatori prodotto vettoriale, coincide
con lo spazio di tutti gli operatori antisimmetrici, c.v.d.
Fine della dimostrazione del teorema.
In accordo con i lemmi 1 e 2
In coordinate cartesiane l'operatore A B definito da una ma-
trice antisimmetrica; indichiamo i supi elementi con &ol,,,,:
0 -03 oz
A= 03 0 -01.
-02 0i .o
Con questa designazione degli elementi, avremo che il vettore
o = ale, w,e, + +
03e3 s a r i autovettore
con autovalore 0. Applicando A a1 vet-
tore q = qle, q,e, + +
q3es, otteniamo
immediatamente l'espresslone

01 -
Fig. 106. Scorn osizio- E. Velocitil di trascinamento. Crrso del
sozo mot0 rotatorio. Supponiamo ora the il
ne delle vefocita.
sistema K ruoti ( r = O), e che il punto nel
sistema K si muova (6
# 0). Dalla formula (2) troviamo che
(fig. 106)
~ = B Q + B Q = [ C Oqj+v8.
,
In altre parole, possiamo dire che abbiamo dimostrato il
Teorema. S e il sistema mobile K ruota rispetto a 0 E K , altora
la velocith m o l u t a 2 uguale alla somma della velocitiz relativa e della
velocitiz angolare di trascinantento:
v=vt+v*
dove
( v=qEk 2, la velocitb assoluta,
b la velocitb relativa,
(5)
vt = B Q = [o, q]E k b la velocitb angolare di trasci-
namento.
Finalmente il caso generale si pub riportare ai due prece-
denti, considerando un sistema mobile ausiliare Kl, che si muove
di mot0 traslatorio rispetto a k e rispetto a1 quale il sistema K
si muove ruotando intorno ad 0 E K,. Si pui, vedere quindi dalla
formula (2) che
v=vbl+vt+v0,
dove
v = qE k t la velocitb rrssoluto,
v 8= B(i Ek 2, la velocitii relativa,
vt = BQ = [a,q - T ]€4 k 'la, velocitb angolare di trascina-
mento,
uo= ; E k k la velocitb del sistema mobile di coordinate.
P r o b 1 e m a. Dimostrate che la velocitb angolare d i un
corpo rigido non dipende dalla scelta dell'origine delle coordinate
del sistema mobile K nel corpo rigido.
P r o b 1 e m a. hfostrate che lo spostamento pic generale di
un corpo rigido 6 dato dallo spostamento elicoidale, cio6 il pro-
dotto di una rotazione d i un angolo cp intorno ad un qualche asse
e di una traslazione h lungo quest'asse.
P r o b 1 e m a. Un orologio giace su un tavolo. Trovare la
velocitb angolare della lancetta contaore: a) rispetto alla Terra,
b) rispetto ad un sistema inerziale di coordinate.
S u g g e r i m e n t o. Se sono dati tre sistemi d i coordinate
k, Kl, K,, allora la velocitb angolare di K, rispetto a k B uguale
alla somma delle velocitb angolari di Kl rispetto a k e di K, ri-
spetto a K1, poich6
(E + Alt + + + +
. . . ) ( E A2t . . .) = E (A1+ A , ) t +...
3 27. Forze d'inerzia. Forza di Coriolis
Le equazioni del moto, in un sistema non inerziale d i coor-
dinate, differiscono dalle equazioni del mot0 in un sistema iner-
ziale per dei termini complementari dovuti alle forze d'inerzia.
Questo fatto permette d i osservara sperimentalmente 1a.non iner-
zialitb (per esempio, la rotazione della Terra intorno a1 suo asse).
A. Sistema di coordinate che si muove di mot0 traslatorio.
Teorema. Nel sistema di coordinate K, che si muove di mot0
traslatorio rispetto a d un sistema inerziale k, i l mot0 dei sistemi
meccanici awiene come se il sistema di coordinate K fosse inerziale,
solo che su ogni punto di massa m agisce una forza
..

b
complementare, u forza d'inerzia 9, F =- m r ,
dove'; b l'accelerazione del sistema K.
.. .. ..
D i m o s t r a z i o n e . Se Q = q - r ( t ) ,
allora m Q = mq-mr. L'effetto del mot0 tra-
m(g-i;)
slatorio del sistema di coordinate consiste nell'ap- 111 \ \
parizione di un campo omogeneo di forza in /r
p i i , -m W, dove W 13 l'accelerazione dell'ori-
gine delle coordinate, c.v.d. Fig. 107. Au-
E s e m p i o 1. I1 razzo alla partenza ha di gra-
vita.
un'accelerazione diretta verso l'alto (fig. 107).
Di conseguenza il sistema di coordinate K, solidale con il razzo,
non 15 inerziale e quindi un osservatore che si trovasse all'interno
del razzo potrebbe osservare gli effetti del campo di forza -mW, e
misurare la forza d'inerzia usando, per esempio, un dinamometro.
In 'questo caso la forza d'inerzia si chiama aumento di gravitd.
E s e m p i o 2. Saltando da una torre un tuffatore ha un'ac-
celerazione g, diretta verso il basso. Di conseguenza la somma del-
la forza d'inerzia e del peso B uguale a zero; misure con dinarnome-
tro mostrano che il peso di ogni oggetto B uguale a zero; tale stato
viene percii, chiamato irnponderabilita. E esattamente lo stesso
fenomeno che si osserva nei voli balistici liberi degli sputnik in
cui la forza d'inerzia B opposta alla forza di attrazione della Terra.
E s e m p i o 3. Se il punto di sospensione di un pendolo si
muove con accelerazione H' ( t ) , allora il pendolo si muove come
se I'accelerazione di gravith g fosse variabile ed uguale a g - W ( t ) .
B. Sistema di coordinate ruotante. Sia B,: K + k una rota-
zione del sistema di coordinate K rispetto ad un sistema fisso di
coordinate k. Indicheremo con Q ( t ) 6 K il raggio vettore del
punto che si muove nel sistema mobile di coordinate, e con q ( t ) =
= B t Q ( t ) E k il raggio vettore nel sistema fisso. I1 vettore velo-
citi angolare nel sistema mobile di coordinate sari indicato, come
nel paragrafo 26, con 8.
Supponiamo
- - che nel sistema di coordinate k il mot0 del punto
q sia soluzione dell'equazione di Newton mq'= f (q, i).
Teorema. In un sistema di coordinate ruotante il mot0 awiene
come se in ogni punto mobile Q di massa m agissero he c forze d'iner-
zia v complementari:
forza inerziale di rotazione rn [i,Ql,
forza di Coriolis 2m [O, (#I,
fona centrifuga m [O, [Q, a l l .
E quindi
..
dove
=F - m [h, Ql-2m 61-m [Q, tQl Q11,
tQ,

BF ( a 1 dl =f c~o.
(~6)).
La prima di queste tre forze d'inerzia si osserva solo nel caso
di una rotazione non uniforme; la seconda e la terza sussistono
anche per rotazioni uniformi.
La forza centrifuga (fig. 108) Q volta
sempre neila direzione che si allontana
dall'asse istantaneo di rotazione 8 , ed B
uguale in modulo a 1 8 I2r, dove r Q la
distanza da quest'asse. Questa forza non
dipende dal2a velociti del mot0 relativo ed
agisce anche sui corpi che sono in quiete
Fig. 108. Forza d'iner- rispetto a1 sistema K.
zia centrifuga. La forza di Coriolis dipende dalla velo-
c i t i (i. Nell'emisfero settentrionale spinge
verso destra qualunque corpo. che si muova sulla Terra, e verso
oriente .ogni corpo che cade sulla Terra.
D i m o s t r a z i o n e d e l teorema.Osserviamoche,
per ogni vettore X E K, abbi'amo che BX= B 10,XI; Infatti, in
accordo con il Q 26, BX = [a,a] = [BQ, BXI. Quest'ultima
espressione 6 uguale a B [Q, XI, dato che l'operatore B conserva
la metrica e l'orientamento e quindi anche il prodotto vettoriale.
Da q = BQ otteniamo che (i= $8
Differenziando ancora una volta troviamo
+ =B (6+ [P, 01).

=B (6+2 [Q, 61+[Q, IQ, 811+[b, QI), c.v.d.


(Qui abbiamo utilizzato ancora una volta la relazione BX =
= B [P, XI;ma in questo caso X = + [Q, Q].)
Consideriamo pih in dettaglio l'effetto della rotazione della
Terra sugli esperimenti di laboratorio. Dato che la Terra ruota
praticamente uniformemente, si pub suppom che P = 0. La
slv
- N
B
-
forza centrifuga assume il massimo valore all'equatore, dove vale
(7,3-10-s)~.6,4.1@
9.8
3
ks- 1000 del peso. Ma eesa varia di poco
nei limiti di laboratorio e quindi per ossemarla si devono fare dei
g r ~ n d ipercorsi.
In accordo con quanto detto, si ha che in laboratorio la mta-
zione della Terra si fa sentire solamente attraverso la forza di
Coriolis: nel sisOema di coordinate Q , solidale con la Terra si
ottiene con grande precisione

(la forza centrifuga B contenuta in g).


E s e m p. i o 1. Un sasso B gettato (senza velociti iniziale)
in una miniera profonda 250 m alla latitudine di Leningrad0
(A = 60"). Di quanto si allontana dalla verticale?
Risolviamo l'equazione
6 = ~ + 2 [ ( i , PI
per approssimazioni successive, tenendo conto che P << 1. Ponia-
mo (fig. 109)

Per Q2 otteniamo allora


Da questo B evidente che il 'same devia verso orient9 appros-
simativamente di

P r o b 1 e m a. Qua1 B l'effetto deviante della forza di Corio-


lis sulla traiettoria di ricaduta di un proiettile, che B stato sparato
all'altezza di 1 km alla latitudine di Leningrado?
E s e m p i o 2. Pendolo di Foucault.
Consideriamo le piccole oscillazioni di un pendolo matemati-
co tenendo conto della forza di Coriolis. Sia dato un sistema di

Fig. 109. Deviazione di un sasso Fig. 110. Sistema di coordinate per


che cede, dovuta alla forza di lo studio del mot0 del pendolo di
Coriolis. Foucault.

coordinate, individuato dagli assi ex, e,, e,, solidale con la Terra,
e supponiamo che l'asse e, sia diretto verticalmente e che ex, e,
giacciano sul piano orizzontale (fig. 110). Nell'approssimazione
delle piccole oscillazioni si ha che = 0 (in confront0 a i,k), di
conseguenza la componente orizzontale della forza di Coriolis
sarh 2myQ,e, - 2mxSZ,e,. Da questo possiamo ricavare le equazio-
ni del mot0

{::
x = -oZx+2yQ,,
(Q,= 18 1 sen ho, dove Xo B la latitudine).

+ . .. ..+
y = -02~-2&,
+
+ ..
Se poniamo x iy = w allora si ha w = x iy, w = x
iy, e le due equazioni precedenti si possono scrivere come una
sola equazione complessa

Risolviamola: w = eAt, h2 + 2i52,k + 0 2 = 0, h = -iQ, *


i +
524 02.Ma 51: (( 02. Quindi 1/52:
trascurando Q:, abbiamo
+02 =o + 0 (Q:), da cui,
ovvero, nello stesso grado di approssimazione, otteniamo

Per 52, = 0 si ottengono le consuete oscillazioni armoniche


del pendolo sferico. Noi vediamo quindi che l'effetto della forza
di Coriolis consiste in una rotazione di tutto il sistema con una
velociti angolare pari a -Q,, dove 1 52, 1 = I $2 I sen A,.
I n particolare, se le condizioni iniziali corrispondono ad un
mot0 piano (y (0) = y (0) = 0), allora il piano di oscillazione
ruotcrh con velociti angolare -Q,, rispetto a1 sistema di coordi-
nate solidale con la Terra (fig. 111).
Ai poli il piano di oscillazione compie una rotazione ogni 24
ore (ed 15 fisso rispetto ad un sistema di coordinate che non ruota
insieme alla Terra). Alla latitudine di Mosca (56') il piano di
oscillazione compie in una giornata lo 0,83 di rotazione completa,
cioh ruota ogni ora di un angolo pari a 12,5".
P r o b 1 e m a. Un fiume scorre con una velociti di 3 kmfh.
Per quale raggio di curvatura di un'ansa del fiume la forza di
Coriolis, dovuta alla rotazione della Terra, B pi6 forte della forza
centrifugal. dovuta alla svolta compiuta dal fiume?
Risposta; I 1 raggio di curvatura deve essere non pi6 piccolo di
una decina .di km per.fiumi che si trovano a latitudini medie.
La soluzione d i questo problema spiega perch6 i grossi fiumi
dell'emisfero settentrionale (come per esempio, il Volga nel suo
tratto di mezzo) erodono principalmente la riva destra, e contem-
poraneamente spiega perch6 fiumi come la Moscova, con le loro
anse di piccolo raggio di curvatura, erodono alternativamente sia
la riva destra che quella sinistra (cioB le rive esterne rispetto
all'ansa).

$ 28. Corpi rigidi


In questo paragrafo si definiscono il corpo rigido, il tensore
d'inerzia, l'ellissoide d'inerzia, i momenti d'inerzia e gli assi
d'inerzia di un corpo rigido.
A. VarietP delle configurazioni di un corpo rigido.
D e f i n i z i o n e. Per corpo rigido s'intende un sistema di
punti materiali, sottoposti ad un vincolo olonomo che si pui,
definire mediante la condizione che la distanza fra due qualsiasi
punti del sistema 6 costante:

Teorema. La varieth delle configurazioni di un corpo rigido 2


una varieth a sei dimensioni, e ciob R3 x SO(3) (prodotto diretto
fra lo spazio tridimensionale R3ed il gruppo SO(3) delle rotazioni di
tab spado) 8s 1(61 corpo rig& in qu&tone.ci sono almmw tre pun#
non ~allineati.
D i m o s t r a z i o n e. Siano zl, t, e 2, tre punti del
corpo che non giakiono sdla. stegsa retta. Sia. data nna tivna
destrogira di riferimento ortogonale tale che il SUB primo vettore
-
sia diretto come ss 21, e il eecondo dalla par& dove si trova t8
nel piano xl, x,, x, (fig. 112).
Dalle condizioni 1 XI - xj I = rlj ( i = i, 2, 3) mgue che la
posizione di tutti i punti del corpo B definita in maniera'univooa
dalle posizioni di x l , x,, x,, le quali individuano la posizione

Fig. iii. Traiettoria del pendolo Fig. 112. Varieta delle configura-
di Foucault. zioni di un corpo rigido.

della terna di'riferimento. La conclusione segue dal fatto che lo


spazio di tutte le terne di riferimento in Ra B Ra X S0(3), dato
che ogni terna di riferimento si pud ottenere da una data terna
mediante .ma rotazione e una traslazione I.
P r o b 1 e m a. Trovare lo spazio delle configurazioni di un
corpo rigido tale che tutti i suoi punti giacciano su di una retta.
Risposta. Ra x Ss.
D e f i n i z i o n e. Un corpo' rigido con un punto fisso 0 B un
sistema di punti materiali soggetti a1 vincolo xl = 0 , oltre a
quello dato dalla (1).
E evidente che la varieth delle configurazioni corrispondente
a tale corpo rigido 6 il gruppo delle rotazioni SO(3).
B. Leggi di conservaaione. Consideriamo il problema di in-
dividuare il mot0 di un corpo rigido libero che si muove per iner-
zia, in assenza di campi di forze. Un esempio approssimativo B
fornito dal mot0 delle navicelle spaziali.
I1 sistema B invariante rispetto a ogni possibile traslazione:
la funzione di Lagrange B infatti invariante rispetto a tutte le
traslazioni. Per il teorema di Noether abbiamo che esistono tre
integrali primi: le tre componenti della quantita totale di moto.
In altri termini abbiamo dimostrato il
Teorema. I1 centro d'inerzia di un corpo rig&, che si muom di
moto libero, compie .un mot0 rettilineo ed unifonne.
Per I'esattezza, lo spazio delle configurazioni di un corpo rigido
B R8 X 0(3), e Ra X.SO(3) B solo una delle due componenti c o m di
quests varieth, corrispondente all'orientamento acalto per i l corpo.
Dal teomma segue che noi possiamo considerare un sistema
di coordinate ineniale, in cui il centro d'inenia B fisso. In tal
modo otteniamo il
Corollario. Un corpo rigido libero m t a intorno a1 sup centro
d'inerzia come se questi .fosse vincolato ad un punto fisso 0.
I1 problema B stato ricondotto a1 problema a tre gradi di li-
berth del inoto di un corpo rigido intorno ad un punto fisso 0.
Gtudiamo accuratamente questo problema, senza fare necessaria-
mente l'ipotesi che 0 sia il centro d'inerzia del corpo.
La lagrangiana B invariante rispetto a tutte le rotazioni intor-
no a1 punto 0.Per il teorema di Noether esistono in corrisponden-
za tre integrali primi: le tre componenti del vettore del momento
della quantiti di moto. Analogamente si coneerva I'energia totale
del sistema E = T (in questo caso essa Q puramente cinetica).
Percih B stato dimostrato il
Teorema. Nel problema del mot0 di un corpo rigido intorno ad
un punto fisso 0, in assenna di forze esterne, si hunno quattro inte-
grali rimi: M,, Mu, M,, E.
F!possibile dedurre delle conclusioni qualitative sol mot0 del
sistema, utilizzando questo teorema e senza nessun calcolo espli-
cito.
La posizione e la velocitii del corpo sono definiti da un punto
della varieti T SO(3) a sei dimensioni, definita come il fibrato
tangente alla varieti delle configurazioni' SO(3). Gli integrali
primi M,, Mu, M,, E sono quattro funzioni definite sulla varieti
T SO(3) di dimensione 6. Si pub verificare che, nel caso generale
(se il corpo non soddisfa a particolari proprieti di simmetria)
queste quattro funzioni sono indipendenti. Quindi le quattro
equazioni
M, = C1, M y = Cat Mz = CJ, E = Cc > 0
definiscono una sottovarieti Vc bidimensionale della varietii a
sei dimensioni T SO(3).
Questa varieti B invariante: se le condizioni iniziali del mot0
corrispondono ad un punto che si trova'sulla varieti Vc, allora
per tutta la durata del mot0 il punto di T S0(3), che individua la
posizione e la velociti del corpo, rimarri su V,.
Quindi la varieti Vc ammette un campo vettoriale tangente
(per l'esattezza il campo delle velociti del mot0 su T SO(3)); per
C, > 0 questo campo non pu6 ammettere punti singolari. Inoltre
13 facile verificare che Vc 13 compatta (utilizzando E) e orientabile
(dato che T SO(3) Q orientabile) '.
1 E facile dimostrare le seguenti affermazioni.
..
i. Siano jl, ., jk: M + R delle funzioni su di una varietl orienta-
bile .U.Consideriamo l'insiemb V individuato dalle equazioni jl = q, ...
. ..
. ., h = q. Supponiamo che i gradienti di fl, ., jk in ogni punto di V
riano linearmente indipendenti. Allora V B orientabile.
In topologia-si dimostra che tutte le variet; connesse bidi-
mensionali compatte ed orientabili sono delle sfere con n manici,
n >, 0 (fig. 113).
Di queste soltanto il toro (n = 1) ammette un campo vetto-
riale tangente senza punti singolari.
Di conseguenza la varieth invariante Vc B un toro bidimen-
sionale (ovvero l'unione di alcuni tori).
Mostreremo nel seguito che si possono scegliere su questo toro
delle coordinate angolari cp,, cp, (mod 2n), tali che il mot0 del

Fig. 113. Varieti bidimensionali connesse compatte ed orientabili.

punto immagine su V , B individuato dalle equazioni cpl = ol(c),


(9, =0 2 (4.
In altri termini, la .rotazione di un corp.0 rigido si presenta
come la sovrapposizione di due moti periodici, con diversi periodi

9
in generale: se le frequenze ol e o, sono
incommensurabili tra di loro, il corpo non
torna mai in uno stato di mot0 passato. Le
quantith ole o, dipendono dalle condizioni
iniziali del mot0 c.
C. Operatore d'inenia. Passiamo ora alla
teoria quantitativa ed introduciamo le seguen-
t i notazioni. Sia k un sistema di coordinate
fisso e K un sistema ruotante insieme a1 corpo
Fig. 114. Raggio intorno ad un punto 0: in tale sistema il
vettom, vettom corpo B in quiete. Ogni vettore nello spazio K
velocitii viene trasformato in un vettore nello spazio k
angolare e momen-
t~ della quantitA mediante un operatore B . 1 vettori corrispon-
di mot0 di un pun- denti negli spazi K e k saranno indicati con le
to del C O T 0 nello stesse lettere: s a r i usata la maiuscola per i
spazio. vettori di K, la minuscola per i vettori di k.
Cosi, per esempio (fig. 114),
q Elk B il raggio vettore di un punto nello spazio,
Q E K 6 il raggio vettore dello stesso punto nel sistema
solidale con il corpo, q = BQ,
2. I1 prodotto diretto di variete orientabili B orientabile.
3. I1 fibrato tan nte T SO(3) B il prodotto diretto R" SO(3).
Le varietii tali c g il lor0 fibrato tangente B un prodotto diretto si
chiamano parallelizsabtli. I1 gruppo SO(3) (come ogni gruppo di Lie) B paral-
lelizzabile.
4. Le varietii parallelizzabili sono orientabili.
Da 1-4 segue l'orientabilita di S0(3), T SO(3) e Vc.
v = q c k B il vettore velociti di un punto nello spazio,
V c K B il vettore velociti nel corpo, v = BV,
o E k B la velociti angolare nello spazio,
Q c K B la velociti angolare nel corpo, o = B-2,
m c k B il momento della quantith di mot0 nello spazio,
M E K 15 il momento della quantiti di mot0 nel corpo,
m =BM.
Dato che l'operatore B: K + k conserva la metrica e l'orien-
tamento, allora conserva anche il prodotto scalare e quello vet-
toriale.
Per definizione dl velociti angolare ($ 26),

Per definizione di momento della quantiti di mot0 di un


punto di massa m rispetto ad 0 ,
m = [q, mvl = m [q, [ o , qll.
E quindi
M = m IQ, [Q, Qll.
Da questa relazione segue l'introduzione di un operatore lineare
che trasforma Q in M:
A: K - t R , AS2 = M .
Questo operatore dipende anche dal punto del corpo ( Q ) e dalla
sua massa (m).
Lemma. L'operatore A t simmetrico.
D i m o s t r a z i o n e. Per ogni X E K, Y E K a causa
della relazione (la, bl, c) = ([c, a], b) abbiamo
( A X , P)= m ( [ a , [X, Qll, Y)= m:([Y, Ql, [ X , Ql),
e l'ultima espressione B simmetrica rispetto a X e Y, c.v.d.
Sostituendo a1 posto di X e Y il vettore velociti angolare
Q ed osservando che [Q, Q12 = V 2 = v2, otteniamo il
Corollario. L'energia cineticg di un punto del corpo b una
forma quadratics nel vettore velocith angolare Q, e precisamente
b data da

L'operatore simmetrico A si chiama operatore (ovvero tenso-


re) d'inerzia del punto Q .
Se il corpo B costituito da molti punti at con massa mi,
allora, .sommando, otteniamo il
Teorema. I 1 momento della quantita di noto M di un corpo
rigido rispetto ad un punto fisso 0 dipende linearmente dalla velocitd
angolare 8 , esiste ciob un operatore lineare A: K + K , AQ = M.
L'operatore A b simmetrico.
L'ewgia cinetiea det corpo 2 una f o r m qwdtatica nelk
uekitit a n g o b e 9,

D i'm o s t r a z i o n e. Per definizione, il momento della


qriantith di mot0 del corpo B uguale alla somma dei momenti dei
.suoi punti:

Dato che, per il lemma precedente, l'operatore d'inerzia


di ogni punto At B simmetrico, anche l'operatore A B simmetrico.
Otteniamo cosi per l'energia cinetica, per definizione,

D. h i d'inerzia. L'operatore A ammette, come ogni opera-


tore simmetrico, tre autovettori ortogonali a due a due. Siano
el, e,, e, K i versori di questi autovettori, I,, I,, I, gli auto-
valori. Nella base e l l'operatore d'inerzia e l'energia cinetica
hanno una forma particolarmente semplice

Gli assi e l si chiamano assi d'inerzia del corpo nel punto 0..
Naturalmente se i numerj I,, I,, I, non sono tutti diversi,
gli assi d'inerzia sono definiti in mod0 non univoco. Chiariamo
in maniera pih dettagliata il significato degli autovalori
11, I s 9 13.
Teorema. L'energia cinetica di un corpo rigido, vincolato ad
un punto 0 , che ruota con velocitd angolare B = Be (B = I Q I)
intorno all'asse e 2 pari a

T = -1 I*, dove I. = 2 mtrt


4

e rl indica la dlstania delt'i-esimo punto dull'asse e (fig. 115).


1
D i m o s t r a z i o n e . Per definizione si hache T = T 2 mtvf,
ma Ivi 1 =Brl, quindi T = -2. ( 2 ntrl ) SP, c.v.d.
i
I1 numero I, dipende dalla direzione e dell'asse di rotazione
Q nel corpo.
D e f i n i z i o n e. Iesi chiama momento d'irurzia del corpo
rispctto all'asse e:
re= i m r t .
Confrontando le due espressioni ottenute per T, si ottiene
il
Corollario. Gli autovalori I, dell'operatore d'inerzicr A sono
i momenti d'inerzia del corpo rkpetto agli m i d'inerzia el.

Fig. 115. Energia cinetica di un Fig. 116. Ellissoide d'inerzia.


corpo che ruota intorno ad un asse.

E. Ellissoide d'inenia. Per studiare la dipendenza del mo-


mento d'inerzia I, dalla direzione dell'asse e nel corpo, consids
riamo i vettori e l v la, dove il versore e varia nella sfera unitaria.
Teorema. I vettori e l V fonnano un elllssoide in K.
D i m o s t r a z i o n e . Se Q = e/C/z, allora 18 forma
quadratica T = 1 (AQ, 51) 8 uguale ad 112. Quindi {Q) 8 l'insie-
me di live110 di una forma quadratica definita positiva, cio6 6
un ellissoide, c.v.d. Si pub dire che questo ellissoide 6 costituito
dai vettori velociti angolare Q, per i quali l'energia cinetica
6 uguale ad 112.
D e f i n i z i o n e. L'ellissoide {Q: (AQ, Q) = 1) si chiama
ellissoide d ' i m i a del corpo ne1,punto 0 (fig. 116).
Usando gli assi d'inenia el, l'equazione dell'ellissoide ha la
seguente forma:
IIQ:+ I,Q2 + I,Qf =.I.
Quindi, si ha che gli aasi principali dell'ellissoide d'inerzia sono
diretti lungo gli assi d'inenia e la lor0 lunghezza b inversamen&
proporzioruzle a 1/ K.
0 s s e r v a z i o n e. Se il corpo Q schiacciato lungo un
qualsiasi asse allora il momento d'inerzia rispetto a quest'asse
s a d piccolo, e quindi, anche l'ellissoide d'inerzia sarii schiacciato
lungo quest'asse, cosicchh l'ellissoide d'inenia possiede alcune
caratteristiche del corpo.
Se il corpo possiede un asse d i simmetria passante attraverso
0 di ordine k (tale cioB che il corpo si sovrappone a se stesso dopo
una rotazione intorno a tale asse di un angolo pari a 2nlk), allora
l'ellissoide possiede lo stesso tip0 di simmetria rispetto ad un tale
asse. Ma un ellissoide con tre assi non possiede un asse di sim-
metria di ordine k > 2. Per questo motivo ogni asse di simmetria
del corpo, avente ordine k > 2, B un asse di rotazione dell'ellis-
soide d'inerzia e, di conseguenza, B un suo asse principale.
E s e m p i o. L'ellissoide d'inerzia relativo a tre punti d i
massa m situati nei vertici di un triangolo equilatero, rispetto

Fig. 117. Ellissoide d'inerz'ia di Fig. 118. Solido continuo.


un triangolo equilatero.

a1 centro 0, B un ellissoide di rotazione intorno alla normale a1


piano del triangolo (fig. 117).
Se esistono parecchi assi d i questo tip0 allora l'elkissoide
d'inerzia B una sfera ed ogni asse B un asse principale.
P r o b 1 e m a. Trovare la retta che passa attraverso il
centro di un cub0 tale che la somma dei quadrati delle distanze
dei vertici del cubo da essa sia: a) massima, b) minima.
Osserviamo ora che l'ellissoide d'inerzia (ovvero l'operatore
d'inerzia, ovvero i momenti d'inerzia I,, I,, I,) definisce in mod0
completo le proprieti della rotazione del nostro corpo: se noi
consideriamo infatti due corpi aventi lo stesso ellissoide d'iner-
zia allora, se le condizioni iniziali coincidono, si muoveranno
in mod0 uguale (dato che hanno lagrangiane uguali L = T).
Percib possiamo concludere che lo spazio di tutti i corpi
rigldi, considerando il problema della rotazione intorno ad un
punto 0, B tridimensionale qualunque sia il numero di punti che
compone il corpo.
Possiamo inoltre anche considerare un u solido continuo di
densiti p ( a ) , pensando a1 limite per A Q + 0 di una successione
di corpi formati da un numero finito di punti a , , di massa
p ( a , ) A Q , (fig. 118), ovvero considerando, cosa del tutto equi-
valente, un qualunque corpo con momenti d'inerzia

dove r B la distanza d i Q dall'asse e.


E s e m p i o. Trovare assi e momenti d'inerzia di una la-
mina piana omogenea ) x I < a, I y I g b, z = 0 rispetto ad 0.
S o 1 u z i o n e. Poich6 la lamina ha tre piani' di simmetria,
l'ellissoide di inerzia ha gli stessi piani di simmetria e, dunque,
assi di inerzia z, y, z. Inoltre

ugualmente

4 chiaro che I, = I, I,,.+


P r o b 1 e m a. Dimostrare che i momenti di inerzia di un
qualsiasi corpo soddisfano 1s .disuguaglianze triangolari
1s 5 I 2+ + <
I,, I 9 s I1 Is, I1 I 2 I s +
e, inoltre, che l'uguaglianza pu6 aver luogo solo per un corpo
piano.
P r o b 1 e m a. Trovare assi e momenti di inerzia di un
ellissoide omogeneo di massa m con semiassi a, b, c rispetto a1
centn, 0.
S u g g e r i m e n t o. Considerate dapprima la sfera.
P r o b 1 e m a.. Dimostrare il teorema di Steiner:
I momenti di inerzia di un qualsiasi corpo rigido relativi a due
mi paralleli, uno dei quali passa per il centro di inerzia, sono
hgati &lla relazione
+
I = IO mr2,
dove m 2 la massa del corpo, r la distanza tra i due m i , I, il momen-
to d'inerzia rispetto all'asse, che passa per il centro di inerzia.
Cosi, il momento di inerzia rispetto ad un asse passante per
il centro di inerzia B minore del momento di inerzia rispetto a
.qualsiasi asse parallelo.
P r o b 1 e m a. Trovare assi e momenti d'inerzia di un
tetraedro omogeneo rispetto a1 suo vertice.
P r o b 1 e m a. Disegnare il vettore del momento della
quantiti di. mot0 iK per un corpo con dato ellissoide d'inerzia,
che gira con velocitii angolare 51.
Risposta: M ha la direzione della normale all'ellissoide di
inerzia nel punto sull'asse 51 (fig. 119).
P r o b 1 e m a. Da un corpo rigido, vincolato in un punto
fisso 0,si 6 tolto un pezzo (fig. 120). Come cambiano i momenti
d i inerzia principali?
Risposta. Tutti e tre i momenti principali diminuiscono.
S u g g e r i m e n t o . Cfr. 5 24.
P r o b 1 e m a. Ad un corpo rigido con momenti d'inerzia
I, >,Ia> I, si b aggiunta un piccola massa e nel punto (b =
= qe, + +
xses x,e,. Trovare il cambiamento di I, ed el con
un errore 0 (ea).
R i s o 1 u z i o n e. I1 centro d'inerzia si sposta a una distan-
za dell'ordine di e. In conseguenza di cib, i momenti di inerzia
del vecchio corpo rispetto ad assi paralleli passanti per il vec-
chi0 e il nuovo centro d'inerzia, differiscono per una quanti-
t i dell'ordine d i e2. Nello stesso tempo l'aggiunta di massa cambia

Fig. 119. Velocith angolare, ellis- Fig. 120. Comportamento dei mo-
soide d'inerzia e momento della menti d'inerzia in aeguito a una
quantith di moto. riduzione del corpo.

il momento d'inerzia rispetto a qualsiasi asse fissato di una quan-


t i t i dell'ordine'di e. Per questo motivo nei calcoli con un errore
0 (e2), possiamo trascurare lo spostamento del centro d'inerzia.1
Cosi, l'energia cinetica, dopo l'aggiunta di una piccola mas-
sa, prende la forma

dove T o = i (I&: + 12Q: + 13Q:) B l'energia cinetica del cor-


po iniziale. Cerchiamo l'autovalore I, (e) e l'autovettore e, (e)
clell'operatore di inerzia in forma di serie di Taylor sviluppate
in E. Uguagliando i coefficienti di e nella relazione A ( e ) x
x e l (e) = I, (E) e l (e), troviamo, con un errore 0 (e2),

Dalla formula per I, (e) si vede che il cambiamento dei momenti


principali d'inerzia (con una approssimazione del primo ordine
su E) b lo stesso, come se il centro e gli assi d'inerzia non fossero
cambiati. La formula per el (e) mostra come cambia la direzione
degli assi principali: il semiasse maggiore pi6 vicino dell'ellis-
soide d.'inerzia si avvicina a1 punto dove si 15 aggiunta la massa,
mentre il minore si allontana da esso. Inoltre, l'aggiunta di una
piccola massa su uno dei piani principali dell'ellissoide d'inerzia
fa ruotare i due assi che giacciono su questo piano e non cambia
la direzione del terzo asse. Le differenze tra momenti d'inerzia
che compaiono a1 denominatore dipendono dal fatto che l'ellis-
soide di rotazione ha assi principali indeterminati. Se. l'ellissoide
d'inerzia 6. vicino a un ellissoide di rotazione (diciamo I , =
M 13, l'aggiunta di una piccola massa pub far ruotare di molto.
gli assi principali el ed e , sul piano individuato da essi.

5 29. Eqwzioni di Eulero. Descrizione del mot0 secondo Poinsot


In questo paragrafo analizziamo il mot0 di un 'corpo rigido
intorno a un punto fisso in assenza di forze esterne e nello s t e m
tempo il mot0 di un corpo rigido libero. I1 mot0 risulta a doppia
frequenza.
A. Equazioni di Eulero. Consideriamo il moto di un corpo
rigido intorno a un punto fisso 0. Sia M il vettore del momento
della quantiti di mot0 del corpo rispetto a 0 nel corpo, P il
vettore della velocitl angolare nel corpo, A l'operatore di inerzia
( A P = M); i vettori a, M appartengono a1 sistema mobile di
coordinate K (g 26). I1 vettore del momento della quantiti.
di mot0 del corpo rispetto ad 0 nello spazio m = BiK si conserva
durante il mot0 (8 28, B).
Cio6. il vettore M nel corpo ( M E K) deve, muoversi in modo
tale che il vettore m= B t N ( t )durante il variare di t non cambi.
Teorema. Ha luogo la relazione

D i m o s t r a z i o n e. Applichiamo la formula (5) der


8 26 per la velociti di mot0 di un w punto 9 M (t) E K rispetto
a110 spazio fisso k. Si ha

Ma poich6 il momento rispetto a110 spazio ,ti conserva (&a =


= O), dI + (4-2, MI = 0, c.v.d.
La relazione (1) si chiama equazione di Eulero. Poich6 itt=
= A P , la ( 1 ) si pu6 considerare un'equazione differenziale ri-
spetto a iK (o a a). Se

sono le decomposizioni di P e M secondo gli assi d'inerzia in


0, allora M i .= IiQi e la (1) prende la forma del sistema di tre
equazioni

I -I
dove a, = ,*,
1 1
as= -
1;-I,
Is11
, a3=- 11-"
1112
, oppure la forma
d i un sistema di tre equazioni per le tre componenti della veloci-
ti angolare

0 s s e r v a z iio n e. Se sul corpo agiscono forze esterne,


la somma dei cui momenti rispetto a 0 B uguale a n nel sistema
d i coordinate fisso e a N in quello mobile (n = BN),allora

e le equazioni di Eulero assumono la forma

B. Studio delle soluzioni delle equazioni di Eulero.


Lemma. L'equazione di Eulero (2) ha due integrali primi
quadratici
2E- M: MZ 3
+r+ I3 e M~=M:+M;+M:.
D i m o s t r a z i o n e. E si conserva per la legge di conser-
vazione dell'energia, mentre si conserva per la legge di con-
servazione del momento m , dato che
m2= ,Tf = M2. I1 lemma B dimostrato.
Dunque M giace sull'intersezione
dell'ellissoide con la sfera. Per ordinare
la costruzione delle curve d'intersezione,
cominceremo col fissare l'ellissoide E > 0
e varieremo il raggio della sfera M
(fig. 121).
Supponiamo, per fissare le idee, che
Fig. Iz1. TraiettOrie del- I1> I?> I,. I semiassi dell'ellissoide
le equazioni di Eulero -
sulla superficie di!livel- saranno 1 / 2 ~ I >
, V 2 E f 2 > t/m3.Se
lo dell'energia. il raggio della sfera M 6 minore del
piii piccolo - semiasse o maggiore del
piii grande (M < 1/m, o M > 1/ 2EIl), allora l'intersezione
B vuota, e a tali valori di E e di M non corrisponde nessun mot0
cffettivo. Se il raggio della sfera B uguale a1 semiasse piti piccolo,
allora
-l'intersezione consiste di due punti. Aumentando il raggio
()/~EI, < M < )/ 2E12) si ottengono due curve intorno agli estre-
mi del semiasse piii piccolo. Esattamente nello stesso modo, se il
raggio della sfera B uguale a1 semiasse maggiore si ottengono come
intersezioni i suoi estremi, se B un poco pia piccolo, due curve
-
chiuse vicine agli estremi del semiasse maggiore. Infine, se M =
= 1/2EI, l'intersezione consiste di due circonferenze.
Ognuno dei sei estremi dei semiassi dell'ellissoide. rappresen-
ta una singola traiettoria dell'equazione di Eulero (2), posizione
stazionaria del vettore , i . Ad esso corrisponde il valore costante
del vettore velociti angolare, orientato lungo uno degli assi di
inerzia el; in questo caso P rimane tutto il tempo collineare a d
bl. Cosi il vettore velociti angolare conserva collineare ad m la
sua posizione o nello spazio: il corpo gira semplicemente con
velocith angolare costante intorno all'asse d'inerzia e l fisso nello
spazio.
D e f i n i z i o n e. I1 mot0 di un corpo, durante il quale
la sua velociti angolare rimane costante (o = cost; P = cost),
si chiama rotazione stazionaria.
E dimostrato il
Teorema. Un corpo rigido, vincolato a un punto 0 , ammette
una rotazione stazionaria intorno a uno qualsiasi dei suoi tre assi
d'inerzia el, e,, e8.
Se, come abbiamo supposto, I, > I, > I,, allora la parte
destra dell'equazione di Eulero non si riduce a 0 in nessun'altra
posizione, cioh non vi sono altre rotazioni stazionarie.
Studiamo ora la stabiliti (secondo Ljapunov) delle soluzioni
stazionarie dell'equazione di . Eulero.
Teorema. Le soluzioni stazionarie M =Mlel e M =Mae, delle
equazioni di Eulero, corrispondenti agli assi d'inerzia maggiore
e minore, sono stabili, mentre la soluzione corrispondente a quello
meclio ( M = M2e2) b instabile.
Effettivamente, per una piccola deviazione della condizione
iniziale da M,e, o M , e , la traiettoria s a r l una piccola curva
chiusa, mentre per una piccola deviazione da M,e, s a r i una curva
grande.
P r o b 1 e m a. Sono stabili secondo Ljapunov le rotazioni
stazionarie di un corpo intorno agli assi d'inerzia maggiore e
minore?
Risposta. No.
C. Descrizione del mot0 secondo Poinsot. Ci raffiguriamo bene
il mot0 dei vettori momento e velociti angolare nel corpo ( M e 8 ) .
Esso 15 periodic0 se M # V
Per vedere come ruota il corpo nello spazio, consideriamo
il suo ellissoide d'inerzia:
E = {P: (AQ, 8 ) = I) c K,
dove A: P + M 15 l'operatore simmetrico d'inerzia del corpo,
vincolato in 0.
In ogni istante I'ellissoide E occupa nello spazio fisso k la
posizione Bt E.
Teorema (di Poinsot). L'ellissoide cl'inerzia rotola, sen=
s t r k i m , su un piano fisso perpendicolare a1 vettore del momento
m (fig. 122).
D i m o s t r a z i o n e. Consideriamo il piano n , perpen-
dicolare a1 vettore del momento m e tangente all'ellissoide d'i-
nenia BtE. Di tali piani ne esistono in tutto due, e nel punto d l
tangenza la normale all'ellissoide Q
nrh parallels a m.
Ma l'ellissoide d'inerzia E ha nel
punto P come normale grad (AB, 9 ) =
= 2AP = 2iK. Per questo nei punti
-
=t 6 =
a,
1/p
d'intersezione dell'asse o
con BiE la normale a BtE Q proprio
collineare a m.
Cosi, il piano n Q tangente a BiE
nei punti sull'asse istantaneo di rota-
zione, f g. Ma il prodotto scalare
di g col vettore fisso m Q uguale a
.
Fi 122. Rotolamento ( 1/22' w ) = * ~ We quindi CO-
defi'ellissoide dlinania sul stante. Cii, vu.1 dire the 'la distanm
piano fisso. del piano n da 0 non varia. ciof
che il piano n b fisso.
Poichd il punto di tangenza si trova sull'asse istantaneo di
rotazione, la sua velocitl b nulla. Cii, implica che l'ellissoide
BtE rotola su n senza scivolare, c.v.d.
Corollario. Per condizioni iniziali vicine alla rotazione sta-
zioruuia intorno all'asse d'inerzia maggiore (o minore), la velocitit
angolare rimane sempre vicina alla sua posizione iniziale non solo
nel corpo (Q), ma amhe nello spazio (a).
Consideriamo ora la traiettoria del punto di tangenza sul
piano fisso n. Quando il punto di tangenza a v i i fatto un giro
completo sull'ellissoide, le condizioni iniziali si ripetono, con
questa sola differenza, che il corpo a v r l girato di un certo angolo
a intorno all'asse m. I1 second0 giro saria esattamente simile a1
prima; se a = 2s:. il mot0 nel suo complesso Q periodico, se
invece l'angolo n i n Q commensurabile con 2n, allora il corpo
non torna mai a110 stato di partenza..
I1 punto di tangenza inoltre ricopre sul piano n in mod0
ovunque denso l'anello con centro 0' (fig. 123).
P r o b 1 e m a . Dimostrate che le componenti connesse delle
varieti invarianti bidimensionali V , (9 28, B) nello spazio a sei
dimensioni T SO(3) sono dei tori e che su essi si possono scegliere
le coordinate cp,, cp, mod 2n in mod0 tale che cp, = o, (c), cp, =
= 0 2 (c).
S u g g e r i m e n t o. Come cp1 prendere la fase della varia-
zione periodica di M.
Consideriamo ora un importante caso particolare, quando
cioh l'ellissoide d'inerzia B un ellissoide di rotazione:

In questo caso l'asse dell'ellissoide, Btel, l'ask istantanbo


di rotazione o e il vettore m giacciono sempre sullo stesso pia-
no. Gli angoli tra loro e il modulo del vettore o si conservano, il
punto di tangenza descrive delle circonferenze sia sull'ellissoide

Fig. 123. Traiettoria del lpunto Fig. 124. Rotolamento dell'ellis


di tangenza sul piano fisao. mide di rotazione aul piano f i w .

che sul piano; gli assi di rotazione ( o ) e di simmetria (Btel) de-


scrivono, con la stessa velociti angolare, dei coni intorno al vet-
tore del momento m (fig. 124).
Questo mot0 intorno a m si chiama precessione.
P r o b 1 e m a. Trovare la velociti angolare della precessione.
Risposta. Scomponiamo il vettore velociti angolare o sulle
direzioni dei vettori del moment8 m , e dell'asse del corpo Btel.
La prima componente dar& anche la velociti angolare della pre-
cessione om = MII,.
S u g g e r i m e n t o. Immaginare il .mot0 del corpo in
forma di prodotto di una rotazione intorno all'asse del momento
e di una successiva rotazione intorno all'asse del corpo. La velo-
cit?i angolare del prodotto di entrambi i moti B uguale alla som-
ma dei vettori delle loro velociti angolari.
0 s . s e r v a z i o n e. Un corpo rigido, vincolato in un punto
0, in assenza di forze esterne, rappresenta un sistema lagrangiano,
il cui spazio delle configurazioni L! un gruppo, precisamento
S0(3), e la cui funzione di Lagrange, inoltre, B invariant0 rispet-
to a traslazioni a sinistra.
Si pub dimostrare che l a . parte significativa della teoria di
Eulero del corpo rigido B basata su questa sola proprieth, e per
questo motivo rimane valida per qualsiasi sistema lagrangiano
invariante a sinistra per un qualsiasi gruppo di Lie.
In particolare, applicando questa teoria a1 gruppo dei diffeo-
morfismi di un dominio di Riemann D, che conservano l'elemento
di volume, si possono ottenere i teoremi fondamentali dell'idrodi-
namica di un liquid0 ideale.

3 30. Trottola di Lagrange


In questo paragrafo si considera il mot0 di un corpo rigido
dotato di simmetria assiale, vincolato a un punto fisso, in un
campo di forza uniforme. Questo mot0 B costituito di tre processi
periodici: rotazione, precessione e nutazione.
A. Angoli di Eulero. Consideriamo un corpo rigido, vincolato
a un punto fisso 0 e soggetto all'azione della for!a peso mg. I1
problema del mot0 di un tale a corpo rigido pesante D nel caso
generale non B stato finora risolto e in un certo senso non B risol-
vibile.
In questo problema, con tre gradi di liberth, si conoscono
solo due integrali primi: l'integrale dell'energia E = T + U
e la proiezione del momento della quantiti di mot0 sulla vertif
cale M,.
Vi 6 un importante caso particolare, nel quale il problema
pub essere completamente risolto: la trottola simmetrica. Si chiama
trottola simmetrica o lagrangiana un corpo rigido vincolato
a un punto fisso 0 , il cui ellissoide d'inerzia in 0 B un ellissoide
di rotazione e il cui baricentro si trova sull'asse di rotaziono c3
(fig. 125).
In questo caso una rotazione intorno all'asse e, non cambia
la funzione di Lagrange e deve esistere, per il teorema di Noether,
un integrale primo complementare a E e M, (come vedremo, risulta
esserlo la proiezione 1M3del vettore del momento sull'asse e,).
Se si riescono a introdurre tre coordinate, tali che tra esse
vi siano gli angoli di rotazione intorno all'asse z e intorno all'asse
della trottola, allora queste coordinate saranno cicliche e il
problerna con tre gradi di liberti si riduce a1 problema con un solo
grado di liberth (per la terza coordinata).
Una tale scelta di coordinate, nello spazio delle configura-
zioni S0(3), 6 possibile; queste coordinate cp, 9, 8 si chiamano
angoli di Eulero e formano in SO(3) un sistema locale di coordi-
nate, simile alle coordinate geografiche sulla sfera: con singolari-
t% ai poli e, una plurivociti su un meridiano.
Introduciamo i seguenti simholi (fig. 126):
e,, e,, e, sono i versori del sistema cartesiano destrogiro
fisso, con origine nel punto 0.
e,, e,, ei sono i versori di un sistema di coordinate destrogiro
mobile, solidale col corpo, orientati come gli assi d'inenia del
corpo in 0.
I, = I,# I, sono i momenti d'inerzia del corpo nel punto 0.
e~ B il versore dell'asse [e,, e,l, chiamato a linea dei nodi D.
(Sono tutti vettori nello 4 spazio immobile n k.)
Per sovrapporre il riferimento fisso (ex, e,, e,) a1 riferimento
mobile (el, e,, e,), si devono compiere tre rotazioni:

fine0 dei nodi

Fig. 125. Trottola di Lagrange. Fig. 126. Angolo di Eulero.

1 ) di un angolo cp intorno all'asse e,. Durante questa rotazione


e, rimane fermo, mentre e, si sovrappone a e ~ ;
2) di un angolo 8 intorno all'asse e ~ In. questo mod0 e, si
sovrappone a e,, mentre' e N rimane a1 suo posto;
3) di un angolo intorno all'asse e,. Con questa rotazione
eN si sovrappone a el, mentre e, rimane fermo.
Come risultato delle tre rotazioni e, si sovrappone a el, e,
a e,, quindi e, si sovrappone a e,.
Gli angoli cp, 9, 8 si chiamano angoli di Eulero. Si dimostra
facilmente il
Teorema. La precedente costruzione fa corrispondere a ogni
terna di numeri, cp, 8, 9 , una rotazione &llo spazio tridimensionale
B (cp, 8, 9 ) E S0(3), che trasporta il riferimento (e,, e,, e,) nel
riferimento (el, e,, e,). Inoltre l'applicazione (cp, 8, 9 ) -t B (cp,8,9)
dd le coordinate locali

,re110 spazio delle configurazioni della trottola, SO(3).


Similmente alla longitudine geografica, cp e si possono
considerare angoli mod 2n; per 8 = 0 o 8 = n l'applicazione
(cp, 8, 9 ) -+ B ha una singolariti di tip0 polare.
B. Calcolo della funzione di Lagrange. Esprimeremo la fun-
zione di Lagrange con le coordinate cp, 8, 9 e le loro derivate.
Evidentemente l'energia potenziale B uguale a

dove zo 6 l'altezza del baricentro sopra 0 (fig. 125).


Calcoliamo l'energia cinetica. A questo fine B utile un picco-
lo mpediente: consideriamo il cmo purticolare cp = g = 0.
Lemma. La velocitit angolare di una trottoh si esprime median-
e le dtricate degli angoli di Bulero secondo la formula

&?cp=lp=o.
D i m o s t r a z i o n e. Consideriamo la velocith di un punto
della trottola, che occupi all'istante t la posizione T . Dopo un
tempo dt il punto occuperh la posizione (a meno di infinitesimi
superiori a (dt)')
B (cp + dcp, 0 + do, g + d*) B-' (cp, 0.9) r .
dove dcp = dt, d0 = 6 dt, d g = dt. 6
Conseguentemente, con la stessa approssimazione, il vettore
dello spostamento Q dato dalla somma dei tre termini

(le velociti angolari ow, oe, owsi determinano con queste for-
mule).
Dunque la velocith del punto T Q v = [ a ,
La velocita angolare del corpo 6 allora
oe + +oc, T I .

dove i termini sono calcolati con le formule precedenti.


Rimane da scomporre i vettori o,, oe, y nella base el,
e,, ea. Finora non ci siamo serviti del fatto cho cp = g = 0. Se
q, = 9 = 0 allora
B (cp +
dcp, 9 9 9 ) B-' (cp, 8, $)
B semplicemente la rotazione intorno all'asse e, di un angolo
dcp cosicch6.
0 ,= cpe,.
Inoltre; B (cp, 8 +
d0, g ) B-' (cp, 0, g ) nel caso cp = 9 = 0 Q
eemplicemente la rotazione di un angolo d0 intorno all'asse
e N = e, = e, di mod0 che
o e = eel.
Infine, B (cp, 0, g +
d$) B-I (cp, 0, 9 ) B l a rotazione di un
angolo dg intorno all'asse e, e quindi
o*= rpe2.
I n conclusione per cp = 9 = 0 otteniamo

Ma evidentemente quando cp = $ = 0
e, = e, oos 0 +
e 2 sen 0.
Cosi le proiezioni della velocith angolare sugli asai d'inerzia
el,e,, e, sono

i
+ +
Poich6 T = ( I i d 12ui 13u:), l'energia cinetica per cp =
= 9 = O 6 data dalia formula

Ma l'energia. cinetica non pu6 dipendere da 'cp, 9: si tratta di


coordinate cicliche e con una scelta, che non varia T, dell'origine
per la misura di cp e rp possiamo sempre fare cp = 0, rp = 0.
In questo modo, la formula ottenuta per l'energia cinetica
Q valida per ogni cp, 9.
Otteniamo, cosi, la funzione di Lagrange

C. Studio del moto. Alle coordinate cicliche cp, 9, corrispon-


dono gli integrali primi
ar,
-= 31, = (11 sen" +
I~cos20) cos 0,+41~
a;
aL
M 3 = cp13cos 0 +$I3.
*
--;-=

Teorema. L'inclinazione 0 dell'asse della trottola rispetto alla


verticale variu nel tempo, come lee1 sistema unidimensionale dotato
di energia
E' = + +u,,,
62 (e),
dove l'energia potenziale efficace si ricava ddlla formula
(.If, -M, cos 9)2
LGtr = 21, + mgl cos 0.
..
D i m o s t r a z i o n.e. I n corrispondenza con l a teoria gene-
rale esprimeremo (P, 9 attraverso M, e M,. ~ t t e n i a m ol'energia
totale, del sistema nella forma
fA

Fig. 127. Grafico della funzione


f (4.

I1 termine costante rispetto a 8, -


M! - E - E', non influisce
21,
sull'equazione per 0. I1 teorema resta cosi dimostrato.

a b c
Fig. 128. Traccia dell'asse della trottola sulla sfera unitaria.

Per studiare il sistema unidimensionale ottenuto, 6 comodo


porre cos 8 = u (- 1 < u < 1).
Ponendo inoltre

possiamo riscrivere la legge di conservazione dell'energia E'


nella forma
uz = f (u), dove f (u) = ( a - Bu) ( I - uZ) - (a -bu)2,
e la legge di variazione dell'azimut cp
a-bu
(P=-.

Osserviamo che f (u) 6 un polinomio di terzo grado, f (+ oo) =


= + oo, mentre f (+ 1 ) = - (a 7 b)2 < 0, purch6 a # f b.
D'altra parte, a un mot0 effettivo corrispondono solo costanti
a , b, a , B tali che per esse f (u) > 0 per qualche -1 ,< u 4 I.
Cosi f (u) ha esattamente due radici reali, u, e u,, nell'in-
tervallo - I u < <1 (e una per u > I , fig. 127).
Conseguentemente, l'inclinazione dell'asse della trottola
8 varia periodicamente tra due valori limite €4, 8, (fig. 128).
Questa variazione periodica dell'inclinazione si chiama
nutazione.
Consideriamo ora il mot0 dell'asse della trottola lungo
l'azimut. I1 punto d'interoezione dell'asse con la sfera unitaria
si muove in un anello tra i paralleli 8, e 8,. Inoltre la variazione
dell'azimut dell'asse si determina con l'equazione
Cp=- a - b u
'a

1-uP.
Se la radice u' dell'equazione a = bu si trova all'esterno
di (u,, u,), allora l'angolo cp varia in mod0 monotono e l'asse
traccia sulla sfera unitaria una curva di tip0 sinusoidale
(fig. 128, a).
Se invece l a radice u' dell'equazione a = bu sta all'interno
di (u,, u,), allora la velocitl di variazione di cp sui paralleli 8, e 8,
B opposta, e l'asse traccia sulla sfera una curva con nodi
(fig. 128, b).
Se infine la radice u' dell'equazione a = bu coincide con un
estremo (poniamo u' = u,), allora l'asse traccia una curva con
cuspidi (fig. 128, c).
L'ultimo caso, sebbene inusuale, si osserva ogni qualvolta
lasciamo andare l'asse della trottola lanciata, senza velocitl
iniziale, con una inclinazione 8%:la trottola dapprima cade,
ma poi si rialza.
I1 mot0 azimutale dell'asse della trottola si chiama preces-
sione. I1 mot0 risultante di una trottola consiste della rotazione
intorno a1 proprio asse, della nutazione e della precessione. Ognu-
no di questi tre moti ha la propria frequenza. Se le frequenze :on@
incommensurabili, la trottola non torna mai a110 stato iniziale,
sebbene gli si avvicini in mod0 arbitrario.

f 31. Trottola addormentata e trottola celoce


Le formule ottenute a1 3 30 riducono la soluzione delle
equazioni di mot0 di una trottola a delle quadrature ellittiche.
Per6 si possono ottenere pid facilmente delle deduzioni qualita-
tive sul moto, non servendosi di . quadrature.
In questo paragrafo si analizza la stabilitl di una trottola
in posizione verticale e si danno delle formule approssimate per
il mot0 di una trottola lanciata velocemente.
A. Trottola addormentata. Considereremo dapprima la solu-
zione particolare delle equazioni di moto, nel caso che l'asse della
trottola rimanga sempre verticale (8 = 0) e la velocitl angolare
sia costante (trottola u addormentata 9 ) . Risulta, chiaramente,
41, = M 3 = 1303(fig. 129).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la rotazione stazionaria
intorno alla verticale B sempre instabile second0 Ljapunov.
Co~~sidereremo il mot0 dell'asse della trottolcr e non quello
della trottola stessa. L'asse della trottola rimarrii stabilmente
vicino alla verticale, cioB l'angolo 0 resterh piccolo?
Sviluppiamo l'eneqia potenziale efficace del sistema

Ucrr =
( M , - M , cos 9)'
21, sens 9
+mgl cos 0
in una serie di potenze di 0. Troviamo

=C+A02+. .., A=---of1


81,
J mgl
2 '
S e A >O, la posizione d'equilibrio 0 = 0 del sistema unidimen-
sionale b stabile, mentre se A < 0, B instabile. Dunque, la condi-
zione di stabilith assume la forma

Quando l'attrito porta la velocith di rota-


zione della trottola addormentata a1 di sotto
, .' L77 di questo lirnite, essa si cr sveglia 9.
3
P r o b 1e m a. Dimostrate che, per a',>
//

129. Trot- 4 m ~ l f 9, l'asse della trottola addormentata B


"'r.
t o a addomen- 'rf
tata. stabile anche rispetto a quelle perturbazioni,
che cambiano i valori Mz,M, e non solo 0.
B. Trottola veloce. Una trottola si dice veloce, se l'eneqia
cinetica d i rotazione B grande in confront0 a quella potenziale:

Da considerazioni di similitudine risulta chiaro che l'au-


mento di N volte della velocitl angolare Q esattamente equiva-
lente a una diminuzione del peso di N2 volte.
Teorema. Se, comervando la posizione iniziale della trottola,
si uumenta di N volte la velociti2 'angolare, la traiettoria della trot-
tola sarh esattamente la stessa, che se l'accelerazione di gravith
g fosse diminuita di N-olte, mentre la velocith angolare rimane
la stessa. Inoltre, nel caso di una maggiore velocith angolare la
fraiettoria, naturalmente, viene percorsa N volte piiZ velocemente '.
Indichiamo con ?t.(t, 6) la osizione della trottola all'istante t,
P
corrispondent. alla condizlone inizia e f T SO(3) e all'accelerazione di
gravith f . Allora il teorema afferma che
q g (t, Nf)= T N-28 (Nt, 6)-
Grazie a questo teorema, possiamo analizzare il caso g -t 0
e adottare i risultati ottenuti per lo studio del mso o + OD.
Consideriamo dapprima il caso g = 0, cio6 il moto di una
trottola simmetrica, in assenza di forza peso. Compareremo due
descrizioni di questo moto: quella secondo Lagrange (5 30, E) e
quella secondo Poinsot ($ 29, C).
Prendiamo in considerazione inizialmente l'equazione d i
Lagrange relativa all'angolo d'inclinazione dell'asse della trot-
tola 0.
Lemma. I n assenza di form peso l'angolo 0,' per il quak vak
M, = llf, cos 0,' t una posizione :dlequilibrio
stabile dell'asse della trottola.

L
La frequenza delle piccole oscillazioni 0
intorno a questa posizione d'equilibrio uguale a
Iaoa
"nut = 7.
80 B
D i m o s t r a z i o a e.
In assenza di
forza peso l'energia potenziale efficace si
riduce a Fig. 130. Energia
(M,- illac o ~ e ) ~ potenziale efficace
urrr= g,,,.,rt) . della trottola.

Questa funzione non negativa ha un minimo nullo per l'angolo


8 = 0,' determinato con l'equazione M, = M, cos 0, (fig. 130).
Dnnque, l'angolo d'inclinazione 0, dell'asse della trottola
rispetto alla verticale B stabile e stazionario: per una piccola
deviazione da 0, dell'inclinazione iniziale 0, vi saranno delle
oscillazioni periodiche 0 intorno a go (nutazione). E facile deter-
minare la frequenza di queste oscillazioni con la formula gene-
rale: e, infatti, la frequenza delle piccole oscillazioni in un siste-
ma unidimensionale con energia data da

si determina con la formula (5 22, D)


"2 - U" ( t o )
a .
L'energia di un sistema unidimensionale, che descrive le oscil-
lazioni dell' inclinazione dell'asse della trottola, Q

Per 0 = 0, + s troviamo M, - M, cos 0 = M, (cos O0 -


- cos (0, +
s ) ) = M, s sen 0, $- 0 (s2)
e da qui ricaviamo per la frequenza della nutazione l'espressione

MZ-Msco~8
Dalla formula cp = sent
si vede che, per 0 = go,
l'azimut dell'asse 8 costante nel tempo, cio8 l'asse 8 fisso. Si po-
trebbe anche studiare, con l'aiuto di questa formula, il mot0
azimutale per una piccola deviazione 0 da go, ma lo tratteremo
diversamente.
I1 mot0 di una trottola, in assenza di forza peso, si pub esa-
minare come un mot0 secondo Poinsot. In conseguenza di cib,

Fig. 131. Raffronto tra le descri- Fig. 132. Spostamento del minimo
zioni del mot0 di una trottola in seguito a una piccola variazione
second0 Lagrange e second0 Poin- della funzione.
sot.

l'asse della trottola ruota uniformemente intorno a1 vettore


del momento della quantiti di moto, che conserva la sua pasizione
nello spazio.
L'asse della trottola descrive sulla sfera una circonferenza;
il cui centro corrisponde a1 vettore del momento della quantitl
di mot0 (fig. 131).
0 s s e r v a z i o n e. Cosi, quel mot0 dell'asse della trot-
tola, che nella descrizione secondo Lagrange si chiama nutmione,
in quella secondo Poineot si definisce invece precessione.
Naturalmente, la formula ottenuta sopra per la frequenza
di una piccola nutazione onUt = I y , / I , B in accord0 con la formula
per la frequenza della precessione o = MII1 nel mot0 secondo
Poinsot: quando l'ampiezza della nutazione tende a zero, 1 3 m 3 -t
4 b1.
C. Trottola in un campo debole. Torniamo ora a1 caso, in cui
agisce una forza peso, ma essa B molto piccola (i valori M z , M,
Fono fissati). In questo caso all'energia potenziale efficace si
aggiunge il termine mgl cos 0, infinitesimo con le sue derivate.
Dimostriamo che questo termine influisce poco sulla frequenza
della nutazione.
Lemma. La funzione f (x) abbia un minimo per x = 0 e am-
metta lo sviluppo di Taylor f (x) = A $+ . . . , A 10. S i a
inoltre h (I) urn secondu funzione, c h ha i n 0 lo sviluppo d i Ta!,lor
h (x) = B + + .. .
Cz Allora, per un 13suff icientemente piccolo
la funzione fe (x) = f (x) + eh (3) ha u n minimo nel punto vicino
a 0 (fig. 132)

lnoltre (xi! = A + 0 (8).


I n effett~,abbiamo fi (x) = Ax + +
Ce 0 (x2), e il risultato
s i ottiene con l'applicazione a fk (3) del teorema sulla funzione
implicita.
Per il lemma dimostrato l'energia potenziale efficace per
valori g piccoli ha un punto di minimo 8 # vicino a eO, inoltre in
questo punto U" differisce poco da U" (8,). Quindi la frequenza
di una piccola nutazione intorno a 8, Q vicina a quella ottenuta
nel caso g = 0:

D. Trottola lanciata velocemente. Consideriamo ora dcllc


condizioni iniziali speciali, quando si lascia andare l'asse della
trottola dalla posizione con inclinaziono 8, rispetto alla verti-
cale, senza una spinta iniziale.
. .
Teorema. S e all'istante iniziale l'asse della trottola t fermo
(rp = 8 = 0) e la trottola ruota velocemente intorno a1 proprio
asre (m3 -+ oo), inclimto rispetto alla verticale di un angolo 8,
(nf, = M , cos go), allora asintoticamente per o3-t oo:
1) la frequenza della nutazione b proporzionale alla velocith
angolare;
2) l'ampiezza della nutazione b inversamente proporzionale a1
quadrato della velocith angolare;
3) la frequenza della precessione 2 inversamente proporzionale
alla velocith angolare;
4) sono valide le formule nsintotiche (per m3 + oo)

f
( q u i f ( y ) --g(03), se lim -=I)
o,+oo 6
Per la dimostrazione passiamo a1 caso, in cui la velocith
angolare iniziale Q fissata, ma g + 0.
Interpretando in seguito le formnle ottenute con l'aiuto della
similitudine (vedi il punto B), avremo il teorema formulato.
Noi gi8 sappiamo dal 8 30, D, che, con le nostre condicioni
iniciali, l'asse della trottola traccia sulla sfera una curva a
cuspidi.
Applichiamo il lemma per la determinazione del punto di
minimo Og dell'energia potenziale efficace. Poniamo (fig. 133)
0= + x , cos 0 = cos x sen - + ...
Allora si ottiene, come sopra, lo sviluppo di Taylor in z
uett lg=o = a++. .., mglcose=
Applicando il lemma a f = Uett Ig-o, g = e, k = ml cos (go +
+ z) troviamo che il minimo dell'energia potenziale efficace
Uett 6 raggiunto per un angolo d'inclinazione
Og=Oo+zg, zg=
II,rnl sen 8,
I%!
g +0 (g2).
Dunque l'inclinazione dell'asse della trottola oscillerh intorno
a 0, (fig. 134). Ma all'istante iniziale 0 = 0,, mentre 0 = 0.
Cib vuol dire che 0, corrisponde alla posizione p i i alta dell'asse

Fig. 133. Determinazione dell'am- Fig. 134. Moto dell'asse della trot-
piezza della nutazione. itola.

della trottola. Per valori piccoli di g l'ampiezza della nutazione


B asintoticamente uguale a

anut - -Zg
I,ml sen $
180: g (g+O).
Adesso cerchiamo il mot0 di precessione dell'asse. Dalla
formula generale

per M , = M , cos 0,' 0 = 0, +


z, troviamo 1M, - M, cos 0 =
= M, z sen + ..
. dunque
cp=- Ms z +
I, sen 8,
...
Ma z o:cilla armonicamente da 0 a 22, (a meno di infinitesimi
0 (g2)). Per questo il valore medio, per period0 di nutazione,
della velocitP di precersione Q asintoticamente uguale a

P r o b 1 e m a. Dimostrare che
Terza parte
MECCANICA HAMILTONIANA

La meccanica hamiltoniana B una geometria nello spazio


delle fasi. Lo spazio delle fasi ha struttura di varietii simplettica.
Sulla varietii simplettica opera il gruppo dei diffeorporfismi
simplettici. I concetti e i teoremi fondamentali della meccanica
hamiltoniana (anche se sono formulati in termini di coordinate
simplettiche locali) sono invarianti rispetto a questo gruppo (e
rispetto a un gruppo pia largo d i trasformazioni, che riguardano
anche il tempo).
Un sistema meccanico hamiltoniano B definito da una varieth
a dimensioni pari (a lo spazio delle fasi p ) , da una struttura
simplettica su di esso (a invariante integrale di Poincad B)
e da una funzione (cc funzione di Hamilton n). Ogni gruppo a un
parametro di diffeomorfismi simplettici dello spazio delle fasi
che conservano la funpione di Hamilton B collegato a un integra-
le primo delle equazioni di moto.
La meccanica lagrangiana B inclusa in quella hamiltoniana,
come caso particolare (lo spazio delle fasi, in questo caso, B il
fibrato cotangonte dello spazio delle configurazioni, mentre la
funzione di Hamilton B la trasformata di Legendre della funzione
di Lagrange).
I1 punto di vista hamiltoniano permette di risolvere fino
in fondo una serie di problemi della meccanica, che sono irrisolvi-
bili con altri mezzi (per esempio, il problema dell'attrazione da
parte di due centri immobili e il problema delle geodetiche su
11u ellissoide con tre assi). 11 punto di vista hamiltoniano riveste
un'importanza ancora maggiore per i metodi approssimati della
teoria delle perturbazioni (meccanica celeste), per la comprensione
del carattere generale del mato nei sistemi meccanici complessi
(teoria ergodica, meccanica statistics) e in collegamento con
altri campi della fisica matematico (ottica, meccanica quanti-
stica, ecc.).
VI I. Forme differenziali
Le forme differenziali esterne derivano dalla generalizzazione
a1 caso multidimensioaale di concetti, quali il lavoro di un campo
su un cammino e il flusso di un liquid0 attraverso una superficie.
Non si pud comprendere l a meccanica hamiltoniana senza
le forme differenziali. Le nozioni che ci servono sulle forme dif-
ferenziali sono quelle di prodotto esterno, differenziazione ester-
na, integrazione e formula d i Stokes.

3 32. Forme esterne


Si definiscono le forme algebriche esterne.
A. 1-forme. Sia Rn uno spazio lineare reale n-dimensionale '.
Indicheremo i vettori di questo spazio con g, 11, ...
D e f i n i z i o n e. Si chiama forma di ordine 1 (0, pih
brevemente, 1-forma) una funzione lineare definita sui vettori,
a: Rn -+ R,
+
o ( h 6 , bE2) = him (&) (E2),
Vhi, A, E R, ti, 8: E R".
Ricordiamo le pr ~ r i e i i fondamentali delle 1-forme, note
dall'algebra lineare. L'insieme di tutte le 1-forme diventa uno
spazio lineare reale, se si definisce la somma di forme con la
formula
(01 + 02) (E) = 01 (0s) + 02 (El
e il prodotto per un numero con la formula
(ha) (El = l o (El.
Lo spazio delle 1-forme su Rn Q esso stesso n-dimensionale
e si chiama anche spazio duale, (Rn)*.
Sia fissato in Rn un sistema lineare di coordinate, z,, , ...
z,. Ogni coordinata, per esempio z,, Q essa stessa una 1-forma.
Queste n 1-forme sono linearmente indipendenti. Quindi, ogni
1-forma o si pub ottenere come(
o =alzl+ ... +a,z,, atER.i
I1 valore di o sul vettore 5 Q uguale a
o 6)= a121 (E) + + anzn (9,
.
dove zl (6), . ., z, (6) sono le component.i del vettore 6 nel
sistema di coordinate prescelto.
E s e m p i o. Se nello spazio euclideo R3 Q dato un campo
di forze uniforme F, il suo lavoro A per uno spostamento g 6 una
1-forma definita su (fig. 135).
1 R essenziale notare che non fissiamo in R n alcuna speciale struttura
euclidea. In alcuni esempt si user& questa struttura: allora sar& indicata
esplicitamente (a Rn euclideo *).
B. tforme.
D e f i n i z i o n e. Si chiama forma esternu di ordine 2 (0,
pi& brevemente 2-form) una funzione definita sulle coppie d i
vettori 02: Rn X Rn -+ R, bilineare e antisimmetrica:

E s e m p i o 1. Sia S (g1, g,) l'area orientata del paralle-


logramma, costruito sui vettori gl, 6, di una superficie euclidea
orientata R2, cioQ
511 Eir
' ( t . b ) = l b 1 t217
+
ki = hiel f 1 2 e a ~
dove Er = t21e1+ E22e2,

essendo el, e2 la base che d l l'orientazione di R2.


E facile convincersi che S (gl, g2) Q una 2-forma (fig. 136).

Fig. 135. Lavoro d i una forza come Fig. 136. L'area orientata 15 une
I-forma sullo spostamento. 2-lorma.

E s e m p i o 2. Sia v un campo uniforme di velocitl di un


liquido in uno spazio euclideo tridimensionale orientato (fig. 137).
Allora il flusso del liquido attraverso la superficie di un parallelo-
gramma g,, 6, Q una funzione bilineare, antisimmetrica su f;,,
g2, cioQ la 2-forma

E s e m p i o 3. L'area orientata della proiezione sul piano


z,, x2 del parallelogramma di lati El, 5, nello spazio euclideo
R3 Q una 2-forma.
P r o b 1 e m a 1. Dimostrate che per ogni 2-forma o' in
Rn si ha

S o 1 u z i o n e. Per I'antisimmetricitl Q u2 (g, g) =


= - o:'(f;, 5).
L'insieme di tutte le 2-forme in Rn diventa uno spazio linea-
re reale, se si definisce la composizior~edi forme con la formula
e il prodotto per un numero con la formula

P r o b 1 e m a 2. Trovare il numero di dimensioni d i questo


spazio, dimostrando- che B finito.
n(n -1)
Rispdsta. -; 2
la base Q mostrata piG in basso.
C. k-forme.
D e f i n i z i o n e. Si chiama f o r m esterna di ordine k, o
k-form, una funzione definita su k vettori, k volte lineare e anti-
simmetrica,
Q, (A,%; + ASK, 5% . . .,%k)FA,o (%;, %,,. . -,&) +
+ (g,%!2, . . ., %k)
Q,(&,, . . . , % i k ) = ( - l ) v ~ ( % i ,- - - , 5 r ) , dove v =
0, se la pern~utazionei,, . . ., ik Q pari;
1, se la permi~tazionei , , . . ., ik 6 dispari.
E s e m p i o 1. I1 volume orientato di un parallelepipedo,
di spigoli gl, . . ., g, nello spazio euclideo orientato Rn B una

Fig. .137. I1 flusso di un liquido Fig. 138. Un volume orientato


attraveno una superficie 6 una una 3-forma.
2-forma.

n-forma (fig. 138)

V(%,,.--,%n)= ,
Eni *.. Enn

dove gi = Llel
R".
+ +
. . . Elnen e el, . . ., en Q una base in
-- -
E s e m p i o 2. Sia Rk un piano orientato k-dimensionale
ncllo spazio n-dimensionale euclideo Rn. Allora il volume orien-
tat0 k-dimensionale della proiezione del parallelepipedo, di
.
spigoli El, g, . ., EL E Rn, su Rk Q una k-forma su Rn.
L'insieme di tutte le k-forme in Rn diventa uno spazlo lineare
reale, se si introducono in esso le operazioni di composizione
+ +
(01 02) ( i ) = 01( i ) 0 2 (5)'
E={gi,..., w, giERn
e prodotto per un numero
(Lo) (El = Lo (6).
P r o b 1 e m a 3. Dimostrare che questo spazio lineare ha
dimension0 finita e indicarla.
Risposta. Ci; la base Q mostrata piii in basso.

k,*
D. Prodotto esterno di due i-forme. Introdurremo ora ancora
un'operazione: il prodotto esterno di forme. Se oh15 una k-forma e
o' Q una I-forma in Rn, allora il loro pro-
dotto esterno oh /\ mi s a r i una k + I-for-
ma. Dapprima definiremo il prodotto ester-
no di I-forme, associando a ogni coppia
di I-forme o,, o, in Rn uaa certa 2-for-
ma o, o2 in Rn.
*z Sia g un vettore di Rn. Avendo due
4-forme a,, 0 2 , si pub definire l'applicazio-
(I,) ne di Rn su un piano R x R, associando
a E Rn il vettore o (g), di componenti
Or o, (6). o, (6) sul piano con coordinate
Fig. 139. Definizione ol' @z ( f i g 139).
di prodotto esterno di D e f I n i z i o n e. I1 valore del pro-
due I-forme. dotto esterno ol A 0, definito su una cop-
pia di vettori El, 6, € Rn i! l'area orientata
dell'immagine del parallelogramma di lati gl, E, sul piano o,, a,:

P r o b 1 e m a 4. Dimostrare che o, /\ o; 6 effettivamente


una 2-forma.
P r o b 1 e m a 5. Dimostrare che l'applicazione

Q bilineare e antisimmetrica

S u g g e r i nl e n t o. Un determinante B bilineare e anti-


simmetrico non.solo per righe, ma anche per colonne.
Ammettiamo ora che in Rn sia fissato un sistema di coordi-
nate lineari, cio6 che siano date n I-forme indipendenti zl, . . .
. . ., x,. Chiameremo queste forme forme di base.
I prodotti esterni delle forme di base sono le 2-forme xt x
Per l'antisimmetricitl, xi /\ 2 1 = 0. xi /\ x j = - XI A xi. fi
significato geometric0 della forma xi /\ x j Q molto semplice:
il suo valore sulla coppia di vettori El, g2 B pari all'area orientata
della proiezione del parallelogramma El, g, sul piano coordinato
xi, z j parallelamente alle restanti direzioni coordinate.
P r o b 1 e m a 6. Dimostrate che le C : =- 2 forme
xi x j (i < j) sono linearmente indipendenti.
In particolare, in uno spazio tridimensionale (x,, x,, z8)
I'area della proiezione sul piano (x,, x,) 15 il prodotto x, A z,,
sul piano (x,, x,) il prodotto x, r\ x, e sul piano (x3, 2,) il prodot-
to x, /\ x,.
P r o b 1 e m a 7. Dimostrate che tutte le 2-forme in uno
spazio tridimensionale (x,, x,, 3,) si esauriscono con le forme

P r o b 1 e m a 8. Dimostrate che ogni 2-forma nello spazio


n-dimensionale con coordinate x,, . . ., x, si rappresenta in mod0
univoco con I'espressione

S u g g e r i m e n t o. Sia ei l'i-esimo vettore di base, cio6


xi (el) = 1, x j (ei) = 0, j # i. Consideriamo i valori della forma
u2 sulla coppia ei, ej. Allora

E. Monomi esterni. Ammettiamo ora che siano date k l-forme


o,, . . ., oh. Definiremo il loro prodotto esterno ol A . . .
. .. A Ok.
D e f i n i z i o n e. Poniamo

In altre parole, il valore del prodotto di l-forme sul parallele-


pipedo El, . . .,,gk b uguale a1 volume orientato dell'immaginc
del parallelepipedo nello spazio orientato eudlideo coordinuto Rh,
sotto l'applicazione 6 + ( a , (g), . . ., o k (g)).
P r o b 1 e m a 9. Dimostrate che o, /\ . . ./\ oh 6 una
k-forma.
P r o b 1 e m a 10. Dimostrate chc! l'operazione d i prodotto
esterno di l-forme definisce un'applicazione antisimmetrica
mult ilineare
(a1, . . ., o h ) + 0, /\ . . . /\ O k .
I n altre parole,
(A1@;+ hao;)l\o,l\ /\or= ...
=A1o;AoeA ... Aor+hao;/\otA .../\oh,
oh/\ ... I\oh, dove v =
..- / \ m k = ( - l ) v o i A
0, se la permutazione i,, . .., ih 8 pari;
1, se la permutazione it, ...,ik 8 dispari.
Considereremo adesso in Rn un sistema di coordinate, dato
dalle forme di base zl, . . ., z,. I1 prodotto esterno di k forme
-di base
.
zi,A . . ,x!,/i l<imGn
B il volume orientato della proiezione di k-parallelepipedi sul
k-piano ( x t l , . . ., z~,), parallelamente alle restanti direzioni
coordinate.
P r o b 1 e m a 11. Dimostrate che se fra gli .indici i l , . ..
.. . ., ih ve ne sono due identici, allora la forma xi,
. . zi, B uguale a zero.
.. .
P r o b 1 e m a 12. Dimostrate che le forme
i .
. . . A x , dove l < i , < .. < i h < n
sono linearmente indipendent i.
I1 numero di tali forme 8, evidentemente, Ck. Le chiameremo
k-form di base.
P r o b 1 e m a 13. Dimostrate che ogni k-forma in Rn si
rappresenta univocamente come combinazione lineare di quelle di
base:

S u g g e r i m e n t o . at,.., i k = oC (ei,, ...,elk).


Dalla dimostrazione del problema consegue che la dimensione
dello spazio lineare delle k-forme in Rn Q pari a Ck. In particola-
re, per k = n, Ck, = 1, da cui si ricava il
Corollario. Ogni n-forma in Rn o b il volume orientato di un
parallelepipedo, con la scelta appropriata dell'unita di volume,
o L nulla:
on = a - x l A . . . - A z,.
P r o b 1 e m a 14. Dimostrare che ogni k-forma in Rn per
k >nB uguale .a zero.
Torniamo ora a1 prodotto della k-forma oh per la l-forma
of. Supponiamo inizialmente di avere due monomi
dove o .
. ., oh+[sono I-forme. Definiremo il Ioro prodotto
oh/\ oI"come il monomio

P r o b 1 e m a 15. Dimostrate che il prodotto di monomi


B associative:
( u k ~ o 1om
)=
~ o k ( ~~ A O ~ )
e anticommutativo
oh/\m1= w'l\oh.
S n g g e r i m e n t o . Per scambiare ognuno degli 1 fattori di
a', sono necessarie k inversioni con i k fattori di oh.
0 s s e r v a z i o n e. E utile ricordare che l'anticommutati-
vita implica la commutativiti, se almeno una delle potenze k, 1 8
pari, e l'anticommutativitl, se esse sono entrambe dispari.

$ 33. Prodotto esterno


Si definisce l'operazione di moltiplicazione esterna di forme
e si dimostra che essa B anticommutativa, distributiva e associa-
tiva.
A. Definizione di prodotto esterno. Definiremo ora i l pro-
dotto di una qualunque k-forma, o h , per una qualunque I-forma,
a'. I1 risultato oh /\ o' s a r i una k
d i moltiplicazione si rivela:
+
1-forma. L'operazione

I ) anticommutativa: ohA o' = ( -Il)k'o' ok. 1\


2) distributiva: (Alo:+A20i) /\ o = h o /\ a'+ hlog/\ a',
3) associativa: (d/\ a') om= oh/\ ( ali/\ om).
D e f i n i z i o n e. Si chiama prodotto esterno ok/\ ob della
k-forma ok in Rn per la I-forma o' in Rn la k+ 1-forma in Rn,
+
il cui valore sui k l vettori El, . . ., kk, %k+ll . . ., Ek+[ € Rn
B uguale a
( o h A 00 (%I1 . %h+l)= - 1

=Z - - 1 %ih)ol(%j,. -,gj1), (1)


il < . . . C i . jl, . . .,
dove ~ ,jl < . . < j I ; (ill . .
B una permutazione dei numeri (i, 2, ., k . . .,+ik,I), mentre fl)

1, se questa permutazione B dispari,


0, se questa permutazione 6 pari.
,partizione dei k + l vettori El, . . .
.. .,In&+[altrein dueparole,gruppiogni(rispettivamente di k ed I vettori) d& un
tennine della nostra somma (1). Questo termine 2 uguale a1 prodotto
del valore della k-forma oAsui k vettori del primo gruppo, per i l
valore della I-forma a', sugli 1 vettori del secondo gruppo, col segno
+ o - a seconda di come sono ordinati i vettori nei due gruppi.
S e essi sono ordinati i n mod0 tale che, scritti i n successione i k vet-
tori del primo gruppo e gli 1 vettori del secondo gruppo danno luogo
a una permutazione pari dei vettori &, g2, . . ., gA+l, allora si
prende il segno +, mentre se la permutazione 2 dispari si prende il
segno -.
E s e m p i o. Se k = 2, le partizioni sono in tutto due:
61, 6 2 62, IS Quindi,

in accord0 con la definizione di moltiplicazione di 1-forme del


g 32.
P r o b 1 e m a 1. Dimostrare che la definizione int,rodotta
sopra effettivamente. determina una k +
I-forma (cioB che il
.
valore di ( o h 0') (El, . ., gA+l)dipende dai vettori in mod0
multilineare e antisimmetrico).
B. Proprieti del prodotto esterno.
Teorema. La moltiplicazione esterna di forme, definita sopra,
2 anticommutativa, distributiva e associativa. Per i monomi essa
coincide con la'moltiplicazione definita a1 $ 32.
La dimostrazione dell'anticommutativitb B basata su facili
proprieti delle permutazioni pari e dispari (vedere il problema
in fondo a1 5 32) e la lasciamo a1 lettore.
La distributiviti segue dal fatto che ogni termine nella
(1) B lineare rispetto a oAe 0'.
La dimostrazione dell'associativiti richiede un po' piii
di calcolo combinatorio; poich6 argomenti corrispondenti sono
gih noti dal corso di algebra per la dimostrazione del teorema di
Laplace, sullo sviluppo di un determinante secondo i minori
delle colonne, ci si pub servire di questo teorema I.
Cominceremo dalla seguente o s s e r v a z i o n e: se I'as-
sociativit2 2 dimostrata per gli addendi, essa 2 Vera anche per la

1 La dimostrazione diretta dell'associativitir (che contiene anche la


dimostrazione del teorema di Laplace) consiste nel verificare l'accordo dei
segni nell'identitir

dove I, < . ..< i k , jl p


permutazione dei numerI (1,
. ....<I[, hl < . . - < h,
., k -I- 1 4- m).
(4, . . .. h,) 2! uua
somma, cio6
(0: A 0s) A as= 0: A (0s A
03)
)
implica ((e:+ 0:) A 0,) A 0,=
(01 /\ 09) 0: 08)(0%A
+
(0: 0:) A (@:A 03).
In forza della distributiviti, g i i dimostrata, abbiamo
+
((0: 0:) A 0%)A us= ((0: A 0s) A 0s) -I-((0: A 02) A 03)~
+ +
(0: 0:) A[(02 A 03) = (0: A ( 0 %A 03)) (0: A ( 0 %A 03))-
Ma sappiamo dal $ 32 (problema 12), che ogni forma in Rn 6 la
somma di monomi. Per questo motivo B sufficiente dimost.rare
che la moltiplicazione di monomi B associativa.
Poich6 finora non 6 stata dimostrata l'equivalenza della
definizione di moltiplicazione di k I-forme del fi 32 con la defini-
zione generale (1) indicheremo temporaneamente la moltiplica-
zione di k I-forme col simbolo
avranno la forma
x,
dimodoch6 i nostri monomi.

dove .
. ., mk+1 sono I-forme.
. Lemma. .I1 prodotto esterno di due monomi b il monomio

D i m o s t r a z i o n e. Calcoliamo i valori delle due espres-


sioni a destra e a sinistra sui k +
1 vettori El, . . ., I1 valore
dell'espressione a destra b uguale a1 determinante det I a t (gj) I.
di ordine k +
I . I1 valore dell'espressione a sinistra secondo la
formula (1) B uguale alla somma dei prodotti

dei minori delle prime k colonne del determinante d i . ordine


k + 1 per i riepettivi complementi algebrici. I1 teorema di Lapla-
ce sullo sviluppo secondo i minori delle prime k colonne afferma
proprio che queeta somma, con la corretta scelta dei segni, che
B data nella definizione (I), B uguale a1 determinante
det I oi (gI) I. I1 lemma B dunque dimostrato.
Dal lemma segue c.he le operazioni e A coincidono. In
effetti otteniamo successivamente
A
w 1 ~ o 2 = O ~0,.

0 1 ~ 0 2 7 0 3 = ( w i 7 0 ? ) A ~ a = ( o iA 02) A 03,
-
Oix02x ...
/\ 0 k = ( . . . ( ( 0 1 A 0 2 ) A a s ) / \ ... /\ ah).
Dall'evidente associativitsl della x-moltipkicazlone di k 1-
forme consegue dunque l'associativitit della A-moltiplicazione
d i monomi. Nello 'stesso tempo, in forza dell'osservazione fatta
sopra, l'associativitii Q dimostrata anche nel caso generale.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrate che il quadrato esterno di
I-forme, o in generale di forme di ordine dispari, Q uguale a zero:
oA/\ oh = 0, se k Q dispari.
E s e m p iI o 1. Consideriamo in RPnil sistema di coordinato
n
PI,. . ., Pn, 91, . . ., Qn B 18 2-forma zpl
<=I
9,.
[Geometricamente questa forma oPindica la somma delle
aree orientate delle proiezioni di un parallelogramma sugli n
piani coordinati bidimensionali (p,, 9,); ..
.; (p,, 9,). In seguito
vedremo che la 2-forma oa ha un significato fondamentale per
la meccanica hamiltoniana. Si pu6 dimostrare che qualsiasi
2-forma non degenere in Ran ha l'aspetto. oa in qualche sistema
d i coordinate (p,, . . ., q,).l
P r o b 1 e m .a 3. Trovare il quadrato esterno della 2-forma
oa.
Risposta. a2 w2= -2 pi pj qi A 91.
i>j rI;

P r o b 1e m a 4. Trovare la potenza esterna k-esima di 02.


Risposta. oSA d A ... A a 2 = f k! pl,AT... AipiAl\
- 1 i,< ...<ik
A

In particolare,

4, a meno di un fattore, il volume di un parallelepipedo 2ndi-


mensionale in Rgn.
E s e m p i o 2. Consideriamo ora lo s azio euclideo orien-
s_,
tat0 Ra. Ad ogni vettore A E Ra facciamo corrlspon ere la 1-
forma o2, ponendo
a: (g) = (A, g) (prodott,~scalare),
e la 2-forma a:, ponendo
:w (gl, 5,) = ( A , El, &) - (prodotto misto).
P r o b 1 e m a 5. Dimostrare che le applicazioni A -t o>
e A + 0%stabiliscono degli isomorfismi dello spazio lineare
Rs dei vettori A con gli spazi lineari delle I-forme in Ra e delle
Una forma bilinearc oa B non degenere, se vf # 0, 3q: ox(6, q) # 0.
2-forme in R3. Se in R3 si sceglie un sistema orientato, ortonorma-
le d i coordinate (x,, x,, x,), allora
+
o t = &xi+ 4 x 2 A353, 0%= 4 x 2 A x3+A2~3A 5, + A m A 22.
0 s s e r v a z i o n e. Dunque gli isomorfismi scritti non
dipendono dalla scelta del sistema ortonormale e orientato di
coordinate (x,, x,, x,). Essi dipendono dalla scelta della struttura
euclidea di Ra, mentre l'isomorfismo A + : a dipende anche
dall'orientazione (che entra, sebbene in mod0 non evidente, nella
definizione di prodotto misto).
P r o b 1 e m a 6. Dimostrare che, in forza degli isomorfismi
stabiliti, la moltiplicazione esterna di I-forme si trasforma nella
moltiplicazione vettoriale dei vettori di R3, cioB che
of,A ok = a&, , per qualunque A, B E Rae
In questo modo, la m~lti~licazione esterna di forme si pub
considerare come la trasposizione a1 caso multidimensionale della
moltiplicazione vettoriak in R3. Solo che nel caso multidimensio-
nale il prodotto non B un vettore dello stesso spazio: lo spazio
delle 2-forme in Rn B isomorfo a Rn esclusivamente per n = 3.
P r o b 1 e m a 7. Dimostrare che, in forza degli isomorfismi
stabiliti, la moltiplicazione esterna di una 1-forma per una 2-
forma si trasforma nella moltiplicazione scalare dei vettori
di R3:
oi A a$ = (A, B ) xi A Z, A x3.
C. Comportamento sotto applicazioni. Sia f: Rm + R' un'ap-
plicazione lineare e oh una k-forma esterna su Rn. Allora su Rm
si origina la k-forma f*oh, il cui valore sui k vettori El, . ..
. . ., Eh Rn 15 uguale a1 valore di oh sulle lor0 immagini:
.
(f*oh) (61, = - 9 6r) = oVf%ll -,fid-
P r o b 1 e m a 8. ~ e r i f i c a r eche f*ok B una forma esterna.
P r o b 1 e m a 9. Verificare che f* B un operatore lineare
dallo spazio delle k-forme su Rn nello spazio delle k-forme su Rm
(l'asterisco in alto indica che f* agisce in senso contrario a f).
P r o b 1 e m a 10. Sia f: Rm -t Rn, g: Rn + RP. Verificare
che (gof)* = f*og*.
P r o b 1 e m a 11. Verificare che f* conserva la moltiplica-
zione esterna
f* ( o h A a') = (f*oh) (f*ol).

5 34. Forme differenziali


Si d i la definizione di forma differenziale su una varieti
differenziabile.
A. i - f o m e differenziali. Un semplicissimo esempio di forma
differenziale B il differenziale di una funzione.
E s e m p i o. Consideriamo la funzione y = f (x) = 9.I1
suo differenziale df = 22 d3: dipende dal punto x e dall' e incre-
mento dell'argomento B, cio6 dal vettore 5 tangente all'asse z.
Fissiamo il punto x. Allora il differenziale della funzione nel pun-
to x, df I ,dipende da E linearmente. Cosi, se x = 1 e la coordi-
nata del vettore tangente 8 15 uguale a 1, allora df = 2, mentre
se la coordinata E B uguale a 10, allora df = 20 (fig. 140).

Fig. 140. Differen~iale di una Fig. i4i. Per il problema 1.


funzione.

Sia f: M -t R una funzione differenziabile, data sulla varietii


M (si pub immaginare come una u fun,zione di pi& variabili n
f: Rn -+ R). I1 differenziale'df , 1 della funzione f nel punto x
B un'applicazione lineare
df,:TM,+R
dello spazio tangente ad M nel punto x nella retta reale. Ricor-
diamo la definizione di questa applicazione.
Sia E TM, il vettore velocith della curva x (t): R -+ M,
x (0) = x , x (0) = 8. Allora, per definizione,

P r o b 1 e m a 1. Sia il vettore velociti della curva piana


x (t) = cos t, y (t) = sen t per t = 0. Calcolare il valore dei
differenziali dx, dy delle funzioni x , y sul vettore 8 (fig. 141).
Risposta.
d x l 1 , o ( ~ ) = O , dyIt,o(5)=1.
Notiamo che il differenziale della funzione f nel punto x-E M
I! la 1-forma df, sullo spazio tangente TM,.
I1 differenziale df della funzione f sulla varieti M I! un'ap-
plicazione regolare del fibrato tangente T M nella retta
df: T11.l -t R (TM = UTilt,).
d

Questa applicazione B lineare su ogni spazio tangente TM, c


c T M e differenziabile.
D e f i n i z i o n e. S i chiama forma differenzialedi ordinc
1 (o 1-forma) sulk varieth M l'applicazione regolare
a: T M + R
del fibrato tangente della varieti M nella retta, lineare in ogni
-spazio tangente TM,.
Si pui, dire che una I-forma differenziale su M 2 una I-forma
algebrica su TM,, a differenziabile in z w.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrare che ogni l-forma differenziale
sulla retta B il differenziale di qualche funzione.
P r o b 1 e m a 3. Trovare I-forme differenziali sulla circon-
ferenza e sul piano, che non siano i differenziali di nessuna fun-
zione.
B. Aspetto generale delle 4-forme differenziali in Rn. Con-
sideriamo come varieth M uno spazio lineare con coordinate
.
zl, . ., xn. Ricordiamo che le com-
.
ponenti El, . ., En del vettore tan-

h3L
gente 8 € TR," sono i valori dei dif-
.
ferenziali delle coordinate &,, . ., &,
sul vettore 5. Queste n I-forme su TR: 7
sono linearmente indipendenti. Dunque, 1,
le I-forme .. ., &, formano una 0 2 3
base nello spazio n-dimensionale delle
1-forme su TR:. Fig. 142. Per il proble-
Conseguentemente ogni I-forma in ma 4.
TR," si scrive univocamente nella for-
ma a,&, + +
. . . an&,, dove gli a, sono coefficienti reali.
Sia ora o una qualsiasi I-forma differenziale in Rn. In ogni
punto z essa si scompone univocamente second0 la base &,, . . .,
&,. Da qui segue il
Teorema. Ogni I-forma differenziale nello spazio Rn con un
sistema prescelto di coordinate x,, ..
., x, si scrive univocamente
come
o=a,(~)&~+ 9 . .+an(x)&n,
dove i coefficienti a t (x) sono funzioni regolari.
P r o b 1 e m a 4. Calcolare i valori delle forme ol = &,,
w2= x1 d;Z2,o3= d P (r2 =x:+xi) S'Ui vettori El, 5,. 5, (fig. 142).
Risposta.
P r o b 1 e m a 5. Siano z,, . . ., x,, delle funzioni sulla
varieth M , che formano un sistema di coordinate locali in un certo
dominio. Dimostrare che ogni 4-forma in questo dominio si espri-
me univocamente come o = a, ( x ) &, +. + . . a, (x) &,.
C. k-forme differenziali.
D e f i n i z i o n e. Si chiama k-forma differenziale oh 1, nel
punto x della varieti2 M una k-forma estmna definita sullo spazio
tangente a d M in x , TM,, cio3 una funzione k-lineare antistm-
metrica definita sui k vettori &, . . ., gh, tangenti a M in x.
Se tale forma oh 1, B data in ogni punto x della varieth
M e se risulta inoltre diffeienziabile, si dice che 6 data una k-
forma oh sulla varicta M.
P r o b l e m a 6. Introdurre una struttura naturale di varieth
differenziabile nell'insieme, il cui elemento B una raccolta di
k vettori, tangenti a M in qualche punto x.
Una k-forma differenziale B un'applicazione regolare della
varieth ottenuta nella retta.
Si puh dire che una k-forma su M 2 una k-fonna esterna su
TM,, (I che dipende da x in mod0 diffemnziabile D.
La composizione, la moltiplicazione per un numero e la
moltiplicazione esterna d i forme su M si definiscono puntual-
mente: in ogni punto a E M si devono comporre, moltiplicare
per un numen, o moltiplicare esternamente le corrispondenti
forme algebriche esterne sullo spazio tangente TM,.
P r o b 1e m a 7. Dimostrare che tutte le k-forme su M
formano uno spazio lineare (di dimensione infinita, se k non supe;
ra la dimensione di M).
Si possono moltiplicare le forme differenziali, non solo per
numeri, ma anche per funzioni. L'insieme C" delle k-forme dif-
ferenziali' possiede, in questo modo, una stmttura naturale di
modulo sopra I'anello delle funzioni reali differenziabili un nu-
men, infinito di volte, definite su M.
D. Aspetto generale delle k-forme differenziali in Rn. Con-
sideriamo come varieth M lo spazio lineare Rn con prefissate.
funzioni coordinate x,, . . ., x,: Rn-t R. Fissiamo il punto z.
.
Abbiamo visto sopra che le n 4-forme &,, . ., &, formano una
base nello spazio delle 4-forme .sullo spazio tangente TR:.
Consideriamo i prodotti esterni delle forme di base

Nel 3 32 abbiamo visto che queste Cft k-forme formano una base
nello spazio delle k-forme esterne su TR3: Conseguentemente,
ogni k-forma. esterna su TRE si esprime univocamente con la
sommatoria
Sia ora oh una qualsiasi k-forma differenziale nello spazio
Rn. In ogni punto x essa si scompone univocamente second0 la
base scritta sopra. Da cib segue il
Teorema. Ogni k-forma differenziale nello
spazio Rn, con un sistema di coordinate pre- 3kq-:
scelto x,, . . ., x,,, si scrive univocamente
oh=
i,<
-.
... < i k
...
ail ... i h ( x ) d a 1 / \ Adxi,, 2
72

dove all. . .ih (x) sono funzioni regolari su Rn. I


P r o b 1 e m a 8. C.alcolare i valori delle Xr
forme or = /\ dx2, cot = xldxl /\ dx2 - 0 f 2
-x2dx2 /\ dxl, o3 = r dr /\ dcp (dove x1 =
= r cos cp, x, = r sen cp) sulle coppie di vet.- Fig. 143. Per il
. problema 8.
tori (El, q,), (%2, q2). (63, qs) (fig. 143).
Risposta.

P r o b 1 e m a 9. Calcolare i valori delle forme ol =


=
+ +dx2 /\ dx,, 0, = x1 dx, /\ ak2,
x:
= dz3 /\ dr2, P = xt
x:, sulla coppia di vettori S = (1, 1, 1); 11 = (1, 2, 3)
+
applicati nel punto x = (2, 0, 0).
Risposta. ol = 1, 0, = - 2, o, = - 8.
P r o b 1 e m a 10. Siano x,, . . ., x,: Af + R delle funzioni
definite su una varieti, che formano un sistema locale di coordi-
nate in qualche dominio. Dimostrare che ogni forma differenziale
in questo dominio si esprime univocamente come

E P e m p i o. Sostitrczione di variabili in una forma. Ammet-


tiamo che in R3 si abbiano due sistemi di coordinate: xl,x2, x,
e y,, y,, y,. Sia o una 2-forma in R3. Allora, per l'ultimo teorema,
nel sistema di coordinate x, o si esprime come o = X1 dx2 /\
+ +
/\ &, X,dx, /\ dxl X, dx, /\ dx,, dove XI, X,, X, sono
-
funzioni di x,, x,, x3 e nel sistema delle coordinate y come o =
+ +
Yldya /\ dy3 Yzdy3 A dy1 Ysdy, /\ dyz, dove Y1, Yz,
Y, sono funzioni di y,, y,, y,.
P r o b 1 e m a 11. Conoscendo l'aspetto di una forma nelle
coordinate x (cio6 X i ) e le formule di trasformazione delle varia-
bili x = x (y) trovare l'espressione della forma nelle coordinate
y, cio6 trovare Y.
dz
S o l u z i o n e . Abbiamo d x t = ~ d y , + m ' d y , + - % d y ,
~ Y I dy, ~ Y S
Dunque

E. Complemento. Forme differenziali in uno spazio tridi-


mensionale. Sia M una varieth riemanniana orientata tridimen-
sionale (in tutti gli esempi che seguono M 6 uno spazio euclideo

Fig. 144. Per il problema 12. Fig. 145. Per il problema 13.

tridimensionale R9). Siano xl, x,, x, coordinate locali e il quadrat0


dell'elemento di lunghezza abbia l'espressione
OY= El* + E2d;c: + E3ua
(cio8 il sistema di coordinate B triortogonale).
P r o b 1 e m a 12.'Trovare El, E,, E3 per coordinate carte-
siane s , y, z, coordinate cilindriche r, cp, z e coordinate sferiche
R ; cp, 9 nello spazio euclideo R3 (fig. 144).
Risposta.

Indichiamo con el, e,, e!, i versori delle direzioni coordinate.


Questi tre vettori formano una base nello spazio tangente.
P r o b 1 e m a 13. Trovare i valori delle forme &,, dx,,
&, sui vettori el, e,, e3.
Risposta. dxi (ei) = -* i restanti 0. In particolare in un
VT
sistema cartesianu dx (e,) = dy (e,) = dz (e,) = 1; in uno cilin-
drico dr (e,) =dz (e,) = 1, dcp (e,) = llr (fig. 145); in uno sferico

La metrica e l'orientazione della varieti M forniscono lo


spazio tangente a 1Gf in ogni punto di una struttura di spazio eucli-
deo orientato tridimensionale. Nel senso di questa struttura parlc-
remo d i prodotti scalari, vettoriali e misti.
P r o b 1 e m a 14. Calcolare [el, e,l, (e,, ee) e (e,, ex, e,).
Risposta. eS, 0,1.
In uno spazio euclideo tridimensionale orientato a ogni vet-
tore A corrispondono la 1-forma ofa e la Zforma o \ , definite
dalle condizioni

La corrispondenza tra campi vettoriali e forme non dipcnde


dal sistema di coordinate ma soltanto dalla struttura euclidea
e dall'orientazione. Quindi a ogni campo vettoriale A sulla nostra
varieti M corrispondono la l-forma differenziale o> su e la
2-forma differenziale o%su M.
Le formule di passaggio dai campi alle forme e le inverse
hanno uu aspetto particolare in ogni sistema di coordinate.
Nelle coordinate x,, x,, x,, definite sopra, un campo vettoriale
ha la forma

(le componenti?A, sono'funzioni regolari sulla varietl M). La


1-forma corrispondente o k si decompone nella base dx,, mentre
la 2-forma o%nella base dx, /\ dxf.
P r o b 1 e m a 15. Conoscendo le componenti del campo
vettcriale A, trovare le decomposizioni della 1-forma o $ e della
2-formn 02,.
S o 1 u z i o n e. Abbiamo (el) = (A, el) = A,. Nello
stesso tempo (a, dx, + a,&, +
a3dxs) (el) = a,&, (el) = alll/ g.
Da qui troviamo a, = A , l/ El, cosicch6

In mod0 perfettamente analogo abbiamo ofr (e,, es) =(A, e,,


e8)= At. Inaltre,

-
Da qui ricaviamo at = At VE2ES, cio6
In particolare, in coordinate cartesiane, cilindriche e sferiche
in Rs a1 campo vettoriale
A=A,e,+A,e,+A,ezEArer+A,e,+
+Azez= A R ~+A,e, +Age9
R

corrisponde la l-forma
ofr = A & + A,dy + Azdz = A,& + rA,dq + A d z =
= ARdR +R cos 0 A,dq +RAedO
e la 2-forma
o',=A,dy/\dz+A,dz/\&+A,&/\dy=
= rA,dq /\ dz +
A,dz /\ d r +
rA,dr /\ d q =
= R2 cos 0 AR d q A d0 +
RAGd0 /\ dR +
+R cos 0 A, dR dq.
E un esempio di campo vettoriale sulla varieti M il gradien-
te della funzione f: M + R. Ricordiamo che si chiama gradiente
il campo vettoriale grad f, corrispondente a1 differenziale
aicaa j= df, cioe df (5) = (grad f, 5), Vg.
P r o b 1 e m a 16. Trovare le componenti del gradiente di
una funzione nella base el, e,, e,.
S o l u z i o n e . Abbiamo d f = -Bfd ~ ~ + - daf ~ ~ + - daf~ ~
$21 a=, a28
Conformemente a1 precedente problema
grad f =- - l +1 - af es+--
at,
e
a
a22 1/% at,
e,.
In particolare, in coordinate cartesiane cilindriche e sferiche

§ 35. Integrazione &lle forme differenziali


Si definiscono in questo paragrafo i concetti di catena, d i
frontiera di una catena e di integrale di una forma su una catena.
L'integrale di una forma differenziale B la generalizzazione
a1 caso multidimensionale di concetti, quali il flusso di un liquid0
attraverso una superficie o il lavoro di una forza su un cammino.
A. Integrale di una 1-forma su un cammino. Cominceremo
dall'integrazione di una 1-forma o1 sulla varieti M. Sia y: [O<
< < t ll + M un'applicazione regolare ( 4 cammino d'inte-
grazione D). L'integrale della forma o1sul cammino y si definisce
come il limite di somme integrali. Ogni somma integrale consiste
dei valori della forma o1 sui vettori tangenti g, (fig. 146):

5 mi
Y
= lim 2
A-0 4 . 4

I vettori tangenti € I si costruiscono nel seguente modo. L'inter-


vallo 0 t < < < <
1 I3 diviso dai punti t, nelle parti At: ti t ti+i.

Fig. 146. Integrazione di una Fig. 147. Integrazione di una


I-forma su un cammino. 2-forma su una superficie.

L'intervallo At si pub considerare come il vettore, At tangente


all'asse t nel punto ti. La sua immagine nello spazio tangente
a M nel punto y (ti) 4

A1 tendere a zero del pi5 grande degli intervalli A,, le somme


integrali ammettono un limite. Esso si chiama' integrale della
1-forma o1 sul cammino y.
I1 procedimento per la definizione dell'integrale di una
k-forma su una superficie k-dimensionale B analogo. La superficie
d'integrazione si suddivide in piccoli parallelepipedi curvilinei
k-dimensionali (fig. 147); questi parallelepipedi sono sostituiti
da parallelepipedi nello spazio tangente, la somma dei valori
della forma sui parallelepipedi (ello spazio tangente tende a un
integrale per inf ittimento della suddivisione. Consideriamo ini-
zialmente un caso particolare.
B. Integrale df una k-forma in uno spazio euclideo orientato
.
k-dimensionale Rk. Sia x,, . ., xk un sistema di coordinate che
dil l'orientazione in Rk. Ogni k-forma in RQ proporzionale alla
.
forma dxI /\ . . /\ cioI3 si esprime come oh = cp ( x ) &, /\
..
/\ . /\ dxk, dove (P (x) & una funzione regolare.
Sia D un poliedro convesso limitato in Rk (fig. 148). Per
definizione, si chiama integrale della forma oh su D l'integrale
della funzione cp
5
D
oh= 6 (x) dli. ..., dxk,
dove l'integrale a destra si intende come il limite di usuali somme
integrali di Riemann.
Tale definizione 6 la realizzazione del procedimento desi-
gnato sopra, poichd nel caso considerato lo spazio tangente alla
varieth viene identificato con la varieth.
5
P r o b 1 e m a 1. Dimostrare che ohdipende da ok linear-
D
mente.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrare che, se si suddivide D in due
poliedri convessi, D l e D,, 6 5
ok = oh. oh. +5
D Dl Ds
Nel caso generale (una k-forma in uno spazio n-dimensionale)
non 6 cosi facile identificare gli elementi della suddivisione con

Fi .
168. Integrazione di una Fig. 149. Una forma su N induca
k-krma in uno s azio k-dimensio- -na forma su M.
na e. P
i parallelepipedi tangenti; pih sotto ricondurremo questo caso
a quello considerato.
C. Comportamento di forme differenziali sotto applicazioni.
%a f : ;If + N un'applicazione differenziabile della varietii rego-
lare M nella varieth regolare N e o una k-forma differenziale
su N (fig. 149).
Allora anche su M si ottiene una' determinata k-forma; essa
si indica con f*o e si determina con la relazione

per vettori tangenti presi a piacere El, ..


., gk E TM,. Qui
f , 6 il differenziale dell'applicazione f .
In altre parole, il valore della forma f*o sui vettori El, . . .
.. ., gk B uguale a1 valore della forma o sulle immagini di questi
vettori.
E s e m p i a. Se y = f (x,, x,) = x: +
zf e o = dy allora

P r o b 1 e m a 3. Dimostrare che f*o B una k-forma su M.


P r o b l e m a 4. Dimostrare che I'applicazione f* conserva
le operazioni sulle forme
+
f* ( A I ~ I l 2 4 = a d * (01) +
Ad* (ma),
f* (01 A oa) = (f*ol) A (f*oa)*
P r o b 1 e m a 5. Sia g: L -t M un'applicazione differen-
ziabile. Dimostrare che (fg)* = g*f*.
P r o b 1 e m a 6. Siano Dl e D a due poliedri convessi e
compatti nello spazio orientato k-dimensionale Rk e f: Dl + D t
un'applicazione differenziabile, che realizzi una trasformazione
diffeomorfa I, -che conserva I'orientazione dell'interno [di 'Dl
sull'interno di D2. Allora per qualsiasi k-forma differenziale
oA in D 2

b,
r
f*oA= oA.
D¶ .
j
S n g g e r i m e n t o. Questo 6 il teorema sul cambiamento
di variabile in un integrale multiplo

D. Integrazione di una k-forma su una varietii n -dimensionale.


Sia o una k-forma differenzialb sulla varieti n-dimensionale M.
Sia D un poliedro limitato e convesso k-dimensionale in uno
spazio euclideo k-dimensionale Rk (fig. 150).
I1 ruolo di cr cammino d'integrazione n s a r i ~ v o l t oda un
dominio k-dimensionale a in M, rappresentato dalla terna a =
= (D, f , Or), che consiste
1) del poliedro convesso D c RA,
2) dell'applicazione differenziabile
f: D + M,
3) dell'orientazione di Rk,indicata con Or.
D e f i n i z i o n e. S i chiam4 integrale della k-forma o sul
dominio k-dimensionale o I'integrale della corrispondente forma
sul poliedro
j o = j f*.
a D
P r o b 1 e m a 7. Dimostrare che I'integrale dipende dalla
forma linearmente

1 Cioe biunivoca e differenziabile nei due senai.


9 I1 dominio a si cbiama generalmente poliedro singolare k-dimensionak.
I1 dominio k-dimensionale, che differisce da a solo per la
scelta dell'orientazione Or, si chiama opposto di a e si indica
con -a o con -1.a (fig. 151).
P r o b 1 e m a 8. Dimostrare che per un cambiamento
d'orientazione l'integrale cambia di segno
j"=-j..
-u 0

E. Catene. L'insieme f (D) non risulta necessariamente una


sottovarieth regolare di M. Esso pub avere 4 intersezioni con se
stesso B, 4 ripiegamenti B qualsiasi e perfinb degenerare in un

Fig. 150. Poliedro singolare Fig. 151. Per il problem 8.


k-dimensionale.

punto. Tuttavia, g i l nel caso unidimensionale B chiaro che non


conviene limitarsl a contorni d'integrazione, che consistono di
un solo pezzo: sono utili anche contorni composti di alcuni pezzi,
che possono essere ripercorsi in una direzione o nell'altra pia
volte. Un concetto analogo nel caso multidimensionale si chiama
catena.
D e f i n i z i o n e. Una catena di dimemione k su una uaricta
M consisteldi un insieme finito di domini k-dimensionali orien-
tati ,a1, . .'., a, in M e di numeri interi q, . . ., m, chiamati
molteplicita (le molteplicita possono essere positive, negative
o nulle). Una catena si indica con

Si stabiliscono inoltre le identiti naturali

P r o b I e m a 9. Dimostrare che l'insieme di tutte le cate-


ne k-dimensionali in una varieta M diventa un gruppo commuta-
tivo, se si definisce la composizione di catene con la formula

F. h m p i o : frontiers di un polidro. Sia D un poliedro


orientato convesso k-dimensionale in uno spazio euclideo k-dimen-
sionale Rh, Si chiama frontiera di D la catena k- 1-dimensionale
aD in Rk, determinata nel seguente mod0 (fig. 152).
Sono parti della catena aD, indicate con at, le facce Dl
k-1-dimensionali del poliedro D, insieme con le applicazioni
d'immersione ft: D t + Rk delle facce in R% con le orientazioni
Ort definite sotto; le molteplicith sono uguali a 1:

Regola per I'orientazione delle facce. Sia e,, . ek un . .,


riferimento che orienta Rk. D t sia una delle facce di D. Scegliamo
un punto interno di Dt e costruiamo in esso il vettore n della
normale esterna a1 poliedro D. Un riferimento che orienta la faccia

Fig. 152. Orientazione della fmn- Fig. 153. Frontiers della catena.
tiera.

Dr sara un riferimento fl, . .,


. fh-l in Dl tale che ( n , fl, . .
. . ., fk,,)
sia orientato correttamente (cloB abbia la stessa orienta-
.
zione di el, . ., ek).
La frontiera dl urn catena si determina in mod0 analogo.
Sia a = (D, f, Or) un dominio k-dimensionale nella varietll
M. Si chiama frontiera di a o la k-1-catena aa = at, cornposta
delle garti at = (Dl, f t , Orl), dove Dl sono le facce k-1-dimen-
sionali di D, Orl sono le orientazioni scelte conformemente alla
regola introdotta sopra, f l B la restrizione dell'applicazione f:
D + M sulla faccia Dl.
Si chiama frontiera ack della catena k-dimensionale ck la
somma delle frontiere delle parti della catena ck con le rispettive
molteplicitB (fig. 153)

-
Chiaramente, ack B una k 1-catena su M l.
P r o b 1 e m a 10. Dimostrare che la frontiera della fron-
tiera di una, qualsiasi catena B nulla: sack = 0.

? Qui consideriamo k > i. Le catene unidimensionali rientrano nello


mhema generale ee si fanno le eeguenti definizioni: una catena di dimensio-
ne nulla consiste di un insieme di punti con moltepliciti: la frontiera di un
mpento'orientato ~3 Q B - . A (il punto R con molteplicith i, A con molte-
p l ~ c i t i-1); la fmntiera di un punto B vuota.
a
S u g g e r i m e n t o. Per la linearitii di basta dimostrare
che aaD = 0 per un poliedro convesso D. Rimane da dimostrare
che ogni faccia k -2-dimensionale di D entra nella catena aaD
due volte con segni diversi. E sufficiente verificarlo per k = 2
(sezioni piane).
G. Integrale di una forma su una catena. Sia ora oh una
k-forma sulla varieti M e C k una k-catena su M, ck = ~ r n l c r , :
Si chiama integrale della forma ok .~ullacatena c,, la somrna degll
integrali slllle diverse uarti. tenuto conto
delle molteplicitii

l?$2Jq= P
iw k = x m t
=h
P r o b 1e m a 11.
Jok.
'Ji
Dimostra~-e che
I'integrale dipende linearmente dalla forma

Fig. 154. L1integra-


le della lorma pdq rk
O!+W;= jo:+
=k
102.
Ck
sulla frontiera di
una regione I? ugua- P r o b 1e m a 12. Dimostrare che
le all'area della l'integrazione di una forma fissata ok sutle
regione. catene ck determina un omomorfismo del grup-
po delle catene nella retta.
E s e m p i o 1. Sia M il piano { ( p , q)), la forma o1 sia
p dq, la catena c1 consista di un solo pezzo ul con molteplicitii 1:
[0 < t < 2nI- f ( p = cos t , q = sen t).
Allora

C1

In generale, se la catena cl rappre5enta la frontiera della regione


G (fig. 154), allora p dq 6 uguale all'area di G col segno o
el
+ -.
a seconda che le due coppie di vettori, normale esterna e vettore
d'orientazione della frontiera, vettori di base (versore p , versore q),
abbiano o meno la ~ t e s s aorientazione.
E s e m p i o 2. Sia M uno spazio euclideo orientato tridi-
mensionale R3. Allora ogni I-forma in M corrisponde a qualche
campo vettoriale A (ol = ofi),dove

L'integrale della forma ofi sulla catena c,, che rappresenta


la curva orientata 1, si chiama circolazione del campo A s u l l a curva 1:
Anche ogni 2-forma in M corrisponde a qualche campo A
(a2= 0 5 , dove ofi (E, q)= (A, E, q)).
L'integrale della forma ok sulla catena c,, che corrisponde
alla superficie orientata S, si chiama flusso &l campo A attraverso
la superficie S :
[
w: = ( A . d m ) .
=t Jr
1
P r o b 1 e m a 13. Trovare il flusso del campo A = s e ~
attraverso la superficie della sfera x2 + +
yZ z2 = 1 , orientata
dai vettori e,, e, nel punto z = 1. Trovare il flusso dello stesso
+
campo attraverso la superficie dell'ellissoide x2/a2 y2/b2 z2 = +
= 1 orientata ugualmente.
S u g g e r i m e n t o. Vedere pag. 197.
P r o b 1 e m a 14. In uno spazio 2n-dimensionale R2" =
= { ( P I , . . . , pn; ql, . . ., qn)) sia data una Zcatena c,, che
rappresenti una superficie orientata bidimensionale S con con-
torno 1. Trovare
i d ~ i ~ d q i-..
+ + d p n j \ d q n e [ ~ i d q i + ... + ~ n d q n .
CI 1

Risposta. La somma delle aree orientate delle proiezioni di S


sui piani coordinati bidimensionali pi, qi.

5 36. Differenziazione esterna


Si definisce la differenziazione esterna di k-forme e si dimostra
la formula di Stokes: l'integrale della derivata della forma su una
catena B uguale all' integrale della stessa for-
ma sulla frontiera di questa catena.
A. Esempio: divergenza di un campo vet-
toriale. La derivata esterna di una k-forma w
su una varietl M B una k + I-forma ao sulla
stessa varietii. I1 passaggio da una forma alla
sua derivata B analogo alla formazione del t~
differenziale di una funzione o alla divergenza "
~l7
di un campo vettoriale. Ricordianio la defini-
zione di divergenza. Fi 155. Per la
Sia A un campo vettoriale in uno spazio defhizione di di-
euclideo orientato tridimensionale R3 e S la vergenza.
frontiera del parallelepipedo ll con spigoli &,
gal gs per il vertice x: S = all (fig. 155). Consideriamo il flusso
del campo A attraverso la superficie S (a verso l'esterno 9)
F (n)= (A. d m ) .
8
Se14il parallelepipedo ll B molto piccolo, il flusso F B all'in-
circa proporzionale a1 prodotto del volume del parallelepipedo,
V = (5,. &, g,), per la adensitii delle sorgenti, nel punto z.
In altre parole, esiste il limite
lim '-
l (en)
I&.-0 e8V
dove ell Q un parallelepipedo di spigoli eb,, eg,, ef,. Questo
limite non dipende dalla scelta del parallelepipedo ma solo dal
punto x, e si chiama divergenza del campo A in x, div A.
Per passare a1 caso multidimensionale, notiamo che a il flusso
d i A attraverso I'elemento di superficie n 15 una 2-forma, che noi
abbiamo indicato come a\. La divergenza invece Q l a densite
nell'espressione della 3-forma
os = div A dx /\ dy /\ dz,
o"f1, ga, ts) = div a4.V ($* fa, f s),
che caratterizza le a sorgenti nel parallelepipedo elementare',.
La derivata esterna d o k di una k-forma oh sulla varieta
n-dimensionale M s i definisce come la parte multilineare prin-
cipale dell'integrale d i oh sulla frontiera di UII parallelepipedo
k + 1-dimensionale.
B. Definizione di derivata &ma. Definiamo il valore della
forma d o sul vettore k +1, f,, . . ., gk+l tangente a M in x.
Consideriamo per questo un sistema di coordinate nell'intorno

Fig. 156. Parallelepipedo curvilineo ll

del punto x su M, cioQun'applicazione diffeomorfa f di un intorno


del punto 0 nello spazio euclideo' Rn su un intorno del punto x
in M (fig. 156).
Le controimmagini dei vettori g,, . . ., gk+l E TM@ sotto
il differenziale f giacciono nello spazio tangente a Rn in 0.
Questo spazio tangente si identifica naturalmente con Rn, quindi
si possono considerare controimmagini i vettori

Costruiamo su questi vettori in Rn il parallelepipedo ll*


(esprimendosi rigorosamente, bisogna considerare il cubo orienta-
t o standardizzato in RA+le la sua applicazione lineare s u 118,
che trasforma gli spigoli el, . . ., e ~ in+ St,~ ..
., E$+l come
un dominio k +
l-dimensionale in Rn).
L'applicazione f trasforma il parallelepipedo ll* nel dominio
k +
l-dimensionale ll su M (a parallelepipedo curvilineo n). La
frontiera del dominio ll 13 una catena k-dimensionale, all. Consi-
deriamo l'integrale della forma oh sulla frontiera all del paral-
lelepiped~II

E s e m p i o. Chiameromo O-forma su M la funzione regolare


cp: M + R. Chiameremo invece integrale della O-forma p sulla
O-caiena c, = 3 miAl (dovegli ml sono numeri interi s A t punti
d i M):

Allora la precedente definizione d i l'a increment0 B F (g,) =


= cp (3,) - q, (t)(fig. 157) della funzione cp, mentre la parte

Fig. 157. Integrale sulla frontiera Fig. 158. Peril teorema aulla deri-
di un parallelepipedo unidimen- vata esterna.
sionale. E I'incremento di una
funzione.

lineare principale F (g,) in 0 i3 semplicemente il differenziale


della funzione cp.
P r o b 1 e m a 1. Dimostrare che la funzione F(g,,
. .,
. %k+l) 6 antisimmetrica in 8.
Risulta che la parte principale k +
l-lineare dell'* incremen-
.
too F (El, . ., t,+,) i3 una It +
l-forma esterna sullo spazio
tangente a M in x , TM=.Questa forma non dipende dal sistema
d i coordinate, con I'aiuto del quale si B definito il parallelepipedo
curvilineo ll. Questa forma si chiama derivata esterna della forma
oh(nel punto x ) e si indica con dok.
C. Teorema della deri.vata esterna.
Teorema. S u TM, esiste un'unica k +
1-fonna 9 , che b lu
+
parte principale k 1-lineare in 0 dell'integrale s u l k frontiera del
parallelepipedo curbilineo F (gl, . . ., gk+l)r ciob
.
F (ekt, . . , ekk+i)= ek+iQ.(61, . . ., &+d + 0 (ek+l)
(e-+ 0). (1)
La forma i2 non dipende dalla scelta del sistema di coordinate, Jlc
serve alla determinazione di F.
Se in un sistema locale di coordinate xl, . . ., x, su M la f o r m
ok si esprime come
oh= ai*...jkdxi, A ...A-dxi,,,
allora la forma 51 si esprime come

Dimostreremo questo teorema nel caso di una forma o1 =


= a (x,, x,) sul piano xl, x,. Nel caso generale la dimostra-
zione B perfettamente analoga, ma i calcoli sono un po' p i i lunghi.
Calcoliamo il. valore di F, cioh l'integrale di o1 sulla fron-
tiera del parallelogramma ll di lati g, q e vertice in 0 (fig. 158).
La catena all h data dalle applicazioni dell'intervallo 0 t 1 < <
sul piano t -+ gt, t -t 6 + qt, t + qt, t -t q +
gt con moltepli-
citii 1, 1, -1, -1. Quindi,

dove E l = &1 (g), q 1 = (q), 5 2 = b e ( 8 , '12 = &a (q) Sollo


le componenti dei vettori g, q. Ma

(le derivate s i calcolano per xl = x, = 0). Esattamente nello


stesso mod0

Sostituendo queste espressioni nell'integrale, troviamo

La parte principale bilineare di F, come previsto nella (1). risulta


essere il valore della 2-forma esterna
sulla coppia di vettori g, q. Inoltre la forma ottenuta B espressa
dalla formula (2), poichef

Infine, se il sistema di coordinate xl, 5%B sostituito con un altro


(fig. 159)) il parallelogramma ll si trasforma in un parallelogram-
ma curvilineo vicino ll', tale che la differenza tra i valori degli
integrali [ o1- [ o1 6 un infinitesimo di ordine superiore
dir ah*
a1 second0 (verificatelo!), c.v.d.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrare il teorema nel caso ~enerale.
P r o:b 1 e m a 3. Dimostrare le formule di differeiziazione
della somma e delzprodottol

P r o b 1 e m a 4. Dimostrare che il differenziale di un dif-


ferenziale 6 uguale a zero: dd = 0.
P r o b 1 e m a 5. Sia f: M + N un'applicazione regolare,
o una k-forma su N. Dimostrare che f* (do) = d (f40).

Fig. 159. Indi endenza della deri- Fig. 160. Dimostrazione della for-
vata esterna 8.1 sirtema di cmc-
dinate.
mula di Stokes per un parallele-
pipedo.

D. Formula di Stokes. Uno dei pi4 importanti corollari del


teorema della derivata esterna B la formula di Newton - Leib-
niz - Galus - Green - Ostrogradskij - Stokes - Poincare'

+
dove c 13 una qualsiasi k 4-catena sulla varieth M e o una
qualsiasi k-forma sulla stessa- varieth.
E sufficiente dimostrare questa formula nel caso di una catena
che consista di un solo dominio a. Supporremo inizialmente che
questo dominio a sia dato da un parallelepipedo orientato ll c
c Rk+l (fig. 160).
Scomponiamo ll in N'+' piccoli parallelepipedi uguali II,,
simili a n. Allora B evidentemente

5
OII
a=
1-1
Ft, dove Ft=
5
Per la formula (1) abbiamo
-(k+i)
&=do(%:, . . a , g:+,)+o(N 1'
....
Nk+l
dove E: , &:+i sono gli spigoli di nt. Ma .. .,
d o (%:, g+i)
i=i

B la somma integrale per 5


II
do. E facile rerificare che O ( N - ' ~ + " ~ -

B uniforme, dunque
Nk+l ~ h + l

lim
N +m
2 F t = lN-m
i-t
im 2
k t
da(%i, . . ., gk+i)= 5
n
da.

Infine troviamo
5
6II
a= 2 ~ ~ N-m 5 do.
= l i mF x~ =
n
Da qui segue automaticamente la formula (3) per qualsiasi catena,
i cui poliedri sono parallelepipedi.
Per dimostrare la formula (3) per un qualsiasi poliedro
convesso D, basta dimostrarla per il simplesso', dato che D si
pu6 sempre scomporre in simplessi (fig. 161):
D=~D*~ , D = X ~ D ~ .
Dimostriamo la formula (3) per il simplesso. Osserviamo che
un cub0 orientato k-dimensionale si pub trasformare in mod0 dif-
ferenziabile in un simplesso orientato k-dimensionale, in mod0
tale che
1) l'interno del cubo si trasformi in maniera diffeomorfa con-
servando l'orientazione nell'interno del simplesso;
2) l'interno di alcune delle facce k - l-dimensionali del
cubo si trasformino, in maniera diffeomorfa e consemando l'orien-
tazione, nell'interno delle facce del simplesso; le immagini delle
restanti facce k - 1-dimensionali del cub0 giacciano nelle facce
k - 2-dimensionali ?el simplesso.
I1 simplesso bidimensionale 4 il triangolo, quello tridimemionale
il tetraedro, e quello k-dimensionale 4 l'inviluppo convesso di k 1 punti
in Rn, che non giacciono nu un piano k - i-dimemionale.
+
k
zERk:tt>O, ytt<i
i=1
Per esempio, per k = 2 una tale trasfonnazione del cub0
0 < x1* x, < 1 sul triangolo 6 data dalle formule yl = x,, y, =
= a+z, (fig. 162). La formula (3) per il simplesso segue, ora, dalla

Fig. 161. Scomposizione di un Fig. 162. Dimostrazione della for-


poliedm conveaao in simpleasi. mula di Stokes per i l eimplesso.

dimostrazione della formula (3) per il cub0 e dal teorema sul


cambiamento di variabili (vedere pag. 181).
E s e m p i o 1. Consideriamo in RZn,con coordinate p,, .
. . ..Pn; ql, . . ., q:, la I-forma
. .
o1=pidq1+ -.- +pndq,=pdq.
Allora do1 = dp, /\ d%+. .. + dpn A dqn = dl) /\ dq, dunque

In particolare, se q B una s~iperficiechiusat (ac, =0), allora


J j d ~ ~ d q - 0 .
es
E. Esempio 2. Analisi vettoriale. I n uno spazio riemanniano
orientato tridimensionale M ad ogni campo vettoriale A corri-
sponde la I-forma of, e ia 2-forma o5. Per questo la differenzia-
zione esterna ai pub considerare come un'operazione vettoriale.
Alla differenziazione esterna di 0-forme (funzioni), I-forme
e 2-forme corrispondono lo operazioni di gradiente, rotore e'diver-
genza, definite dalle relazioni

(la forma o" l'elemento di volume su M). Cosi dalla (3) consegue
P r o b 1 e m a 6. Dimostrare che
div [ A , B1 = (rot A, B ) - (rot B, A),
rot a A = (grad a, .A1 + a rot A,
div a A = (grad a, A) + a div A .
S u g g e r i m e n t o. Per la formule di differenziazione del
prodotto di forme abbiamo

I' r o b 1 e m a 7. Dimostrare che rot grad = div rot = 0.


S u g g e r i m e n t o . dd=0.
F. Complemento I. Operazioni vettoriali in un sistema triorto-
gonale. Sia xi,x2, zs un sistema triortogonale di coordinate in M,
ds2 = El @ Ea @ + +
E s e s e gli e l i versori coordinati
(vedere pag. 176).
P r o b 1 e m a 8. Note le componenti del campo vettoriale
A = Ale, + A2e, +
A,e, trovare le componenti del suo rotore.
S o 1 u z i o n. e. Per quanto esposto a pag.' 177,

Dunque

Secondo quanto detto a pag. 177 troviamo

rot A =
i )e,+ ... =

In particolare, in coordinate cartesiane, cilindriche e sferiche


in R8
P r o b 1 e m a 9. Trovare l a divergenza del campo A =
= Alel + A,e, + -
Soluzione. o j l = ~ ~ 1 / ~ , E ~ d zdx3+
,/\ ... . Conseguen-
temente,

Per la definizione di divergenza


, E/\~dx2 /\ dx3,
do: = div A ~ E ~ Edxi
cioh

In particolare, in coordinate cartesiane, cilindriche e sferiche


in R3,

- I aRz cos BAR aR AQ dR c; 0 1 ,


+ )
R2cos 0( d R i-.- acP
P r o b 1 e m a 10. Si chiama operatore di Laplace su M
l'operatore A = div grad. Trovare la sua espressione nelle coor-
dinate x i .
R isposta.

In particolare, in R3,

G. Complement0 2. Forme chiuse e cicli. I1 flusso di un li-


quido incomprimibile (privo di sorgenti) attraverso il contorno
del dominio D B uguale a zero. Formuliamo l'equivalente multi-
dimensionale di questa proposizione evidente.
L'equivalente multidimensionale di. un flusso privo di sor-
genti s i chiama f o r m chiusa.
I1 campo A non ha sorgenti, se div A = 0.
D e f i n i z i o n e. Una forma differenziale o sulla varieth
M B chiuaa, se la sua derivata esterna B uguale a zero: d o = 0.
In particolare, la 2-forma ojr, corrispondente a1 campo senza
sorgenti A, B chiusa. Dalla formula d i Stokes (3) segue immediata-
mente il
Teorema. L'integrale di una f o r m chiusa oh sulla frontiera
di una qwrhiasi catena k +l-dimensionale c,,+~b uguale a zero:
5 3-0, se doh=0.

P r o b 1 e m a 11. Dimostrare che il differenziale di una


forma B sempre chiuso.
D'altra parte vi sono forme chiuse, che non. risultano esFere
dei differenziali.
Per esempio, consideriamo come varieti M lo spazio euclideo
tridimensionale R8 privato del punto 0: M = R8 - 0 , e come

Fig. 163. I 1 campo A . Fig. 164. Cono sopra un ciclo.

1
2-forma il flusso del campo A = 3 e~ (fig. 163). E facile convin-
cersi che div A = 0, cosicch6 l a nostra 2-forma o A B chiusa.
Z
Nello stesso tempo il flusso attraverso qualsiasi sfera con centro
in 0 B uguale a 4n. Mostriamo che l'integrale del differenziale
della forma sulla sfera deve essere uguale a zero.
D e f i n i z i o n e. Si chiama ciclo sulla varieti d l una
catena, la cui frontiera sia nulla.
La superficie orientata della nostra sfera si pui, considerare
come un ciclo. Dalla formula di Stokes (3) segue direttamente il
Teorema. L'integrale di un differenziale su un qualsiasi ciclo
2 uguale a zero:

Pertanto la nostra 2-forma o: non B il differenziale di alcune


l-forma.
L'esistenza di forme chiuse sulla varieth M B legata alle
proprieth topologiche di M. Si pu8 mostrare che in uno spario
lineare ogni k-forma chiusa 6 il diffemnziale di qualche k 4- +
forma (a lemma di Poincar6 a).
P r o b 1 e m a 12. Dimostrare il lemma di Poincad per
Ie '1-forme.
S u g g e r i m e n t o. Considerate o1 = p (q).
**
P r o b 1 e m a 13. Dimostrate che in uno spazio lineare
l'integrale di una forma chiusa su un qualsiasi ciclo B uguale
a zero.
S u n n e r i m e n t o. Costruire 'una k -I- 1-catena. la cui
frontiera-& il ciclo dato (fig. 164).
E specificatamente, per qualsiasi catena c considerate 4 il
con0 sopra c con vertice 0 ,. Se si indica l'operazione di costruzione
del con0 con p, allora
8op +p o8 = 1 (trasformazione identica).
Dunque, se la catena c 6 chiusa, 8 (pc) = c.
P r o b 1 e m a. Dimostrate che in uno spazio lineam ogni
forma chiusa 6 un differenziale totale.
S u g g e r i m e n t o. Servirsi della costruzione conica.
Sia ohuna k-forma differenziale in Rn. Definiamo la k - 1-forma
(a cocono sopra o ), nel mod0 seguente: per qualsiasi catena ck -,
Pik
E facile verificare che la k - I-forma p a k esiste ed 6 unica; il PUO
.
valore sui vettori El, . ., gk-l, tangenti a Rn in x , B pari a

E anche facile dimostrare che


do p + pod = 1 (trasformazione identica).
Quindi, se la forma oh B chiusa, risulta d (pak) = oh.
P r o b 1 e m a. Sia X un campo vettoriale su M, o una
k-forma differenziale. Definiamo la k - I-forma differenziale
(il cosiddetto prodotto inter~odi X per o ) ixo con .la relazione

Dimostrate la formula d'omotopia


i,d + dix = L,,
dove Lx B l'operatore di differenziazione nella direzione del
campo X.
[L'azione dell'operatore Lx sulle forme si determina con
I'aiuto del flusso di fase {gt) del campo X con la relazione

L'operatore L, si chiama derivata di Lie o del pescatore : il flusso


trasporta davanti a1 pescatore tutti i possibili oggetti geometrico-
differenziali, mentre il pescatore siede a1 suo posto e li differen-
zia.1
S u g g e r i m e n t o. Indichiamo con H t l'operatore di
omotopia )), che associa alla k-catena y: a -t M la k + I-catena H y :
(I x a ) + M second0 la formula (Hy) (t, z) = gty (z) (dove
I = [O, 11). Allora

P r o b 1 e m a. Dimostrare la formula d i differenziazione


del prodotto vettoriale in uno spazio euclideo tridimensionale
(o in una varieti riemanniana) :
rot [ a , bl = {a,b) + a div b - b div a
(dove {u, b) = Lab B la parentesi di Poisson dei campi vettoriali,
vedere $ 39).
S u g g e r i m e n t o. Se z B l'elemento dl volume, abbiamo

irOtI,, gl z = di,ibz, div a = di,z, { a , b) --- Lab;

utilizzando queste relazioni e non dimenticando che dt = O


B facile ricavare la formula per rot I w , bl dalla formula di omoto-
pia.
H. Complemento 3. Coomologie e omologie. Tutte le k-focme
su M costituiscono uno spazio lineare, le k-forme chiuse un sot-
tospazio di questo, mentre i differenziali delle k +
I-forme un
sottospazio dello spazio delle forme chiuee. Lo spazio quoziente
(forrne chiuee)/(differenziali) = lih(M, R)

si chiama gruppo k-at?nensionale delle coomologie della varieti M.


E elemento di questo gruppo la classe delle forme chiuse, che
differiscono Ira loro solo pe: un differenziale.
P r o b 1 e m a 14. Dimostrare che per la circonferenza S'
abbiamo H1 (S1, R) = H.
La dimensione dello spazio H~ ( M , R) si chiama numero
di Betti k-dime~~sonale della. varietb 111.
P r o b 1 e m a 15. Trovare il numero di Betti unidimensio-
nale del toro T2 = S1 x S1.
I1 flusso di un liquid0 (privo di sorgenti) attraverso le super-
fici di due sfere concentriche B lo stesso. In generale, per l'integra-
zione di una forma c h i u ~ asu un ciclo k-dimensionale, si pu6
cambiare il ciclo in un altro con la condizione che la loro diffe-
+
renza B la frontiera di una catena k I-dimensionale ( u pellicole's,
fig. 165) :

se a - b = b'ck+l e d o k = 0.
Poincar6 chiamb due cicli a e b cosi fatti omologici.
Con una definizione appropriata del gruppo delle catene
sulla varieti M e dei sottogruppi, che giacciono in esso, dei

Fig. 165. Cicll omologici.

sicll e delle frontiere (cioB dei cicli omologici con lo zero), il


gruppo quoziente
(cicli)/(frontiere) = H k (M)
si chiama gruppo k-dimensionale delle omologie di M.
E elemento di questo gruppo una classe di .cicli omologici
tra di loro.
Anche il rango di queato gruppo B uguale a1 numero k-dimen-
sior~aledi Betti della varietii M (a teorema di De Rham ,).

Pel questo si deve ridurre il nostro gru po { c k ) , identificando tra lorn


i pezzi, che differiscono solo per la r e l t a d e i a panmetrizzazione f o dei
poliedri D. In particolare, si pub considerare che D & sempre lo stesso e unico
simplesso o cubo. Inoltre, si deve considerare uguale a zero ogni dominio
k-dimensionale ( D , f. Or), se esso B degenere, cioh f = f,.!, dove f l : D -t
-c D' e D' ha una dimensione minore di k.
VIII. Varietsl simplettiche

Una struttura simplettica su una varieth B una 2-forma


differenziale chiusa, non degenere, su di essa. Gli spazi delle fasi
dei sistemi meccanici possiedono strutture simplettiche naturali.
Su una varieth simplettica, cosi come su una riemanniana,
si ha nn isomorfismo naturale tra i campi vettoriali e le 1-forme.
Un campo vettoriale su una varietil simplettica, corrispondente
a1 differenziale di una funzione, si chiama campo vettoriale
hamiltoniano. Un campo vettoriale, su una variet4, dB un flusso
di fase : un gruppo di diffeomorfismi a un parametro. I1 flusso
di fase di un campo vettoriale hamiltoniano, su una varieth
simplettica, conserva la struttura simplettica dello spazio delle
fasi.
I campi vettoriali, su una varieth, formano un'algebra di Lie.
Anche i campi vettoriali hamiltoniani, su una varietil simplettica,
formano un'algebra di Lie.'Le operazioni in queste algebre si
chiamano parentesi di Poisson.

5 37. Struttura simplettica su urn varietd


Si definiscono le varieth simplettiche, i campi vettoriali
bamiltoniani su di esse e la struttura simplettica standard nel
fibrato cotangente.
A. Definizione. Sia Mm una varieth differenziabile di di-
'mensione pari.
Si chiama stncttura simplettica su M2" una 2-forma differen-
ciale chiusa non degenere co2 definita su ,Wn:

La coppia ( M M , a 2 ) si chiama varietd simplettica.


E s e m p i o. Consideriamo lo spazio lineare R2" con le
coordinate pi, qi e sia a2= dpt A dqi.
P r o b 1 e lq a. Verificare che (R2", a 2 ) Q una varieth
simplettica.
Per n = 1 la coppia (R2, a2) B la coppia (piano, area).
I1 seguente esempio spiega la comparsa d i varieth simplet-
tiche in dinamica. Accanto a1 fibrato tangente di una varieti
differenziabile 6 spesso utile considerare il suo duale cotangente.
B. Prgrato eotangente e ma h t h u a simplettIca. Sia V una
varieta differenziabile n-dimensionale. Una 1-forma sullo spazio
tangente a .V nel punto x si chiama vettore cotangente a V nel
punto x. L'insleme 'di tutti i vettori cotangenti a V nel punto x
forma uno spazio lineare n-dimensionale, duale dello spazio
tangente TV,. Tale spazio lineare dei vettori cotangenti si indica
con T*V, e si chiama spazio cotangente alla varietii V nel punto x.
L'unione degli dpazicotangenti alla varietil in tutti i suoi
punti si chiama fibrato cotangente di V e si indica con T*V.
L'insieme T*V ha una struttura naturale di varietil differenzia-
bile di dimensione 2n. Un punto di T*V B una 1-forma sullo
spazio tangente a V in qualche punto di V. Se q B l'insieme delle n
coordinate locali di un punto di V, una tale forma B data dalle
sue n componenti p. Insieme, i 2n numcrri p, q costituiscono l'in-
sieme delle coordinate locali del punto di T*V.
Esiste una proiezione naturale f: T*V+ V (che fa cor-
rispondere' a ogni 1-forma su T V, il punto x ) . La proiezione f B
un'applicazione differenziabile su. L a controimmagine del punto
x E V sotto l'applicazione f B lo spazio cotangente T*V,.
Teorema. I 1 fibrato cotangente T* V possiede una struttura
timplettica naturale. Nelle coordinate locali scritte sopra tale strut-

-
tura 2 data dalla formula
us d p A dq = PI A dqi + + d ~ nA dq,.
D i m o s t r a z i o n e. Dapprima definiamo su T*V una
1-forma particolare. Sia 5 E T (T* V), un vettore, tangente a1

T*;k
fibrato cotangente nel punto p E T*V,
(fig. 166). La derivata f,: T (T*V) +
+ T V della proiezione naturale f: T* V-t
+ V tradorma g nel vettore fag, tan-
'*' gente a V nel punto x. Definiamo la
1-forma o1 su T*V con la relazione

=
fl 1 v
a' (g) = p (fag). Nelle 'coordinate locali
scritte sopra questa forma ha l'aspetto
o1= p dq. Conformemente all'esempio
del punto A, 18 2-forma chiusa a2=
= do1 B non degenere.
f,) 0 s s e r v a z i o n e. Consideriamo
il sistema meccanico lagrangiano, con
Fig- 166. La Gforrnep d q
sul fibrato cotanpnte.
varietd delle configurazioni V e fun-
zione di Lagrange L. E facile compren-
dere che la cr velocitii generalizzata R
i
lagrangiana B un vettore tangente alla varietil delle configura-
zioni V, mentre 1'a impulso generalizzato n p = a ~ l a Bi un vettore
cotangente. Dunque, lo spazio c p , q n delle fasi di un problema
lagrangiano B il fibrato cotangente della varietil delle configura-
zioni. Cosl, il teorema precedente mostra che lo spazio delle fasi
di un problema meccanico ha una struttura intrinseca di varieti
simplettica.
P r o b 1 e m a. Mostrare che la trasformazione di Legendre
non dipende dal sistema di coordinate: essa fa corrispondere
alla funzione L: T V - R sul fibrato tangente la funzione
H: T* V + R su quello cotangente.
C. Campi vettoriali hamiltoniani. Una struttura riemanniana
su una varieti stabilisce un isomorfismo tra gli spazi dei vettori
tangenti e delle 1-forme. Anche una struttura simplettica stabi-
lisce un simile isomorfismo.
D e f i n i z i o n e. Facciamo corrispondere a1 vettore 5,
tangente alla varieth simplettica (M2", a 2 )nel punto x , la 1-for-
ma ag su TM= second0 la formula

P r o b 1 e m a. Dimostrare che la corrispondenza + ot


13 un isomorfismo degli spazi lineari 2n-dimensionali dei vettori
e delle 1-forme.

Allora, la corrispondenza
+ R2".
-
E s e m p i o . In R 2 n = {(p,q ) ) identificheremo i vettori
e le 1-forme, in accord0 con la struttura euclidea (3, x ) = p 2+
a{ dh la trasformazione R'" -+
q2.

P r o b 1 e m a. Calcolare la matrice di questa trasformazione


nella base p, q .
Risposta. LE'0 * E
) .
Indicheredn; con 1'1'isomorfismo costruito aopra, I: T*Af, -F
-+ TM,.
Sia ora H una funzione sulla varieth simplettica 11f2".Allora
d H 6 una I-forma differenziale su 111, e ad essa corrisponde, in
ogni punto, qualche vettore tangente a J f . Otteniamo in questo
mod0 il campo vettoriale su M , I dH.
D e f i n i z i o n e. I1 campo vettoriale I dH si chiama
campo vettoriale hamiltoniano, H-funzione di Hamilton.
E s e m p i o. Se M2" = R2" = { ( I ) , q ) ) otteniamo il campo
della velocith di fase delle equazioni canoniche di Hamilton

$ 38. Flussi di fase hamiltoniani e .lor0 incarianii integrali


I1 teorema di Liouville afferma che il flusso di fase conecrva
i volumi. Poincarh ha trovato un'intera serie di forme differen-
ziali, che sono cor~servatedal fluseo di fase hamiltoniano.
A. I flussi di fase hamiltoniani conserrano la struttura simplet-
tica. S i a - (fi12n,a2)una varieth simplettica, I?: .lP -t R una
funzione. Supponiamo che il campo vettoriale hamiltoniano I d H ,
corrispondente a H , dia un gruppo di diffeomorfismi a un para-
metro gt: MWL+ M t L :

I1 gruppo gt si chiama flusso di fuse hamilloniano con funzione


di Hamilton H.
Teorema. I 1 flusso di fase hamiltoniano conser~xzla strutiura
simplettica:
(dl* o2 = 02.
Nel caso n = 1, M2"= R2 questo teclema indica che il
flusso di fase g' conFerva le aree (teorema di Liouville).
Per la dimostrazione del teorema B utile introdurre le seguenti~
notazioni (fig. 167).
Sia M una qualsiasi varieti, c una k-catena in A!, gt: 1CI -t M
una famiglia a un parametro di applicazioni differenziabili.

Fig. 167. Traccia di una catena sotto omotopia.

Costruiamo la k + I-catena J c in M , chiamata. traccia della catena


c sotto l'omotopin gt, 0 < t < z.
Sia (D, f , Or) uno dei pezzi 'della catena c. Rella catena J c
gli corrisponderii il pezzo (D', f', Or'), dove D' = I x D B il
prodotto diretto del segment0 0 < < t z per D , l'applicazione
f': D' -t M si esprime attraverzo f: D -t M second0 la formula
f'(t, x ) = gt f (x) e l'orientazione Or' dello spazio Rk+', che con-
tiene D', B data dal riferimento e,, el, . . ., e k , dove e, 6 il
versore dell'asee t, mentre el, . . ., ek B il riferimento che.
orienta D.
Si puo dire che J c 15 la catena, che c descrive sotto l'omotopia
gt, 0< < t T. La frontiera della catena J c coneiste di aricopri-
'menti )), formati dalle posizioni iniziali e finali di c, e della
tsuperficie laterale)), descritta dalla frontiera di c.
E facile verificare che, con la scelta mostrata dell'orienta-
zione,
Lemma. S& y ana I-catena nella varietit simpkttrw (Man,at).
S i a g' il flusso di fuse su M, con funzionc V': Hamilton H. Allora

D i m o s t r a z i o n e. E sufficient0 considerare la catena p


d i un solo dominio f: 10, I ] + M.
Introduciamo le notazioni

Per definizione d' integrale


i 7

Ma, per definizione di flusso di fase, q B il vettore del campo


hamiltoniano con funzione di Hamilton H (nel punto ,f' (s, t)).
In base alla definizione di campo hamiltoniano 02(q, 8) =
= dH (5). Cosi,

I1 lemma B dimostrato.
Corollario. Se la catena p d chiusa (By=O), allora \ az=O.
0
Effettivamente,
Y
D i m o s t r a z i o n e d e 1 t e o r e m a. Consideriamo
una qualsiasi Bcatena c. Abbiamc

(l'uguaglianza 1 sussiste perch6 a2B chiusa, la 2 per la formula


di Stokes, la 3 per la formula (I), la 4 per il corollario precedente,
y = ac). Dunque, gli integrali della forma 02su qualsiasi catena c
e sulla sua immagine gTc sono gli stesgi, come volevasi dimostrare.
P r o b 1 e m a. Ogni gruppo a un parametro di diffeomor-
fismi di MZn, che conservi la struttura simplettica, B un flusso
d i fase hamiltoniano?
S u g g e r i m e n t o. Vedere $ 40.
B. Invarianti integrali. Sia g: M +M un'applicazione diffe-
renziabile.
D e f i n i z i o n e. La k-forma differenziaie o s i chiama
invariante integrale dell'applicazione g, se gli integrali d i o, su
qualsiasi catena k-dimensionale c e sulla sua immagine, sotto
l'applicazione g, sono identici:
~ o - ~ o .
ge e
E s e m p i o. Se M = R2, mentre o2 = dp /\ dq Q l'ele-
mento di area, 02risulta invariante integrale di tutte le applica-
zioni g, con jacobiano uguale a '1.
P r o b 1 e m a. Dimostrare ehe la forma oh B invariante
integrale dell'applicazione g, se e soltanto se g*ok = oh.
P r. o b 1 e m a. Dimostrare che se le forme oh e o' son0
degli invarianti integrali dell'applicazione g, allora anche la
forma oh /\ 0' Q un invariante integrale di g.
I1 teorema del punto A si pub formulare cosi:
Teorema. La forma 03,che di2 la struttura simplettica, b un
invariante integrale del flusso di fase hamiltoniano.
Consideriamo ora le potenze esterne della forma 02

Corolfario. Ognunu delle forme b un invariante


integrale del flusso di fase hamiltoniano.
P r o b 1 e m a. Sia 2n la dimensione della varietl simpletti-
ca ( W n , 02). Mostrate che = 0 per k >n, mentre (02)n
B una 2n-forma non degenere su M2n.
Definiamo l'elemento di volume su Mtn per mezzo di ( u ~ ) ~ ,
Allora il flusso di fase hamiltoniano conserva i volumi e ottenia-
mo, dal precedente corollario, il teorema di Liouville.
E s e m p i o. Consideriamo lo spazio simplettico coordinato
,wn = ~ s =n { ( p )), o" d p /\ dq = z d p i /\ d q t . I n questo
caso la forma (02pqd proporzionale alla forma

L'integrale della forma oa" uguale alla somma dei volumi


.
orientati delle proiezioni sui piani coordinati (pi,, . ., Pl,t
- - ~1,).
- 9

L'applicazione g: Ran + Ran si chiama canonica se ammette


.
oPcome invariante integrale. Ognuna delle f o m e 04,06, . ., otn
6 un invariante integrale di ogni trasformazione canonica. Per
questo motivo, sotto una trasformazione canonica, si consem la
somma delle wee orientate delle proiezioni sui piani coordinati
.. .
( ~ 1 , ~ - 9 PI,, qr,, < <
., QI,), 1 k n. I n particolare, le
trasformazioni canoniche conservano i volumi.
I1 flusso di fase hamiltoniano, dato dalle equaaioni =
---
- a~
a0 ' q= =,
a~ consiste delle trasformazioni canoniche gt.
~ l invarianti
i integrali considerati sopra si chiamano anche
assoluti.
D e f i n i z i o n e. La k-forma differenziale o si chiama
invariante integrale relativo dell'applicazione g: M + M se

per ogni k-catena chiusa c.


Teorema. Se o 2 un invariante integrale relativo dell'applica-
zione g, d o 2 un invariante integrale assoluto di g.
+
D i m o s t r a z i o n e. Sia c una k I-catena. Allora

(le uguaglianze I e 4 sono la formula di Stokes, la 2 6. la defini-


zione di invariante relativo, la 3 la definizione di frontiera).
E s e m p i o. La trasformazione canonica g: RZn--t R2" ha,
come invariante integrale relativo, la I-forma

Effettivamente, ogni catena chiusa c, in R2n, 6. la frontiera


di qualche catena a e troviamo dunque

(le uguaglianze 1 e 6 valgono per la definizione di a , la 2 per


la definizione di d, la 3 e la 5 per la formula di Stokes, la 4 per la
canoniciti di g e per l'espressione do1 = d ( p dq) = d p /\ dq =
= 02).
P r o b 1 e m a. Sia dok un invariante integrale assoluto
dell'applicazione g: M -t hf. Segue; da questa ipotesi, che ok
6 un invariante integrale relativo?.
Risposta. No, se in M vi sono catene chiuse k-dimensionali,
che non risultano frontiere.
C. Legge di conservazione dell'energia. Teorema. La fun-
zione H 2 un integrale primo del flusso di fase hamiltoniano, con
funzione di Hamilton H.
D i m o s t r a z i o r! e. La derivata di H nella direzione
del vettore q B uguale a1 valore d i d H sul vettore q. Per defini-
zione di campo hamiltoniano q = I d H troviamo
d H (q) = oS(q, I dH) = oa(q, 11) = 0.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la 1-forma d H B un inva-
riante integrale del flusso di fase, con funzione di Hamilton H.

$ 39. Algebra di Lie dei campi vettoriali


A ogni coppia di campi vettoriali su una varieth si associa
un nuovo-campo vettoriale, chiamato la loro parentesi di Poisson.
La parentesi di Poisson trasforma lo spazio lineare infinito dei
campi vettoriali differenziabili su una varieth in un'algebra
di Lie.
A. Algebra di Lie. Un esempio di algebra di Lie B uno spazio
lineare tridimensionale euclideo orientato, in cui sia stata intro-
dotta l'operazione di moltiplicazione vettoriale. I1 prodotto
vettoriale B bilineare, antisimmetrico e soddisfa l'identith di
Jacobi
[[A, B1, C1 +
[[B, Cl, A1 +
[[C, A], B1 = 0.
D e f i n i z i o n e. Si chiama algebra di Lie uno spazio
lineare L, che, insieme con un'operazione bilineare, antisimmetri-
ca L x L + L, soddisfi l'identith di
Jacobi.
L'operazione comunemente si indica
con le parentesi quadre e si chiama com-
mutatore.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che l'in-
sieme delle matrici n x n diviene un'al- Fig. 168. I1 gru po dei
gebra di Lie, se si definism il cornmu- d'ffeomorfismiv k t 0 dal
campo vettoriale
tatore come [A, B1.= AB - BA.
B. Campi vettoriali e operatori differenziali. Sia M una
varieth regolare, A un campo vettoriale regolare su M: in ogni
punto x E M B dato il vettore tangente A (2) E TM,. A ognuno
di tali campi vettoriali sono collegati i seguenti due oggetti.
1. I1 gruppo, a un parametro, di diffeomorfismi ', o flusso
At: M + M, per il quale A 6 il campo delle velocith (fig. 169):

Per i teoremi di esistenza, uniciti e differenziabiliti della teoria


delle equazioni differenziali ordinarie, il gruppo A f B definito, se la varieti
M B compatta. Nel caso generale, le ap licazioni A t sono definite solo in
un intorno di x e per piccoli t ; cu i. sutficiente per le costrurioni c e se-
gnono.
2. L'operatore differenziak del primo ordine LA. Ci si riferisce
alla differenziazione delle funzioni nella direzione del campo A:
per ogni funzione cp: M -+ R la derivata nella direzione di A
B una nuova funzione LA$, il cui valore nel punto x Q

P r o b 1 e m a. Dimostrare che l'operatore LA Q lineare:

Dimostrare la formula di Leibniz, LA (cplcpz) = f+)lL~f+)z +


+ cpnLAcp1.
E s e m p i o. Siano (q, . . ., 2,) coordinate locali su M.
In questo sistema di coordinate il vettore A (x) B dato dalle com-
ponenti (Al (x), . . ., A, (x)); il flusso At 15 dato dal sistema d i
equazioni differenziali
z1 = A1 (x), . . ., z, = A, (x)
e, di conseguenza, la derivata di cp = cp (zl, , . ., 2,) nella dire-
.zione di A B

Si pub dire che l'operatore LA, nelle coordinate (z,, . . ., 5,).


ha la forma

ma questa Q anche la forma generale di un operatore lineare


differenziale del primo ordine in uno spazio coordinato.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la
corrispondenza tra campi vettoriali A,.
B & ~4 8 ' ~ flussi At e differenziazioni LA B biu-
BS,& nivoca.
C. Parenhi di Poisson di campi vet-
toriali. Supponiamo che sulla varieti M
siano dati due campi vettoriali A e B.
I corrispondenti flussi At e B', parlando
Fig. .'61 'lussi 'On in generale, non commutano: A'B' +
commutano.
4' B'At (fig. 169).
P r d bul e m i . Portare un esempio.
S o 1 u z i o n e. I campi A = el, B = z,e, sul piano (q,z2).
Per la misura del grado di non commutativiti dei due flussi
At e B', consideriamo ,i punti AtBaz e B'Atx. Per valutare la
differenxa tra questi punti, confrontiamo il. valore che assume
in essi qualche funzione regolare cp sulla varieti M. La differenza
A (t, S; 2) = = (A~B'z) - cp (B'A'z)
6, ovviamente, una funzione differenziabile, che si riduce a 0
per s = 0 e per t = 0. Percib, il primo termine diverso. da 0
della serie di Taylor di A in s e t , in 0 contiene st, mentre gli
altri termini di secondo grado scompaiono. Calcoliamo questo
termine principale bilineare di A in 0.
Lemma i . La derivata mista di A, rispetto a s e t in 0 I? uguale
a1 commutatore delle differenziazioni nelle direzioni di A e dt B:

D i m o s t r a z i o n e. Per definizione di LA,

dl
at
cp (AtBax)= (L~cp)(B'x).
t = ~

Se si indica la funzione LAcp con 9,allora, per definizione di LB,

6 Loo ( P x , = (LBW ( 4.
Cosi, dunque,

come volevasi dimostrare.


Consideriamo ora il commutatore delle differenziazioni
LBLA - LALB. A prima vista questo 13 un operatore diffe-
renziale del secondo ordine.
Lemma 2. L'operatore L B L - ~ L I L B 2 un opqatore dif-
ferenziale lineare del primo ordine.
.
D i m o s t r a z i o n e. Siano (A,, . ., A,); (B,, ..
., B,)
le componenti dei campi A, B nel sistema di coordinate locali
(x,, . . ., xn) su M . Allora

Se .;i sottrae L~Lhcp, il termine con le derivate seconde di cp


scompare e otteniamo
n

E cosi il lemma 13 dimostrato.


Ma poich6 ogni operatore differenziale lineare del primo
ordine 13 dato da un campo vettoriale, anche il nostro operatore
LBLA - LALB corrisponde a qualche campo vettoriale C.
'
D e f i n i z i o n e. Si chiama parentesi di Poisson o commu-
tatore di due campi vettoriali A e B sulla varietl M il campo
vettoriale C per il quale
L<.= LBLA - LALB.
La parentesi di Poisson di due campi vettoriali si indica con
C = [ A ,Bj.
P r o b 1 e m a. Ammettiamo che i campi A e B siano dati,
iielle coordinate xi, dalle componenti (Ai, Bi). Trovare le com-
yonenti dalla loro parentesi di Poisson.
S o l u z i o n e. Nella dimostrazione del lemma 2 6 stata g i l
dimostrata la formula
11

[A, B ] , = 2 Bi*-Aid A . aBj


-
ar, .
i= i

P r o b 1 e m a. Sia A, il campo vettoriale delle velociti


lineari di un corpo solido, che ruota con velociti angolare ol,
e -4, quello corrispondente alla velocith angolare o,. Trovare
la parentesi di Poisson [A,, A,].
D. Identitl di Jacobi.
Teorema. La parentesi di Poisson trasforma lo spazio lineare
dei campi vettoriali, su una varieta M , in un'algebra di Lie.
D i m o s t r a z i o n e. La linearith e l'antisimmetriciti
della parentesi di Poisson sono evidenti. Dimostriamo l'identiti
di Jacobi. Abbiamo, per definizione di parentesi di Poisson,
B ] - L[A,B&C=
L [ [ AB. ] , C ] = Lc'L[A,
= LcLBLA - LcLALB + L A LBLC - LBLCLA.

+ +
In totto, nella somma L[[A,B ] . C'I L[[B.C I . A ] L[[c,A ] , B ] , vi
Faranno 12 termini. Ogni termine entra nella somma due volte,
con segni opposti. I1 teorema B dimostrato.
E. Condizione di commutativith dei flussi. Siano A e B dei
campi vettoriali sulla varietl M.
Teorema. Due flussi A', BS commutano se e soltanto se la
parentesi di Poisson dei campi vettoriali corrispondenti, [ A ,Bl,
2 uguale a zero.
D i m o s t r a z i o n e. Se AiBS = B'A', per il lemma 1
I-4, B1 = 0. Se invece [A, B ] = 0, allora per il lemma 1, per
qualsiasi funzione cp in un qualsiasi punto x, risulta

In molti libri si usa un altro simbolo. I1 nostro B in accord0 con il


simbolo di commutatore nella teoria dei gruppi di Lie (vedere il punto F).
Mostreremo che da qui segue cp (AtBk) = cp (BaAtx), per s e t
sufficientemente piccoli.
Applicando questa relazione alle coordinate locali (cp =
.
= XI, . ., cp = x,), otteniamo AtBS=- B'At.
Consideriamo il rettangolo 0 < <t to, 0< < s so (fig. 170)
sul piano (t, s). A ogni cammino, che porta da (0, 0) a (to, so)
e che consiste di un numero finito di
segmenti orientati come le direzioni co-
ordinate, facciamo corrispondere il pro-
dotto delle trasformazioni dei flussi At '0
e BS. A ogni segmento t, < <t t, as-
sociamo At2-tl e a ogni segmento s, <
< < s s,, B"-'1; applicheremo le tra-
sformaziorii nell'ordine ncl quale si sus-
seguolio i segmenti a pnrtire da (0, 0).
Cosi, per esempio, ai lati (0 t < <
< to, s = 0) e (t = to, O < < s so) cor, Fig. 170. Per la dime-
lati (t = 0, O
< < t
< <s so) c (s
to), il prodotto AtoB"~.
-
risponde il prodotto BoAto, nlentre ; ~ i ~t'azione della cO1nlnuta-
s,,, I)<
tivith dei flussi.

Inoltre, associamo a ogrlu~~o di tali cammini sul piano (t, s)


il cammino sulla varicti .I/. clie cscc dal punto x ed i? composto
dalle traiettorie dei f l u s i At e R.' (fig. 171). Se a1 cammino sul

Fig. 171. 11 quatlrilatero currilineo p~G~.cx.

piano (t, s) corrisponde la traeformazione AtlB" . . . AtnBsn,


allora il corrispondente cammino sulla varietl .1f finisce nel
punto ~ ' 1 .~ . ~. AtnR"x.
1
I1 nostro scopo h quello di dinostrare che tutti questi cam-
mini, in effetti, terminarlo nell'unico punto A 'oB"x = B ~ O A ~ O X .
Suddividiamo gli intemalli (0 t< < to) e (0 s < <so) in N
parti uguali, cosicchC l'intero retbangolo 6 scomposto in IV2
piccoli rettangoli. I1 pnasaggio, dai lati (0, 0) - (0, to) - (so, t,)
a i lati (0, 0) - (so, 0) - (so, to), si pub cornpiere in passi,
in ognuno dei quali una coppia d i lati vicini di un rettangoiinb
6 sostituita da un'altra (fig. 172).
Sulla varietii M, a questo piccolo rettangolo corrisponde,
in generale, un quadrilatero curvilineo aperto fJ$ea (fig: 471).
Consideriamo la distanza tra i suoi vertici

HN=
a, 8, corrispondenti ai valori piii grandi d i
t e di s. Come abbiamo visto sopra (pag. 209),
<
p (a, fJ) C1N-3 (dove la costante C, >0
non dipende da N). Utilizzando il teorema
della differenziabilitii delle soluzioni del-
le equazioni differenziali rispetto ai dati
iniziali, non i! difficile valutare la distanza Fig. 172. Passa io da
tra gli estremi a ' , fJ' dei cammini x6ypfJ1 Una COP ia di fti al-
e x6:6eaa1 sulla varietii M: p (a', fJ1)< Pta~tra.
< C,N-3, dove la costante C, > 0 nuo-
vamente non dipende da N. Ma noi abbiamo suddiviso l'inte-
ro passaggio da B'oAtox a At~B'ox in Na simili passi. Dunque,
p (AtoB'ox, B'OA~OX)< NaC,N-3 VN. Conseguentemente, Atoll%z=
= B'OA~O~.
F. Complemento. Algebra di Lie di un gruppo di Lie. Si
chiama gruppo di Lie un gruppo G, che risulti esse're una variete
differenziabile, con le operazioni (moltiplicazione e inversione),
che sono . applicazioni differenziabili, G x G + G, G -.+ G.
Lo spazio tangente a1 gruppo di Lie G, nell'elemento unite
TG,, ha una struttura intrinseca di algebra di Lie; essa si deter-
mina nel mod0 seguente.
Ad ogni vettore tangente A E TG, corrisponde il sottogruppo
ad un parametro At E G con il vettore di velocitl A = d ,,
At.
I1 grado di non commutativitii di due sottogruppi A', B8
B misurato dal prodotto AtB'A-'B-'. Esiste un solo sottogruppo
Cr, per il quale risulta

p (AtB'A-'B-', C") = o (s2 + ta) per s, t -t 0.

d
I1 vett.ore corrispondente C = ;i;l,-,Cr si chiama commutatore
di Lie, C = [A, B1, dei vet tor;.^ e B.
Si pub dimostrare che l'operazione di commutazione, cosi
introdotta nello spazio tangente TG,, lo trasforma in un'algebra
di Lie (cio8 l'operazione i! bilineare, antisimmetrica e soddisfa
l'identitii di Jacobi). Questa algebra si chiama algebra di Lie del
gruppo di Lie G.

8 In qualche metrica riemanniana di M.


P r o b 1 e m a. Calcolare l'operazione di commutazione,
nell'algebra di Lie del gruppo S0(3), delle rotazioni dello spazio
euclideo tridimensionale.
I1 lemma 1 mostra che si pub definire la parentesi di Poisson
di campi vettoriali come il commutatore di Lie per ail gruppo di Lie
a dimensione infinitan di tutti i diffeomorfismi della varietdl M .
D'altro lato, si pub definire il commutatore di Lie, con
l'aiuto delle parentesi h i Poisson dei campi vettoriali, sul gAppo
di Lie G.
Sia g E G. Si chiama trmlazione a destra Rg l'applicazione
R,: G - t G, R,h = hg. I1 differenziale di R,, nel punto g,
trasforma TG, in TGg. In questo modo, a ogni vettore A E TG,
corrisponde un intero campo vettoriale sul gruppo: esso consiste
di tutte le traslazioni a destra (Rg),A e si chiama campo destroin-
variante. Chiaramente, un campo destroinvariante su un gruppo
t; determinato in modo univoco dal suo valore ne1l'unit.h.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la parentesi di Poisson di
campi vettoriali &stroinvarianti, sul g u p p o di Lie G, 2 un campo
destroinvariarzte e che il suo valore, nell'elemento unit& del gruppo,
2 uguale a1 valore del commlrtatore di Lie dei valori dei campi origi-
nali, nell'elemento unit6.
§ 40. ~ l ~ e b rdi
- aLie delle funzioni di Hamilton
I campi vettoriali hamiltoniani, su una varieth simplettica,
formano una sottoalgebra dell'algebra di Lie di tutti i campi.
Anche le funzioni di Hamilton formano un'algebra di Lie: l'ope-
razione in questa algebra si chiama parentesi di Poisson delle
funzioni. Gli integrali primi del flusso di fase hamiltoniano
formano una sottoalgebra dell'algebra di Lie delle funzioni di
Hamilton.
A. Parentesi di Poisson di due funzioni. Sia (M2", cog) una

-
varieth simplettica. Alla funzione H : M2" -+ R , data sulla
varieth simplettica, corrisponde il gruppo a un parametro
gb : Man M2" delle trasformazioni canoniche d i M2", cioir il
flusso di fase, la cui funzione di Hamilton B uguale a H .
Sia F: M2" + R un'altra funzione sulla varieth M2".
D e f i n i z i o n e. Si chiama parentesi di Poisson (F, H )
delle funzioni F e H , date sulla varieti simplettica (M2", w2),
la derivata della funzione F , riapetto alla direzione del flusso
di fase, con funzione di Hamilton H :

In questo modo, la parentesi di Poisson di due funzioni


su A 1 & ancora una funzione su J f .
I1 segno, nella definizione della parentesi di Poisson dei campi vet-
toriali, B scelto partendo da questa considerazione.
Corollario 1. La funzione F 2 u n integrale primo del flusso
di fase, con funzione di Hamilton H , se e soltanto se la sua parentesi
di Poisson con H 2 identicamente uguale a zero: ( H , F) sfa 0.
Possiamo dare alla definizione di parentesi di Poisson una
forma leggermente diversa, se ci serviamo dell'isomorfismo I tra
le 1-forme e i campi vettoriali, sulla .variet&simplettica (Wn, as).
Tale isomorfismo L; determinato dalla relazione (vedere 8 37)
wa(9, t w ' ) * o' (q).
I1 vettore della velocitl del flusso di fase gb !I I dH. Da qui
segue il
Corollario 2. La parented di P o i ~ o n&lle funzioni F e H
h uguale a1 valore della 1-formd dF sul uettore I dH, velocitit &l
flusso di fase con funzione di Hainilton H:
( F , H ) = dF ( I dH).
Utilizzando, ancora una volta, la formula precedente, otte-
niamo il
Corollario 3. La parentesi di Poisson delle funzioni. F e H
2 uguale a1 uprodotto antiscalare 9 dei vettori velocit&dei flussi dt
fase, con funzioni di Hamilton H e F,
( F , H ) = o2( I dH, I dF).
Diventa ora evidente il
Corollario 4. La parented di Poisson delle funzioni F e H 2 una
funzione antisimmetrica, bilineare in F e H :

Per quanto siano evidenti, i ragionamenti fatti conducono


a deduzioni non banali, tra cui la seguente generalizzazione del
teorema di E, Noether.
Teorema. Se la funzione di Hamilton H , data sulla varietit
simplettica (Wn,o*), b costante sul gruppo a u n parametro di tra-
sformazioni canoniche, dato dall'hamiltoniana F, allora F 2 u n
integrale primo del sistema, con funzione di Hamilton H .
Effettivamente, per ipotesi, H B un integrale primo del
flusso gi. CioB ( F , H ) = 0 (corollario 1). Quindi ( H , F) = 0
(corollario 4 ) e F 6 un integrale primo (corollario I ) , c.v.d.
P r o b 1 e m a 1. Calcolare la pareutesi di Poisson di due
funzioni F, H nella spazio canonico coordinato Re" = {(p,q)),
o2(b, 9 ) = [b,91 = ( I b , 9 ) .
S o 1 u z i o n e. In accordo col corollario 3 abbiamo

( F , H ) = [ I d H , I dF]= [grad H , grad F ] = -


aH --
aF
api aqi
--
aH aF
aqi apt
(abbiamo fatto uso del fatto che I 6 sirnplettica e ehe ha la

(i)-:
\

forma nella base ( p .p)


P r o b 1 e m a 2. Calcolare le parentesi di Poisson delle
forme di base pi, qi.
S o 1 u r i o 11 e. I gradienti delle funzioni di base formano
una u base simplettica 8 : i loro prodotti ar~tiscalarisono

P r o b 1 e m a 3; Dimostrare che l'applicazione A: RSn+


-. R2", (y, q) + ( P ( p , q), (1( p ,q)) b canonica, se e soltanto se
le parentesi di Poisson di due funzioni qualsiasi, secondo le variabili
( p , q) e ( P i Q ) , coincidono:
aH aF aH aF aH aF aH aF
(F, f i ) P , q = F F - F & - = w m - x ~ = iF, H)P*9.
S o 1 u z i o n e. Ammettiamo che A sia un'applicazione
canonica. Allora le strutture simplettiche d p /\ dq e d P /\ dQ
coincidono. Ma la definizione di parentesi di Poisson, (F, H),
B legata in mod0 invariante con la struttura simplettica e non
con le coordinate. Dunque,
,
( F , H),, = (F, H ) = (F, HIP, Q.
Ammettiamo, viceversa, che le parentesi di Poisson (Pi, Qi)P,q
abbiano la forma standard del problema 2. Allora, chiaramente,
d P /\ d Q = d p /\ dq, cio6 l'applicazione A 6 canonica.
P r o b 1 e m a 4. Dimostrare che la parentesi di Poisson di
un prodotto si calcola secondo la regola di Leibniz:
(FlF2t H ) = F1 (Fa, H ) +
F,'(F,, HI.
S u g g e r i m e n t o. La parentesi di Poisson (FIF,, H)
6 la derivata del prodotto.F,F, rispetto alla direzione del cam-
PO I dH.
B. Identith di Jacobi.
Teorema. Le parentesi di Poisson di tre funzionl A , B, C
soddisfano l'identitd di Jacobi
+
((A*B ) , C) ((B, C), A) '+ ((C, A), B) = 0.
Corollario. Teorema di Poisson. La parentesi di Poisson d i
due integrali primi (F,, F,), di un sistema con funzione di Hamil-
ton H, 1. ancora un integrale primo.
D i m o s t r a z i o n e d e l c o r o l l a r i o . Per l'iden-
t i t i di Jacobi
+
((F1, F2), H ) = (F1, (F,, 11)) (F,, (H, F,)) = 0 + 0,
che i. quanto si voleva dimostrare.
In questo modo, conoscendo due integrali primi, si pu6,
con un facile calcolo, ottenerne un terzo, un quarto e cosi via.
Naturalmente, non tutti gli integrali che si ottengono saranno
sostanzialmente nuovi, poich6 in tutto su M" non vi sono p i i
d i 2n funzioni indipendenti. A volte si pu6 ottenere una funzione
dei vecchi integrali, oppure una costante, per esempio zero. Ma
a volte, si ottiene anche un nuovo integrale.
P r o b 1 e m a. Calcolare le parentesi di Poisson dclle compo-
nenti p,, p,, p,, M,, nf,, M, dei vettori impulso e momento della
,quantith di mot0 di un sistema meccanico.
Rkposta. (Mi, M,) M3, i p i (Mi, ~ 2 =) P,,
(Mi, p,) = -p,. Da qui segue il
Teorema. Se in qualche problema meccanico si conservano le due
componenti del momento &l& quantitb di moto, l l f , e 1W2, allora
si conserva anche la terza.
Dimostrazione dell'identith di Jacobi.
Consideriamo la somma

Questa somma B u una combinazione lineare delle derivate scconde


parzialin delle funzioni. Calcoliamo'i termini che contengono le
derivate seconde di A :
((A, B), C) 4- ((C, A), B) = (LcLB - L d c ) A,
dove LE B la differenziazione rispetto alla direzione F;, mentre F
B il campo hamiltoniano, con funzione di Hamilton F.
Ma, per il lemma 2, 8 39, il commutatore delle differenzia-
zioni, LcLH - LBLc, e un operatore differenziale del primo
ordine. CioB, la nostra somma non contiene nessuna delle derivate
seconde di A. Lo stesso vale riferito alle derivate seconde di B e.C.
Conseguentemente, la somma B uguale a zero, c.v.d
Corollario 5. Siano B , C campi hamiltoniani, con funzioni
di Hamilton B, C. Consideriamo la parentesi di Poisson dei campi
vettoriali [ B , C1. Si tra.tta di un campo vettoriak hamiltoniano
e la sua funzione di Hamilton 2 uguak alla parentesi di Poisson
delk funzioni di Hamilton (B, C).
D i m o s t r a z i o n e. Poniamo (R, C) = D . L'identith di
Jacobi si pub scriverc nella forma

come volevasi dimostrare.


C. Algebre di Lie dei canlpi hamiltoniani, delle funzioni di
Hamilton, degli integrali primi. Un sottospazio lineare di un'al-
gebra di Lie si chiama sottoalgebra se, insieme a due elementi
qualsiasi del sottospazio, esso contiene anche il loro cornmutatore.
Una sottoalgebra d i un'algebra di Lie B essa stessa un'algebra di
Lie. I1 precedente corollario contiene, in particolare, il
Corollario 6. I campi vettoriali hamiltoniani, su una varietiz
simplettica, formano una sottoalgebra ddl'algebra di Lie di tutti
i campi.
I1 teorema di Poisson sugli integrali primi pub essere rifor-
mulato cosi:
Corollario 7. Gli integrali primi di un flusso di fase hamilto-
niano formano una sottoalgebra dell'algebra di Lie di tutte b fun-
zioni.
L'algebra di Lie delle funzioni di Hamilton si pub rappre-
sentare in mod0 naturale sull'algebra di Lie dei campi vettoriali
hamiltoniani. Per questo, assoceremo a ogni funzione H il campo
vettoriale hamiltoniano W ,con funzione di Hamilton H.
Corollario 8. La rappresentazione dell'algebra di Lie delle
funzioni, sull'algebra di Lie dei campi hamiltoniani, b un omomor-
fismo di algebre. I1 suo nucleo 2 costituito dalle funzioni localmente
costanti. Se WnL connessa, il nwleo b unidimensionale ed 2 costituito
dalik costanti.
La nostra applicazione B lineare. I1 corollario 5 stabilisce
che la nostra applicazione trasforma la parenteki di Poisson delle
funzioni nella parentesi di Poisson dei campi vettoriali. I1 nucleo
consiste delle funzioni H , per le quali I d H = 0. Poich6 I B un
isomorfismo, d H = 0, H = cost, c.v.d.
Corollario 9. AffinchP i flussi di fase, con funzioni di Hamilton
HI e He, commutino 2 necessario e sufficiente che la parentesi di
Poisson &lle funzioni HI e He sia (localmente) una costante.
In base a1 teorema del punto E , Q 39, B necessario e suffi-
ciente che [HI, H e ] 1 0, mentre, per il corollario 8, l'ultima
condizione B equivalente. a d ( H I ,H z ) = 0.
Abbiamo ottenuto un'altra generalizzazione del teorema di
E. Noether: conoscendo il flusso, c h commuta con quello considerato,
si pui, costruire un integrab primo.
D. Campi vettoriali localmente hamiltoniani. Sia (M",we)
una varietl simplettica, gt: MZn-t Wn un gruppo a un para-
metro di diffeomorfismi, che conservano la struttura simplettica.
E gt un flusso hamiltoniano?
E s e m p i o. La varietl M2n sia un toro bidimensionale Ta,
un punto del quale 6 dato dalla coppia d i coordinate (p, q) modd 1.
Sia we l'ordinario elemento di area dp A dq. Consideriamo la
famiglia di traslazioni gt (p, q) = (p + t, q) (fig. 173). Le appli-
cazioni gt conservano la struttura simplettica (cioB l'area). Si pu6
dare un campo vettoriale corrispondente (p = 1, q = 0) mediante
una funzione di Hamilton? Se fosse = -aHlaq, = aHli3p
avrelnmo aHlap = 0, aHlaq = -1, cioB H = -q + C. Ma q
it soltanto una coordinata locale su T2; non esiste un'applicazione
H: T2 + R per la quale aHlap = 0, aBlaq = -1.
Dunque, g' non B un flusso di fase hamiltoniano.
D e f i n i z i o n e. Si chiama campo vettoriak, localmente
hamiltoniano, sulla varieti simplettica (P, 02), il campo vet-
toriale lo1, dove o' Q una I-forma chiusa
su M2".
Una I-forma, localmente chiusa, B il
differenziale della funzione, o1 = dH. Tut-
tavia, nel tentativo di prolungare la fun-
zione H su tutta la varietl M2", possiamo
ottenere' 4 una funzione d i Hamilton pluri-
Fig. 173. Cam o local- voca B, dato che una I-forma chiusa, su
hamiPtoniano una varieti fion semplicemente connessa,
su un toro.
pu6 non essere un differenziale (per esem-
pio, la forma dq su T2).
I1 flusso di fase, dato da un campo vettoriale localmente
hamiltoniano, si chiama flusso localmente hamiltoniano.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che un gruppo a un parametro
di diffeomorfismi di una varietii simplettica conserva la struttura
simpkttica, se e soltanto se 2 un flusso di fase localmente hamilto-
niano.
S u g g e r i m e n t o. Vedere 4 38, A.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che, nello spazio simpkttico R'",
ogni gruppo a un parametro di diffeomorfismi canonici (che comer-
van0 d p /\ dq) 2 sempre un flusso humiltoniano.
S u g g e r i m e n t o. Ogni I-forma chiusa, in RZn, 6 il
differenziale di una funzione.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che i campi vettoriali, localmente
hamiltoniani, fonnano una sottoalgebra dell'a,lgebra di Lie di tutti
i campi vettoriali. Inoltre, che la parentesi di Poisson di due campi
localmente hamiltoniani 2 un effettivo campo hamiltoniano, la sua
funzione di Hamilton essendo univocamente definita dai campi ahti,
%,q , secondo la formula H = 02(5,q).
In questo modo, i campi hamiltoniani formano un ideale
nell'algebra di Lie dei campi localmente hamiltoniani.

§ 41. Geometria simpkttica


La struttura euclidea, in uno .spazio lineare, B data da una
forma simmetrica bilineare, mentre quella simplettica da una
antisimmetrica. La geometria di uno spazio simplettico non
somiglia a quella euclidea, sebbene abbia molte delle caratteristi-
che precedenti.

E non a meno di una costante.


A. Spazio lineare simplcttico. Sia R2" uno spazio lineare a
dimensione pari.
D e f i n i z i o n e. Si chiama struttura lineare simplettica
in Ren una 2-forma bilineare, antisimmetrica, non degenere',
data in Ran. Questa forma si chiama prodotto antiscalare e si
indica con [g, ql = - [q, F;l.
Lo spazio Ren, insieme con la struttura simplettica [,I, si
chiama spazio lineare simplettico.
E s e m p i o. Siano (pl, . . ., pn; ql, . . ., qn) le Iunzioni
coordinate in R2" e w2 la forma

Poich6 questa forma Z non degenere e antisimmetrica, la


si pu6 prendere come prodotto antiscalare: [g, q l = w2 (g, q).
In questo modo, lo spazio coordinato RZn= { ( y ,q ) ) riceve una
struttura simplettica. Questa struttura si chiama standard.
I n una struttura simplet.tica st.andard il prodotto antiscalare di
due vettori g, q 6 uguale alla somma delle aree orientate del
parallelogramma (g, q ) sugli n piani coordinati (pi, qr).
Due vettori g, q , in uno spazio simplettico, si chiamano.
antiortogonali (g - q), se il loro prodotto antiscalare G uguale
a zero.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che f ,/ g: ogni vettore t antiorto-
gonale a se stesso.
L'insieme di tutti i vettori, antiortogonali a un dato vetto-
re q , si chiama complemento antiortogonale ad q .
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il complemento antiortogo-
nale a q B un iperpiano 2n - I-dimensionale, che contiene q.
S u g g e r i m e n t o. Se tutti i vettori fossero antiortogo-
nali a 11 la forma I,] sarebbe degenere.
B. Base simplettica. La strutt.ura euclidea, con una scelta
appropriata della base (essa deve esaere ortonormale), B data
dal prodotto scalare di una speciale forma standard. Esattamente.
nello stesso modo, anche la struttura simplettica assume l'aspet-
to standard, mostrato sopra, in una base appropriata.
P r o b 1 e m a. Trovare, nell'esen~pioportato sopra, i pro-
dotti antiscalari dei vettori di base e,,, eqi (i = 1, . . ., n).
S o 1 u z i o n e. Dalla definizione di p, /\ q1 +
. . . pn /\ +
qn seguono le relazioni

Torniamo ora a uno spazio simplettico generalc.


D e f i n i z i o n e. Si chianlano base sim.pletticn 211 vettori
e P i , cqi ( i = 1. . . ., n). i cui prodotti antiscillari ~ R I I I I O la
forrna (1).
1 La 2-forma [,I i n R2n B non degenere, se (Iz, q] -- 0 v q) 3 (E = 0).
In altre parole, ogni vettore di base b antiortogonale a tutti
i vettori di base, escluso qwllo congiunto; il prodotto dei vettorf
congiunti 2 ugwle a f 1.
Teorema. In ogni spazio simplettico esiste tcha base simpldtica.
Inoltre, come primo vettore di bake, si p& prendere quukiasi vettore
non nullo e.
Questo teorema B esattamente analogo a1 cqrrispondente
teorema della geometria euclidea e. si dimostra quasi nello stesso
modo.
Poiche il vettore e Q diveno da zero, esiste un vettore f non
antiortogonale ad esso (la forma [,I Q non degenere). Scegliendo
la lunghezza di questo Vettore, si pub fare

,dy
in mod0 che il suo prodotto antiscalare
con e diventi uguale ali'uniti. Nel caso
di n = 1 il teorema B dimostrato.
Se invece n > 1, consideriamo il com-
p l e m e n t ~ antiortogonale D (fig. 174) alla
coppia d i vettori e , f . D B I'intenezione dei
Fig.to i74. Complemen- complementi antiortogonali a e ed f.
antiortogonale.
Questi due sottospazi, 2n - 1-dimensionali,
non coincidono, poichd e non giace nel
complemento antiortogonale a f. Dunque, la loro intenezione D
ha dimensione pari, 2n - 2.
Dimostriamo che D 6 un sottospazio simplettico in Ran,
cio6 che il prodotto antiscalare [,I su D Q non degenere. Effcttiva-
mente, se il vettore g E D fosse antiortogor~aleall'intero spazio D ,
allora, essendo antiortogonale anche ad e ed f, questo vettore 6
sarebbe antiortogonale a Ran, il che contraddice la non singola-
r i t i di [,I su Ran. Cioi? B un sottospazio simplettico.
Ora, se si aggiungono alla base simplettica in D*-2 i vettori e
ed f , otteniamo una base simplettica in Rm, e la dimostrazione
del teorema si completa per induzione fino alla dimensione n.
Corollario. Tutti gli spazi simplettici, di uguale dimensione,
sono isomorf i.
Se si prendono i vettori della base simplettica, come versori
coordinati, otteniamo il sistema di coordinate pi, q,, nel quale [,I
assume la forma standard p, /\ q, + +
. . . pn /\ q,. Tale siste-
ma di coordinate si chiama simplettico.
C. Gruppo simplettico. Alla struttura euclidea 13 legato il
gruppo ortogonale delle applicazioni lineari, che conservano la
struttura euclidea. Un ruolo analogo lo svolge nello spazio sim-
plettico il gruppo simplettico.
D e f i n i z i o n e. La trasformazione lineare S: R2n-+ Rs,
dello spazio simplettico R2n in se stesso, si chiama simpldtica
se conserva il prodotto antiscalare:
L'insieme di tutte le trasformazioni simpletticl~edi Ran si chiama
gr~cpposimpkttico e si indica con S p (2n).
E evident.0 che il 'prodotto di due trasformazioni simplettiche
risul t.a essere una trasformazione simplettica. Per giustificare
il $ermine gruppo simplettico, si deve dimostrare soltanto che
una t.rasformazione simplettica & non degenere, e allora 6 chiaro
che anche l'inversa P simplettica.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il gruppo Sp (2) 3 isomorfo
a1 gruppo delle matrici reali del second0 ordine, con determinan-
te 1. ed t! omeomorfo all'interno tridimensionale di una ciam-
bella.
Teorema. La trasformazione S: R2" -+ R2" dello spazio sim-
plettico standard ( p ,q ) 2 simplettica, se'e soltanto se 2 lineare e cano-
nica. cio2 conserva la 2-forma differenziale
0%= d ~ Al 471 + ... + cEp, /\ dq,,.
D i m o s t r a z i o n e. Per una ideritificazione intrir~seca
dello spazio tangelite a Rm e R2", la 2-forma w2 si muta in I,].
Corollario. I 1 determinante di qu.alsiasi trasformazione simplet-
tica 2 u p a l e all'unith.
D i m o s t r a z i o n e. G i i sappiamo (3 38, B) clie le tra-
sformezioni canoniche conservano le potenze esterne della forma w2.
Ma la sua potenza esterna n-esima (a meno di una costante mol-
tiplicativa) t! l'elemento di volume in R2". Cii) implica che le
trasformazioni simplettiche S dello standard R2" = {(p,4)).
conservano l'elemento d i volume, cosicch6 det S = 1.
Ma, dato che ogni struttura lineare simplettica si scrive
nella f o m a standard in un sistema simplettico di coordinate,
il cleterminante di unn trasformazione simplettica di qualsiasi
spazio simplettico 6 uguale all'unith, c.v.d.
Teorema. Urla trasjormazione lineare S: R"' -t R2" 2 sim-
plettica, se e soltanto se trasjorma qualche base simplettica (e allora
.quahcnque) in una base sirnp2ettica.
D i m o s t r a z i o n e. I1 prodotto' aritiscalare di due
qualsiasi combinazioni lineari di vettori di base si esprime con
i prodotti antiscalari dei vettori di base. Se la trasformazione
non cambia i prodotti antiscalari dei vettori di base, allora non
cambia neanche i prodotti antiscalari di vettori qualunque, c.v.d.
D. Piani nello spazio simplettico. I n uno spazio euclideo tutti
i punti sono equiva1ent.i: ognuno di essi pui, e,sserc sovrapposto,
con un movimento, a qualunque altro.
Consideriamo uno spazio lineare simplettico da questo punto
di vista.
P r o.b 1 e m a. Dimostrare che un vettore, non nullo, di uno
spazio simplettico si pub port.are in qualunque altro vettore,
non nullo, con l111a l~.asformazionesimplettica.
P r o b 1 e m a. Dimo~trarc clle, (!;I 1111 dato 2.pian0, norr
si pui, ottenere, con una trasformaziane sirqplottjoa, ogni piano
bidimensionale d i uno spazio, simplettico R2", n > 1.
S u g g e r i m e 11 t o. f=onsidg&rite i piani ( p , , p,) c ( p l , q?.
D e f i 11 i z i 0 n 9. Un p i a ~ r k-dimenslanals,
, di uno spazio
simplettico, si chigma nyllo 1, so 6 a~~tiortagonale a se stesso,
cio6 se il p~odottc\antiscglar9 di due vettori qualunque del piano
+ uguale a zeFQt
E s e m p i o. In un sist.ema simplettico di coordinate p, q,
il piano coordinata ( p , , . . ., p h ) t nu110 (dimostratelo!)
F r 9 h j e m 3, Dimastram ohe q y ~ l s i a s i piano bidimen-
sionale, non nullo, si pui, portare, con una trasformezlone simplet-
tica, in qualunque altro rlon nnllo.
Per i calcoli, in unn geometria simplettica, r i s u l t ~utile
introdurre allche qnalche struttura euclidea nello apazio simplet-
tico. Fisseremo un sistema simplettico di coordinate p, q e intro-
durremo una struttura euclidea, con I'aiuto del prodotto scalare
delle coordinate
(x, x ) = 2 pf +q : , dove 3: = Piepi 4-9iepi.
La base simplettica e,, e, in questa struttura euclidea
b ortonormale. I1 prodotto antiscalare, come ogni forma bilineare,
B espresso attraverso quello scalare 11ella forma
It, Ill = ( I t , Il), (2)
dove I: R2"-t R2" I, un qualche operatore. Dall'antisimmetri-
c i t i del prodotto nntiecalare deriva che l'operatore I B antisim-
metrico.
P r o b l e m a. Calcolare la miltrice dell'operatore I nella
base simplettica e,,, eqi.
0 -- E
Risposta. ( E .
O ) dove E E tlna rnatriee unitaria dl
ordine n .
In questo modo, per n = 1 (sul piano p, q) I b semplice-
mente una rotazione di 9OC, mentre 11e1 caso generale I 6 una
rotazione di 90" in ognuno degli n piarli p i . q i .
F! r o b 1 e m a. Dimostrare che l'operatore I 8 simplettico
e che I2= -E2,.
Sebbene la struttura euclidea e l'operatore I siano legati
con lo spazio simplettico in modo non invariante, essi risultano
spesso utili.
Dalla (2) consegue immediatamente il
Teorema. I1 piano n di uno spazio simplettico t nullo, se
e soltanto se il piano In 2 ortogonale a n .

1 I piani nulli si chiamano anche irotropi e per k = n, lagrangiarri.


Usserviamo cho le djrwpsjftr!i dei piarli n e I n coincidono,
poiclrb J 6 non degenere. Da cui il"
Corollario. La dimensione di un piano nullo in R2" non supe-
ra n.
Effettivamente, due piarii k-dimensionali n e ' I n in RZn
non po,ssono essep ortogonali, se k > n.
Consideriamo, pi6 in dettaglio, i piani nulli n-dimensionali
nello spazlo eimplettico coordinato R2". Serve, come esempio
.di tali piani, un p-piano cpordinato. In tut-
to. in R2" = {(p, 9))) vi sono C!, piaqi
coordinati n-dlmensionali.
P r o b 1 s nl a. Dimostrarc che, tra i
C;, piani coordinati n-Jimerlsionali, quelli
nulli sono ~sattamente 3", E io partico-
lare che, a ciaseuna delle 2" partizioni Fi ,$. CQstrurione
dell'insierne (1, . . . n in due parti def piaao coprdi,,ato
.
(ilt . . ., i k ) t (11, u i ~ - k ) c~rris~ond
piano nil110 coordinate p i , , . . ., Pik,
ile u, trasversale a un da-
to piano n.
,9jl? *, qf,,k*
-
Per lo studio delle funzioni gerleratrici di trasformazioni
canoniche ci servirl il
Teorema. Ogni piano nullo n-dimensionale n , nello spazio
simplettico coordinato R2", 2 trasversale' almeno a uno dei 2" piani
coordinati nulli.
D i m o s t r a z i o n e. Sia P il piano nullo p,, . . ., P n
(fig. 175). Consideriamo l'intersezione
~ = n n P .
Ammettiamo che la dimensione di T sia uguale a k, 0 k < <
n.
Come ogni sottospazio k-dimensionale dello spazio n-dimensio-
nale P , il piano T i! trasversale almeno ad un piano coordinato
n - k-dimensionale in P , diciamo a1 piano

Costruiam~il piano coordinato nullo n-dimensionale

e dimostriamo che il nostro piano n P trasversale a a:


nnu=O.
Effettivamente abbiamo
/
z c n , n-n+z-n, / /
1
q c a , o--u*q& =+(z+ q ) - ( n n u ) + P - ( n n u ) .

Due sottospazi L, e L,, di uno spazio lineare L, sono trasversali, se


L, + L, = L. Due piani rz-dimensionali in R2n sono trasversali, se e soltan-
to se si intersecano nel solo punto 0.
Ma P 6 un piano nu110 n-dimensionale. Dunque, ogni vettore,
antiortogonale a P, appartiene a P (vedere il corollario sopra),
Cosi, (n n a) c P. Per finire,

che B ci6 che si voleva dimostrare.


P r o b 1 e m a. Siano nl, n 2 due piani k-.dimensionali nel
simplettico Rm. Si pu6 sempre portare nl in n 2 con una Ira-
sformazione simplettica? Quante classi di piani esistono, che
Iron possono essere portati l'uno nell'altro?
2n-k
Risposta. [ + ] + I , se k<n; [T]+l, se k>n.
E. Struttura simplettica e struttura complessa. Poich6 I ? =
- -E, possiamo introdurre nel nostro spazio H2", accanto alla
struttura simplettica [,I e a quella euclidea (,) anche una struttura
complessa, definendo il prodotto per i = v--1 come un'azione
di I. Lo spazio R2" si identifica inoltre con lo spazio complesso C*
(se si vuole, con lo spazio coordinato, con coordinate 21, = p k +
+ Le trasformazioni lineari di R2",che conservano la struttura
euclidea, formano il gruppo ortogonale 0 (n), che conserva la
struttura complessa, il gruppo lineare complesso GL (n, C).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che le trasformazioni ortogonali
e cor,temporaneamente simplettiche sono complesse, che quelle com-
plesse e ortogonali sono simplettiche, mentre quelle simplettiche
e complesse sono ortogonali, cosicch6 l'intersezione di due, dei t,re
gruppi, 6 uguale all'intersezione di tutti e. tre:
0 (2n) n Sp (2n) = Sp (2n) n GL (n, C) = GL (n, C) n 0 (2n).
Questa intersezione si chiama gruppo unitario U (n).
Le trasformazioni unitarie conservano il prodotto scalare
hermitiano (5, q ) +i [E, ql; i prodotti scalare e antiscalare
in R2* sono le sue parti reale e immaginaria.

$ 42. Risonanza parametrica in sistemi a molti gradi di libertit


Nell'analisi dei sistemi oscillanti, con parametri che variano
periodicamente (vedere 9 25), abbiamo chiarito che la risonanza
parametrica dipende dal comportamento degli autovalori di
qualche trasformazione lineare (t applicazione di un periodo n).
La dipendenza consiste nel fatto che la posizione di equilibrio
di un sistema, con parametri che variano periodicamente, 6 sta-
bile, se gli autovalori dell'applicazione di un periodo sono, in
modulo, minori dell'uniti; instabile, se almeno uno degli auto-
valori 13, in modulo, maggiore dell'unith.
L'applicazione di un periodo, ottenuta da un sistema di
equazioni di Hamilton con coefficienti periodici, B simplettica.
Lo studio della risonanza. parametrica nei sistemi a un grade
di liberti, introdotto nel 5 25, 6 basato sull'analisi del comporta-
mento degli autovalori delle trasformazioni simplettiche del
piano.
Nel presente paragrafo si fa un'analisi analoga del compor-
tamento degli autovalori di trasformazioni lineari simpletticl~e
di uno spazio delle fasi, con numero di dimensioni qualunque.
I risultati di questa analisi (dovuta a M. G. Krejn) si applicano
a110 studio delle condizioni, per cui si origina una risonanza
parametrica in sistemi meccanici con molti gradi di liberti.
A. Matrici simplettiche. Consideriamo la trasformazione
lineare. dello spazio simplettico S: Rm -t Rm. Sia pl, . . ., p,;
ql, . . ., q, un sistema simplettico di coordinate. In questo
sistema di coordinate la trasformazione 6 data dalla matrice S.
Teorema. Affinchr?'una trasformazione sia simplettica, t neces-
sario e sufficiente che la sua matrice S nel sistema simplettico di
coordinate (y, q) soddisfi la relazione
- S'IS = I,

dove I = (i -E
0 ) , mrntre S' t? la matrice trasposta di S.
D i m o s t r k z i o n e. La condizione di simpletticltb
([St, Sql = [ t , q l per ogni 6, q ) si scrive, per mezzo dell'o~-a-
tore I , attravewo il prodotto scalare nella forma
( I S t , s q ) = ( I t , 11) v t, r
o anche
(S'IS 8, tl) = ( I t , q) v t , q ,
che I! quanto si voleva dimostrare.
B. Simmetria dello spettro di una trasformazione simplettica.
Teorema. I1 polinomio caratteristico !di una trasformazione
simplettica
p (A) = det I S - AE I
2 riflessivo l, ciob p (A) = I m p (llh).
D i m o s t r a z i o n e. Utilizzeremo il fatto che det-S =
= det I = 1, la= - E e det A' = det'A. Per il teorema prece-
dente S = -IS1-lI. Dunque,
p (1")= det (S- hE) = det (- IS'-'I - AE) = det (-St-' + AE) -
che 6 cib che si voleva dimostrare.
Si chiama riflessivo un polinomio a,xm
coefficienti sono simmetrici: a, = a,, a, = a,-,,
+ . .. + . . . + a,,
alxm-l i cui
Corollario. Se A 2 r c n autovnlore di rinn trasformazione simplet-
tica, allora ancle l l h E un autovalore.
D'altro lato, il polinomio caratteristico i? reale; quindi,
se h un autovalore complesso, X L\ un autovalorc che non coincide
(1

cot1 A.
D R qui segue che tutte le radici del polinomio complesso
so110 poste simmetricamente rispetto all'asse reale e alla cir-
conferenza unitaria (fig. 176). Esse si dividono nelle quatorne

e ~ l e l l ccoppie, poste sull'asse reale,

o sulla circonfercnza unitaria

Non G difficile capire che Ic: moltcplicitj. di tutti e quattro i punti


di una quaterr~a(o d i entrambi i punti tli una coppia) sono uguali.
C. Stabiliti.
D c f i n i z i o n e. La trasformazione S si chiama stabile. se

P r o b 1 e m a. Dimostrare che, se almeno uno degli autova-


lori della tra.~formazionesimplettica S iton giace sulla circonferenza
unitaria, S B instabile.
S i g g e r i m e n t o. A causa della simmetria dimostrata,
sc almeno uno degli autovalori non giace sulla circonferenza
unitaria, esiste un autovalore fuori del cerchio unitario I A I > 1;
nel sottospazio invariantc corrispondente S B I'ccestensione con
rotazione f i .
P r o b'l e m a. Dimostrare che, se tutti gli autovalori di una
trasformazione lineare sono diversi e giacciono sulla circonferenza
unitaria, la trasforrnazione 2 stabile.
S u g g e r i m e n t o. Passare alla base costituita dagli
autovalori.
D e f i n i z i 0.n e. La trasformazione simplettica S si
chiama totalmente stabile, se ogni trasformazione simplettica Sl,
sufficientemente vicina ad essa, i? stabile '.

1 S1 6 a sufficientemente vicina n a S, se gli elementi della matrice S1


in una data base, differiscono da quelli della matrice S, nella stessa base,
a meno di un numero E sufficientemente piccolo.
Nel ,§ 25 abbiamo .stabilito che S: R a + R ' 6 totalmente
stabile, se &,, = e*b, & # 1,.
Teorema. Se tutti i 2n autovalori delh trasfonnaziom simplet-
tlccr S sono dfversi tra lor0 e giacciono sulk circonferenza unitaria,
h trasformaziom S b totalmente stabile.
D i m o s t r a z i o n e. Chiudiamo i 2n autovalori 1 in 2n
intorni non intersecantisi, simmetrici rispetto alla circonferenza
unitaria e all'asse reale (fig. 177). Le 2n radici del polinomio

Fi .
176. Disposizione degli auto- .
Fi 177. Comportamento di auto-
uafori di una tnaformazione sim- vafori rmm licl per un piccolo cam-
plettica. biamento iella trasformazione sim-
plettica.

caratteristico dipendono dagli elementi della matrice S in mod0


continuo. In conseguenza di cib, se la matrice S1 b sufficiente-
mente vicina a S, in ognuno dei 2n intorni dei 2n punti 1giace
esattamente un solo autovalore 1, della matrice S1. Ma se uno
qualsiasi dei punti 1, non giacesse sulla circonferenza unitaria
e fosse invece, per esempio, all'esterno, allora per il teorema di
pag. 223, nello stesso intorno vi sarebbe ancora un punto A,,
( 1, 1 < 1, e il numero complessivo dells
radici sarebbe maggiore di 2n, il che b
impossibile.
Cosi, tutte le radici di S1giacciono
sulla circonferenza unitaria e sono diverse
tra loro, ciob S, 6 stabile, come si voleva
dimostrare.
Si pub dire che l'autovalore 1 di
una tras$ormazione simplettica pub la-
kig i,g Comportamento
sciare la circonferenza unitaria, solo di 'aut&,alori multipli
avendo urtato con un altro autovalore iccolo cambia-
(fig. 178); inoltre, contemyoraneamente, g:nPo" ella trasforma-
urtano nli autovalori com~lessi coniu- ziOne
gati, e %a queste due cophie di radici
sulla circonferenza si ottiene una quaterna (o una coppia' di 5
reali).
Dai risultati del 8 25 segue che le condizioni, per l'apparire
di una risonanza parametrica in un sistema canonico lineare con
una funzione di Hamilton che varia periodicamente, consistono
proprio nel'fatto che la corrispondente trasformazione simplettica
dello spazio delle fasi cessa d i essere stabile. E chiaro, dal teore-
ma dimostrato, che cib pub accadere solo per uno scontro d i auto
valori sulla circonferenza unitaria. I n effetti, come ha notato
M. G. Krejn, non tutti questi scontri sono pericolosi.
Risulta che gli autovalori h, I h I = 1 si dividono in due
classi: positivi e negativf. Nell'urto di due radici dello stesso
segno, le radici t si attraversano b e non possono uscire dalla cir-
conferenza unitaria. A1 contrario, due radici di segni diveni,
in generale, per uno scontro abbandonano la circonferenza uni-
taria. .
La teoria di M. G. Krejn esce dai confini di questo libro,
ma qui saranno formulati i principali risulati, sotto forma d i
problemi.
P r o b 1 e m a. Siano h, autovalori semplici (molteplicit&
1) della trasformazione simplettica S e sia I I 1 = 1. Dimostrare
che il piano invariante bidimensionale nh corrispondente a h, X
B non nullo.
S u g g e r i m e n t o. Siano 5,, E, gli aut.ovettori complessi
di S, corrispondenti agli autovalori I,, I,. Allora, se I,I, # 1,
i vettori El, E, sono antiortogonali: [El, Ezl = 0.
Sia E un vettore reale del piano nA, Im I > 0, I I I = 1.
L'autovalore I si chiama positivo se [SE, 51 > 0.
P r o b 1 e rn a. Dimostrare che questa affermazione 2! esatta,
cioe non dipende dalla scelta del vettore 5 # 0 nel piano n,,.
S u g g e r i m e n t o. Se il piano n~ contenesse due vettori
antiortogonali non collineari, sarebbe nullo.
Nello stesso mod0 l'autovalore k volte degenere I , I h I = 1
6 di segno definito, se la forma quadratica [SE, 51 6 di segno defini-
to sul sottospazio invariante 2k-dimensionale, corrispondente
a I, Z.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che, per la stabiliti totale di S,
2! condizione necessaria e sufficiente che tutti gli autovalori h
giacciano sulla circonferenza unitaria e siano di segno definito.
S u g g e r i m e n t o. La forma quadratica [Sg, El i? 'inva-
riante rispetto a S.

Q 43. Atlante simplettico


In questo paragrafo si dimostra il teorema di Darboux,
second0 il quale ogni varieti simplettica ha coordinate locali
p, q, aelle quali la struttura simplettica si scrive molto sempli-
cemente: 0%= d p /\ dq.
A. Coordinate simplettiche. Ricordiamo che nella definizione
di varieti entra la condizione di compatibilith delle carte di un
atlante. .Quests B una condizione sulle applicazioni cpl1cpl di
passaggio da una carta all'altra. Le applicazioni cpllcp, sono,

applicazioni di domini dello spazio coordinato.


D e f i n i z i o n'e. L'atlante della varieth i P si chiama
stmplettico se nello spazio coordinato Rm = {(p,q)) B introdotta
una struttura simplettica standard o ' = d p dq, e il passaggio
da una carta all'altra si compie con una trasformazionel canonica
(cio6 che conserva oa) qflcpl.
P r o b 1 e m a. Mostrare che un atlante simplettico determi-
na la struttura simplettica su P;
E Vera anche l'affermazione inversa: ogni varieth simplettica
ha un atlante simplettico. Ci6 deriva dal teorema seguente.
B. Teorema di Darboux.
Teorema. Sia 0% una 2-forma differenziak chillsa, non degenere,
definita in un intorno di un punto x dello spazio Ran. Allora, in
qualehe intorno det punto s si pub scegliere un sistema di coordinate
locali @, . ; ., p,,; ql, . . ., qn) tab, che la forma prenda l'aspetto
standard

Questo teorema permette di estendere subito, a tutte lo


varieth simplettiche, qualsiasi affermazione di carattere locale,
che sia invariante rispetto a trasformazioni canoniche e dimostrata
per lo spazio standard delle fasi (R", a*=
= d p A dq)..
C. k t r u z i o n e delle coordinate y , e. q,.
Come prima coordinata p, prendiamo una
funzione lineare non costante (si potrebbe
prendere qualsiasi funzione differenziabile,
il cui differenziale fosse diverso da zero nel
punto a). Per semplificare considereremo
P l ( 4 = 0.
Indichiamo con PI = I dp, il campo Fi . 179. Costruzione
hamiltoniano, corrispondente alla funzions defle coordinate
p, (fig. 179). Notiamo che PI (x) # 0. plettiche.
Percib, attraverso il punto x si pud condur-
re un iperpiano NM-l, clie non contiene il vettore P1(x) (a1
posto di Nm-I si potrebbe prendere qualsiasi superficie, trasver-
sale a PI(x)).
Consideriamo il flusso hamiltoniano Pi con funzione di
Hamilton p,. Consideriamo il tempo t che occorre per andare
da N fino a1 punto x = Pf?j(y E N), sotto l'azione del flusso P f ,
come funzione del punto x . Per un teorema comune della teoria
In mbdo analog0 si definiscono, per escmpio, le varietE analitico-
complesse: nello spazio coordinato deve esserci una struttura complessa,
mentre il passaggio da una carta all'altra deve essere analitico-cornpleaso.

227
delle equazioni differenziali ordinarie, questa funzione 6 definita
e differenziabile in un intorno del punto x E R2". Indichiamola
con q,. Notiamo che q, = 0 su N, e che la derivata della fun-
zione q,, rispetto alla direzione del campo PI, B'uguale a 1. Dunque,
la parentesi di Poisson &lle funzioni cosi costruite, q, e p,, 2 uguale
a 1:
(91, PI) = 1.
D. Costruzionedi coordinate simplettiche per induzione fino a n.
Se n = 1, la costruzione B finita. Sia n > 1. Supporremo gih
dimostrato il teorema di Darboux per R2n-2.
Consideriamo l'insieme M, dato dalle equazioni p, = q, = 0.
I differenziali dp, e dq, nel punto x sono linearmente indipendenti,
poich6 02( I dp,, I dq,) = (q,, p,) = 1. Dunque, per il teorema
sulla funzione implicita, nell'intorno clel punto x l'insieme M
h una varieth di dimensione 2n - 2; la indicheremo con Mm-2.
Lemma. La struttura simplettica m2 in R2" induce, in qualck
intorno &l punto x su M2n-2, una struttura simplettica.
D i m o s t r a z i o n e. Per la dimostrazione serve soltanto
la non singolariti di 02su TM,. Consideriamo lo spazio simpletti-
co lineare TR2"x. I vettori PI( x ) , Q , (3)dei campi hamiltoniani,
con funzioni di Hamilton p, e q,, appartengono a TR2"x. Sia
g E TAI*. Le derivate di p, e q, rispetto alla direzione di sono
uguali a zero. Cio@ dp, (g) = m2 (P,, g) = 0, dq, (5) = 02x
x (Q,, = 0. Dunque, Tillz il complemento antiortogo-
nale a PI(x), Q , (x). In accordo con il $ 41; B la forma 02 su
TM, i? non degencre. I1 lemma L; dimostrato.
Per ipotesi d'induzione, sulla varieti simplettica (M2n-2,
w2 IM) nell'intorno del punto x esistono coordinate simplettiche.
Indichiamole con pi, qi (i = 2, . . ., n). Prolunghiamo le fun-
zioni p,, . . ., qn sull'intorno del punto x in R2" nel seguente
modo. Ogni punto x , dell'intorno del punto x in R2", si pub
porre in mod0 unico nella forma z =.-.PiQ"), dove ou E Mzn-2,
mentre s e t sono numeri piccoli. Ponianro i valori delle coordinate
p,, . . ., q,, nel punto x uguali ai loro valori riel punlo uo(fig. ?79).
Le 2n funzioni costruite p,, . . ., p,; ql, . . ., qn formano
nell'intorno del punto x un sistema di coordi~iatelocali in RM.
E. Dimostrazione della simpletticiti delle coordinate costruite.
Indichiamo con PI e Qf (i = 1, . . ., n) i flussi hamiltoniani,
con funzioni di Hamilton pi, q,, e con Pi,Q r i corrispondenti
campi vettoriali. Calcoliamo le parentesi di Poisson delle fun-
zioni p,, . . ., q,. Abbiamo gi&visto, a1 punto C, che (q,, p,) = 1.
Conseguentemente i flussi Pt e Q; commutano: P:Q: = QfP:.
Dunque, le parentesi di Poisson di p, e q, con tutte le 2n - 2
funzioni pi, qi (i > 1) sono uguali a zero '.
1 Ricordando la definizione di p , . . ., q,, si vede che ognuna d i
queste funzioni b invariante rispetto ai f'fussi P: e Qf.
L'applicazione PiQ: commuta percib con tutti i 2n - 2
flussi Pf, Q: (i > 1). Conseguentemente, lascia a1 loro posto
ognuno dei 2n - 2 campi vettoriali P i , Q i (i > 1). L'applica-
zione P:Q: conserva la struttura simplettica 02,dato che i flussi
Pi e Q: sono hamiltoniani. Per questo, i valori nei punti x =
=P:Q: w E Rm e w E Mm-%della forma 02, sui vettori di due
qualslasi dei 2n - 2 campi P i , Q i ( i > 11, sono uguali. Ma questi
valori sono uguali ai valori delle parentesi di Poisson delle cor-
rispondenti funzioni di Hamilton; Dunque, i valori della parentesi
di Poisson di due qualsiasi delle 2n - 2 coordinate pi, qi (i > l ) ,
nei punti x e w , sono uguali, se x = P:aw.
Le funzioni p, e q, sono integrali primi di ognuno dei 2n - 2
flussi P f , Qf (i > 1). Percib ognuno dei 2n - 2 campi P i ,
Q i ( i 3 1) B tangente alla varieti di live110 p, = q, = 0. Ma
questa varieti B M2"-2. Percib ognuno dei 2n - 2 campi P i ,
Q i (i > 1) 6 tangente a M2"-2. Ne consegue che questi campi
sono campi hamiltoniarii sulla varieti simplettica (M2"-', o2 IM),
e le corrispondenti funzioni di Hamilton sono uguali a p i I ,,
qi IM (i > 1). Cosi, in tutto lo spazio (R2", 02) la parentesi di
Poisson di due qualsiasi delle 2n - 2 coordinate pi, qi (i > I),
considerata su MM-2, coincide con la parentesi di Poisson di queste
coordinate nello spazio simplettico (M2n-2, 02 1,).
Ma per ipotesi d'induzione, le coordinate su M2"-2 (pi I?,
qi I;, i > 1) sono simplettiche. Per questo in tutto lo spazio
R2" le parentesi di Poisson delle coordinate costruite hanno i valo-
ri standard
(pil ~ j E
) (pi, qj) (4il 91) E 01 (qi, pi) 1-
Tale forma hanno anche le parentesi di Poisson delle coordinab
p, q in Rm, se o2= 2 dpi A dqi. Ma la forma bilineare 6 definita
dai suoi valori sulle coppie dei vettori di base. Conseguentemente,
le parentesi di Poisson delle funzioni coordinate determinam la
forma di o2 in mod0 univoco. Dunque,
0 2 = = p , / \ dq,+ . . . +dp, /\ dq,.
I1 teorema di Darboux B dimostrato.
IX. Formalismo canonico

Prevale in questo capitolo il punto di vista delle coordinate.


I1 sistema delle funzioni generatrici di trasformazioni canoniche,
sviluppato da .Hamilton e Jacobi, 6 il p i i potente dei possibili
metodi d'integrazione delle equazioni differenziali della dinamica.
Ohre a questo metodo, il capitolo contiene una trattazione a dimen-
sionalmente dispari, dei flussi di fase hamiltoniani.
Questo capitolo 15 indipendente da quello che precede. Esso
contiene nuove dimostrazioni di una serie di risultati del capi-
tolo VIII e anche una spiegazione dell'origine della teoria delle
varieti simplettiche.

$ 44. Invariante integrale di Poincare' - Cartan


Si considera rrel presente paragrafo la geometria di una l-for-
ma in uno spazio a dimensioni dispari.
A. Lemma idrodtnamico. Sia v un campo vettoriale in uno
spazio euclideo orientato tridimensionale R3, r = rot v il campo
del suo rotore. Le curve integrali di r si chiamano linee di rotore
o anche lime di vortice. Sia y, una curva chiusa in R3 (fig. 180).
Le linee di r o t m , che passano attraverso i punti di y,, formano
un tub0 di rotore.
Sia y, una seconda curva, che avvolge lo stesso tubo di
rotore, cosicch6 y1 - y, = aa, dove a b una 2-catena, che rappre-
senta una parte del tub0 di rotore. Vale il
Lemma di Stokes. La circolazione del campo v su atrambe
le curve yl e y, 2 la stessa:
$ v dl = $ v d l .
YI V*
D i m o s t r a z i o n e. In base alla formula di Stokes

vi
.
$a dl - &v dl =
Y2 1s rot v d n = 0, dato che rot v 15 tangente
a1 tub0 di rotore, c.v.d.
B. Lemma di s t o k e s multidimensionale. I1 lemma di Stokes
ammette una generalizzazione nel caso di una qualsiasi varieth
di dimensioni dispari M?"+' (invece di R3). Per formulare questa
generalizzazione, passiamo dai campi vettoriali alle forme diffe-
renziali.
La circolazione del campo v 6 l'integrale della l-forma
o1(01 (5) = (v, g)). A1 rotore del campo v corrisponde la 2-forma
= do1 (do1 (5, q ) = ( r , g, q)). Da questa formula I! evidente
che in ogni punto esiste una direzione (e cioI! la direzione del
rotore r , fig. 181), che possiede la proprietl per cui la circola-

Fig. 180. Tubo di rotore. Fig. 181. L'asse legato invariante-


mente con la 2-forma in uno spazio
a dimensioni dispari.

zione di v sul contorno di ogni aarea infinitamente piccolan,


che contenga r, B uguale a zero:
d o l ( r , q ) = 0 Vq.
Effettivamente, do1 ( r , q ) = ( r , r, q) = 0.
0 s s e r v a z i o n e. 11. passaggio dalla 2-forma o2 = do1
a1 campo del rotore r I! un'operazione non invariante: essa dipende
dalla struttura euclidea di RJ.
Tuttavia la direzionel del rotore r B legata, in mod0 inva-
riante, alla 2-forma oa (e, quindi, alla l-forma. ol). In effetti,
6 facile verificare che, se r # 0, la direzione di r B definita,
in maniera univoca, dalla condizione { a 2 ( r , q ) = 0 Vq).
I1 fondamento algebrico del lemma multidimensionale di
Stokes Q I'esistenza di un asse per ogni rotazione di uno spazio
a dimensioni dispari.
Lemma. Sia oBuna 2-forma algebrica esterna nello spazio
lineare a dimensioni dispari Rm+'. Esiste un vettore E # 0, tale che
0' (g, q) = 0. v q RP"+l.
D i m o s t r a z i o n e. La forma antisimmetrica 02 6 data
dalla matrice antisimmetrica A
oB(59 'I)) = ( 4 , 9)
d i ordine dispari 2n + 1. I1 determinante di tale matrice B uguale
a zero, dato che
A' = -A, det A = det A' = det (-A) = (-l)"+l det A =
-- - det A.
C i d la retta non orientata, la cui direzione B individuata dal vettore
T.:R
Dunque, il determinante di A 13 uguale a zero. Ciob A.ha un auto-
vettore 6 # 0 con autovalore 0, che B quanto si doveva dimostrare.
I1 vettore 8, per il quale wa (E, q) E 0 per ogni q, si chiama
vettore nullo della fonna o\ Evidentemente, tutti i vettori nulli
di oz formano un sottospazio lineare. Una forma si chiama non
singolare, se la dimensione di questo spazio i! la minima possibile
(cioi! 1 nello spazio a dimensione dispari Rm+', 0 in uno a dimen-
sione pari).
P r o b l e m a. Consideriamo nello spazio a dimensione pari
.
Rm, con coordinate p,, . ., p,; q,, . . ., q,, la 2-forma w2 =
= dp, /\ dq, + +
. . . dp,, /\ dq,,. Dimostrate che. la forma oa
B non singolare.
P r o b 1 e m a. Consideriamo in uno spazio a dimensione
dispari Ran+', con coordinate p,, . . ., p,; ql, . . ., q,; t, la
2-forma oa = z p i dq, - o1dt, dove o1 Q una qualsiasi I-forma
in Rm+'. Dimostrate che la forma w2 i! non singolare.
Se o2 Q una forma non singolare nello spazio a dimensione
dispari Rm+l, allora tutti. i vettori nulli E della forma wZgiacciono
su una retta. Questa retta b legata in mod0 invariante con la
forma 02.
Sia ora M2"+l una varieti differenziabile di dimensione di-
spari, w1 una 4-forma su M. Per il lemma precedente, in ogni punto
x E M si ha una direzione (ciod la retta {cg) nello spazio tangente
TM,), con la caratteristica che l'integrale di ol, sul contorno t d i
un'area inf initamente piccola, che contiene questa direzione~,2 ugua-
le a zero:
do1 (E, q) = 0 Vq E TM,.
Ammettiamo, inoltre, che la 2-forma d a l sia non singolare.
Allora la direzione F; 15 definita univocamente. La chiameremo
wdirezione di rotore, della forma ol.
Le curve imtegrali del campo delle direzioni di rotore si
chiamano linee di rotore (o linee caratteristiche) della forma a'.
Sia y, una curva chiusa su M. Le linee di rotore, che escono
dai punti di y,, formano ccun tub0 di rotore,. Vale il
Lemma multidimensionale di Stokes:
L'integrale della I-forma o1 su una qualunque di due curve,
che owolgono il nzedesimo tubo di rotore, L lo stesso: $ol = #ol.
Yi YZ
se y, - y2 = au, dove u L un pezzo del tub0 di rotore.
D i m o s t r a z i o n e. Per la foiPlula di Stokes

Ma il valore di dol.su una qualunque coppia di vettori, tangenti


a1 tub0 di rotore, i! uguale a zero. (Effettivamente, questi due
vettori giacciono su un 2-piano, che passa attraverso la direzione
di rotore, e su questo piano dwl si riduce a 0.)
Cosi, J d w l = 0, il che dimostra il lemma.
a
C. Equazioni canoniche di Hamilton. Dal lemma di Stokes
derivano immediatamente tutti i principi fondamentali della
meccanica hamiltoniana.
Consideriamo come varieti Mm+' a lo spazio generalizzato
delle fasi, R2"+ln, con coordinate p,, ..
., p,,; q,, . ., q,; t.
Sia data la funzione H = H ( p , q, t). Si pub allora costruirea
la 1-forma

Applichiamo a o1 il lemma di Stokes (fig. 182).


Teorema. L e linee di rotore della forma w1 = p dq - H d t
nello spazio generalizzato delle fasi, 2n +
1-dimensionale, p, q, t

Fig. 182. Campo hamiltoniano e linee di rotore della forma p d q - Hdt,

sono proiettate sull'asse t i n mod0 univoco, cioZ sono date d a l k


funzioni p = p (t), q = q (t). Queste funzioni soddisfano il sistema
di equazioni differenziali canoniche, con funzione di Hamilton H :

In altre parole, le linee di rotore della forma p dq - H dt


sono le traiettorie del f lusso di fase nello spazio delle fasi generaliz-
zato, ciob curve integrali delle equazioni canoniche (1).
D i m o s t r a z i o n e. I1 differenziale della forma p d q -
- H dt B uguale a
n
6'H
do1= 2 ( d ~Ai d91-= dpr I\ dt-*dq,6'9i /\ dt).
i= i

La forma o1 sembra inventata di sana pianta. Vedremo nei paragrafi


seguenti come l'idea di considerare questa forma derivi dall'ottica.
E chiaro, da questa espressione, che la matrice della 2-forma
do1 nelle coordinate p, q, t si scrive (verificatel)

I1 rango di questa matrice Q uguale a 2n (il minore estratto


dalle prime 2n colonne in alto a sinist.ra B non degenere). Quindi
la Bforma do1 B non singolare. Si verifica immediatamente che
il vettore (-H,, H,, 1) B autovettore della matrice A, con
autovalore 0 (controllate!). Cio6 esso d21 la direzione delle linee
di rotore della forma p dq - H dt. Ma il vettore (-H,, H,, 1)
6 proprio il vettore velociti del flusso.di fase delle (1). Cosi le
curve integrali delle (1) sono le linee di rotore della forma p dq -
- H d t , che B quanto si doveva dimostrare..
D. Teorema dell'invariante integrale di Poincar6 - Cartan.
Applichiamo ora il lemma di Stokes. Si ottiene il fondamentale
Teorema. Supponiamo che le due curve chiuse y, e yt avvolgano
.lo stesso tubo di traiettorie di fase delle (1). Allora, gli integrali
.dells forma p dq - H dt, calcolati su di esse, sono uguali:

La forma p dq - H dt si chiama invariante integrale di


Poincare' - Cartan I.
D i m o s t r a z i o n e. Le traiettorie di fase sono linee di
,rotore della forma p dq - H dt, e per il lemma di Stokes gli
integrali su curve chiuse, che avvolgono lo stesso tubo di rotore,
sono uguali, c.v.d.
Consideriamo, in particolare; curve formate da stati contem-
poranei, cioB che giacciono sui piani t = cost (fig. 183). Lungo
8
tali curve dt = 0 , per cui $ p dq - H dt = p dq. Da1 pnce-
.dente teorema si ottiene l'importante
Corollario 1. I1 flusso di fase conserva l'integrale della forma
p dq = p, dq, + +
. . . p, dq, calcolato su cwve chiuse.
Nel calcolo variazionale p dq-H dt si chiama integrale inva-
.riante di Hilbert.
Effettivamente sia gf:: Rzn +Rzn la trasformazione dello
spazio delle fasi ( p , q), generata dal flusso d i fase nel tempo
p B la soluzione delle equazivni cano-
d a to a ti ( c i d & @ ( p oq,)
niche (1)con condizioni iniziali p (to)=
= p o , q (to)= qo). Sia y una qualsiasi
c m a chiusa nello spazio RZn c Rzn+l
(t = to). Allora g::y B una curva chiusa
nello spazio R* (t = ti), che avvolge lo
stesso tub0 di traiettorie di fase in
Rzn+l. Per i l teorema precedente, poi-
ch6 dt = 0 su y e su g t y , troviamo
to tl t
4
Y
$
P d q = p dq1 the a cib the si do- Pig.1s.Invarianbinw-
B ~ Y grale di Poincar6.
veva dimosirare.
La forma p d q si chianla invariante integrale relativo di
PoincarC. Esso ha un semplice significato geometrico. Sia u
una catena orientata bidimensionale, y=&. In accord0 con la
formula di Stokes abbiamo

E cosi dimostrato I'importante


Corollario 2. I 1 flusso di fuse conserva la somma delle aree
orientate delle proiezioni di una su.perficie sugli n piani coordinati
(PI, a):
jjdp/\dq= jj PA dq.
0 B ~ U

I n altri termini, la 2-forma a2=d p A dq b un invariante in-


tegrale assoluto del flusso di fase.
E s e m p i o. Per n = 1 02B un'area e otteniamo il teorema
di Liouville: il flusso di fase conserva l'area.
E. Applicazioni canoniche. Sia g un'applicazione differen-
ziabile dello spazio delle fasi RZn = {(p, q)) in Re".
D e f i n i z i o n e. L'applicazione g si dice canonica, se g
conserva la 2-forma 02= 2 dp, A dq,.
E evidente, sulla base dei ragionamenti precedenti, che
questa definizione si pub esprimere in uno qualsiasi dei tre modi
equivalenti:
1) gfo2= o2 (g conserva la 2-forma 2 dpl /\ dqi);
2) 51
0
a2= [5
go
azVu (g conserva la somrnn delle aree-delte
proiezioni di lina superficie qualsiasi);
3) $ p dq =$ p d q (la forma p d q 6 un invariant0 inte-
Y 8Y
grale relativo d i g).
P r o b 1 e m a. Mostrare che le definizioni I), 2) sono equi-
valenti a 3), se si tratta di un'applicazione di un dominio sempli-
cemente connesso nello spazio delle fasi Ran; nel caso generale
3=+2-1.
I precedenti corollari possono ora essere formulati cod:
Teorema. La trasformazione dello spazio delle fasi, generata &
un flusso di fase, Z canonica '.
Sia g: Rm-+ R" una trasformazione canonica: g conserve
la forma oz. Allora g conserva anche il quadrate. esterno di oa:

Le potenze esterne della forma z d p , dqi sono proporzionali


alle forme

Resta cosi dimostrato il


Teorema. Le trasformazioni canoniche conservano gli invarianti
.
integrali o h , . ., oZn.
Geometricamente, l'integrale della forma 02Rindica la
somma dei volumi orientati dolle proiezioni sui piani coordinati
(pil, . . Pik, Qil, . . qik).
-9 -9

In particolare, la forma 02" 6 pi-oporzionale all'elemento


di volume e si ottiene dunque il
Corollario. Le trasformazioni canoniche conservano l'elemento
di volume nello spazio delle fasi:
volume gD = volume D per qualsiasi dominio D.
Applicando il corollario a1 flusso di fase otteniamo il
Corollario. I1 flusso di fase delle (1)ha come invarianti integrali
.
le forme 02, oh, . ., 02".
L'ultimo degli invarianti 6 il volume di.fase, cosicch6 abbia-
mo nuovamente dimostrato il teorema di Liouville.

3 45. Corollario del teorema dell'invariante integrale di


Poincart - Cartan
In questo paragrafo si dimostra che le trasformazioni cano-
niche conservano la forma delle equazioni di Hamilton, che un
integrale primo delle equazioni di Hamilton riduce subito d i due

La dimostrazione di questo teorema, fatta alla pag. 212 del magnffi-


comanuale di Landau e Lifeits (Meccanica, Editori Riuniti, 1976), k erronea.
u n i t i l'ordine del sistema (ciol! i gradi di libertii) e che il mot0
in un sistema naturale lagrangiano avviene su una geodetica dello
spazio delle configurazioni, fornito di una metrica riemanniana.
A. Cambiamento di variabili nelle equazioni canoniche.
Dalla connessione invariante della forma p dq - H dt con le sue
linee di rotore segue la possibilitl di scrivere le equazioni di mot0
in un qualsiasi sistema di 2n + 1
coordinate, nello spazio generaliz-
zato delle fasi {(p,q, t ) ) .
Siano (x,, . . ., x,,+,) le fun- bfit
zioni coordinate, in qualche carta
nello spazio generalizzato delle fasi
(considerato come una varieti Wn+',
fig. 184). Le coordinate (p, q, t) si ,
I%*P\
0. u ~*.-*~xzwf

PoSSOnO considerare Come coordina- Fig. 184. Cambiamento di


te, che danno un'altra carta di M. riabili nelle e uazioni di Ha-
La forma o1 = p dq - H dt si pub miton.
considerare una I-forma differenziale
s u M. Con questa forma B legato in mod0 invariante (no11 dipen:
dente dalle carte) un insieme di linee su M, le linee di rotore.
Sulla carta ( p , q, t ) queste linee sono rappresentate, dalle traiet-
torie del flusso di fase

con fnnzione di Hamilton H (p, q, t).


La forma o1 sia espressa, nelle coordinate (x,, . . ., st,+,),
nel modo seguente:

Teorema. S u l k carta (xi) le traiettorie delle (1) sono rappre-


sentate dalle linee di rotore della forma 2 Xi hi.
D i m o s t r a z i o n e. Le linee di rotore della forma
x X i hi e p dq - H dt sono le immagini, su due diverse carte,
delle linee di rotore della stessa unica forma su M. Ma le curve
integrali delle (1) sono le linee di rotore di p dq - H dt. Cioh
ie loro immagini sulla carta (xi) sono le linee di rotore della
forma x X i hi, che B quanto si doveva dimostrare.
Corollario. Sia (P,,. . ., P,; Q1, . . ., Q,; T) un sistema di
coordinate locali nello spazio generalizzato delle fasi ( p , q, t ) e
K ( P , Q , T), S (P, Q , T ) funzioni tali che

( i termini a destra e a sinistra sono f o m sullo spazio ge'eneralizzato


d e l k fasi).
Allora, & traiettorfe &l flusso di fuse &l& (f) mno rappresen-
tate sulla carta ( P , Q , T) &lle curve integrali delle equazioni
canoniche

I) i m o s t r a z i o n e. Per il teorema precedente, le traiet-


torie delle (1) sono rappresentate dalle linee d i rotore della forma
+
P d Q - K dT dS. Ma d S non influisce

14
sulle linee d i rotore (dato che d d S = 0).
Quindi le immagini delle traiettorie delle
(1) sono le linee di rotore della forma
P d Q - K dT. In accordo con il $ 44,
Po4,
C
le le
curve
lineeintegrali
di rotoredelle
di tale
equazioni
forma cano-
sono
*ig. 185. cammino niche (2), che Q cib che si doveva dimo-
so della forrna p d q - strare.
-P d Q . In particolare, sia g: Rm -+ RM una
trasformazione canonica dello spazio del-
le fasi, che trasporta il punto di coordinate ( p , q) nel punto d i
coordinate ( P , Q).
Le funzioni P (p,q), Q (p, q) possono essere considerate come
nuove coordinate nello .spazio delle fasi.
Teorema. Nelle nuove coordinate ( P , Q ) le equazioni cano-
niche (1) hanno la fonna canonica'

con la vecchia funzione di Hamilton: K ( P , Q , t) = H (p, q, t).


D i m o s t r a z i o n e. Consideriamo la 1-forma p dq -
- P d Q in RW. Per qualsiasi curva chiusa y abbiamo (fig. 185)
$Pdp-~d~=Qpdq-$pd~=~
v Y Y
Pi, 91
per la canoniciti di g. Dunque, j p d q - ~ d ~ non
= ~
PO. 9 0
dipende dal cammino d'integrazione, ma soltanto dal punto

1 In alcuni manual;, la proprieti di conservare la forma canonica delle


equazioni di Hamilton i. presa come definizione delle trasformazioni canoni-
che. In effetti, essa non o equivalente a quella di uso generale e introdotta
sopra. Per esempio, non B canonica nel senso qui adottato la trasformazione
P =. 2 p , Q = che conserva la forma hamiltoniana delle equazioni d i
n~oto:. La conksione appsre penino nel magnifico manuale di Landau
e Lifslts (vedere nota precedents), a1 5 45 del quale si dimostra che ogni tra-
sformazione, che consorva le equazioni canoniche. Q canonica no1 senso da
noi specificato.
finale (pl, ql) (per un prefissato punto iniziale (p,, 9,)). Cosl,
d S = p dq - P d o . Conseguentemente, nello spazio generalizza-
to delle fasi

ed 8 applicabile il teorema precedente. Con cid le (2) si trasformano.


nelle (3), c.v.d.
P r o b 1 e m a. Sia g (t): Rm-+ Rm una trasformazione
canonica dello spazio delle fasi, dipendente dal parametro t,
g (t) ( p , q) = ( P ( p , q, t), Q ( p , q , t)) Dimostrate che le equazioni
canoniche (I) nelle var~abiliP, Q,'t hanno forma canonica con
una nuova funzione d i Hamilton, data da

PI. 91
= pdq-PdQ.
PI.91
B. Riduzione del g a d o per mezzo dell'integrale dell'energia.
Ammettiamo ora che la funzione d i Hamilton H (p,q) non d i p n d a
dal tempo. Allora le equazioni canoniche (1) banno un integrale
primo H (p (t), q (t)) =cost. Con l'aiuto di questo integrale si
pu6 ridurre la dimensione dello spazio (2n +
1) di due unit&,
riconducendo il problema all'integrazione di qualche sistema di
equazioni canoniche in uno spazio 2n - l-dimensionale.
Supponiamo che (in qualche dominio) l'equazione h =
= Hb1, .. ..
., pn; qlr ., q,,) possa essere risolta rispetto a p,:
PI = K (P, T; h), a,
dove P = ( ~ 2 , - 9 pn); Q = (qs,
Allora troviamo
.
qn); T = -91-

Sia ora y una curva integrale delle equazioni canoniche (I),


che giace sulla superficie 2n-dimensionale H @, q) = h in Rm+l.
Allora y 8 una linea di rotore della forma p dq - H dt (fig. 186).
Proiettiamo lo spazio generalizzato.delle fasi Rm+l = {(p, q, t))
sullo spazio delle fasi Rtn = {(p, 9)). La superficie H = h
b proiettata sulla sottovarieti 2n - 4-dimensionale P - l :
H ( p , q) = h in H2", mentre la curva y nella curva 7, che giace
su questa sottovarieti. Le quantiti P , Q , T formano le coordi-
nate locali in P - l .
P ' r o b 1 e m a. Dimostrare che la curva b una linea di roto-
re della forma p dq = P d Q - K d T su Wn-l.
S u g g e r i m e n t o. d (Ht) non influisce sulle linee d i
rotore, mentre dH,su M, 6 nullo.
Ma le linee di rotore dclla forma Y d Q - K dT soddisfano
le equazioni di Hamilton (2). E cosi dimostrato il
Teorema. Le traiettorie di fuse delle equazioni (1) sulla super-
ficie LIP"-', H = h soddisfano le equazioni canoniche

dove la funzione K (p,, . . ., pn; qz, . . ., qn; T, h) si ricava


.
ahll'equazione H (K, p,, . ., Pn; -T, 42, . . ~11)= h.-9

C. Principio di minima azione nello spazio delle fasi. Conside-


riamo nello spazio generalizzato delle fasi {(p,q, t)) la curva

Fig. 186. Riduzione di grado di Fig. 187. Principio di minima azio-


un sistema hamiltoniano. ne nello spazio delle fasi.

integrale y delle equazioni canoniche (I), che unisce i punti


(PO, 90, to) e ('PI, q1, tl).
Teorema. L'integmle [ p dq - H dt ha come estremale y
J
rispetto alle variazioni di y, per le quali gli estremi della curva riman-
gono sui sottospazi n-dimensionali (t = to, q = qo) e (t = t,,
4 = 91!.
D I m o s t r a z i o n e. La curva y B una linea di rotore
della forma p dq - H dt (fig. 187). Quindi I'integrale di p dq -
- H dt su c un parallelogramma infinitamente piccolo, che
passa per la direzione del rotore B, 15 uguale a zero.
In altre parole, I'incremento 'j 'j
- p d q - ~ d t 6 un
V' i
infinitesimo di ordine superiore in confront0 alla differenza delle
curve y' e y , che B quanto si doveva dimostrare.
Se questo ragionamento non sembra abbastanza rigoroso, si
pub sostituire ad esso il calcolo
Vediamo che le curve integrali delle equazioni d i Hamilton
sono gli unici estremali dell'integrale [ p dq - H dt nella classe
delle curve y, i cui estremi giacciono su: sottospazi n-dimensionali
(t = to, q = q,) e (t = t,, q = ql) dello spazio generalizzato
delle fasi. I1 teorema B dimostrato.
0 s s e r v a z i o n e. I1 principio di minima azione nella
forma di Hamilton B un caso particolare del principio considerato
sopra. Effettivamente, lungo un estremale abbiamo
tl.
5 pdp-~dt=j
91
t1 . 11

( p p - ~ ) d t = 5 Ldt
t.. 9, to 10

(poich6 la lagrangiana L e la hamiltoniana H sono la trasformata


d i Legendre I'una dell'altra).
Inoltre sia (fig. 188) la proiezione dell'estremale y sul
piano q, t. A qualsiasi curva vicina 7 , che congiunge gli stessi
punti (to, q,), (t,, q,) sul piano q, t, associamo la curva y' nello
spazio delle fasi ( p , q, t), ponendo p = d ~ l a i Allora,
. anche lungo
v', f p d q - H d t = 1
L dt. Ma per il teorema dimostrato
-Y'
ip
6 Slp dq - H dt = 0 per qualsiasi variazioue della curva y
Y
(con le condizioni a1 contorno ( t = to, q = q,) e (t = t,, q =
= q,)). In particolare cib B vero per le variazioni di tip0 speciale,
che portano y in y'. I1 che significa che B estremale di 1
L dt,
c.v.d.
Nel teorema dimostrato si ammette, nel confront0 con y,
una classe di curve y' significativamente pih larga che non nel
principio di Hamilton: non si impone alcuna limitazione alla
connessione tra p e q. Ci6 nonostante, si pu6 mostrare in mod0
sorprendente che entrambi i principi si equivalgono: dall'estre-
maliti in una classe pi6 ristretta di variazioni ( p = dLldq)
segue I'estremalitl per qualsiasi variazione. La syiegazione risiede
&
nel fatto che, per un fissato, la grandezza y = d ~ l d *estremizza
p q - H (vedere la definizione d i trasformata di Legendre, $ 14,
pag. 66).
D. Principio di minima azione nella forma di Maupertuis -
Eulero - Lagrange - Jacobi. Ammettiamo che la funzione di
Hamilton H(p, q) non dipenda dal tempo. Allora H ( p , q) Q un
integrale primo delle equazioni d i Hamilton (1). Proiettiamo la
superficie H b, q) = h dallo spazio generalizzato delle fasi
{(p,q, t)) nello spazio { ( p ,q)). Si ottiene la superficie 2n - 1-di-
mensionale H (p,q) = h in Rm, che noi abbiamo gih considerato
a1 punto B e che abbiamo indicato con P".
Le traiettorie di fase delle equazioni canoniche (i), che
iniziano slilla superficie P-l, giacciono interamente su questa
stessa superficie. Esse solio le linee di rotore della forma p dq =
= P d Q - K dT (con la simbologia del punto B) definita su
Mm-l. In accordo col punto C, le curve integrali delle (I) su
W-I sono gli estremali del principio variazionale, corrispon-
dente a questa forma. E cosi dimostrato il
Teorema. Se la funzione di Hamilton H = H (p, q) non
dipende dul tempo, k traiettorie di fase detle equazioni canoniche (I),

Fig. 188. Curve di -confronto per i Fig. 189. I1 principio di Mauper-


principi di minima azione nello tuis.
bspazio delle configurazioni e in
quello delle fasi.

che giacciono sulla superficie MZn-': H (1). q) = h, sono gli estre-


:mali dell'integrale rp
-
dq nella clesse delle curve che giacciono su
Mm-I e uniscono i ;ottospazi q = go I. q = ql.
Consideriamo ora la proiezione dl un estremale, che si trova
sulla superficie Mm-': H Cp, q) = h, sullo spazio delle q. Questa
curva congiunge i punti q0 e ql.
Inoltre, sia y una seconda curva, che unisce i punti go e q,
(fig. 189). Questa curva y 6 la proieziane di qualche curva %
sulla superficie M2"-l. Scegliamo su y un parametro r , a ,( r ,( b,
y ( a ) = go, y (b) = 9,. Allora in ogni punto q della curva y
I! definito il vettore velociti q = y (r) e il corrispondente
impulso p = BL/~;. Se il parametro r 6 preso in mod0 tale che
H ( p ,q) = h, allora sulla superficie M2"-I otteniamo la curva
i: q =-y (r), p = ' a ~ ~ a bApplicando
. il precedente teorema all.
curva y su Man-', otteniamo il
Corollario. Tra tutte le curve q = y (r), che congiungono i due
punti go e ql sul piano delle q e parametrizzate in modo tale che Irt
funzione di' Hamilton abbia il vatore fissato H (OLlOq', q) = h,
la traiettorfcz &l& eqwzioni &lla dimarnica (1) 2 l'estmrurk &ll'in-
te@ a &ll'oaionc abbreviata D

Questo B noto come principio di minima oaionc di Maupertuir


(Euleto - Lagrange - Jacobi) l. E importante sottolineare che
< <
I ' i n t e ~ a l l oa T b, che parametrizza la curva y, non Q fissato
e' pud essere diverso per le diverse curve, ottenute per variazione.
Tuttavia, deve essere la stessa l'energia (la funzione di Hamilton).
Notiamo anche che il principio determina la forma della traietto-
ria, ma non il tempo in cui viene percorsa: per determinare il
tempo si deve utilizzare la costante dell'energia.
I1 principio dimostrato prende una forma particolarmente
semplice quando il sistema compie un mot0 per inenia, su una
varietl regolare.
Teorema. Un punto materiale, vincolato a restare su ww
vwietd regolare riemanniana, si mvove su una linea geoddica
(clot? su un estremale della lunghezza ( ds).
D i m o s t r a z i o n e. In effettc nel nostro caso

Conseguentemente, per garantire] il valore prefissato H = h,


il parametro z deve essere scelto proporzionale alla lunghezza:
d7 = - L'integrale dell'azione abbreviata B allora uguale zi
dr
VB

dunque gli estremali sono le geodetiche della nostra varietl,


che B quanto si doveva dimostrare.
Nel caso che si abbia anche un'energia potenziale, le traiet-
torie delle equazioni della dinamica sono le geodetiche di una
metrica riemanniana.
Sia di? la metrica riemanniana sullo spazio delle configu-
nzioni, che dh I'energia cinetiea (cosicch6 T - I ds 2
2
( )Sia 1.
h costante.
1 a In quasi tutti i manuali, anche i migliori, r t o principio a pn-
sentato in modo tale che non si uB ca ire (K. Jaco i Lcrioni dl dfnamfea,
1842-1843. a Gostekbizdat D. M.-%., IS&). Non mi arzardo a violam la t n -
dizione. Una a dimostrazione s istruttiva del principio di Maupertuis 8 con-
tenuta nel. f 44 del manuale di meccanica di Landau e LifSits (Meecanlca,
Editori Riuniti, 1976).
Teorema. Definiamo, nella regione &llo spazio &l& configu-
razioni, dove U ( q ) < h,. una metrica riemanniana con la fonnula
dp=1/h-U(q)ds.
Allora le traiettorie del sistema, con energia cinetica T =
= ( ) energia potenziale U ( q ) e energia totale h, saranno
le geodetiche della metrica dp.
D i m o s t r a z i o n e . Nel nostro caso L = T - U , H = T + U ,
aL q' = 2T = a s 2
= 2 (h - U ) . Conseguentemente, per garantire
aa
ill valore prefissato H = h, si deve scegliere il parametro s
ds
proporzionale alla lunghezza: da- = - L'integrale del-
1 / 2 1 h - ~ )'
I'azione abbreviata sari allora uguale a

Per il principio di Maupertuis, le traiettorie sono le geodetiche


della metrica dp, c.v.d.
0 s s e r v a z i o n e 1. La metrica dp si ottiene da ds con
una a deformazione B, che dipende dal punto q , ma non dipende
dalla direzione. Per questo motivo, gli angoli nella metrica dp
coincidono con' gli angoli nella metrica ds. Sulla frontiera del
<
dominio U h, la metrica dp ha una singolariti: quanto piii
ci avviciniamo alla frontiera, tanto pi6 piccolo diviene p , la
lunghezza. In particolare, la lunghezza di qualsiasi curva, che
giace proprio sulla frontiera ( U = h), 6 uguale a zero.
O s s e r v a z i o n e 2. Se i punti iniziale e finale della
geodetica y sono abbastanza vicini, allora l'estremo della lunghez-

Fig. 190. Geodetica non minima. Fig. 191. hIoto periodic0 di un


pendolo doppio.
za I! un minimo. Questo giustifica il nome di u principio di minima
azione n. I1 fatto chc, nel caso generale, l'estremo dell'azione
non sia necessariamerite un minimo, risulta chiaro considerando
le geodetiche sulla afera unitaria (fig. 190). Ogni arco di meridial~o
6 una geodetica, ma so110 minimi soltanto quelli pi6 corti di ;I:
l'arco NS'III 6 pih corto dell'arco di meridian0 NSJ!.
del massimo di U
0 s s e r v a z i o n e 3. Se k i. ~~~ilggiore
~ u l l ospazio delle configurazioni, allora la metrica non ha
singolarith. Dunque, possiamo applicare i teoremi topologici,
che riguardano le geodetiche su una varieth ariemanniana, a110
studio dei problemi meccanici.
Cosi, per esempio, consideriamo il toro T2, con qualche
metrica riemanniana. Tra tutte le curve chiuse su T2, che fanno m
giri su un parallel0 e n su un meridiano, esiste una curva di lun-
ghezza minima (fig. 191). Questa curva ii una geodetica chiusa
(vedere la dimostrazione in libri dedicati a1 calcolo variazionale
o alla u teoria di Morse n).
D'altro lato, il toro T2 ii lo spazio delle configurazioni del
pendolo doppio piano. Da qui segue il
Teorema. Comunque si prendano gli interi m ed n, esiste un
mot0 periodico del pendolo doppio, tale che un componente fa m
oscillazioni nel tempo in cui il second0 componente ne fa n.
Inoltre, tali moti periodici esistono per qualsiasi valom
abbastanza grande della costante dell'enegia h (h deve essere
maggiore dell'energia potenziale, nella posizione pi4 alta).
Consideriamo, come nlteriore esempio, .un corpo solido vin-
colato a un punto fisso e posto in un qualsiasi campo potenziale.
L o , spazio delle configurazioni (SO(3)) non B semplicemente
connesso: su esso esistono curve non riducibili. Dai precedenti
ragionamenti segue il
Teorema. Qualunque sia i i campo delle forze potenziali, esiste
almeno un mot0 periodico del corpo. Inoltre esistono moti periodici
tali che per essi la costante dell'energia h 2 grande a piacere.

$ 46. Primipio di Huygens


I concetti fondamentali della meccanica hamiltoniana (gli
impulsi p, la funzione di Hamilton H , la forma p dq-H d t ,
l'equazione di Hamilton - Jacobi, di cui parleremo in seguito)
originano dalla trasposizione a principi variazionali generali
(in particolare, a1 principio di azione stazionaria di Hamilton
1
6 L dt -- 0) di alcuni semplici e naturali concetti dell'ottica
geometrica, che si basa sul principio variazionale noto come prin-
cipio di Fermat.
A. Fronti d'onda. Consideriamo brevemente l i principa li
concetti dell'ottica geometrica. In accord0 col principio di Fer-
m'at, la luce si propaga dal punto q,, al punto ql nel tempo piti
breve. Inoltre la velocith della luce pub dipendere sia dal punto

Non ci sforzeremo qui di essere rigorosi, supporremo diversi da zero


tutti i determinanti, ecc. Le dimostrazioni dei teoremi successivi non dipen-
dona dai ragionamenti semieuristici di questo punto.
q (t mezzo non omogeneo n), come anche dalla direzione del
raggio (t mezzo anisotropo B, per esempio i cristalli).
Le proprietii del mezzo possono essere descritte, definendo
nello spazio tangente, in ogni punto q, una superficie (a ellissoide
degli indici n). A questo fine poniamo,
lungo ogni direzione, il vettore velocith
di propagazione della luce, in un dato
punto in una data direzione (fig. 192).
Sia t >O. Consideriamo l'insieme
di tutti i punti q, ai quali pub arrivare
la luce da un dato punto g o in un tempo
minore o uguale a. t. La frontiera di
Fig. 192. Mezzo aniso- questo insieme, @ ,, (t), si chiama fronte
trope disomogeneo- d'ondu del punto qo al tempo t, e con-
siste di quei punti, cui pub giungere
l a luce in un tempo t e ai quali non pub pervenire in un tempo
minore.
Tra i fronti d'onda, corrispondenti ai divepi valori d i t,
esiste una relazione sorprendente, scoperta da Huygens (fig. 193).
Teorema di Huygena, Consideriamo il fronte d'onda del pun-
to qo a1 tempo t, @*, (t). Per ogni punto q di questo fronte, costruiamo

Fig. 193. L'inviluppo dei fronti d'onda.

il fronte d'onda a1 tempo s, 0,(s). Allora, il fronte d'ondu del punto


+ +
q o a1 tempo s t, 0,(s t), sarit l'inviluppo dei fronti costruiti
PW ogni @, (4, q E d, (t).
+
Infatti, sia q,+, E &,* (t s). Esiste allora un cammino da
q o a qt+,, lungo il quale il tempo d i propagazione della luce
+
Q pari a t s, e non Q piii breve. Consideriamo su questo cammino
un punto qt, per giungere a1 quale la luce impiega un tempp t.
Non pub esserci un cammino piii breve da q, a qt, altrimenti
qdt+,non sarebbe il cammino piii breve. Dunque, il punto q t
ai trova sul fronte @*, (t). Nello stesso mod0 la luce percorre il
cammino qtqt+, esattamente nel tempo s, e dal punto q t a quello
q t + , non vi B un cammino piii breve. Dunque, il punto qt+, si
trova sul fronte del punto q t a1 tempo s, O,, (s). Mostriamo che
+
i fronti O,, (s) e O,, (t s) sono tangenti nel punto qt+,. Effetti-
vamente, se si intersecassero (fig. 194). sarebbe possibile arrivare
+
in alcuni punti di a,, (t s) dal punto qt in un tempo minore
d i s, e quindi dal punto qo in un tempo minore di s +
t. Cib
+
contraddice l a definizione stessa di O,, (t s); dunque, i fronti
+
art(s) e O,, (t s) sono tangenti nel punto qt+,, c.v.d.
I1 teorema dimostrato si chiama principio di Huygens. Si
capisce che il punto q o pub essere sostituito da una curva, da una
superficie o, in generale, da un insieme chiuso, lo spazio tridi-

Fig. 194. Dimostrazione del teore- Fig. 195. Direzione del raggio e di-
ma di Huygens. rezione di moto del fronte.

mensionale {q) da una qualsiasi varieti regolare, e la propaga-


zione della luce, dalla propagazione di qualsiasi perturbazione,
che si trasmette a localmente n.
I1 principio di Huygens conduce a due descrizioni del process0
di propagazione. I n primo luogo,. possiamo seguire i raggi, cioB
i cammini piii brevi di propagazlone della luce. I n tal caso, il
carattere locale della propagazione 6 dato dal vettore velociti i.
Se B nota l a direzione del raggio, allora il modulo del vettore velo-
cith si ottiene dalle proprieti del mezzo (ellissoide degli indici).
D'altro lato, possiamo seguire il fronte d'onda.
Supponiamo che nello spazio {q) sia data una metrica rieman-
niana. Si pub allora parlare di velocitd di mot0 del fronte d'onda.
Consideriamo, ad esempio, la propagazione della luce in un mezzo,
che riempia uno spazio euclideo ordinario. I1 mot0 del fronte
d'onda si pub caratterizzare col vettore perpendicolare a1 fronte,
p, che si costruisce nel mod0 seguente.
Per ogni punto q o definiamo l a funzione S,, (q) come lunghezza
ottica del cammino da q o a q, cio6 il tempo minimo di propagazione
della Iuce da q o a q.
L'insieme di live110 {q: S,, (q) = t) non 6 altro che il fronte
d'onda O,, (t) (fig. 195). I1 gradiente della funzione S (nel senso
della metrlca sopra menzionata) 6 perpendicolare a1 fronte d'onda
e caratterizza il suo moto. Inoltre, quanto maggiore B il gradiente,
tanto pic lentamente si muove il fronbe. Per questo Hamilton
chiamb il vettore

vettore dellu lentezza normale del fronte.


La direzione del raggio, i, e la direzione di mot0 del fronte,
p, in un mezzo anisotropo non coincidono. Tuttavia esse aono legate
da una semplice relazione, che 6 facilmente deducibile dal prin-
cipio di Huygens. Ricordiamo che, in
ogni punto, le proprietl del mezzo sono
caratterizzate dalla superficie dei vet-
tori velociti della luce, I'ellissoide de-
gli indici.
D e f i n i z i o n e . La direzione del-
- -- -.~.

Fig. 196. I rpiaoo du- l'iperpiano, tangente all'ellissoide degli


ac. indici nel punto u, si chiama duale della
direzione data da v (fig. 196).
Teorema. La direzione del fronte d'onda 0,. ( t ) nel punto q t
2 duale di quella del raggio, i.
D i m o s t r a z i o n e. Consideriamo (fig. 197) i punti q,
del raggio qoqt, 0 < <
T t . Prendiamo un E molto piccolo.

Fig. 197. Dualiti delle direzioni del raggio e del fronte.


Allora il fronte Oqt-e( E ) differisce dall'ellissoide degli indici,
relativo a1 pun,to q t , reso e volte pifi piccolo, soltanto per infini-

sando a1 limite, per E -


tesimi dell'ordine di 0 (e2). Per il principio di Huygens, questo
fronte 0,, (e) 6 tangente a1 fronte 0,. ( t ) nel punto qt. Pas-
0,otteniamo il teorema Fopra formulato.
Cambiando l a metrica ausiliaria, per mezzo della quale
abbiamo definito il vettore p , cambieri il concetto di velocitl
di mot0 del fronte, ciob sia il modulo che la direzione del vettore p.
Tuttavia, la forma differenziale p dq = dS sullo spazio { q ) = R3
B definita in mod0 indipendente dalla metrica ausiliaria; il suo
valore dipende soltanto dal fronte prescelto (o dal raggio). Questa
forma B uguale a zero sull'iperpiano duale del vettore velocitl del
raggio mentre il suo valore B uguale a 1 sul vettore velociti '.
B. Analogia tra l'ottica e la meccanica. Torniamo alla mec-
canica. Anche qui le traiettorie d i mot0 sono gli estremali di un
principio variazionale e si pub costruire la meccanica come ottica
geometrica di uno spazio multidimensionale. Proprio cosi fece
Hamilton; noi non seguiremo questa costruzione in tutti i det-
tagli, ma -enumereremo solo quei concetti dell'ottica, che porta-
rono Hamilton a formulare i concetti fondamentali della mec-
canica.
Ottica Meccanica
Mezzo ottico Spazio generalizzato delle con-
figurazioni {(q, t))
Principio di Fermat Principio.di Hamilton 6 [ ~ d t = 0
J
Raggi Traiettorie q (t)
Ellissoide degli indici Lagrangiana L
Lentezza normale del fron- Impulso y
te, P
Espressione di p attraver- Trasformazione di Legendre
so la velociti del rag-

Sono rimasti inutilizzati la lunghezza ottica di' un cammino


S q , (q) e il principio di Huygens. I loro analoghi in meccanica
sono l a funzione d'azione e l'equazione di Hamilton - Jacobi,
cui ora passiamo.
C. L'azione come funzione delle coordinate e del tempo.
D e f i n i z i o n e. Si chiama funzione d'azione S (q, t)
1' integrale

lungo l'estremale y, che congiunge i punti (go, to) e (q, t).


Affinchd questa definizione sia corretta bisogna prendere alcur~i
accorgimenti: si deve fare in mod0 che gli estremali, che escono
dal punto (go, to), non si intersechino pic e formino un cosiddetto
cc campo centrale di estremali )) (fig. 198). Piii precisamente, aa-
sociamo ad ogni coppia (go, t) il punto (q, t), second0 estremo della

1 In questo modo, i vettori p corrispondenti a tutti i possibili fronti,


che attraversano un dato punto, non sono arbitrari, ma sottornessi a una
condizione: i valori ammessi di p riempiono nello spazio ( p )un'ipersuperfi-
cie, duale dell'ellissoide degli indici.
curva estremale y, corrispondente alle wndizioni iniziali q (0) =
4
= qo, (0) = 4.-
S i dice che l'estremale y 2 i-ito ncl wmpo
eentrale, se l'applicazione (6,, t) -t (q, t) B *on degenere (nel
punto corrispondente all'estremale considerato y e, wnseguenta
mente, in qualche suo intorno).
Si pud dimostrare che, per I t - to I sufficientemente piccolo,
l'estremale y 6 inserito in un campo centrale'l.
Consideriamo ora un intorno abbastanza piccolo del punto
finale (q, t) del nostro estremale. Ogni punto d i questo intorno

Fig. 198. Camp0 centrale di estre- Fig. 199. :Eatremale con un punto
mali. focale, $he non pub essere inserito
in un camp centmb.

B anito a (q,, to) da un unico estremale del campo centrale consi-


derato. Tale estremale dipende, in mod0 differenziabile, dal punto
finale (q, t). Dunque, nell'intorno indicato, d definita in mod0
preciso! la funzione d'azione

Nell'ottic~ geometrica abbiamo preso in considerazione il


differenziale della lunghezza ottica di un cammino. Viene dunque
naturale considerare anche il differenziale dell'azione.
Teorema. I2 differenziale dell'azfone (per un punto infitale
prefissato) 2 u g w b a
d S , = p d q -Hdt,
dove p = a ~ l a ei H = p i - L sono definiti rispetto allcr velocita
&
f i n a b delh traiettoria y.
D i m o s t r a z i o n e. Portiamo ogni estremale dallo spa-
zio (q, t) nello spazio generalizzato delle fasi {(p, q, t)), ponendo

n $ 0
i
p = aLl8 , cioi sostituendo l'estremale con la traiettoria di fase.
Allora, ne lo spazio generalizzato delle fasi, otteniamo una varieta
4-dimensionale, formata da traiettorie di fase, ciod da linee

.. -
P r,o b 1e m a. Mostrare che, per t to grandi, non B pi& coal.
S u g g e r i m e n t o. q = - q (fig. 199).
d i rotore della forma p d q - H dt. Incrementiamo ora l'estremo
(q, 1 ) di (Aq, At) e consideriamo la famiglia degli estremali,
che oongiungono (go, to) con i punti del segmento q BAq, +
t + €)At, 0 8< <1 (fig. 200). Nello spazio delle fasi otteniamo
un quadrilatero u formato dalle linee d i rotore della forma
p dq - H dt, la cui frontiera

consiste di due traiettorie di fase y, e y,, del segmento d i curva a,


che sta nello spazio (q = go, t = to), e del segmento di curva j3,

Fig. 200. Calcolo del differenziale della funzione d'azione.

proiettato nel segmento (Aq, At). Poich6 u consiste d i linee di


rotore della forma p d q - H dt, abbiamo

Ma sul segmento a risulta dq = 0. dt = 0. Sulle traiettorie


di fase - yi e- y2, p d q - H dt = L dt (3 45, C). Dunque, la diffe-
renza 1- p d q -H dt P uguale all'incremento dell'azione
vw Y1
e si trova
[ pdp-Hdt=S(q+Aq, t+At)-S(q, t).
B
Se ora Aq+O, At-tO, otteniamo

ed i l teorema 6 dimostrato.
Vediamo che l a forma p d q - H dt, precedentemente intro-
dotta da noi ad arte, si presenta da sola, per l'analogia realizzata
tra ottica e meccanica, nell'o studio dell'azione corrispondente alla
lunghezza ottica di un cammino.
D. Equatione 'di Hamilton - Jacobi. Ricordiamo che a il
vettore lentezza normale p B non pub essere completamente arbitra-
rio: esso B sottomesso alla sola condizione g q = 1, che deriva dal
principio di Huygens (pag. 248). Un'analoga condizione B imposta
anche a1 gradiente dell'azione S.
Teorema. L'azione soddisfa l'equazione

Quest'equazione non lineare del primo ordine alle derivate


parziali si chiama equazione di Hamilton - Jacobi.
Per dimostrare il teorema basta notare che, per il teorema
precedente,

I1 legame stabilito tra le traiettorie di un sistema dinamico


((I i raggi B) e l'equazione alle derivate parziali (a i fronti d'onda B)
pub essere utilizzato in entrambe le direzioni.
In primo luogo, sipossono utilizzare alcune soluzioni dell'equa-
zione (I), per integrare le equazioni differenziali ordinarie della
dinamica, In cib consiste il metodo di Jacobi, esposto nel para-
grafo successivo, d'integrazione delle equazioni canoniche di
Hamilton.
In second0 luogo, la connessione tra onde e raggi permette di
trasformare il problema dell'integrazione dell'equazione alle
derivate parziali (1), in quello dell'integrazione di un sistema di
equazioni differenziali ordinarie di Hamilton.
Soffermiamoci piii in dettaglio su questo aspetto. Formuliamo
il problema di Cauchy per le equazioni di Hamilton - Jacobi (1)

Per costruire la soluzione di questo problema, consideriamo il


sistema di equazioni canoniche di Hamilton

guardiamo le condizioni iniziali (fig. 201):

La soluzione corrispondente a queste condizioni iniziali B rappre-


sentata, nello spazio (q, t), da una curva q = q (t), estremale
S
del principio 6 L dt = 0 (dove la laprangiana L (q, q, t ) Q la
trasformata di Legendre; rispetto a 11, della funzione di Hamil-
ton H ( p , q , t)). Questo estremale si chiama caratterbttca del
problema (2), che esce dal punto 9,. ,
Se il valore t1 B abbastanza vicino a to, le caratteristiche, che
escono da punti vicini a go, non si intersecano per to t < <
t,,
1 q - q 0 I < R. Inoltre, i valori qo e t si possono prendere come

Fig. 201. Caratteristiche er la


solurione del problem di d u c h
.
Pi 202. Funzione d'azione come
sofuzioa dell'equazionc di Ramil-
relativo all'equazione di ~ a m i l ton - Jacobi.
ton - Jacobi.

coordinate del punto A nel dominio I q I < R, to t tl < <


(fig. 201).
Costruiamo adesso a l'azione con condizione iniziale So%:

(integrazione lungo l a caratteristica che porta in A).


Teorema. La funzione (3) b soluzione del problema (2).
Effettivamente, la condizione iniziale B chiaramente soddi-
sfatta. Perdimostrareche la funzione soddisfa l'equazione di Hamil-
ton - Jacobi si ~ r o c e d ecome Der il teorema sul differenziale
dell'azione (fig. $02).
Per il lemma di Stokes s-j+l-l pdq-.Hdt=O.
Y, Y, B a_
Ma su aB dt = 0, p = 8So/Bq, dunque p dq - H dt =
a
=
a
p dq =
a
dSo = So(A. + Aq) - SO(qo). Inoltre, YI. 2

sono traiettorie di fase, per cui

5 pdq-Rdt= Ldt.
Yf. 1 Yf, I
Cod,

Per At+ 0, si ottiene x=-H, ==


as p, ed i1 teorema
Q dimostrato.
P r o b 1 e m, a. 'Dimostrare che la
soluzione del problema (2) B unica.
S u g g e r i m e n t o. Differenzia-
re S lungo le caratteristiche.
P r o b 1 e m a. Risolvere il proble-
ma di Cauchy (2) perH=, 'T P ,So=2- 'a
2 '
P r o b 1 e m a. Disegnare i grafici
delle a funzioni 9 plurivoche S (q) e
Fig. 203. Singolariti ti- p (q) per t = t, (fig. 201).
soluzione Risposta. Vedere fig. 203.
%e;!azE 'di Hamil- A1 punto doppio del grafico di S
ton - Jacobi. corrisponde sul ~ r a f i c odi p la retta di
axw well: le aree iratteggiatssono uguali.
I1 grafico di S (q, t) ha una singolarith, chiamata coda di rondi-
ne, nel punto (go, 1,).

$ 47. Metodo di Jacobi - Hamilton d'integrazione delle equazioni


canoniche di Hamilton
I n questo paragrafo si definisce la funzione generatrice di una
trasformazione canonica libera.
L'idea del metodo di Jacobi - Hamilton consiste in quanto
segue. Con una trasformazione canonica delle coordinate, si con-
servano sia la forma canonica delle equazioni di mot0 che la
funzione di Hamilton ($ 45, A).
Dunque, se riuiciremo a trovare una trasformazione canonica,
che riduce la funzione di Hamilton a una forma tale che le equa-
zioni canoniche siano integrabili, riusciremo a integrare anche le
equazioni canoniche di partenza. La costruzione di una tale tra-
sformazione canonica si riduce a1 problema di trovare un numero
abbastanza grande di soluzioni dell'equazione alle derivate par-
ziali di Hamilton - Jacobi. La funzione generatrice della tra-
sformazione canonica ricercata deve soddisfare questa equazione.
Passando all'apparato delle funzioni generatrici, osserveremo
che purtroppo esso Q non invariante e che utilizza, in mod0 essen-
ziale, l a struttura delle coordinate nello spazio delle fasi {(p,9)).
In relazione a cib, bisogna far uso delle derivate parziali, la cui
atessa notazione B g i i affetta d'ambiguiti '.
A. Funzione generatrice. Ammettiamo che le 2n funzioni
P C p , q ) , Q ( p , q ) nelle 2n variabili g,q forniscano l a trasfor-
mazione canonica g: Rw + R2". I n quest0 caso l a l-forma
p dq - P d Q B un differenziale totale (5 45, A):

P-r o b 1 e m a. Dimostrare che, inversamente, se questa


forma B un differenziale totale, la trasformazione B canonica.
Supponiamo ora che nell'intorno di qualche punto (p,, qo)
si possano prendere come coordinate indipendenti (Q, q). In
altri termini, supponiamo 'he sia diverso da zero lo jacobiano in
( P o * qo)
de: a Q,
aa # 0.
= det. -
a (P.9 ) ap
Tali trasformazioni canoniche si chiamano libere. Allora, ,in
particolare, la funzione S.si pub esprimere localmente con queete
coordinate:
s (P, 4) = s, (a*
4).
D e f i n i z i o n e. La funzione S, ('Q, p) s i chiama fun-
zione generatrice della trasformazione canonlca g.
Sottolineiamo che la funzione S, non Q definita sullo apazio
delle fasi Rln: esea Q data in un dominio del prodotto diretto
,"R R$ di due spazi coordinati n-dimensionali, i cui punti si
indicano con q e Q.
Dalla (1) segue che le u derivate parziali B di S, sono

Risulta, inversamente, che ogni funzione S, definisce una certa


trasformazione canonica g, sulla base delle formule (2).
Teoremr. Sia S,(Q, q) una funzione, definita in un intorno
di unpunto (Q,, go) del prodotto diretto di due spazi euclidei coor-
dinati n-dimensionali. Se

Si deve comprendere chiaramente che la grandezza duldz sul piano z,y


dipende non soltanto dalla t , ma anche dalla y; nelle nuove variabili ( r ,z)
il valore a d a t sarh diverso. Si dovrebbe scrivere
la f unzione S, 2 la funziow generatrice di una trasformazione cano-
nica libera.
D i m o s t r a z i o n e. Consideriamo l'equazione nelle coor-
dinate Q

Per il teorema della funzione implicita, tale equazione Q riao-


lubile e determina la funzione Q ( p , q) in un intorno del
punto (qo, Po= ' , ) ( 0 (Po, PO) = 40).
In effetti, il determinante che serve Q proprio det
ed esso, per ipotesi, Q diverso da zero.
Consideriamo ora la funzione

e poniamo
P (P,q ) = PI ( a (P, Q), q).
Allora, l'applicazione locale g: R2" -+ R2", che ports il punto
( p , q) nel punto P ( p , q), a
( p , q), sarh canonica con funzione
generatrice S,, poich6 per costruzione

Essa Q una trasformazione canonica libera, poich6 det ,


aa,
-r
=
= det ( ("
ay aq
)-'# 0. I1 teorerna 6 dimostrato.
La trasformazione a: RLn+ R n Q data in aenerale da 2n
funzioni in 2n variabilc Noi vediamo che unaTtrasformazione
canonica Q data in tutto da una sola funzione di 2n variabili,
cioQ dalla sua funzione generatrice. fi facile immaginare quale
vantaggio dia l'applicazione delle lfunzioni generatrici in t u t t i
i calcoli legati alle trasformazioni canoniche. Tale vantaggio Q tan-
to maggiore, quanto maggiore Q il numero delle variabili, 2n.
B. Equazione di Hamilton - Jacobi per le funzioni generatri-
ci. Notiamo che le equazioni canoniche, nelle quali I'hamilto-
niana H dipende solo dalle variabili a , si integrano facilmonte.
Effettiramente, se H = K(Q), le equazioni canoniche hanno la
forma

da cui si ottiene subito


Cercheremo ora una trasformazione canonica, che riduca la funzione
diiHamilton H ( p , q) alla forma K (Q). Cercheremo, a tal fine,
la funzione generatrice di una simile trasformazione, S ( Q , q).
Ilalla (2) otteniamo la condizione

(love, dopo l a differenziazione, si deve porre q ( P , Q ) a1 posto


tii q. Notiamo che, per (2 fissato, l'equazione (4) ha la forma del-
l'equazione di Hamilton - Jacobi.
Teorenna di Jacobi. Se si trova una soluzione S ( Q , q ) del-
l'equazione di Hamilton - Jacobi (4), dipendente da n parametri
azs
Qil , e tale che det - # 0, le equazioni canoniche
aQ a4

si risolvono esplicitamente per quadrature. Inoltre le funzioni


(J ( p ,q), determinate con le equazioni as (" = p, sono n integrali
arl
primi delle equazioni (5).
D i m o s t r a z i o n e. Consideriamo una trasformazione
canonica con funzione generatrice S ( Q , q). In accord0 con le (2).
as
abbiamo p = - ( Q , q), da cui si ricava Q ( p , q). Calcoliamo la
a9
funzione H ( p , q) nelle nuove coordinate P, Q. Abbiamo
H ( p , q) = H (g ( 0 , q), q ) . Per trovare I'hamiltoniana nelle
nuove coordinate, si dovrebbe porre in questa espressione (dopo
aver derivato), a1 posto di q , la sua espressione in funzione di
P e a . Tuttavia, per la (4), questa espressionenondipende affatto
da q , per cui risulta semplicemente

In questo modo, nelle nuove variabili l'equazione (5) ha la for-


ma (3), e segue immediatamente il teorema di Jacobi.
I1 teorema di Jacobi riconduce la soluzione del sistema di
equazioni differenziali ordinarie (5) alla ricerca di un integrale
completo dell'equazione alle derivate parziali (4). Sorprendente-
mente, si pu6 mostrare che tale riconduzione di un problema pi6
semplice a uno pih complesso, rappresenta un metodo efficace di
soluzione dei problemi concreti. Fra l'altro, questo risulta essere
il pi6 potente dei metodi esistenti d'integrazione esatta, e molti
problemi, risolti da Jacobi, non sono generalmente risolubili con
metodi diversi.
Una famiglia, a n arametri, d i soluzioni dell'equazione (4) si chia-
ma integrak completo delFequazione.
C. Esempi. Prendiamo in considerazione il p r o b h a dell'at-
trazione & parte d i due centri fissi. L'interesae per questo problema
B cresciuto negli ultimi tempi, in relazione a110 studio del mot0
dei satelliti artificiali della Terra. E abbastanza chiaro che due
centri d'attrazione vicini, sull'asse z, approssimano l'attraziont:
di un ellissoide leggerm'ente allungato lungo l'asse z . Purtroppo,
la Terra non B allungata, ma schiacciata. La soluzione consiste
nel porre i centri in punti immaginari, a una distanza f i e lungo
I'asse z. Naturalmente, le formule analitiche per la soluzione con-
servano la loro validiti anche nel campo complesso. In q u e s t ~
mod0 si ottiene un'approssim,azione del campo attrattivo terrestre,
tale che le equazioni di mot0 si integrano esattamente e che,
d'altra parte, B pih vicina alla realti dell'approssimazione keple-
riana (la Terra considerata un punto).
Per sempliciti, considereremo soltanto il problema piano
dell'attraziene di due masse uguali fisse. L'efficacia del metodo
di Jacobi i! basata sull'utilizzazione, per il sistema di coordinate
mobile, delle cosiddette coordinate ellittiche. Ammettiamo che

Fig. 204. Coordinate ellittiche. Fig. 205. Ellissi o iperboli con i


fuochi in comune.

la distanza tra i punti fissi 0,, 0, sia uguale a 2c (fig. 204).


mentre le distanze da essi della massa mobile s i a ~ l orispettiva-
mente r, e r,. Le coordinate ellittiche t, 71 si definiscono come
somma e differenza delle distanze dai punti 0,, 0,: = r, r,, +
q = r, - r,.
P r o b 1 e m a. Esprimere la funzione di Hamilton in coor-
dinate ellittiche.
S o 1 u z i o n e. Le linee = cost sono le ellissi con fuochi
in 0, e 0,, q = cost le iperboli con gli stessi fuochi (fig. 205).
Esse sono mutuamente ortogonali, quindi ds2 = a2dg2+ b2 dq2.
Troviamo i coefficienti a e b. Per un mot0 lungo un'ellisse si ha
dr, = ds cos a , dr, = -ds cos a, dq = 2 cos a ds. Per un mot0
su un'iperbole si ha invece dr, = ds sen a , dr2 = ds sen a , df =
= 2 sen a ds. Cosi, a = (2 sen a)-', b = ( 2 . ~ a0)-~'.
Inoltre, dal triangolo O,MO,, troviamo
r: + r: + 2r,r, cos 2 a =4c2,
e da qui

C O S ~a =
4cz-(rl-r2)s
4r,r*
, sen a -
-
(rl+r2)'-4c2
4r1r1
*

Cod, dunque,
a (rl+ r d l - 4 ~ ~ 4 -r -r ) ----
k k
= PC 2r1rs +p: 2h'* rl rz '

Ma r, + r, = f, r, - r, = q, 4rlr, = fZ - q2. Infine, dunque,

Or8 risolveremo l'equazione di Hamilton - Jacobi.


D e f i n i z i o n e. Se nell'equazione

la variabile 9, e la derivata aS.ldq, appaiono solo sotto forma d i


as
una combinazione p ( K , q,), la variabile 9, si dice srparubik.
In questo caso i3 utile cercare le soluzioni dell'equazione
nella forma
+
S = Sl (q1) S' (q,, . ., qn).
as
Ponendo nell'equazione di partenza p (- , ql) = c,, otte-
891
niamo un'equazione per S' con un minor numero di variabili

.
Sia S' = S' (q,, . ., q,; c,, c ) una famiglia di soluzioni di
questa equazione, dipendente dai parametri c i . Le funzioni
S, (q,, c,) + S' soddisfano l'equazione di partenza, se S1 sod-
disfa l'equazione ordinaria p (%,
ql) = c,. Questa equazione
si risolve facilmente; e s p r i m e n ddS
o a in funzione di, q, e cl, si
d9,
--
Q1

ottiene %=$ (q,, c,) e da qui Sl= $ (q,, c,) &.


d91
Se nella nuova equazione (con 0 , ) una delle variabili B sepa-
rabile, diciamo q,, possiamo ripetere la stessa procedura e (in.
caso favorevole) troveremo la soluzione dell'equazione di par-
tenza, dipendente da n costanti,
SI (91; el) + sz (92; CI, c2) + . . . + -
4 , . -, en)-
s n (9,:
In tal caso si dice che le variabili sono completamente separabili.
Se le variabili sono completamente separabili, la soluzione,
dipendente da n parametri, dell'equazione di Hamilton - Jacobi
4 ($, g) = 0 si trova per mezzo di quadrature. Ma in questo
caso si integra per quadrature anche il corrispondente sistema di
equazioni canoniche (teorema d i Jacobi).
Applichiamo quanto detto a1 problema di due centri fissi.
L'equazione di Hamilton - Jacobi (4) ha la forma

Possiamo separare le variabili, ponendo, per esempio,

(TIas z(p-4c2)-4k~-~~=ci,

Troviamo allora un integrale completo dell'equazione (4) nella


forma

I1 teorema di Jacobi fornisce ora un'espressione esplicita del


moto, nel problema di due centri fissi, per mezzo di integrali
ellittici. Un'analisi qualitativa dettagliata di questo mot0 si pui,
trovare nel libro di Charlier Meccanica celeste, Mosca, 1966.
Un'altra applicazione del problema dell'attrazione da parte
di due centri fissi B lo studio del noto con una spinta costante nel
campo d'attrazione di un solo centro.
Si parla del mot0 di un punto materiale, sottoposto all'azione
di un campo attrattivo newtoniano da parte di un centro fisso
e a quella di una sola forza (a spinta H), costante in modulo e dire-
zione.
Questo problema si pui, considerare come caso limite di
quello relativo a due centri d'attrazione fissi. Nel process0 di
passaggio a1 limite il second0 centro si- allontana all' inf inito nella
direzione della forza di spinta (inoltre la sua massa deve crescere
in mod0 tale da garantire una spinta costante, cioB proporzional-
msnte a1 quadrat0 dell'allontanamento).
11 caso limite, che si ottiene dal problema dell'attrazione di
due centri fissi, si integra esplicitamente (in funzioni ellittiche).
fer convincersene basta effettuare il passaggio a1 limite o separare
direttamente le variabili nel problema del moto, in yresenza di
una spinta costante, nel campo attrattivo di un solo centro.
Le coordinate, in cui si separano le variabili d i questo pro-
blema, si ottengono dalle coordinate ellittiche per passaggio a1
limite, quando uno dei centri si allontana all'infinito. Esse si
chiamano coordinate paraboliche e sono espresse dalle formule

(la syinta 6 diretta lurlgo l'asse x ) .


Si pub trovare una deecrizione delle traiettorie del moto,
in presenza di uria spinta costante (molte di esse sono piuttosto
complicate), lie1 libro di V. V. Beletskij Saggi sul moto dei corpi
celesti, I( Naulia )), AI., 1972 (in russo).
Come ulteriore esempio, prendiamo il problema delle geode-
tiche su un ellissoide triassiale '. Qui sono utili le coordinate ellit-
tiche di Jacobi A,, A?. A,, c l ~ esono le .tre radici dell'equazione

con x,. x,, . x, coordinate cartesiane. Kon riporteremo calcoli per


mostrare che le variabili sono separabili (si possono trovare, per
esempio, in Lezioni di ditramica di Jacobi), ma soltanto il risul-
tato: descriveremo il comportamento delle geodetiche.
Le superfici A, = cost, A? = cost, A, = cost sono superfici
del second0 ordine, dette omofocali. Uria di esse 6 un ellissoide,
un'altra un iyerboloide a una falda, la terza un iperboloide a due
falde. L'ellissoide pub degenerare nell'interno di un'ellisse, l'iper-
boloide a una falda nell'esterno di un'ellisse o nella regione d i
piano compresa tra i due rami di un'iperbole, quello a due falde
nella regione di piano esterna ai rami di un'iperbole o in un piano.
Ammettiamo c l ~ el'ellissoide corlsiderato sia uno degli ellis-
soidi della famiglia con semiassi a >b > c . Ognuna delle tre
ellissi x , = 0, x, = 0, z, = 0 B una geodetica chiusa. Una
geodetica, che esce dai punti dell'ellisze maggiore (con semiassi
a , b), in una direzione vicina a quella dell'ellisse (fig. 206),
tangente alternativamente alle due linee chiuse dell'interseziolie
dell'ellissoide con l'iperboloide a una falda della nostra famiglia
h = cost 2.
Questa geodetica o 6 chiusa o riempie in modo ovunque denso
la corolla tra le linee d'intersezione. All'aumentare dell'inclina-
I1 yroble~~la delle geodetiche sull'ellissoide, e quello simile del biliar-
(lo clliesoidale, hanno trovato applicazione in una serie di recenti lavori
lisici, collegati ai dispositivi laser.
"ueste l i ~ ~ tl'i~ltersezione
ee delle superfici omofocali sono anche linee
di clcrcntura dell'ellissoide.
zione della geodetica, g1i iperboloidi si avvicinano a1 dominio
a interno D all'iperbole, che interseca il nostro ellissoide nei suoi
quattro a punti di arrotondamento w. Nel cam limite otteniamo
le geodetiche passanti per i punti di arrotondamento (fig. 207).
E interessante notare che tutte le geodetiche'uscenti da un
punto di arrotondamento, si riuniscono nuovamente nel punto
opposto di arrotondamento ed hanno tutte la stessa lunghezza
tra due punti di arrotondamento. Tuttavia, soltanto una di queste

Fig. 206. Una geodetica sull'ellis- Fig. 207. Geodetiche uscenti dai
soide triassiale. punti di arrotondamento.

geodetiche 6 chiusa: si tratta dell'ellisse media con semiassi a, c.


Se ci si sposta lungo una qlialunque altra geodetica, che passi
per un punto di arrotondamento, in un senso o nell'altro, ci si
avvicina asintoticamente a questa ellisse.
Infine, le geodetiche che intersecano l'ellisse maggiore in
mod0 ancora piu + ripido n (fig. 208) sono tangenti .alternativa-
mente alle linee d'intersezione
del nostro ellissoide con l'iper-
boloide a due falde l. In gene-
rale, esse sono ovunque dense
nella corona delimitata da que-
st.e due linee.
Tra queste geodetiche si di-
stingue l'ellisse minore. di se-
miassi b, c.
Fig. 208. Geodetiche dell'ellissoi- u La principale difficolth'nel-
de, tangenti all'i erboloide a due l'integrazione delle equazioni
fade. differenziali date, consiste nell' in-
troduzione di variabili comode,
per la ricerca delle quali non esiste alcuna regola. Per tale motivo,
dobbiamo seguire il cammino inverso e, dopo aver trovato una
sostituzione notevole, cercare i problemi nei quali essa pub essere
applicata con successo * (J a c o b i, Lezioni di dinamica).

Esse sono anche linee di curvatura.


Una tavola di problemi, che ammettono la separazione delle
variabili in coordinate sferiche, ellittiche e paraboliche, si trova
nel 5 48 del libro Afeccanica di Landau e Lifsits (Editori Riuniti,
1976).

5 48. Funzioni generatrici


In questo paragrafo si costruisce il sistema delle funzioni
generatrici per trasformazioni canoniche non libere.
A. La funzione generatrice S2 ( P , q ) . Sia g: R2n + Ranuna
trasformazione. canonica, g ( p , q ) = ( P , Q). Per cdefinizione di
t rasformazione canonica, la I-forma differenziale su R2",
p d q - P d Q =dS,
B il differenziale totale di una funzione S ( p , q). La trasforma-
zione canonica Q libera, se come 2n coordinate indipendenti si
possono prendere q , Q . In questo caso la funzione S , espressa
nelle coordinate q e Q, si chiama funzione generatrice S, (q, a ) .
Nota questa sola funzione, si possono t.rovare tutte le 2n funzioni,
che definiscono la t.rasformazione, con le relazipni

Tuttavia, solo una parte delle trasformazioni canoniche sono


libere. Per eseripio, nel caso della trasformazione identica,
q e 0 = q sono dipendenti. Dunque la trasformazione identica
non pub essere definita dalla funzione generatrice S, (q, a ) .
Tuttavia, si pub passare a una funzione generatrice di forma
diversa per mezzo della trasformazione di Legendre. Per esempio,
ammettiamo che si possano prendere, come coordinate locali
in R2", P , q- .(cioQ che sia diverso da zero il determinante
det d ( p s = det
d ( p . q)
z)
dP
. Allora abbiamo

La quantith P Q + S , espressa come funzione di (P,q), si


chiama ugualmente funzione generatrice
9) = PQ +S (P,
s, (P, 9)'-
Per questa funzione troviamo

Inversamente, se S , ( P , q ) Q una qualunque funzione, per la


quale Q diverso da zero il determinante det d2S, (P. q)
in un intorno del punto (po= ( p l')
aP
I
. IBo.q,'
qo) si pub riml-
vere, rispetto a P , il primo gruppo delle equazioni (2), otte-
nendo le funzioni P ( p , q ) (dove P (p,, go) =PC). Dopo di che,
il second0 gruppo delle equazioni (2) determina Q (p,qj,
e l'applicazione (p, q ) -t ( P , Q) b canonica (dimostratelo!).
P r o b 1 e m a. Trovare la funzione generatrice S, per la
trasformazione identica P = y , Q = q.
Risposta. P q .
0 s s e r v a z i o n e . La funzione generatrice S2( P , q) 6
comoda anche perch6 le formule (2) non hanno segni negativi
e si possono facilmente ricordare, tenendo presente che la funzione
generatrice della trasformazione identica b P q .
B. F-funzioni generatrici. Purtroppo, anche le variabili P, q
non possono essere prese sempre come coordinate locali. Tuttavia
si pub sempre scegliere una certa collezione di n nuove coordinate
Pi= (Pi,, .. - , P i k ) , Qj = (Qj,i . .i-Q.;,-,)
in mod0 tale che, con le vecchie coordinate 9 , si ottengano 2n
coordinate indipendenti.
Qui (ill . . ., i k ) (jl, . . ., jn-,) B una partizione dell'in-
sieme (1, . . ., n) in due insiemi disgiunti: di tali partizioni ve
ne sono in tutto 2n.
Teorema. Sia g: R2" + R'" una trasformazione canonica,
definita d a l k funzioni P ( p , q ) , Q (p,q). I n u n intorno di ogni
punto (po, go) si possono prendere, come coordinate indipendenti
i n RZn, almeno una delle 2n collezioni di funzioni ( P i , Q,, q):
a (Pi*aj*q)
= det
aj, # 0.
det a ( P I .Pj. P) 8 (pi, pj)

In u n intorno di tale punto si pub ricavare la trasformazione canonica


g dalla funzione

per mezzo delle relazioni

Inversamente, se S, ( P i , Q,, q ) 12 una funzione, per la quale


2! diverso da zero il determinante det 2 YS
ax I
34 R,, q,
( ~ = p i , ~ j ) i
le relazioni (3)definiscono .ma trasformazione canonica i n u n intorno
punto p o l 90-
La dimostrazio.ne di questo teorema B pressoch6 idet~tica
a quella fatta sopra, nel caso particolare k = n. Si deve solo
verificare che, per una delle 2" collezioni ( P l , Q j , q ) e diverso
a (pi, Q j )
da 0 il determinante ,1clt
a(pr. pj) '
Consideriamo il differenmale della nostra trasformazione g,
nel punto (p,, 9,). Identificando con R2" gli spazi che gli sono
tangenti, possiamo ritenere dg una trasformazione simplettica S:
RM +R2".
Consideriamo inRm il p-pianocoordinato P (fig. 209). Si tratta
di un p i a ~ onullo n-dimensionale, e anche la sua immagine SP
B un piano nullo. Proiettiamo il piano SP
sul piano coordinato a = { ( p t , 9,)) paral-
lelamente ai restanti assi coordinati, cio6
nella direzione del piano coordinato nul-
lo, n-dimensionale, a
= {(p,, qi)). Indi-
chiamo con T: SP + a l'peratore di proie-
48 zione.
a ( p i , Qj)
La condizione det # 0 si-
ajp1, ~ j )
-
nnifica che TS: P -t a e non denenere.
Fir. 209. Per la veri- L'operatore S 6 non degenere. ~ i n ~ u e ,
fica della non dege- affinchd TS sia non degenere, B necessario e
nerazione. sufficiente che non sia degenere la proiezio-
ne T: SP -t a. In altri termini, il piano
nullo SP deve essere trasversale a1 piano' nullo eoordinato 2.
Ma abbiamo dimostrato a1 Q 41, che almeno uno dei 2" piani
nulli coordinati B trasversale a SP. Dunque, uno dei nostri 2"
determinanti B diverso da zero, c. v. d..
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il sistema di 2" tipi di fun-
zioni generatrici da noi introdotto B minimo: esistono trasforma-
zioni canoniche, per le quali B diverso da zero soltanto uno dei
2" determinanti I .
C. Trasformazioni canoniche infinitesime. Consideriamo ora
una trasformazione canonica, vicina a quella identica. La sua
funz ione generatrice si pui3 prendere vicina alla funzione genera-
trice dell' identitl P q . Si consideri la famigl ia di trasformazioni
canoniche g,, dipendente in mod0 differenziabile dal parametro e,
per le quali la funzione generatrice si scrive

Si chiama trasformazione canonica infinitesima la classe di


equivalenza delle famiglie ge; due famiglie ge e he sono equiva-
lenti, se differiscono per infinitesimi di ordine superiore a1 primo
I ge - he I = 0 (e2), e 0.
I1 numem di tipi di funzioni generatrici, nei vari manuali, oscilla
da 4 a 4n.
Teorema. Una trasformazione canonica infinitesima soddisfa
le equazioni differenziali di Hamilton

con l'hamtltonianu H ( p , q ) = S ( p , q, 0).


La dimostrazione si ottiene dalla formula (4): P + p per
e-0.
Corollario. U n gruppo a u n parametro di trasformazioni dello
spazio delle fasi R2" soddisfa le equazioni canoniche di Hamilton,
se e soltanto se le trasformazioni sono canoniche.
Per questo teorema la funzione di Hamilton H si chiama
a funzione generatrice di una trasformazione canonica infinite-
sima w . Notiamo che, a differenza delle
funzioni generatrici S, la funzione H 6 una
funzione di punto dello spazio delle fasi,
legata in mod0 invariante con la trasfor-
mazione.
La funzione H ha un semplice signifi-
cato.geometrico. Siano x e y due punti di
R'" (fig. 210), 'y una curva passante per
Fig. 210. ~i *ificato essi, ay = y - x. Consideriamo le trasla-
ggonutrico defia fup- zioni della curva fr per le trasformazioni
zione di Hamilton. < <
g,y, 0 z e. Esse formano una striscia
a (e). Consideriamo l'in2egrale della for-
ma a2 = I:d p i /\ dqi sulla 2-catena a, aa = ge? - y +
+ gd.4 - RrX-
P r o b 1 e m a. Dimostrare che

esist.e e non dipende dall'elemento rappresentativo della classe g,.


Da questo risultato otteniamo ancora una volta il g i i noto
Corollario. Sotto una trasformaziow canonica, le equazioni
canoniche e la grandezza della funzione di Hamilton rimangono
invariate.
In effetti, noi abbiamo calcolato l'incremento della funzione
di Hamilton, utilizzando soltanto una trasformazione canonica
infinitesima e la struttura simplettica di R2",cioh la forma a2.
X. Introduzione alla teoria delle perturbazioni

La teoria delle perturbazioni B una utilissima raccolta di


metodi, adatti ad approssimare la soluzione di problemi a pertur-
bati w, vicini a quelli a non perturbati w, risolti esattamente.
E facile ginstificare questi metodi, limitatamente a110 studio di
moti su un intervallo di tempo corto. Invece B stata studiata po-
chissimo la credibilitl delle conclusioni della teoria delle p e r t w
bazioni nel caso di moti su intervalli di tempo lunghi o infiniti.
Vedremo che in molti problemi integrabili a non perturbati w
il mot0 risulta essere quasi periodico. Per lo studio del mot0 sono
utili, sia nel problema non perturbato, sia specialmente in quello
perturbato, delle coordinate simplettiche particolari: le variabili
a azione-angolo w. In conclusione dimostreremo il teorema, che
giustifica la teoria delle perturbazioni di sistemi a una sola fre-
quenza, e dimostreremo inoltre l'invarianza adiabatica della
variabile azione in tali sistemi.

§ 49. Sistemi integrabili


Per integrare un sistema di 2n equazioni differenziali ordi-
narie, si devono conoscere 2n integrali primi. Tuttavia in molti
casi, se il sistema di equazioni differenziali B canonico, risulta
sufficiente la conoscenza di soli n integrali primi. Ognuno di essi
permette di abbassare l'ordine di un sistema non di una, ma di
due unit&.
A. Teorema di Liouville sui ststemi integrabili. Ricordiamo
che condizione necessaria e sufficiente affinchd la funzione F
sia nn integral9 primo di un sistema con funzione di Hamilton
H B che la parentesi di Poisson
(H,F) = 0
sia identicamente nulla.
D e f i n i z i o n e. Due funzioni F,, F, definite su una
varieta simplettica si trovano in involuzione, se la loro parentesi
di Poisson 6 uguale a zero.
Liouville dimostri, che, se i n un sisterna a n gradi di libert h
(cioL con uno spazio delle fasi 2n-dimensionale) sono noti n integrali
primi indipendenti i n involuzione, il sistema b integrabile per
quadrature.
Ecco la formulazione esatta d i questo teorema.
Supponiamo che su una varietii simplettica 2n-dimensionale
siano definite n funzioni i n involuzione
F ... F ( F i , F,) 3 0, i , j = 1 , 2 , . . ., n .
Comideriamo l'imieme di live110 delle funzioni F I
M f = {x: F i ( x ) = f i , i = 1, . . ., n).
Supponiamo che su Mr le n funzioni Fi siano indipendenti (ciob
che le n 1-forme dFi siano linearmente indipendenti i n ogni punto
di M f ) .
A llora,
1 ) M f 2 una varietii regolare invarinnte rispetto a1 flusso di
fase con funzione di Hamilton H = F,.
2 ) S e la varietii M f b com.patta e connessa, essa b diffeo-
morfa a2 toro n-dimensionale
.
T n = {(cp,, . ., cpn) mod 2n).
3) I 1 flusso d i fase con funzione d i Hamilton H determina su
Mr u n mot0 quasi periodico, ciob i n coordinate angolari cp = (cp,, . . .
. - cp*)
- 9

*=a, W=@ (f).


dt
4 ) Le equazioni canoniche con funzione di Hamilton H si
integrano per quadrature.
Prima di dimostrare questo teorema, enunciamo alcuni dei
suoi corollari.
Corollario I. S e i n u n sistema canonico con due gradi di libertii
si conosce u n integrale primo F , che non dipende dalla funzione di
Hamilton H , allora il sistema si integra per quadrature; la sotto-
varietii bidimemionale, compatta e connessa, dello spazio delle fasi,
H = h, F = f , b u n toro invariante ed il mot0 su di esso b quasi
periodico.
Effettivamente F ed H si trovano in involuzione, poich6 F
6 un integrale primo del sistema con funzione di Hamilton H .
Come esempio di sistema con tre gradi di libertii comide-
riamo una trottola lagrangiana simmetrica pesante, vincolata in
un punto dell'asse. Qui sono subito evidenti tre integrali primi
H , M,, M,. Si verifica facilmente che gli integrali -M, e M,
si trovano in involuzione. Inoltre la varietl H = h i! compatta
nello spazio delle fasi, Dunque, senza alcun calcolo. possiamo
subito affermare che, per la maggior parte delle condizioni ini-
zialil, il mato della trottola Q quasi periodico: le traiettorie di
-
lase riempiono in mod0 ovunque denso i tori tridimensionali H =
cl, M , = cz, Ms = cs. Le corrispondenti frequenze sono chia-
mate frequenza di rotazione propria, di precessione e di nutazione.
Altri esempi si ottengono dalla seguente osservazione: se
rLn sistema canonico si integra con il metodo di Jacobi - Hamilton,
nllora ha n.integrali primi in involuzione.
In effetti, il metodo consiste in una trasformazione canonica
(p, q) -t (P,0 ) tale che le Pi siano integrali primi. Ma le fun-
xioni Pi, Pj si trovano evidentemente in involuzione.
In particolare, quanto detto si applica a1 problema dell'at-
trazione da parte di due centri fissi. E facile moltiplicare il
rlumero degli esempi; in pratica il teorema di Liouville formulato
sopra include tutti i problemi della dinamica integrati fino ad oggi.
B. Inizio della dimostrazione del teorema di Liouville. Pas-
siamo ora alla dimostrazione del teorema. Consideriamo l'insieme
di livello degli integrali
M f = { x : Ft = f i , i = 1, . . ., n}.
Per ipotesi le n 1-forme dFi sono linearmente indipendenti in
ogni punto di M p Conseguentemente,. per il teorema della fun-
zione implicita, M f 13 una sottovar~etb n-dimensionale dello
spazip delle fasi 2n-dimensionale.
Lemma i. Sulla varietiz n-dimensionale ' M f esistono n campi
vettoriali tangenti, che a due a due commutano e sono linearmente
indipendenti in ogni punto.
D i m o s t raz io ne. La atruttura simplettica dello spazio delle
fasi definisce l'operatore I, che trasforma le 1-forme in campi
vettoriali. Tale operatore I trasforma la 1-forma d F t nel campo
I dFt della velocitb di fase del sistema con funzione di Hamilton
Ft. Mostriamo che gli n campi I d F t sono tangenti a M,, com-
mutano e sono indipendenti.
In effetti dall'indipendenza dei dFi e dalla non degenerazione
dell'isomorfismo I segue l'indipendenza degli I dFi in ogni
punto di Mfi I campi I dFi commutano a due a due, dato che
le parentesi di Poisson delle loro funzioni di Hamilton (Pi, Fj) =
= 0. Per lo stesso motivo, la derivata della funzione Ft nella
direzione del campo I d F j 6 uguale a zero per qualsiasi i, j =
= 1, . . ., n. Dunque i campi I dFt sono tangenti a M f ed il
lemma 1 6 dimostrato.
Osserviamo che quanto dimostrato 6 persino pi6 generale
del lemma 1:
1') La varietiz M f b invariante rtspetto a ciascuno degli n flussi
di fase commutanti g,' con funzioni di Hamilton P i ; giq = cg!.

Fanno eccezione gli insiemi singolari di livello degli integrali. dove


non sussiste l'indipendenza.
1") La varieta Mf 2 nulla (cio2 'la 2-forma oz si riduce a iero
T M f 1x1-
In effetti gli n vettori I dF, ,I sono, a due a due, antiortogo-
bali ( ( F t , Fj) = 0 ) e formano una base nel piano tangente alla
varietb M f nel punto z.
C. Varietil, su cui agisce transitivamente. i gruppo di Rn.
Ci serviremo ora della seguente proposizione topologica.
Lemma 2. Supponiamo che M" sia una varietti differenziabile,
compatta e connessa, di dimensione n, sulla quale sono definiti n
campi vettoriali, a due a due commutanti e lineannente indipendenti
in o ~ npunto
i di Mn. Allora la varietit Mn 2 diffeomorfa a un toro
n-dimensionale.
D i m o s t r a z i o n e. Indichiamo con g:, i = 1, . ., n,.
i gruppi a un parametro d i diffeomorfismi di M, corrispondenti
agli n campi vettoriali dati. Poich6 i campi commutano, i grup-
pi 6 , q commutano. Quindi possiamo definire I'azione g di un
gruppo cornmutativo di Rn = {t) sulla varietb AT, ponendo

E evidente che gt+'= gtgVt, 8 E Rn. Fissiamo il punto zoE M.


Si pub allora definire l'applicazione

(si deve far muovere il punto 2, per un tempo t, sulla traiettoria


del primo flusso, per un tempo t, su quella del second0 flusso, ecc.).
P r o b 1 e m a 1. Dimostrare che l'applicazione g (fig. 211) di
un intorno sufficientemente piccolo V del punto 0 E Rn definisce

Fig. 211. Per il problema 1. Fig. 212. Per il problema 2.

una carta dell'intorno del punto 2,: ogni punto 2, E :If ha rrn in-
torno U, 2, € U c M , t a b che g L un diffeomorfismo di V su U.
S u g g e r i m e n t o. Applicare il teorema della funziol~e
implicita e utilizzare l'indipendenza lineare dei campi nel punto so.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrare che g: Rn + 1l-I L un'applica-
zione su.
S u g g e r i m e n t o. Congiungete un punto x € llf col pun-
to s, con una curva (fig. 212), ricoprite la curva con un numero fi-
nit0 di intorni U del problema precedente e definite t come somma
delle traslazioni t i , corrispondent.i ai vari tratti della curva.
Notiamo che l'applicazione g: Rn + Mn non pub essere biu-
nivoca, poichk M nB compatto ed Rn no. Studiamo l'insieme delle
controimmagini del punto soE Mn.
D e f i n i z i o n e. Si chiama gruppo stazionario del punto so
l'insieme r dei punti t E Rn, per i quali gtzo = to.
P r o b 1 e m a 3. Dimostrare che r 2 un sottogruppo di Rn,
che non dipende dal punto to.
S o 1 u z i o n e. Se g f t o = to,gato = toallora
gn+'x0= g.gtxo = goto= t o , g"x0 = g-'g'q = ro.

Dunque r 8 .un sottogruppo di Rn. Se z= g7'$0, t E r, allora


gfz = gf++Z= g"gtjO= grjo= 2.
Dunque il gruppo stazionario I' B un sottogruppo d i Rn
interamente definito, indipendente dal punto so.I n particolare
appartiene evidentemente a I' il punto t = 0 .
P r o b 1 e m a 4. Dimostrare che, in un intorno sufficiente-
mente piccolo V del punto t = 0 in Rn, non esistono altri punti del
gruppo stazionario r , oltre a1 punto t = 0 .

Fig. 213. Per il problema 5. Fig. 214. Sottogruppo discreto del


piano.

S u g g e r i m e n t o. L'applicazione g: V + U B diffeo-
morfa.
P r o b 1 e m a 5. Dimostrare che, nell'intorno t +V (fig. 213)
d i un punto qualunque t E r c R:, non vi sono punti del gruppo
stazionario r diuersi dal punto t .
Dunque i punti del sottogruppo stazionario r sono posti in Rn
in mod0 discreto. Sottogruppi di questo tip0 si chiamano sottogruppi
discreti.
E s e m p i o. Siano el, . . ., e k k vettori linearmente indi-
pendenti in Hn, O<k<n. L'insieme di tutte le loro combina-
zioni lineari a coefficienti interi (fig. 214)

forma un sottogruppo discreto in Rn. Per esempio, l'insieme di


tutti i punti a coordinate intere sul piano B un sottogruppo discreto
del piano.
D. Sottogruppi discreti in Rn. Ci serviremo ora della seguente
proprietl algebrica: l'esempio citato esaurisce t u t t i i sottogruppi
discreti in Rn. P i t precisamente, si dimostrerl il
Lemma 3. Sia I' un sottogruppo discreto di Rn. Esistono
allora k vettori indipendenti linearmente (O< k < . .
n) el, . , e k E
r.
E tali che I' 2 l'insieme di tutte le loro combinazioni lineari a coef-
ficienti interi.
D i m o s t r a z i o n e. Considereremo Rn dotato di una
struttura euclidea. Abbiamo sempre 0 E r. Se I' = {0), il lemma B
dimostrato. Altrimenti esiste un punto e, E r, eo# 0 (fig. 215).
Consideriamo la retta Re,. hlostriamo che su questa retta esiste

Fig. 215. La dimostrazione del Fig. 216. Per il problema 7.


lemma m i sottogruppi discreti.

il punto el, che 6 il pi6;vicino ad 0. Ineffetti, nella sfera di raggio


I e, 1, con centro in 0, vi 6 solo un numero finito di punti di r
(come abbiamo visto sopra, ogni punto di I'ha un intorno di gran-
dezza standard V , che non contiene altri punti di I').
I1 pi6 vicino a 0 dei punti in numero finito di tale sfera, che
giacciono sulla retta Re,, sarA il punto di r pi6 vicino a 0 sul-
I'intera retta.
Sulla retta Re, appartengono a I' i multipli interi di el
(me,, m E 2)e non altri. In effetti, i punti me, dividono la retta
in oarti di lunghezza 1 el 1. Se in una di queste parti (me,,
( m j- 1) el) fosse contenuto il punto e E I', il punto e - me, E r
sarebbe pi6 vicino ad 0 di el.
Se I' non ha punti esterni alla retta Re,, il lemma 6 dimostrato.
Ammettiamo che esista un punto e E I', e E Rel. Mostriamo che
esiste un punto e, E I', che B il pi6 vicino alla retta Re, (questo
punto non appartiene alla retta). Proiettiamo e ortogonalmente
sulla retta Re,. La proiezione giace interamente in un segment0
A = {he,), m,< h .< m + 1. Considerjarno il cilindro circolare
retto di asse A e raggio uguale alla distanza tra A ed e. In questo
cilindro B contenuto un numero finito (non nullo) di punti di r.
Sia e, il pih. vicino, tra questi punti, all'asse Re,, che non
giace sull'asse.
P r o b 1 e m a 6. Dimostrare che la distanza tra qualsiasi
punto del gruppo r, non situato sull'asse Re,, e questo asse non
2 inferiore alla distanza tra il punto e, e l'asse Re,.
S u g g e r i m e n t o. Con una traslazione me, si pub portare
la proiezione sull'asse nel segment0 A.
Le combinazioni lineari a coefficienti interi di el , e d el
formano un reticolo nel piano Re, + Re,. I

. P r o b 1 e m a 7. Dimostrare che, sul piano Re, Re,, +


tron vi sono altri punti del sottogruppo I?, a parte quelli ottenuti
con le combinazioni lineari intere di el ed el.
S u g g e r i m e n t o. Dividete il piano in parallelogramini
(1 h , e # mlel +
+
(rig. 216) A = {be, Ale,), mi < < At m i + I. Se fosse e E
m,e,, allora il punto e - mlel - m,e, sarebbe
pih vicino a Re, di e,.
Se I' non possiede punti esterni a1 piano fie, + Re,, il
lumma B dimostrato. Ammettiamo che esista un punto e E I',
claterno a tale piano. Allora esiste un punto e, E r , che B il pi6
vicino a1 piano Re, + +
Re,; i punti mlel m,e, + m,e, esauri-
won0 I' nelio spazio tridimensionale Re, +Re, + Re,. Se esi-
atono punti di I' esterni a questo spazio tridimensionale, prendiamo
i l punto pih vicino ad esso e cosi via fino ad esaurire I'.
P r o b 1 e m a 8. Dimostrate che esiste sempre il punto piiZ
rjlcino.
S u g g e r i m e n t o. Prendere il pih vicino del numero
Cinito di punti del a cilindro w corrispondente.
Osserviamo che tutti i vettori ottenuti el, e,, e, . . sono .
linearmente indipendenti. Poicht5 appartengono t u t t i a Rn, il
loro numero k non pub essere maggiore di n.
P r o b 1 e m a 9. Mostrate che r 2 esaurito dalle combina-
ztoni lineari a coefficienti interi di el, . . ., ek.
S u g g e r i m e n t a. Suddividere il piano' Re, +. + ..
+ Rek in parallelepipedi A e mostrare che in nessuno di essi vi
possono essere punti di I'. Se esiste un punto el E I' esternamente
a1 piano Re, +. + . . ReR, la costruzione non & terminata.
Abbiamo cosi dimostrato il lemma 3.
Ora non B difficile dimostrare il lemma 2: la varietl M f6 dif-
feomorfa a un toro Tn.
Consideriamo il prodotto diretto di k circonferenze e n - k
rette:
Tk X Rn-k ={((Pi, ,(PR;yt, ...,y,,-~)), q mod 2n,
e l'applicazione naturale p: Rn+ TRx R"-h

I punti f ,,. .,
. f E Rn (f ha coordinate cpt = 2n, q,= 0,
g = 0). per questa applicazione hanno come immagine lo 0.
Supponiamo che el, . . ., e k E I'c Rn siano generatrici del
gruppo stazionario I' (vedere lemma 3). Applichiamo lo spazio
lineare Rn = {(q, y)) sullo spazio Rn = {t), in mod0 tale che
i vettori fr abbiana come immagine i vettori e t . Sia A: Rn+ R"
un tale isomorfismo.
Osserviamo ora che Rn = ((9, y)) fornisce le carte di Tk x
x Rn" mentre Rn = {t) le carte della nostra varieti Mt.
P r o b 1 e m a 10. Dimostrare che l'applicazione delle carte
A: Rn -t Rn definisce un diffeomorfismo x:
Tk X Rn-" -t Mp,

Ma poich6, per ipotesi, l a varieti' M p 6 compatta, k = n


o MI Q un toro n-dimensionale. I1 lemma 2 Q dimostrato.
In forza del lemma 1 sono dimostrate le prime due afferma-
zioni del teorema d i Liouville.
Nello stesso tempo abbiamo costruito su M f le coordinate
.
angolari cp,, . ., cp, mod 2n.
P r o b 1 e m a 11. Mostrare che sotto l'azione del flusso d i
fase con funzione di Hamilton H le coordinate angolari cp variam
uniformemente:
cpr = or; oi = or (f); cp (t) = cp (0) + a t *
In altri termini, il mot0 sul toro invariante M f b quasi periodico.
S u g g e r i m e n t o . cp=A-It.

5 50. Variabili azione-angolo


Si mostrerl in questo paragrafo che, nelle condizioni del'
teorema di Liouville, si possono ~ceglieredelle coordinate sim-
plettiche (I, cp) tali, che gli integrali primi F dipendono soltanto
da 7 , mentre cp sono delle coordinate angolari sul toro Mp.
A. Descrizione delle variabili azione-angolo. Nel 49 ab-
biamo studiato soltanto la varietl compatta connesea di live110
degli integrali Mp = {s: F (2) = f ); Q risultato che Mp Q run
toro n-dimensionale, invariante rispetto a1 flusso di fase. Abbiamo
scelto delle coordinate angolari su Mp, cp, tali, che il flusso di
fase con funzione di Hamilton H = F, prenda la forma particolar-
mente semplice

Consideriamo ora un intorno della varieti n-dimensionale Mr


nello spazio delle fasi 2n-dimensionale.
'Pr o b 1 e m a. Dimostrate che la varieta M f ha un intorno
diffeomor.io a1 prodotto diretto di un toro n-dimensionale Tn per
una sfera Dn di uno spazio euclideo n-dimensfonale.
S ,u g g e r i m e n t o. Ywndere come coordinate le funzioni
F 1 e gli angoli q 1 costruiti sopra. Per l'indipendenza lineare dei
..
dFl,le funzioni F 1 e q l ( i = 1, ., n) forniscono u n diffeomor-
fismo di un intorno di M f sul prodotto diretto Tn X Dn.
Nelle coordinate (F, 9) introdotte, il flusso di fase con fun-
zione di Hamilton H = Fl si scrive nella forma particolarmente
semplice di un sistema di 2n equazioni diffewnziali ordinarie

che si integra subito: F (t) = F (O), 9 (t) = (0) +


o ( F (0)) t.
Dunque, per integrare esplicitamente il sistema canonico
iniziale di equazioni differenziali, B sufficiente trovare esplicita-
mente le variabili 9. Si pub fare cid utilizzando solo delle quadra-
ture. Tale costruzione delle variabili cp fatta in seguito.
Ossewiamo che le variabili (F,. cp) non sono, in generale,
delle coordinate simplettiche. Ma r~sultanoesistere delle fun-
zioni di F, che indicheremo con I = I (F), I = (I,, . . I,), .,
tali che le variabili (I,cp) sono coordinate simplettiche: la strut-
tura simplettica iniziale m2 si esprime in queste coordinate second0
la formula nota

Le variabili I si chiamano variabili d'azione "e con le variabili


angdlari formano, in un intorno della varieta M f , un sistema
di coordinate canoniche azione-angolo.
Le grandezze It sono integrali primi del sistema con funziono
di Hamilton H = F,, in quanto funzioni degli integrali primi E .
A loro volta 1s variabili F, possono &sere espresse attraverso fe
I e, in particolare, H = Fl = H (T). Nelle variabili azione-ango-
lo le equazioni differenziali del nostro flusso (1) hanno la forma

P r o b 1 e m a. La funzione o ( I ) nella (2) pub essere arbi-.


traria?
S o 1 u z i o n e. Nelle variabili (I,cp) le equazioni de1
flusso (2) hanno forma canonica, con funzione di Hamilton H (I).
Conseguentemente, o ( I ) = a H l a I ; dunque ee il numero dei gradi
di liberta B n 2 2 , le funzioni o ( I ) non sono arbitrarie, ma verifi-
cano la condizione di simmetria ao,laI, = do,laI,.
Le variabili azione-angolo sono particolarmente importanti
per la teoria. delle perturbazioni; nel Q 52 si indica il loro uso
nella teoria degli invarianti adiabatici.
B. Coetruzione delle variabili azione-angolo nel cam di nn
solo grado di libera. Un sistema a un grado di liberta B definito
sul piano delle fasi (p, q) dalla hamiltoniana H (p, q).
1 E facile controllare che I ha 1e dimensioni di un'azione.
i 1
E s e m p i o 1. L'oscillatorearmonico H = T ~ ' + T q ' 0, in
generale, H = i a2p2 + i b2q2.
1
- cos q.
E s e m p i o 2. I1 pendolo matematico H = -Z-pa
In entrambi i casi si hanno delle curve chiuse compatte M h
(H = h), e siamo nelle condizioni del teorema del 8 49, per n = 1.
Per costruire le variabili azione-angolo, cercheremo una tra-
sformazione canonica @, q) + (I, cp), che soddisfi le due condi-
rioni
I I 2) 4dT=2rr. (3)
Mh
P r o b 1 e m a. Trovare le variabili a..ione-angolo nel caso di
un semplice oscillatore armonico H = Ti p 2 + 1
q2.
S o 1 u z i o n e. Se r, cp sono coordinate polari, allora dp A
A d q = r d r /\ dcp=dTr* /\ dq. Dunque I = H = Tp4. 9' +
Nel caso generale, per costruire la trasformazione canonica
p, q + I, cp cercheremo la sua funzione generatrice S (I, q):

Supponiamo dapprima che la funzione h (I) sia nota e inverti-


bile, cosicch6 ogni curva Mh sia definita dal .valore di I (Mh =
= MhcI,). Allora, per un valore fissato di I , otteniamo dalla (4)

Tale relazione definisce completamente la 1-forma differenziale


dS Sulla Mhtr,.
Integrando questa l-forma lungo la curva MhcI,, otteniamo
(nell'intorno di un punto q,) la funzione
9

S(I. 9)- 1p d g .
90

Questa funzione sari proprio la funzione generatrice della


trasformazione (4) nell'intorno del punto (I, 9,). La prima delle
condizioni (3) if! soddisfatta automaticamente: I = I (h). Per
soddisfare la seconda condizione, consideriamo il comportamento
di S (I, q) a in grande n.
Per un giro completo della curva chiusa MhcI, l'integrale
di p dq 'ha un increment0
As(I)= $ pdg,
Mhc~)
pari all'area II, delimitata dalla curva M,,,. Percib la funzione S
Q una a funzione plurivoca v sulla curva Mhtl); e a a Q definita
a meno di un multiplo intero di n. Questo termine non influisce
aulla derivata "
( I ' )' ; tuttavia esso wusa la plurivocitl di
84
cp = aSlaI. Questa derivata risulta definita a meno di un termine
d
multiplo di A S (I). Pih precisamente, le formule (4) definiscono
la I-forma dq sulla curva Mw, e l'integrale di questa forma lungo
d
la curva in questione Q uguale a .;i?. A S (I).
Affinch6 sia saddisfatta la seconda delle condizioni (3).
cioi $dcp = Zrr, i necessario che
Mh

dove ll = $ p dq i l'area delimitata dalla curva di fase 8.;h.


Mh
D e f i n i z i o n e. Si chiama variabile*d'azione, nel pro-
blema unidimensionale con hamiltoniana H (p, q), la grandezza
I
I (h) = n (h).
Infine giungiamo alla seguente conclusione. Sia, dnl& # 0,
E definita allora la funzione h (I) inversa di I (h).
Teorema. Poniamo S (I, q) = p dq IH+l). Albra hi for-
e
mule (4) definiscono urn trasformazione canonica p, q -+ I, cp, che
soddisfa le condiz ioni (3).
Abbiamo cosi costruito le variabili azione-angolo nel caso
unidimensionale.
P r o b 1 e m a. Trovare S ed I per l'oscillatore armonico.
I
Risposta. Se H = Z. a2p2
I
+
b2q2 (fig. 217), allora M h
f l h )/?jE = -
B un'ellisse, che delimita l'area II (h) = n --a ab
-
2nh = 2axh
a *
Dunque, per I'oscillatore armonlco la variabile d'kione b i l rappotto
tra energia e freqmnza. Naturalmente, la variabile angolare cp
5 la fase delle oscillazioni.
, P r o b 1 e m a. Dimostrare che il periodo T del mot0 sulla
curva .chiusa H = h sul piano delle fasi p, q L uguak alla derivata
rispetto ad h dell'area delimitata da questa curva:
-So 1 u z i o n e. Nelle variabili azioneangolo le equationi
del mot0 (2) danno

C. Caetn&ione dellc variabili done-angolo L6 Rsn. Passiamo


ora a un sistema con n gradi di liber-
tA, definito in Rm = (p, 9)) dalla
$
funzione di Hamilton ( p , I ) , e con
n integrali primi in involuzione PI=
= H, P,, . . .,
Fn. Non ripeteremo
i ragionamenti, che ci hanno condot
to alla scelta 2nI = t$ p. dq nel caso
I J
unidimensionale e def iniremo subito
Fig. 217. Variabile d'azione variabili dsazione 1.
per l'orrcillatore armonico.
.
Siano y,, ,., yn dei cicli' di ba-
se unidimensionali del toro M, (l'in-
cremento della coordinata q1 sul ciclo y, B uguale a 2n re 2 =I,
e a 0, se i # 1). 'Poniamo

11 (f)==
1
;S P ~ P . (5)
Yl
P r o b 1 e m a. Dimostrare che questo integrale non dipende
d a l h scelta & l h curva yl, che rappresenta il ciclo di base (fig. 218).

.
Fi 218. Indipendenza della va- Fig. 219. Indipendenza del ammi-
d%ile d'arione dalla acelta ddla no dell'integrale pdq su M y
curva Id'integrazione.

S u g g e r i m e n t o. Nel paragrafo 49 si B mostrato che


sulla varietil MI la 2-forma oa = x d p l dqt Q uguale a zero.
In base alla formula di Stokes

dove 80 = y - y'.
D e f i n i z i o n e. Le n grandezze Il(f), definite dalle
formule (5). si chiamano variabili d'azione.
Supponiamo ora che, per dei dati valori f degli n integrali Ft,
lu n grandezze Itsiano indipendenti: det -$-( # 0. Allora, nel-
I'intorno del tor0 Mf, si possono prendere come coordinate I, cp.
Teorema. La trasformazione p, q + I, cp 2 canonica, cio2

Tracciamo la dimostrazione d i questo teorema. Consideriamo


su Mf la I-forma differenziale p d q . Poich6 la varietsl Mf 13 nulla
(5 49). questa I-forma b chiusa su Mf: la sua derivata esterna
oa= dp dq sulla varietl Mf b identicamente nulla. Dunque
(fig. 219)

iron cambia in seguito a una deformazione del cammino d'integra-


zione (formula di Stokes). Dunque S (z) i? u una funzione pluri-
voca w su My; i suoi periodi sono uguali a

Sia ora x, un punto di .If,., nell'intorno del quale n variabili q


fungono da coordinate su My, cosicch6 la sottovarietl Mf c Rm
6 definita da n equazioni della forma p = y (I, q), q (zq) = go.
In un intorno semplicemente connesso del punto q, e def~nitala
funzione univoca
0

Po

che noi possiamo prendere come funzione generatrice della


trasformazione canonica p , q + I, cp:

E facile verificare che queste formule in effetti definiscono una


trasformazione canonica, non soltanto nell'intorno del punto con-
siderato, ma anche u in grande % nell'intorno di M,. Inoltre le
coordinate cp saranno plurivoche di periodi

c.v.d.
Osserviamo ora che tutte le nostre operazioni contengono
solo operazioni 4 algebriche s (inversione di funzioni) e una w qua-
dratura w, il calcolo dell'integrale di una funzione nota. Percib
il problema dell'integrazione d i un sistema canonico di 2n equa-
zioni, di cui si conoscono n integrali primi in involuzione, si
risolve per quadrature, il che dimostra anche l'ultima afferma-
zione del teorema d i Liouville ($ 49).
0 s s e r v a z i o n e 4. GiA nel caso unidimensionale lo
variabili azione-angolo I , cp non sono definite univocamente dalle
condizioni (3). CioB, come variabile d'azione si sarebbe potut?
prendere I' = I + cost e come variabile angolare cp' = cp +
c (I).
0 s s e r v a z i o n e 2. Abbiamo costruito le variabili azio-
ne-angolo per un sistema che ha come spazio delle fasi RZ":

Fig. 220. Variabili azione-angolo su una varieth simplettica.

Si sarebbero potute introdurre le variabili azione-angolo anche per


un sistema dato su una qualunque varieti simplettica. Ci limite-
remo qui a un semplice esempio (fig. 220).
E naturale prendere come spazio delle fasi del pendolo H = (
1
=Tp2- cos q) non il piano {(p, 8 ) ) . ma la superficie del cilin-
dro R1 x S1, che si ottiene identificando gli angoli q, che diffe-
riscono di multipli interi di 231.
Le linee di live110 critiche H = +1 dividono il cilindro in
tre regioni A, B, C, ognuna delle quali 6 diffeomorfa a1 prodotto
diretto R1 x S1.In ogni regione si possono introdurre le variabili
azione-angolo.
Nella regione limitata (B) le traiettorie chiuse rappresen-
tan0 l'oscillazione del pendolo, nelle regioni non limitate, le rota-
zioni.
0 s s e r v a z i o n e 3. Anche nel caso generale, come nel-
l'esempio portato, le equazioni F i = f i , per certi valori di fr,
cessano di essere indipendenti, ed Mfnon B piG una varieti. A tali
valori critici di f corrispondono delle separatrici, che dividono l o
spazio delle fasi del problema da integrare in regioni, simili
alle regioni A , B , C dell'esempio precedente. In alcune di queste
regioni le varietA Mf possono essere illimitate (regioni A e C
sul piano{(p, q ) ) ) ; le altre si decompongono in.tori invarianti n-di-
mensionali Mf;nell'intorno di un tale toro si possono introdurre
le variabili azione-angolo.
In quest0 paragrafo si dimostra che, in sistemi che compiono
un mato quasi periodico, le medie temporali e spaziali coincidono.
A. Moti quasi periodici. Abbiamo incontrato spesso nei
paragrafi precedenti, il mot0 quasi periodico: le figure di Lis-
sajou, le precessioni, le nutazioni, la rotazione della trottola, ecc.
D e f i n i z i o n e. Siano Tn un toro n-dimensionale, cp =
-= (ql, .. ., q,) mod 2n delle coordinate angolari. Si chiama mote

:$
cluasi periodico un gruppo a un parametro
di diffeomorfismi T" -t T", definito dalle
uquazioni differenziali (fig. 221)
(P = 61, = (ol, .. on) = Cost.
Queste equazioni differenziali si inte-
grano subito:
cp (t) = cp (0) + at.
0
8
Percib, sulla carta {cp), le traiettorie sono Fig. 221. Moto quasi pe-
delle rette. La traiettoria sul toro si chia- riodico.
ma elica del toro.
E s e m p i o. Sia n = 2. Se 01/02 = kllkB, le traiettorie
sono chiuse; se o l / 0 2 15 irrazionale, le traiettorie sono ovunque
dense sul toro (vedere il § 16).
Le quantiti o l , . . ., on si chiamano frequenze del mot0
quasi periodico. Le frequenze si dicono indipendenti, quando sono
linearmente indipendenti sul campo dei numeri razionali: se
k 6 Z'" e (k, a ) = 0, allora k = 0.
B. Media temporale e spaziale. Supponiamo che f (cp) sia
una funzione integrabile sul toro Tn.
D e f i n i z i o n e. Si chiama media spaziale della funzione f
sul toro Tn il numero
- 27 2n
f=(2rclwn j am. J f ( 9 ) aq, .. . dq..
0 0

Consideriamo il valore della funzione f (cp) sulla traiettoria.


cp (t) = cp, +
a t . Si tratta di una funzione del tempo f (9,
Consideriamo la sua media.
at). +
D e f i n i z i o n e. Si chiama media temporale della fun-
zione f sul toro T" la funzione
T

(definita 1 i dove il limite esiste).


k = (k,, ...
, k,) con kt interi.
Teorema della media. La media temporale esiste ovunque
e coincide con quella spaziab, se la funzione f b continua (o almeno
integrabib secondo Riemann) e le frequenze or sono indipendenti.
P r o b 1 e m a. Mostrare che, se le frequenze sono dipendenti,
la media temporale non pub coincidere ovunque con quella spa-
ziale.
Corollario 1. Se b frcquenze sono indipendenti, ogni traietto-
ria {cp ( t ) ) 2 ovunque &ma sul toro Tn.
D i m o s t r a z i o n e. Supponiamo il contrario. Allora
nell'intorno D di qualche pulito del toro, non vi sono punti della
traiettoria cp ( t ) . E facile costmire una funzione continua f , uguale
a zero fuori di D e con media spaziale 7 = 1. La media temporale
f* (9,)sulla traiettoria cp ( t ) B uguale a 0 # 1. Poich6 cid contrad-
dice il teorema. il corollario 1 Q dimostrato.
Corollario 2. Se le frequenze sono indipendcnti, ogni traiettoria
2 distribuita uniformemente sul toro T n .
Cib significa che il period0 di tempo, durante il quale la traiet-
toria si trova nel dominio D , B proporzionale alla misura di D.
Pih precisamente, supponiamo che.D s i c un dominio di T",
misurabile secondo Jordan. Indichiamo con T,, ( T ) la quantith d i
tempo per cui I'intervallo 0 < < t T della traiettoria cp ( t )
si trova all'interno di D. Allora
rD(T)- mi5 D
lim -
2.-o. T (24" .
D i m o s t r a z i o n e. Applichiamo il teorema alla fun-
zione caratteristica f dell'insieme D ( f B integrabile secondo Rie-
. . #

mann, poich6 D B misurabile secondo Jordan). Allora


j f (9( t ) )dt
0
=

= T~ ( T ) , e? = (24-" mis D , e il corollario segue immediata-


mente dal teorema.
Corollario. Nella successione
1 , 2 , 4 , 8 , 3 , 6 , 1 , 2 , 5 , 1 , 2 ...
delle prime cifre dei numeri 2" il. numero 7 si incontra pih spesso
del numem 8 nel rapport0 di llg9-1g8 g8-1~7
volte.
I1 teorema della media si incontra implicitamente gih nei
lavori di Laplace, Lagrange e Gauss sulla meccanica celeste;
B uno dei primi u teoremi ergodici w. La dimostrazione rigorosa
6 stata data soltanto nel1909 dn P. Bohl, V. Serpinskij e G. Weyl,
in relazione a1 problema di Lagrange sul mot? medio del perielio
della Terra. Pih in basso B riprodotta la dimostrazione di H. Weyl.
C. Dimostrazione del teorema della media.
Lemma I. I1 teoremab verc per gli esponenziali f =eick* 9,. kc 2".
Dimostrazione. Se k = 0 , allora.fc=f = f * - 1
e il teorema B evidente. Se k# 0, allora T= 0. D'altra parte,

Dunque la media temporale


e i ( k . we) * i ( k . e0T-i
lim = 0,
f (k,4 T
c.v.d.
Lemma 2. I1 teorema 2 vero per i polinomi trigonometrici

D i m o s t r a E i o n e. Sia la media temporale che quella


spaziale dipendono linearmente da f , dunque coincidono per il
lemma 1, c.v.d.
Lemma 3. Sia f una funzione reab continua (o almeno inte-
pabile second0 Riemann). Allora, comunque si prenda e > 0,
esistono due polinomi trigonometrici P I , P, tali, che Pl < f < P,,
e - ( P -P ) d <.
1
(2n))l .
T~
D i m o s t r a z i o n e. Supponiamo dapprima f continua.
Per il teorema di Weierstrass la si pub approssimare con un polino-
mio trigonometrico P , I f - P I <
< Te . I polinomi P1 = P - T e
p P ,=
= P + -e2 sono i poli~iomi cercati.
Se invece f B discontinua ma inte-
grabile nel senso di Riemann, esistono
due funzioni continue f 1 e f,, e ciob
[
fl < f <f,. (2n)-*$ (f,- f l ) d ~ < $
(la fig. 222 corrispozhe alla funzione Fi . 222. Approssimazione
caratteristiea del segmento). Appros- ~ ~ \ i f U z ~ 0 J e 3 \P";
simando fl e f, con i polinomi PI < P,.
< fl < f. < P,, ( 2 ~. -n) d( (P3-fz)
5
x d g c , (2n)' j (fl-PI) dq<% otteniamo quanto affermato.
11 lemma 3 t dimostrato.
Ora 6 facile terminare la dimosirazione &I teorema. Sia E > 0.
Per il lemma 3 esistono dei polinomi trigonometrici P1 < f < P,,
(2n)-. j ( P , - P,) dq < e.
Allora, per T qualunque, abbiamo

In base a1 lemma 2, per T > To(e),

Inoltre, Pi <?< Fa e $ - <e. Dunque Fa- F< s,


9- Pi <e; conseguentemente, per T >To(e)
T
:1 j f ( ~ ( t )at-f
0
) I<2e.
c.v.d.
P r o b 1 e m a. Un oscillatore bidimensionale di energia
cinetiu T = i i '
+
i' i
-ga e enegia potenziale U = Z- xa
2
f +
compie delle.oscillazioni di ampiezza a, = 1, a, = 1. Trovare la
media temporale dell'energia cinetica.
P r o b 1 e m a I. Supponiamo che gli ohsiano indipendenti,
a$> 0. Calcolare
3

Risposta. 'Y1a1+U2ap+0aa8
X
, dove a,, a2,as sou0 gli angoli
di un triangolo di lati ah (fig. 223).

Fig. 223. I1 problema del mot0 medio dei perielii.

D. Degenerazioni. Fin qui abbiamo considerato il caso d i


frequenze indipendenti o. Un vettore a coefficienti interi k 2"
si chiama relazione tra frequenze, se ( k , o) = 0.
a Lagrange ha mostrato cbe lo studio del mot0 medio dei perielii dei
pianeti si riconduce a un roblema simile. La soluzione di uesto roblema
si pub trovan nei lavori i i H. Weyl. L'sruntricitl dell'or%ita defla T a n
varia come ,i1 modulo della somma analoga. Alla variazione dell'eccentricith
sono probabilmente legati i periodi glaciali.
P r o b 1 e m a. Mostrare che l'insieme di tutte le relazioni
Ira frequenze date o forma u n sottogruppo del reticolo 2".
Ma a1 § 49 abbiamo visto che un tale sottogruppo consiste
t l i tutte le combinazioni lineari a coefficienti interi di r dei vet-
tori indipendenti kt, l ,(r,(n. Diremo che tra le frequenze
si hanno r relazioni (indipendenti) '.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la chiusura delle traiettorie
+
(cp ( t ) = cp, a t } (su 2"') 2 u n toro di dimensione n - r, se
Ira le frequenze o esistono r relazioni indipendenti; i n quest0 caso
i l mot0 su P-'b quasi periodico, con n - r frequenze indipendenti.
Torniamo ora a un sistema hamiltoniano integrabile, defi-
t o variabili azione-angolo I , q dalle equazioni
~ ~ i nelle
aH
I = 0 , y,=o(I), dove o(I)==.

Nello spazio delle fasi di dimensione 2n ogni toro n-dimensionale


I = cost B invariante e il mot0 su di esso B quasi periodico.
D e f i n i z i o n e. Un sistema si dice non degenere se
4 diverso da zero il determinante
a@ a 2 ~
det -=det-
ar d12

P r o b 1 e m a. Dimostrare che se u n sistema 2 non degenere


allora i n u n intorno qualunque di u n punto arbitrario esistono
dei moti quasi periodici a n frequenze e a qualsiasi numero minore
di frequenze.
S u g g e r i m e n t o. A1 posto delle variabili I si possono
prendere come coordinate locali le stesse frequenze o. Gli insiemi
di punti o con un numero qualunque r di relazioni ( 0 r < n) <
sono ovunque densi nello spazio delle collezioni di frequenze.
Corollario. S e u n sistema 2 non degenere, i tori invarianti
I = cost sono definiti in.modo univoco, indipendentemente dalla
scelta delle coordinate azione-angolo I , cp nella cui costruzione vi
b sempre una certa arbitrarietii 2.
Effettivamente, i tori I = cost possono essere definiti come
la chiusura delle traiettorie di fase, corrispondenti alle o indipen-
denti.
Osserviamo a tal proposito che per la maggior parte dei valori
di I le frequenze o saranno indipendenti.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che la misura di Lebesgue del-
l'insieme di quegli I , per i guali le frequenze o ( I ) i n u n sistema
non degenere sono dipendenti, b uguale a 0.

Dimostrare che il numero r non dipende dalla scelta dei vettori indi-
pendenti k,.
2 Peresempio, sono sempre possibili i cambiamenti di variabile 1 '=
= 1,9' = 9 3- S I ( I ) 0 1 1 , 1,; 91, 9 , + 11 +
1 2 , 1 2 ; (?I., ps - 91.
S u g g e r i m e n t o. Mostrare dapprima che mis {a: 3 k#
# 0, ( 0 , k) = 0) = 0.
A1 contrario, in un sistema degenere si possono costruire dei
sistemi di variabili azione-angolo tali, che i tori I = cost saranno
diversi in un sistema enell'altro. Cib si spiega col fatto che le
chiusure delle tralettorie di un sistema degenere sono dei tori
di dimensione k < n e si possono unire in modi diversi in tori
n-dimensionali.
..
E s e m p i o 1. L'oscillatorc! armonico piano x = -x; n =
= 2, k = 1. La separazione delle variabili in coordinate carte-
siane e coordinate polari p'orta a delle variabili azione-angolo
diverse, e a dei tori diversi.
E s e m p i o 2. 11 mot0 kepleriano piano ( U = -);, 1 n =
= 2, k = 1. Anche qui la separazione delle iariabili in coor-
dinate polari ed ellittiche conduce a diversi I.

§ 52. Media delle perturbazioni

Si dimostra qui l'invarianza adiabatica della variabile


d'azione in un sistema con un solo grado di liberth.
A. Sistemi vicini a sistemi integrabili. Abbiamo considerato
pifi in alto un grande numero di sistemi integrabili (problemi uni-
dimensionali, problema dei due corpi, piccole oscillazioni, caso
di Eulero e di Lagrange del mot0 di un corpo rigido vincolato in
un punto, ecc.). Abbiamo studiato il carattere delle traiettorie
di fase in questi sistemi: si tratta di a eliche di tori B, che riem-
piono in mod0 ovunque denso tori invarianti nello spazio delle
fasi; ogni traiettoria I! distribuita uniformemente su questo toro.
Non si deve tuttavia pensare che tale situazione 6 tipica per
problemi di carattere generale. In effetti, le proprieti delle traiet-
torie in sistemi multidimensionali possono essere molto diffe-
renti e non essere affatto simili a quelle dei moti quasi periodici.
In particolare, la chiusura della traiettoria di un sistema a ngradi
di liberth pub riempire insiemi complicati, nello spazio delle
fasi 2n-dimensionale, aventi dimensione maggiore di n; la traiet-
toria pub persino essere ovunque densa e distribuita uniformemente
su tutta la varieth di dimensione 2n - 1, definita dall'equazione
H = hl. I1 termine u non integrabili B usato per questi sistemi
6 giustificato dal fatto che essi non ammettono integrali primi
univoci, indipendenti da H.
Lo studio di tali sistemi complicati Q ancora lontano dall'es-
sere completato; esso B oggetto della a teori'a ergodica s.

1 A questa classe appartiene, per esempio, il mot0 per iaerzia sulle


varieti di curvatura negativa.
Uno degli approcci per sistemi non integrabili B lo studio di.
sistemi vicini a quelli integrabili. Per esempio, il problema del
mot0 dei pianeti intorno a1 Sole 6 vicino a1 problema integrabile
del mot0 di punti non interagenti intorno a un centro fisso; citiamo
ancora il problema del mot0 di una trottola pesante leggermente
asimmetrica e quello delle oscillazioni rlon lineari vicino a una
posizione d'equilibrio (il problema vicirlo integrabile Q lineare).
Nello studio di questi e di problcmi simili 6 estremamente fecondo
il metodo che segue.
B. Principio della media. Siano I , cp le variabili azione-
angolo in un sistema integrabile (u non perturbato ~ ) d hamilto-
i
liiana H , (I):
cp = 0 ( I ) ;
Come sistema vicino u perturbato n consideriamo il sistema.
; o(I)
= + ~f(I, (P),

I= Eg (1, (P),
dove E < 1.
Dimentichiamoci momentaneamente del fatto che il sistema
i. hamiltoniano e consideriamo un sistema arbitrario di equazioni
differenziali (1). defi~litosul prodotto di'retto ' T x G del toro
k-dimensionale Tk = {(c = (vl, . . ., q k )mod 2n) e del dominio
G di uno spazio I-dimensionale G c R' = {I = ( I , , . . ., I,)).
Per E = 0 il mot0 (1) i' quasi periodico, con un numero di fre-
quenze < k e con tori invarianti di dimensionc k.
I 1 principio della media per il sistenla (1) consiste nella sua
sostituzione con un altro sistema, detto sistema mediato:

nel dominio I-dimensionale G c R' = {J= (J,, . . ., J,)).


Si afferma che i l sistema ( 2 ) u approssima bene B il sistema (1).
Osservirtmo che questo principio non 6 un teorema, n6 un
nesioma. nC una definizione, ma una proposizione fisica, cioQ
r~na formulazione vaga che, in termini rigorosi, Q sbagliata.
Tali affermazioni sono spesso fonte feconda di teoremi mate-
matici.
I1 principio della media considerato si incontra esplicita-
mente g i i in Gauss (per lo studio delle perturbazioni che i pianeti
rsercitano tra loro, Gauss propose di distribuire la massa di ogni
pianeta sulla sua orbita proporzionalmente a1 tempo e di sosti-
tuire I'attrazione dei pianeti con l'attrazione degli anelli ottenuti).
Tuttavia non Q stato fatto, sino ad oggi, uno studio soddisfacente
del legame che esiste, nel caso generale, tra le soluzioni del
sistema (1) e quelle del sistema (2).
Sostituendo il 'sistema (1) col sistema (2) trascuriamo nella
parte destra il termine ef(1, 9 ) = eg (I, cp) e g (I).Questo-
-I -
termine 13 dell'ordine di grandezza-di e, como il termine restante
eg. Per capire i diversi ruoli di g e g in g, studiamo un esempio
semplice.
P r o b 1 e m a. Considerare il caso k = I = 1,
6=o+0, j=eg(q).
1
Mostrare che per 0 < t <

II(t)--J(t)l<ce,
-
dove J ( t ) = I ( O ) + e g t .
Soluzione.
t

dove ir (q) = 1?
0
(q) dq 6 una funzione periodica e quindi limitata.
Dunque, la variazione nel tempo di I consiste di due parti:
d i oscillazioni di ordine e, dipendenti'da g e di una e evoluzione n
sisternatica d i velocith e g (fig. 224).
11. principio della media Q basato sulla supposizione che,
anche nel caso generale, il mot0 del sistema (1) si pub scomporre
in una cc evoluzione B (2) e in piccole
oscillazioni. Nella forma generale tale
supposizione Q ingiustificata e lo stesso
principio 6 falso.
Nonostante ci6 applichiamolo a1
sistema hamiltoniano (1):
I
7
I
et
--
cP=
. -=
a
(Ho (I)+ e H * ( I ,
Fig. 224. Evoluzione e
oscillazioni. a
I=- +
@' (Ho (1) eH, (I,
cp)).

Nel membro a destra del sistema mediato (2) otteniamo allora


2n
- a
g = (2n)-rn [-
a'#'
H, (I, p) d q = 0.
'0
I n altri t e m i n i , in un sistema hamiltoniano non degenere non
ul b evohzione.
Una delle varianti di questa conclusione, del tutto priva
tli rigore, ci conduce a1 cosiddetto teorema di Laplace:
I , semiassi maggiori delle ellissi kepleriane dei pianeti non
tunno perturbazioni secolari.
Quanto detto B sufficiente per convincersi dell'importanza
tlel principio della media; formuleremo ora il teorema che giusti-
fica questo principio in un caso molto particolare: qliello di oscil-
lnzioni a una sola frequenza (k = 1). Questo teorema mostra
che l'equazione mediata descrive correttamente l'evoluzione su un
intervallo di tempo grande' (0 < t < 118).
C. Media in un sistema a una sola frequenza. Consideriamo il
sistema di 1 + 1 equazioni differenziali
(1, TI, cp mod 2n E St,
(1).
eg(?,cp), IEGcR',
dove f (I, cp + +
2 4 = f ( I , cp), g (I, cp 2n) = g ( I , cp), e il
sistema t mediato n di 1 equazioni

e )
-
, dove g ( J ) = = yI g ( J ' cp)dcp. (2)
0

Indichiamo con I (t), cp (t) la soluzione del sistema (I), con con-
dizione iniziale I (0), rp (0), e con J (t) la soluzione del sistema (2)
con la stessa condizione iniziale J (0) . . =
= I (0) (fig. B5).
Teorema. Supponiamo che: 1) le funzio-
ni o , f , g siano definite, quando I varia m1
dominio limitato G, e siano ltmitate in G
con le loro derivate fino a1 second0 ordim
incluso:
11 0 , f , g I C'(CxS') c CI;
2) nel dominio G Fig. 225. Teorema del-
la media.
> c > 0;
o (I)
<
3) per 0 ,(t 118 il punto J (t) appartiene a G, insieme a un
intorno di raggio d:
J (t) E G - d.
Allora per un e abbastanza piccolo (0 < e < e,) sar&
II(t)-J(t)t<.c98 per ogni t, O,(t<lle,
dove la costante c9 > 0 dipende da cr, c, d, ma non da E.
Alcune applicazioni d i questo teorema saranno date pi&
in basso (a invarianti adiabatici s). Osserviamo che l'idea fonda-
mentale per la dimostrazione d i questo teorema (un cambiamento
d i variabili, che diminuisce la variazione) b pih importante dell6
stesso teorema; si tratta di una delle idee fondamentali nella teoria
delle equazioni differenziali ordinarie, che si incontra g i i nel
corso elementare sotto forma del a metodo d i variazione delle
costanti n.
D. Dimoetrazione del teorema della media. Al posto delle.
variabili I introduciamo le nuove variabili P

dove scegliamo le funzioni k, di periodo 2n in cp, in mod0 t a l e


che il vettore P verifichi un'equazione differenziale pi6 semplice.
In conseguenza delle (1) e (3) la velociti di variazione d i
P (t) b uguale a

Supponiamo che la sostituzione (3) sia invertibile:

(dove le funzioni h sono periodiche in cp, con periodo 2n).


Allora per la (4) e la (5) P (t) soddisfa il sistema di equazioni

dove il 4 termine residuo n R b un infinitesimo del second0 ordine


rispetto a e:
1 R I e c z e 2 , c~(cf,c3,c4)>07 (7)

Cerchiamo ora di scegliere il cambio di variabili (3) in modo


tale da ridurre a 0 il termine con E nella (6). Otteniamo per k
l'equazione

In generale, tale equazione non 6 risolvibile nella classe


delle funzioni k, periodiche in 9. In effetti, il valore medio (ri-
spetto a 9)del membrq sinistro 6 sempre ugualea 0, mentre iB
valore medio del membro destro put3 anche essere diveno.
Dunque non possiamo sagliere k in mod0 da eliminare com-
pletamente il termine con e nella (6). Tuttavia, possiamo eli-
minare tutta la parte a periodica s di g,

;(P, cp)=g(P, ( P ) - i i ( ~ ) ,
ponendo

Dunque, definiremo la funzione k con la formula (9). .Allora,


per le ipotesi 1) e .2) del .teorema da dimostrare, la funzione k
ammette la limitazione 11 k ))n< c,, dove c, ( q , C) > 0. Per
stabilire la disuguaglianza (8) resta da maggiorare A. Per fare cid,
si deve prima di tutto mostrare che la sostituzione (3) 6 invertibile.
Fissiamo un numero positivo a.
Lemma. Se e 2 abbastanza piccolo, la restrizionc dell'applica-
zione (3)
I + I + e k , dove IkIcaco<~s,

a1 dominio G - a (che consiste di quei punti contenuti in G insieme


ad un a-intorno) 2 un diffeomorfismo. I1:diffeomorfismo inverso (S),
nel dominio G - Za, ammtte la maggiorazione IJ h llcr < c4, con
la costante c4 (a,c,) > 0.
D i m o s t r a z i o n e. La maggiorazione deriva immedia-
tamente dal teorema delle funzioni implicite. Un po' pih difficile
6 dimostrare la biunivocith dell'applicazione I -r I +
e k nel
dominio G - a.
Osserviamo che la funzione k, nel dominio G - a, soddisfa
una condizione di Lipiiits (con una costante L (a, c,)). Conside-
riamo due punti I,, I, di G - a. Per e abbastanza piccolo (cioe
per L e < 1) la distanza tra ek(I,) ed ek: (I,) sarl minore di
+ + +
I Il - IzI. Dunque I1 e k (I,) I, e k (I,). Dunque, l'ap-
plicazione (3) B biunivoca in G - a ed il lemma B dimostrato.
Dal lemma segue che, per e abbastanza piccolo sono valide
tutte le maggiorazioni (8),cioB B valida anche la maggiorazione (7).
Confrontiamo ora i sistemi di equazioni differenziali per J
e i = e s (J) (2)

e per P; l'ultimo, per la (9). si scrive

i Per qualsiasi valore fissato del parametro cp.


Poich6 la differenza tra i secondi membri h, dell'ordine di
G e v v e d e r e la (7)). nel tempo t < l / e le soluzioni si allontanano
di una distanza I P - J I < e (fig. 226).
D'altra parte, 1 I - P I = e 1 k 1 g e. Per-
cib, la differenza I I - J 1, p e r t < l/e, h,
dell'ordine di < e, c.v.d.
Per una maggiorazione p i i accurata,
introduciamo la grandezza
r (t) = P (t) -J (t). (10)
Fig. 226. Dimostrazio- Alloral dalle (6') e (9) Segue
ne del teorema della
media. x=e(g(~)-;(J))+B=~ waox + ~ ' ,

+
dove I R' I < c2ea c5e I x 1, se l ' i n t e ~ a l l o( P , J)I! contenuto
in G - a. Con questa ipotesi troviamo

> 0,
Lemma. Se 1; I<a I z I
allora I. x (t) I<(d +bt) 8'.
+
b, I x (0) I C d ; a, b, dl t >
D i m o s t r a z i o n e. I x (t) I non supera la soluzione y (t)
dell'equazione y = ay +
b, y (0) = d. Risolvendo questa equa-
zione troviamo y = Ce'", te'" = b, 2: = e-atb,' C (0) = dl C<
<d + bt, c.v.d.
Ora dalla (If), nell'ipotesi che l ' i n t e ~ a l l oP , J sia conte-
nuto in G - a (fig. 226), abbiamo
I x (t) I < (c3e+c2e2t)eCaet,
da qui, per O<t<l/e
+
I x (t) I <C78, c7 = ( ~ 3 ~ 2@a.)
Vediamo ora che, se a = dl3 ed e 2, abbastanza piccolo,
l ' i n t e ~ a l l oP ( t ) , J (t) (t< lie) I! tutto interno a G - a e dunque
I P (1) -J (t) 1 <c8e per tutti gli O<t <lie.
D'altra parte, I P (t) - I (t) I < I eR I < c,e. Dunque per
outti i t, O<t<lle,
I I ( t - J ( I<c c9 = c8 c3 > 0,+
e il teorema I! dimostrato.
E. Invarianti adiabatici. Consideriamo un sistema hamilto-
niano a un solo grado di libertb, di hamiltoniana H (p, q; A),
dipendente dal parametco h.
Come esempio'.possiamo prendeq il pendob

dove come parametro h si pub prendere la lunghezza 2 o l'accelera-


zione di graviti g.
Supponiamo che il parametro vari lentamente col tempa
A1 limite, quando la velociti di variazione del parametro tende
a zero, appare un notevole comportamento asintotico: due gmnt
dezze, in generale indipendenti, diventano funzioni l'una del-
l'altra.
Supponiamo, ad esempio, che la lunghezza del pendolo cambi
lentamente (in confront0 alle sue oscillazioni proprie). Risulta
che l'ampiezza delle sue oscillazioni diventa funzione della lun-
ghezza del pendolo. Per esempio, se si raddoppia nqolto lentamente
la lunghezza del filo del pendolo, e poi molto lentamente la si
riporta a1 valore iniziale, l'ampiezza delle oscillazioni s a r i la
stessa alla fine e all'inizio del processo.
Risulta inoltre che il rapporto tra l'energia del pendolo H
e la frequenza o non cambia quasi per una variazione lenta dei
parametri, sebbene possano variare di molto I'energia e la fre-
quenza stesse. I fisici hanno chiamato queste grandezze, che cam-
biano poco in seguito a una variazione lenta dei parametri, inva-
rianti adiabatici.
E facile convincersi che l'invarianza adiabatica del rapporto
tra energia e frequenza del pendolo 6 un'affermazione di carattere
fisico, cio6 falsa se non vi sono condizioni supp.lementari. In
effetti, modificando la lunghezza del pendolo lentamente quanto
si vuole, ma scegliendo la fase delle oscillazioni, per la quale la
lunghezza aumenta o diminuisce, si pub far aumentare l'ampiezza
(risonanza parametrica). Rendendosi conto di cib, i fisici hanno
proposto di formulare la definizione d'invarianza adiabatica cosi:
la persona, che cambia i parametri del sistema, non deve vedere
in che stato si trova il sistema (fig. 227). E ancora un problema
non risolto e molto delicato quello ?li dare a questa definizione un
senso matematico rigoroso. Per fortuna possiamo ricorrere a un'ipo-
tesi sostitutiva, richiedendo, invece della non ingerenza della per-
sona che cambia i parametri nei fatti interni. del sistema, che la
variazione continua dei parametri, piii esattamente, sia due volte
continuamente differenziabile.
Supponiamo che H (p, q; A) sia una funzione fiseata, due
volte continuamente differenziabile rispetto a h. Poniamo h = ~t
e consideriamo il sistema ottenuto con il parametro lentamente
variabile h = et:
D e f i n i z i o n e. La grandezza I @, q: 5) si chiama inva-
riante adiabatico del sistema (*), se per ogni x >0 esiste un e, >0
tale che, se e < e,, 0 < t < l/e, si ha

E chiaro che ogni integrale primo B anche un invariante


adiabatico.
Ogni ststetnu unidimensiomk (*) risulta avere un inuwiante
adiabatico. Pih esattamente, l'invariante adiabatico 2 la variabtk
d'arione nel corrispondente problcma a coefficienti costanti.
Su poniamo che le traiettorie di fase del' sistema di hamilto-
niana (p, q; 4 siano chiuse. Definiamo la funtione I (p, q; A)
nel mod0 seguente. Per h fissato alla funzione H (p, q;: A) corri-

Fig. 227. Variazione adiabatica Fig. 228. Invariante adiabatico di


della lunghezza di un pendolo. un sistema unidimensionale.

spondeundeterminato grafico (fig. 228). Consideriamo una traiet-


toria di fase chiusa, che passa per un punto (p, q). Essa delimita
un'area sul piano di fase. Indichiamo questa area con 2nI (p, q; A).
Su ogni traiettoria di fase (per 1 dato) I .= cost. E chiaro che
I non B altro che la variabile d'azione (vedere il 9 50).
Teorema. Se la frequenza o (I, h) &l sistetnu considerato (*)
non si annulla, allora I (p, q;. h) b invariante adiabatico.
F. Dimostrazione dell'invar~anza adiabatica dell'azione. Per
1 fissato nel sistema (*) si possono introdurre le variabili azione-
angolo I, cp con una trasformazione canonica, che dipende da h:

Indichiamo con S (I, q; A) la funzione generatrice (plurivoca)


di questa trasformazione:

Sia ora h = et. Poich6 il passaggio dalle variabili p, q


alle variabili I, cp si effettua ora con una trasformazione canonica
dipendente dal tempo, le equazioni del mot0 nelle nuove variabili
I, cp avranno forma hamiltoniana, ma con funzione di Ham~lton
(vedere il 8 45, A),

6:
P r o b 1 e m a. Dimostrare che xS
-.- (I, q; a) 6 una funzione
univoca sul piano delle fasi.
$ u g g e r i m 6 n t o. La non unixocith di S si riconduce
alla aggiunta di multipli di %I.
Otteniamo dunque le equazioni del mot0 nella forma

~ = u ( I , W+ef (I, cpi A), $ = - a2~ia1ak.


I;= eg (I, cp; A), g = a2Slacpah,
h= e:

Poich6 o # 0, si pub applicare il teorema della media


(pag. 289). I1 sistema mediato ha la forma
. - .
J = e g , A=.&
a as
.Ma g = --, mentre
* 3s-
-
as B una funzione univoca sulla cir-
conferenza I =cost. Quindi g = (2n)-' x
1
uIU
x gdcp = O e nel sistema mediato J
non varia affatto: J (t) = J (0).
Per il teorema della media
L 4
I I (t) - I (0) I <ce per ogni t,
O<t<lle, c.v.d.
E s e m p i o. Per l'oscillatore ar-
monico (vedere la fig. 217)

2 P'++P,
If=- 0%
Fig. 229. Invariant0 adia-
I=-2ni n-z
--
b -- ,
h = =b, b a t i c ~di una sfera prfet-
tamente elastica tra pa-
reti, che si muovono len-
cio6 l'invariante abiabatico B il rapport0 tamen te.
tra energia e frequenza.
P r o b 1 e m a. La lunghezza di un pendolo raddoppia lenta-
+
mente .(I = 1, (1 et), .O<t<lle).
dell'angolo di deviazione qmaX?
Come varia l'ampiezza
Soluzione. :I=Tl 8/¶
g11sqmax;
1
dunque

Came secondo esempio consideriamo il mot0 di una sfera


rigitla, perfettamente elastica, di massa 1 tra pareti perfettamente.
elastiche, la cui distanza, I, varia lentamente (fig. 229).
Si pubpensare'che il punto si muove in w una buca potenziale
rettangolare, infinitamente profonda n e che le traiettorie di fase
sono rettangoli di area 2vl, dove v indica la velocitii della sfera.
I n tal caso l'invariante adiabatic0 B il prodotto vl della velocith
della sfera per la distanza tra le pareti1.
Dunque, se si dimezza la distanza delle pareti, la velocitii
della sfera raddoppia, mentre se si aumenta la distanza, la velo-
citii diminuisce.

1 Cib non deriva formalmente dal teorema dimostrato, poich6 esso


riguarda sistemi regolari, senza urti. La dimostrazione dell'invarianza adia-
batica di vl 4 un istruttivo problema elernentare.

2 96
APPENDICI
Appendice I
Curvatura riema~iana

Arrotolando un foglio di carta si pub ottenere un con0 o un


cilindro, ma non si pub ottenere alcun pezzo di sfera senza piegarlo,
tirarlo o tagliarlo. I1 motivo risiede nelle diverse w geometrie
interne s di queste superfici: nessuna regione di una sfera si pub
applicare isometricamente su un piano.
L'invariante, che caratterizza le metriche riemanniane, si
chiama curvatura riemanniana. La curvatura riemanniana del
piano B uguale a zero, mentre quella di una sfera di raggio R
a R-2. Se una varietii riemanniana B applicata isometricamente
su un'altra, allora le curvature riemanniane in punti corrispon-
denti sono uguali. Per esempio, poich6 il'cono o il cilindro sono
localmente isometrici a1 piano, la cuwatura riemanniana del
cono o del cilindro B uguale a zero in qualsiasi punto. Conseguents
mente, nessuna regione del con0 o del cilindro si. pub applicare
isometricamente sulla sfera.
La curvatura riemanniana di una varietii ha una grandissima
influenza sul comportamento delle sue geodetiche, cioB sul mot0
nel corrispondente sistema dinamico. Se la curvatura riemanniana
della varietii B positiva (come, sulla sfera o sull'ellissoide), le
geodetiche vicine oscillano l'una vicina all'altra nella maggior
parte dei casi, mentre, se la curvatura B negativa (come sulla
superficie dell'iperboloide auna falda), si allontanano rapidamente
in direzioni diverse.
In questo complemento si definisce la curvatura riomanniana
e si discutono brevemente le proprieth delle geodetiche su varieth
di curvatura negativa. Ulteriori informazioni sulla curvatura
riemanniana si possono trovare nel libro di J. Milnor La teoria
di Morse (ed. uMir B, 1965, in russo o u Princeton B, 1963, in ingle-
se), e sulle geodetiche su varietii a curvatura negativa nel libro
di D. V. Anossov Flussi geodetici sulle variet&a curvatura negativa
(Lavori dell'istituto Steklov, M., 1967, in russo).
A. Trasporto parallelo sulle superfici. La definizione della
curvatura riemanniana B basata sulla costruzione del trasporto
parallelo di vettori lungo le curve di una varietii riemanniana.
- Cominciamo con un esempio, quando la varietP riemanniane
considerata B bidimensionale, cioa una superficie, e l a curva una
geodetica di questa superf icie.
I 1 trcrsporto parallelo di un vettore, tangente alla superffctc,
lungo una geodetica di p s t a superficie si definisce nel modo seguen-
te: il punto di applicazione del vettore ei muove sulla geodetica,
mentre il vettore si trasforrha continuamente in modo tale che
restano costanti il suo modulo e l'angolo ehe esso forma con la
g o d e t ica.
Trasportando in questo mod0 nel punto finale di nna geode-
tica tutti i vettori, tangenti alla superficie nel punto iniziale, sS

nale geodetica.
origina un'applicazione .del piano, tan-
gente nel punto iniziale, nel piano tan-
gente nel punto finale. Tale applicazione
B lineare e isometrics.
Definiamo ora i l trasporto parallelo
di un vettore su una superficie, lungo unu
poligonalc, cornposta da archi di geodetica
Fi 230. Trasporto pa- (fig. 230). Per trasport'are un . vettore
rabO lung0 una ~ o l i g o - lungo una pol igonale lo trasporteremo
dal primo vertice nel second0 lungo iE
primo arco d i geodetica, trasporteremo
poi il vettore ottenuto nel vertice successive lungo il second0
arco di geodetica, e cosi via.
P r o b 1 e m a. Trasportare un vettore, tangente alla sfera,
in uno dei vertici di un triangolo sferico con tre angoli retti, fino
a farlo tornare nello stesso vertice, lungo il triangolo.
Risposta. Come risultato di tale trasporto, il piano tangente
alla sfera nel vertice di partenza ruoteri di un angolo retto.
Infine, il trasporto parallelo lungo una cuma regolare qualsiasi
si definisce approssimando la curva con poligonali, formate d a
archi di geodetiche, e passando a1 limite.
P r o b 1 e m a. Trasportare un vettore, diretto verso il Polo
Nord, partendo d a Leningrado (latitudine h = 60")mu'ovendosi
verso est lungo il parallelo 60" 1.n. e ritornando a Leningrado.
Risposta. I1 vettore ruota di un angolo 2n (1 - cos A), cioh
circa di 50" verso ovest. Dunque la grandezza dell'angolo d i
rotazione B proporzionale all'area delimitata dal nostro parallelo,
mentre il senso della rotazione coincide con quello intorno
a1 Polo Nord 'aurante il trasporto del vettore.
S u g g e r i ni e n t o. E sufficiente trasportare il vettore
lungo la stessa circonferenza sul con0 generato dalle tangenti alla
Terra dirette verso nord, tracciate in tutti i punti del parallelo
(fig. 231). Questo con0 si pub distendere su un piano, cosicchd il
trasporto parallelo sulla sua superficie diventa l'usuale trasporto
parallelo sul piano.
E s e m p i' o. Consideriamo il semipiano superior0 y >O
del piano della variabile complessa z = x +
iy di metrica

facile calcolareche le geodetichedi questa varieth bidimensionale

Fig. 231. Trasporto parallelo sulla sfera.

riemanniana sono circonferenze e rette perpendicolari all'asse z.


Le trasformazioni omografiche a coefficienti reali

sono trasformazioni isometriche della nostra varieth, che si chiama


piano di Lobatevskij.
P r o b 1 e m a. Trasportare il versore dell'asse immaginario
d a l punto z = i a1 punto z = t + i lungo una retta orizzontale
(dy = 0) (fig. 232).
Risposta. Per uno spostamento
pari a t il versore ruota di t radianti
nel senso di rotazione orario.
B. Forma di curvahrra. Ora pos-
siamo definire in ogni punto la cur-
vatura riemanniana di una varieth
bidimensionale riemanniana (cio6 di
una superficie). A questo fine sceglia-
mo nell'intorno del punto considerato Fig. 232. Trasporto parallelo
l'orientazione della nostra superficie sul piano di LObaEevskij.
e studiamo un trasporto parallelo di
vettori lungo la frontiera di un piccolo dominio D della super-
fic.ie. Si vede facilmente c b il risultato di questo trasporto
4 la rotazione di un angolo piccolo. Indichiamo questo angolo
eon cp (D) (il v e a o di rotazione positivo 6 fissato dall'orienta-
zione della superficie).
Se si divide il dominio D in due regioni Dle Di,si pu6 otte-
nere il risultato del trasporto parallelo sulla frontierra di D,
girando dapprima sulla frontiera di una regione e poi su quella
dell'altra. Dunque,
cp (Dl = cp ( 4 ) +
cp (D,),
cioa l'angolo cp una funzione additiva di dominio. Se si cambia
il senso di rotazione sulla frontiera, anche l'angolo cp cambia di
segno. E percib naturale rappresentare cp (D) come l'integrale
esteso a D di una 2-forma appropriata. Una tale 2-forma effetti-
vamente eaiste; si chiama forma di curvatura e la indicheremo-
con R. Definiamo cosi la forma di curvatura Q con la relazione

I1 valore della forma di curvatura Q su una coppia di vettori


tangenti &, q di TM, si pub determinare come segue. Identifi-
chiamo uq intorno del punto 0 dello spazio tangente a M nel punto
z con un intorno del punto z su M (per esempio per mezzo di coor-
dinate locali). Possiamo allora costruire su .M il parallelogram-
ma IT,, avente come lati i vettori e l , eq, almeno per valori suf-
ficientemente piccoli di e.
Ora il valore della f o m a di curvatura sui nostri vettori
k determinate con la foimula
Q (&, q) = lim -
9 (fie)
er
83-0

In altri termini, il valore della forma di cumatura su una coppia


di vettori tangenti infinitesimi 2 uguale all'angolo di rotazione dovuto
a1 trasporto lungo il parallelogramma infinitesimo costruito sui
vettort dati.
P r o b 1 e m a. Trovare la forma dicurvatura sul piano, su
una sfera di raggio R e sul piano di LobaCevskij.
Risposta. R = 0, Q = R-a d S , R = -dS, dove la 2-forma
dS k l'elemento di area sulla nostra superficie orientata.
P r ojb 1 e m a. Dimostrare che la funzione definita con la
formula (2) k effettivamente una 2-forma differenziale, indipen-
dente dalla costruzione e che la rotazione di un vettore, in seguito
a1 trasporto lungo la frontiera di un dominio orientato e finito D,
si esprime attraverso questa forma con la formula (1).
P r o b 1 e m a, Dimostrare che l'integrale della forma di
curvatura, esteseuc a una qualsiasi superficieconvessa di uno spazio
clideo tridimensionale, B uguale a 4n.
C. Curvature riemanniana di una superficie. Osserviamo ora
che qualsiasi 2-formr differenziale su una .varietA riemanniana
euorientata bidimensionale M si pub scrivere nella forma p dS,
dove d S B l'elemento di area orientata, p una funziond numerica
tlofinita univocamente dalla scelta della metrica e dell'orienta-
rlone.
In particolare, la forma di curvatura si pub scrivere

tlove K: M -t R B una funzione regolaw su M e dS B l'elemento


cli area.
I1 valore della funzione K nel punto z si chiama curvatura
rlemanniarur della superficie nel punto z.
P r o b 1 e m a. Ccicolare la curvatura riemanniana del piano
ouclideo, di una sfera di raggio R e del piano di LobEaevskij.
Risposta. K = 0, K = Re2, K = -1.
P r b b 1 e m a. Dimostrare che la curvatura riemanniana non
tlipende dall'orientazione della varieth, ma soltanto dalla sue
metrica.
S u g g e r i m e n t o. Se si cambia l'orientazione, le Pforme
$2 e dS cambiano segno contemporaneamente.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che per una superficie dello
spazio euclideo ordinario la curvatura riemanniana B uguale in
ogni punto a1 prodotto delle grandezze inverse dei raggi principali
di curvatura (col segno meno se i centri di curvatura sono situati
da parti opposte rispetto alla superficie).
Osserviamo che il segno della curvatura di una varieth in
un punto non dipende dall'orientazione della varietii; il segno
si pub definire prescindendo dall'orientazione.
Pi6 esattamente, su una varieth a curvatura positiva, in
seguito a un trasporto parallelo sulla frontiera di un piccolo
dominio, un vettore ruota intorno a1 suo primo estremo nelb
stesso senso, in cui il punto sulla frontiera gira intorno a1 dominio;
su una varieth acurvatura negativa il verso di rotazione B opposto.
Osserviamo inoltre che il valore della curvatura in un punto
B determinato soltanto dalla metrica nell'intorno di questo punto
e quindi si conserva in seguito a una deformazione: le curvature,
in punti corrispondenti di superfici isometriche, coincidono. Per
questo motivo la curvatura riemanniana si chiama anche curva-
tura interna.
Le formule per il calcolo della curvatura, in funzione delle
componenti della metrica in un sistema di coordinate qualunque,
contengono le derivate seconde della metrica e sono alquanto
complicate (vedere i problemi del punto F piii in basso).
D. Traaporto parallelo nmltidimensionale. La costruzione del
trasporto parallelo sulle varieth riemanniane di dimensione su-
periore a due B piii complicata di quella fatta nel caso bidimen-
sionale. I1 fatto B che, a partire dal caso tridimensionale, la
ccmdizione d'invarianza dell'angolo con la geodetica non B suffi-
ciente a definire la direzione del vettore trasportato. Infatti
questo vettore si pub ancora ruotare intorno alla direzione della
geodetica, conservando l'angolo formato.
Per completare l a costruzione del trasporto parallelo lungo
una geodetica si deve scegliere un piano bidimensionale, passante
per la tangente alla geodetica, nel quale deve stare il vettore da
trasportare. Tale scelta si effettua nel mod0 seguente (purtroppo
alquanto complicato).
Nel punto iniziale della geodetica il piano cercato esiste:
.Q il piano costruito sul vettore da trasportare e sul versore della
,geodetica. Consideriamo tutte le geodetiche uscenti dal punto
iniziale in direzioni, che giwciono su questo pia.10. Tutte queste

Fig. 233. Trasporto parallelo nello spazio.

geodetiche formano una superficie regolare (nell'intorno del


punto iniziale), che contiene anche quella geodetica, lungo la
,quale intendiamo trasportare il vettore (fig. 233).
Consideriamo un nuovo punto su questa geodetica, posto a una
distanza piccola A dal punto iniziale. I1 piano tangente nel nuovo
punto alla superficie appena descritta contiene la direzione della
geodetica in questo nuovo punto. Prendiamo il nuovo punto
come iniziale e usiamo il piano tangente in esso per costruire
una nuova superficie (formata dal fascio di geodetiche, che escono
d a questo nuovo punto). Tale superficie contiene la geodetica
iniziale. Muoviamoci ancora su di essa di un tratto A e ripetiamo
dall'inizio tutta la costruzione.
In un numero finito di passi arriveremo-a qualunque punto
della geodetica ihiziale. Come risultato della costruzione in
ogni punto di questa geodetica ,si definisce un piano tangente,
che contiene la direzione della geodetica. Questo piano dipende
d a l passo A. Per A + 0, la famiglia di piani tangenti ottenuta
tende (come si pub calcolare) a un limite definito.
Cosi, lungo la nostra geadetica si origina un campo di piani
bidimen~ionalitangenti, che contengono la direzione della geode-
tica. Tale campo B definito intrinsecamente dalla metrica della
varieth.
Ora il. trasporto parallel0 del nostro vetture lungo la geodetica
si definisce come nel caso bidimensionale: questo vettore, durante
il trasporto, deve restare sui. piani descritti, conservare il modulo
e l'angolo formato con la direzione della geodetica. I1 trasporto
parallelo lungo una curva qualsiasi si definisce, come nel caso
a due dimensioni, per mezzo di una approssimazione della curva,
fatta con poligonali geodetiche.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il trasporto parallelo di
vettori da un punto di una varietii riemanniana a un altro, lungo
un cammino fissato, 6 un operatore isometric0 lineare dallo spazio
tangente nel primo punto a quello tangente nel second0 punto.
P r o b 1 e m a. Trasportare parallelamente, lungo la linea
XI = t, 5, = 0, y = 1 (O<t<7)
di uno spazio di Lobafevskij con la metrica

un vettore qualunque.
Risposta. I versori degli assi xl e y ruotano nel piano da essi
individuato di un angolo z nel verso che va dall'asse y all'asse xl,
mentre il versore di x, B trasportato parallelamente a se stesso,
nel senso della metrica euclidea.
E. Tensore di cuwatura. Consideriamo ora, come nel caso
bidimensionale, il trasporto parallelo su un piccolo cammino
chiuso, che inizia e termina in un punto di una varietii rieman-
niana.
I1 trasporto parallelo lungo un tale cammino fa ruotare i vetto-
ri nello spazio tangente iniziale. L'applicazione ottenuta dello
spazio tangente in se stesso B una piccola rotazione (cio6 una
trasformazione ortogonale, vicina a quella identica).
Nel caso bidimensionale noi abbiamo caratterizzato questa
rotazione con un numero: l'angolo di rotazione cp. Nel caso multi-
dimensionale il ruolo del numero cp 6 preso .da un operatore anti-
simmetrico.
P i i precisamente, ogni operatore ortogonale A, vicino all'ope-
ratore identitit, si scrive in mod0 univoco nella forma

dove 0 B un operatore antisimmetrico piccolo.


P r o b 1 e m a. Calcolare @, se A 6 la rotazione del piano
di un angolo cp piccolo.

Risposta. A =
-sen cp cos cp
A differenza del caso bidimensionale, la funzione 0 non 6,
in generale, additiva (dato che il gruppo ortogonale dello spazio
n-dimensionale per n > 2 non B comrnutativo). Tuttavia, nono-
stante ci6 possiamo costruire per mezzo di la forma di curva-
tura, che descrive a una rotazione infinitesima causata dal traspor-
t o lungo un parallelogramma infinitesimo B in mod0 analog0 a1
caso bidimensionale., cioh per mezzo della formula (2).
Dunque, supponiamo che 5, q di TM, siano dei vettori
tangenti alla varieti riemanniana M nel punto x. Costruiamo
su M un piccolo parallelogramma curvilineo II,. (I lati del paralle-
logramma II, si ottengono dai vettori e5, eq dello spazio, tangente
identificando, per mezzo di coordinate locali, un intorno dello
zero di TM, con un intorno del punto x su M.) Consideriamo il
trasporto parallelo lungo i lati del parallelogramma II, (comince
remo a girare da f).
I1 risultato del trasporto s a r i una trasformazione ortogonale
dello spazio TM,, vicina a quella identica. Essa differisce dalla
trasformazione identica per una quantiti dell'ordine di e2 e si
scrive
A , (5, q ) = E+ + e252 0 ( ~ ~ 1 ,

dove 52 B un operatore antisimmetrico, dipendente da 5 e da q.


Possiamo dunque definire una funzione 51, sulla coppia d i
vettori 5, q dello spazio tangente nel punto x, con valori nello
spazio degli operatori antisimmetrici su TM,, usando la formula

P r o b 1 e m a. Dimostrare che la funzione 52 13 una 2-forme


differenziale (a valori nello spazio degli operatori antisimmetrici
su TM,), che non dipende dalla scelta delle coordinate per mezzo
delle quali abbiamo identificato TM, e M.
La forma St si chiama tensore di curvatura della varieti rie-
manniana. I1 tensore di curvatura descrive percib una rotazione
infinitesima dello spazio tangente, causata dal trasporto parallelo
lungo i lati di un parallelogramma infinitesimo.
F. Cuwatura in una direzione bidimensionale. Consideriamo
un piano bidimensionale L nello spazio tangente a una varieth
riemanniana in uno qualunque dei suoi punti. Tracciamo da
questo punto le geodetiche in tutte le possibili direzioni del
piano L. Queste geodetiche formano nell'intorno del nostro punto
una superficie regolare. La superficie costruita b immersa nella
varieth riemanniana, da cui prende la metrica riemanniana.
S i chiama curvatura &lla varietii riemanniana M nella dire-
zione del 2-piano L, nello spazio tangente a M nel punto x, la curva-
tura riemanniana nel punto x della superficie descritta sopra.
P r o b 1 e m a. Trovare le curvature della sfera tridimen-
sionale di raggio R e dello spazio di LobaEevskij in tutte le possi-
bili direzioni bidimensionali.
Risposta. R-a, -1.
In generale, le curvature di una varieth riemanniana, rispetto
n diverse direzioni bidimensionali in un punto, sono differenti.
Idaformula (3) introdotta piii in basso descrive la loro dipendenza
tlalla direzione.
Tearema. La curvatura di una varietit riemanniana rispetto
n urn direzione bidimensionale, definita dalla coppia di vettori
ortogonali &, q, di modulo 1 , 2 espressa in funzione del tensore di
curvatura 8 con la formula

clove le parentesi angolari indicano il prodotto scalare, che definisce


lir metrica riemanniana.
La dimostrazione si ottiene confrontando la definizione di
tonsore di curvatura e di curvatura in una direzione bidimensiona-
le. Non ci fermeremo in dettaglio su di essa. Se si vuole, si pud
prendere la (3) come definizione della curvatura K.
G. Differenziazione covariante, A1 trasporto parallel0 lungo
le curve di una varietl riemanniana B legato un particolare calcolo
differenziale, chiamato differenziazione covariante o connessione
riemanniana. Essa si definisce nel mod0 seguente.
Siaf& un vettore tangente alla varietl riemanniana 1I;1 nel
punto x, e v un campo vettoriale definito su M nell'intorno del
punto x. La derivata covariante del campo v,rispetto alla direzione
del vettore f si definisce per mezzo di una curva qualunque, che
esce dal punto x con velocitl &.
Muovendosi su questa curva per un intervallo di tempo pic-
colo t , si arriveri a un nuovo punt0.x ( t ) . Prendiamo il vettore
del campo v nel punto x ( t ) e trasportiamolo parallelamente lungo
la curva, indietro fino a1 punto iniziale x. Otteniamo un vettore
dipendente da t , nello spazio tangente a M nel punto iniziale s.
Per t = 0 questo vettore B v (x) mentre per t diversi varia, in
quanto i vettori del campo v non sono paralleli lungo la nostra
curva di direzione &.
Consideriamo la derivata rispetto a t del vettore ottenuto,
per t = 0. Questa derivata B un vettofe dello spazio tangente,
TM,. Essa si chiama derivata covariante del campo v rispetto a g
e si indica con Vp.
E facile verificare che il vettore VEvnon dipende dalla scelta
della curva usata per definirlo, ma soltanto dal vettore E e dal
campo v.
P r o b l e m a 1. Dimostrare le seguenti proprietl della
differenziazione covariante:
1 ) Vtv B una funzione bilineare di f e v.
+
2) Vtfv = (LJ) v f ( x ) Vkv, dove f B una funzione regola-
re, L j .la derivata della funzione f rispetto alla direzione del
vettore E di TM,.
+
3) LC (v, w) = (V€V,'0 (4) (v(x), VEW!.
4) Vocz, w - Vwcz, 'v = [w, . v1 (5) (dove L[w,ol =
=Lo--L,- L,L,).
P r o b 1 e m a 2. Dimostrare che il tensore di cumatura si
esprime in funzione delle derivate covarianti nel mod0 seguente:

dove f , 7, 6 sono campi vettoriali qualunque, i cui valori nel


punto considerato sono uguali a t o , qo,.co.
P r o b 1 e m a 3. Dimostrare che 11 tensore di cumatura
soddisfa le seguenti identitA:

P r o b 1 e m a 4. Supponiamo che una metrica riemanniana


sia definita in un sistema locale di coordinate zl, . ..., x, dalla
matrice simmetrica gfj:

.
Indichiamo con el, . ., en dei campi vettoriali diretti come
i versori degli assi coordinati (cosicch6 la derivata nella direzione
el B at = alaz,). Allora si possono calcolare le derivats covarianti
per mezzo delle formule del problema 1 e delle formule seguenti:

Veiej-2 r h , Cj=Z ~1( A g j ~ + a j g i ~ - a l g i j l)kg,


k I
dove (dk) 6 la matrice inversa d i (gkl).
Utilizzando l'espressione del tensore di curvatura del proble-
ma 2, otteniamo la formula esplicita del tensore di curvatura.
I numeri RljRr = (Q (ei, el) e ~ el), si chiamano componenti del
tensore di curvatura.
H. Equazione di Jacobi. La curvatura di una varietP rieman-
niana B strettamente legata a1 comportamento delle sue geodetiche.
lconsideriamo in particolare una geodetica che esce da un punto
:q~ialunquein una direzione arbitraria e cambiamo di poco le
colidizioni iniziali, cioh il punto e la velocith iniziali. Le nuove
co~~dizioni iniziali<definisconouna nuova geodetica. Essa in un
primo momento differisce poco da quella iniziale. Per lo studio
dello scarto Q utile linearizzare l'equazione differenziale delle
geodetiche nell'intorno della gcodetica iniziale.
L'equazione differenziale l ineare ottenuta B del second0 ordine
( 4 equazione alle variazioni R per I'equazione delle geodetiche).
Essa si chiiima equazione df Jacobi ed B comodo scriverla in fun-
zione delle derivate covarianti e del tensore di curvatura.
Indichianlo con z (t') un punto, che si muove su una geodetica
della varieth A.1 con velocith costante in modulo v ( 1 ) E TM,,,,.
Se la condizione iniziale dipende in mod0 differenziabile
da un parametro a, anche la geodetica dipende dal parametro
in mod0 differenziabile. Consideriamo il mot0 corrispondente
a un valore del 'parametro a. Indichiamo con x ( t , a ) E M la
posizione del punto all'istante t sulla corrispondente geodetica.
Faremo corrispondere la geodetica iniziale a1 valore nu110 del
parametro, in mod0 che x ( t , 0) = x (t).
Si chiama campo vettoriale della variazione di una geodetica
l a derivata della funzione q ( t , a ) rispetto a1 parametro a , cal-
colata per a = 0 ; il valore di questo campo nel punto x ( t ) 6
uguale a

Per scrivere l'equazione alle variazioni, definiamo ancora la


derivata covariante rispetto a t del campo vettoriale 5 (1) definito
sulla geodetica x ( t ) . La definizione consiste in cid: prendere un
+
vettore 5 ( t h), trasportarlo parallelamente dal punto x ( t h ) +
a1 punto x ( t ) lungo la geodetica e quindi differenziare il vettore
ottenuto nello spazio tangente TM,,t, rispetto ad h, per h = 0.
Si ottiene cosi un vettore dello spazio tangente T M , , t , , che si
chiama derivata covariante del campo 5 ( t ) rispetto a t e si indica
con D g D t .
Teorema. I1 campo vettoriale della variazione di una geodetica
verifica l'equazione differenziale lineare del second0 ordine
-
'D = -Q ( v , f ) v,
Df*
dove Q 2 il tensore di curvatura, mentre v = v ( t ) 2 il vettore uelocita
del moto lungo la geodettca iniziale.
Inversamente, ogni soluzione dell'equazione differenziale (4) 2
campo di variazione della geodetica iniziale.
L'equazione (4) si chiama equazione di Jacobi.
P r o b 1 e m a. Dimostrare il teorema formulato.
P r o b 1 e m a. Sia M una \superficie, y ( t ) la componente
di un vettore f ( t ) lungo la normale alla geodetica considerata;
la lunghezza del vettore v ( t ) sia uguale a 1. Dimostrare che y
soddisfa l'equanione differenziale

dove K = K ( t ) 6 la curvatura riemanniana della superficie nel


punto x (t).
P r o b 1 e m a. Utilizzando l'equazione (5), confrontare il
comportainento delle geodetiche, vicine a una data, sulla sfera
(K = +R2) e sul piano di LobaEevskij (K = -1).
I. Emme dell'equazione dl Jacobi. Per esaminare delle equa-
zioni alle variazioni 6 utile escludere le variazioni banali, con-
sistenti nel modificare l'origine dei tempi e la grandezza della
velocitii ir~izialedel moto. A tal fine, scomponiamo il vettore
variazione E nelle componenti parallela e perpendicolare a1 vettore
velocith v. Allora (poich6 62 (v, v) = 0 e poich6 l'operatore
62 (v, &) B antiaimmetrico), per la componente normale otteniamo
di nuovo l'equazione di Jacobi, mentre per quella parallela
l'equazione D2&lDta= 0.
Osserviamo ora che l'equazione di Jacobi per la componente
normale si pu6 riscrivere nella forma dell'a equazione di Newton B

dove la forma quadratica U in E si esprime in funzione del tensore


d'i curvatura ed B proporzionale alla curvatura K nella direzione
del piano (E, v):

Dunque, la componente normale del vettore variazione di urn


geodetica, percorsa con velocith 1, ha un comportamento descritto
dall'equazione di un oscillatore lineare (non autonorno), la cui
energia potenziale 2 uguale a1 semiprodotto della curvatura nella
direzione del piano generato dai vettori velocith e variazione per il
quadrdto della lunghezza della componente normale della variazione.
In particolare, consideriamo il caso, in cui la curvatura sia
negativa in tutte le direzioni bidimensionali, contenenti il vettore
velocith della geodetica (fig. 234). Allora, la deviazione delle

Fig. 234. Geodetiche vicine su varieti di curvatura positiva e negativa.

geodetiche vicine da quella data, lungo la normale, B descritto


dall'equazione di un oscillatore con'energia potenziale definita
negativa (e dipendente dal tempo). Dunque, la componente
normale della deviazione delle geodetiche vicine si comporta
come la deviazione dal vertice di un monte di una sfera che si
trovi vicino a questo vertice. La posizione d'equilibrio della sfera
sul vertice B instabile. Cib significa che le geodetiche vicine a quella
data si allontaneranno esponenzialmente da essa.
Se l'energia potenziale dell'equazione di Newton ottenuta
non dipendesse dal tempo, la nostra conclwione sarebbe perfetta-
mente rigorosa. Non solo: supponiamo che le curvature nelle
diverse direzioni, contenenti v, siano comprese nei limiti
-a2<K< -b2, dove O < b < a .
Allora le soluzioni dell'equazione di Jacobi per le deviazioni
r~ormalisaranno combinazioni lineari di esponenziali con espb-
uenti &hi, dove i numeri positivi hi sono compresi tra a e b.
Percib ogni soluzione dell'equazione di Jacobi cresce almeno
come e b l t 1 sia per t -+ +oo, che per t -t -00; inoltre la maggior
parte delle soluzioni cresce ancora pih velocemente, con velo-
c i t i eO 1 t 1.
L'instabiliti della posizione d'equilibrio per un'energia po-
tenziale definita negativa I3 intuitivamente chiara nel caso non
autonomo. Si pub dimostrare per confronto con un sistema autono-
mo appropriate. Ci convinciamo, dopo tale confronto, che tutte
le soluzioni dell'equazione di Jacobi per le deviazioni normali su
una varietir di curvatura negativa crescono, durante i l mot0 lungo
una geodetica, almeno come l'esponenziale del cammino percorso,
11 cui esponente 2 uguale alla radice quadrata del modulo della
curvatura nella direzione bidimensionale, per cui tale modulo 2
minimo.
I n effetti, la maggior parte delle soluzioni cresce ancora
piii velocemente, ma ora non possiamo affermare che l'esponente
di crescita della maggior parte delle soluzioni 6 determinato dalla
direzione della curvatura negativa pih grande in modulo.
Riassumendo, possiam dire che il compor'tamento delle
geodetiche su una varieth di curvatura negativa I3 caratterizzato
dall'instabilith esponenziale. Per una valutazione quantitativa
Ji tale instabilith I3 utile introdurre il cammino caratteristico s,
come il cammino medio nel percorrere il quale i piccoli errori sulle
condizioni iniziali aumentano di e volte.
Piii esattamente, il cammino caratteristico s pub essere defi-
nito come l'inverso dell'esponente 5, che caratterizza la crescita
delle soluzioni dell'equazione di JBcobi per le deviazioni normali
dalla geodetica, percorsa con velocith 1:

i
h = lim -i;max max In 1 f (t) 1,
T+g. ltl<T IE(O)l=i
s = its.
In generale, l'esponente h e il cammino s dipendono dalla geodeti-
ca iniziale.
Se le curvature della nostra varietir in tutte le direzioni bidi-
mensionali sono minori o uguali a -b"b >O), i l cammino caratte-
ristico non 2 superiore a b-'.
Dunque, tanto maggiore B l a curvatura negativa della varie-
th, tanto minore B il cammino caratte :stico s, sul quale l'in-
stabilith delle geodetiche produce una crescita degli errori di e
volte. A causa del carattere esponenziale della crescita degli
errori, l'andamento di una geodetica su una varieth di curvatura
negativa non pub essere in pratica predetto.
Supponiamo, ad esempio, che la curvatura sia negativa e
minore o uguale a -4 m-2. I1 cammino caratteristico non supera
l'errore cresce di el0-
mezzo metro, cioB su una porzione di geodetica di cinque metri
10Cvolte. Dunque, un errore di un decimo
di millimetro sulle condizioni iniziali comporta una deviazione
dell'ordine del metro alla fine della geodetica.
L. Flussi geodetici su varieti compatte di curvatura negativa.
Sia II! una varieti compatta riemanniana, la cui curvatura in
ogni punto sia negativa in tutte le direzioni bidimensionali (tali
varieth esistono). Consideriamo il mot0 per inerzia sulla variet.8 M
di un punto materiale di massa 1, in assenza di qualsiasi forza
esterna. La funzione di Lagrange di questo shtema B uguale
all'energia cinetica, all'energia totale ed B un integrale primo
delle equazioni del moto.
Se la varieth M B di dimensione n, allora la varieth di livello
dell'energia B di dimensione 2n - 1. Questa varieth B una sotto-
varieti del fibrato tangente della varieth M. Fissiamo, ad esempio,
il valore della costante dell'energia 112 (che corrisponde alla
velocith iniziale 1). Allora la velocith del punto resterh rempre
uguale a 1 e la nostra varieth di livello s a r i lo spazio del fibrato

TIM c TM,

costituita delle sfere unitarie degli spazi tangenti a A! in ogni


punto.
Dunque, un punto della varieti TIM rappresenta un vettore
di lunghezza unitaria, applicato in un punto'della varieth M.
I n accord0 col principio di Maupertuis - Jacobi, il mot0 di un
punto materiale con condizioni iniziali fissate su TIM si pub.
descrivere cosi: il punto si muove con velocith 1 lungo la geodetica
definita dal vettore indicato.
Per la legge di conservazione dell'energia la varieth TIM
B una varieth invariante nello spazio delle fasi del nostro sistema.
Perci6, il nostro flusso di fase definisce un gruppo a un para-
metro di diffeomorfismi della varieti di dimensione 2n - 1, TIM.
Questo gruppo si chiama flusso geodetico su 111. I1 fluseo geodetico
pub essere descritto nel mod0 ~sguente:una trasformazione che a1
tempo t manda un vettore unitario 5 E TIM, applicato in un
punto x, nel vettore velocith unitario della geodetica, uscente dal
punto x nella direzione di 5, applicato nel punto di tale geodetica
che si trova a una distanza t dal punto x. Osserviamo che si defi-
r~iscenaturalmente I'elemento di volume in T I M e che il flusao
geodetico, per il teorema di Liouville, lo conserva.
Fin qui la negativith della curvatura della varietii M non
ha svolto alcun ruolo. Ma per quanto riguarda lo studio delle
traiettorie del flusso geodetico descritto, la negativith della
curvatura ha una grande influenza sul loro comportamento (cib
ij legato all'instabilith esponenziale delle geodetiche su M).
Esponiamo alcune delle proprieth dei flussi geodetici su
varieth di curvatura negativa (per maggiori dettagli vedere il
libro di D. V. Anosso.~,citato a 'pag. 299).
1. Quasi tutte le traiettorie sono ovunque dense su una varie-
th di livello dell'energia (le traiettorie, che non sono ovunque
dense, formano un insieme di misura nulla):
2. Distribuzione uniforme: quasi ogni traiettoria rest.a in
qualunque dominio dello spazio delle fasi T I M per un intervallo
tli tempo proporzionale a1 volume del dominio.
3. I1 flusso di fase gt ha una proprieth di u mixing n: se A e B
aono due domini, dsi ha
lim mis [(gtA) n B1 = mis A mis B
t-w

(dove mis indica il volume, normalizzato dalla condizione che l a


misyra di tutto lo spazio B uguale a 1).
Da queste proprieth delle traiettorie nello spazio delle fasi
derivano proposizioni analoghe per le geodetiche sulla stessa
varietb. I fisici chiamano tali proprieth u stocasticiti n: asintoti-
camente, per t grande, la traiettoria si comporta come se il punto
fosse aleatorio. Per esempio, la proprieti di u mixing P significa
che la probabiliti di ritrovarsi in B, dopo l'uscita da A , B pro-
porzionale a1 volume di B dopo un intervallo di tempo
t grande, ecc.
Dunque, I' imta bilith esponenziale delle geodetiche su una
varietii di curvatura negativa determina la stocasticitii del corrispon-
dente flusso geodetico.
M. Altre applicazioni dell'instabilitil esponenziale. L'insta-
bilith esponenziale delle geodetiche di curvatura negativa, a
cominciare da Hadamard (e nel caso di curvatura costante da
Lobafevskij), B stata studiata da numerosi autori e in particolare
da E. Hopf. B stata una scoperta inattesa degli anni sessanta la
sorprendente stabilitb dei sistemi esponenzialmente instabili
rispetto alle - perturbazioni del sistema.
Consideriamo, per esempio, un campo vettoriale che definizce
un flusso geodetico su una superficie compatta di curvatura
negativa. Come B stato indicato sopra, 1e curve di fare di tale
flusso sono molto complesse: quasi tutte sono ovunque dense
sulla varieth tridimensionale di livello deli'energia. Questo
flusso ha un numero infinito di traiettorie chiuse e I'insieme dei
punti delle traiettorie chiuse B anch'esso ovunque denso nella
varieti tridimensionale dl live110 dell'mergia.
Consideriamo ora un campo vettoriale vicino. Nonostante la
oomplessiti delle curve di fase, il passaggio a un campo vicino
quasi non cambia questo quadro, con traiettorie di fase ovunque
dense e un'infiniti di traiettorie chiuse. Precisamente, esiste un
omeomorfismo vicino alla trasformazione identica, che:manda le
.traiettorie di fase del flusso non perturbato in quelle del flusso
perturbato.
Dunque, il nostro flusso di fase di forma complessa possiede
,

,
la stessa proprieti di a scarsa sensibiliti o a stabilith strutturale n
d i un ciclo limite, diciamo, o di un fuoco stabile sul piano. Osser-
viamo che n6 un centro sul piano, n6 le eliche di un toro godono
d i questa proprieth: il tip0 topologico dell'immagine di fase in
questi casi varia per una piccola variazione del campo vettoriale.
La possibiliti di sistemi insensibili con moti complessi,
ognuno dei quali in s6 B esponenzialmente instabile, 6 una delle
recenti scoperte fondamentali nella teoria delle equazioni diffe-
renziali ordinarie (I'ipotesi della stabilith strutturale dei flussi
geodetici su varieti di curvatura negativa B stata fatta da S. Sma-
le nel 1961, mentre la dimostrazione B stata data da D. V. Anossov
a pubblicata nel 1967; risultati fondamentali sulla stocasticitl
di questi flussi sono stati ottenuti da Ja. G. Sinaj e D. V. Anossov
sempre negli anrii sessanta).
Prima si supponeva che in m sistema di equazioni diffe-
renziali di a forma generale P erano possibili solo regimi limite
stabili semplici: posizioni di equilibrio e cicli. Se il sistema era
pic complesso (conservativo, per esempio), allora si ammetteva
che cambiando un poco i suoi livelli (per esempio, tenendo conto
di piccole perturbazioni non conservative) i moti complessi
u si decompongono )) in moti semplici. Ora sappiamo che le cose
stanno diversamente e che nello spazio funzionale dei campi
vettoriali vi sono interi domini, composti di campi con un anda-
mento pic complicato delle curve di fase.
Le conclusioni che ne derivano coprono una larga classe di
fenomeni, in cui si osserva il comportamento a stocastico n di
,oggetti deterministici.
CioB immaginiamo che nello spazio delle fasi di un sistema
,(non conservativo) esista una varieth (o un insieme) invariant0
attrattiva, su cui le curve di fase sono esponenzialmente instabili.
Sappiamo ora che sistemi con questa proprieti non sono un'ecce-
zione: le proprieti indicate si conservano per una piccola varia-
zione del sistema. Cosa vedrh lo sperimentatore, che osserva i moti
d i un tale sistema?
L'approssimarsi delle curve di fase all' insieme attrattivo
s a r i percepito come un regime limite. I1 mot0 ulterior0 del punto
di fase vicino all'insieme attrattivo provocherl delle variazioni
di a fase D caotiche, difficilmente prevedibili, da considerare come
a stocasticith D o a turbolenza D.
Purtroppo, finora non B stata fatta un'analisi convincente
tlegli esempi fisici di tale natura dal punto di vista indicato.
I.'esempio che viene naturale B l'instabilith idrodinamica di un
fluido viscoso, descritto dall'equazione di Navier -
Stokes.
Lo spazio delle fasi' di questo problema 8 di dimensione
lnfinita (si tratta dello spazio dei campi vettoriali di divergenza 0
nella regione della corrente), ma l'infinith della dimensione non 8,
evidentemente, un ostacolo serio, perch6 la viscositi smorza .le
nrmoniche superiori (i piccoli vortici) tanto pih velocemente
quanto piii 8 elevato l'ordine dell'armonica. Percib le curve di
fase dello spazio di dimensione infinita si avvicinano alla varieti
(o:insieme) di dimensione finita, cui appartengono anche i regimi
limite.
Per una viscositl elevata esiste una posizione di equilibrio
attrattiva stabile (a corrente stazionaria 'stabile n). A1 diminuire
della viscositl essa perde la stabiliti; inoltre pub apparire, per
osempio, un ciclo limite stabile nello spazio delle fasi (a corrente
periodica D) o una posizione di equilibrio stabile di tip0 nuovo
(a corrente stazionaria secondaria 9)'. Ancora, man mano- che
diminuisce l a viscositi, entra in gioco un numero crescente di
ormoniche e i regimi limite possono aumentare di dimensione.
Per una viscositl piccola sembra del tutto verosimile .il
passaggio a regimi limite con traiettorie esponenzialmente insta-
bili. Purtroppo non sono stati fatti sinora i calcoli corrispondenti,
a causa dei limiti dei calcolatori. Tuttavia si pub trarre la seguente
conclusione generale senza fare calcoli: perch6 appaiano fenomeni
di tipo turbolenza non Q necessaria la non esistenza o la non uni-
c i t i delle soluzioni: 8 sufficient0 l'instabilith esponenziale, che
si incontra peraino in sistemi determini~ticicon nn numero finito
di gradi di liberti.
Come ulteriore esempio di applicazione dell'instabiliti espo-
nenziale indichiamo la dimostrazione, annunciata da Ja. G. Sinaj,
dell'c ipotesi ergodica )) di Boltzmann per un sistema di sfere
~olide. L'ipotesi consiste nell'affermare che il flusso di fase,
corrispondente a1 mot0 di sfere perfettamente elastiche in una
scatola con pareti elastiche, B ergodico su insiemi connessi di
livello dell'energia. (L'ergodiciti significa che quasi ogni curva
di fase trascorre in ogni regione misurabile dell'insieme di livello
un tempo proporzionale alla misura di questa regione.)
L'ipotesi di Boltzmann permette di scambiare le medie tempo-
rali con quelle spaliali e a lungo Q stata considerata necessaria

Per maggiori dettagli sulla perdita di stabiliti si veda Lezioni ;sulk


biforcazionf e k famfglie uersolt, a Uspekhi matematifeskikh nauk D 27, n. 5,
1972, 119-184 (in russo).
come fondamento della meccanica statistica. In effetti, per ii
passaggio a1 limite statistic0 (il numero delle particelle tende
all'infinito) l'ipotesi di Boltzmann (dove si tratta di limite per
il tempo che tende all'infinito) non B necessaria. Tuttavia l'ipote-
si di Boltzmann ha dato origine a tutta l'analiii delle proprietil
stocastiche dei sistemi dinamici (la cosiddetta teoria ergodica)
e l a sua dimostrazione serve come metro di misura della maturitil
di questa teoria.
L'instabiliti esponenziale delle traiettorie nel problema d i
Boltzmann deriva dagli urti tra le sfere e pub essere spiegata nel
mod0 seguente.
Consideriamo, per semplicitil, un sistema di due sole particel-
le sul piano e sostituiamo il cassetto quadrat0 con un toro piano
{(z,y) mod 1). Allora possiamo considerare fissa una delle par-
ticelle (utilizzando la conservazione degli
impulsi), mentre l'altra si pu6 assimilare
a un punto.
Passiamo cosi a1 p'roblema tip0 del
mot0 di un punto su un biliardo.torico con
parete circolare nel mezzo, su cui il punto
si riflette second0 la legge di riflessione
u l'angolo d'incidenza Q uguale all'angolo
Fig. 235. Biliardo to- di rifleSSi0ne )) (fig. 235).
rico con parete circo- Per lo studio di questo problema con-
lare disperdente- sideriamo un altro biliardo analogo, limi-
tat0 esternamente da una curva piana con-
vessa (per esempio il mot0 di un punto dentro un'ellisse). I1
mot0 su tale biliardo si pui, considerare come il caso limite di
un flusso geodetico sulla superficie di un ellissoide. I1 passaggio
a1 limite consiste nel ridurre fino a zero l'asse minore dell'ellis-
soide. Le geodetiche sull'ellissoide si trasformano allora nelle
traiettorie sul biliardo ellittico. Inoltre, si constata che Q logico
considerare l'ellisse come a due facce e che dopo ogni riflessione
la geodetica passa da una faccia all'altra dell'ellisse.
Torniamo ora a1 nostro hiliardo torico. Anche qui si pub
considerare il mot0 come caso limite di un flusso geodetico su una
superficie regolare. Questa superficie si ottiene se consideriamo
un toro con un buco come una superficie a due facce, cui si con-
ferisce un certo spessore, avendo arrotondato lo spigolo acuto.
Si ottiene una superficie con la topologia di un mostacciolo (sfera
con due manici).
Se gonfiando un'ellisse si ottiene una superficie di curvatura
positiva, un ellissoide, gonfiando un toro con un buco si origina
una superficie di curvatura negativa (in entrambi i casi la curva-
tura Q concentrata vicino a1 bordo, ma il gonfiamento si pu6
effettuare in mod0 che non vari il segno della curvatura).
Dunque il mot0 nel nostro biliardo torico si pu6 considerare
come caso limite del mot0 su una geodetica di una superficie di
corvatura negativa.
Ora per la dimostrazione dell'ipotedidi Boltzmann (nel caso
nomplice considerato) B sufficiente verificare che I'analisi delle
proprieti stocastiche dei flussi geodetici su superfici di curvatura
negativa rimane valida nel caso limite indicato.
La dimostrazione dettagliata B molto complicata. Ne B stata
~ ~ r b b l i c asolo
t a una parte, riguardante un sistema di due particelle
(J a. G. S i n a j, Sistemi dinamici con riflessioni elastiche,
u Uspekhi'matematiteskikh nauk B 25, n. 2, 1970, 141-192, in
1.11sso).
Appendice 2
Geodetiche delle metriche invarianti
a sinistra su dei gruppi
di Lie e idrodinamica del fluido perfetto

I1 mot0 euleriano di un corpo rigido pub essere descritto


come il mot0 su una geodetica sul gruppo delle rotazioni di uno
spazio euclideo tridimensionale, munito di una metrica rieman-
niana invariante a sinistra. Una parte significativa della teoria
di Eulero B legata solo a questa invarianza e percib si trasporta
a1 caso di gruppi diversi.
Tra gli esempi, inclusi da tale generalizzazione della teoria
di Eulero, vi sono il mot0 di un corpo solido in uno spazio multi-
dimensionale e, di particolare interesse, l'idrodinamica del fluido
perfetto (incomprimibilee non viscoso). Nell'ultimo caso il gruppo
in questione B un gruppo di diffeomorfismi di un dominio di flusso,
che conservano I'elemento di volume. I1 principio di minima
azione in questo esempio significa che il mot0 del fluido B descrit-
to da una geodetica di una metrica, de'finita dall'edergia cinetica
(se si vuole si pub considerare questo principio come .definizione
matematica del fluido perfetto). facile verificare che la metrica
indicata B invariante (a destra).
Infine, la generalizzazione a1 caso di dimensione infinita
dei risultati, ottenuti per i gruppi di Lie di dimensione finita,
va fatta con delle precauzioni. Per esempio, non vi sono ancora
nell'idrodinamica tridimensionale tooremi di e~istenzaed uniciti
delle soluzioni delle equazioni di moto.
Tuttavia B interessante vedere le conclusioni, cui si pervie-
ne con una trasposizione formale a1 caso di dimensione infinita
delle proprieti delle geodetiche su gruppi di Lie a dimensione
finita. Queste conclusioni hanno il carattere di proposizioni
a priori (identith, disuguaglianze, ecc.), che devono essere vere
per qualunque interpretazione ragionevole delle soluzioni. In
alcuni casi le conclusioni ottenute qui possono essere giustificate
rigorosamente e direttamente, tralasciando I'analisi del caso di
dimensione infinita.
Per e~empio,le equazioni di Eulero del mot0 di un corpo
rigido hanno come analog0 in idrodinamica le equazioni di Eulero
del mot0 del fluido perfetto. A1 teorema di Eulero sulla stabilita
tlolle rotazioni intorno agli assi maggiore e minore dell'ellissoide
ti'inerzia, corrisponde il teorema leggermente gerieralizzato di
Itayleigh sutla stabiliti dei flussi, che non presentano punti d i
flesso nel profilo delle velociti, ecc.
Dalle formule di Eulero si deduce anche, senza difficolti,
I'espressione esplicita della curvatura riemanniana di un gruppo
i t metrica invariante da un lato. Nel caso idrodinamico troviamo
la curvatura di un gruppo di diffeomorfismi che conserva l'ele-
rnento di volume.
E interessante notare che per direzioni bidimensionali ab-
bastanza buone, la curvatura B finita e in molti casi negativa.
La negativith della curvatura implica I'instabiliti esponen-
ziale delle geodetiche (vedere appendice 1). Nel caso considerato
le geodetiche sono le linee di corrente del fluido perfetto. Quindi
tial calcolo della curvatura del gruppo di diffeomorfismi si pu6
ottenere una certa informazione sull'instabilith dei moti del
fluido perfetto.
Pih precisamente, la curvatura definisce il cammino caratte-
ristico, sul quale gli errori sulle condizioni iniziali crescono di e
volte. La negativith della curvatura impedisce praticamente
qualsiasi predizione sul moto: su un cammino, pih grande di
quello caratteristico di solo qualche volta, lo scarto delle condi-
xioni iniziali da quelle calcolate creace centinaia di volte.
I n questa appendice si espongono brevemente i risultati dei
calcoli, legati alle geodetiche su gruppi a metriche invarianti
da un lato. Le dimostrazioni e maggiori dettagli si possono trovare
r~eiseguenti lavori:
V. A r n o 1 d, Sur la g6om6trie diff6rentielle des groupes de
Lie de dimension infinie et ses applications i l'hydrodinamique
tles fluides parfaits, 4 Annales de 1'Institut Fourier B, XVI, n. 1,
1966, 319-361.
V. A r n o 1 d, Su una maggiorazione a priori della teoria
tlella stabiliti idrodinanlica, a Izvestija vuzov n, Matematica,
n. 5 (54), 1966, 3-5 (in russo).
V. A r n o 1 d, Osservazioni sul comportamento dei moti
del fluido perfetto tridimensionale per una piccola perturbazione
tlel campo iniziale di velocith, PMM 36, n. 2,1972, 255-262 (in
russo).
V. A r n o 1 d, ~ a m i l t o n i c i t h delle equazioni di Eulero
della dinamica del corpo rigido e del fluido perfetto, UMN XXIV,
n. 3 (147), 1969, 225-226 (in r-usso).
L. D i k i j, Osservazioni sui sistemi hamiltoniahi legati a1
gruppo delle rotazioni, a Analisi funzionale e sue applicazioni B
6, n. 4, 1972 (in russo).
D. G. E b i n, J. M a r s d e n, Groups of diffeomorphisms
and the motion of an incompressible fluid, a Annals of Math. B
92, n. 1, 1970, 102-163.
0. L a d y g e n s k a j a, Sulla risolubiliti in piccolo dei
problemi non stazionari per i liquidi perfetti incomprimibili
e viscosi e per una viscositi che tende a zero, u Problemi a1 con-
torno della fisica matematica )), t. 5 (# Appunti dei seminari di
studio LOMI )), t. 21), Leningrado, a Nauka )), 1971, 65-78 (in
russo).
A. M i S E e n k o, Integrali dei flussi geodetici sui gruppi
di Lie, cr Analisi funzionale e sue applicazioni n 4, n. 3, 1970,
73-78 (in russo).
A. 0 b u k h o v, Sugli invarianti integrali nei sistemi di
tip0 idrodinamico, DAN 184, n. 2, 1969 (in russo).
L. F a d d e e v, Per la teoria della stabiliti dei moti sta-
zionari paralleli piani del fluido perfetto, @ Problemi a1 contorno
della fisica matematica,, t. 5 (c Appunti dei seminari di studio
LOhlI n, t. 21), Leningrado, 6 Nauka w , 1971, 164-172 (in russo).
A. Notazioni. Rappresentazioni aggiunta e coaggiunta. Sia
G un gruppo reale di Lie, g la sua algebra, cioB lo spazio tangente
a1 gruppo nell'uniti, munito dell'operazione di commutazione [,I.
I1 gruppo di Lie opera su se stesso. con traslazioni a sinistra
e a destra: per ogni elemento g del gruppo G sono definiti dei
diffeomorfismi del gruppo in se stesso
L,: G + G, Lgh = gh; R,: G -+G, Rgh = hg.
Noteremo le applicazioni indotte degli spazi' tangenti con

per ogni h E G.
I1 diffeomorfismo R,-lL, B un automorfismo interno del
gruppo. Esao lascia a1 suo posto I'uniti del gruppo. La sua derivata
nell'unith 6 un'applicazione lineare dell'algebra (cioB dello
spazio fangente a1 gruppo nell'uniti) in se stessa. Tale applica-
zione s a r i indicata con
Ad,: g + 9, Adg = (R,1 L,)*,
e si chiama rappresentazione aggiunta del gruppo.
Si verifica facilmente che Ad, B un omomorfismo dell'algebra,
cioh che

chiaro anche che Adgh = AdgAdh.


Consideriamo inoltre Ad come un'applicazione del gruppo
nello spazio degli operatori lineari sull'algebra: Ad (g) = Ad,.
L'applicazione Ad B differenziabile. Consideriamo la sua
derivata nell'uniti del gruppo. Questa derivata B un'applicazione
lineare dall'algebra nello spazio degli operatori lineari su di essa.
L'applicazione cosi costruita s a r i indicata con ad, mentre l'im-
~riaginedi un elemento E dell'algebra sotto questa applicazione
verrh indicata con adE. Dunque adE B un endomorfismo dell'al-
gebra e abbiamo

dove ett B un gruppo a un parametmlcon vettore tangenrte E. Dalla


formula switta si deriva facilmente l'espraqsione di ad in termini
della sola algebra:
adtq = [f, ql.
Consideriamo lo spazio lineare g* duale dell'algebra di Lie 9.
Si tratta dello spazio delle funzioni lineari reali definite sul-
l'algebra di Lie. In altri termini, g* 6 lo spazio cotangente a1
gruppo nell'uniti, g* = T*Ge.
I1 valore dell'elemento E dello spazio cotangente a1 gruppo
in un qualunque punto g, sull'elemento q dello spazio tangente
,

nello stesso punto, sarA notato per mezzo di parentesi tonde:

Le traslazioni a sinistra e a destra inducono negli spazi


cotangenti degli operatori, duali di Lg* e Rg*. 'Li noteremo con

per ogni h G. Questi operatori sono definiti dalle identiti

I,'operatore, duale dell'operatore Adg, applica lo spazio cotan-


gente a1 gruppo nell'unith in se stesso. Lo si indica con
Ad;: g*+g*
od B definito dall'identiti
(AGE, q ) = (E' Adg 71.1
Gli operatori Ad,*, dove g percorre il gruppo di Lie G, formano
una rappresentazione di questo gruppo, cioh sussiste la relazione

Tale rappresentazione si chiama rappresentazione coaggiunta


tlel gruppo e svolge un ruolo importante in tutte le questioni, che
riguardano le metriche invarianti (a sinistra) sul gruppo.
Coasideriamo la derivata dell'operatore Adz rispetto a g
~ ~ c l l ' u n i tdel
l gruppo. Tale derivata h un'applicazione lineare
tlnll'algebra nello spazio degli operatori lineari, definiti sullo
spazio duale dell'algebra. L'applicazione lineare in questione
viene indicata con ad*, mentre l'immagine sotto la sua azione
di nn elemento & dall'algibra si indica con ad' Dunque ad€ B uo
operatore lineare sullo spazio duale dell'alge\ral

Si constata facilmente che l'operatore adf B coniugato di adt:

A volte B comodo notare l'effetto di ad* con parentesi graffe:

Dunque, la parentesi graffa designa una funzione bilineare da


0x g* in g*, legata a1 cornmutatore dell'algebra dall'identith
({E, q), C) = (q* [E, 51).
Consideriamo le orbite della rappresentazione coaggiunta del
gruppo nello spazio duale dell'algebra. Su ognuna di queste orbite
esiste una struttura simplettica naturale (chiamata formula di
Kirillov, poich6 egli se ne servi per primo nello studio delle r a p
presentazioni nilpotenti dei gruppi di Lie). Percia, le orbite della
rappresentazione coaggiunta sono sempre di dimensione pari.
Notiamo anche che si ottiene tutta una serie di esempi di varietil
simplettiche, considerando diversi gruppi di Lie e tutte le possi-
bili orbite.
Una struttura simplettica sulle orbite della rappresentazione
coaggiunta B definita nel mod0 seguente. Sia x un punto dello
spazio duale dell'algebra, E il vettore tangente in questo punto
alla sua orbita. Poich6 g* B uno spazio lineare, possiamo ritenere
il vettore E, che a rigor di termini appartiene a110 spazio tangente
a g* nel punto x, come giacente in g*.
I1 vettore E si pub rappresentare (in molti modi) sotto forma
del vettore velocitl di mot0 del punto x nella rappresentazione
coaggiunta di un gruppo a un parametro eat con vettore velocitil
a E g. In altri termini, ogni vettore f , tangente all'orbita del
punto x nella rappresentazione coaggiunta del gruppo, si esprime
in funzione di un vettore appropriato a dell'algebra secondo la.
formula
f ={a, x), a E 9, 1E 9**
Siamo ora in grado di definire il valore della 2-forma simplet-
tica 52 sulla coppia di vettori f,, E,, tangenti all'orbita del punto x.
Piii esattamente, esprimiamo El e f, in funzione di alcuni elementi
dell'algebra a, e a,, secondo la formula precedente, e quindi
formiamo, con questi due elementi dell'algebra ed un elemento
dello spazio duale, lo scalare
62 (El, Ez) = (2, [a19 a,]), x E g*, a, E 9.
Si vecifica senza difficolti che i) la forma bilineare Q B dedinita
correttamente, cioB il suo valore non dipende dalla scelta di e;
2) la forma 62 B antisimmetrica e, quindi, definisce una 2-forma
differenziale 62 sull'orbita; 3) la forma P B non degenere e chiusa
(le dimostrazioni si trovano, per esempio, nell'Appendice 5).
Cosi, la forma B 8 una struttura simplettica sull'orbita della
ra ?presentazione coaggiunta.
B. Metriche invarianti a slnistra. Una metrica riemanniana su
un gruppo di Lie G si chiama invariante a sinistra, se essa si con-
serva per tutte le traslazioni a sinistra Lg, cioa se la .derivata di
una traslazione a sinistra manda ogni vettore in un vettore della
stessa lunghezza.
E sufficient0 definire una metric? riemanniana invariante
a sinistra in un solo punto del gruppo, per esempio nell'unita:
si pub allora introdurre la metrica negli altri punti con trasla-
zioni a sinistra. Dunque, su un gruppo vi sono tante metriche
riemanniane invarianti a ' sinistra, quante strutture euclidee
sull'algebra.
Una struttura euclidea sull'algebra B definita da un operatore
aimmetrico definito positivo, dall'algebra nel suo spazio duale.
Dunque, sia A: 0 + g* un operatore lineare simmetrico e posi-
t ivo:
(AE, tl) = (AT, t ) per tutti gli t, tl E 9-
(La positiviti di A non B fondamentale, ma nelle applicazioni
meccaniche la forma quadratica (At, E) B definita positiva.)
Definiamo l'operatore simmetrico Ag: TGg + T*Gg con la
traslazione a sinistra

Otteniamo cosi il seguente diagramma comrnutativo di operatori


lineari:
Ada

fl* +- T*Gg--* #*
L: R:
~ d ;

I1 prodotto scalare definito dall'operatore A g sari notato con


yarentesi angolari:

Questo prodotto scalare definisce sul gruppo G una metrica rieman-


niana, invariante rispetto alle traslazioni a sinistra.
I1 prodotto scalare nell'algebra lo indicheremo semplicemente
con ( , ). Definiamo l'operazione B: g X g -t g con l'identith
( [ a , bl, c) = (B (c, a ) , b ) per ogni b E g.
E chiaro che l'operazione B B bilineare e antisimmetrica nel
second0 argomento, se il primo B fissato:

C. Esempio. Sia G = SO(3) il gruppo delle rotazioni dello


spazio euclideo tridimensionale, cioB lo spazio delle configura-
zioni di un corpo rigido, vincolato in un punto. I1 mot0 del corpo
& descritto allora dalla curva g = g ( t ) sul gruppo. L'algebra di
Lie del gruppo G B lo spazio tridimensionale delle velociti angola-
r i di tutte le possibili rotazioni. I1 commutatore di questa algebra
6 il prodotto vettoriale usuale.
La velociti di rotazione del corpo g B un vettore, tangente a1
gruppo nel punto g. Per ottenere la velociti angolare bisogna
trasportare questo vettore nello spazio tangente a1 gruppo nel-
l'uniti, cioB nell'algebra. Ma cib si pud fare in due modi: con una
traslazione a destra e con una a sinistra. In corrispondenza si
ottengono due diversi vettori dell'algebra:

Questi due vettori non sono altro che a la velociti angolare rispet-
to a1 corpo B e e la velociti angolare rispetto a110 spazio n.
In effetti, all'elemento g del gruppo G corrisponde la posi-
zione del corpo, che si ottiene da uno stato iniziale (scelto arbitra-
riamente e corrispondente all'unitA del gruppo) con il mot0 g.
Sia o un elemento dell'algebra.
Indiohiamo con eut il gruppo a un parametro delle rotazioni
con velociti angolare o; o B la tangente nell'uniti a1 gruppo in
questione. Consideriamo ora lo spostamento

ottenuto dallo spostamento di g con una rotazione di velociti


angolare o, durante un tempo T piccolo. Se il vettore coincide
con il vettore

o si definisce velocit& angolare rispetto a110 spazio e si indica


con o,. Dunque o, si ottiene da con una traslazione a &slra.
In mod0 analogo, si dimostra che la velociti angolare rispetto
a1 corpo B una traslazione a sinistra, nell'algebra, del vettore g.
Nel nostro esempio lo spazio duale dell'algebra, g*, B quello
dei momenti cinetici.
L'energia cinetica del corpo Q definita dal vettore velociti
angolare nel corpo e non dipende dalla posizione del corpo nello
spazio. Percib l'energia cinetica definisce una metrica riemanniana
invariante a sinistra sul gruppo. L'operatore simmetrico definito
positivo A,: TG + T*Gg, che definisce questa metricd, si
chiama operatore to tensore) dsinerzia; esso Q legato all'energia
cinetica .dalla formula

dove A: g + g* 6 il valore di A, per g = e.


L'immagine del vettore g' sotto lvoperat.ore d'inerzia A, si
chiama momento cinetico e si indica con M = Agg.
I1 vettore M giace nello spazio cotangente a1 gruppo nel
punto g e lo si pu8 trasportare nello spazio cotangente a1 gruppo
nell'uniti, sia con traslazioni a sinistra che con traslazioni a
destra. Si ottengono in corrispondenza due vettori
M , = LZM E g*,
M , = RZM E g*.

Questi vettori dello spazio duale dell'algebra non sono altro


che il momento cinetico rispetto a1 corpo ( M , ) e il momento
cinetico rispetto a110 spazio (M,). I1 second0 si deduce facilmente
dall'espressione dell'energia cinetica, in funzione del momento
e della velociti angolare,

In accord0 col principio di minima azione, il mot0 del corpo


rigido per inerzia (in assenza di forze esterne) Q una geodetica sul
gruppo delle rotazioni, munito della metrica invariante a sinistra,
che abbiamo indicato.
Considereremo ora le geodetiche di una qualunque metrica
riemanniana invariante a sinistra, su un qualunque gruppo di Lie,
come i moti di un (( corpo rigido generalizzato )) con spazio delle
configurazioni G. Tale 4 corpo rigido di gruppo G n Q definito
dalla sua energia cinetica, cioQ da una forma quadratica definita
positiva sull'algebra di Lie. Piii esattamente, rappresenteremo
le geodetiche della metrica invariante a sinistra sul gruppo G,
definita dalla forma quadratica ( a , o) sull'algebra, come i moti
di un corpo rigido di gruppo G ed energia cinetica (a, 0)/2.
Ad ogni mot0 t w g (t) del nostro corpo rigido generalizzato,
possiamo far corrispondere le quattro curve seguenti:

ohiamate moti dei vettori velocith angolare e momento nel corpo'


e nello spazio.
Le equazioni differenziali, cui obbediscono queste curve,
sono state trovate da Eulero per l'usuale corpo rigido. Ma esse
sono valide nello stesso caso pih generale di un qualunque grup
po G 9 L i it c:i;iinierem; equazioni di Eulero per il corn., rigido
generalizzato.
0 s s e r v a z i o n e. Nella comune teoria dsl' corpo rigido
sono identificati sei diversi spazi di dimensione 3: RS, RS*, 0, g*,
TGI,T*G . I1 fatto che la dimensione dello spazio RS, in cui
d
si muove corpo, e quella dell'algebra di Lie g del suo gruppo
dei moti coincidano, Q del tutto casuale e vero per n = 3; infatti,
nel caso n-dimensionale, 0 ha dimensione n (n - 2)/2.
L'identificazione dell'algebra di Lie g con il suo spazio
duale g* ha una giustificazione pih profonda. I1 fatto B che sul
gruppo delle rotazioni esiste una metrica riemanniana (unica
a meno di un fattore) invariante bilaterale. Questa metrica defi-
nizce una volta per tutte un isomorfismo degli spazi lineari g e g*
(e anche di TG, e T*G,). Essa permette quinii di considerare
giacenti nello stesso spazio euclideo i vettori velocith angolare
e momento. In seguito a tale identificazione, l'operazione { , )
si trasforma nel commutatore dell'algebra, preso col segno meno.
Una metrica invariante bilaterale esiste su ogni gruppo di
Lie compatto; quindi, nello studio dei moti dei corpi rigidi a
gruppi compatti, si possono identificare gli spazi delle velocita
angolari e dei momenti. Tuttavia, noi non opereremo questa
identificazione, avendo come scopo essenziale le applicazioni
a1 caso non compatto (e perfino di dimensione infinita) di gruppi
di diffeomorf ismi.
D. Equazioni di Eulero. I risultati di Eulero (da lui ottenuti
nel caso particolare G = SO (3)) si possono formulare sotto forma
dei seguenti teoremi sul mot0 dei vettori velocith angolare e mo-
mento di corpi rigidi gelieralizzati di gruppo G.
Teorema I. IZ vettore momento rispetto a110 spazio si consem
durante il moto:
dM,= 0.
dl

Teorema 2. 11 vettore momento rispetto a1 corpo soddisfa


l'equazione di Eu Zero:
dMc
-dt
=2
{@:, w}-
ie dimostrazioni di questi teoymi per il mrpo rigido gene-
talizzato sono le stesse che per q*uelloordinario.
0 s s e r v a z i'o n e 1. I1 vettore velocith angolare nel
eorpo me si esprime linearmente in funzione del vettore momento
nel corpo Me, ricorrendo all'operatore inverso di quello d'inerzia:
o, = A-'Me. Percib, l'equazione d i Eulero si pu6 considerare
come un'equazione nel solo vettore momento rispetto a1 corpo;
il suo membro destro B una forma quadratics in Me.
Possiamo esprimere questo risultato anche nel seguente modo.
Consideriamo il flusso di fase del nostro corpo rigido. (I1 suo
spazio delle fasi T*G ha una dimensione doppia rispetto a quella n
del gruppo G o dello spazio dei momenti g*.) Allora questo flusso
di fase, definito su una varieti 2n-dimensionale, si fattorizza sul
flusso, definito dall'equazione d i Eulero nello spazio lineare
n-dimensionale g*.
Si chiama fattorizzazione del flusso di fase 9, definito su
una varieth X sul flusso di fase p definito su una varieti Y,
un'applicazione regolare n di X su Y, che manda i moti g' nei
moti f', in mod0 che sia comrnutativo il diagramma

nL cioB n$- f'n.


ft
Y-Y
Nel nostro caso X = T*G Q lo spazio delle fasi del corpo, Y .=
= g* lo spazio dei momenti cinetici: La proiezione n: T*G + g*
d definita dalle traslazioni a sinistra (nM = LZM per M E T*G,).
Inoltre, g' Q il flusso di fase del corpo in questione nello spazio
2n-dimensionale T*G, mentre f' B il flusso di fase dell'equazione
di Eulero nello spazio n-dimensionale dei momenti g*.
In altri termini, il mot0 del vettore momento rispetto a1
corpo dipende solo dalla posizione iniziale del vettore momento
rispetto a1 corpo e non dipende dalla posizione del corpo nello
spazio.
0 s s e r v a z i o n e 2. La legge di conservazione del vetto-
re momento rispetto a110 spazio si pub esprimere dicendo che ogni
componente di questo vettore, in qualunque sistema di coordinate
nu110 spazio g*, si conserva. Otteniamo, cosl, l'insieme degli
integrali primi delle equazioni del mot0 del corpo rigido. In
particolare, ad ogni elemento dell'algebra di Lie g corrisponde
rlna funzione lineare sullo spazio g* e quindi un integrale primo.
Come B facile calcolare, le parentesi di Poisson degli integrali
primi, definiti da funzioni su g*, saranno ugualmente delle
funzioni. su g*. Otteniamo dunque un'estensione (di dimensione
infinita) dell'algebra di Lie g, consistente di tutte le funzioni
au g*. La stessa algebra di Lie g, come algebra di Lie delle fun-
zioni lineari su g*, 8 immersa in questa estensione. Naturalmente,
di tutti questi integrali primi del flusso di fase nello spazio 2n-
dimensionale solo. n sono indipendenti. Per esempio, come n
integrali indipendenti si possono prendere n funzioni lineari su g*,
che formano una base in g.
Interessandoci alle applicazioni a1 caso infinite, vorremmo
sbarazzarci delle coordinate e formulare in mod0 invariant0 la
proposizione relativa agli integrali primi. Cib si pub .fare rifor-
mulando il teorema 1 come segue.
Teorema 3. Le orbite della rappresentazione coaggiunta d i
un gruppo nello spazio duale dell'algebra sono varieta invarianti
per il flusso, definito in questo spazio dall'equazione di Eulero.
D i m o s t r a z i o n e. Me (t) B ottenuto da M, (t) per
effetto della rappresentazione coaggiunta, mentre M, (t) B fisso,
c.v.d.
E s e m p i o. Nel caso del corpo rigido ordinario le orbite
della rappresentazione coaggiunta del gruppa nello spazio dei
momenti sono le sfere M: + 1M2+ = cost. In questo caso
il teorema 3 si trasforma nella legge di consemazione del'quadrato
del momento. Esso afferma che, se il punto iniziale di Me B s u
un'orbita qualunque (nel nostro caso sulla sfera M1 = cost),
allora tutti i punti della sua traiettoria, per l'effetto dell'equazione
di Eulero, sono situati sulla stessa orbita.
Torniamo ora a1 caso generale di un qualunque gruppo G
e ricordiamo che le orbite della rappresentazione coaggiunta hanno
una struttura simplettica (vedere il punto A). D'altra parte,
l'energia cinetica del corpo pub essep espressa in funzione de1
momento rispetto a1 corpo. Otteniamo, percib, la forma quadratics
sullo spazio dei momenti

Fissiamo un'orbita qualunque V della rappresentazione coaggiun-


ta. Consideriamo I'energia cinetica come una funzione su questa
orbita:

Teorema 4. S u ogni orbita V della rappresentazione coaggiun-


ta, I'equzione di Eulero 2 hamiltoniana, con funzione di Hamil-
ton H.
D i m o s t r a z i o n e. Ogni vettore 5, tangente a V nel
punto x , ha forma 5 ={f, M), dove f E g. In particolare, il
campo vettoriale nel membro destro dell'equazione di Eulero
si pub scrivere come X ={dT, M ) (qui il differenziale della
funzione T nel punto M dello spazio lineare g* B considerato
come un vettore dello spazio duale di g*, cioh come un elemento
dell'algebra di Lie 0). Dalla definizione della stmttura simpletti-
ca B e dell'operazione { , ) (vedere il p u ~ t oA) deriva che per
ogni vettore f, tangente a V nel punto M, si ha

c.v.d.
L'equazione di Eulero pub essere trasportata dallo spazio
duale dell'algebra, nella stessa algebra g, per inversione del-
l'operatore d'inerzia. Si ottiene cosi la seguente formulazione
dell'equazione di Eulero in termini dell'operazione B (pag. 323).
Teorema 5. I1 mot0 del vettore velocitd angolare nel corpo
b definito dulla posizione iniziale di questo vettore e non dipende dalla
posizione iniziale del corpo. I1 vettore velocitd angolare nel corpo
soddisfa l'equazione con secondo membro quadratico

Chiameremo questa equazione equazione di Eulero per la


velocith angolare. Notiamo che le orbite della rappresentazione
coaggiunta sono mandate dall'operatore A-l: g* -+ g nelle va-
rieth invarianti dell'equazione di Eulero per la velocith angolare:
queste varieth possiedono una struttura simplettica, ecc. Tutta-
via, a differenza delle orbite in g*, queste varieti invarianti
non sono definite dallo stesso gruppo di Lie G, ma dipendono
anche dalla scelta del corpo rigido (cio8 dell'operatore d'inerzia).
La legge d i conservazione dell'energia implica il
Teorema 6. Le equazioni di Eulero (per i momenti e per le
velocitd angolari) possiedono un integrale primo quadratico, il cui
valore b uguale all'energia cinetica

E. Rotazioni stazionarie e loro stabilia. Si chiama rota-


zione stazionaria di un corpo rigido una rotazione tale che sia
costante la velocith angolare del corpo (rispetto a1 corpo e rispetto
allo spazio: si vede facilmente che 1"una implica l'altra). Dalla
teoria del corpo rigido ordinario in R9 sappiamo che sono rota-
zioni stazionarie quelle intorno agli assi principali dell'ellissoide
d'inerzia. Pi& in basso, si formula la generalizzazione di questo
teorema per il caso di un corpo rigido con gruppo di Lie arbitra-
rio. Notiamo che le rotaziorii stazionarie sono le geodetiche d'una
metrica invariante a sinistra, che sono sottogruppi a un parametro.
Osserviamo, inoltre, che le direzioni degli assi principali
d'inerzia possono essere definite considerando i punti stazionari
dell'energia cinetica sulla sfera dei vettori momento di lunghezza
fissata.
Teorema 7. 11 momento cinetico (e rispettivamente la velocitit
angolare) di una rotazione stazionaria rispetto a1 corpo 2 un punto
critico dell'energia su un'orbita della rappresentazione coaggiunta
(e rispettivamente sull'immagine di un'orbita sotto l'operatore A-I).
Inversamente, ogni punto critico dell'energia su un'orbita definisce
unn rotazione stazionaria.
La dimostrazione si fa o con un calcolo diretto o basandosi
sul teorema 4.
Osserviamo che la partizione dello spazio dei momenti in
orbite della rappresentazione coaggiunta, nel caso di un gruppo
qualunque, pub non essere co$ semplice, come .1,!1 caso elementare
del corpo rigido ordinario, per cui si ottiene la partizione dello
spazio tridimensionale in sfere di centro Oe il punto 0. In partico-
lare, le orbite possono avere dimensioni diverse e la partizione
in orbite pub non essere un fibrato tangente nell'intorno di un
punto dato: tale singolarith esiste gih nel caso tridimensionale
nel punto 0.
Noi chiameremo un punto M dello spazio dei momenti rego-
lare, se la partizione di un intorno di quest0 punto in orbite B
diffeomorfa alla partizione dello spazio euclideo in piani paralleli
(in particolare, tutte le orbite vicine a1 punto M hanno la stessa
dimensione). Per esempio, per il gruppo delle rotazioni dello
spazio tridimensionale, sono regolari tutti i punti dello spazio
dei momenti, ad ec~ezioiiedell'origine delle coordinate.
Teorema 8. Supponiamo che un punto regolare M dello spazio
dei momenti sia un punto critico dell'energia su un'orbita della
rappresentazione coaggiunta e che i l differenziale secondo dell'energia
dLH in questo punto sia una forma quadratica di segno definito.
Con queste ipotesi, A2 2 una posizione di equilibrio stabile (nel senso
di Ljapunov) dell'equazione di Eulero.
La dimostrazione si basa sul fatto che, in seguito alla regola-
rith sulle orbite vicine a1 punto M , c'B un massimo o un minimo
virlcolato dell'energia.
Teorema 9. I 1 differenziale secondo dell'energia cinetica, ristret-
to a un'tmmagine dell'orbita della rappresentazione coaggiunta
nell'algebra, 2 dato in un punto o E g &lla formula

.dove f 2 un vettore tangente all'immagine indicata, che si esprime


in funzione di f con la formula

F. Curvatura riemanniana di un gruppo a metrica invariante


a sinistra. Sia C un gruppo di Lie munito di una metrica inva-
riante a sinistra. Sia (, ), il prodotto scalare definito nell'algebra,
che introduce questa metrica. O s s e ~ i a m oche la curvatura rie-
rnanniana del gruppo G, in un punto qualunque, B definita dalla
curvatura nell'unitil (dato che le traslazioai a sinistra trasformano
isometricaniente il gruppo in se stesso).. Quindi bagta calcolare la
curvatura per piani bidimensionali, contenuti nell'algebra d i Lie.
Teorema 10. La curvatura del gruppo nella direzione bidi-
mensionale, definita da una coppia di vettori ortonormali &, q dal-
l'algebm, h data dalla formula

-
dove 26 = B (E, q ) + B (q, E), 28 = B (E, q) - B (7, &), 2a =
[&, ql, 2BE = B (E, E), 2B, = ' B (q, q) e B h l'operazione
definita a1 punto B (pag. 323).
La dimostrazione consiste in un calcolo fastidioso, ma diretto.
Si tratta d i verificare la formula per la derivata covariante

dove & e q'nel primo membro sono dei campi vettoriali invarianti
a sinistra e nel secondo, i loro valori nell'unith.
0 s s e r v a z i o n e 1. Nel caso particolare d i una metrica
invariante bilaterale, la formula della curvatura si scrive molto
semplicemente

0 s s e r v a z i o il e 2. La formula della curvatura di un


gruppo a metrica riemanniana invariante a destra coincide con
quella del caso invariante a sinistra. Infatti, una metrica inva-
riante a destra su un gruppo B invarihnte a sinistra sul gruppo,
se si inverte la legge d i moltiplicazione (g,+ g, = g2g,). I1 passag-
gio a1 gruppo permutato fa cambiare contemporaneamente i segni
del commutatore e dell'operazione B nell'algebra. Ma ogni termine
della formula della curvatura contiene il prodotto d i due opera-
zioni, che cambiano il segno. In conclusione la formula rimane
valida nel caso di una metrica invariante a destra.
Nell'equazione di Eulero, se si passa a una metrica invariante
A destra, il secondo membro cambia segno.
G. Applicazioni a un gruppo di diffeomorfismi. Sia D un
dominio limitato in una varietii riemanniana. Consideriamo il
gruppo d i . diffeomorfismi del dominio D, che conservano l'ele-
mento di volume. Noteremo questo. gruppo con SDiffD.
L'algebra di Lie corrispondente a1 gruppo SDiffD Q composta
di tutti i campi vettoriali di divergenza 0 su D, tangenti a1 bordo
(se non Q vuoto). Definiamo il prodotto scalare d i due elementi
di questa algebra di Lie (cioB di due campi vettoriali) con
dove (.) B il prodotto scalare che definisce la metrica riemanniaria
su Dl mentre dz B l'elemento d i volume riemanniano.
Consideriamo ora il flusso d i un fluido omogeneo perfetto
(incomprimibile e non viscoso) nel dominio D. Tale flusso B descrit-
to da una curva t w g, sul gruppo SDiffD. Piii precisamente, il
diffeomorfismo g, B l'applicazione, che manda ogni particella del
fluido dal luogo dove si trovava all'istante 0 a1 luogo dove si
trova all'istante t .
L'energia cinetica del fluido in mot0 risulta essere una metri-
ca invariante a destra sul gruppo di diffeomorfismi SDiffD.
In effetti, supponiamo che a1 tempo t il mot0 del fluido abbia
realizzato il diffeomorfismo g, e che la velociti a questo istante
sia definita dal campo vettoriale v. Allora il diffeomorfismo realiz-
zato dal mot0 a1 tempo t + r (dove t Q piccolo) s a r i emgt, a meno
di infinitesimi rispetto a r (qui fl B un gruppo a un parametro
di vettore velocitb v, cioB il flusso di fase dell'equazione diffe-
renziale definita dal campo v).
Conseguentemente, il campo delle velociti v si ottiene a
partire dal vettore g, tangente a1 gruppo nel punto g, con una
traslazione a destra. Da cib deriva anche l'invarianza a destra
dell'energia cinetica, che, per definizione, B uguale a
I
T=-(V
2 l
)
V

(supponiamo la densiti del fluido uguale a 1).


I1 principio di minima- azione (che Q matematicamente la
definizione del fluido perfetto) afferma che i moti del fluido per-
fetto sono le geodetiche della metrica invariante a destra descritta
su un gruppo di diffeomorfismi.
In termini rigorosi, un gruppo di diffeomorfismi di dimen-
sione infinita non B una varieti. Dunque la formulazione esatta
della precedente definizione necessita di un lavoro complementare:
si devono scegliere degli spazi funzionali adatti, dimostrare i
teoremi di esistenza ed uniciti delle soluzioni, ecc. Finora si
B riusciti a farlo solo nel caso in cui la dimensione del dominio D
del flusso sia uguale a 2. Tuttavia noi andremo avanti come se
queste difficolti, che nascono dalla dimensione infinita, non
esistessero. Per questo motivo i ragionamenti che seguono hanno
un carattere euristico. Molti risultati possono essere giustificati
in termini rigorosi, indipendentemente dalla teoria delle varieti
di dimensione infinita.
Mostriamo ora come si scrivono le formule generali intro-
dotte sopra, nel caso G = SDiffD, dove D Q un dominio connesso
di volume finito in una varieti riemanniana tridimensionale.
A tal fine si deve prima di tutto scrivere esplicitamente l'opera-
zione bilineare B: g x 9 -t 9, definita a1 punto B con I'identith
.([a, 'bl, C) E ( B (c, a), b).
Si verifica facilmente che nel caso tridimensionale il campo
vettoriale B (c, a) B espresso, in funzione dei campi vettoriali
a e c della nostra algebra d i Lie, con la formula
+
B (c, a) = (rot c) /\ a grad a,
dove /\ indica il prodotto vettoriale, a una funzione univoca
in D, definita univocamente (a meno di un termine additivo)
dalla condizione B E g (cioB dalle condizioni div .B = 0 e . B
tangente a1 bordo di D).
Osserviamo che l'operazione B non dipende dall'orientamento,
perch6 sia il prodotto vettoriale che il rotore cambiano d i segno
quando si cambia l'orientamento.
I. Flussi stazionari. L'equazione d'Eulero della a velociti
angolare B, nel caso G = SDiffD, ha la forma = -B (v, v),
dato che la metrica B invariante a destra. Essa prende dunque,
nel caso d i un gruppo d i diffeomorfismi dello spazio tridimen-
sionale, l'aspetto dell'a equazione di mot0 nella forma di Ber-
noulli B

L'equazione di Eulero per il momento si scrive nella forma


dell'a equazione del rotore B
a rot v
- at = [ v , rot v].
In particolare, il rotore di u n flusso stazionario commuta con il
campo delle velocith.
Questa osservazione permette di classificare subito, topolo-
gicamente, i moti stazionari del fluido perfetto nello spazio tri-
dimensionale.
Teorema i I. Supponiamo che il dominio D sia compatto e de-
limitato da una superficie analitica, e che il campo delle velocitk
sia analitico e non ovunque collineare a1 suo rotore. Con queste
ipotesi, il dominio di flusso b diviso da u n sottoinsieme analitico
in u n numero finito di cellule, i n ognuna delle quali il flusso b co-
struito in modo standard (ciob b canonico). Pih esattamente vi sono
due tipi di cellule: fibrate in tori invarianti rispetto a1 flusso ed in
superfici anch'esse invarianti rispetto a1 flusso e diffeomorfe alla
corona R X S1. Inoltre, su ogni toro tutte le linee di corrente sono
chiuse od ovunque dense, mentre su ogni corona tutte le linee di
corrente sono chiuse.
La dimostrazione di questo teorema B basata sulle (( superfici
d i Bernoulli , cioB sulle superfici di live110 della funzione a.
Dalla condizione di stazionarieth ( v /\ rot v = -grad a ) deriva
che sia le linee di corrente che le linee di rotore sono sulle superfici
d i Bernoulli. Poich6 i campi velociti e rotore commutano, il
gruppo R' opera su una superficie chiusa di Bernoulli, che Q neces-
sariamente un toro (cfr. con la dimostrazione del teorema di
Liouville a1 4 49). Analoghi ragionamenti, tenuto conto della
condizione a1 contorno sul bordo di D, mostrano che le superfici
non chiuse di Bernoulli sono delle corone, con linee di corrente
chiuse.
0 s s e r v a z i o n e. L'analiticiti del campo delle velocitir
non Q essenziale, ma Q importante che i campi velociti e rotore
non siano collineari in nessun dominio. Esperimenti fatti a1
calcolatore da M. Henon mostrano un comportamento, pih com-
plesso di quello previsto dal teorema, delle linee di corrente su
un toro tridimensionale, per un flusso stazionario definito dalle
formule
lux = A sen z + C cos y, v, = B sen z + A cos z,
+
v, = C sen y B cos x.
Le formule sono state scelte in mod0 che i vettori v e rot v siano
collineari. A giudicare dai risultati del calcolo, hlcune linee d i
corrente riempiono in mod0 ovunque denso dei domini tridimen-
sionali.
K. Campi isorotazionali. L'idrodinamica bidimensionale si
differenzia profondamente da quella tridimensionale. I1 motivo
di tale differenza risiede nella differenza della geometria delle
orbite della rappresentazione coaggiunta nei due casi. Pi6 esat-
tamente, in quello bidimensionale le orbite sono in un certo
senso chiuse e si comportano quasi come una famiglia d'insiemi
di live110 di una funzione (o meglio di alcune funzioni: in realti
persino di un numero infinito di funzioni). Invece nel caso t r i d i ~
mensionale le orbite sono piii complesse e, in particolare, iuimi-
tate (e pu6 darsi dense). Le orbite della rappresentazione coaggiun-
ta di un gruppo di diffeomorfismi di una varieth riemanniana
tridimensionale possono essere descritte nella maniera seguente.
Siano v, e v, due campi vettoriali delle velocith di un fluido
incomprimibile nel dominio D. Diremo che i campi v, e v, sono
isorotazionali, se esiste un diffeomorfismo g: D + D , che conserva
I'elemento di volume e manda ogni contorno chiuso y di D in un
altro contorno chiuso di D , tale che la circuitazione del primo
campo sul contorno di partenza sia uguale alla circuitazione del
second0 campo lungo il contorno di arrivo:

I§ vi= $ vv
t BY

Si verifica senza difficolti che I'immagine di un'orbita della


rappresentazione coaggiunta nell'algebra (con I'operatore A-I
inveno di quello d'inerzia) non Q altro che un insieme di campi
isorotazionali a quello dato.
In particolare, il teorema 3 si enuncia ora sotto forma della
legge di conservazione della circuitazione.
Teorema 12. La circuitazione di un campo di velocitii di un
fluido perfetto lungo. un contorno liquido chiuso non cambia pando
il contorno 2 trasportato ah1 fluido in un nuovo posto.
Notiamo che se due campi dclle velociti di un fluido perfetto
tridimensionale in D sono isorotazionali, allora il corrispondente
diffeomorfismo manda il rotore del .prim0 campo nel rotore del
secondo:

g, rot 4 = rot v,
Non solo, l'isorotazionaliti di due campi pui, essere d'efinita
come l'equivalenza dei campi dei rotori, se il dominio del flusso
2 semplicemente connesso. Dunque il problema delle orbite della
rappresentazione coaggiunta nel caso tridimensionale contiene
il problema della classificazione dei campi vettoriali di divergenza
nulla a meno di diffeomorfismi che conservano l'elemento di
volume. Questo ultimo problema nel caso tridimensionale i? di
una difficolth disperata.
Consideriamo ora il caso bidimensionale. Inizialmente, ri-
scriviamo le formule principali in una forma comoda per lo studio
di questo caso.
Supponiamo che il dominio di flusso D sia bidimensionale
e orientato. La metrica e l'orientazione definiscono su D una
struttura simplettica; il campo vettoriale delle velociti ha diver-
genza nulla e quindi B hamiltoniano. Percii, questo campo B defi-
nit0 da una funzione di Hamilton (in generale plurivoca se il
dominio D non B semplicemente connesso). La funzione di Hamil-
ton del campo delle velocith in idrodinamica si chiama funzione
di flusso e si nota con 9. Dunque,
v = I grad $,
dove I B l'operatore di rotazione di 90" (( a destra 8 .
La funzione di flusso del commutatore di due campi B lo
jacobiano (0, se si vuole, la parenbsi di Poisson del formalismo
hamiltoniano) delle funzioni di flusso dei campi di partenza:
, ,= J ($i, 9r).
~ c vVSI
I1 campo vettoriale B (c, a) B definite, nel caso bidimensionale,
dalla formula
B = -(AvC) grad $, + grad a,
dove 9, e qCsono le funzioni di flusso dei campi a e c, A =
=div grad B il laplaciano.
Nel caso particolare di un piano euclideo munito di coordi-
nate cartesiane x , y, le formule per la funzione di flusso, il com-
mutatore e il laplaciano prendono la forma particolarmente
semplice

I1 rotore di un campo delle velocith bidimensionale B una funzione


scalare, di cui l'integrale del prodotto per un. elemento orientato
d i area, esteso a un dominio orientato qualsiasi a di D, Q uguale
alla circuitazione del campo delle velocith sul bordo del dominio a:

Si calcola facilmente.1'espressione del rotore in -1unzione di 9:


r = -Ap.
Nel caso bidimensionale semplicemente connesso l'isorota-
zionaliti dei campi vl e v, indica semplicemente che le funzioni rl
e r, (i rotori di questi campi) si trasformano l'una nell'altra per
un diffeomorfismo adeguato che conserva le aree.
Due funzioni r1 e r, con questa proprieti sono in ogni caso
di uguale misura, cioQ per esse
mis {x E D: r1 (x) ,( c) = mis {x E D: r, (x) ,( c),
qualunque sia il numero c. Dunque, llappartenenza di due campi
all'immagine di una stessa orbita della rappresentazione coag-
giunta implica l'uguaglianza di tutta una serie di funzionali,
per esempio gli integrali di tutte le potenze del rotore

In particolare, le equazioni di Eulero del mot0 di un fluido


perfetto bidimensionale,

ammettono un'infiniti di integrali primi. Per esempio, l'integrale


d i una potenza qualunque del rotore del campo delle velocith

Q un integrale primo.
E proprio l'esistenza di questi integrali primi (cio8 la strut-
tura relativamente semplice delle orbite della rappresentazione
coaggiunta) che ha permesso di dimostrare i teoremi di esistenza,
unicitii, ecc. nell'idrodinamica bidimensionale di un fluido per-
fetto (e anche viscoso); ed B proprio la geometria complessa delle
orbite della rappresentazione coaggiunta nel caso tridimensionale
(0, forse, l'insufficienza d'informazioni su queste orbite) che
rende tanto difficile il problema della giustificazione dell'idrodi-
namica tridimensionale.
L. Stabilitii dei . moti stazionari piani. Riformuliamo ora
i teoremi generali sulle rotazioni stazionarie (teoremi 7, 8 e 9)
per il caso di un gruppo di diffeomorfismi. Otteniamo le seguenti
proposizioni:
1. I 1 mot0 stazionario di un fluido perfetto si distingue &i
moti, che gli sono isorotazionali, per il fatto di essere un punto di
estremo vincolato (o punto critico) dell'energia cinetica.
2. Se 1) il punto critico indicato 2 effettivamente un estremo,
ciob un massimo o un minimo condizionato locale, 2) 2 soddisfatta
una condizione di regolarith (in generale lo 2) e 3) l'estremo 2 non
degenere (il differenziale secondo 2 def inito positivo o negativo),
allora il flusso stazionario 2 stabile (cio2 2 una posizione di equilibrio
stabile, nel senso di Ljapunov, dell'equazione di Eulero).
3. La formula per il differenziale secondo dell'energia cinetica
su uno spazio tangente alla varieth dei campi ,isorotazionali a quello
&to, nel caso bidimensionale ha la forma seguente. Sia D un domi-
nio del piano euclideo munito di coordinate cartesiane x, y. Consi-
deriamo un mot0 stazionario con funzione di flusso 9 = 9 (x, y).
A llora

dove 6v 2 la variazione del campo delle velocitii (cio2 un vettore dello


spazio tangente indicato sopra) e 6r = rot 6v.
Notiamo che per un flusso stazionario, i vettori gradiente
e laplaciano della funzione di flusso sono collineari. Quindi ha un
senso il rapport0 v $1 V A$. Inoltrc, nell'intorno di ogni punto,
dove il gradiente del rotore non B nullo, la funzione di flusso
Q funzione della funzione del rotore.
Le proposizioni appena fatte implicano che l'essere la forma
quadratica #H di segno definito Q una condizione sufficiente di
stabilitii del- flusso stazionario considerato. Questa conclusione
non segue formalmente',dai teoremi 7, 8 e 9 poich6 l'applicazione
di tutte le nostre formule a1 caso di dimension0 infinita deve essere
giustificata rigorosamente.
Fortunatamente, si pu6 provare la conclasione finale sulla
stabiliti, senza giustificare le costruzioni intermedie. Dunque,
si possono dimostrare rigorosamente le seguenti maggiorazioni
a priori (che esprimono la stabiliti del mot0 stazionario rispetto
a piccole perturbazioni del campo delle velocitb iniziali).
Teorema 13. Supponiumo che la funzione di f l w di un flusso
stazionario g = $ (x, y) nel dominio D sia funzione d e l h funziom
del rotore (ciod della funzione -A$) non solo localmente, ma i n
grande. Supponiamo che la derivata della funzione di fl~~ssa rispetto
alla funzione del rotore soddisfi la disuguaglianza
cvc' - <v'l'
CAlp
, dove O<c<C< oo.

S i a tp+ cp (x, y, t ) la funzione di f{usso di u n altro f l w det


fluido, non necessariamente stazionario. Supponiamo che all'lstante
iniziale la circuitazione de1 campo delle velocitit del flusso perturbato
(con funzione di flusso tp +cp) lungo ciascuna componente della
frontiera del dominio D sia uguale alla circuitazione del f l w o
iniziale (con funzione di flusso 9).Allora la perturbazione cp =
= cp (x, y, t ) 2 maggiorata i n qualsiasi istante &lla perturbazione
iniziale q, = cp (3, y, 0 ) con la formula

D
T (vcp)2+c AT)^ d l dy <
.D
5 (Vcpo)' +C (Avo)' d x dy.
S e i l flusso stazionario soddisfa la disuguaglianza

l a perturbazione cp 2 maggiorata da cp, con la formula

Da questo teorema consegue la stabiliti di un flusso staziona-


rio, purch6 sia definita positiva la forma quadratica in V cp

(dove cp B una funzione costante s11 ogni componente della fron-


tiera di D e il cui flusso del gradiente, attraveno ogni compo-
nente della frontiera, 6 uguale a zero) o purch6 sia definita nega-
tiva la forma quadratica

E s e m p i o 1. Consideriamo un flusso piano parallelo


nella striscia Y1 y< < Y, del piano (x, y), con profilo delle
velociti v (y) (cioB con campo delle velociti (v (y),tO)). Un tale
flueso B stazionario, qualunque' sia il profilo delle velocitil. Per
rendere compatto il dominio del flusso, imponiamo a1 campo,delle
velocitil d i tutti i flussi considerati la condizione di essere periodi-
co, di periodo X rispetto alla coordinata z.
La condizione del teorema 13 B realizzata se il profilo delle
velocitil non presenta punti di flesso (cio8, se d'vldy' # 0). Ami-
viamo dunque alla conclusione che i flussi parallcli d€ un fluido
perfetto, senza punti di flesso de1 profilo delle velocitif, sono stabili.
L'analoga proposizione nel problema linearizzato si chiama
teorema di Raylcigh.
Sottolineiamo che nel teorema 13 non ci si riferisce a una
ntabilith in un'approssimazione lineare w , ma di una Vera stabi-
liti rigorosa, nel senso di Ljapunov (cioB rispetto a perturbazioni
finite nel problema non lineare). La differenza tra questi due tipi
di stabilith 8 fondamentale nel caso in esame, perch6 il nostro
problema ha carattere hamiltoniano (vedere il teorema 4). Ma
per i sistemi hamiltoniani la stabilita asintotica Q impossibile,
quindi la stabilith nell'approssimazione lineare Q sempre neutra
o insufficiente per derivarne la stabilithdella posizione d'equilibrio
del problema non lineare.
E s e m p i o 2. Consideriamo un flusso piano parallelo sul
toro
{(z, y), z mod X, y mod 2n)
con campo delle velociti v = (sen y,'O), parallelo all'asse x.
Questo campo B definito dalla funzione di flusso $ = -cos y
e ha rotore r = -cos y. I1 profilo delle velocitA ha due; punti
di flesso, tuttavia la funzione di flusso si esprime per 'mezzo
della funzione del rotore. I1 rapport0 V$/V A$ Q uguale a -1.
Applicando il teorema 13, ci assicuriamo della stabiliti del
nostro flusso staz!'onario se

per tutte le funzioni q di periodo X in z e 2n in y. Si verificu


facilmente che l'ultima disuguaglianza Q realizzata per X 2s <
o non Q pi6 valida per X > 2n.
Dunque, il teorema 13 implica la stabiliti del flusso sta-
zionario sinusoidale nel caso .di un toro corto, quando il periodo
rlella direzione del flusso principal0 ( X ) Q minore della larghezza
del flusso ( 2 4 . D'altra parte, si pu6 verificare suhito che su un
toro lungo (per X > 2n) il nostro flusso sinusoidale Q instabile l.

Vedere, per esempio, l'articolo du L. D. MeSalkin e Ya. G. SinajStcdb


d e l h stabflftit &l f usso stazionario di u n sktema dl equartonf &I moto pforjo
i n un flufdo vircoro tncomprfmibik, e Prikladnaja matematica i mekhanika s,
n. 6, 1961, 1140-1142 (in russo).
Percib, nell'esempio .atto, la condizione sufficiente di sta-
biliti del teorema 13 risulta essere anche una condizione news-
saria.
Bisogna sottolineare che, in generale, il fatto che la forma
quadratica daH non sia di segno definito non implica l'instabiliti
del flusso corrispondente. In effetti, la posizione d'equilibrio
d i un sistema hamiltoniano pub essere stabile, senza che la fun-
zione di Hamilton in questa posizione sia un massimo o un mini-
ma. L'hamiltoniana quadratica H = p: + tf - pf - 4 I3 un
semplice esempio di questo tipo.
M. Curvatura riemanniana di un gruppo di diffeomorfismi.
L'espressione della curvatura di un gruppo di Lie, munito di una
metrica invariant0 da un lato, che B stata introdotta al. punto F,
ha un senso anche per il gruppo SDiffD di diffeomorfismi d i un
dominio riemanniano D. Questo gruppo @ lo spazio delle configura-
zioni di un fluido perfetto, che riempie il dominio D. L'energia
cinetica del fluido definisce sul gruppo SDiffD una metrica inva-
riante a destra. I1 numero, che si ottiene applicando formalmente
a questo gruppo di dimension0 infinita le formule della curvatura
dei gruppi di Lie,' si chiama naturalmente curvatura del gruppo
SDiffD.
I1 calcolo della curvatura di un gruppo di diffeomorfismi
I3 stato fatto fino in fondo solo nel caso di flussi su un toro bidi-
mensionale, munito di una metrica euclidea. Questo toro si ot-
tiene dal piano euclideo R2 identificando i punti, la cui differenza
appartiene a un reticolo r (un sottogruppo discreto del piano).
Un esempio di tale reticolo B I'insieme dei punti a coordinate
intere. Nel caso generale di un reticolo qualunque I' il quadrato,
che B alla base di questo reticolo speciale, pub essere sostituito
da un parallelogramma arbitrario.
Consideriamo ora I'algebra d i Lie, formata dai campi vetto-
riali di divergenza nulla su un toro, con funzione di flusso univoca.
I1 corrispondente gruppo SoDiffTZ consiste di diffeomorfismi, che
lasciano invariato il centro di graviti del toro e conservano l'ele-
mento di area. Esso ?I immerso nel gruppo SDiffT2 di tutti i dif-
feomorfismi, che conservano I'elemento di area, come una sotto-
varieti completamente geodetica (ciok, una sot,tovarieti tale che
ogni sua geodetica 6 geodetica della varieti ambiente).
La dimostrazione si basa sul fatto che, se all'istante iniziale
il campo delle velociti del fluido perfetto ha una funzione di
flusso univoca, allora in tutti gli istanti successivi la funzio-
ne resteri univoca; cib deriva dalla legge di consemazione
dell'impulso.
Studiamo ora la curvatura del gruppo SoDiffT2 in tutte le
direzioni bidimensionali, che passano per l'uniti del gruppo (la
curvatura del gruppo SDiffT2 in ognuna di queste direzioni B la
stessa, poich6 S0DiffT2B una sottovarieti completamente geodetica).
Scegliamo un'orientazione sul piano Ra. Allora, gli elementi
dell'algebra di Lie del gruppo SoDiffTa possono essere considerati
come delle funzioni reali sul tor0 a valore medio nullo (un campo
di divergenza nulla si ottiene da una tale funzione, se la si con-
sidera come una funzione di flusso). Dunque, una direzione bidi-
mensionale in un piano tangente a1 gruppo S,DiffTa B definita
da una coppia di funzioni sul tor0 a valore medio nullo.
Definiremo una tale funzione con l'insieme dei suoi coeffi-
cienti di Fourier. Tutti i calcoli con le serie di Fourier si effet-
tuano comodamente nel campo complesso. Indichiamo con ck
(k B un punto del nostro piano euclideo chiamato vettore d'onda)
una funzione, il cui valore nel punto x del nostro piano B uguale
a e4(keX).Tale funzione definisce una funzione sul toro, se essa
B r-periodih, cioB se l'addizione d i un vettore del - reticolo I'
all'argomento x non cambia il valore della funzione.
In altri termini, il prodotto scalare (k, x) deve essere un
multiplo di 2n per tutti gli x E I'. Tutti i vettori k appartengono
a un reticolo I?* sul piano Ra. Le funzioni ek, dove k E I?*, forma-
no un sistema completo nello spazio delle funzioni complesse
sul toro.
Camplessifichiamo ora la nostra algebra di Lie, il prodotto
scalare (, ) il commutatore [,I e l'operazione B, cosi come la
connessione riemanniana e il tensore di curvatura 8 , in mod0 che
tutte queste funzioni saranno (multi) lineari nello spazio lineare
complesso dell'algebra di Lie complessificata. Le funzioni eh
(dove k E r*,k # 0) formano una base in questo spazio lineare.
Teorema 14. Le fonnub esplicite del prodotto scalare, del
commutatore, dell'operazione B, &lla connessione e &l& curvatura
di una metrica invariante a destra sul gruppo SoDiffTa sono le
seguenti :
(eh, el) = 0 per k +1# 0, (eh, e+) = kzS;

R ~ , I , ~ , ~ =seOk, + l + m + n # O ; se invece k + l + m +
+ n = 0, allora

dove a,,= -
(uAvIa
Iu+vl '
In queste formule S rappresenta l'area del tor0 ed u /\ v
l'area del parallelogramma costruito su u e v (nell'orientazione
scelta del piano Ra). Le parentesi tonde 'indicano il prodotto
scalare euclideo sul piano, mentre quelle angolari nell'algebra
or Lie.
La dimostrazione di questo teorema si trova nel primo artico-
lo (in francese) citato all'inizio di questa. appendice (Annali
de1l'Istitut.o Fourier, XVI, n. 1).
Le formule introdotte permettono di calcolare la curvatura
in qualsiasi direzione bidimensionale. I calcoli mostrano che la
curvatura B negativa nella maggior parte delle direzioni, e pcwitiva
in alcune di esse. Consideriamo un flusso qualunque del fluido,
cioh una geodetica del nostro gruppo. Per l'equazione di Jacobi,
la stabilith di questa geodetica B definita dalle curvature nelle
direzioni di tutti i piani bidimensionali, che passano per il vettore
velocitil della geodetica in ognuno dei suoi punti.
Supponiamo ora che il flusso considerato sia stazionario.
Allora la geodetica B un sottogruppo a un parametro del nostro
gruppo. Ne consegue che le curvature in tutti i piani, che passano
attraverso il vettore velocitil della geodetica in ognuno dei suoi
punti, sono uguali alle curvature nei corrispondenti piani, con-
dotti per il vettore volocitil della geodetica in questione all'istante
iniziale. (Dimostrazione: traslazione a destra nell'unith del grup-
po.) Dunque, sulla stabilitil di un flusso stazionario influiscono so-
lo le curvature nelle direzioni di quei piani bidimensionali del-
l'algebra di Lie, che contengono il vettore del camp0 delle velocith
del flusso stazionario.
Consideriamo, per esempio, un semplice flusso parallel0
sinusoidale stazionario. Tale flusso B definito dalla funzione
di flusso
E-.- ek + e-k

Consideriamo un qualsiasi -altro vettore reale dell'algebra, q =


= xle, (cosicch6 x,~= xl). Dal teorema 14 si ricava facil-
mente il
Teorema 15. La curwtura del gruppo S,DiffF b non positiw
in tutti i piuni bidimensionali, che contengono la direzione & &
Pifi precisamente,
S
(Q(E, dE, 9)- -T 2 d.i ~ x t + x l + u I ~ -
1
In particolare, si ricava da questa formula che
1) la curvatura b nulla soltanto in quei piani bidirnensiomli,
che sono costituiti da flusst pwalbli della stessa direzione di t,
~06icchi?[E, ql = 0;
2) la cumtura nella sezione, definita dalle funzioni di flusso
g = cos kt, 7) = cos 12, 2
K--- '+la
4s
sen2a sen. p,
dove S 2 l'area del toro, a l'angolo tra k ed I, $ I'angolo tra k 1+
e k-1;
3) in particolare, la curvatura del gruppo di diffeomorfismi
&I toro ((3, y) mod 2rr) nella direzione, definitaduicarnpi delle
velocitit (sen y, 0) e (0, sen x), 2 uguale a

N. Discussione. E naturale attendersi che la curvatura del


gruppo di diffeomorfismi sia legato alla stabiliti delle geodetiche
su questo gruppo (cioQ alla stabiliti dei flussi del fluido perfetto)
nello stesso modo, in cui la curvatura di un gruppo di Lie di
dimensione finita Q legato alla stabiliti delle geodetiche su di
esso. Pifi esattamente, la negativiti della curvatura implica
l'instabiliti esponenziale delle geodetiche. Inoltre il cammino
caratteristico (il cammino medio, sul quale gli errori sulle condi-
zioni- iniziali crescono di e volte) Q dell'ordine di grandezza di
i l l / - - K . Dunque, la conoscenza della curvatura del gruppo di
diffeomorfismi permette di valutare il tempo, sul quale si pub
predire l'evoluzione del flusso di un fluido perfetto second0 il
campo iniziale approssimato delle velociti, senza che gli errori
crescano di molti ordini di grandezza.
Bisogna sottolineare che l'instabiliti dei flussi di un fluido
perfetto Q intesa qui in senso diverso da quello del punto L: si
tratta infatti dell'instabiliti esponenziale del mot0 del ftuido
e non del suo campo delle velociti. Si danno casi, in cui il flusso
stazionario Q soluzione stabile nel senso d i Ljapunov dell'equazione
di Eulero, e cib nonostante il corrispondente mot0 del fluido Q
esponenzialmente instabile. In effetti, una variazione piccola del
campo delle velocith del fluido pub provocare una variazione del
mot0 del fluido, che cresce in mod0 esponenziale. I n un simile
caso (stabilith della soluzione dell'equazione d i Eulero e curvatura
negativa del gruppo) si pub predire il campo delle velocith, ma
4. impossibile predire, senza essere molto imprecisi, il mot0 delle
masse del fluido.
Le formule della curvatura prima indicate possono essere
utilizzate per una valutazione approssimata dell'intervallo d i
tempo, sul quale B impossibile una previsione meteorologica
dinamica durevole, purcht? si accettino alcune ipotesi semplifica-
trici. Le semplificazioni consistono nel presupporre quanto segue.
1. La Terra ha la forma di un toro, ottenuto per fattorizza-
done del piano su un reticolo quadrato.
2. L'atmosfera Q un fluido non viscoso, incomprimibile,
omogeneo bidimensionale.
3. I1 mot0 dell'atmosfera B vicino a un a flusso aliseo s,
parallel0 all'equatore del toro e con profilo sinusoidale delle
velociti.
Per calcolare il cammino caratteristico, dobbiamo valutare
la curvatura del gruppo SoDiffTanelle direzioni che contengono il
a flusso aliseo w f del teorema 15. Inoltre, porremo Ta =
= { ( x , y) mod 2n), k = (0, 1). In altri termini, consideriamo
i flussi sul piano (x, y), di period0 2n, vicini a1 flusso stazionario,
parallel0 all'asse x, con profilo sinusoidale delle velocith
v = (sen y, 0).
Dalle formule del teorema 15 si vede facilmente che la cur-
vatura del gruppo SoDiffTa, nei piani contenenti il nostro flusso
aliseo v, varia nell'interv~llo
--S <K <0, dove S =4n2
Z
B l'area del toro.
I1 limite inferiore B una valutazione molto imprecisa. Tuttavia
esiste sicuramente una direzione con curvatura K = -11(2S) e ve
ne sono molte altre con curvatura vicina a questo valore. Per
valutare orientativamente il cammino caratteristico, prendiamo,
come valore orientativo della 4 curvatura media n, KO = -11(2S).
Se si accetta di partire da questo valore della curvatura KO,
si ottiene per il cammino caratteristico il valore
s=(~=rO)*= VB.
La velociti di mot0 sul gruppo, che corrisponde a1 nostro
flusso aliseo, B uguale a 1/S/2 (dato che il valore quadratic0
medio del sen0 B 112). Dunque, il flusso percorreri il cammino
caratteristico in un tempo uguale a 2. Le particelle piii veloci del
fluido percorreranno durante questo tempo una distanza pari a 2,
cioB l l n del giro completo del toro.
Dunque, se si prende come curvatura media il valore da noi
indicato, gli errori crescono di k: 20 volte durante il tempo,
che impiega la particella piii veloce a fare un giro completo.
Supponendo che la velociti massima del flusso aliseo sia 100 km/h,
il tempo necessario per un giro completo s a r i di 400 ore, cioh
meno di tre settimane.
Perci6, se all'istante iniziale si conosceva la situazione me-
teorologica con un piccolo errore e, l'ordine di grandezza dell'er-
rore sulla previsione fra n mesi s a r i
10hne, dove k m 30.24 n log,, e B 2.5.
Per esempio, per una previsione meteorologica con due mesi di
anticipo bisognerebbe avere una precisione fino alla quinta
cifra decimale. Ci6 'significa che B praticamente impossibile pre-
dire il tempo con tanto anticipo.
Chiaramente, la valutazione da noi fgtta B assolutamente
priva di rigore e il modello preso 6 molto.semplificato. Anche
la scelta del valore della + curvatura media n deve essere giusti-
ficata.
Appendtce 3
Struttura simplettica su varietb algebriche

I1 pih delle volte, le varieth simplettiche della meccanica


classica sono gli spazi delle fasi di sistemi meccanici lagrangiani,
cio6 i fibrati cotangnti degli spazi delle configurazioni.
Una serie di esempi di varietl simplettiche del tutto distinta
ci viene offerta dalla geometria algebrica.
Per esempio, una qualunque varietl algebrica complessa
regolare (definita da un sistema di equazioni polinomiali nello
spazio proiettivo complesso) possiede una struttura simplettica
naturale.
'La costruzione di una struttura simplettica su una varietb
algebrica 6 basata sul fatto che lo stesso spazio proiettivo comples-
so possiede una notevole struttura simplettica, pih precisamente
la parte immaginaria della sua struttura hermitiana.
A. Struttura hermitiana dello spazio proiettivo compleeso.
Ricordiamo che lo spazio proiettivo complesso n-dimensionale CP"
B la varieth di tutte le rette complesse passanti per il punto 0
nello spazio lineare complesso, di dimensione n +1, Cn+'. Per
costruire una struttura simplettica sullo spazio proiettivo com-
plesso CP", utilizzeremo la struttura hermitiana del corrisponden-
te spazio lineare Cn+l.
Si chiama prodotto scalare hermitiano (o struttura hermitiana)
in uno spazio lineare complesso una funzione complessa, definita
sulle coppie di vettori, che 1) 6 lineare nel primo argomento
e antilineare nel secondo, 2) assume il valore coniugato complesso
se si permutano i suoi argomenti e 3) si trasforma in una forma
quadratics reale definita positiva, se si prendono argomenti
uguali tra loro:
<kt, 11) = J. (E, q), q, f =( 9 (E, E) > 0
per f +0.
Un esempio di prodotto scalare hermitiano 6

dove Eh e q k sono le coordinate dei vettori f e q in una certa base.


Una base, rispetto alla quale il prodotto scaiare hermitiano
abbia come espressione la (I), esiste sempre e si chiama baae
hermitiana ortonormale.
Le parti reale e immaginaria del prodotto scalare hermitiano
sono delle forme reali bilineari. La prima B simmetrica, la seconda
antisimmetrica ed entrambe sono non degeneri:
+
<E, 11) = (g, tl) i IE, ?I, E t l = t l E [E, tll = -[q, El.
La forma quadratica (E, t ) B definita positiva.
Dunque la struttura hermitiana (,) definisce nello spazio
lineare complesso una struttura euclidea (,) e una struttura simplet-
tica [,I. Queste due strutture sono legate alla atruttura complessa
dalla relazione
[E, tll = (e, i?).
Definiamo ora una metrica riemanniana sullo spazio proietti-
vo complesso. A tale scopo consideriamo, nello spazio lineare
corrispondente Cn+', la sfera unitaria
S¶n-1--{z E C+l: (2, 2 ) = I).
Questa sfera deriva da C+lla metrica riemanniana. Ogni retta
complessa interseca questa sfera lungo una circonferenza massima.
D e f i n i z i o n e. Si chiama distanza tra due punti dello
spazio proiettivo complesso, la distanza tra le due circonferenze
corrispondenti sulla sfera unitaria.
Notiamo che queste due circonferenze sono parallele, nel
senso che la distanza da un punto qualunque di una circonferenza
all'altra B la stessa (dimostrazione: il prodotto di z per e'Q con-
serva la metrica sulla sfera). Tale proprieth permette di scrivere
direttamente la formula esplicita (2) per la metrica riemanniana
sullo spazio proiettivo complesso, che fornisce la distanza definita
piii in alto.
In effetti, notiamo con p l'applicazione

che associa a1 punto z # 0 dello spazio lineare c"+l la retta


complessa, che passa per 0 e z.
Ogni vettore 6, tangente a CPn nel punto pz, pud essere
rappresentato (in molti modi) come immagine del vettore applica-
to in z; per questa applicazione

Teorema. I t q d a t o del modulo det vettore f, nelh metrica


riernanniana definita sopra, b &to &lla formula
D i m o s t r a z i o n e. Supponiamo iniziakmente che il
punto z giaccia sulla sfera mitari,a SSm-'.
Scomponiamo il vettore in due componenti: m a sulla retta
complessa, individuata dal vettore z, l'altra nella direzione orto-
gonale, nel senso del prodotto scalare hermitiano. Notiamo che
l'ortogonalith hermitiana a1 vettore z significa ortogonalith
euclidea ai vettori z e iz. I1 vettore z B il vettore della normale
euclidea alla sfera SSm-Inel punto z. I1 vettore iz B il vettore
della tangente alla circonferenza, lungo la quale la sfera interseca
la retta complessa, passante per il punto z. Percib, la componente q
del vettore &, hermitiano-ortogonale a1 vettore z, B tangente alla
sfera Sm-I ed euclideo-ortogonale alla circonferenza, lungo la
quale la sfera e la retta pz si intersecano.
In base alla definizione della metrica su CPn, il quadrato
riemanniano del modulo del vettore 5 B uguale a1 quadrato eucli-
deo del modulo della componente q del vettore g, hermitiano-
ortogonale a z.
Calcoliamo la componente q, hermitiano-ortogonale a z,
del vettore E. Scriviamo la nostra scomposizione nella forma
& = cz + q, dove (q, z) = 0.

Moltiplicando il prodotto scalare hermitiano per z, si trova


(f* z) = ~ ( 2 ,2).
percib

mentre il quadrato hermitiano di q B

Con il che B dimostrata la formula (2) per i punti z della sfera


unitaria. I1 caso generale si riconducm a quello studiato con l'omo-
tetia z w z/ 1 z 1. I1 teorema B dimostrato.
Ossorviamo che la nostra costruzione permette di definire,
nello spazio tangente a CP, non solo la struttura euclidea (2)
ma anche m a struttura hermitiana.
In effetti, consideriamo il complemento ortogonale H, nel
senso del prodotto hermitiano, alla direzione del vettore z nello
spazio TC:+l, dove z SSm-I.L'applicazione p,: H +. T (CPn),,
B un isomorfismo di H sullo spazio tangente a C P (come abbiamo
dimostrato sopra) e trasporta in questo spaziola struttura hermi-
tiana di H.
E chiaro che il quadrato scalare, definito da questa struttura
hermitiana, B dato dalla formula (2). Percib, senza nuovi calcoli,
si pub scrivere la formula del prodotto scalare hermitiano nello
spazio tangente a CP":

con El e E2 vettori qualunque di TC;+l, che soddisfano la rela-


zione P*E, = 6 k E T (CP"),,,.
Osserviamo che nella (3) il punto z non si trova necessaria-
mente sulla sfera unitaria.
Le strutture euclidea (2) ed hermitiana (3). costruite sugli
spazi tangenti a CPn, non sono invarianti rispetto a tutte le
trasformazioni proiettive della varieth CP", ma solo rispetto
a quelle indotte da trasformazioni lineari unitarie (che conser,vano
la struttura hermitiana) dello spazio lineare Cn+l.
B. Struttura simplettica dello spazio proiettivo complesso.
Consideriamo la parte immaginaria della forma hermitiana (3).
presa con il coefficient0 -1ln (la ragione di questa wAta B spiega-
ta nel problema 1 di questa appendice)

Come la parte immaginaria di qualsiasi forma hermitiana, la


forma bilineare reale Q B antisimmetrica e non degenere sullo
spazio tangente a110 spazio proiettivo complesso.
Teorema. La 2-forma differenziale Q definisce sullo spazio
proiettivo complesso unu struttura simplettica.
D i m o s t r a z i o n e. Basta dimostrare che la forma SZ
B chiusa.
Consideriamo la derivata esterna dQ della forma Q. Si,tratta
di una 3-forma differenziale sulla varieth CP", invariant0 rispetto
alle applicazioni, indotte dalle trasformazioni . unitarie dello
spazio Cn+l. Ne consegue che essa B nulla.
In effetti, consideriamo nello spazio tangente a C P , in un
punto qualunque z, una Gbase hermitiano-ortonormale el, ...
. ., ..
. . ., en. Allora i vettori el, . en, ie,, ., ie, formano una
R-base euclideo-ortonormale. Mostriamo che il valore della for-
ma dQ, su qualsiasi terna di vettori di questa R-base, B uguale
a zero. (Supponiamo che n > 1; per n = 1 non c'B niente da
dimostrare.)
Notiamo che, in una terna qualunque di vettori della R-base
mostrata sopra, ne esiste almeno uno hermitiano-ortogonale
agli altri due. In'dichiamo con e questo vettore. Si costruisce
facilmente una trasformazione unitaria dello spazio Cn+l, che
induce in CPn un moto, che lascia fisso il punto considerato z
e il complemento hermitiano-ortogonale di e, mentre cambia il
verso del vettore k
I1 valore della forma d 8 sui nostri tre vettori e, f , g B uguale
nl suo valore sulla terna -e, f, g, a causa dell'invarianza della
forma dS2, e dunque B uguale a zero. I1 teorema B di.mostrato.
0 s s e r v a z i o n e. Vi B un altro mod0 per costruire la
ntessa struttura simplettica sullo spazio proiettivo complesso.
Consideriamo la piccole oscillazioni di un pendolo matematico,
il cui spazio delle configurazioni 6 di dimensione n + 1. Utilii-
ziamo l'integrale dell'energia per abbassare di 1 il numero di
gradi di liberth del sistema. Lo spazio delle fasi ottenuto dopo
questa operazione B CPn, mentre la struttura simplettica definita
in esso coincide, a meno di un fattore, con la forma 8 indicata
?ropra.
Un ulteriore mod0 di costruire una struttura simplettica
su CP" consiste nel rappresentare questo spazio come una delle
orbite della rappresentazione coaggiunta di un gruppo di Lie;
su ogni orbita esiste sempre una struttura simplettica standard
(vedere 1'Appendice 2, punto A). Come gruppo di Lie, si pub
prendere il gruppo degli operatori unitari (che conservano la
metrica hermitiana) nello spazio complesso di dimensione n + 1.
In questo caso le orbite della rappresentazione coaggiunta sono
le stesse di quella aggiunta. Nella rappresentazione aggiunta,
I'operatore di riflessione in un iperpiano (che cambia il segno
della prima coordinata e lascia invariate le altre) ha come orbi-
ta CPn, perch6 I'operatore di riflessione B definito univocamenp
dalla retta complessa ortogonale all'iperpiano.
C. Strutture simplettiche di varieth algebriche proiettive.
Otteniamo ora una struttura simplettica su qualunque sottovarietii
complessa M dello spazio proiettivo complesso. Pia precisa-
mente, sia j: M -+ CPn I'immersione della varietii complessa M
nello spazio proiettivo complesso. Le strutture riemanniana, hermi-
tiana e simplett.ica dello spazio proiettivo inducono su M delle
strutture corrispondenti. Per esempio, una struttura simplettica
su M B definita dalla formula

Teorema. La forma differenziale 51, definisce una struttrtra


simplettica sulla varieta M.
D I m o s t r a z i o n e. I1 fatto che la 2-forma 52, sia non
degenere deriva dal fatto che M B una sottovarieth complessa.
In effetti, la forma quadratica

B definita'positiva su TM, (essa B indotta da una metrica rieman-


niana su CPn). Percib, la forma bilineare (E, q) = S2, (E, iq)
B non degenere. Dunque B non degenere anche la forma Q,. Che
la forma 52, sia chiusa deriva dal fatto che B ch.iusa la forma S2.
11 teorema I. dimostrato.
0 s s e r v a z i o n e. Come nello spazio proiettivo com-
plesso, cosi anche sullesue sottovarieti complesse abbiamo defini-
t o una struttura hermitiana negli spazi tangenti, la cui parte im-
maginaria B una struttura simplettica.
Una varieth complessa, in cui sia definita una metrica her-
mitiana, la cui parte immaginaria B una forma chiusa (ciod una
struttura simplettica) si chiama varietb MhZertczna e la sua metrica
hermitiana, metrica krZhZeriana. Numerosi importanti risultati
sono stati ottenuti nella geometria delle varieth kahleriane, in
particolare esse possiedono notevoli proprieti topologiche (vede-
re, per esempio, A. Weil Introduzione alla teoria delle varieth
kxihleriane, IL, 1961, in russo, Hermann, Parigi, 1958, in francese).
Tutte le varieti simplettiche note ammettono una struttura
kahleriana. Tuttavia, non B chiaro quali delle proprieti topolo-
giche delle varieti kahleriane dipendano soltanto dalla struttura
simplettica.
P r o b 1 e m a 1. Calcolare la struttura sirnplettica SZ nella
carta affine w = zl- : z,. della retta proiettiva CP1.
Risposta. SZ = n ( i + ~ 2 + # 2 ! 2 ' d o v e w = s + i y .
Nella definizione della forma 51 11coefficiente B preso in mod0 da
ottenere I'usuale orientazione: della retta complessa (& /\ dy) e
che l'integrale della forma Q sull'intera retta proiettiva sia
uguale a 1.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrare che la struttura simplettica SZ
nella carta affine wk = zkz,ol (k = 1, . . ., nj dello spazio proiet-
.
tivo CPn = {(zo :zl: . . :zn)) B definita dalla formula

Q=-
z
OSk<lCn
(wk 8.1-wl d w k ) ~ ( & k& l - ~ l d l ~ k )
23%
(wkG'Ia
k=O
0 s s e r v a z i o n e. Le forme differenziali sullo spazio
complesso a valori complessi (per esempio, dwk e d 6 ) sono defi-
nite come funzioni lineari complesse dei vettori tangenti; se
wk = xk + iyk, allora
+
dwk = dxk i dyk, d& = dxk - i dyk.
Lo spazio di queste forme su C" ha dimensione complessa 2n;
formano una C-base, per esempio, le 2n forme dwk, d& (k = 1, . ..
. . ., n) o le 2n forme h k , dyk.
I1 prodotto esterno si definisce nel solito mod0 e obbedisce
a1le regole ordinarie. Per esempio,
dw /\ d; = (dx +
i dy) /\ (dx - i dy) = - 2i dx /\ dy.
Sia f una funzione regolare reale su -CL (in generale, a valori
complessi). Un ese~llpioB 1 w la =xwkwk. I1 differenziale della
funzione f Q una 4-fonna complessa. Dunque lo si pud scornporn
nella base h k , Gk.I coefficienti d i questa scomposizione si
chiamano derivate parziali a rispetto a wk B e a rispetto a Ek B:

Nel calcolo delle derivate esterne Q comodo anche distinguere


la. derivazione d' rispetto alle variabili w, e d" rispetto alle varia-
bili in mod0 che d = d' + d".
Per esempio, per la funzione f

Per la 4-forma differenziale


o=zakdwk+bkdG
gli operatori d' e d" si definiscono in mod0 analogo:
+
d'o = d'akA dwk d'bk/\ d&,
+
dlt, = 2 dnakl\ dwk dabkA d;;.
P r o b 1 e m a 3. Dimostrare che la struttura'simplettica Q ,
nella 'carta affine wk = zhz;l dello spazio proiettivo CPn, B defi-
nita dalla formula
Appendice 4

Strutture di contatto

Non pu6 esistere una struttura simplettica su una varieth di


dimensione dispari. L'analogo della struttura simplettica, per le
varieth di dimensioni dispari, & una struttura un po'meno simme
trica, ma dotata ugualmente di proprieth notevoli: la struttura
di contatto.
L'origine delle strutture simplettiche, in meccanica, sono
gli spazi delle fasi (cio8 i fibrati cotangenti alle varieth delle
configurazioni), sui lquali esiste sempre una struttura simplettica
canonica. L'origine delle strutture di contatto sono, invece, le
varieti degli elementi di contatto degli spazi delle configurazioni.
Si chiama elemento di contatto a una varietj. regolare n-di-
mensionale in un suo punto qualunque, un piano di dimensione
n - 1, tangente alla varieth in questo punto (cioG u r ~sottospazio
lineare di dimensione n - 1 dello spazio di dimensione n,
tangente in questo punto).
L'insieme di tutti gli elementi di contatto di una varieth
n-dimensionale possiede una struttura naturale di varieti regolare
di dimensione 2 ~ 1- 1. Risulta che su questa r;irieth di dimensione
dispari esiste ancora una notevole struttura di contatto supple-
mentare (che noi descriveremo pic in basso).
La varieti degli elementi di contat.to di una varieth rieman-
niana n-dimensionale i! strettamente legata alla varieth di
dimensione 2n - 1 dei vettori unitari, tangenti a questa varieth
riemanniana, o alla varieth di dimensione 2n - 1 di live110
d'energia di un punto materiale, che si muove per inerzia su una
varieti riemanniana. Le strutture di contatto, in queste varieti
di dimensione 2n - 1, sono strettamente legate alla struttura
simplettica nello spazio delle fasi 2n-dimensionale del punto
(cio8 alla struttura nel fibrato cotangente alla varieth riemannia-
na n-dimensionale di partenza).
A. Definizione della struttura di contatto.
D e f i n i z i o n e. Una slrultura di contatto su una varieti
i! un campo regolare di iperpiani tangenti ', che verifica una
condizione di non degenerazione, che s a r i formulata in segui to.
I'er formulare tale condizione, vediamo come si pud costruire in
~eneraleun campo d'iperpiani nell'intorno di un punto di una
varieti di dimensione N.
E s e m p i o. Sia N = 2. Allora la varieti B una superfi-
cie, mentre il campo di iperpiani B un campo di rette. Ncll'intorno
di un punto tale campo I! fatto sempre nello stesso semplice modo,
cioii come un campo di tangenti a una famiglia di rette parallele
sul piano. Piii precisamente, uno dei risultati fondamentali della
teoria locale delle equazioni differenziali ordinarie & la possibi-
l i t i di trasformare qualunque campo regolare di rette, tangenti su
una varieti, in un campo di tangenti a una famiglia di rette paral-
lele dello spazio euclideo, per mezzo di un diffeomorfismo in un
intorno sufficientemente piccolo di ogni punto della varieti.
Se N > 2, allora l'iperpiano non 1? piii una retta e la questione
tliventa notevolmente pi^ complessa. Per esempio, un campo di
piani tangenti bidimensionali, nell'ordinario spazio tridimensio-
nale, lion pub essere sempre applicato da un diffeomorfismo su
un campo di piani paralleli. I1 fatto E che esistono campi di
piani tangenti, per i quali non si pub tracciare una cc superficie
integrale )), cioi. una superficie, che possieda il piano tangente
richiesto in ogni suo punto.
La condizione di non degenerazione del campo degli iperpia-
ni, che entra nella definizione della struttura di contatto, signi-
fica un allontanamento massimo del campo degli iperpiani, ri-
spetto al campo di tangenti alla famiglia d'ipersuperfici. Per
misurare questo nllontanamento e per convincerci dell'esistenza
di campi senza ipersuperfici integrali, dobbiamo fare alcune co-
struzioni e alcuni calcoli 2.
B. Condizione d'integrabilitb di Frobenius. Consideriamo un
punto qnalunque su una varieth di dimensione N e cerchiamo di
costruire una superficie, chc passi per queeto punto e sia tangente
i n ogni punto a un campo dato di piani di dimeneione N - I
(superficic integrale).
A tal fine, introduciamo nell'i~itorno del punto considerato
un sistema di coordinate, in lnodo clle in questo purlto una super-
Ficic coordinata sia tangcntc a U I L piano clcl campo. Chiamcremo
q~icstopiilllo, pin110 orizzolit.ale c assc vcrticale, l'asse delle
coordini~lcnon co~ltcnutoin csso.
1 Si clliania iperpiano di uno spazio linean! un sottospazio; la cui di-
inensione B .cli lin'unitti inferiorc a quella dello spazio (cio6 l'insieme d i
l i ~ e l l or~ullod'una funzio~ielincare no11 identicaniente nulla).
Un iyerpiano tangcnte 6 un ipcrpiano tli uno spazio tangente.
2 D'ora in oi trascurian~oil yrefisso u ipcr R. Se si vuole, si potri pen-
saw di esscre nelfosPazio triclimcnsionale e che Ie ipersuperfici son. le super-
fici ordinarie. 11 capo rnultidiniensionalc B analog0 a quello tritlimensionale.
Costruzione della superficie integrale. La superficie integrale,
se esiste, B il grafico di una furlzione di N - 1 variabili nell'intor-
no dell'origine delle coordinate. Per costruirla possiamo conside-
rare sul piano orizzontale un qualunque cammino regolare. Allo-
ra le verticali, tracciate dai punti del cammino, formano una
superficie bidimensionale (un cilindro), e il nostro campo di
piani ritaglia su essa un campo di rette tangenti. La superficie
integrale (se esiste) interseca il cilindro lungo una curva integrale
del campo di rette, uscente dall'origine delle coordinate. Tale
curva integrale esiste sempre, indipendentemente dal fatto c l ~ e
esista o meno una superficie integrale. Dunque, possiamo costrrr-
ire una superficie integrale sopra il piano orizzontale, rn\iovendoci
su una curva regolare di quest'ultimo.
Inoltre, affinch6 da tutte le curve integrali si ottenga una
superficie integrale regolare, 6 necessario che il risultato della
nostra costruzione sia indipendente dal cammino e definito solo
dal suo punto terminale.
In particolare, se si fa un giro complete d i un cammino
chiuso, nell'intorno dell'origine delle coordinate sul piano oriz-
zontale la cul-va integrale sul cilindro deve chiudersi.
E facile costruire esempi di campi di piani, per cui no11 ha
luogo questa chiusura e, dunque, non esiste una superficic inte-
grale. Campi simili sono detti non integrabili.
Esempio di campo di piani non integrabile. Per definire un
campo di piani e misurare il suo scarto rispetto alla chiusura,
introduciamo le seguenti notazioni.
Notiamo, prima di tutto, che un campo di iperpiani pub essere
definito localmente da una 1-forma differenziale. In effetti, un
piano nello spazio tangente definisce una 1-forma, a meno di una
costante moltiplicativa diversa da zero. Scegliamo questa costan-
te, in mod0 che il valore della forma sia uguale a 1 sui vettori
di base tangenti verticali.
Questa condizione pub essere soddisfatta in 'un intorno dell'o-
rigine delle coordinate, dato che il piano del campo nello zero
non contiene la direzione verticale. Questa condizione definisce
univocamente la forma (second0 il campo di piani).
Un campo di piani nell'ordinario spazio tridimensionale,
che non possieda superfici integrali, puo essere definito, per esem-
pio, dalla 1-forma
0 =x dy + dz,
dove x e y sono'le coordinate orizzontali, mentre z 15 quella verti-
cale. Si dimostra, pia in basso, che questo campo di piani non
6 integrabile.
Costruzione di una 2-forma, che misura la non integrabilitit.
Per mezzo della forma, che definisce il campo, si pub misurare il
grado di non integrabiliti. Ci6 si fa con la seguentu conln~sione
(fig. 236).
Consideriamo una coppia d i vettori, uscenti dall'orlyiae
delle coordinate e che giacciono nel piano orizzontale del ~roalro
sistema di coordinate. Costruiamo un parallelogramma su di esai.

Ab
Otteniamo due cammini, che vanno dall'origine delle coordinate
nel vertice opposto. Su ognuno di questi
due cammini si pu6 costruire una curva
integrale (a due segmenti), come 6 descritto
sopra. Si ottengono cosi, in generale; sopra
il vertice del parallelogramma opposto al-
l'origine, due diversi punti. La differenza
delle altezze di questi punti una funzione
della nostra coppia di vettori. Questa fun-
zione B antisfmmelrica e nulla, se B nullo
uno dei vettori. Dunque, la parte lineare Fig. 236. Curve inte-
della serie di Taylor di questa funzione Q ~ l ~ ~
uguale a zero in 0, mentre la sua parte pabile di piani.
quadratica Q una forma bilineare antisim-
metrica sul piano orizzontale.
Se il campo Q integrabile, si ottiene una 2-forma uguale a zero.
Percib, questa 2-forma pub essere considerata come una misura
della non integrabilith del campo.
Utilizzando il nostro sistema di coordinate, possiamo identi-
ficare il piano coordinato orizzontale con il piano del campo, pas-
sante per l'origine delle coordinate. Dunque, dalla nostra costru-
zione si ottiene una 2-forma su un piano stesso del campo.
La 2-forma b definita in modo intrinseco. La 2-forma indicata
sopra 13 stata costruita per mezzo di coordinate. Tuttavia, il valo-
re di questa 2-forma su una coppia di vettori tangenti non dipende
dal sistema di coordinate, ma solo dalla I-forma, con .cui si
6 definito il campo.
Per assicurarsene, basta dimostrare il
Teorema. La 2-forma def inita sopra sullo spazio deglt zeri
della I-forma o coincide con la derivata esterna di quest'ultima,
do = ,I.,
D i m o s t r a z i o n e. Mostriamo che la differenza delle
altezze dei punti, ottenuti muovendosi sui lati del parallelo-
gramma, coincide con l'integrale della I-forma o esteso ai quattro
lati, a meno.di un ir~finitesimodel terzo ordine rispetto ai lati.
A questo fine, notiamo che l'altezza di una curva integrale su
qualsiasi cammino di lunghezza E, che esce dall'origine delle
coordinate, E dell'ordine di eZ,poicl16 nell'origine delle coordinate
il piano del campo B orizzontale. Dunque, gli integrali della
2-forma d o estesi alle quattro aree verticali sopra i lati del paral-
lelogramma, delimitate dalle curve integrali e dal piano orizzon-
tale, sono dell'ordine di e3, se i lati sono dell'ordine di e.
Gli integrali della forma o estesi alle curve integrali sono
uguali a zero. Allora, per la formula di Stokes, l'incremento del-
l'altezza lungo una curva integrale, situata sopra uno qualunque
dei lati del parallelogramma, 6 uguale all'integrale della I-forma o
lungo questo lato, a meno di un infinitesimo del terzo ordine.
Ora, il teorema da dimostrare discende immediatamente
dalla definizione di derivata esterna.
Rimane ancora un'arbitrarieti nella scelta della I-forma o ,
con la quale Q stata costruita la nostra Zforma. Piii esattamente,
la.forma o I! definita dal campo di piani a meno della moltiplica-
zione per una funzione f che non si annulla mai. In altri termini,
saremmo potuti partire dalla forma f a . Allora, saremmo arrivati
alla 2-forma

che differisce sul nostro piano dalla 2-forma d o per il prodotto


per un numero f (0)diverso da zero.
Dunque, la 2-forma costruita su un piano del campo h definita
intrinsecamente, a meno di una costante moltiplicativa diversa
da zero.
Condizione d'integrabilitb di un campo di piani.
Teorema. Se un campo d'iperpiani 2 integrabile, allora la
2-forma costruita sopra si annulla nel piano del campo. Inversa-
mente, se la 2-forma indicata si annulla in ogni piano del campo, il
campo h integrabile.
La condizione ~iecessariadel teorema segue in mod0 diretto
dalla stessa costruzione della 2-forma. La dimostrazione della
condizione sufficiente si puo fare esattamente con gli stessi
ragionamenti, con i quali abbiamo provato la commutativiti
dei flussi di fase, le cui parentesi di Poisson dei campi delle velo-
c i t l sono uguali a zero. Si pub semplicemer~teriferirsi a questa
commutativiti, applicandola alle curve i~ltegraligenerate sopra
gli assi coordinati ncl piano orizzontale.
Teorcma. La condizioize d'integrabilitii di un cantpo di piani
d o = 0 per 0) = 0
2 equivalente alla seguente coitdizioile di Froherziris:
o /\ d o ==0.
L) i m o s t r a z i o II e. Co~lsiderinrnoil valorc dellit :%for-
ma indicata su tre vettori di base distinti, scelti arbitrariamente.
I:no solo di essi pub essere vcrticale. Du~tqoe,di tutti i tcrmini,
clie etltrano nella definizior~edel valore del protlolto ester110 su
Ire veLt6ri, no11 pub essere cliverso da zero se non quello, che (
1

uguale a1 prodotto del valore dells forma o sill vcttore verticale


per il vnlore della forma. d o sulla coppia dei vcttori orizzontali.
Se il campo definito dalla forma integrabile, allora il secondo
termine del prodotto L; nullo e, dunque, la nostra 3-forma B uguale
a zero su tutte le terne di vettori.
Inversamente, se la 3-forma Q uguale a zero su dei vettori
qualunque, allora m4a i! nulla su qualunque terna di vettori di
base, uno dei quali B verticale e i rimanenti due orizzontali. I1
valore su tale terna della 3-forma E uguale a1 prodotto del valore
di o sul vettore verticale per il valore di d o sulla coppia di vetto-
ri orizzontali. I1 primo termine del prodotto non B nullo, quindi
& nullo il secondo, cioB la forma d o 15 uguale a zero sul piano del
campo, c.v.d.
C. Campi d'iperpiani non degeneri.
.
D e f i n i z i o n e Un campo d'iperpiani si dice non dege-
nere in un punto, se il rango della 2-forma in d o I,=(, definita
sul piano del campo, passante per questo punto, P uguale alla
dimensione del piano.
Cib implica che per ogni vettore del piano non nullo, si deve
poter trovare un altro vettore del piano, tale che il valore della
2-forma su questa coppia di vettori-sia diversa da zero.
D e f i n i z i o n e. Un campo di piani si dice non degenere
su una varieti, se B non degenere in ogni punto di questa varieti.
Notiamo che su una varieth di dimensione pari non pub esi-
stere un campo d'iperpiani non degenere. In effetti, su una tale
varieti un iperpiano B di dimensione dispari, e il rango di ogni
fornia bilinear0 antisimmetrica, definita su .uno spazio di dimen-
sione dispari, B minore della dimensione dello spazio (vedere
il 5 44).
Invece, su varieti di dimensione. dispari, esistono campi di
piani non degeneri.
E s e m p i o. Consideriamo uno spazio euclideo di dimen-
sione 2m + 1, con coordinate x, y , z (dove x e y sono vettori di
spazi di dimensione m, mentre z B un numero). La I-forma

definisce un campo d'iperpiani. I1 piano del campo, che passa per


l'origine delle coordinate, ha equazione dz = 0. Come coordinate
in questo iperpiano si possono prendere x e y. Dunque, la nostra
2-forma, definita sul piano del campo, si scrived
do lo=o = dx d y = dx, /\ dy,+. . .+dz, A dy,.
I1 rango d i questa forma B uguale a 2m,quindi il nostro cam-
po B non degenere nell'origine delle coordinate e percib anche nel
suo intorno (in effetti, questo campo di piani B non degenere
in tutti i punti dello spazio).
Siamo infine in grado d i dare la definizione di struttura di
contatto su una varieti: una struttura di contatto su una vorietd
i? un campo non degenere di iperpiani tangenti.
D. Varietil degli elementi d i contatto. I1 termine w struttura die
contatto 9 si spiega col fatto che tale struttura esiste sempre sulla
varieti degli elementi d i cont.atto d i una varieti regolare.
Consideriamo una varieti regolare n-dimensionale.
D e f i n i z i o n e . Un iperpiano (di dimensione n - I),
tangente alla variet.i in uno qualunque dei suoi punti, 6 detto
elemento di contatto e questo punto, punto di contatto.
L'insieme d i tutti gli elementi di contatto d i una varietii
n-dimensionale possiede esso stesso una struttura di varietl rego-
lare, d i dimensione 2n - 1.
Infatti, l'insieme d i tutti gli elementi d i contatto, che hanrio
un punto d i cont.atto fisso, B l'insieme d i tutti i sottospazi d i
dimensione n - 1 d i uno spazio lineare d i dimensione n, cio6 lo
spazio proiettivo d i dimensione n- I. Per definire un elemento
di contatto, bisogna percil, dare le n coordinate del punto d i con-
tatto e le n - 1 coordinate, che individuano un punto dello spa-
zio proiettivo di dimensione n- 1, in totale 2n - 1 coordinate.
La varieti d i tutti gli elementi di contatto di una varietii
n-dimensionale B lo spazio del fibrato, che ha per base la nostra
varieti n-dimensionale e per fibra, lo spazio proiettivo d i dimen-
sione n - I.
Teorema. I 1 fibrato degli elemenli di contatto 2 In proiettiviz-
zazione del fibrato cotangente: lo si pub ottenere dal fibrato cotangen-
te, sostituendo ognl spazio lineare cotangente di dimensione n con lo
spazio proiettivo di dimensione n - 1 (un punto del quale 2 m a
retta passante per l'origine delle coordinate nello spazio cotangente).
In effetti, un elemento di contat.to & definito da una I-forma
sullo spazio cotangente, per cui questo elemento i, l'insieme degli
zeri di livello. Questa forma no11 6 identicamente nulla ed 6 defi-
nita a meno di una costante inoltiplicativa diversa da zero.
Ma una forma su uno spazio tangente i, un vettore dello spa-
zio cotangente. Dunque una forma non nulla, defiriita a meno di
una costante rnoltiplicativa diversa da zero s u uno spazio tangen-
te, <! un vettore non nu110 dello spazio cotangente, definito a rneno
di una costnnte moltiplicativa diversa. da zero, cio6 un punto della
proiettivizzaziorie dello spazio cotangcnte.
Struttura di contatto su tuza varietb di elenzenti di contalto.
In ogni spazio cotange~itea una varielh di elementi di con-
tatto esiste un iperpiano notevole. Esso si chiama iperpiano di
contatlo e viene definito nel mod0 seguente.
Fissiamo un punto d i una varieti di elementi d i contatto, d i
dimensione 2n - 1, su una varieti tli dimensione n. Considere-
remo questo punto, se vogliamo, un piano cli dimensione n - 1,
tangcnte' alla varieti n-dimensionale d i partenza.
D e f i n i z i o n e. Un vettore, tangente a una varieti d i
elementi d i contatto in un punto fissato, appartiene a un iperpiano
di contatto, se la sua proiezione sulla varietj. d i dimerisio~ien 6
contenuta proprio in quel piano di dimensione n - I , che B il
punto fissato della varieth di elementi di contatto.
In altri termini, lo spostamento di un elemento di contatto
2 tangente all'iperpiano di contatto, se la velocitd del punto di
tangenza appartiene a questo elemento di contatto; questo elemento
pub girare come si vuole.
E s e m p i o. Prendiamo una qualurique sottovarieth della
~iostravarieti n-dimensionale e consideriamo tutti i piani di di-
mensione n - 1 tangenti ad essa (cio8 gli elementi di contatto).
Tutti questi elementi di contatto formano una sottovarieth rego-
lare della varieth di dimensione 2n - 1 di tutti gli elementi di
contatto. La dimensione di questa sottovarieth B uguale a n - 1,
qualunque sia la dimensione della sottovarietd iniziale (che pub
essere di dimensione n - 1, o minore, o essere una curva o addirit-
tura un punto).
La sottovarieti di dimensione n - 1, otteiiuta dalla variet;
di dimensione 2n - 1 di tutti gli elementi di contatto, 6 tangente
in ogni suo punto a1 campo degli iperpiani di contatto (per defi-
nizione dell'iperpiano di contatto). Dunque, il campo degli iper-
piani di contatto, che hanno dimensione 2n - 2 , ammette delle
varietd integrali di dimensione n - 1.
P r o b 1 e m a. Esistono, per ogni campo di piani, varieth
integrali di dimensione maggiore?
Risposta. No.
P r o b 1 e m a. Si pub definire un campo di iperpiani di con-
tatto con una I-forma differenziale sulla varieth di tutti gli
elementi di contatto?
Risposta. No, persino so la varieti di partenza n-dimensionale
i! uno spazio euclideo (per esempio, il piano ordir~ariobidimen-
sionale).
Pi6 in basso mostreremo che il campo degli iperpiani di
contatto sulla varietd di dimensione 2n - 1 di tutti gli elementi di
contatto di una varietd di dimensione n , 2 non degenere.
La dimostrazione si basa sulla struttura sirnplettica del fibra-
lo cotangente.
I1 fatto B che la varieti degli elementi di contntto E legata da
una semplice costruzione a110 spazio dcl fibrato cotange~~te
(la proiettivizzazione del quale E la varieth degli elementi di con-
tatto). .Inoltre, la non degenerazione del campo dei piani di con-
tatto del fibrato proiettivizzato & strettamei~telegata alla no11
degenerazione della 2-forma, che definisce la struttura simplettica
del fibrato cotangente.
La costruzione, di cui si parla, s a r i fatta pic sotto.in un caso
un po' piii generale. P i i ~esattamente, data una varieti di dimen-
sione dispari munita di ulia struttura di contatto, si pub costruise
la sua (( simplettizzata , ciot' una varieti simplettica, la cui di-
mensione B di un'unith superiore. La relazionereciproca, clie inter-
corm tra queste due varieth (quella di contatto di dimensione
dispari e quella simplettica di dimensione pari) & la stessa che
esiste tra la varieth degli elementi di contatto e la sua struttira
di contatto ovvero tra il fibrato cotangente e la sua struttura
simplettica.
E. Simplettizzazione di una varieth di contatto. Consideriamo
una varieth di condatto arbitraria, cioa una varieti di dinlensione
dispari N , con un campo non degenere d'iperpiani tangenti (di
dimensione pari N - 1). Definiremo questi piani piani di contatto.
Ogni piano di contatto E tangente alla varieta di contatto in
un punto. Chiameremo questo punto punto di contatto.
D e f i n i z i o n e. Chiameremo forma di contatto ogni for-
ma lineare, definita sullo spazio tangente in un punto della varie-
t i di contatto, tale che l'insieme dei suoi zeri sia un piano di
contatto.
Bisogna sottolineare che una forma di contatto non 6 una
forma differenziale, ma una forma lineare algebjica definita su
uno spazio tangente.
D e f i n i z i o n e. Si chiama simpkttizzazione di una varie-
t i di contatto l'insieme di tutte leforme di contatto definite sulla
varieti di contatto, munito della struttura di varieth simplettica,
indicata piii in basso.
Osserviamo, prima di tutto, che l'insieme di tutte le forme
di contatto su una varietc? di contatto possiede una struttura natura-
le di varietc? regolare, di dimensione pari N+ 1. Piii esattamente,
possiamo considerare l'insieme di tutte le forme di contatto
come lo spazio del fibrato sopra la varieth di contatto iniziale.
La proiezione sulla base B un'applicazione,. che associa un punto
di contatto a ogni forma di contatto.
Una fibra di questo fibrato 6 l'insieme di tutte le forme di
contatto, che hanno un punto di contatto in comune. Tutte queste
forme si ottengono l'una dall'altra, previa moltiplicazione per
un numero diverso da zero (dato che esse definisco~loun identico
piano di contatto). Dunque, la fibra del rlostro fibrato 2 unidi-
mensionale: una retta senza un punto.
Osserviamo anche che sulla varieti di tutte le forme di con-
tatto opera il gruppo moltiplicativo dei numeri reali diversi da
zero. pi^ precisamente, il prodotto di una forma di contatto per
un numero diverso da zero b ancora una forma di contatto. 11
gruppo opera sul nostro fibrato, lasciando ogni fibra a1 suo posto
(il punto di contatto non varia, moltiplicando la forma per un
numero).
0 s s e r v a z i o 11 e. Finora non abbiamo utilizzato la
non degenerazione del campo di piani. La non degenerazione
13 necessaria soltanto affinch6 la varieti, ottenuta per simplettizza-
zione, sia simplettica.
E s e m p i o. Consideriamo la varieth (di dimensione 212 - 1)
di tutti gli elementi di contatto di una varieti regolare n-dimen-
sionale. Sulla varieti degli elementi esiste un campo d'iperpiani
(che noi abbiamo definito sopra e chiamato di contatto). Dunque,
si pub simplettizzare la varieti degli elementi di contatto.
Dalla simplettizzazionc si ottiene una varieth di dimensione
2n. Questa varieti B lo spazio del fibrato cotangente dclla
varieth iniziale n-dimensionale senza vettori nulli. L'azione

qFjOf
del gruppo moltiplicativo dei numeri reali su una fibra si riporta
alla moltiplicazione per un numero
dei vettori dello spazio cotangente.
Sul fibrato cotangente esiste
una ngtevole l-forma: la l-forma
cc p dq n. Un'analoga, l-forrna esiste
anche su oglii varieth, ottenuta da
una varietii di contatto per simplet-
tizzazione.
l-forma canonica sullo spazio
simplettizzato.
D e f i n i z i o n e. Si cliiama
Ilforma canonica sullo s ~ a z i osim-
pl'ettizzato di una varieta di con-
tatto la 1-forma differenziale a, il Fig.una237. Simplettizzazione di
varieta di contatto.
cui valore su onni vettore E . tan-
gente in un j u n t o p allo-bpazio
simplettizzato (fig. 237), B uguale a1 valore, sulla proiezione
del vettore E nel piano tangente alla varieti di contatto, di
quella l-forma definita su questo piano tangente, che corri-
sponde a1 punto p:

dove n b la proiezione dello spazio simplettizzato sulla varieti


di contatto.
Teorema. La derivata esterna della l-forma canonica, definita
sullo spazio simplettizzato della varieth di contatto, 2 una 2-forma
non degenere.
Corollario. Lo spazio simplettizzato di una varietii di conta'tto
possiede una struttura simplettica, che 2 definita canonicamente
(cioh univocamente e senza alcun arbitrio) dalla struttu.ra di contatto
della varieth iniziale di dimensione dispari.
D i m o s t r a z i o n e. Poich6 l'asserzione del teorema ha
carattere locale, basta dimostrarla in un piccolo intorno di un
punto della varieti. In un piccolo intorno di un punto della
varieth di contatto si pub definire un campo di piani di contatto
con una forma differenziale o sulla varieth di contatto. Fissiamo
una tale l-forma o.
In questo modo, abbiamo rappresentato la parte dello spa-
zio simplettizzato, che si trova sopra l'intorno considerato della
varieti di contatto, sotto forma di un prodotto cartesiano -di
questo intorno per una retta senza un punto.
Piii precisamente, associamo alla coppia (x, A), dove x 13 un
punto della varieti di contatto e 5 un numero diverso da zero,
l a forma di contatto, che I3 definita dalla l-forma differenziale
h o nello spazio tangente nel punto x.
Dunque, nella regione considerata della simplettizzata
I3 definita una funzione A, a valori non nulli. Si deve sottolineare
che A I3 solo una coordinata locale sulla varietl simplettizzata
.e che essa non B definita canonicamente: essa dipende dalla scelta
della l-forma differenziale o.
Nelle notazioni fatte, la l-forma canonica a si scrive
a =h * o
e non dipende dalla scelta di o.
Quindi, la derivata 'esterna della l-forma a si scrive

Dimostriamo che la Zforma da B non degenere, cioQ che,


dato un vettore qualunque E tangente alla simplettizzata,
esiste un vettore q, tale che d a ( f , q) # 0.
Distinguiamo, tra i vettori tangenti alla simplettizzata,
quelli dei tipi sogoenti. Chiameremo il vettore f verticale, se
Q tangente alla fibra, cioQ se n,g = 0. Chiameremo il vettore f
orizzontale, se Q tangente a una superficie di live110 della funzio-
ne 5, cioQse dh ( f ) = 0.Chiameremo il vettore f vettore di contatto,
se la sua proiezione sulla varietl di contatto B sit.uata su un piano
tli contatto, cioB se o (n,f) = 0 (in altri termini, se a ( f ) = 0).
Calcoliamo il valore della forma d a sulla coppia di vettori E, q:'

Suppoiliamo che il vettore E non sia di contatto. Preridiamo


come vettore 11, un vettore verticale non nullo, in mod0 che
n,q = 0. Allora, il secondo termine Q nullo, mentre il primo
6 uguale a
- (q) (net)
e diverso da zero, poich6 11 Q un 'vettore verticale ilon nullo e E
I ~ O I I Q di contatto. Dunque, se g non Q un vettore di contatto,
abbiamo trovato un q tale clle d a (E, q) # 0.
Supponiamo che sia un vettore di contatto, non verticale.
Allora prendiamo come vettore q un qualunque vettore di contatto.
Ora Q il primo tormine che si annulla, mentre il secondo (e quindi
l'intera somma) si riduce a A d o (nJ, n,q). Poicl16 il vottore E
non B verticale, il vettore n,f, situato in 1111 piano di contatto,
B diverso da zero. Ma la 2-forma d o in un y iano di contatto Q no11
degenere (per definizione della struttura di contatto). CioB,
a i s t e un vettore d i contatto q , tale che do'(n,E, n,q) # 0.
Poich6 h # 0, abbiamo trovato un veitore q, per il quale
da (E, rl) # 0.
Infine, se il vettore E 8 verticale, non nullo, .come vettore q
si pub prendere un qualunque vettore, che non sia di contatto.
11 teorema B dimostrato.
0 s s e r v a z i o n e. La costruzione della I-forma a e della
2-forma da vale per qualunque varieti, che abbia un campo di
iperpiani e non dipenda dalla condizione di non degenerazione.
Tuttavia, la-2-forma da definira una struttura simplettica soltanto
nel caso di un campo di piani non degenere.
D i m o s t r a z i o n e. Supponiamo che il campo sia dege-
nere, cio8 che esista un vettore non nullo E' in un piano del campo,
tale c h e d o (E', ql)= 0 per tutti i vettori q' di questo piano. Per
un tale t',! la quantiti d o (E1,.q') come funzione di q' 6 una forma
lineare, identicamente nulla snl piano in questione. Percib, esiste
un numero p indipendente da q' tale che

per t u t t i i vettori 9' dello spazio tangente.


Prendiamo ora come vettore E un vettore tangente alla varie-
t i simplettizzata, tale che n,E = E'. Tale vettore 8 definito a me-
no dell'addizione di un vettore verticale; mostriamo che, per una
scelta conveniente di questo termine additivo, risulteri

da ( t , q ) = 0 per tutti gli q.


Infatti, il primo termine della fo~.mula per d a 6 uguale a
dh (E) o (n,q) (poich6 o (n,E) =O). I1 secondo ternline B uguale
a hdo (n&, n,q) = h p o (n,q). Prendiamo la componente vertica-
lo del vettore E in mod0 tale che dh (E) = - hp. Allora il vetto-
re E s a r i antiortogonale a tutti i vettori q.
S e dunque d a 8 una struttura simplettica, allora il campo
inizinle d'iperpiani Q una struttura di contatto e l'asserzione fatta
sopra B dimostrata.
Corollario. I 1 campo d'iperpiani di contatto definisce una strut-
tura di contatto sulla varietit degli elementi di contatto di una qualun-
que varietB regolare.
D i m o s t r a z i o n e. La simplettizzazione della varieti
di dimensione 2n-1 di tutti gli elementi di contatto su una varie-
th regolare di dimensione n, costruita secondo il campo di piani
di contatto di dimensione 2n - 2, 8, per costruzione, lo spazio
del fibrato cotangente della varieti n-dimensionale iniziale
senza i vettori cotangenti nulli. La I-forma canonica a sulla sim-
plettizzata 8, per definizione, quella stessa I-forma sul fibrato
cotangente, che abbiamo chiamato I( p dq H e che B alla base
della meccanica hamiltoniana (vedere il 5 37). La sua derivata
d a 6 dunque la forma a dp /\ dq n, che definisce una struttura
simplettica ordinaria sullo spazio delle fasi. Perci6, la forma d a
B non degenere. E, per l'osservazione precedente, il campo d'iper-
piani di contatto B non degenere. I1 corollario B dimostrato.
F. Diffeomorfismi di contatto e campi vettoriali.
D e f i n i z i o n e. Un diffeomorfismo di una varietl di
contatto su se stesaa si dice di contatto, se conserva la struttura di
contatto, cioB se trasforma ogni piano del campo d'iperpiani,
che definisce la struttura, in un piano dello stesso campo.
, E s e m p i o. Consideriamo l a varietl di dimensione 2n - 1
degli elementi di contatto di una varieth regolare n-dimensionale,
munita della sua struttura di contatto ordinaria. Ad ogni elemento
di contatto si pui, assegnare un u lato positivo n, scegliendo una
delle due meth, in cui questo elemento divide lo spazio tangente
alla varietl n-dimensionale.
Un elemento di contatto, per cui sia stato scelto un lato,
si chiameri elemento di contatto orientato (trasversalmente).
Tutti gli elementi di contatto orientati della nostra varietH
di dimensione n formano una varieth regolare di dimensione
2n - 1, munita di una struttura di contatto naturale (un frico-
primento doppio dellavarieti degli elementi di contatto ordinari,
non orientati).
Supponiamo ora che sulla varieti n-dimensionale iniziale
sia data una metrica riemanniana. Allora sulla varietl degli ele-
menti di contatto orientati si origina un flusso geodetico '.
La trasformazione di questo flusso a1 tempo t si definisce come
segue. Tracciamo, a partire dal punto di contatto di un elemento
di contatto, una geodetica ortogonale all'elemento e diretta nel
lato, che orienta l'elemento. Durante un intervallo di tempo t
muoveremo il punto di contatto lungo la geodetica, mantenendo
l'elemento ortogonale alla geodetica. All'istante di tempo t otter-
remo un nuovo elemento orientato. Abbiamo cosi definito il
fluso geodetico degli elementi di contatto orientati.
Teorema. I 1 fluso geodetico degli elementi di contatto orientati
2 costituito di diffeomorfismi di contatto.
Non faremo la dimostrazione di questo teorema, poich6 esso
non B altro che la formulazione in termini nuovi del principio di
Huygens (vedere il $ 46).
D e f i n i z i o n e . Un campo vettoriale, definito su una
varieti di contatto, B chiamato di contatto, se B il campo delle
velocith di un gruppo (locale) a un parametro di diffeomorfismi
di contatto.
Teorema. La parentesi di Poisson dei campi cettoriali di contat-
to 2 un campo vettoriale di contatto. I campi cettoriali di contatto

Per essere rigorosi, bisognerebbe esigere che la varietl riemanniana


sia completa, cio6 che lc geodetiche siano indefinitamente prolungabili.
formam una sottoalgebra dell'algebra di Lie di tutti i campi vetto-
riali regolari su urn varieta di contatto.
Le dimostrazioni seguono immediatamente dalle definizioni.
G. Simplettizzazione dei diffeomorfismi e dei campi di con-
tatto. I n corrispondenza a ciascun diffeomorfismo di contatto di
una varieth di contatto,. s i costruisce in mod0 canonico un diffeo-
morfismo simplettico della simplettizzata di questa varieth.
Questo diffeomorfismo simplettico commuta con l'azione del
gruppo moltiplicativo dei numeri reali sulla varietii simplettiz-
zata e si definisce con la costruzione seguente.
Ricordiamo che un punto della varieti simplettizzata B una
forma di contatto sulla varieth di contatto iniziale.
D e f i n i z i o n e. Si chiama immgine di una forma di con-
tatto p con punto di contatto x, per il diffeomorfismo di contatto
f di una varieth di contatto su se stessa, la forma

f !P = (f?cx,)-l P*
In termini semplici, trasportiamo la forma p dallo spazio
tangente nel punto x, nello spazio tangente nel punto f (x), per
mezzo del diffeomorfismo f (la cui derivata in x stabilisce un dif-
feomorfismo tra questi due spazi tangenti).
La forma f!p B di contatto, poich6 il diffeomorfismo f B di
contatto.
Teorema. L'applicazione f!, def inita sopra, &lla simplettiz-
zata di una varietii di contatto su se stessa b un diffeomor./ismo
simplettico, che commuta con l'azione &l gruppo moltiplicativo dei
numeri reali e conserva la I-form canonica sulla simplettizzata.
D i m o s t r a z i o n e. L'affermazione del teorema deriva
dal fatto che la I-forma canonica, la 2-forma simplettica e I'azione
del gruppo dei numeri reali sono definite.dalla stessa struttura
di contatto (per costruirle non abbiamo utilizzato coordinate
o altri oggetti non invarianti),' e che il diffeomorfismo f conserva
la struttura di contatto. Dal che si ricava che f! manda in se
stesso tutto cib, che B stato costruito in mod0 intrinseco rispetto
alla strutt~iradi contatto e, in particolare, la 4-forma a , la sua
derivata da e l'azione del gnlppo, c.v.d.
Teorema. Ogni diffeomorfisno simplettico della simplellizzata
di una varietd di contatto, che commuta con l'azione del gruppo
rnoltiplicativo dei numeri reali, 1) si proietta sulla varieth di con-
tatto iniziale sotto forma di un diffeomorfismo di contatto; 2) conser-
va la I-forma carzonica a.
D i m o s t r a z i o n e. Ogni diffeomorfismo, che commuta
con l'azione del gruppo moltiplicativo, si proietta in un diffeo-
aorfismo della varieth di contatto. Per dimostrare che quello
che si ottiene B nn diffeomorfismo di contatto, & sufficiunte dimo-
strare la seconda affer~naaionedel teorema (poich6 SIL un piano
di contatto si proiettano solo quei vettori E, tali che a (f) = 0).
Per dimostrare l a seconda affermazione, esprimiamo (I'inte
grale della forma a, su un cammino qualunque y, in funzione della
struttura simplettica da:
j a - l i m 1 j da.
Y a (C)

dove la 2-catena o (E)6 ottenuta moltiplicando y per t u t t i i nume-


r i possibili dell'intervallo Ie, 11. La frontiera della 2-catena o
6 formata, oltre che da y, da due segmenti verticali e dal cammino
ey. Gli integrali della forma a sui segmenti verticali sono uguali
a zero, mentre l'integrale su ey tende a zero con e.
Ora, dall'invarianza della 2-forma da e dalla commutazione
del diffeomorfiemo F con la moltiplicazione per dei numeri, s i
ricava che, per. qualunque cammino y,
\a=!.,
i-v Y

ciob il diffeomorfismo F conserva la I-forma a, c.v.d.


D e f i n i z i o n e. La simplettizzazionedi uncampo vettoria-
le di contatto si definisce con la eeguente costruzione. Consideria-
mo il campo come un campo delle velocitl di un gruppo a un para-
metro di diffeomorfismi di contatto. Simplettizziamo i diffeomor-
fismi. Otteniamo un gruppo a un parametro di diffeomorfismi
simplettifi. Consideriamo il campo delle velocitl di questo
gruppo. h proprio esso che si chiama la simplettizzata del
campo di contatto iniziale.
Teorema. La simplettizzata d i un campo vettoriale di contatto
2 un campo vettoriale hamiltoniano. L'hamiltoniam si pub sceglierc
omogenea di primo g r a b rispetto all'azione det gruppo moltiplica-
tivo dei numeri reali:
H (Xz) = 3JI (2).
Inversamente, ogni campo hamiltoniano definito su una varietit
di contatto simplettizzata, che possiede un'hamiltoniana omogenea
di primo grado, si proietta sulla varieth di contatto iniziale sotto
f o r m di un campo vettoriale di contatto.
D i m o s t r a z i o n e. I1 campo di contatto simplettizzato
b hamiltoniano, dato che sono simplettici i simplettizzati dei
diffeomorfismi di contatto. L'omogeneitl degli incrementi del-
l'hamiltoniana deriva da quella dei diffeomorfismi simplettiz-
zati (dalla commutazione con la moltiplicazione per 1). Dunque,
la prima affermazione del teorema deriva dal teorema della
simplettizzazione dei diffeomorfismi di contatto.
La seconda parte deriva, in mod0 analogo, dal teorema eui
diffeomorfismi simplettici omogenei, e dunque il teorema b dimo-
strato.
Corollario.. La simplett jzzaziorze &i campi vettoriali b un'appli-
cazione isomorfa clell'algebra di Lie &i campi vettoriali di contatto
sull'algebra di Lie di tutti i campi vettoriali localmente hamiltonia-
ni, che possiedono hamiltoniane omogenee di grado uno.
La dimostrazione Q evidente.
H. Teorenla di Darboux per le Istrutture di contatto. I1 teore-
ma di Darboux b il teorema dell'uniciti locale della struttura di
contatto. Lo si pa;) enunciare' in uno qualunque dei tre modi che
seguono.
Teorema. l'utte le ~*ariet& di contatto di uguale dimensione sono
localmente diffeomorjd, e il diffeomorfismo che le f a corrispondere
k d i contatto (cioii, esiste un diffeomorfismo di un intorno sufficien-
temente piccolo tli un punto qualunque di una varieti di con-
tatto su un intorno di un yunto qualunque di un'altra, che niarida
il punto considerato del primo intorno riel punto del oecondo
intorno e il campo di piani del primo intorno nel campo di piani
del second0 intorno).
Teorema. Ogni varieth di contatto di dimensione 2m - 1 2 lo-
calmente diffeomorfa alla varieth degli elementi di contatto di uno
spazio m-dimensionale e il diffeomorfismo che le fa corrispondere
t di contatto.
Teorema. Ogni I-forma differenziale, che definisce un campo non
degenere d'iperpiani su una varietb di dimensione 2n + 1, si scrive
in un sistema di coordinate locali nella a forma normale 9
o =Z dy + dz,
dove x = (xl, . . ., x,), y = (y,, . . ., y,) e z sono coordinate
loca 1i.
chiaro che i primi due teoremi si ricavano dal terzo, che
possiamo dedurre dall'analogo teorema di Darboux sulla forma
normale delle 2-forme, che definiscono delle strutture simplettiche
(vedere il 5 43).
Dimostrazione del teorema di Dar-
b o u x. Simplettizziamo la nostravarieti. Sulla varieti simplettica
di dimensione 2 n + 2 ottenuta sono definite la I-forma canonica a ,
la 2-forma non degenere d a , la proiezione n sulla varieti di con-
tatto iniziale e la direzione verticale in ogni punto.
La 1-forma differenziale o , data sulla varieti di contatto,
definisce in ogni punto una forma di contatto. Tutte queste forme.
di contatto costituiscono una sottovarieti di dimensione 2n 1 +
della varieti simplettica. La proiezione Q un'applicazione diffeo-
morfa di questa sottovarieti sulla varieti di contatto iniziale,
mentre le verticali tagliano la sottovarieti sotto un angolo non
nullo.
Consideriamo il punto della superficie costruita nella varieti
simplettica, situato sopra il punto della varieti di contatto
che ci interessa. Nella varietP simplettica si pub scegliere,
nell'intorno di questo punto, un sistema locale di coordinate,
tale che

e che la superficie coordinata p o = 0 coincida con la nostra varie-


th di dimensione 2n +1 (vedere il $43, dove, per la dimostrazio-
ne del teorema simplettico di Darboux, la prima coordinata Q scel-
t a arbitrariamente).
Osserviamo adesso che la 1-forma podqo + . .+
. pndq,, ha
da come derivata. Dunque, localmente

dove w Q una funzione, che si pub porre uguale a zero nell'origine


delle coordinate. In particolare, sulla superficie p o = 0, l a for-
m a a si scrive

L'applicazione proiettiva n permette di trasportare le coordi-


nate p,, . . ., p,; q,; q,, . . ., qn e la funzione w sulla varieth di
contatto. pi^ esattamente, definiamo le funzioni x, y, z con le
formule

dove A Q un punto della superficie p o = 0.


Otteniamo allora

e rimane solo da verificare che lo funzioni ( x ~ ., . ., x,; y,, . . .,yn;


z ) formano un sistema di coordinate. Per questo basta dimostrare
che non.6 nulla la derivata parziale della funzione w rispetto a go.
In altrl termini, basta verificare che la 1-forma a non sia nulla
sul versore dell'asse delle coordinate q,. I1 clie Q equivalent0 a di-
mostrare che Q diverso da zero il valore della 2-forma da su una
coppia di vettori, di cui uno sull'asse delle coordinate q0 e l'altro
vert icale.
hfa il versore dell'asse b0 13 antiortogonale a tutti i vettori del
piano coordinato po = 0. Se in aggiunta fosse antiortogonale anche
a1 vettore verticale, esso sarebbe antiortogonale a tutti i vettori,
il clie Q assurdo data la non degenerazione di da. Dunque, 8ur/8qo#
# 0 e il teorema Q dimostrato.
I. Hamiltoniane di contatto. Supponian~oche la struttura di
c.ontatto di una varieth di contatto 3ia definita da una I-forma
differenziale o e che questa forma sia fissata.
D e f i n i z i o n e. Si chiama o-im.mersione di una varietii
di contatto nella corrispondente varietii simplettizzata una appli-
cazione, che a ogni punto della varietii di contatto associa la
~.e.;trizionedella forma o a1 piano tangente in questo punto.
D e f i n i z i o n e. S i chiama funzione di Hamilton di contatto
di un campo vettoriale di contatto su una varieth di contatto,
munita di uua I-forma o fissata, una funzione K definita sulla
varietii di contatto, il cui valore in ogni punto 13 uguale a quello
dell'hamiltoniana omogenea H del campo simplettizzato
nell'immagine del punto sotto l'o-immersione:

Teorema. L'llamiltoniana di contatto K di un campo vettoria-


le X di contatto &/init0 su una varieth di contatto, munita delict
I-forma o prescelta, 2 uguale a1 valore della f o r m o su questo
campo di contatto:
K = o (X).
D i m o s t r a z i o n e. Utilizzeremo l'espressione dell'in-
cremento di un'hamiltoniana ordinaria lungo un cammino in
funzione del camvo vettoriale e dell9 struttura di contatto
( § 48, C ) .
Per questo, trocciamo dal punto B nella simplettizzata, in
cui vogliamo calcolare la funzione di Hamilton, un segmento
verticale {hB), 0 < h < I . Gli spostamenti di questo segmento
durante un intervallo di tempo piccolo z, sotto l'azione della
simplettizzazione del flusso, definito dal nostro campo X , sono
ovunque densi in una banda bidimensionale a (z). I1 valore dell'ha-
miltoniana, nel punto B, B uguale a1 limite
H ( B ) = limT [ I d a .
r-0
a(r)
poichb H (LB) + 0 quando h + 0. Ma l'integrale della forma d a
esteso alla banda 6 uguale all'integrale della I-forma a esteso a1
bordo, generato dalla traiettoria del punto B (le altre parti della
frontiera danno integrali nulli). Dunque l'integrale doppio B ugua-
le semplicemente all'integrale della I-forma a esteso a una porzio-
ne di traiettoria e il limite a1 valore della I-forma a sul vettore
velocitii Y del campo simplet.tizzato. Per concludere, K (nB) =
= H (B) = a (Y) = o (X),c.v.d.
L. Formule di calcolo. Supponiamo ora di utilizzare le coor-
dinate del teorema di Darboux, in cui o ha la forma normale
o =xdy + dz, x = (xl,. . ., xn), y = (yl,. . .,y,,).
P r o b 1 e m a. Trovare le componenti di un campo di con-
tatto, la cui hamiltoniana di contatto & K = K (x, y, 2).
Risposta. Le equazioni del flusso di contatto si scrivono
S o 1 u z i o n e. Un punto della simplettizzata pub essere
definito da 2n + 2 riumeri xi, Yi, Z, h, dove (x, y, z) sono le coor-
dinate del punto della varieti d i contatto e h il numero, per il
quale si deve moltiplicare o per ottenere il punto in ql~estione
dello spazio simplettizzato.
In queste coordinate a = Ax dy f Adz. Dunque, nel sistema
d i cordinate I ) , q , dove

l a forma a prende la forma standard


a ( l a - d p /\ dq.
L'azione T , tiel gruppo moltiplicalivo (lei nurneri reali si ricon-
duce ora alla moltiplicazioric d i j ) pcr un numero:

L'liamiltoniana d i contatto K s i esprime in funzione dell'hamil-


toniana ordinaria H .= W ( p , q, p,, qo) con la formnla

La funzione H 8-omogcnea di prim0 grado in 1). Quindi le derivate


parziali d i K nel prrr~to(x, y. x ) sono legate alle derivate di H
nel punto ( p = x, p, = 1, q = y, (I,, =: z ) dalle relazioni

11, = K,, Ifqo:. K:.


If, = h',, ti,,.= K -x K s .

Le cquazioni d i IIamiltor~,tli hamiltoniana 11, prendono dunque


nel punto considerato la forrna

tla cui si ottienc! la r i ~ p o s t a'annl~nciatasopra.


P r o b 1 e m a. Trovare I'hamiltoniana cli contatto della
parcntesi di Poi~soridei campi d i contatto. le cui hamiltoniane
di contatto sono K e K t .
Hisposta. ( K . K t ) 4- K,EKt-h';EK, dove la parentesi
indica la parentesi di Poisson rispetto alle variabili x e y, E
I'operatore d i Eulero, E F = F - xF,.
S o 1 u z i o n e. R i ~ o g n a esprimere, nelle notazioni del
problema precedente,. I'ordinaria parentesi d i Poisson delle
hamiltoni,ane omogenee H , H' nel punto ( p = x, p, = 1, q = y,
q, = z), in funzione d'elle hamiltoniane di contatto K, Kt.
Abbiamo
(H, H f ) - - H , H I - H , H ; - H q H k - H , H i +Hq,Hh,-HfiH;;.
~ d n e n d oi valori delle derivate della soluzione do1 problema
precedente, troviamo nel punto considerato
(N, H') = K,K;- K,KI +K- (Kt - x K ~ ) -K;('/- xK,).
M. Varietil di Legendre. Alle sottovarieti lagrangiane di uno
apazio delle fasi simplettico corrisponde, nel caso delle varieta di
contatto, un'interessante classe di varieti, che possono essere
chiamate legendriane, poich6 sono strettamente legate alla tra-
sformazione di Legendre.
D e f i n i z i o n e. Si chia'ma sottovarietii legendriana di una
varieti di contatto di dimensione 2n +
1 una varieti integral0
di dimensione n di un campo di piani di contatto.
In altri termini, sono le varieti integrali di un campo non
degenere di piani, le quali possiedono la massima dimensione
possiblile.
E s e m p i o 1. L'insieme di tutti gli elementi di contatto
tangenti a una sottovarieti di dimensione qualunque di una varie-
t i m-dimensionale B una sottovarieti legendriana, di dimensione
m - 1, della varieti di contatto di dimensione 2m - 1 di tutti
gli elementi di contatto.
E s e m p i o 2. L'insieme di tutti i piani tangenti a1 grafico
di una funzione f = cp (x), definita su uno spazio euclideo di di-
mensione n + .
1, munito di coordinate (x,, . ., xn; f), 6 una
sottovarietA legendriana dello spazio, di dimensione 2n 1, di +
tutti gli iperpiani non verticali dello spazio del grafico (la strut-
tura di contatto 6 definita dalla 1-forma

il piano, munito di coordinate (p, x , f), pansa per il punto di coor-


dinate (x, f ) parallelamente a1 piano f = plxl . . pnxn).
La trasformazione di Legendre, in questa notazione, si acrive
+ .+
come eegue.
Consideriamo un secondo spazio di contatto 2n 1-dimen-+
sionale, munito di coordinate (P, X, F ) e di una struttura di
contatto, definita dalla forma
JZ += P dX - dF.
Si chiama involuzione di Legendre un'applicazione, che manda
il punto del primo spazio di coordinate (p, x, f ) nel punto del
secondo spazio di coordinate
L'involuzione di Legendre, come si verif ica facilmente, tra-
sforma la prima struttura di contatto nella seconda. E evidente il
Teorema. I 1 difjeomorfismo di una varietd di contatto su un'al-
Ira, che man& piani di contatto in piani di contatto, trasforrnerh
anche ogni varietd legendriana in urm varietd legendriana.
In particolare, l'involuzione di Legendre trasforma la sotto-
varieth dei piani tangenti a1 grafico di una funzione, in una nuova
varieti legendriana. Questa varieth si chiama trasformta di
Legendre di quella iniziab.
La proiezione della nuova varieti sullo spazio munito di
coordinate X, F (parallelamente alla P-direzione), in generale,
non B una varieth regolare, ma ha delle singolariti. Tale proiezio-
ne si chiama trasformata di Legendre del grafico della funzione 9.
Se la funzione a, 6 convessa, allora la stessa proiezione B il
grafico di una funzione F = U) (X). In questo caso la funzione 0
si chiama ttasformta di Legendre della funzione cp.
Come esemplo diverso, consideriamo il mot0 degli elementi
di contatto orientati, sotto l'azione del flusso geodetic0 su una
varieti riemanniana. Prendiamo, come .u fronte d'onda iniziale s,
.una qualunque sottovarietii regolare della nostra varieth rieman-
niana (la dimensione della sottovarieth pub essere qualunque).
Tutti gli elementi di contatto orientati, tangenti a questa sottova-
rieti, formano una variet: di Legendrenello spazio di tutti gli
elementi di contatto. Dal teorema precedente deduciamo il
Corollario. La famiglia di tutti gli ebmenti tangenti a1 fronte
d'onda si trasformu, sotto l'azione del f l w o geodktico nel tempo t,
nuovamente in una varietd legendriana dello spazio di tutti gli
elementi di contatto.
Bisogna osservare che questa nuova varieti legendriana pub
non essere la famiglia di tutti gli elementi, tangenti a una varieti
regolare qualunque, poichd il fronte d'onda pub presentare delle
singolarith.
Le singolaritd legendriane che si originano possono essere
descritte in mod0 analog0 a quelle lagrangiane (vedere 1'Appendi-
ce 12). Un fibrato legendriano, in una ,varieti' di contatto di
dimensione 2n + 1, 6 un fibrato, tutte le fibre del quale sono delle
varieti di Legendre n-dimensionali. Le singolaritd legendriane
sono le singolariti dell'applicazione proiettiva delle sottovariets
legendriane n-dimensionali di una varieti di contatto di dimen-
sione 2n + 1 sulla base di dimensione n + 1 di .un fibrato legen-
driano.
Consideriamo. lo spazio R2"+' munito di una struttura di
contatto, definita dalla forma a= x dy + dz, dove x = (x,, . . .
. . ., xn)r y = (yl, . . ., y,). La proiezione (x,.y, z) w (y, z) defini-
sce un fibrato legendriano.
Si chiama equivalenza di fibrati legendriani un diffeomorfismo
degli spazi fibrati, che manda la struttura di contatto e le fibre
del primo fibrato nella struttura di contatto e nelle fibre del
secondo. Si dimostra c l ~ eogni fibrato legendriano b equivalente
a quello appena descritto, nell'intorno di tutti i punti dello spazio
fibrato.
La struttura di contatto di uno spazio fibrato definisce sulle
fibre una struttura locale di spazio proiettivo. Le equivalenze
di Legendre conservano questa struttura, cioB definiscono tra-
sformazioni localmel~teproiettive di fibre.
I1 teorema che segue permette di descrivere localn~entele
sottovarieth e le applicazior~ilegenclriane per mezzo di funzioni
generatrici.
+
Teorema. Per ogni partizione I J dell'insieme degli indici
(1, . . ., n) in due sottoinsiemi disgiunti.e per ogni funzione S (x,, yJ)
di n variabili xi, i 6 I e yr, j 6 J , le formule

definiscono una sottovarietd legendriana in El2"+'. Inversamente,


ogni sottovarietd legendriana di R2"+l b definita, nell'intorno di
ciascuno dei suoi punti, dalle formule indicate almeno per una delle
2" scelte possibili del sottoinsieme I.
La dimostrazione si basa sul fatto che su una varietl legen-
driana dz $ x dy =0, quindi d (z $- x,y,) = y, dz, - ~ j d y j .
Poniamo a1 posto di S , nelle formule del teorema precedente,
le funzioni della lista delle singolaritl lagrangiane elementari

plicazione di Legendre (x, y, z) -


introdotta nelllAppendice 12. Si ottengono delle singolaritl
legendriane, che si conservano per piccole deformazioni dell'ap
(y, z) (cio8 che si trasformano
in singolaritl equivalenti, per una piccola deformazione della
funzione S). Per n < 6. ogni applicazione di Legendre si tra-
sforma, per un piccolo spostamento, in una applicazione tale
che tutte le sue singolaritl sono localmente equivalenti alle
singolaritl della lista A k (1 < <
k 6), Dh (4 G k <6), Eb.
In particolare otteniamo una lista di singolaritl dei fronti
d'onda generici negli spazi di dimensione inferiore a 7.
Nello spazio ordinario tridimensionale questa lista B
A,: S = f sf, '1,: S = f x:; A,: S=*X;$X;Y~.

dove I = (11, J = (21, n = 2.


Le proiezioni delle varieti di Legendre qui indicate, sulla
base del fibrato legendriano (cio6 sullo spazio descritto dalle coor-
dinate y,, y,, z) poesiedono rispettivamente un punto semplice
nel caso A,, uno spigolo a cuspide nel caso A, e una coda di ron-
dine (vedere la fig. 246) nel caso A,.
Dunque, nello spazio tridimensionale il fronte d'ontla generi-
co possiede solo degli spigoli a cuspide e punti del tip0 a u coda
di rondine 9. Durante il mot0 del fronte, si asservano in determi-
nati momenti biforcazioni di tre tipi: A,, D;, D: (vedere 1'Appen-
dice 12, dove sono disegnate. le caustiche corrispondenti, descritte
dalle singolariti del fronte durante il suo moto).
P r o b 1 e m a 1. Tracciamo un segment0 di lunghezza t su
ogni normale interna a un'ellisse sul piano. Disegnare l a curva
ottenuta e studiare le sue singolariti e le loro biforcazioni quando t
varia.
P r o b 1 e m a 2. Fa& lo stesso per un ellissoide triassiale
nello spazio ordinario.
N. Contattizzazione. Accanto alla simplettizzazione delle
varieti di contatto esiste lacontattizzazione delle varieth simplet-
tiche, che possiedono una struttura simplettica omologa a zero.
La contattizzata E2n+1 di una varieti dmplettica (M2n, 0 2 ) si
costruisce come uno spazio fibrato di fibra R sopra M2".
Sia U un intorno sufficientemente piccolo del punto x di M,
in cui B definito un sistema di coordinate canoniche p , q, in mod0
che o = d p /\ dq. Consideriamo il prodotto diretto U x R
munito di coordinate p , q, z .
Sia V X R un prodotto simile, costruito per un altro (o per
lo stesso) intorno V, munito di coordinate P,Q, 2; o = d P /\ dQ.
Se gli intorni U e V su IIf si intersecano, allora identifichiamo le
fibre sopra i punti d'intersezione nei due prodotti, in mod0 cho la
forma dz + p dq = dZ + P dQ = a sia definita in grande (cib
6 possibile, dato che P dQ - p dq 13 un differenziale totale su
n
u v).
Si verifica, senza difficolti, che .per unificazione si ottiene il
fibrato E2"+' sopra Wne che la forma a definisce su E una strut-
tura di contatto. La varieti E si chiama contattizzata della varieti
simplettica M. Se la classe di omologie della forma 02 E intera,
si pul, definire una contattizzata con fibra S1.
0. Integrazione delle equazioni alle derivate parziali del
primo ordine. Sia Mm+' una variet.i di contatto, Em un'ipersuper-
ficie in Wn+'.La struttura di contatto di M definisce su E hna
struttura geometrica, in particolare un camp0 di cosiddette dire-
zioni caratteristiche. L'analisi di questa struttura geometrica
permet te di ridurre] l'integrazione delle equazioni non lineari
generali alle derivate parziali del primo ordine, all'integrazione
di un sistema di equazioni differenziali ordinarie.
Supponiamo che la varieth E2" sia trasversale a i piani di
contatto in tutti i suoi punti. Allora, l'intersezione del piano tan-
gente a EBn in ogni punto con il piano di contatto ha dimensione
2n - 1, cosicch6 su EBn si origina un campo d'iperpiani. Inoltre,
la struttura di contatto di M2"+' definisce su Eln un campo di
rette, situate nei piani di dimensione 2n - 1 menzionati.
In effetti, sia a una I-forma su W n + l , che definisce local-
mente una struttura di contatto, sia o = da e sia R2" il piano di
contatto ne1,punto x di Ean..Sia infine 0 = 0 un'equazione locale
di E2"fin mod0 che d o non 6 nullo in x).
La restrizione di d 0 a Ran definisce una forma lineare non
l aRm. La 2-forma o definisce in Ran una struttura di spazio
~ ~ u l in
lineare simplettico e quindi un isomorfismo tra questo spazio
o il suo duale. Alla 1-forma non nulla d 0 I Ran corrisponde percici
un vettore di Ran non nullo, in mod0 che dm ( .) = o (E), .).
I1 vettore E si chiama vettore caratteristico della varieti Eannel pun-
ta x. I1 vettore caratteristico 5 B contenuto nell'intersezione di
H2" c01 piano tangente a Em, in mod0 che dm (E) = 0.
I1 vettore E non B definito in mod0 univoco dalla varieti P
o dalla struttura di contatto su M , ma solo a meno della moltipli-
cazione per un numero diverso da 0. In effetti, cosi come la 2-for-
ma o su Rm, anche la I-forma d m su Ran B definita a meno della
moltiplicazione per un numero diverso da zero.
Le direzioili dei vettori caratteristici (cioB le rettc che li
contengono) sono definite in mod0 univoco dalla struttima d i
contatto in ogni punto della variet3 E.
Dunque, sull'ipersuperficie E nella varietii di contatto M
B definito un campo di direzioni caratteristiche.
Le curve integrali di questo campo di direzjoni vengono chia-
mate caratteristiche.
' Sia ora data una sottovarieti di dimensione n - 1, cha
indicheremo con I , della nostra ipersuperficie Ean, che i! integral0
per il campo di contatto (cosicch6 il piano ta'ngente a I in ciascun
punto appartienc a1 piano di contatto).
Teorema. Se in utt punto x di I una caratteristica su E2"non $
langente n I , allora nell'intorno di questo punto le caratteristiche su
E2", pasanti per i punti di I , formano una sottovarietii legenclriana
Ln in ~l/f"+'.
D i m o s t r a z i o n e. Sia f il campo vettoriale su Ean,
generato dai vettori caratteristici. Per la formula d'omotopia
(vedere la pag. 195), su Ean abbiamo LEa = diea + itda.
Ma iEa= 0, poich6 il vettore caratteristico appartiene a1
piano di contatto. Dunque, su Ea" abbiamo LEa = ito. Ma la
I-forma iEoi' uguale a zero sull'intersezione del piano taiigentc
n Ean con il piano di contatto (dato che sul piano di contatto
iEo= dm, mentre su quello tangente d m = 0). Percih, sul piano
tangente a E2" risulta it o = ca. Conseguentemente, sull'iyersu-
perf icie E
Lta = ca
(?eve c b una funzione regolare nell'intorno del punto x).
Sig ora { g t ) il flusso (locale) del campo ed q un vettore
tangelite a Ean. Poniamo q ( t ) = gt*? e y ( t ) = a (q ( t ) ) . Allora
la funzione y soddisfa l'eyuazione differenziale lineare
dyldt = c ( t ) y ( t ) .
Se q (0)P tangente a I , allora y (0) = a (q (0)) = 0. CioP,
y (t) = a (q (t)) .= 0, cioi! q (t) giace nel piano d i contatto pcrr
t u t t i gli 1. Percib, g'I t\ una varietl integrale del campo di contatto.
Conseguentemente, la varietii generat.a da tutti i {gtI), per 1
piccoli, & legendriana. I1 teorema C dimostrato.
E s e m p i o. Consideriamo lo spazio R2,+', munito tli coor-
dinate x,, . . ., x,; p,, . . ., p,; u e d i una struttura d i contatto,
definita dalla l-forma a = du - p dx. La funzione cf, (x, p , u)
definisce un'equazione differenziale (x, au/ax, U) = 0 e lu
sottovarietl E = a-' (0) nello spazio R2,+' (chiamato spazio dl
l-getti d i funzioni in Rn).
Si chiama condizione iniziale dell'equazione = 0 la defi-
nizione dei valori f della funzione u su un'ipersuperlicie r di
dimensione n - 1 nello spazio n-dimensionale di coordinate
XI, - - - , X n -
La condizione iniziale definisce le derivatc d i ri rispetto
a n - 1 direzioni indipendenti in ogni punto d i r. La tlerivata
rispetto a una direzione trasversale a l?si pu6, in generale, ricavare
dall'equazione; se inoltre sono realizzate le ipotesi del tcorema
delle funzioni implicite, allora la condizione inieiale si dice
n6n caratteristica.
Una condizionc iniziale non caratteristica definisce una sotto-
varietjl integrale I di dimerlsione n. - 1, di forma a (cllc i, il
grafico dell'applicazione u = f (x), p -- p (x), x E r). Le caratte-
ristiche su E, che intersccano I, formano una sottovarietl legen-
driana in Rln+', che i n il grafico dell'applicazionc! u .--: u. (x),
p = au/ax. La furlzione u (x) ottenuta 13 soluzione dell'equazione
a (x, b'ulax, u) = 0, con la condizione iniziale u lr = f .
Osserviamo che, per trovare la funzione u, si deve soltnnto
risolvere un sistema d i 2n equazioni differenziali ordinarie del
primo ordine per le caratteristiche su E ed effettuare una aerie di
operazioni (( algebriche )).
Appendice 5
Sistemi dinamici dotati di simmetria

Per il teorema di E. Noether i gruppi a un parametro di sim-


metrie di un sistema dinamico definiscono gli integrali primi.
Se il sistema ammette un gruppo pifi largo di simmetrie, allora si
introducono alcuni integrali.
Le varieth di livello comuni di questi integrali primi sono
delle varieth invarianti del flusso di fase nello spazio delle fasi.
Un sottogruppo di un gruppo di simmetrie, che lascia fissa questa
sottovarieth invariante, opera su essa. In molti casi, si pu6 studiare
la varieth quoziente della varieth invariante rispetto a questo
sottogruppo. Tale varieth quozielite si chiama spazio delle fasi
ridotto. Lo spazio delle fasi ridotto possiede una strutturn sim-
plettica naturale. I1 sistemia dinamico hamiltoniano iniziale defi-
nisce nuovamente su esso un sistema hamiltoniamo.
La partizione dello spazio delle fasi in varieth di livello co-
muni degli integrali primi possiede, in generale, delle singolaritl.
Un esernpio 6 la partizione del piano delle fasi in linee di livello
dell 'energia.
In questa appendice si discutono brevemente i sistemi dinami-
ci negli spazi delle fasi rid0tt.i e il loro legame con le varietb
invarianti dello spazio delle fasi di partenza. Tutte queste questio-
ni sono state studiate giir da Jambi e Poincarh (u esclusione,del
nodo n 11ei problemi di molti corpi, u abbassamento dell'ordine n
nei sistemi a simmetria, u rotazioni permanenti n del corpo rigido,
ccc.), Un'esposizione p i l dettagliata nella terminologia attuale
si trova negli articoli: S. Smale Topologia e meccanica, u Uspekhi
matematiceskich nauk n 27, n. 2, 1972, 78-133 (in russo) (o in
inglese in (( Inventiones Mathematicae n 10 : 4, 1970, 305-331,
I 1 : 1, 1970, 45-64) e J . Marsden, A. Weinstein Riduzione di
varieth simplettiche con simmetria.
A. Azioni poissoniane di gruppi di Lie. Consideriamo una
varieth simplettica (1112", a 2 ) e sia G un gruppo di Lie, che opera
su questa varieth come u11 gruppo di diffeomorfismi simplettici.
Ogni sottogruppo a un parametro del gruppo G opera allora come
un flusso di fase localmente hamiltoniano su Af. In molti cast
importanti questi flussi possiedono delle hamiltoniane univoche.
E s e m p i o. Sia V una varietii regolare, G un qualunquo
gruppo di Lie dei suoi diffeomorfismi. Ogni diffeomorfismo mandn
una 1-forma su V in una 1-forma. Percib il gruppo G opera sul
fibrato cotangente M = T * V .
Ricordiamo che sul fibrato cotangente esiste sempre una l-for-
ma canonica a ((( la forma p dq n), e uila struttura simpletticn
naturale o = da. I1 gruppo G opera simpletticamente su M,
poich6 conserva la 1-forma a e quindi la 2-forma da.
Un sottogruppo a un parametro {g') del gruppo G definisco
su h1 un flusso di fase. Si verifica facilmente che questo flusso di
fase possiede un'hamiltoniana univoca. Pi6 precisamente, la
funzione di Hamilton H b data dalla formula del teorema di
Noether
dove Z E M.

Supponiamo ora che sia definita l'azione simplettica di un


gruppo di Lie G su una varietii simplettica connessa M, tale che
ad ogni elemento a dell'algebra di Lie del gruppo G corrisponda
un gruppo a un parametro di diffeomorfismi simplettici di hamil-
toniana univoca Ha. Queste hamiltoniane sono definite a mono
dell'addizione di termini costanti, che possono essere scelti in
mod0 che la dipendenza di Ha da a sia lineare. Per questo 6 suf-
ficiente scegliere a piacere le costanti nelle funzioni di Hamilton
per dei vettori di base qualunque dell'algebra di Lie del gruppo G e
quindi definire la funzione di Hamilton per ogni elemento dell'al-
gebra come una combinazione lineare di vettori di base.
Cosi in coirispondenza all'azione simplettica del gruppo di
Lie G, che ha delle hamiltoniane univocllc su ICf, si pub costruire
un'applicazione lineare dell'algebra di Lie del g u p p o G nell'alge-
bra di Lie delle funzioni di Hamilton su M. A1 commutatore di
due elementi dell'algebra di Lie E associata una funzione H[,,b1
uguale alla parentesi di Poisson (H,, Hb) o che differisce da essa
solo per l'aggiunta di una costante:

0 s s e r v a z i o n e. La presenza della costante C in quest,a


formula a conseguenza di un fatto intercssante: l'esistenxa di una
classe bidimensionale di coomologie dell'algebra di Lie dei campi
(globa1ment.e) liamiltoniani.
La quantitii C (a, b) una funzione bilineare antisimmetrica
sull'algebra di Lie. Dall'identiti di Jacobi segue che
C (la; bl, c) + C (Ib, cl, a) + C ([c, a], b) = 0.
Una funzione bilineare antisimmetrica sull'algebra di Lie, che
gode di questa proprieth, si chiama cociclo bidimensionale dell'al-
gebra di Lie.
Se si scelgono diversamente le costanti nelle funzioni di
Hamilton, allora il cociclo C i. sostituito da C', dove
C' (a, b) = C (a, b) + p ( [ a , bl)
o dove p Q una funzione lineare sull'algebra di Lie.
Un tale cociclo si dice coomologo a1 cociclo C.
La classe dei cocicli coomologhi Q detta classe delle coomologie
dell'algebra di ,Lie.
Dunque, l'azione simplettica del gruppo G, per cui esistono
delle hamiltoniane univoche, definisce una classe bidimensionale di
coomologie dell'algebra di Lie del gruppo G. Questa classe di coomq-
logie misura lo scarto da quell'azione, per la quale la funzione di
Hamilton del commutatore pub essere scelta uguale alla parentesi
tii Poisson delle funzioni di Hamilton.
D e f i n i z i o n e. L'azione di un gruppo connesso di Lie su
una varieth simplettica si dice poissoniana, se le funzioni di
Hamilton dei gruppi a un parametro sono utiivoche e scelte in
rnodo che I'hamiltoniana dipenda linearmente da un elemento
dell'algebra di Lie e che l'hamiltoniana del commutatore sia
uguale alla parcntesi di Poisson delle hamiltoniane:

In altri termini, l'azione poissonialla di un gruppo defiliisce un


omomorfismo dell'algebra di Lie d i questo gruppo mll'algebra di
Lie delle funzioni di Hamilton.
E s e m p i o. Sia V una varieth regolare e G un gruppo di
Lie, che opera su V come un gruppo di diffeomorfismi. Sia A f =
--= T*V il fibrato cotangente della varieth V munito dell'ordinaria
struttura simplet.tica o = da. Definiamo le hamiltoniane dcl
qruppi a un parametro cosi come Q indicnto sopra:

Teorema. L'azione costruita t yoissoniana.


D i m o s t r a z i o n e. Per definizione della l-forma a le
funzioni di Hamilton Ha sono lineari e omogenee negli a impulsi n
(cioQ su ogni spazio cotangente). Quindi, anche le loro parentesi
tli Poisson sono lineari e omogenee, e la funzione
H [ a , b]-(Ha' Hb)

i blineare e bmogenea negli impulsi. Esscndo costante, essa ugua-


ib

It' a zero, c.v.d.


Si verifica in mod0 analog0 che la simplettizzata di ogni azio-
rle di contatto un'azione poissoniana.
E s e m p i o. Sia V lo spazio euclideo tridimensionale, C i l
gruppo di dimensione 6 dei suoi moti. Formano una base del.
l'algebra di Lie i sei gruppi a un parametro: le tras1azi~:li con
velocith 1 lungo gli assi delle coordinate ql, q,,qs e le rotazioni
con velocith angolare 1 intorno a questi assi. Le corrispondentl
hamiltoniane, second0 la formula (I), sono uguali (nelle notazio.
ni usual9 a pi, P,, psi Mi, M,, Ms, dove MI = q ~ -s qsp, ecc.
I1 teorema dimostrato significa che le parentesi di Poisson dl que-
ste sei funzioni sono, a due a due, uguali alle hamiltoniane dei
commutatori dei gruppi a un parametro corrispondenti.
L'azione poissoniana del gruppo G sulla varieth simpletti-
ca M definisce un'applicazione della varieth M nello spazio duale
dell'algebra di Lie del gruppo
P: M -t g*.
Piii esattamente, fissiamo un punto x di M e consideriamo
sull'algebra di Lie una funzione, che associa a.ogni elemento a
dell'algebra di Lie il valore dell'hamiltoniana Ha nel punto
fissato z:

Questa funzione lineare p, sull'algebra di Lie Q proprio quell'ele-


mento dello spazio duale all'algebra, che B associato a1 pun-
to s:

Chiameremo l'applicazione P momento, seguendo la proposta


di Souriau. Osserviamo che il valore del 'momento I! sempre un
vettore dello spazio lineare g*.
E s e m p i o. Sia V una varieth regolare, G un gruppo di
Lie, che opera su V come un gruppo di diffeomorfismi, M = T*V
il fihrato cotangente, Ha la funzione di Hamilton dell'azione
poissoniana di G su M costruita prima (vedere la (1)).
Allora l'applicazione cc momento )) P: M -t g* pub essere
descritta nel mod0 seguente. Consideriamo l'applicazione @ : G -t
-t M definita dall'azione d i tutti gli elementi del gruppo G su
un punto fissato x di M (cosicch6 @ (g) = gx). La l-forma canoni-
ca a su M induce su G la l-forma @*a. La sua restrizione a110
spazio tangente a G nell'unith B una forma lineare sull'algebra
di Lie.
Dunque, a ogni punto x di M facciamo corrispondere una
forma lineare sull'algebra di Lie. Si verifica facilmente che l'ap-
plicazione ottenuta B il momento dell'azione poissoniana consi-
derata.
In particolare, se V B lo spazio euclideo tridimensionale e G
il gruppo delle sue rotazioni intorno a1 punto 0,allora i valori
del momento sono gli ordinari vettori del momento cinetico;
se G Q il gruppo delle rotazioni intorno a un asse, allora i valo-
ri del momento sono i momenti cinetici rispetto a . questo asse;
se G B il gruppo degli spostamenti paralleli, allora i valori del
momento sono i vettori impulso.
Teorema. L'azione poissoniana di un gruppo di Lie connesso G
si trasforma, per il momento P, nell'azione coaggiunta del gruppo G
sullo spazio duab g* (vedere 1'Appendice 2) della sua algebra di
Lie 9, ciob 2 comrnutativo il diagramma

Corollario. Supponiamo che la funzione di Hamilton H : M -t


-+ R sia invariante rispetto all'azione poissoniana del gruppo Gsu M.
Allora il momento 2 un integrale primo di un sistema con hamilto-
niana H.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a . I1 teorema af-
ferma che la funzione di Hamilton H, del gruppo a un
parametro ht si trasforma, per il diffeomorfismo g, nella funzione
di Hamilton del gruppo a un parametro ghtg-l. Sia @ un
gruppo a un parametro con funzione di Hamilton Hb. E suffi-
ciente dimostrare che coincidono le derivate rispetto a s (per
s ='O) delle funzioni H a (gdx) e HAdgra (x). La prima derivata

@<!
B uguale a1 valore della parentesi d i Poisson delle funzioni (H,, Hb)
nel punto x. La seconda 6 HLa,b1(5).
Poich6 l'azione 8 poissoniana il teo-
rema B dimostrato.
Di,mostrazione del z r
c o r o 1 1 a r i o. La derivata di
ogni componente del momento ri-
spetto alla direzione del flusso di
fase, con hamiltoniana H , 8 ugua-
le a zero, essendo uguale alla deri-
vata della funzione H rispetto alla
6*KP
direzione del flusso di fase del cor- Fig. 238. Spazio delle fasi ri-
rispondente sottogruppo a un para- dotto.
metro del gruppo G, c..v.d.
B. Spagio delle fasi ridotto. Sia data un'azione poissoniana
del gruppo G su una varietl simplettica M. Consideriamo un
insieme di liyello del momento, cio8 la controimmagine per l'ap-
plicazione P di un punto qualunque p E g*. Noteremo questo
insieme con M,, cosicch6 (fig. 238)
M , = P-' (p).
In molti casi importanti l'insieme M,, 8 una varietl. Per
esempio lo 8, se p B un valore regolare del momento, cio8 se il
differenziale dell'applicazione P, in ogni punto dell'insieme M
.
'

applica uno spazio tangente a M in tutto lo spazio tangente a 9 P'


I1 gruppo di Lie G, che opera su M, in generale permuta gli
insiemi M,,. Tuttavia, il sottogruppo stazionario del punto p
della rappresentazione coaggiunta (cioB il sottogruppo formato da
quegli elemcnti g del gruppo G, per i quali Ad; p = p) lascia M
fisso. Indichiamo questo sottogruppo stazlonario eon G,. fi
gruppo G, & un gruppo di Lie, che opera sull'insieme di live110 del
momento M , .
Lo spazio delle fasi ridotto si ottiene da M, come spazio
quoziente rispetto all'azione del gruppo G,. Affinch6 questo spazio
abbia un senso definito, bisogna fare alcune ipotesi. Per esempio,
basta supporre che
I ) p L\ un valore regolare, cosicch6 M, 6 una varieti.
2) 11 sottogruppo stazionario G, B compatto.
3) Gli elementi del gruppo G, operano rn M, senza lasciare
punti fissi.
0 s s e r v a z i o n e. Queste condizioni possono essere fatte
meno restrittive. Per esempio, invece di supporre che il grup-
po G , i. compatto, si pul, esigere che l'azione sia propria (cio6
che le controimmagini degli insiemi compatti per l'applicazione
(g, x) -+ ( g (x), x) siano compatte). Per esempio, l'azione del
gruppo su se stesso per traslazioni a sinistra o a destra I! sempre
propria .;
Se ie condizio~iiI ) , 2), 3) sono realizzate, si definisce facil-
mente una struttura di varieti regolare ~ull'insiemedelle orbite
tlall'azione di G,, su ,I.[,,. Pic precisamente, pu6 fungere da carte
nell'intorno del punto x E Al,, qualunque superficie trasversale
all'orbita G,,x, la cui dimensione P uguale alla codimensione del-
l'orbita.
La varietA di orbite ottenuta si chiama spazio clelle fasi ridot-
to di un sistema a simmetria.
Indicheremo con F, lo spazio delle fasi ridotto, corrispondente
a1 valore p del momento. La varieti F, i. la base del fibrato n:
hf, -t F,, di fibra diffeomorfa a1 gruppo G,.
Sullo spazio delle fasi ridotto F, esiste una struttura simplet-
t.ica naturale. Pih precisamente, consideriamo due vettori
qualunque g, q tanger~tia F,, nel punto f . I1 punto f t? una delle
orbite del gruppo G, sulla varieti M,. Sia x uno dei punti di questa
orbita. I vettori E e q, tangenti all'orbita, si ottengono da cert.i
vettori y, q', tangenti a ,%IP nel punto x, con la proiezione n:
M, -+ F,.
D e f i n i z i o n e. Si chiama prodotto antiscalare dei vet-
tori f , q, tangenti in uno dei suoi punti a110 spazio delle fasi ridot-
to, il prodotto antiscalare dei vettori corrispondenti f', q' tangenti
alla varietii simplettica iniziale hf:
[ E , ql, = [ t f , $1.
Teorema '. I1 prodotto antiscalare dei vettori t , q non dipende
dalla scelta del punto x e dei rappresentanti E' q' e definisce unn
struttura simplettica sullo spazio delle fasi ridotto.
Corollario. Lo spazio delle fasi ridotto ? di dimensione pari.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a . Consideriamo
nello spazio tangente a 1lf in x i due seguenti spazi:
T (fir,) t? lo spazio tangente alla varieti di livello del momen-
tofir; -
~ ( G x 6) 10 spazio tangente all'orbita del gruppo G.
Lemma. Questi due spazi sono complementt antiortogonall
l'uno dell'altro relatiuamente a TfW.
D i m o s t r a z i o n e. Condizione ~iecessariae sufficiente,
perch6 un vetton? 5 giaccia 11el complemcnto antiortogonale del
piano tangente a llll'orbita del gruppo G, i! c.hc i prodotti anti-
scalari del vettore t con i vettori velocitir dei flussi liamiltoniani
del gruppo G siano uguali a zero (per definizionc). Ma questi pro-
dotti antiscalari sono uguali alle derivite delle funzio~iid i Ha-
milton corrispondenti, rispetto alla direzione di t. Dunque, il
vettore 6 contc~iutonel complemento ant,iortogo~ialed i un'orbi-
ta del gruppo G, se e solo se la derivata del momento rispet.to alla
direzione di j & uguale a zero, cioi? se 5 contenuto in T (hi,). La
prima aeserzione del lenima i. dimostrata; la seconda 6 evidente.
I rappresentanti f' e q' so110 dcfiniti a meno dell'addizione di
un vettore del piano tangcnte nll'orbita del gruppo G,. Ma questo
piano tangente L: l'i~ltersezione dei p i a ~ i itangenti all'orbita Gx
c alla varieth 111, (per l'ultimo teorema del punto A). Dunque,
I'addizione a E' di un vettore di T (G x) non modifica i prodotti
i~ntiscalaricon tutti i rettori q' di T (hP) (dato clie per il lemma
T (G,x) P antiortogonale a T (111,)). Percio, l'indipendeaza rispetto
nlla scelta dei raypr~sentantiE', q' i. dimostrata.
L'indipendenza della qliantiti [ E , ql; rispetto alla scelta
del punto x sull'orbita f deriva rlalla simyletticitl dell'azione del
gruppo G su 111 e dall'invarianzn di 11l~!.Dunque, su F, & definita
la 2-forma differenziale

Q, (E, q) = IE, ql,.

Essa P non degenere, poichC, se foese It, ql, = 0, per tutti


gli q, allora il rappresentante corrispondente E' sarebbe antiorto-
gonale a tutti i vettori di T (111,). Percih, E' apparterrebbe a1
romplemento a~itiortogonaledi T (hf,)in T M . E per il lemma
E' E T (Gx), cioh t = 0.
1 Questo teorema 6 stato formulato per la prima volta in questa forma
da Maroden e Reinstein. Numerosi casi particolari sono stati studiati fin dai
ten) i di Jacohi e utilizzati da Poincare e dai suoi successori in meccanica,
da girillov e Costant nella teoria dei gruppi. da Faddcev nella teoria della
relativiti generale.
La forma $2, Q chiusa. Per convincersene, consideriamo una
qualunque carta, cioB una superficie di M,, che taglia trasvenal-
mente l'orbita del gruppo G, in un punto.
La forma Q, B rappresentata su questa carta da una 2-forma,
indotta dalla 2-forma o, che definisce la struttura simplettica
s u tutto lo spazio M, per immersione di questa superficie.
Poich6 la forma o Q chiusa, anche la forma indotta Q chiusa. 11
teorema I! dimostrato.
E s e m p i o 1. Sia M = R2" uno spazio euclideo di dimen-
sione 2n, munito di coordinate pk, qk e della 2-forma 2 dpk
/\ dqh. Sia G = S1 una circonferenza, mentre l'azione di G su
B definita dall'hamiltoniana dell'oscillatore lineare
a
Allora l'applicazione del momento 6 semplicemente H: Rm +
+ H, la varietl di live110 nu110 del momento Q la sfera SZn-Ie lo
spazio quoziente, lo spazio proiettivo complesso CPn-l.
Percih, il teorema precedente definisce una struttura simplet-
tica sullo spazio proiettivo complesso. Si verifica facilmente che
questa struttura coincide (a meno di un termine moltiplicativo)
con quella, che abbiamo costruito nell'Appendice 3.
E s e m p i o 2. Sia V un gruppo di Lie, G lo stesso gruppo,
ma la sua azione sia definita da traslazioni a sinistra. Allora M?
6 una sottovarieth del fibrato tangente a1 gruppo, formato dai
vettori che, per una traslazione a destra nell'unith del gruppo,
danno uno stesso elemento nello spazio duale all'algebra di Lie.
Dunque, la varieth M p B diffeomorfa a1 gruppo stesso ed Q una
sezione invariante a destra del fibrato cotangente. Tutti i valori
d i p sono regolari.
I1 sottogruppo stazionario G, del punto p consiste di quegli
elementi del gruppo, per i quali le traslazioni a destra e a sinistra
dell'elemento p danno lo stesso risultato. Le azioni degli elementi
diversi dall'unith del gruppo Gp su M, non hanno punti fissi
(poich6 essi non esistono per le traslazioni a destra del gruppo in
se stesso).
I1 g;uppo G, opera pmpriamente (vedere l'osservazione di
pag. 382). Quindi lo spazio delle orbite del gruppo G, su M, B una
varietl simplettica.
Ma questo spazio &lle orbite si identifica facilmente con l'or-
bita del punto p nella rappresentazione coaggiunta. In effetti, ap-
plichiamo la sezione invariante a destra llfp del fibrato cotangente
nello spazio cotangente a1 gruppo nell'uniti, con traslazioni
a sinistra. Otteniamo l'applicazione
n: M , + g*.
L'immagine di questa applicazione & l'orbita del punto p nella
rappresentazione coaggiunta, e-le fibre sono le orbite dell'azione
del gruppo Gp. La struttura simplettica dello spazio delle fasi
ridotto definlsce, cosi, una struttura simplettica sulle orbite
della rappresentazione coaggiunta.
Si verifica facilmente, con un calcolo diretto, che si tratta
della stessa struttura che noi abbiamo discusso all'Appendice 3.
E s e m p i o 3. Supponiamo che il gruppo G = S1 s i i una
circonferenza e che esso operi sulla variet& V senza punti fissi.
Allora si produce un'azione poissoniana della circonferenza sul
fibrato cotangente M = T*V. Possiamo definire le varieti di
livello del momento M p (di codimensione 1 in M) e le varieth
quozienti PP(la cui dimensione B di due unit& inferiore a quella
di M).
Inoltre possiamo costruire la varieti quoziente dello spazio
delle configurazioni V, identificando tra loro tutti i punti di
ogni orbita del gruppo su V. Indichiamo con W questo spazio
quoziente.
Teorema. Lo spazio delle fasi ridotto Fp 2 simpletticamente dif-
feomorfo a1 fibrato cotangente dello spazio quoziente delle configura-
zioni W.
D i m o s t r a z i o n e. Sia n: V + W la fattorizzazione,
o E T*W una l-forma su W nel punto w = nu. La forma n * o
su V nel punto v appartiene a M, e dopo la fattorizzazione defini-
sce un punto in F,. Invenamente, gli elementi di F, sono delle
I-forme invarianti su V, nulle sulle orbite; esse definiscono delle
I-forme su W. Dunque, abbiamo costruito un'applicazione T*W +
-+ F,; si vede facilmente che si tratta di un diffeomorfismo sim-
plettico.
I1 caso p # 0 si riduce a1 caso p = 0 col metodo seguente.
Consideriamo su V una metrica riemanniana, invariante rispetto
a G. L'intersezione di M p col piano cotangente a V nel punto v
13 un iperpiano. La forma quadratica, che definisce la metrica,
possiede in questo iperpiano un unico punto di minimo, s (v).
La sottrazione del vettore s (v) trasforma l'iperpiano M p 0 T*Vn
in M, 0 T*VD e otteniamo il.diffeomorfismo Fp -t F,. I1 teore-
ma B dimostrato.
C. Applicazioni allo studio delle rotazioni stazionarie e delle
biforcazioni delle varietl invarianti. Sia data un'azione poisso-
niana del gruppo G su una varietii simplettica M e sia H una fun-
zione su M, invariante rispetto a G. Sia F, lo spazio delle fasi
ridotto (supponiamo che siano soddisfatte le ipotesi, per le quali
esso pub essere definito).
I1 campo hamiltoniano con funzione di Hamilton H B tangente
a ogni varietA di livello del momento M p (poich6 il momdnto
6 un integrale primo). I1 campo che si produce su M p B invariante
rispetto a G, e definisce un campo sullo spazio delle fasi ridotto F,.
Chiameremo questo campo vettoriale su F campo ridotto.
Teorema. I1 campo ridotlo sullo spaz to die fasi ridotto 2 hami C
toniano. I1 valore della funzione di Hamilton del campo ridotto,
in ogni punto dello spazio delle fasi ridotto, 2 uguale a1 valore della
funzione di Hamilton iniziale, nel comispondente punto dello spa-
zio delle fasi iniziale.
D i m o s t r a z i o n e. La relazione

dH ( t ) = o (X,, t ) per tutti i E


che definisce il campo hamiltoniano X, di hamiltoniana H sulln
varietA M, munita della forma a, implica una relazione analoga per
il campo ridotto, grazie alla definizione della struttura simplet-
tica su F,, c.v.d.
E s e m p i o. Consideriamo un corpo rigido asimmetrico,
vincolato a un punto fisso e sottoposto all'azione della forza peso
(o di un'altra forza potenziale simmetrica rispetto all'asse ver-
ticale).
Sullo spazio delle configurazioni SO (3) opera il gruppo S1
delle rotazioni rispetto alla verticale. La funzione di Hamilton
Q i'nvariante rispetto alle, rotazioni, percib s'introduce un sistema
ridotto sullo spazio delle fasi ridotto.
In questo caso, lo'spazio delle fasi ridotto Q il fibrato cotan-
gente dello spazio quoziente delle configurazioni (vedere l'esem-
pio 3, pag. 385). La fattorizzazione dello spazio delle configura-
zioni,sul quale opera il gruppo delle rotazioni intorno alla verti-
cale, fu realizzata da Poisson nel mod0 seguente.
Definiamo la posizione del corpo con un riferimento ortonor-
male (el, e,, e,). Le tre componenti verticali dei vettori del
riferim'ento definiscono un vettore nello spazio coordinato euclideo
tridimensionale. La lunghezza di questo vettore B 1 (perchh?).
Questo vettore di Poisson y definisce il riferimento iniziale a meno
d i rotazioni alla verticale (perchh?).
Dunque, lo spazio quoziente delle configurazioni B una sfera
bidimensionale S2, mentre lo spazio delle fasi ridotto B il fibrato
cotangente della sfera bidimensionale T*S2.
La funzione ridotta di Hamilton, sul fibrato cotangente della
sfera, B la somma di una forma quadratica nei vettori cotangenti,
cioB o l'energia cinetica del mot0 ridotto s, e di un (I potenziale

Poisson ha dimostrato ehe le equazioni del moto di un corpo rigid@


pesante si esprimono in funzione del vettore y aclla forma notevolmente
aemplice delle a equazioni di Eulero - Poisson s
effettivo, (che comprende l'energia potenziale e l'energia cinetica
di rotazione intorno alla verticals).
I1 passaggio a110 spazio delle fasi ridotto, in questo caso, si
riconduce quasi all'a esclusione della coordinata ciclica cp B. La
differenza consiste solo nel fatto che l'ordinaria procedura implica
che lo spazio delle configurazioni, o quello delle fasi, sia un pro-
dotto diretto per una circonferenza, mentre qui si ha soltanto un
fibrato. Questo fibrato diventa un prodotto diretto, ae si diminui-
sce lo spazio delle configurazioni (cio8 se si introducono delle
coordinate che possiedono delle singolarith ai poli); il vantaggio
dell'approccio indicato B che non esiste nessuna singolarith reale
(eccetto quella del sistema di coordinate) nell'intorno dei poli.
D e f i n i z i o n e. Le curve di fase di M, che si proiettano
nelle posizioni di equilibrio del sistema ridotto sullo spazio delle
fasi ridotto F,,. si chiamano equilibri relativi del sistema iniziale.
E s e m p 1 o. Le rotazioni stazionarie di un corpo ~ i g i d o ,
vincolato nel baricentro, sono degli equilibri relativi.
I n mod0 del tutto simile, sono equilibri relativi i moti di un
~ o r p origido pesante, che si riducono a una rotazione di velocitb
=ostante intorno a un asse verticale.
Teorema. Una curva di fase di un sistema, con funzione di
Hamilton C-invariante, 2 un equilibrio relativo, se e soltanto se
b orbita di un sottogruppo a un parametro del gruppo G nello spazio
delle fasi ini~iale.
D i m o s t r a z i o n e. Che una curva di fase, che B un'orbi-
ta, si proietti in un p i ~ n t oB evidente. Se una curva di fase x (t) si
proietta in un punto, allora la si pub rappresentare univocamente
nella forma x (t) = g ( t ) x (0) e si vede facilmente che {g (t))
B un sottogruppo, c,v.d.
Corollario I. Un corpo rigido asimmetrico, vincolato a un punto
dell'asse di un campo potenziale qualunque a simmetria w'iale,
ammette almeno due rotazioni stazionarie (per ogni valore &I momento
cinetico rispetto all'asse di simmetria).
Corollario 2. Un corpo rigido a simmetria assiale, vincolato
a un punto del suo asse di simmetria, ammette in un campo poten-
ziale di forze qualunque almeno due rotazioni stazionarie (per ogni
valore del momento cinetico rispetto all'asse di simmetria).
Entrambi i corollari derivano dal fatto che una funzione pos-
siede sulla sfera almeno due punti critici.
Un'altra utilizzazione degli equilibri relativi B possibile
nello studio delle modificazioni topologiche delle varietb invarian-
ti dell'energia e del momento.
Teorema. I punti critici dell'applicazione del momento e del-
l'energia
P x H : M+g*xR
su'un insierne regolare di livello del momento sono esattamente glt
equilibri relativi.
D i m o s t r a z i o n e. I punti critici dell'applicazione
P X H sono g l i estremi vincolati della funzione H su una varieti
di livello del momento M, (poich6 la varieti di livello considerata
B regolare, cioB per t u t t ~gli x M, abbiamo P, TM, = Tg',).
Gli estremi vincolati della funzione H su M, per fattorizza-
zione rispetto a G, definiscono i punti critici della funzione di
Hamilton ridotta (dato che H B invariante rispettoa G,). I1
teorema B dimostrato.
Effettivamente, lo studio degli equilibri relativi e delle singo-
laritii dell'applicazione energia-momento non B semplice e hon
B stato completato persino nel problema classico del mot0 di un
corpo rigido asimmetrico in campo di graviti. I1 caso, in cui
il centro di gravitii B situato su uno degli assi d'inerzia, B stato
trattato da S. B. Katok, nell'appendice aggiunta alla traduzione
dell'articolo di S. Smale citato sopra.
In questo problema lo spazio delle fasi B di dimensione 6, il
gruppo B una circonferenza; lo spazio delle fasi ridotto T*S2 B di
dimensione 4.
Nello spazio delle fasi ridotto, le varieti di livello dell'ener-
gia non singolare (in dipendenza dai valori del momento e del-
1'energia)sono dei quattro tipi seguenti: Ss, S2 X S1, RPs e la
sfera S3 a due u manici B di forma
S1 x D2 (D2 B un cerchio, {(x, y): x2 + y2 < 1)).
Appendice 6
Forme normali delle hamiltoniane quadratiche

In questa appendice B presentata la tavola delle forme nor-


mali, alle quali si pub ricondurre un'hamiltoniana quadratica
con una trasformazione simplettica reale. Questa tavola Q stata
composta da D. M. Galin sulla base del lavoro di J. Williamson
On an algebraic problem, concerning the normal forms of linear
dynamical systems, a Amer. J . of Math. w 58, n. 1, 1936, 141-163.
Nel lavoro di Williamson sono indicate le forme normali, alle
quali si pub.ricondurre una forma quadratica in uno spazio simplet-
tico sopra un campo qualunque. ,
A. Notazioni. Scriveremo l'hamilto~iiana rlella forma

dove x = (p,, . . ., p,; q,, ..


., q,) B un vettore, scritto in una
base simplettica, A un operatore lineare simmetrico. Le equazio-
ni canoniche prendono allora la forma

x=IAx, dove I = (i-t)


Chiameremo autot.alori dell'hamiltoniana gli autovalori del-
l'operatore infinitesimale-simplettico IA. Nello stesso modo, per
blocco di Jordan intenderemo un blocco di Jordan dell'operato-
re I A .
Gli autovalori dell'hamiltoniana sono di quattro tipi: le cop-
pie reali (a, -a), le coppie immaginarie pure (ib , -ib), le quater-
ne ( f a f i b ) e gli autovalori nulli.
I blocchi di Jordan corrispondenti ai due termini di una cop-
pia o ai quattro termini di una quaterna possiedono sempre la
stessa struttura.
Nei casi, in cui la parte reale dell'autovalore B nulla, bisogna
distinguere i blocchi di Jordan di ordine pari e dispari. I blocchi
d'ordine dispari ad autovalore nu110 sono in numero pari e si
possono ripartire naturalmente in coppie.
La lista conclusiva delle forme normali B la seguente.
B. Hamiltoniane. A ogni coppia di blocchi di.Jordan d'ordi-
ne k, ad autovalori reali fa, corrisponde l'hamiltoniana

Ad una quaterna di blocchi di Jordan, ad autovalori f a f


f bi, corrisponde l'hamiltoniana

A una coppia di blocchi di Jordan di ordine dispari k, ad


autovalore nullo, corrisponde l'hamiltoniana

k- I
H= pjqj+, (per k=1, H=0).
1-1

A un blocco di Jordan d'ordine pari 2k, ad autovalore nullo,


corrisponde una delle due hamiltoniane seguenti:

.
(per k = i , H = j= i q:) Le hamiltoniaoe di segni diversi non
& trasformano l'una nell'altra.
A una coppia di blocchi di Jordan d'ordine dispari 2k+ I,
ad autovalori immaginari puri f bi, corrisponde una delle due
hamiltoniane seguenti:

1
Per k = 0, H = f T(bZp: +p:). Le hamiltoniane di segni
diversi non si trasformano l'una nell'altra.
A una coppia di blocchi di Jordan d'ordine pari 2k, ad autova-
lori immaginari puri f bi, corrisponde una delle due hamilto-
niane seguenti:

1 1
(per k=l, H = * (Tq:+'1:)-b2~iq2+~2qi).
Anche qui le hamiltoniane di segni diversi non si trasformano
l'una nell'altra per una trasformazione simplettica reale.
Teorema di Williameon. Lo spazio simplettico lineare
reale, sul quale k dkfinita urn f o r m quadratics H, si &ompone in
urn somma diretta di sottospazi simplettici reali, a due a due antior-
togonali, in modo tale che la f o r m H si rappresenta come somma
d i forme dei tipi indicati prima su questi sottospazi.
C. Blocchi di Jordan ineliminabili. Un'hamiltoniana indi-
viduale generica non possiede autovalori multipli e si riconduce
a una forma semplice (tutti i blocchi di Jordan sono del primo
ordine). Tuttavia, se si considera non un'hamiltoniana individua-
le, ma un'intera famiglia .di sistemi, dipendenti da parametri,
allora per alcuni valori eccezionali dei parametri possono apparire
delle strutture di Jordan-piii complesse. Di alcune di esse ci si
pub sbarazzare con una piccola deformazione della famiglia, le
altre invece non sono eliminabili e si deformano solo un poco. Se
il numero I di parametri della famiglia B finito, allora di questi
casi ineliminabili ne esiste un numero finito nella famiglia a 1
parametri. I1 teorema di Galin, equnciato piii in basso, permette
d i calcolare tutti questi casi, comunque si fissi 1.
>
Indichiamo con 4 (z) n, (z) 2 ... 2 n,(z) le dimen-
> ... - - ..
sioni dei blocchi di Jordan ad autovalon z # 0, con m,>m2 2
> m u e m, 2 m2>. >,r& le dimensioni dei blocchi
d i Jordan, ad autovalore nullo, inoltre mJ sono pari ed gJdispari
(in ogni coppia di blocchi di dimensione dispari se ne considera
uno solo).
Teorema. La varieth di hamiltoniane, i cui blocchi di Jordan
hanno le dimensioni indicate,.possiede nello spazio di tutte le hamil-
toniane la codimnsioiu

j- i j+l k = i
(Osserviamo che, se lo zero non B autovalore, allora nella
somma solo il primo termine B diverso da zero.)
Corollario. Nelle fumiglie di. sistemi hamiltoniani lineari,
dipendenti, i n modo generule, da 1 parametri non si incontrano che
sistemi con blocchi di Jordan tali che il numero c, calcolato per mez-
zo della formula precedente, non sia superiore a 1: tutti i casi i n cut
c b maggiore di 1 sono elimimbili con wna piccola deformazione della
famiglia.
Corollario. Nelle famiglie a uno e a due parametri si incontra-
no blocchi di Jordan non eliminabili solo dei 12 tipi seguenti:
I = 1: ( f a)', ( f 'fa)', 0%
(qui i blocchi di Jordan sono indicati con i lor0 determinunti; per
esempio, ( f a)' designa una coppia di blocchi di Jordan d'ordine
2 e ad autovalori a e -a rispettimmente);
1 = 2: (f a)a,( f ai)" ( ( f a f bi),, 0'' ( f a ) ' ( f b)',
( f a i ) ' (*bi)2, ( f a ) , (*bi)', ( f U)~O', f f ai)202
(i restanti autovalori sono semplici).
Galin ha anche calcolato le forme normali, cui si pub ricon-
durre una qualunque famiglia di sistemi hamiltoniani lineari,
dipendenti i n mod0 regolare da parametri, per mezzo di u n cam-
biamento di coordinate lineare simplettico, dipendente i n mod0
regolare da questi parametri. Per esempio, per il blocco di Jordan
semplicissimo (fa)' tale forma normale dell'hamiltoniana sarA
( I ) = -a (pi91 + ~ 2 q s+) pigs + Qiqi + h @ s q ~
(A, e I , sono dei parametri).
Appendice 7
Forme normali di sistemi hamiltoniani
nell'intorno di punti fissi
e delle traiettorie chiuse

PC lo studio del comportamento delle soluzioni dell'equa-


zione di Hamilton nell'intorno di una posizione di equilibrio,.
spesso non B sufficiente limitarsi all'equazione linearizzata. In
effetti, per il teorema di Liouville sulla conservazione del volume,
sono impossibili posizioni di equilibrio asintoticamente stabili
per dei sistemi hamiltoniani. Percib la stabilitii del sistema
linearizzato B sempre neutra: gli autovalori della parte lineare di
un campo vettoriale hamiltoniano, in una posizione di equilibrio
stabile, sono tutti situati sull'asse immaginario.
Per sistemi generici di equazioni differenziali tale stabilith
neutra pub essere distrutta dall'aggiunta di termini non lineari,
arbitrariamente piccoli. Per i sistemi hamiltoniani la questione
B pih complessa. Supponiamo, per esempio, che la parte quadra-
tics della funzione di Hamilton (che definisce la parte lineare del
campo vettoriale) sia definita positiva o negativa in una posizione
di equilibrio. Allora la funzione di Hamilton ha un massimo o un
minimo nella posizione di equilibrio. Conseguentemente, questa
posizione di equilibrio B stabile (nel senso di Ljapunov, ma non
asintoticamente) non solo per il sistema linearizzato, ma anche
per il sistema non lineare completo.
Tuttavia la parte quadratica della funzione di Hamilton pub
anche non essere definita in una posizione di equilibrio stabile.
Un esempio moltosemplice B fornito dalla funzione H = p: +
+ 4 - pi - qi. Lo studio della stabilitii di sistemi, che possie-
dono una tale parte quadratica, deve tener conto dei termini
successivi dello sviluppo di Taylor e prima di tutto dei termini
cubici della funzione di Hamilton (cioB dei termini elevati a1
quadrat0 dei vettori del campo della velociti di fase). Questo
studio si effettua comodamente, riducendo la funzione di Hamil-
ton (e quindi il campo vettoriale hamiltoniano) alla f o m a pih
semplice possibile, con una sostituzione canonica appropriata
di variabili. In altri termini, per studiare le soluzioni B utile
introdurre un sistema di coordinate canoniche nell'intorno della
posizione di equilibrio, tale da semplificare a1 massimo la forma
della funzione di Hamilton e delle equazioni di moto.
L'analogo problema si risolve facilmente nel cass--di campi
vettoriali generici (non hamiltoniani): qui il caso generale Q quello
di un campo vettoriale lineare nell'intorno della posizione di
equilibrio, in un appropriato sistema di coordinate (i corrispon-
denti teoremi di Poincar6 e Siegel si trovano, per esempio, nel
testo: C. L. Siegel Lezioni sullrr mcccanica celeste, IL, 1959 (in
russo) o Springer, 1971 (in inglese)).
Nel caso hamiltoniano la situazione Q piii complessa. La
prima difficoltl 8 che, in generale, non si pub ridurre un campo
h.amiltoniano a una forma normale lineare con una sostituzione
canonica di variabili. Pia precisamente, generaimente si possono
eliminare i termini cubici della funzione di Hamilton, ma non si
possono eliminare tutti i termini di quarto grado (quest0 perch6,
in un sistema lineare, la frequenza delle oscillazioni non dipende
dall'ampiezza, mentre in un sistema non lineare in generale
dipende da essa). La difficolth indicata viene superata scegliendo
una forma normale non lineare, che tiene conto della variazione
delle frequenze. I n definitiva (nel caso di non risonanza) si pos-
sono introdurre delle variabili d'azione-angolo, tali che il sistema
sia integrabile, a meno di termini di potenza comunque elevata
nella serie di Taylor.
Cii, permette di studiare il comportamento del sistema su
intervalli di tempo grandi, per delle condizioni iniziali vicine
alla posizione di equilibrio. Tuttavia, cib non basta per stabilire
se una posizione di equilibrio Q stabile nel senso di Ljapunov
(poichB, su un intervallo di tempo infinito, l'influenza del ter-
mine residuo tralasciato nella serie di Taylor pub annullare la
stabilita). Essa sarebbe certa se potessimo ridurre esattamente il
sistema hamiltoniano a un'analoga forma normale, senza trala-
sciare i termini'residui. Ma si pui, dimostrare che tale riduzione
esatta Q, in generale, impossibile, mentre le serie formali per le
trasformazioni canoniche, che riducono il sistema a una forma
normale, in effetti nel caso generale divergono.
La divergenza di queste serie dipende dal fatto che la ridu-
zione a una forma normale implicherebbe un comportamento
pia semplice delle curve di fase, rispetto a quello effettivo (esse
dovrebbero essere delle eliche quasi periodiche di tori). I1 compor-
tamento delle curve di fase, nell'intorno di una posizione di equi-
librio di un sistema hamiltoniano, 8 discusso nell'Appendice 8.
In questa appendice si danno i risultati formali sulla riduzione
a forma normale, a meno di termini di grado pia elevato.
L'idea della riduzione dei sistemi hamiltoniani alle forme
normali risale a Lindstedt e PoincarB I; le forme normali nell'in-
Federe H. Poincad I nuovi metodi della mccanica celeste, t . 1 in
Nauka v, ,1971 (in russo), o @ Dover publications iric. v,
-a Opere scelte v , a
New York, 1957.
torno di una posizione di equilibrio sono state studiate in detta-
glio da Birkhoff (J. D. Birkhoff Sistemi dinumici, OGIZ, 1941,
in russo; New York, 1927, in inglese).
Le forme normali per i casi degeneri sono .trattati da
A., D. Brjuno, nel lavoro F o r m analitica dclle equcrzioni
differenziali (Lavori della societl matematica moscovita, tt. 25 e
26, i n russo)
A. Forma normale di un slatema c o m e ~ a t i v onell'intoino
dl una posizione di equilibrio. Supponiamo che nell'approssi-
mazione lineare la posizione di equilibrio di un sistema hamilto-
niano a n gradi di liberth sia stabile e che tutte le n frequenze
caratteristiche ol, ..., onsiano diverse tra loro. Allora la parte
quadratica dell'hamiltoniana si ridme, per mezzo di una trasfor-
rnazione canonica 'lineare, alla forma

(alcuni degli oh possono essere negativi).


D e f i n i z i o n e. Le frequelize caratteristiche a,, ..
.
.. ., on verificano una relazione di risonanza di ordine K, se esi-
stono dei numeri interi kt, non tutti nulli, per i quali

D e f i n i z i O n e. Si chiama formu normale di Birkhoff di


grado s per un'hamiltonianu un polinomio di grado s delle coordi-
nate canoniche (PI, Q,), che sia in realth un polinomio (di grado
Is/2]) delle variabili r, = (Pt + Q:)/2.
Per esempio, per un sistema a un grado di liberta la forma
normale di grado 2m (o 2m + 1) si scrive

e per un sistema a due gradi di liberta la forma normale di Birkhoff


d i grado 4 s a d
HI = alrl + aar2 + a117: + 2 a l s t l ~ . +aaa72*
I coefficienti a, e a , sono frequenze caratteristiche, mentre i coef-
ficienti at, descrivono la dipendenza delle frequenze dalle
ampiezze.
Teorema. Supponiamo che le frequenze caratteristiche ol non
verifichino alcunu relazione di risonanza di ordine s o minore. Allora
esiste u n sistemu canonico di coordinate, nell'intorno della posizione
d i equilibrio, tale che i n esso la funzione di Hamilton si riduce alla
f o r m notmale di Birkhoff di grado s, a meno di termini di grado
s + I:
+
H ( p , 9) = H, (P, Q) R* R = 0 (IP I + I QI)'+'.
La dimostrazione di questo teorema si effettua facilmente
in un sistema di coordinate complesse,

(quando si passa ad esso bisogna moltiplicare l'hamiltoniane


per -2i). Se i termini di grado inferiore a N, che non figurano
nella forma normale, sono giA eliminati, allora una sostituzione
di funzione generatrice Pq+ S N (P, q? (dove S N B un polinomio
di grado N) cambia nello sviluppo dl Taylor della funzione di
Hamilton solo i termini di grado uguale o superiore a N.
I1 .coefficiente del monomio di grado N della funzione d i
Hamilton, cioB

in seguito a tale sostituzione diventa, come B facile verificare,

dove Ll = io,e dove sap B il coefficiente di e w e nello sviluppo


della funzione S N @, q) second0 le variabili z, w.
Per l'ipotesi fatta sull'assenza di risonanza, il coefficiente
tra parentesi quadre di Sap B diverso da zero, escluso solo il caso,
in cui il nostro monomio si esprima in funzione dei prodotti
zlwl = 27, (cioB quando tutti gli a, sono uguali ai PI). Possiamo
dunque eliminare tutti i termini di grado N, eaclusi quelli espressi
in funzione di 7,. Ponendo N = 3, 4, . . ., s otteniamo il teorema..
Utilizzando il teorema di Birkhoff 6 utile notare che un
sistema, la cui hamiltoniana B una forma normale, B integrabile.
Piii precisamente, consideriamo le a coordinate canoniche pola-
ri B r,, cpl in funzione delle quali PI e Ql si esprimono per mezzo
delle formule
~ , = V ~ c o s c p ~ ,~ ~ = ~ 2 2 ( w n c p ~ .
Poich6 l'hamiltoniana B espressa in funzione delle sole variabili
d'azione T,, il sistema B integrabile e descrive dei moti quasi
periodici di frequenze o = 8 H l a ~sui tori 7 = cost. In particola-
re, la posizione di equilibrio P = Q = 0 B stabile per la forma
normale.
B. Forma normale di una trasformazione canonica nell'intor-
no di un punto fisso. Consideriam~ un'applicazione canonica
(cioB che conserva le aree) di un piano bidimensionale in se stesso.
Supponiamo che questa trasformazione lasci fissa l'origine delle
coordinate e che la sua parte lineare abbia come autovalori L =
= e*'a (cio8 che sia una rotazione di un angolo a in una base
simplettica appropriata di coordinate p, q). Chiameremo tale
trasformazione ellittica.
D e f i n i z i o n e. Si chiama f o r m normale di Birkhoff
di grado s per unia trasformazione un'applicazione canonica di un
piano in se stesso, rotazione di un angolo variabile, che sia
un polinomio di grado non superiore a m = Is121 -
1 della varia-
bile d'azione z di un sistema di coordinate polari canonico

dove
(z, 9)- (r, (P + a,, + + . - . a,,+ arnzrn),
a1'F

'Teorema 2. S e un autovalore h di urn trasformazione canonica


ellittica non b radice dell'unith di grado uguale o minore di s, allora
questa trasformazione s f riduce, con una sostituzione canonica di
variabili, alla f o r m normale di Birkhoff d i grado s, a meno di
termini dl grad0 uguale o maggiore di s +1.
La generalizzazione a1 caso multidimensionale della trasfor-
mazione ellittica B il prodotto diretto di n rotazioni ellittiche di
piani (p1, ql), con autovalori At =*efia1. La forma normale di
Birkhoff di grado s B definita dalla formula

dove S 6 un polinomio di grado non superiore a [s/21 delle varia-


bili .d'azione zl, . . ., z,.
Teorema 3. S e gli autovalori Al di una tiasformazione canonica
ellittica multidimensionale non ammettono risonanze

allora questa trasformazione si riduce alla f o r m n o r m l e di Birkhoff


df grado s (con un errore nei termini di grado s dello sviluppo dell'ap-
plicazione i n serie d i T a y b r , nel punto p = q = 0).
C. Forme normali di un'equazione a coefficienti periodici
nell'intorno delle posizioni di equilibrio. Sia p = q = 0 la posi-
zione di equilibrio di un sistema, con funzione di Hamilton
dipendente dal tempo in mod0 periodico,. con periodo 2n. Suppo-
niamo che l'equazione linearizzata sia ridotta, da una trasforma-
zione lineare simplettica periodica nel tempo, alla forma normale
autonoma di frequenze caratteristiche a l , . . ., an.
Diremo che il sistema B risonante di ordine K >0, se esiste
una relazione

con k,, kl, ..., k, interi, tali che I k1 I + ... + I k , I = K.


Teorema. S e i l sistema non 2 risonante di ordine uguale o mino-
re d i s, dlora. esiste una trasformazione canonica dlpendente in
moth pefiodtco dal tempo, ili periodo 2 n , che dl'intorno-delta post
aiom di equilibrio rtdilce il sistema alla stessa fbrmaa n o m b di
Birkhoff di grado s, cui lo ridurrebbe se esso fosse autonomo, con la
sota differenza che i termini residui R di grado uguale o maggiors
di s + 1 dipenderanno dal tempo periodicamente.
Infine, sia data una traiettoria chiusa di un sistema autonomo
di equazioni di Hamilton. Allora, nell'intorno di questa traiet-
toria, possiamo ridurre il sistema a una forma normale, utilizzan-
do uno dei due seguenti metodi:
1) Riduzione isoenergetica: fissiamo la costante d'energia
e consideriamo un intorno di una traiettoria chiusa di una varietil
2n - l-dimensionale di livello d'energia come spazio delle fasi
allargato di un sistema a n - I gradi di libertii, dipendente in
mod0 periodic0 d a l tempo.
2) Superficie di una sezione: fissiamo la costante d'energia
e il valore di una delle coordinate (in mod0 che la traiettoria
chiusa intersechi trasversalmente il piano di dimensione 2n - 2
ottenuto). Allora le curve di fase, vicine a quella data, definisco-
no un'applicazione di questo piano di dimensione 2n - 2 su se
stesso, con un punto fisso sulla traiettoria chiusa. Questa appli-
cazione conserva la struttura simplettica naturale sul nostro piano
di dimensione 2n - 2 e possiamo studiarla per mezzo della forma
normale del punto B.
Studiando le traiettorie chiuse di sistemi hamiltoniani
autonomi, ci si trova in presenza di una nuova proprieti rispetto
a110 studio delle posizioni di equilibrio di sistemi a coefficienti
periodici. I1 fatto B che le traiettorie chiuse dei sistemi autonomi
non sono isolate, ma formano (in generale) delle famiglie a un
parametro.
I1 parametro di una famiglia B il valore della costante di
energia. In effetti, supponiamo che, per un certo valore della costan-
te d'energia, la traiettoria chiusa intersechi trasversalmente il
piano di dimensione 2n - 2 descritto sopra, nella varietl 2n -
- l-dimensionale di livello d'energia. Allora, anche per i valori
vicini della costante d'energia esisterl un'analoga traiettoria
chiusa. Per il teorema sulle funzioni implicite, possiamo addirit-
tura affermare che questa traiettoria chiusa dipende in mod0
regolare dal valore della costante d'energia.
Se ora vogliamo utilizzare la forma normale di Birkhoff per
lo studio di una famiglia a un parametro di traiettorie chiuse,
ci imbattiamo nella seguente difficoltl. A1 variare del parametro
della famiglia gli autovalori del problema linearizzato, in genera-
le, cambieranno. Dunque, per certi valori del parametro, incontre-
remo inevitabilmente delle risonanze, che impediscono la ridu-
zione alla forma normale.
Sono particolarmente pericolose le risonanze d'ordine infe-
riore, poichd influiscono sui primi termini della serie di Taylor.
Se ci int.eressa una traiettoria chiusa, per la quale gli autovalori
sono vicini a una relazione di risonanza d'ordine inferiore, allora
bisogna leggermente modifbare la forma normale di Birkhoff.
Pih esattamente, per una risonanza di ordine N si annullano alcu-
ne delle espressioni

per cui bisogna dividere la funzione di Hamilton per eliminare


i termini di grado N. Per valori del parametro vicini alla r i s e
nanza, la combinazione indicata di frequenze caratteristiche rion
b generalmente nulla, ma molto piccola (tale combinazione si
chiama per questo motivo a piccolo divisore n).
La divisione per un piccolo divisore implica che
1) la trasformazione che riduce alla forma normale dipende
in mod0 discontinuo dal parametro .(essa possiede un polo per
il valore di risonanza del parametro);
2) il dominio, in cui la forma normale di Birkhoff descrive
bene il sistema, si restringe a zero per il valore di risonanza.
Per liberarsi di queste insufficienze, non si devono eliminare
alcuni termini dell'hamiltoniana (quelli, precisamente, che di-
ventano risonanti per il valore di risonanza del parametro).
Bisogna conservarli, non solo per il valore di risonanza del para-
metro, ma anche per tutti i valori vicini '.
La forma normale, che si ottiene cosi, 13 complicata di
quella ordinaria, ma in numerosi casi si pub ricavare da essa
un'utile informazione sul comportamento delle soluzioni nel-
l'intorno della risonanza.
D. Esempio: studio della risonanza di ordine 3. Come esem-
pio semplice, studiamo che cosa accade con la traiettoria chiusa
di un sistema hamiltoniano autonomo a due gtadi di liberti
nell'intorno di un valore della costante d'energia, tale che il
periodo d'oscillazione delle traiettorie vicine, in prossimiti della
traiettoria chiusa, sia tre volte maggiore del periodo di rivoluzio-
ne sulla traiettoria chiusa.
Per quanto detto prima, questo problema si riconduce a110
studio di una famiglia monoparametrica di sistemi hamiltoniani
non autonomi a un grado di libertit, 2n-periodici nel tempo, nel-
l'intorno della posizione di equilibrio. Questa posizione di equi-
librio pub essere presa come origine delle coordinate per tutti
i valori del parametro (per ottenere cib, bisogna fare una sostitu-
zione di variabili dipendente dal parametr~).
Inoltre, il sistema linearizzato nella posizione di equilibrio
pub essere trasformato in un sistema lineare a coefficienti costan-
ti, per mezzo di un cambiamento di coordinate canonico lineare,
On-periodic0 nel tempo. Nelle coordinate cosi ottenute, il flusso
1 I1 metodo qui indicato B utile non soltanto per lo studio dei sistemi
hamiltoniani, ma anche nella teoria generale delle equazioni differenziali.
Vedere, per esempio, V. I. Arnold Lezloni sulk btforcazfonf e k famtglie
wrsalt, 4 Uspekhi matematiteskikh nauk s 27, n. 5, 1972, 120484 (in russo).
d i fase del sistema linearizzato 6 una rotazione uniforme intornc
alla posizione d i equilibrio. La velocith angolare o di quest1
rotazione dipende dal parametro.
Per il valore di risonanza del parametro, 0 = 113 (cioi
nel tempo 2n 6 compiuto un terzo di giro intorno all'origine delle
coordinate). La derivata della velocitl angolare o rispetto a1
parametro B generalmente diversa da zero. Dunque, per parametro
possiamo prendere questa stessa velociti angolare o, ancora meglio,
il suo scarto da 113, che indicheremo con E. La grandezza e si
chiama disaccordo di frequenza. I1 valore di risonanza del para-
metro corrisponde a E = 0. A noi interessa, il comportamento
del sistema per degli e piccoli.
Se si trascurano i termini non lineari nelle equazioni di
Hamilton e il disaccordo di frequenza E, allora tutte le traiettorie
del nostro sistema si chiudono, dopo aver compiuto tre giri (cio6
possiedono un period0 uguale a 6n). Vogliamo ora studiare l'in-
fluenza dei termini non lineari e del disaccordo di frequenza sul
comportamento delle traiettorie. I3 chiaro che nci caso generale
le traiettorie non si chiuderanno tutte. Per vedere come si compor-
tan0 B utile considerare la forma normale.
Nel sistema di coordinate scelto z = p +iq, z= p - iq
la funzione di Hamilton si scrive

dove i puntini indicano i termini di grado superiore a1 terzo e do-


ve o = (113) + e.
Riducendo alla forma normale possiaino eliminare tutti i
termini di terzo grado, esclusi quelli per i quali il piccolo divisore
o(a-$)+k
s i annulla per la risonanza. Questi termini si possono anche
definire come quelli, che sono costanti su una traiettoria di mot0
periodico, ottenuto tralasciando il disaccordo di frequenza e la
non linearitl. Questi termini si chiamano termini risonanti.
Dunque, per la risonanza alla frequenza o = 113, i termini
risonanti sono quelli per i quali
a-$+3k=0.
Percib, dei termini a1 cub0 non sono iisonanti che z3e-" e i3e".
Possiamo allora ridurre la funzione di Hamilton alla forma

(h e h s o n o coniugati, essendo H reale).


Notiamo che, per ridurre l a funzione di Hamilton a questa
forma norma.le, abbiamo effettuato una trasformazione canonica
regolare 2n-periodica nel tempo, dipendente in mod0 regolare dal
parametro, persino nel caso di risonanza. Questa trasformazione
differisce dall'identiti solo per infinitesimi del second0 ordine
rispetto alla deviazione dalla traiettoria chiusa (e l a sua funzione
generatrice differisce dalla funzione generatrice della trasforma-
zione identica solo per i termini cubici).
L'analisi ulteriore del comportamento delle soluzioni del-
le equazioni di Hamilton si effettua nel mod0 seguente. Dappri-
ma eliminiamo nella funzione di Hamilton tutti i termini di
grado superiore a1 terzo e studiamo le ~oluzionidel sistema tron-
cat0 ottenuto. In seguito bisogna vedere come possono influire
sul comportamento delle traiettorie i termini tralasciati.
Lo studio del sistema troncato 6 reso pi: semplice dall'in-
troduzione, sul piano della variabile complessa z, di un sistema
di coordinate, ruotante con velociti angolare uniforme 113, cioh
dalla sostituzione z ---- f e4*la. Per la variabile 5 si ottiene allora
un sistema hamiltoniano autonomo, con hamiltoniana
-2iHo = - ie5t+ ht3-& Es, dove e = o -(113).
I1 fatto che, nel sistema di coordinate ruotante, il sistema
sia autonomo B una fortuna insperata. I1 sistema completo di
equazioni d.i Hamilton (tenuto conto dei termini di hamiltoniana
di grado superiore a1 terzo) non solo non It autonomo nel sistema
di coordinate in rotazione, ma persino non ha periodo 2n rispetto
a1 tempo (6 infatti 6n-periodic0 nel tempo). I1 sistema autonomo
di hamiltoniana H , 15 in sostanza il risultato di una media del
sistema iniziale, rispetto alle traiettorie chiuse del sistema
lineare con E=O (trascurando i termini di grado superiore a tre).
I1 coefficiente h pub essere resoreale (si pub ottenere cib con
una rotazione del sistema di coordinate). Dunque, nelle coordi-
nate reali (3, y), la funzione di Hamilton si scrive

I1 coefficiente a dipende dal disaccordo di frequenza E come da


un parametro. In generale, per E = 0 questo coefficiente 6 non
nullo. Dunque possiamo renderlo uguale a 1, per mezzo di un
cambiamento di coordinate dipendente in mod0 differenziabile
dal parametro. Cosi, dobbiamo analizzare in che mod0 le curve
di faae del sistema, con hamiltoniana

dipendono dal piccolo parametro e sul piano (x, y).


Si vede facilmente che la modificazione delle curve consiste
in quanto segue (fig. 239). Per e = 0, l a linea di live110 zero della
funzione H , Q formata da tre rette, che si intersecano nello zero
sotto angoli di 60". A1 variare di E esiste sempre una linea di
livello formata da tre rette, che si muovono di mot0 traslatorio,
formando sempre un .hiangolo equilatero, che ha il centro nell'o-
rigine delle coordinate. I vertici di questo ttiangolo eono punti
critici di ~ e l l adella funzione di Hamilton. I1 punto'critico nell'o-
rigine delle coordinate, a1 passaggio di E per zero (cio8 a1 yassag-
gio per la risonanza), cambia da minimo in massirno.

Fig. 239. Passaggio della risonanza 3 :1


'.

Dunque, per il sistema di hamiltoniana H,, l'origine delle


coordinate rappresenta una posizione di equilibrio stabile per
tutti i valori del parametro, escluso quello di risonanza, per il
quale l'equilibrio B instabile. Per valori del parametro vicini
a quello di risonanza, il triangolo nell'intorno dell'origine delle
coordinate, che B riempito da curve di fase chiuse, 13 piccolo (dell'or-
dine di E), in mod0 che il 4 raggio di stabiliti )) dell'origine delle
coordinate tende a zero per E -t 0: B s~ifficienteuna piccola
perturbazione della condizione iriiziale (dell'ordine di E), perch6
il punto di fase risulti fuori del triangolo e si allontani dalla
posizione di equilibrio.
Tornando a1 problema iniziale della traiettoria periodica,
giungiamo alle seguenti conclusioni (che, naturalmente, non
sono dimostrate, avendo tralasciato i termini di grado superiore
a1 terzo, ma che possono essere giustificate):
1. I n generale, a1 momento del passaggio della risona~tza
considerata .?:I, la traiettoria periodica per& la stabilith.
2. Per valori del parametro vicini a quello d i risonanza. esiste
una traiettoria periodica instabile, nell'intorno della traiettoria
periodica considernta, sulla stessa varieth d i livello d'energia. Essa
si chiude, dopo essere andata tre volte lungo la traiettoria iniziale
e aver fatto u n giro completo intorno a questa. Per il vnlore d i riso-
nanza del parametro la traiettoria instabile si confonde con qllella
iniziale.
3. La distanza della traiettoria periodica itlstabile da quella
iniziale decresce all'approssimarsi della risonanza come la prima
potenza del disaccordo di frequenza (cio? come la prima potenza
dello scarto &l parametro dal cnlore di risonanza).
4. Per la traiettoria stabile, sulla stessa varietd tridimensiomk
di livello d'energia, passano due superfici invarianti bidimensionali,
riempite da traiettorie, che si avvicinano a quella periodica instabile,
su una superficie per t -t + m e sull'altra per t -t - m.
5. La posizione delle separatrici k tale, che nell'intersezione
con la superjicie, trasversale alla traiettoria iniziale, si ottiene una
figura, vicina a i tre lati di un triangolo equilatero con i loro prolun-
gamenti. I vertici del triangolo sono i punti d'intersezione delk
traiettoria periodica instabile con la superficie trasversale.
(5. Per condizioni iniziali poste all'interno del triangolo forma-
to dalle separatrici, il punto di fuse resta per un periodo di tempo
prolunguto (dell'ordine almeno di 118) nell'intorno della traiettoria
periodica iniziale (a una distanza dell'ordine di e), mentre per
condizioni iniziali poste all'eslerno esso si ullontann piuttosto velo-
cemente a una distanza grande in confronto a e.
E. Divisione delle separatrici. In realth le separatrici, di cui
si parla nelle proposizioni 4, 5 e 6, hanno una forma molto com-
plessa (per l'influenza dei t,ennini di grado superiore a1 terzo,
trascurati nella nostra approssimazione). Per avere un'idea chiara
della situazione, si deve considerare una sezione bidimensionale,
che interseca trasversalmente la traiettoria chiusa iniziale in uno
qualunque dei suoi punti (e che giace interamente in una varieth
di livello d'energia) '.
Le traiettorie, che escono da questa sezione, la intersecano
nuovamente dopo nn irltervallo di tempo, vicino a1 periodo di
rivoluzione sulla traiettoria chiusa iniziale. Dunque, si introduce
un'applicazione dell'intorno del punto d'intersezione della traiet-
toria chiusa con la sezione, nella sezione stessa. Questa applica-
zione possiede un punto fisso (il punto d'intersezione tra la traiet-
toria chiusa e la sezione) ed 6 vicina a una rotazione di 120" intor-
no a questo punto, che noi prendiamo come origine delle coordi-
nate sul piano della nostra sezione.
Consideriamo ora il cribo dell'applicazione indicata prece-
dentemente. E nuovamente un'applicazione di un intorno dello
zero del piano della sezione, che lascia fissa l'origine delle coor-
dinate. Ma ora tale applicazione B viciila a una rotazione di 360°,
cioh all'applicazione identica: essa 15 realizzata dalle traiettorie
del nostro sistema in un tempo, vicino a tre periodi della traiet-
toria chiusa considerata.
I calcoli fatti precedentemelite forniscono un'informazione
non banale sulla struttura di questa a applicazione per tre perio-
di N. I n effetti, trascurando ,i termini della flinzione di Hamilton
di quarto grado e pi6 elevati, modifichiamo i termini dell'appli-
cazione di grado superiore a1 secondo. Dunque l'apylicazione per

Qui ragioneremo piii comodamente sulle applicazioni in un periodo


e faremo i calcoli pih facilmente con i flussi.
tre periodi, che corrisponde all'hamiltoniana troncata, appros-
sima (con un errore cubico) la Vera applicazione per tre periodi.
Ma noi conosciamo le proprieti dell'applicazione per tre
periodi, corrispondente alla funzione di Hamilton troncata, poichd
Bi tratta dell'applicazione del flusso di fase del sistema, con fun-
zione di Hamilton Ho (x, y), per un tempo 6n (la dimostrazione
si basa sul fatto che, dopo un intervallo di tempo 6n, il nostro
sistema ruotante di coordinate 6 tornato alla posizione iniziale).
Vediamo ora quali di queste proprieti si conservano per una
perturbazione infinitesima del terzo ordine, in confront0 alla
distanza dal punto fisso, e quali no.
Indichiamo con A , l'applicazione per tre periodi corrispon-
dente a1 sistema troncato e con A l'applicazione Vera.
1. L'applicazione A, 6 inclusa nel flusso: B una trasforma-
zione durante un intervallo di tempo 6n del flusso di fase di ha-
miltoniana Ho.
Non abbiamo alcun elemento per pensare che l'applicazione
A sia contenuta nel flusso.
2. L'applicazione A , ammette una rotazione di 120': esiste
un diffeomorfismo non banale g, per il.quale 8 = E e che com-
.muta con A,.
Non abbiamo alcuna ragione per ritenere che l'applicazione
A commuti con un diffeomorfismo non banale qualunque g, per
il quale gJ = E.
3. L'applicazione A , possiede tre punti fissi instabili, a
una distanza dell'ordine di e dall'origine delle coordinate, vicini
ai vertici del triangolo equilatero. Per scarti dalla risonanza
abbastanza piccoli (cio6 per degli e sufficientemente piccoli)
anche l'applicazione A possiede tre punti fissi instabili nell'in-
torno dei vertici del triangolo equilatero. CiB deriva dal teorema
sulle funzioni implicite.
4. Le separatrici dei punti fissi dell'applicazione A , formano
(per valori del parametro vicini alla risonanza) una figura, simile
ai lati di un triangolo equilatero con i lor0 prolungamenti. Se a
partire da un punto su uno dei lati del triangolo si fa operare
ripetutamente l'applicazione A,, si ottiene una successione di
punti sul medesimo lato del triangolo, che tende a uno degli
estremi del lato, diciamo M,. Se si fa operare A;' si ottiene
invece una successione, che tende all'altro vertice, che noi indi-
chiamo con N o .
Ancho ognuno dei tre punti fissi instabili dell'applicazione
A possiede dello separatrici vicino ai lati del triangolo (fig. 240).
Pih esattamente, quei punti del piano, che tendono a1 punto
+
fisso M .per le applicazioni An, dove n + oo, formano una
curva regolare r', invariante rispetto ad A , che passa per il
punto M e vicina, nell'intorno del punto M, a1 lato MONOdel
triangolo de!le separatrici dell'applicazione A?. Quei punti
invece, che tendono a N per-le applicazioni An, dove n -+ - 00,
formano una seconda curva regolare invariante I'-, che passa per
il punto N ed B anch'essa vicina a1 lato MONO,nell'intorno del
punto No.
Tuttavia le curve r+e r - , entrawbe vicine allu retta M a o ,
non coincidono necessariamente. Proprio in questo consiste il
fenomeno della divisione delle separatrici che differenzia in
mod0 radicale il comportamento delle
traiettorie del sistema troncato e di r+ r‘
quello cornpleto.
La grandezza della divisione delle
separatrici, per degli e piccoli, B espo-
nenzialmente piccola; pekid il fenomeno
della divisione passa facilmente inos-
servato nei calcoli fatti secondo questo
o quello schema della w teoria delle per-
turbazioni n. Ma questo fenomeno B im-
portante nel suo stesso principio. Per Fig. 240. Divisione del-
esempio, la sua esistenza implica im- le separatrici.
mediatamente la divergenza delle serie
di numerose varianti della teoria delle perturbazioni (poich6,
se queste serie convergessero, non vi sarebbe divisione delle
separatrici).
I n generale, la divergenza delle serie della teoria delle pertur-
bazioni (per una buona approssimazione data da alcuni primi
termini) dipende dal fatto che si cerca un oggetto, che non esiste.
Se cerchiamo di simulare il fenomeno con uno schema, che in
realti non ne riproduce i tratti essenziali, allora non sorprende
che le nostre serie divergano.
Le serie di Birkhoff (che si ottengono se non ci si limita con
la riduzione ad alcuni primi termini della serie di Taylor della
funzione di Hamilton, ma si va fino all'infinito) sono uno degli
esempi di whema della teoria delle perturbazioni, formalmente
valido, ma in effetti divergente. Se queste serie convergessero, il
sistema oscillatorio generale a un grado di liberth e a coefficienti
periodici si ridurrebbe, nell'intorno di una posizione di equili-
brio, a una forma normale autonoma e non si avrebbe divisione
delle separatrici (mentre essa esiste).
Tornando alla traiettoria chiusa iniziale, vediamo che ai
tre punti fissi instabili della trasformazione A corrisponde una
traiettoria chiusa instabile, vicina a quella iniziale triplicata.
Esiste una famiglia di traiettorie che tendono a questa traiettoria
instabile per t -+ + oo, e un$ seconda famiglia di traiettorie, che
tendono ad essa per t -t - oo. I punti delle traiettorie di entram-
be queste famiglie formano una superficie regolare, che contiene la
nostra traiettoria instabile.
Queste due superfici sono proprio le separatrici, d i cui si
parlii nelle proposizioni 4, 5, G di pag. 40'3. Per intersezione
aon la nostra sezione trasversale si ottengono le curve invarianti
r+ e r-dell'applicazione A . Queste due curve intersecandosi
formano un reticolo intricato, del quale Poincar6, che per primo
ha scoperto il fenomeno della divisionc delle separatrici, scri-
veva: tLe intersezioni formano una sorta d i reticolo, o tessuto,
o di reticolo a maglie infinitamente strette; nessuna delle due
curve dove mai intersecare se stessa, ma deve ripiegarsi in mod0
estreniamente complesso, per in tersecare un'infinitir di volte
tutte le maglie del reticolo.
Si resta sicuramente folpiti dalla complessiti d i questa
figura, che io non tento rlemmeno di tracciare. Niente ci pub dare
un'idea migliore della complessitir del prohlema dei tre corpi
e di tutti i problemi della dinamica, do-

@
ve non esiste un integrale olomorfo e le
serie di Bohlin sono divergenti n (H. Poin-
car6 I nuovi metodi della meccanica
celeste, a Opere scelte n, t. 2, a Nauka n,
1972, cap. 33).
Bisogna sottolineare che nel quadro
delle separatrici che si intersecano vi
sono ancora molte cose non chiare.
E. Risonanze d'ordine superiore.
Fig. 211. Hamiltoniana Anche le risonanze d'ordine successive
media delle oscillazio,li possono essere studiate per mezzo della
di fase nell'intorno dells forma normale. Osserviamo che le riso-
risonanza 5 : I . nanze d'ordine superiore a 4 general-
mente non provocano instabilitl, poi-
ch6 nella forma normale compaiono termini di quarto grado,
che assicurano un minimo o un massimo di H, persino nella
risonayza.
Nel caso di risoriariza d'ordine n > 4, la modificazione
tipica della rappresentazione d i fase del sistema, con funzione
di Hamilton H,, Q data dalla formula
H, = e t + t2a( t ) + a t n * sen ncp,
2 t = p2 + q2,. a (0) = f1,
e consiste in quanto segue (fig. 241).
Per uno scarto piccolo (dell'ordine di e) della frequenra
rispetto alla risonanza e a una distanza piccola (dell'ordine
di,v.13 dalla posizione di cquilibrio, posta nell'origine delle
cdortlinate, la funzione H,. possiede 2n punti critici nell'intorno
dei vertici del 2n-poligono regolare, con centro nell'origine
delle coordinate. La m e t i di questi punti critici sono di sella,
e la seconda m e t i sono di massimo, se l'origine delle coordinate
6 un punto di minimo, e di minimo, se l'origine delle coordinate
un punto di massimo. I punti di sell e quelli stabili si alter-
nano. Tutti gli n punti d i sella sono situati su unlivello della
funzione Ho e le loro separatrici, che congiu~lgonoselle succ6s-
sive, .formano n cr isole v , ognuna delle quali B riempita da curve
d i fase chiuse, che circondano il punto etabile. La larghezza
delle isole B dell'ordine di e(n/4)-'. Le curve d i fase chiuse all'in-
terno di ogni isola si chiamano oscillazioni di fuse (poich6, in
principio, varia la fase delle oscillazioni intorno all'origine
delle coordinate). I1 periodo delle oscillazioni d i fase, a1 dimi-
nuire del disaccordo di frequenza e, cresce come I ? - ~ / ~ .
All'interno dello stretto anello, formato dalle isole, piin
vicino all'origine delle coordinate, sono contenute delle curve
d i fasc chiuse clle circondano l'origine; all'esterno dell'anello,
le cllrre di fase sono ugualmente chiuse, ma il mot0 su di esse

il raggio dell'anello B dell'ordine di


-
avviene nel senso opposto rispetto all'interno. Osserviamo che
1 e 1, indipendentemente
dall'ordine della risonanza, purch6 esso sia superiore a 4. Inoltre,
l'anello di isole esiste solo per uno dei due segni di e.
Passando dal sistema troncato di hamiltoniana H, a quello
completo, le separatrici si dividono in mod0 simile a quello
descritto sopra per la risonanza d'ordine 3. La grandezza della
divisione delie separatrici 6 esponenzialmente piccola (dell'ordine
d i e - l ~ e " ' ~ )tuttavia
, la divisione ha un valore di principio per lo
studio della stabiliti, particolarmente nel caso multidimensionale.
Tornando alla nostra traiettoria chiusa iniziale, otteniamo
il seguente quadro. Quando ci si avvicina alla risonanza lungo
I'asse E da un determinato lato1, due curve si dividono dalla
traiettoria periodica: l'una stabile, l'altra instabile. Queste nuove
traiettorie si chiudono dopo aver compiuto n giri - lungo quella
iniziale, da cui la loro distanza B dell'ordine di 1/ I e I. Nell'intor
no della traiettoria stabile si ha ,una zona di oscillazioni di fase
lente, di periodo dell'ordine di ~ - n ! 4 e di ampiezza dell'ordine
di nln nella direzione azimutale e dell'ordine di ~ ( n 1 Q - i in quella
radiale. Non avviene una perdita di stabilith della traiettoria
periodica iniziale a1 passaggio per la risonanza, almeno nell'ap-
prossimazione da noi considerata.
I1 caso della risonanza del quarto ordine fa un po' eccezione.
I1 fatto B che in questo caso nella forma normale si hanno termini
d i quarto grado, sia risolia~ltiche non risonanti. La forma delle
curve di fase del sistema troncato dipende allora dal termine
preponderante. Nel caso di un termine risonante, la modificazione
B la stessa che per la risonanza del terzo ordine, solo che a1 posto
del triangolo avremo un quadrato. Nel caso di un termine non
risonante, la modificazione B la stessa che per n )4.
A differenza della risonanza'd'ordine;3, er la quale esiste su entram-
bi i lati della risonanza una traiettorir period;ca instabile, che si divide.
In conclusione, osserviamo che l'approssimazione data dalla
forma normale B tanto migliore, quanto pih siamo vicini alla
risonanza (e << 1) e .quanta minore B lo scarto del punto iniziale
rispetto alla traiettoria periodica. Pih esattamente, avvicinando~l
a un rapport0 esatto tra il periodo della traiettoria chiusa e il
periodo di oscillazioni delle traiettorie vicine e approssimandosi
la condizione iniziale alla traiettoria chiusa, cresce I'intervallo
di tempo sul quale la nostra approssimazione descrive corretta-
mente l'andamento delle curve di fase.
Nessuna conclusione si pi6 trarre dai nostri ragionamenti
sul comportamento delle curve di fase non chiuse (per esempio,
sulla stabilitl nel senso di Ljapunov della traiettoria periodica
iniziale), dato che i termini di grado elevato trascurati nella ridu-
zione alla forma normale possono, su un intervallo di tempo
infinito, cambiare completamente il carattere del moto. In
realti, nelle condizioni considerate, la traiettoria periodica ini-
ziale B stabile nel senso di Ljapunov, ma la dimostrazione richie-
de nuovi concetti rispetto alla forma normale di Birkhoff (vedere
1'Appendice 8).
Appendice 8
'l'eoria delle perturbazioni dei moti quasi periodici
e teorema di Kolmogorov

L'insieme di problemi esattamente a integrabili n a nostsa


disposizione non B enorme (problemi a una dimensione, mot0 di
un punto in un campo centrale, mot0 euleriano e lagrangiano
del corpo rigido, problema di due cent.ri fissi, mot0 lungo una
geodetica di un ellissoide). Tuttavia, per mezzo di questi a casi.
integrabili 9, siipub ottenere un'informazione piuttosto significa-
tiva sul mot0 di numerosi sistemi importanti, considerando il
problema integrabile come una prima approssimazione.
Un esempio 6 fornito dal problenla del mot0 dei pianeti
intorno a1 Sole, in base alla legge della gravitazione universale.
La massa dei pianeti Q circa la millesinla parte della massa del
Sole e quindi, in prima approssimazione, si pub trascurare la loro.
interazione e tener conto solo dell'attrazione esercitata su di
essi da parte del Sole. Si ottiene cosi il problema esattamente
integrabile del mot0 dei pianeti non interagenti intorno a1 Sole;
ogni pianeta, indipendentemente dagli altri, deacriverb la sua
ellisse kepleriana e il mot0 del sistema 9ari globalmente quasi
periodico. Se ora si tiene conto dell'interazione tra i pianeti,
allora il mot0 kepleriano di ogni pianeta varierb.
La teoria delle perturbazioni della meccanica celeste B chia-
mata a tener conto di questa interazione.
E chiaro che il calcolo su un period0 di tempo dell'ordine
di 1000 anni non deve offrire, in linea di principio, delle difficol-
tb. Tuttavia, se noi vogliamo studiare intervalli di tempo pih
lunghi, e soprattutto se ci interessiamo a1 comportamento delle.
soluzioni esatte delle equazioni del mot0 su un intervallo di tem-
po infinito, allora tali diff icolti sicuramente sorgeranno.
I1 fatto Q che I'accumulazione di perturbazioni, durante un
intervallo di tempo grande in confront0 a mille anni, pub causars
una modificazione completa del carattere del moto: per esempio,.
i pianeti possono cadere sul Sole, allontanarsene e urtare tra d6
loro.
Notiamo che il comportamento delle soluzioni delle equa-
zioni di mot0 su intervalli di tempo infiniti ha un rapport0 solo
indiretto con il problema d'el mot0 dei pianeti reali. Infatti, su
intervalli di tempo dell'ordine del miliardo di anni, si risentono
fortemente gli effetti non conservativi piccoli,' trascurati nelle
equazioni di Newton. Dunque, gli effetti dell'interazione gravita-
zionale dei pianeti sono realmente essenziali solo se modificano
seriamente il carattere del mot0 su un intervallo di tempo finito,
piccolo in confronto al tempo che occorre agli effetti non conserva-
tivi per manifestarsi.
Nel calcolo del mot0 su tale intervallo di tempo finito sono
di valido aiuto i calcolatori, che determinano velocemente il mot0
dei pianeti su migliaia di anni passati o futuri.
Tuttavia, bisogna sottolineare che persino l?uso dei calcola-
tori pi^ recenti pub essere inadeguato a predire I'influenza delle
perturbazioni, se il punto di fase cade nella zona di instabilita
esponenziale.
I metodi asintotici e qualitativi hanno un'importanza ancora
maggiore per lo studio del mot0 di particelle cariche in campi
magnetici, poich6 la particella supera in velocita il calcolatore
e riesce a compiere tanti giri, che la determinazione della sua
traiettoria per mezzo del calcolatore B impossibile persino in
aseenza di instabilitl esponenziale.
Tutta una serie di metodi B stata elaborata per tener conto
.delle perturbazioni in meccanica celeste. (Una loro trattazione
dettagliata si trova nell'opera di H. Poincar6 Nuovi metodi dell&
meccanica celeste, u Opere scelte n, tt. 1 e 2, M., u Nauka n, 1971
e 1972.) La particolaritl di tutti questi metodi B che essi condu-
con0 a delle serie divergenti e quindi non danno alcuna informa-
zione sul comportamento del mot0 globale su intervalli di tempo
infiniti.
I1 motivo della divergenza delle serie della teoria delle
perturbazioni sono i u piccoli divisori n: combinazioni lineari
intere di frequenze dei moti non perturbati, per cui bisogna divi-
dere per calcolare l'influenza delle perturbazioni. Nel caso della
risonanza esatta (cio8 per frequenze commensurabili) questi
divisori si annullano e il termine corrispondente della serie della
teoria delle perturbazioni diventa infinito. Nell'intorno della
risonanza questo termine B molto grande.
Cosi, per esempio, nel loro mot0 intorno a1 Sole Ciove e
Saturno percorrono rispettivamente circa 299 e 120,5 secondi
d'arco per giorno. Dunque, il divisore 2uG - 5 u S B molto picco-
lo, in confronto a ognuna di queste frequenze. Cib conduce a una
grande perturbazione reciproca di questi pianeti, di periodo lungo
(il suo periodo B di circa 800 anni); lo studio da parte di Laplace
di questo effetto B stato uno dei primi successi della teoria delle
perturbazioni.
Notiamo che la difficolth posta dai piccoli divisori B fonda-
mentale. In effetti i numeri razionali formano un insieme ovunque
denso. Percib, nello spazio delle fasi del problema non perturbato
le condizioni iniziali, per le quali si ha risonanza e i piccoli divi-
aori si annullano, formano nn insieme ovunque denso. Conseguen-
temente, le funzioni, cui conducono le serie della teoria delle
perturbazioni, possiedono nn insieme ovunque denso di punti
singolari.
La difficoltii indicata non Q caratteristica solo dei problemi
della meccanica celeste, ma di tutti i problemi vicini a problemi
integrabili (per esempio, del problema del mot0 di una trottola
pesante asimmetrica, in rotazione rapida). Poincar6 ha persino
defir~itoproblema fondamentale della dinamica quello dello studio
delle perturbazioni dei moti quasi periodici di un sistema, defi-
nito dall'hamiltoniana
H. = HO ( I ) + a1(1, cp), e < 1,
nelle variabili l'azione I Q un angolo cp.
Qui H , indica l'hamiltoniana del problema non perturbato,
mentre EHl Q la perturbazione, che 6 una funzione 2n-periodica
.
delle variabili angolari rp,, . ., 9,. Nel problema non perturba-
to (e = 0), gli angoli cp variano uniformemente, con frequenze
costanti
= aHOIarR,
mentre tutte le variabili d'azione sono degli integrali primi.
Bisogna studiare le curve di fase delle equazioni di Hamilton

nello spazio delle fasi, definito dal prodotto diretto di un dominio


.di uno spazio n-dimensionale, munito delle coordinate I, e di un
toro n-dimensionale, munito delle coordinate angolari cp.
UII importante progress0 nello studio delle curve di fase
perturbate di questo problema I! stato avviato nel 1954 dal lavoro
di A. N. Kolmogorov Sulla conservazione dei moti quasi periodici
per una piccola variazione della funzione di Hamilton, DAN 98.
n. 4, 1054, 527-530 (in russo). Nella presente appendice si espongo-
no i principali risultati ottenuti da allora in questo campo. Le
dimostrazioni si possono trovare nei lavori seguenti:
V. I. Arnold Piccoli divisori I, Sulle applicazioni della circon-
,
ferenza in se stessa, u Izvestija Akademii Nauk SSSR 25, n. 1,
1961, 21-86 (in russo).
V. I. Arnold Piccoli divisori 11, Dimostrazione del teoremu
di A . N. Kolmogorov s u l k conservazione dei moti quasi periodici
per una piccola variazione delk funzione di Hamilton, u Uspekhi
matematiteskikh nauk n 18, n. 5, 1963, 13-40 (in russo).
V. I. Arnold Piccoli divisori 111, Piccoli divisori e problemi
di stabilith n e l h meccanica classica e celeste, u Uspekhi matemati-
Zeskikh nauk n 18, n. 6, 1963, 81-192 (in russo).
V. I. Arnold, A. Avez Probl2mes ergodiques de la mecaniqw
classique, Paris, G. V., 1967.
J. Moser Sulle curve invarianti di un'applicazione di un a n e l b
in se stesso, che conserva le wee, Nachr. Acad. Wiss. Gottingen,
u Math. Phys 8 K1 11 a, n. 1, 1962, 1-20 (in inglese).
J. Moser Cln metodo di interazione rapidamente conver-
gente ed equazioni differenziali non lineari, Annali della
Scuola Norm. Sup. di Pisa, Ser. 111 20, n. 2, 1966, 265-315, n. 3,
1966, 499-535.
J. Moser Sullo sviluppo dei moti quasi periodici in serie di
potenze convergenti, u Uspekhi matematifeskikh nauk B, t. 24,
n. 2, 1969, 165-211 (in rus~o).(Math. Ann. 169, 1967, 136-176,
in inglese.)
C. L. Siege], J. K. Moser Lectures on Celestial Mechanics,
Springer, 1971.
S. Sternberg Celestial Mechanics I , 11,N.Y., Benjamin, 1969.
Prima di formulare questi risultati, discuteremo brevemente
il comportamento delle curve di fase del problema non perturbato,
g i i studiato a1 capitol0 10.
A. Moto non perturbato. Un sistema di hamiltoniana Ho (I)
possiede n integrali primi in involuzione (n variabili d'azione),
Ogni insieme di live110 di tutti questi integrali B un toro n-dimen-
sionale nello spazio delle fasi di dimensione 2n. Questo toro
B invariante rispetto a1 flusso di fase del sistema non perturbato:
ogni curva di fase, che esce da un punto di un tale toro, resta su
di esso.
I1 mot0 del punto di fase su un toro invariante I = cost
B quasi periodico. Le frequenze di questo mot0 sono le derivate
dell'hamiltoniana non perturbata rispetto alle variabili d'azione
cpk = oh(I), dove ok = aHo/81k.
Dunque, la curva di fase ?I ovunque densa su un toro, la cui dimen-
sione B uguale a1 numero delle frequenze oh razionalmente indi-
pendent i.
Notiamo che le frequenze dipendono da quale toro conside-
riamo, cioB dai valori degli integrali primi che abbiamo fissato.
In generale, il sistema delle n funzioni o nelle n variabili I B fun-
zionalmente indipendente; in tal caso possiamo facilmente nume-
rare i tori con le frequenze, prendendo le variabili o come coordi-
nate nell'intorno del punto considerato nello spazio delle varia-
bili d'azione I.
I1 caso di frequenze funzionalmente indipendenti viene detto
caso non &genere. Dunque, la condizione di. non degenerazione si
scrive
Cosi, nel caso non degenere, sui diversi tori invarianti dello
spazio delle fasi del problema non perturbato si realizzano moti
quasi periodici a differente numero di frequenze. I n particolare,
un insieme ovunque denso nello spazio delle fasi Q formato dai
tori invarianti, sui quali il numero delle frequenze 6 il massimo
possibile (cio6 n); questi tori vengono chiamati non risonanti.
Si pui, mostrare che i tori non risonanti formano nello spazio
delle fasi un insieme di misura piena, cosicchk la misura di Lebes-
gue dell'unione di tutti i tori invarianti risonanti del sistema non
perturbato non degenere B nulla. Ciononostante i tori invarianti
risonanti esistono e si alternano con quelli non risonanti, in mod0
tale da formare anch'essi un insieme ovunque denso. Non solo,
B ovunque denso l'insieme di tori risonanti a numero qualunque
cti frequenze indipendenti, da 1 a n - 1. I n particolare, formano
rin insieme ovunque denso i tori invarianti, sui quali tutte le
curve di fase sono chiuse (il numero delle, frequenze indipendenti
e 1).
Osserviamo, tuttavia, che la probabiliti di imbattersi in un
toro risonante, per una scelta casuale del punto iniziale nello
spazio delle fasi del sistema non perturbato, B nulla (cosi come
quells di imbattersi in un numero razionale, scegl iendo casual-
mente un numero reale). Dunque, trascurando gli insiemi di misu-
ra nulla, si pu6 dire che quasi tutti i tori invarianti del sistema
non perturbato non degenere sono non risonanti e possiedono una
collezione completa di rz frequenze razionalmente indipendenti.
Su un toro non risonante la traiettoria di un mot0 quasi perio-
d i c ~B ovunque densa. Dunque, per quasi tutte ie condizioni
iniziali, la curva di fase di un sistema

@
no11 perturbato non degenere 6 ovun-
que densa su un toro invariante, la
cui dimensione B uguale a1 numero di
gradi di liberti del sist.ema (cioB alla
m e t i della dimensione dello spazio
delle fasi).
Per avere un'idea migliore di
tutto il quadro, studiamo il caso di
due gradi di liberti (n = 2). I n questo Fig. 212. Tori invarianti in
c.aso lo ,cpazio delle fasi ha dimensione una rarieta tridimensional^
4. Perci6, gli insiemi di livello d'ener- di livello d'energia.
gia sono tridimensionali. Fissiamone
uno. Si t.ratta di una varieti tridimensionale, fibrata in tori
invarianti bidimensionali, che si pu6 rappresentare nello spazio
ordinario tridimensio~lalecome una famiglia di tori concentrici,
immersi l'uno nell'altro (fig. 242).
Le curve di fase sono eliclie di questi tori, mentre le due
frequenze di rivoluzione variano da toro a toro. Nel caso generale,
varieranno da toro a toro non solo entrambe le frequenze, ma
anche il loro rapporto. Se l a derivata del rapporto delle frequenze
rispetto alla variabile d'azione, che numera i tori sul dato insie-
me di live110 della. funzione H,,6 non nulla, allora diremo che il
nostro sistema B isoenergeticamente non de'gewe. La condizione
di non degenerazione isoenergetica (come si calcola facilmente)
si scrive
-
d2Ho -
dl8
8H0
dI
det # 0.
-
dH0
dI
0

Le condizioni di non degenerazione e lion degenerazione


isoenergetica sono indipendenti tra loro, cioB un sistema non
degenere pub essere isoenergeticamente degenere e viceversa.
Nel caso multidimensionale ( n >2), la non degenerazione iso-
enorgetica significa la non degenerazione della seguente eapplica-
zione della varieti di dimensione n - 1 della.funzione H,,, delle
n variabili d'azione, nello spazio proiettivo di dimensiove n - 1:
1- (ul (I): u * (I): . . .: con (I)).
Dunque, consideriamo un sistema isoenergeticamente non
degenere a due gradi di liberti. Si costruisce facilmente una sezio-
ne bidirnensionale, che tagli trasversalmente i tori bidimensionali
della nostra famiglia (Inngo una famiglia di circonferenze con-
centriche nel modello costruito nello spazio eucl.ideo tridimensio-
nale).
Una curva di fase, che esce da questa sezione, torneri nuova-
mente su essa, dopo aver fatto un giro di toro. Otteniamo 'cosi
un nuovo punto sulla stessa circonferenza lungo la quale il toro
interseca la sezione. Si origina dunque un'applicazione della
sezione in ze stessa.
Questa applicazione del piano in se stesso lascia a1 loro posto
i cerchi meridiani concentrici, lungo i quali i tori invarianti
tagliano il piano. Inoltre ogni ccrchio ruota di un certo angolo,
pih precisamerite di una frazione di giro completo, uguale a1
rapporto tra la frequenza su un meridian0 e quella sull'equatore.
Conseguentemente, se il sistema B isoenergeticamente non degene
re, I'angolo di rotazione dei cerchi invarianti sul piano della
~ezionecambierl da un cerchio all'altro.
Dunque, su alclilie circonferenze questo angolo sari com-
mensurabile con un giro completo, su altre no. Le une e le altre
formeranno un insieme ovunque denso, ma su quasi tutte le cir-
conferenze (nel senzo della misura di Lebesgue) I'angolo di rota-
zione sari incommensurabile con un giro completo.
La commensurabil it 5 e 1' incommensurabiliti agiscono nel
mod0 seguente sul comportamento dei punti della circonferenza
in esame, per l'applicazione della sezione in se stessa. Se l'ango-
lo di rotazione B commensurabile con un giro completo, allora,
dopo alcune iterazioni dell'applicazione, il punto ritorna alla
posizione iniziale (il rlumero delle iterazioni B tanto maggiore,
quanto maggiore B il denominatore della frazione esprimente
l'angolo d i rotazione). Se invece l'angolo di rotazione B incom-
mensurabile con un giro completo, allora le immagini successive
del punto, per ripetizione dell'applicazione, sono ovunque dense
sulla circonferenza meridiana.
Oseerviamo ancora che la commensurabilitii corrisponde a i
tori risonanti e I'incommensurabiliti a quelli 11&1 risonanti.
Osserviamo ancora che l'esistenza di tori risonanti implica la
seguente proprieti. Consideriamo una potenza dell'applicazione
della nostra sezione in se stessa, realizzata dalle curve di fase.
Ammet.tiamo che l'indice della potenza sia uguale a1 denomina-
tore della frazione, che esprime il rapport0 tra lo frequenze su uno
dei tori risonanti. Allora l'applicazione, elevata alla potenza
indicata, possiede un' intera circonferenza composta tutt a di
punti fissi (piii esattamente, un meridian0 del toro risonaiite
considerato).
Un tale comportamento dei punti f i ~ s iB innaturale per le
applicaxioni di qualunque lorma, quanto si vuole particolare,
persino per quelle canoniche (generalniente i p u ~ i t iissi
i eono ieola-
ti): In qnesto caso, 6 apparsa un'intera circonfel-enza di punti
fissi, perch6 abbiamo considerato un sist.ema integrabile non
perturbato. Per uiia perturbazione generica, piccola qualito si
vuole, la proprieti ir~dicata(di possedere un'intera circonfere~iza
di punti fissi) deve venir meno. La circonferenza di punti fissi
deve disgregarsi, in mod0 tale che ne resti solo un ~iumerofinito.
In altri termini, per una piccola perturbazione del ~lostro
sistema integrabile, ci si deve aspettare una variazione nell'anda-
mento delle curve di fase, almeno lie1 senso che i tori invaria~iti
interi riempiti di curve di fase chiuse devono decomporsi. per
c i ~ rimane
i un numero finito di curve chiuse vicine a quelle non
perturbate, mentre le altre curve si comporteranno in maniera
piii complicata. Abbiam g i i incontrato questo caso, all'Appen-
dice 7, nello studio delle oscillazioni di fase nell'intorno della
risonanza.
Vediamo ora cosa accade ai tori invarianti lion risonanti,
per una piccola perturbazione della funzione di Hamilton. L'ap-
plicazione formale del principio della media (cioB la prima appros-
simazione. della teoria classica delle perturbazioni, vedere il
5 52) porta alla conclusione che un toro non risonarzte non subisce
nlcunn evoluzione.
Sottolineiamo che qui l'hamiltonicitl della perturbazione
6 essenziale, poichC per una perturbazione non conservativa le
variabili d'azione possono evidelitemente evolvere. Nella mec-
canica celeste la loro evoluzione indica una variazione secolare
dei semiassi maggiori delle ellissi kepleriane, cio6 la caduta dei
pianeti sul Sole o la loro collisione o il loro allantanamento a una
grande distanza, in un tempo inversamente proporzionale alla
grandezza della perturbazione. Se le perturbazioni non conserva-
tive conducessero a un'evoluzione in prima approssimazione, cib
s i ripercuoterebbe sul destino dei pianeti in un intervallo di
tempo dell'ordine di 1000 anni. Per fortuna, l'ordine di grandezza
delle perturbazioni non conservative 6 molto minore.
I1 teorema di Kolmogorov, dimostrato pih in basso, giusti-
fica la conclusione della teoria non rigorosa delle perturbazioni
relativa all'assenza di evoluzione delle variabili d'azione.
B. Tori invarianti del sistema perturbato.
Teorema. S e un sistema hamiltoniano non perturbato b non
&genere, allora, per urn perturbazione hamiltoniana conservativa
sufficientemente piccola, la maggioranza dei tori invarianti non
risonanti non sparisce, ma si deforma solo un poco, in modo che nello
spazio delle fasi del sistema perturbato vi sono ugualmente dei tori
invarianti, su cui sono ovunque dense le curve di fase, che li avvolgono
in modo quasi periodico, con numero di .frequenze pari a1 n u w o
di gradi di libertit del sistema.
I tori invarianti indicati sono la maggioranza, nel senso che
la misura del complemento della loro unione b piccola insieme alla
perturbazione.
La dimostrazione di questo teorema di Kolmogorov si basa
sulle due seguenti osservazioni.
1. Fissiamo un insieme non risonante di frequenze del siste-
ma non perturbato, tale che le frequenze non solo siano indipen-
denti, ma non soddisfino neanche approssimativamente nessuna
relazione di risonanza di ordine piccolo.
In termini piii precisi, si fissa un insieme di frequenze o, per
cui esistono C e v, tali che I ( o , k) I >C I k 1" per tutti i vettori
interi k f 0.
Si pui, mostrare che, se v Q abbastanza grande (diciamo
v =n + I ) , la misura dell'insieme dei vettori o (contenuti in
un dominio limitato fissato), per i quali la condizione di non
risonanza non b soddisfatta, b piccola insieme con C.
In seguito, cercheremo nell'intorno del toro invariante non
risonante del sistema non perturbato, che corrisponde ai valori
fissati delle frequenze, un toro invariante del sistema perturbato,
sul quale avviene un mot0 quasi periodico esattamente con le
stesse frequenze che noi abbiamo fissato, le quali, dunque, sod-
disferanno la condizione di non risonanza scritta sopra.
Dunque, invece di variare la frequenza, come si fa abitual-
mente in molti schemi della teoria delle perturbazioni (il che
consiste nell'introdurre delle frequenze dipendenti dalla pertur-
hazione), si devono mantenere le frequenze non ris0nanti.e costan-
ti e prendere le condizioni iniziali per la perturbazione data, cosi
da ottenere un mot0 a frequenze fissate. Si pub ottenere cib con
una variazione delle condizioni iniziali piccola, dell'ordine della
perturbazione, perch6 le frequenze variano con le variabili d'azio-
ne per la condizione di non degenerazione.
2. La seconda ossorvazione Q che per la ricerca del toro inva-
riante, invece degli sviluppi in serie di potenze della perturba-
zione, comuni a molti schemi della teoria delle perturbazioni,
si pub usare un metodo rapidamente convergente, del tip0 di
quello delle tangenti di Newton.
I1 metodo delle tangenti di Newton per la ricerca delle radici
delle equazioni algebriche, con un errore iniziale e, dh dopo
n approssimazioni un errore dell'ordine di a*". Tale superconver-
genza permette di neutralizzare lleffetto dei piccoli divisori,
che compaiono a ogni approssimazione, e si riesce, infine, non
solo a effettuare un numero infinito di approssimazioni, ma anche
a dimostrare la convergenza di tutta la procedura.
Le ipotesi, affinch6 si possa fare tutto cib, consistono nell'ana-
liticith e non degenerazione dell'hamiltoniana non perturbata
H, ( I ) e nell'analiticiti e 2rc-periodicith, nelle variabili angolari
'q,dell'hamiltoniana perturbatrice eH, (I, cp). La presenza del
piccolo parametro e non Q essenziale: Q soltanto importante che
la perturbazione sia sufficientemente piccola in un intorno com-
plesso qualunque di raggio p del piano delle variabili reali cp (pic
piccola di una funzione positiva M (p, Ho)).
Come ha mostrato J. Moser, la condizione di analiticiti
pub essere sostituita dalla differenziabiliti d'ordine sufficiente-
mente elevato, se si combina il metodo di Newt0.n con la regola-
ritA delle funzioni ad ogni approssimazione, proposta da J. Nash.
I moti quasi periodici cosi ottenuti del sistema perturbato,
con frequenze fissate o, risultano essere persino delle funzioni
regolari (nel caso analitico, analitiche) del parametro della per-
turbazione e. Quindi, si potrebbero cercare, senza utilizzare il
metodo di Newton, anche sotto forma di una serie di potenze di
e. I coefficienti di questa serie, detta serie di Lindstedt, si possono
effettivamerlte calcolare; ma la dimostrazione della sua conver-
genza si pub fare solo indirettamente, per mezzo delle approssi-
m ~ z i o n idi Newton.
C. Zone di instabilith. La presenza di tori invarianti nello
spazio delle fasi del problema perturbato .significa che, per la
maggior parte delle condizioni iniziali, il moto di un sistema vi-
cino a quello integrabile resta quasi periodico, con un numero
massimo di frequenze.
Viene spontaneo domandarsi che cosa accade .alle restanti
curve di fase, le cui condizioni iniziali si trovano nelle aperture
formatesi tra i t.ori invarianti, al posto dei tori invarianti riso-
nanti del problenla non perturbato.
La decomposizione del toro risonante, sul quale il numero
delle frequenze b di un'unith inferiore a quello totale, si studir
facilmente in una prima approssimazione della tebria delle per-
turbazioni. Per questo bisogna fare la media della perturbazione
sui tori invarianti di dimensione n - 1, in cui si decompone il
toro invariante risonante e sui quali sono ovunqne dense le curve
di fase del sistema non perturbato. Come risultato della media
otteniamo un sistema conservative a un grado di liberth (vedere
lo studio delle oscillazioni di fase nell'intorno della risonanza,
fatto nell'Appendice 7), che si studia facilmente.
Nell'approssimazione considerata ottenianlo nell'intorno
del toro risonante n-dimensionale decomposto una colleziolie di
tori di dimensione n - 1, alternativamente stabili e instabili;
inoltre intorno a quelli stabili avvengono delle oscillazioni di
fase. I moti quasi periodici che gli corrispondono possiedono
una collezione completa di n frequenze, cornposta di n - 1 fre-
quenze rapide delle oscillazioni iniziali e di una frequenza lento
(dell'ordine di C/ F) delle oscillazioni di fase.
Ma non si deve pensare che tutta la differenza tra i moti dei
sistema perturbato e quelli del sistema non perturbato si riduca
all'apparizione delle 4 isole B di oscillazioni di fase. In realth il
fenomeno B molto pih complesso della prima approssimazione
fattane sopra. Una delle conseguenze di questo colllportamento
complesso delle curve di fase del sistema perturbato B la divisione
delle separatrici, discussa all'Appendice 7.
Per lo studio dei moti del sistema perturbato all'esterno dei
tori invarianti, bisogna distinguere il caso di due e di un numero
maggiore di gradi di liberth. Nel caso di due gradi di libertl la
dimensione dello spazio delle fasi i. uguale a 4 e la varieth di li-
vello d'energia b tridimensionale. Perci6 i tori i~ivariantibidi-
mensionali dividono l'insieme di livello d'energia.
Inoltre, una curva di fase del sistema perturbato, clie ha
inizio in un'apertura tra due tori invarianti, resta indefinita-
mente chiusa tra questi tori. Dunque, per quanto questa curva
sia complessa, essa non esce dall'apertura compresa tra i tori e
le corrispondenti variabili d'azione restano indefinitamente nel-
I'intorno delle loro condizioni iniziali.
Se invece il numero n dei gradi di libertl B maggiore cli due,
allora i tori invarianti n-dimensionali non dividono la varietii di
dimensione 2n - 1 di livello d'energia; ma sono clisposti in' essa
csme dei punti nel piano o delle linee nello spazio. In questo caso
le w aperture n corrispondenti alle diverse risonanze sono unite
tra loro, e perci6.i tori invarianti non impediscono a una curvi~
di fase, che inizia nell'inton~odella risonanza, di allontanarsi.
Dunque, non vi B ragione per aspettarsi che le variabili d'azione
restino sempre vicine, lungo tale curva di fase, ai loro valori ini-
ziali.
In altri termini, nei sistemi a due gradi di libertl (che veri-
fichino, come in generale avviene, la condizione di non degenera-
zione isoenergetica), per delle perturbazioni sufficieatemente
piccole, le. variabili d'azione lungo una traiettoria d i fase non sol-
tanto non possiedono perturbazione secolare in nessuna appras-
simazione della teoria delle perturbazioni ( c i d variano poco su
un intervallo di tempo dell'ordine di (ile)N, per N arbitrario,
dove e Q la grandezza della perturbazione), ma restan.0 anche in-
definitamente nell'intorno dei lorn valori iniziali, cosi per le
curve di fase non risonanti, che riempiono in mod0 quasi periodico
dei tori bidimensionali (e che costituiscono la maggior parte dello
spazio delle fasi), come per le restanti condizioni iniziali.
Nello stesso tempo, esistono dei sistemi, con un numen, di
gradi di liberti maggiore di due, che verificano tutte le condizioni
di non degenerazione, nei quali, nonostante che per la maggior
parte delle condizioni iniziali il mot0 sia quasi periodico, per
alcune di esse B possibile che le variabili d'azione si allontanino
lentamente dai loro valori iniziali. La velocith media di questo
allontanamento negli esempi noti1 B dell'ordine di e-11- cioi
essa diminuisce pifi velocemente di qualunque potenza della per-
turbazione, quando questa tende a zero. Non Q dunque sorpren-
dente che l'allontanamento indicato non si osservi in nessuna
approssimazione della teoria delle perturbazioni (qui per velocith
media si intende il rapport0 tra l'incremento delle variabili d'azio-
ne e il tempo, cosicchk in effetti si parla di un increment0 del-
l'ordine di l durante un intervallo di tempo grande dell'ordine
di e l l r q .
Una maggiorazione della velociti media di allontanamento
delle variabili d'azione dalle condizioni iniziali, nei sistemi gene-
rali di equazioni canoniche di Hamilton a n gradi di liberth vicini
a sistemi integrabili, Q contenuta in un recente lavoro di N. N. Ne-
khorobev 2.
Questa maggiorazione, cosi come la minorazione indicata
sopra, B della forma e-'led; dunque l'incremento delle variabili
d'azione 6 piccolo, finch6 6 piccolo il tempo in confront0 a elled
se a < e,. Qui e B la grandezza della perturbazione, d un numero
compreso tra 0 e 1, definito, come E,, dalle proprietir dell'hamil-
toniana non perturbata H,. Inoltre, all'hamiltoniana non pertuq
bata B imposta una condizione di non degenerazione (che 6 lunga
da formulare, ma che in generale L; soddisfatta; in particolare B
sufficiente la convessiti quadratica dell'hamiltoniana non pertur-

1 Vedere V. I. Arnold Instabitit& dei sistemi dfnamici a molt[ g r d


df liberth, a Doklady Akademii Nauk SSSR v 156, n. I, 1964, 9 4 2 (in msso).
V. N.. NekhoroSev Sul comportamento dei sistemf harniltonhni uictnl
a sistemi intqrabili, a Funktsionalnyj analiz i ego prilogenija D, t. :5, fase. 14,
1971, 82-83 (in russo).
bata, cio6 che il differenziale second0 della funzione Ho sia de-
finite positivo o negativo).
E evidente, dalla maggiorazione indicata, che le variazioni
secolari delle variabili d'azione non sono percepite in nessuna ap-
prossimazione della teoria delle perturbazioni, dato che la velo-
cith media di queste variazioni i! esponenzialmente piccola. Os-
serviamo inoltre che le variazioni secolari delle variabili d'azione
non hanno visibilmente un carattere di legge precisa, ma si pre-
sentano como un cammino piii o xneno aleatorio lungo le risonanze
intorno a tori invarianti. Per una trattazione piii in dettaglio dei
problemi qui sollevati, si veda l'articolo di G. M. Zaslavskij
e B. V. Cirikov Instabilitd stocastica &lle oscillazioni non lineari,
a Uspekhi fiziteskikh nauk a, t. 105, n. 1, 1971, 3-39 (in russo).
D. Diverse formulazioni del teorema sui tori invarianti.
Delle proposizioni analoghe a1 teorema sulla conservazione dei
tori invarianti in un sistema autonomo sono state dimostrate
per equazioni non autonome a coefficienti periodici e per appli-
cazioni simplettiche.
Altri casi, in cui si ritrovano delle proposizioni analoghe,
sono legati alla teoria delle piccole oscillazioni nell'intorno di
una posizione di equilibrio di un sistema autonomo o di un sistema
a coefficionti pcriodici, ed anche nell'intorno di una curva chiusa
del flusso di fase o nell'intorno di ua punto fisso di un'applica-
zione simplettica.
Le condirioni di rlon degenerazione richieste variano da caso
a caso. Per questo r~oile citeremo qui a titolo d'informazione.
Ci limiteremo alle pih se~nplicicondizioni di non degenerazione,
che so110 soddisfatte ~ i e isistemi di u tip0 generic0 a. In molti
casi le condizioni possono essere rese meno restrittive, ma il van-
taggio cosi ottcnuto non vale la complicazione della formulazione.
1. Sistema autonqmo. Funzione di Hamilto11
+
H = Ho (I) &HI ( I , (r), I E G c Rn, cp mod 2n E Tn.
La condizione di non degenerazione

garant.isce la co~~wrvazione' tlella maggior parte dei tori iqva-


rianti, per una piccola perturbazione ( e << 1).
La condizione tli rion degenerazione isoenergetica

garantisce l'eeistcnza, su ogni varietl di live110 d'energia, di un


1 Si intende che in seguito alla pcrturbazione i tori si deformano un poco.
insieme di tori invarianti, il cui complemento ha una misura
piccola. In generale, le frequenze su questi.tori dipendono dalla
grandezza della perturbazione, ma i loro rapporti si conservano
a1 variare di e.
Se n = 2, la condizione di no11 degenerazione isoenergetica
garantisce anche la stabiliti delle variabili d'azione, nel senso
che esse restano indefinitamente nell'intorno dei loro ralori inii
ziali, per una perturbazione sufficientementc piccola.
2 . Sistema periodico. Funzione di Hamilton
H = Ho (I) +f l i ( I , cp, t),
I 6 G c Rn, cp mod 2n 6 T";
la perturbazione 6 di period0 211, non solo rispetto a cp, ma anche
rispetto a t. E naturale considerare il sistema non perturbato nello
spazio di dimensione 2n + 1 {(I, cp, t)) = Rn X Tn+l. I tori
invarianti hanno dimensione n + 1. La condizione di non dege-
nerazione

garantisce la conservazione della maggior parte dei tori invarianti


di dimensione n + 1, per una perturbazione piccola (e << 1).
Se n = 1, questa condizione' di non degenerazione garantisce
anche la stabiliti della variabile d'azione, nel senso che essa

-
rimane indefinitamente nell'intorno del suo valore iniziale, per
una perturbazione sufficientemente piccola.
3. Applicazione ( I , cp)
sionale n. Funzione generatrice
(I', cp') di una u corona 2n-dimen-

La condizione di non degenerazione

garantisce la conservazione della maggior parte dei tori invarianti


dell'applicazione non perturbata ((I, cp) w ( I , cp +
aS,/aI)) per
una perturbazione piccola (e <( 1).
Se n = 1, si ottiene un'applicazione, che. conserva le aree,
di una corona ordinaria su se stessa. L'applicazione non pertur-
bata risulta essere una rotazione su ogni circonferenza I = cost.
In questo caso, la condizione di non degenerazione significa che
l'angolo di rotazione varia da una circonferenza all'altra.
Nel caso n = 1 i tori invarianti si trasformano in circonfe-
renze ordinarie. Allora il teoren~agarantisce che tutte le immagini
di un punto, per iterazione dell'applicazione, resteranno nel-
l'intorno della circonferenza, su cui si trovava il punto iniziale,
se la perturbazione 6 sufficientemente piccola.
4. Intorno di una posizione di equilibrio (ccrso autonomo). La
posizione di equilibrio si suppone stabile nell'approssimazione
lineare, in mod0 che siano definite n frequenze. caratteristiche
ol, . . ., a,. Si suppone che non vi siano relazioni di risonanza
tra le frequenze caratteristiche
kioi + . . . +k,on = 0, con i X-c interi, 0 < 2 1 kt 1 ~ 4 .
Allora si pub ridurre la funzione di Hamilton alla forma normale
di Birkhoff (vedere 1'Appendice 7)

2
dove H , ( t ) = o h r k -I-Yz
I
O h l t k t l , mentre i puntini indicano
i termini di grado superiore a1 quarto rispetto alla distanza dalla
posizione di equilibrio.
La condizione di non degenerazione

garantisce l'esistenza di un insieme di tori invarianti di misura


quasi piena, in un intorno sufficientemente piccolo della posi-
zione di equilibrio.
La condizione di non degenerazione 'isoenergetica

garantisce I'esistenza di un tale insieme di tori invarianti ,su ogni


insieme di live110 d'energia (sufficientemente vicino a uno cri-
tic~).
Nel caso n = 2 la condizione di non degenerazione isoenerge-
tica 6 contenuta in quella che la parte quadratica della funzione II,
non sia divisibile per quella lineare. In questo-caso la non dege-
nerazione isoenergetica garantisce la stabiliti nel senso di Lja-
punov della posizione di equilibrio.
5. Intorno di una posizione di equilibrio (caso periodico). Qui
si suppone nuovamente la stabiliti nell'approssimazione lineare,
in mod0 che siano definite n frequenze caratteristiche ol, . . ., o n -
Si suppone che tra le frequenze caratteristiche e quella di varia-
zione dei coefficienti (che porremo uguale all'unitl) non esistano
relazioni di risonanza

kiwi+ ...+k,,on+ko=O con 0 < z l k t l < 4 .


i=l

Allora si pub ridurre la funzione di Hamilton alla stessa forma


normale di Birkhoff del caso autonomo, ma con un termine residuo
di period0 2n rlel tempo.
La condizione di non degenerazione

garantisce I'esistenza di tori invarianti di dimensione n +


1 nello
spazio generalizzato delle fasi, di dimensione 2n +1 vicini alla
circonferenza T = 0, che rappresenta la posizione di equilibrio.
Nel caso n = 1, la condizione di non degenerazione rende non
nulla la derivata del period0 delle piccole oscillazioni rispetto a1
quadrat0 della loro ampiezza. In questo caso, la. non degenera-
zione garantisce la stabiliti della posizione di equilibrio nel senso
d i Ljapunov.
6. Punto fisso di un'applicazione. Si suppone qui che tutti i
2n autovalori dell'applicazione canonica linearizzata siano di
modulo 1 in un punto fisso e non soddisfino relazioni d i risonanza
d 'ordine inferiom
A+ ... AF=1, IkiI+ ...
+Ikn1<4
. -
(dove i 2n autovalori sono A,, .-.,A,, A,, . ., A,).. -
Allora, se si trascurano i termini di grado superiore a1 terzo
nella serie di Taylor nel punto fisso, I'applicazione si scrive nella
forma normale di Birkhoff
(T, cp) I+ (r, cp +a (r)), dove a (r) =8S/8r,
1
2
S= mh~h+T 2 (le coordinate usuali nell'intorno della
posizione di equilibrio sono ph = 1/ FA cos cph, qh = Khsen cph).
La condizione di non degenerazione
det I W A ~ I P O
garantism I'esistenza di tori invarianti n-dimensionali (vicinl ai
tori r = cost), che formano un insieme di misura quasi pien.a in
un intorno sufficientemente piccolo della posizione di equilibrio.
Se n = 1, allora si tratta dell'applicazione di un piano
ordinario in se stesso, e i tori invarianti sono delle circonferenze.
La condizione di non degenerazione significa che per la forma
normsle la derivata dell'angolo di rotazione della circonferenza
rispetto all'area, delimitata da questa circonferenza, B diversa
da zero (in un punto fisso e, quindi, in qualche suo intorno).
Nel caso n = 1 la condizione di non degenerazione garantisce
la stabiliti, nel senso di Ljapunov, del punto fisso dell'applica-
tione. Osseryiamo che in questo caso la condizione di non esistenza
delle .risonanze pi^ basse si scrive
As#l, Ak#1.

Dunque, un punto fisso di un'applicazione, che conserva le


aree, del piano in se stesso 6 stabile nel senso di Ljapunov, se la
parte lineare dell'applicazione 6 una rotazione d i ,un angolo non
multiplo d i 90' e 120" e se 6 diverso da zero il coefficiente oil
nella forma normale d i Birkhoff (il che assicura la dipendenza non
banale dal raggio dell'angolo d i rotazione).
Non ci siamo soffermati mai in precedenza sulle condizioni
d i regolaritb supposte in questi teoremi. La regolaritb necessaria
minima non 6 conosciuta in nessun caso. A titolo di esempio pos-
siamo dire che l'ultima proposizione, sulla stabilitb dei punti
fissi delle applicazioni del piano in se stesso, 6 stata inizialmente
dimostrata da J. Moser per I'ipotesi d i differenziabiliti fino a1
333-esimo ordine, e che solo in seguito (grazie a Moser e Russman)
il numero delle derivate 6 stato abbassato fino a 6.
'E. Applicazioni del teorema sui tori invarienti e delle sue
generalizzazioni. Esistono molti problemi meccanici, cui si
applicano i teoremi formulati sopra. Come ilno degli esempi pi6
semplici possiamo prendere il mot0 di uri pendolo sotto l'azione
d i un campo esterno periodic0 o sotto l'azione di oscillazioni vcr-
ticali del punto d i sospensione.
E rroto ch'e, in assenza di risonanza parametrica, la posiziorre
inferiore d i equilibrio del pendolo 6 stabile nell'approssimazione
line'are. L a stabilitd di questa posizione di equilihrio, tenuto conto
degli effetti non lineari (con l'ipotesi ~ilterioreche non csistarlo
risorlanze di ordine tre e quattro) puh essere dimostrata solo con
I'aiuto dei teoremi sui tori invarianti.
111 modo analog0 si pub utilizzare il teorema sui tori inva-
rianti per lo studio dei moti quasi periotlici di un sistcma rli o-
scillatori non lineari accoppiati.
Un altro esempio E fornito dal f l u ~ r ogeocletico su una super-
ficie convessa vicina a u n elliasoide. Questo sistema 6 a due gradi
d i liberth e ci si assicura c l ~ ela maggior parte delle geodetiche su
una superficie, vicina a un ellissoide Iriassiale, oscilla tra due 4 cau-
stiche n vicine alle linee di curvatura della superficie, rienlpiendo in
n o d o ovunque denso la corona compresa tra esse. Perveniamo nello
stesso tempo ai teoremi relativi alla stabiliti tli tlue geodeticlie
chiuse, ottenute per deformazione d i una superficie compostn di
due ellissi, che contengono l'asse medio tlell'ellis~oide (in as..cliza
di risonanze di ordine 3 e 4).
Un altro esempio P quello delle traiettorie c l t i u ~ e~u un ti1\.010
di biliardo di forma convessa qualunque. Tra le traiettorie di
biliardo chiuse ve ne sono di stabili nell'approssimazior~e lineare
e possiamo concludere che, in gerterale. essc ~ o n orealmente sta-
bili. Una tale traiettoria stabile 6 , per esempio, l'asse minore di
un ellisse. e dunqne, una traiettoria di f)ilinrdo chirrsa. cicinu al-
l'asse minore di un ellisse. ? stabile su rrn biiiardo vicino al1'elli.w.
L'applicazione dei teoremi sui tori invariarrti a1 problema
della rotazione di on corpo rigido asimmetrico pesante permette
di studiare il caso non integrabile d i un corpo in rotazione rapida.
I1 problema della rotazione rapida 6 matematicamente equivn-
lente a quello del mot0 con velocitb moderata in un campo d i
gravitir poco intenso: il parametro essenziale E il rapporto tra
energia potenziale e energia cinetica. Se questo parametro E pic-
colo, possiamo utilizzam in prima approssimazione il mot0 e d e -
riano del corpo rigido.
Applicando il teorema eui t.ori invarianti a1 problema a due
gradi d i libertb, ottenuto dopo l'eliminazione d i una coordinata
ciclica (la rotazione intorno alla verticale), giungiamo alla se-
guente conclusione s111 mot0 d i un corpo in rotazione rapida:
se l'energia cinetica di rotazione di u n corpo b abbastanza grande in
confront0 alla slta energin potenziale, allora il mod11lo del vettore
momento cinetico e la sua inclinazione sul piano oriszontale restarlo
indefinitamente nell'intorno dei loro valori iniziali.
Da cii) deriva il mot0 del corpo s a r i indefinitamente vicino
a una combinazione d i moto d i Eulero - Poinsot. con preces-
sione azimutale, esclaso il capo d i valori iniziali dell'energia
cinetica e del momento totale vicini a quelli, per i quali il corpo
p a 6 ruotare intorno all'asse medio d i simmetria. In qliesto ultimo
caso, che si realizza solo per condizioni iniziali speciali, a causa
della divikione delle separatrici nell'intorno dell'asse medio si
genera un rotolamento pi6 complesso vicino all'asse medio, clle
non nel moto d i Eulero - Poinsot..
Una delle generalizzazioni del teorema sui tori invarianti P
il teorema relativo all'invarianza adiabatica indefinita della va-
riabile d'azione in rln sistema oscillatorio unidimensionale a para-
rnetri che variano periodicamente. Qui bisogna supporre che la
legge d i variazione dei parametri aia definita da una funzior~e
periodica regolare fissnta del tempo lento, e che il piccolo para-
metro del problema sia il rapporto tra il fwriodo delle oscillazioni
caratt.eristiclie e qrrello di variaziorle (lei parametri.
Allora. se il periodo di cariazione dei parametri k sufficiente-
rnente grande, la variazione dell'invariante adiabatico del punto d i
fase resta piccola su u n inter~allodi tempo infinito.
Si dimostra in modo analogo 1'inl;arianza adiabatica indefinita
della variabile d'azione nel problema del mot0 di una particella
carica in un cainpo magnetic0 n simmetria assiale. Se manca la sim-
metria assiale. il nlimero di gradi d i libertj. del problema passa
(la d ~ l ea tre. cosicch6 i tori invarianti cessano di dividere la va-
rieth di livello d'energia e diviene essenziale il cammino della
curva d i fase lungo le zone risonanti.
Infine, nell'applicazione a1 problema dei tre (o dei molti)
corpi si riesce a trovare dei moti quasi periodici di 4 tip0 plane-
tario *. Per tlescri\-ere questi moti bisogna spendere qualche parola
su quanto . ~ ili fatto, dopo I'approe.~imazione kepleriana, nella
risoll~zionedel problema del moto dei pianeti. Per semplicith ci
limiteremo qui a1 problema piano.
Consideriamo per ogni ellisse kepleriana il vettore che con-
giunge il fuoco (cioB il Sole) con il centro dell'ellisse. Questo vet-
tore, detto vettore dC Laplace, caratterizza sia l'eccentricitl del-
l'orbita, che la direzione del perielio.
L'interazione dei pianeti fa s i che l'ellisse kepleriana (e
quintli il vettore di Laplace) .varino leggermente col tempo. D'al-
tra parte esiste una grande differenza tra la variazione del semias-
se maggiore e quella del vettore di Laplace. P i i precisamente, il
semiasse maggiore non possiede perturbazioni secolari, cioB in
prima approssimazione oscilla solo leggermente intorno a1 suo
valor medio (4 teorema di Laplace a). Invece il vettore di Laplace
compic sia delle oscillazioni periodiche, che un' mot0 secolare.
I1 mot0 secolare si ottiene, se si distribuisce la massa di ogni
pianeta sulla sua orbita, proporzionalmente a1 tempo impiegato
a percorrere una porzione di orbita, e se si sostituisce all'attrazione
dei pianeti l'attrazione degli anelli cosi ottenuti, cioB se s t fa la
media delle perturbazioni sui moti rapidi. I1 mot0 vero del vettore
d i Laplace si ottiene dal mot0 secolare per sovrapposizione delle
piccole oscillazioni; queste oscillazioni sono essenziali, se ci in-
teressa un intervallo di tempo piccolo ma i l loro effetto B piccolo
in confronto a quello del mot0 secolare, se si considera un intervallo
d i tempo grande (dell'ordine delle migliaia di anni).
I calcoli (effettuati g i l da Lagrange) mostrano che il mot0
secolare del vettore di Laplace di ognuno degli n pianeti, che si
muovono in uno stesso piano, Q il seguente (se si trascurano i qua-
,drati delle eccentricitl delle orbite in confronto alle eccentricitl
stesse).
Sul piano dell'orbita del pianeta bisogna disporre n vettori
d i modulo fissato, che ruotino uniformemente ognuno con la sua
velocitl angolare. I1 vettore di Laplace B la somma di questi
vettori.
Si ricava una tale descrizione del mot0 del vettore di Laplace,
perch6 la media sui moti veloci del sistema hamiltoniano, che
rappresenta il mot0 secolare del vettore di Laplace, possiede una
posizione di equilibrio corrispondente alle eccentricitit nulle.
I1 mot0 del vettore di Laplace descritto B la decomposizione delle
piccole oscillazioni nelle oscillazioni normali, nell'intorno della
posizione di equilibrio indicata. Le velocitl angolari delle compo-
nenti in rotazione uniforme del vettore di Laplace sono le fre-
quenze caratteristiche e i loro moduli definiscono le ampiezze
delle oscillazioni normali.
Osserviamo che il mot0 del vettore di Laplace della Terra
sembra essere uno dei fattori, dai quali dipendono le glaciazioni.
In effetti, all'aumentare dell'eccentricitl dell'orbita della Terra,
diminuisce il tempo che essa trascorre vicino a1 Sole e aumenta,
viceversa, quello trascorso lontano dal Sole (second0 la legge
delle aree); dunque il clima diviene p i i rigido quando aumenta
l'eccentriciti. La grandezza di questo effetto 6 tale che, per esem-
pio, la quantiti di energia solare ricevuta ogni anno alla latitu-
dine di Leningrad0 pu6 raggiungere dei valori, corrispondenti oggi
alla latitudine di Kiev (per una diminuzione dell'eccentqiciti)' e
a quella di Tajmyr (se essa aumenta). I1 tempo caratteristico di
variaaione dell'eccentriciti (dell'ordine delle decine di migliaia di
anni) concorda bene con i yeriodi glaciali.
I teoremi sui tori invarianti portano alla coriclusione che, per
urla massa dei pianeti sufficientemente piccola, nello spazio delle
fasi del problema esiste un insieme di misura positiva, in cui sono
ovurique dense curve di fase quasi periodiche, tali che il mot0 cor-
rispondente dei pianeti sia vicino al rnot.0 lungo ellissi lenta-
mente variabili con eccentriciti piccole; e, inoltre, clie il mot0 dei
vettori di Laplace sia vicino a quello dato dalla precederite ap-
prossimazione. Infine, se lo masse dei pianeti sono sufficiente-
mente piccole, i moti del tip0 descritto riempiono gran parte del
dominio dello spazio delle fasi, che corrisponde, nell'approssi-
m a z i o ~ ~kepleriana,
e ai mot,i dei pianeti lungo ellissi di piccola
ecce~itricitllion intersecantisi.
I1 numero di gradi di liberti nel problema piano di n pianeti
B uguale a 2n, se si collsidera il Sole fisao. L'integrale del mo-
mel~to cinetico permette di eliminare una coordinata ciclica,
ma restano ancora troppe variabili perch6 i tori invarianti divi-
dano la varieti di live110 d'energia (anche se i pianeti fossero solo
due, questcr varieti sarebbe di dimensione 5 e i tori di dimelisione 3).
Dunque, riel problema considerato si possono trarre co~iclusioni
sulla conservazione dei semiassi maggiori su un intervallo di tem-
po infinito solo per la maggior parte delle condizioni iniziali, ma
nor1 per tutte.
11 problema a due gradi di libertk si ottie~iecot1 un'ulteriore
idei~lizzazione.Sostituir+nio uno dei due pianeti con un u asteroi-
de w , che si muove nel camyo dell'altro pianeta (u Giove H), seriza
perturbarne il moto.
I1 problema del liloto di un tale asteroide si chiama problema
dei tre corpi lirnitato. Se il mot0 6 piano, questo problema si riduce
a U I I sistema a due gradi di libertii. che dipende periodicamente
dal tempo. Se poi l'orbita di Giove 6 circolare, allora in un sistema
di coordinate clle ruota con esso, il mot0 dell'aateroide 12 descritto
da un sistema liamiltotliano autonomo a due gradi di libertl, il
cosiddetto prollcnia circolare limitato piario dei tre corpi.
In questo problema il piccolo parametro 6 il rapyorto tra
la massa di Giove e quella del Sole. A1 valore nullo del parametro
corrisponde un moto kepleriano non perturbato dell'asteroide,
rappresentato nel nostro spazio delle fasi di dimensione quattro
da un moto qrlapi yerioclico su un toro bidimensionale (dato clie
il pistema di coordinate ruota). Una delle frequenze di questo mot0
qr~asipcriodico 6 la s t e w per tutte le coridizioni iniziali: si tratta
della velocitl angolare di rotazione del sistema di coordinate,
cioB della frequenza di iivoluzione di Giove intorno a1 Sole.
La seconda frequenza dipende, invece, dalle condizioni iniziali
(6 la frequenza d i rivoluzione dell'asteroide intorno a1 Sole) e
varia su una varietl tridimensionale fissata d'i livello della fun-
zione di Hamilton.
Dunque, nel nostro problema non B soddisfatta la condizione
di non degenerazione, medtre lo B quella di non degenerazione
isoenergetica. Si pub cosi applicare il teorema di Kolmogorov e
concludere che la maggior parte dei tori invarianti, con rapporto
di frequenze irrazionale, si conserva se la massa del pianeta per-
turbatore (Giove) B diversa da zero, ma sufficientemente piccola.
Inoltre i tori invarianti bidimensionali dividono la varieth
tridimensionale di livello della funzione di Hamilton. Dunque,
la grandezza clel semiasse maggiore e l'eccentricith dell'ellisse keple-
riana dell'asteroide resteranno indefinitamente nell'intorno dei
loro valori iniziali, se all'istante iniziale l'ellisse kepleriana non
interseca l'orbita del pianeta perturbatore e se la massa di questo
pianeta b sufficientemente piccola.
In un sistema di coordinate fisso l'ellisse kepledana del-
l'asteroide pub ruotare lentamente, poich6 il nostro sistema B solo
isoenergeticamente non degenere e quindi, per una perturbazione
del toro invariante, si conservano non le frequenze, ma solo il
loro rapporto. Come risultato della perturbazione, la frequenza
del mot0 azimutale del perielio dell'asteroide, in un sistema di
coordinate mobile, pub essere leggermente diverso dalla frequenza
di Giove, e allora in un sistema fisso il perielio ruoterii lenta-
mente.
Appendice 9
Teorema geometric0 di Poincar6,
sue generalizzazioni e applicazioni

Nel suo studio sulle soluzioni periodiche dei problemi della


meccanica celeste H. Poincar6 ha costruito un modello piuttosto
semplice, che contiene giH la difficoltH principal0 del problema.
Tale modello B un'applicazione, che conserva le aree, di una corona
circolare piana su se stessa.
Le applicazioni del tip0 indicato si originano nello studio
dei sistemi dinamici a due gradi di liberti. Pih precisamente,
l'applicazione di una superficie di sezione bidimensionale su se
stessa si costruisce nel mod0 seguente: ogni punto della superficie
d i sezione va nel punto d'intersezione successivo tra la curva di
fase, che esce dal primo punto, e la superficie di sezione (vedere
1'Appendice 7).
Alle curve di fase chiuse corrispondono allora punti fissi
dell'applicazione o delle sue potenze. Inversamente, ogni punto
fisso di un'applicazione o di una sua potenza definisce una curva
d i fase chiusa.
Dunque, la question0 dell'esistenza di soluzioni periodiche
dei problemi della dinamica si riduce a110 studio dei punti fissi
d i applicazioni, che conservano le aree, di una corona su se stessa.
Studiando queste applicazioni, Poincar6 B giunto a formulare
il seguente teorema.
A. Punti fissi dell'applicazione di una corona su se stessa.
Teorema. Sia data un'applicazione omomorfa, che conserva le
aree, di una corona circolare pian@ su se stessa. Supponiamo che
le circonferenze, che delimitano la corona, si muovano sotto l'ap-
plicazione in direzioni diverse. A llora questa applicazione pos-
siede a l m n o due punti fissi.
La condizione che le cjrconferenze che delimitano la corona
si muovano in direzioni diverse significa che, se si prendono le
coordinate (z, y mod 2n), cosicch6 le circonferenze limite saranno
z = a e y = b, l'applicazione B definita dalle formule
dove le funzioni f e g sono continue e di period0 2n in y, e ii~oltre
tali the f (a, y) = a , f (b, y) = b e g (a, y) (0, g (b, Y) > O
per tutti gli y.
La dimostrazione di questo teorema, pubblicato da Poinca1.6
poco prima della sua morte, B stata data solo in seguito (la
G. D. Birkhoff (vedere il suo lavoro Sistemi dinamici, M., 1941
o New York, 1927).
Rimangono tuttora aperte molte delle questioni relative a1
teorema e particolarmente ai tentativi di generalizzarlo a1 caso
multidimensionale, importanti per lo studio delle soluzioni perio-
diche di problemi con un nbmero elevato di gradi di libert A.
I1 fatto B che il ragionamento col quale Poincari 6 pervenuto
a1 suo teorema si pub applicare a tutta una serie di casi divewi.
Invece, la dimostrazione ingegnosa fornita da Birkhoff si adatta
male a una generalizzazione. Dunque si ignora se siano corrette
le deduzioni, suggerite dal ragionamento di PoincarB, a1 di fuori
dei limiti del teorema relativo alla corona circolare piana. 11 ra-
gionamento in questione B il seguente.
B. Legame tra i punti fissi di un'applicaiione e i punti critici
della funzione generatrice. Definiamo un diffeomorfismo sim ylet ti -
co della corona
(2, Y) - (X, Y )
per mezzo della funzione generatrice Xy +
S (X, y), dove l a
funzione S B 2n-periodica in y. Per questa scrittura del diffeo-
morfismo B necessario che i3Xlaz # 0. Allora
d S = (2 - X) dy +(Y - 9) dX,
e conseguentemente i punti fissi del diffeomorfismo sono i pullti
critici 'della funzione F (z, y) = S (X (z, y), y). Si pub sempre
costruire l'ultima funzione F , definendola come I'integrale della
forma (z - X) dy + (Y - y) dX. 11 gradiente di questa funzione
B diretto o verso I'interno o verso l'esterno simultaneamente su
entrambe le circonferenze che delimitano la corona (per la con-
dizione di rotazione in sensi opposti).
Ma ogni funzione regolare definita in una corona, il cui gra-
diente sia diretto su entrambe de circonferenze limite verso I'in-
terno (o verso l'esterno), possiede un punto critico all'interno
della corona (di massimo o di minimo). Si pui, mostrare, inoltre,
che i punti critici di una tale funzione sono almeno dne.iiella
corona. Dunque, potremmo affermare che il nastro diffeomorfi~mo
possiede almeno due punti fissi, se fossimo sicuri che ogni punto
critico della funzione F B un punto fisso dell'applicazione.
Purtroppo, cii, B vero soltanto nel1"ipotesi supplementalae
che ilXldz # 0, potendo in tal caso esprimere F in funzioile di X
e di y. Dunque, il nostro ragionamento va bene per applic.azioni,
che non differiscono troppo dall'identit;. Per esempio, B suffi-
ciente che le derivate della fulizione generatrice S siano inferiori
a 1.
Un perfezionamento dello stesso ragionamento (con una ecel-
t a diveraa della fiinzione generatrice1) mostra che B sufficiente
che gli autovalori dello jacobiano D (X, Y)lD (x, y) no11 siario
irguali a -1 in nessun punto, cioh la nostra applicazione no11 lac-
cia ruotare lo spazio tangente in nessun punto. Purtroppo tutte
queste condizioni non sono realizzate in alcuni punti per applica-
zioni lontane dall'identiti. La dimostrazione del teorema di
Poincarh nel caso gemrale utilizza ragionamenti completamente
diversi.
I1 legame t.ra i printi fissi di un'applicazione e i punti critici
delle funzioni gencratrici sembra un fatto piii importante dello
stesso teorema sulle applicazioni di uria corona circolare piana.
Si riportailo p i i in basso alcuni erempi, in cui tale legame
conduce a conclusioni importanti, a dire il vero con alcune restri-
zioni, la cni necessith non 6 chiara.
C. Diffeo~iiorfis~~ii
siniplettici del toro. Consideriamo un diffco-
morfismo simplettico del toro che lancia fisso il centro di gravith

dove x e y mod 2n sono delle coordinate angolari sul toro, la sim-


pletticiti significa che B uguale a 1 lo jacobiano D (X, Y)lD (x, y),
mentre la condizione d'invarianza del centro di graviti in~plica
che i valori medi delle funzioni f e g eono uguali a zero.
Teoren~a. Un tale dif feomorfism0 possiede almeno. quattro punti
fissi, tenuto cotzto delle molteplicitir, e alrneno tre di essi sono geo-
metricnnzente distinti, almeno nell'ipotesi che gli autovalori dello
jncobinno non siano ugua li a - 1 in nessun punto.
La dimostrazione si basa nl~llostudio della funzione defit~ita
s111 toro dalla formula

e sul fatto clie una funzione regolare sul toro possiede almeno quat-
tro plrnti critici (tenuto conto delle moltepliciti). di cui almeno
tre sono geometricamente dint inti.
I tentativi di dimostrare questo teorema senza restrizioni
sugli autovalori si scontrano con una difficolti, molto simile a
quella in clii si 6 imbattuto Poincar6 nel teorema della corona.
Osserviamo che il teorema della corona deriverebbe da quello
del toro, se in esso si potesse fare a meno della restrizione si~gli
autovalori. Jn effetti, componiamo un toro con due esemplari
della nostra corona, disponendo nell'intorno di ognuna delle cir-
conferenze limite una stretta corona di congiungimento.
Allora possiamo prolungare l'applicazione della corona fino
.a un diffeomorfismo del toro, tale che 1)su ognuna delle due corone
grandi il diffeomorfismo coincida con quello iniziale, 2) su ognuna
.dell0 corone di congiunzione il diffeomorfismo non possieda punti
fissi, 3) il centro d i graviti rimanga fisso.
La costruzione d i un tale diffebmorfismo del toro si fa uti-
lizzando la proprieti delle circonferenze limite di ruotare in dire-
zioni opposte. Sulle corone di congiunzione tutti i punti si spo-
stano nella stessa direzione di quelli su entrambe le circonferenze,
che le delimitano. Poich6 le direzioni di spostamento sulle due
corone di congiunzione sono opposte, la grandezza dello sposta-
mento si pul, scegliere in mod0 da garantire l'invarianza del centro
d i graviti.
Ora, dei quattro punti fissi del toro, due devono essere posti
sulla corona iniziale, e dal teorema relativo a1 toro deduciamo quel-
lo relativo alla corona.
I1 teorema sul toro formulato sopra ammette una generalizza-
zione ad altre varieti simplettiche, sia bidimensionali che mul-
tidimensionali. Per enunciare queste generalizzazioni si deve in-
nanzitutto riformulare la condizione d'invarianza del centro di
graviti.
Sia g: M -t M un diffeomorfismo simplettico. Diremo che il
diffeomorfismo g b omologo allli&ntit&, se lo si pu6 unire all'iden-
t i t i (che lascia fissi tutti i punti del1.a varieti M) con una curva
regolare g,, composta di diffeomorfismi simplettici, in mod0 tale
it
che il campo delle velociti possieda ad ogni istante t una fun-
zione di Hamilton univoca. Si puh dimostrare che i diffeomorfismi
simplettici, omologhi alllidentitA, formano un commutante della
componente connessa aell'uniti nel gruppo di tutti i diffeomorfi-
smi simplettici della varieti.
Nel caso del toro bidimensionale, i diffeomorfismi simplettici
omologhi all'identiti sono esattamente quelli, che noi abbiamo
detto che conservano il centro di graviti.
Perveniamo cosi alla sequente generalizzazione del teorema
di Poincar6.
Teorema. Ogni diffeomorfismo simplettico di una varietii
simplettica compatta, omologo all'i&ntitii, possie& almeno tanti
punti fissi, quanti punti critici ha una funzione regolare su questa
varietk, purchd il diffeomorfism non sia troppo lontano &llli&n-
titii.
Osserviamo che la condizione d'omologia all'applicazione
identica B essenziale, come risulta chiaro g i i dall'esempio del
mot0 sul ,taro, che non possiede nessun punto fisso.
Per quanto concerne l'ultima restrizione (il diffeomorfismo
rlon deve essere tioppo distante da quello identico) non B chiaro
se essa sia, o meno, essenziale. Nel caso di un toro 2n-dimensionale,
B sufficiente che nessuno degli autovalori dello jacobiano del
diffeomorfismo (in un qualunque sistema di coordinate simplet-
tic0 globale definito in R2")sia uguale a -1.
'
Forse una restrizione di questo tip0 B necessaria anche nei
problemi multidimensionali, poich6 non B escluso che il teorema
d i Poincar6 sia essenzialment: un risultato bidimensionale, simile
a1 seguente teorema.di A. I. Snirelman e N. A. NikiSin: ogni dif-
feomorfismo, che conserva le aree, della sfera bidimensionale in se
stessa possiede almeno due punti fissi geometricamente distinti.
La dimostrazione di questo teorema si basa sul fatto che l'in-
dice del campo vettoriale del gradiente di una funzione regolare
di due variabili, in un punto critico isolato, non pub essere mag-
giore dell'uniti (sebbene possa essere uguale a 1, 0, -1, -2,
-3, . . .), mentre la somma degli indici di t u t t i i punti fissi di
un diffeomorfismo, che conserva l'orientazione, .di una sfera bidi-
mensionale su se stessa B uguale a due.
Invece, l'indice del gradiente di una funzione regolare di un
numero maggiore di variabili, in un punto critico, pub prendere
valori interi qualunque.
D. Intersecioni delle varieti lagrangiane. A1 ragionamento di
Poincare si pub dare una forma diversa, se si considerano su ogni
raggio della corona quei punti, che si spostano solo radialmente.
Di punti tali ne esistono su ogni raggio, dato che le circonferenze
che delimitano la corona ruotano in versi contrari. Supponiamo
di essere riusciti a formare, con i punti che si spostano radial-
mente, una curva chiusa, che separa le circonferenze esterna e
interna della corona. Allora, I'immagine di questa curva per la
nostra applicazione deve intersecare la curva stessa (poich6 i
domini, in cui la curva divide la corona, si trasformano in domini
d i area uguale).
Se la curva indicata e la sua immagine intersecano ogni raggio
una sola volta, allora i punti d'intersezione della curva con la
sua immagine sono, evidentemente, i punti fissi dell'applicazione.
Una parte del ragionamento fatto si pub trasportare a1 caso
multidimensionale, il che fornism utili risultati sulle soluzioni
periodiche dei problemi della dinamica. Nel caso multidimensio-
nale alla corona corrisponde uno spazio delle fasi: il prodotto di-
retto di un dominio di uno spazio euclideo per un toro di uguale
dimensione (la corona 6 il grodotto di un intervallo per una cir-
conferenza). La struttura simplettica nello spazio delle fasi B
2
definita nel mod0 usuale, cioh si scrive P = dzk /\ dyk, dove
le xk sono delle variabili d'azione e le yk delle variabili angolari.
Non B difficile stabilire quali diffeomorfismi simplettici del
nostro spazio delle fasi sono omologhi all'identiti. P i t esatta-
mente, un diffeomorfismo simplettico A b omologo all'identiti, se
lo si pub ricavare dall'identitb con una deformazione continua e
inoltre se
$xdy=Qzdy
v I;v
per ogni contoriio chiuso (non necesaariamente omologo a zero).
La condizione di omologia alla trasformazione identica im-
pedisce uilo spostamento sistematico lungo una x-direzione (1'4 evo-
luzione delle variabili d'azione B), permettendo invece gli sposta-
menti lungo i tori.
Consideriamo uno qualuqque dei tori n-dimensionali x = c =
= cost e applichiamogli il nostro diffeomorfismo simplettico omo-
logo all'identitb. Otteniamo nuovamente un toro. Risulta che il
toro iniziale itzterseca la sua immagine almeno in 2" punti (te-
nuto conto &lle molteplicitd) e di questi almeno n + 1 sono geo-
metricamente distinti, in ogni caso nell'ipotesi che i l toro immagine
possieda un'equazione &lla forma x = f (y), con f regolare.
Per n = 4 l'affermazione fatta significa che ognuna delle cir-
conferenze concentriche, che formano I'a corona, interseca la sua
immagine in almeno due punti. Cib deriva immediatamente dalla
conservazione delle aree, inoltre non B necessaria l'ipotesi che
l'immagine abbia equazione x = f (y).
Si ignora se questa ipotesi sia necessaria nel caso multidi-
mensionale. Se la si accetta, la dimostrazione si svolge come segue.
Osserviamo che il toro iniziale B una sottovarieti lagrangiana
dello spazio delle fasi. I1 nostro diffeomorfismo B simplettico, dun-
que anche il toro immagine B lagrangiano. Percib, la 4-forma
(x - c) dy definita su di esso B chiusa. Inoltre questa forma sul
toro B il differenziale totale di una funzione regolare unwoca F,
dato che il nostro diffeomorfismo B omologo all'unith, e quindi,
per qualunque contorno chiuso,

-c$ dy=O.
AV
Notiamo che i punti d'interzetione del toro con la sua immag-
ne sono i pliriti critici della funzione F (poich6 in questi punti
d F = (X - C) dy = 0).
Dalla condizione d'univocitb della proiezione del toro imma-
gine (cioB dal fatto che il toro immagine ha come equazione x =
= f (y)) Fegue che, inversamente, tutti i punti critici della fun-
zione F eono i punti d'intersezione dei nostri tori. Infatti, per
1' ipotesi indicata, y pub essere presa come coordinata locale sul
toro e, dunque, l'esnere d F uguale a zero per tutti i vettori tan-
genti a1 toro immagine implica che x = c.
Una funzione regolare su.un toro n-dimensionale poziede al-
meno 2" panti critici, tenuto conto delle moltepliciti, e di questi
punti almeno n + 1 eono geometricamente distinti (vedere, per
esempio, Milnor Teoria di Morse, M., 1965, in russo o Princeton,
1963,' in inglese).
Dunque i nostri tori si intersecano almeno in 2" punti (te-
nuto conto delle moltepliciti) e inoltre almeno n +1 punti d'in-
tersezione sono geometricamente dirtinti.
Un ragionamento perfettamente analog0 mootra che l'im-
magine di qualunque toro lagrangiano interseca il turo stesso almeno
in 2" punti (di cui almeno n + f geometricamente distinti), nel-
l'ipotesi che sia il toro iniziale, che la sua immagine si proiettino uni-
vocamente su un y-spazio, ciob siano definiti dalle equazioni x =
= f (Y)' x = g (Y).
Del resto, questa proposizione si riconduce alla poecedente
con l a trasformazione canonica (x, y) (x - f (y), y).
E. Applicazioni alla ricerca dei punti fissi e delle solueioni
periodiche. Consideriamo ora una trasformazione simplettica
omologa all'identiti, del tip0 particolare che compare nei proble-
mi integrabili della dinamica, cioh della forma
A. (x, y) = (x, y + o (x)), dove o = aslax.
Qui s E Rn B una variabile d'azione, y mod 2n E T" una coor-
dinata angolare.
Supponiamo che sul toro x = sotutte le frequenze siano corn-
mensurabili:
o, (so)=$2n con ki, N interi;

e che sia realizzata la condizione di non degenerazione


det I a o / a z ,1 # 0.
Teorema. Ogni diffeomorfism0 simplettico A omologo all' iden-
titd, abbastanza vicino a A,, possiede nell'intorno del toro x = so
almeno 2" punti periodici E, tenuto conto delle molteplicit&, di
periodo N (in mod0 che A N E = E).
La dimostrazione si potrebbe riportare a110 studio dell'in-
tersezione di due sottovarieti lagrangiane dello spazio, di dimen-
sione 4n, .(RnX T" ): Rn X T") con la forma Q = dx /\ dy -
- dX /\ dY, una delle quali b diagonale (X = x, Y = y) e
l'alt ra b il. grafico dell'applicazione A N .
Tuttavia b pi6 semplice costruire direttamente una funzione
adatta sul toro. In effetti, l'applicazione A,N si scrive
(x, Y) * (3, Y -t a (x)!, dove a (so)=0, det I da/ax .1, p 0.
Per il ' teorema delle funzioni implicite l'applicazione AN POS-
-
siede, nell'intorno del toro z = z,, un toro che si sposta solo radial-
mente ((z, y) (X, y)) e definito da un'equaziono del tip0 s =
= f (y): anche la sua ~mmanineB definita da un'eauazione della
stessa forma x = g (y). In queste notazioni X (f (i),y) = g (y),
3' (f (Y), Y) = Y.
I1 fatto che l'applicazione A B omologa all'uniti implica che
A N possiede una funzione generatrice globale univoca, della for-
ma Xy + S (X, y), dove S B di period0 2n nella variabile y.
La funzione F (y) = S (X (f (y), y), y) possiede sul tom un
minimo di 2, punti critici yk. Tutti i punti Eli = (f (y,), yk)
sono punti fissi per AN. In effetti,

Percib d F I, = 0 implica che f (yk) = g (yk), cioe ANEL= Ek,


c.v.d.
Torniamo ora alle traiettorie chiuse di sistemi conservativi.
Utilizzando la terminologia dell'Appendice 8, possiamo formu-
lare il risultato come segue.
Corollario. Quando si decompone un toro invariante n-dimen-
sionale, riempito completamente da traiettorie chiuse di un sistema
isoenergeticamente non degenere a n gradi di libertiz, si formuno
almeno 2"-' traiettorie chiuse de1 sistemu perturbato (tenuto conto
delle molteplicith), di cui almeno n geometricamente distinte, purch.4
la perturbazione sia sufficientemente piccola.
La dimostrazione si riconduce a1 precedente teorema per m e t
zo di una superficie di sezione di dimensione 2n - 2. Inoltre, al-
I'inizio si devono scegliere delle coordinate angolari y, in mod0
tale che le traiettorie chinse del sistema non perturbato sul toro
.
siano definite dalle equazioni y, = . . = y, = 0, e quindi
determinare la superficie di sezione con l'equazione y, = 0.
Nel caso di due gradi di liberti si pub applicare il teorema
di Poincar6 alle corone, che si formano per intersezione dei tori
invarianti con una superficie di sezione bidimensionale. Otte-
niamo il seguente risultato.
Nella fenditura tra due tori invarianti bidimensionali di un
skrtemu a due gradi di liberta esistono sempre almeno due traiet-
torie di fase chiuse, se i rapporti &lle frequenze dei moti quasi perio-
dici non sono ugunli su questi tori.
Si ottengono cosi molte soluzioni periodiche in tutti i proble-
m i a due gradi di liberti, dove si conoscono i tori invarianti (per
esempio, nel problema circolare limitato dei tre corpi, nel problema
delle geodetiche chiuse, ecc.). Esiste persino l'ipotesi che nei
sistemi hamiltoniani di a tip0 generic0 )), con spazi delle fasi
compatti, l e curve di fase chiuse formino un insieme ovunque
denso. D'altra parte, se cib B vero, la chiusura della maggior parte
di queste curve non ha un valore essenziale, dato che i loro periodi
sono estremamente grandi.
Un esempio di applicazione del metodo di Poincarh a un siste-
*a con un numero di gradi di libertsl maggiore di 2 B il teorema di
Birkhoff sull'esistenza di un numero infinito di soluzioni perio-
diche, vicine a una data soluzione periodica lineare stabile gene-
rica (o sull'esistenza di un numero infinito di punti periodici
nell'intorno di un punto fisso di un'applicazione simplettica,
non degenere, lineare stabile dello spazio su se stesso). Le di-
mostrazioni consistono nell'approssimare inizialmente l'applica-
zione con la sua forma normale e quindi nell'utilizzare il legame
tra i punti fissi dell'applicazione e i punti critici della funzione
generatrice.
La conoscenza delle soluzioni periodiche permette, tra l'al-
tro, di dimostrare la .non esistenza di integrali primi (diversi da
quelli classici) in molti problemi della dinarnica. Supponiamo, per
esempio, che su una qualunque varieth di livello degli integrali
noti si scopra una traiettoria periodica instabile. Nel caso generale
le sue separatrici formano un reticolo complesso, che noi abbiamo
studiato.nell'Appendice 7. Se si riesce a scoprire il fenomeno della
divisione delle separatrici e se siamo in grado di dimostrare che
le separatrici non sono contenute in nessuna varieth di dimensione
pferiore da quella di livello considerata, allora possiamo essere
sicuri che il sistema non possiede nuovi integrali primi.
D'altra parte, B facile ecoprire il comportamento complesso
delle curve di fase, che impedisce l'esistenza degli integrali pri-
mi, anche senza l'aiuto delle soluzioni periodiche, semplicemente
con uno sguardo all'immagine, stabilita a1 calcolatore, dell'in-
tersezione di una curva di fase con una superficie di sezione.
F. Invarianza della funzione generatrice. Abbiamo gih sotto-
lineato sopra la fastidiosa non invarianza delle funzioni generatri-
ci, relativamente alla scelta del sistema di coordinate canoniche
su una varieti simplettica.
D'altro canto, abbiamo utilizzato piij di una volta il legame
tra i punti fissi di un'applicazione e i punti critici della funzione
generatrice.
Risulta che, eebbene in generab la funzione generatrice sia
legata in mod0 non invariante all'applicazione, nell'intorno di
un punto fisso esiste un legame invariante.
Piij precisamente, sia dato un diffeomorfismo simplettico,
che lascia fisso un punto. Definiamo nell'intorno di questo punto
la 4 funzione generatrice A ~ = +2j +
1
*h-~k
k6 S d ~ :
dXn dzn d yb-uk 1
per mezzo di un certo sistema simplettico dl coordinate ( x , y)

L'incremento di questa funzione lungo un arco qualunque E ugr~olo


all'integrale di una forma, che definisce una struttura simplettica, oalnno
I n seguito, costruiamo per mezzo di un altro sistema simplet-
tic0 di coordinate (z', y') una funzione generatrice 0' definita
in mod0 analogo.
Teorema. S e il linearizzato di un diffeomorf ism simplettico
non possiede in un punto fisso autovalori uguali a -1, allora nel
sw, intorno le funzioni @ e @' sono equivalenti, nel senso che esiste
un diffeomorfismo g (in generale non simplettico), tale che
@ (z) a @' (g (2)) +
cost.
Per la dimostrazione vedere l'articolo d i A. Weinstein The
invariance of Poincare"~generating function lor canonical transfor-
matiors, a Inventiones Mathematicae n 16, .n. 3, 1972, 202-214.
Bisogna sottolineare che due diffeomorfismi, con funzioni ge-
neratrici equivalenti nell'intorno di un punto fisso, non sono neces-
sariamente equivalenti nella classe dei diffeomorfismi simplettici
(esempio: la rotazione e la rotazione di un angolo dipendente dal
raggio, con parti quadratiche non degeneri della funzione gene-
ratrice nello zero).

a una banda formata dai segmonti di retta, che congiungono ogni punto con la
ma immagine. Dunque una tale funzione @ B legata in mod0 invariante
all'applicazione, relativamente alle aostituzioni lineari canoniche di coor-
dinate.
Appendice 10
Moltepliciti delle f requenze caratteristiche
ed ellissoidi dipendenti dai parametri,

Abbiamo incontrato pi6 di una volta in questo corso le fami-


glie degli ellissoidi nello spazio euclideo. Per esempio, nello
studio della dipendenza delle frequenze caratteristiche delle
piccole oscillazioni rispetto ai parametri, ci siamo imbattuti
in un ellissoide, dipendente dalla rigiditl del sistema, di live110
d'energia potenziale nello spazio euclideo (la metrica dello spazio
B definita dall'energia cinetica). Un altro esempio B l'ellissoide
d'inerzia del corpo rigido (qui i parametri sono la forma del corpo
rigido e la distribuzione delle masse in esso).
Ci occupiamo qui del seguente problema geherale: per quali
valori dei parametri lo spettro degli autovalori degenera, cioB
il corrispondente ellissoide diviene un ellissoide di rotazione.
Osserviamo che gli autovalori .di una forma quadratica definita
nello spazio euclideo (o le lunghezze degli assi dell'ellissoide)
variano in mod0 continuo, a1 variare dei parametri del sistema
(dei coefficienti della forma) in mod0 continuo. Sembra naturale
attendersi che, in un sistema dipendente da un solo parametro,
quando esso varia, uno degli autovalori in certi momenti ne urterl
un altro, in mod0 che per certi valori del parametro il sistema
possiederl uno spettro multiplo.
Immaginiamo, per.esempio, d i voler ridurre l'ellissoide d'iner-
zia di un corpo rigido a un ellissoide di rotazione, spostando .su
un'asta rigidamente fissata a1 corpo una massa regolabile, in
mod0 da avere a nostra disposizion? un parametro. I tre assi prin-
cipali d'inerzia a, b, c saranno funzioni continue di questo para-
metro e a prima vista sembra che, per un valore adatto del pa-
rametro ( p ) , si .possa raggiungere l'uguaglianza di due assi, dicia-
mo a (PI = b (P).
In effetti, risulta che le cose non stanno cosi e che, in generale,
bisogna spostare almeno due masse regolabili per trasformare l'el-
lissoide d'inerzia in un ellissoide di rotazione.
In 'generale, si osserva uno spettro multiplo nefle famiglie
tipiche di. forme quadratiche solo per due o piii parametri, mentre
in famiglie generiche monoparametriche lo spettro B semplice
per tutti i valori del parametro. I n pratica cib consiste nel fatto
che, in una tipica famiglia monoparametrica, a1 variare del para-
metro gli autovalori possono avvicinarsi strettamente, ma quando
giungono abbastanza vicino l'uno all'altro cominciario a respin-
gersi e si allontanano nuovamente, tradendo l a speranza di chi
faceva variare il parametro per ottenere uno spettro multiplo.
I n questa appendice si studiano le cause di questo comports-
mento degli autovalori, a prima vista strano, e si discutono anche,
brevemente, le questioni analoghe per sistemi a diversi gruppi
d i simmetrie.
A. VarietZI degli ellissoidi di rotazione. Consideriamo l'in-
sieme di tutte le forme quadratiche definite nello spazio eucli-
deo Rn. Tale insieme possiede una struttura naturale di spazio
lineare di dimensione n (n + 1)/2. Ad esempio, t u t t e le forme
quadratiche del piano formano uno spazio tridimensionale (la
+
forma Ax2 2Bxy + Cy2 ha per coordinate i tre numeri A,
B , C).
Le forme definite positive costituiscono un dominio aperto
dello spazio delle forme quadratiche (nel caso del piano si tratta
dell'interno di una delle falde del con0 B 2 = AC, generato dalle
forme degeneri).
Ogni ellissoide, il cui centro sia posto nell'origine delle coor-
dinate, determina una forma quadratica definita positiva, per la
quale rappresenta l'insieme di livello 1; inversamente, l'insieme
di livello 1, di qualunque forma quadratica definita positiva, B
un ellissoide. Possiamo dunque identificare gli insiemi delle forme
quadratiche definite positive con gli ellissaidi, il cui centro s i
trova nell'origine delle coordinate.
I n questo mod0 introduciamo nell'insieme degli ellissoidi di
Rn, con centro in 0, una struttura L. varieti regolare di dimensione
n (n + 1)/2 (tale varieti B ricoperta da una sola carta: il dominio
aperto, indicato sopra, dello spazio delle forme quadratiche).
Consideriamo ora l'insieme d i tutti gli ellissoidi di rotazione.
Affermiamo che questo insieme h a codimensione 2 nello spazio
considerato, ciog 6 definito da due equazioni indipendenti, e non
da una sola come sembrerebbe a prima vista. P i i -esattamente, B
valido il
Teorema i. L'insieme degli ellissoidi di rotazione 2 un'unio-
ne finita di sottovarietd regolari di codimensione maggiore o uguale
a 2 nella varietd di tutti gli ellissoidi.
Qui si chiama codimensione di una sottovarieti la differenza
tra l a dimensione dello spazio ambiente e quella della sottova-
rieti.
D i m o s t r a z i o n e. Considerianio inizialmente gli ellis-
soidi dello spazio n-dimensionale, che possiedono due assi uguali
e gli altri tutti diversi. Un tale ellissoide B definito dalle direzio-
ni degli assi diversi, il che d i
parametri, ed ancora dalla lunghezza degli assi, cioB dA n - l
parametri. Percib, il numero complessivo di parametri B uguale a

che B di due unit& inferiore alla dimensione dello spazio di t u t t i


qli ellissoidi (uguale a n (n + 1)/2). Questo calcolo dei parametri
sostra anche che l'insieme degli ellissoidi, che possiedono eeatta-
mente due assi uguali, B una varieti.
Per quanto concerne gli ellissoidi con un numero maggiore di
assi uguali, Q chiaro che essi formano tutti un insieme di dimen-
sione ancora pib piccola. La dimostrazione rigorosa deriva dal se-
guente lemma.
Lemma. L'insieme di tutti gli ellissoidi che possiedono r2 assi
doppi, v, assi tripli, vc assi quadrupli, ecc., b una sottovarietii rego-
lure della varieta di tutti gli ellissoidi, di codimensione

La dimostrazione di questo lemma si riduce a calcolare i pa-


rametri, come nel caso particolare considerato sopra (che corri-
sponde a v2 = 1, V, = V' = . .. = 0). I1 lettore stesso pub fncil-
mente effettuare il calcolo, dopo aver oseervato che la dimensione
della varieth di tutti i sottospazi k-dimensionali di uno spazio
lineare n-dimensionale B uguale a k (n - k) (dato che si pub con-
siderah un g e n e r i c ~k-piano di uno spazio n-dimensionale come
il grafico di un'applicazione di uno spazio di dimensione li in
uno spazio di dimensione n - k, e tale applicazione B definita da
una matrice rettangolare k X (n - k))..
E s e m p i o. Consideriamo il caso n = 2, cioB delle ellissi
sul piano. L'ellisse B definita da tre parametri (per esempio, la
lunghezza 'dei due assi e un angolo, che definisce la direzione d i
uno di essi). Dunque la varieth delle ellissi sul piano B tridimensio-
nale, come deve essere second0 la nostra formula.
La circonferenza invece B definita da un solo parametro (il
raggio). Dunque l a varieti delle circonferenze nello spazio degli
ellissoidi 6 una retta di uno spazio tridimensionale, e non una
superficie, come sembrerebbe a prima vista.
Questo a paradosso n diviene forse pi^ comprensibile col
seguente calcolo. Le forme quadratiche Ax2 2Bxy + + Cyn, i
cui autovalori sono uguali, formano in uno spazio tridimensio-
nale, di coordinate A, B, C, una varieti definita da una sola
equazione, I;= A,, dove Il,, (A, B, C) sono gli autovalori.
Tuttavia, il primo membro di questa equazione B la somma di due
quadrati, come risulta evidente dalla formula per il discrimi-
nante dell'equazione caratteristica
A = (A + C)' - 4 (AC - B2) = (A - C)' + 4B2.
Dunque, la sola equaziorie A = 0 definisce, nello spazio tridi-
men~ionaledelle forme quadratiche, una retta (A = C, I3 = 0) e
no11 una superficie.
Una dello conclusioni pi6 immediate del fatto che la varieth
degli ellissoidi di rotazione ha codimensione 2 B che tale varieth
non divide lo spazio di tutti gli ellissoidi (mentre la varieth delle
formc quadratiche a spettro multiplo non divide lo spazio delle
fornle quadratiche), similmente a1 fatto che la retta non divide lo
spozio tridimensionale.
Dunque, possiamo affermare non solo che un ellissoide gene-
rico Ila tutti gli assi di lunghezza diversa, ma anche che due qua-
l u n p e tali ellissoidi possono essere uniti nello spazio degli ellissoidi
da cina curva regolare, interamente composta di ellissoidi con assi
di lunghezza diversa. Inoltre, se due ellissoidi generici so110 uniti
da ulla curva regolare nello spazio degli ellissoidi, sulla quale si
trovilno dei pnnti corrispondenti a ellissoidi di rotazione, allora,
con U I I O spostamcnto piccolo a piacerc della curva, la si pui, sepa-
rare tlnll'insieme degli ellissoidi di rotazione, in mod0 tale che
sulla lruova curva tutti i punti saranno ellissoidi senza assi mul-
tipli.
Da quanto precedentemente detto derivo in particolare una
semylico dimostrazione del teorema relativo alla crescita delle
frequenze caratteristiche quando aumenta la rigiditii. di un si-
stemit. In effetti, le derivate di un autovalore somplice di una
forma quadratica rispetto a1 parametro sono determinate dalla
derivitta della forma quadratica nella direziol~e propria corri-
spondi?nte. Se la rigiditi cresce, allora l'energia potonzialc cresce
in tutte le direzioni, e quindi anche nella direzione propria, cioi!
cresce inche la frequenza caratteristica. Abbiamo durique dimo-
strato il tcorema sulla crescita delle frequenze, nel caso che si
possa passare dal sistema iniziale a qucllo yih rigido, senza ricor-
rere a110 spettro multiplo. La dimostrazione in presenza di uno
spettro multiplo si ottiene ora con un passaggio a1 limite, giusti-
ficato dal fatto che la parte interna del cammino, che porta dal
sistema iniziale a quello piG rigido, si pub separare, con uno spo-
stamento piccolo a piacere, dall'inuieme dei sistemi a spettro
multiylo.
Riassumendo, possiamo dire clie la famiglia tipo a un para-
metro di ellissoidi (ovvero di forme quadratiche nello spazio eucli-
deo) nor2 contiene ellissoidi di rotazione (forme quadratiche a spettro
multiplo). Applicando tutto cii, all'ellissoide d'inerzia otteniamo
la co~iclusioneprecedente relativa alla rrecessita di disporre di
due masse regolabili.
Occupiamoci ora delle famiglie a due parametri. Dai nostri
calcoli deriva che nelle famiglie tipiche a due parametri gli ellis-
soidi di rotazione si incontrano solo in punti particolari isolati del
piano dei parametri:
Consideriamo, per esempio, una superficie convessa nello spa-
zio ordinario. La seconda forma quadratica della superficie defi-
nisce*un'ellisse nello'spazio tangente in ogni punto. Si origina
dunque una famiglia a due parametri di ellissi (che si possono
trasportare in un piano scegliendo, nell'intorno di un punto della
superficie, un sistema locale di coordinate). Giungiamo alla con-
clusione che in ogni punto della superficie, a parte punti par-
ticolari isolati, l'ellisse possiede assi di lunghezza diversa. Dun-
que, su una superficie generica sono definiti due campi ortogo-
nali di direzioni (assi maggiore e minore dell'ellisse) con dei punti
sing~lariisolati. In geometria differenziale queste direzioni sono
chiamate direzioni delle curvature princjpali e i punti singolari,
punti ombelicali. Per esempio, sulla superficie dell'ellissoide vi
sono quattro punti ombelicali; essi sono situati sull'ellisse che
contiene gli assi maggiore e minore e due di essi sono ben visibili
sulla figura.che mostra le geodetiche di un ellissoide (vedere la
fig. 207).
In mod0 perfettamente analogo, 'ancha in una famiglia tipo a
tre parametri gli ellissoidi di rotazione si incontrano solo su linee
particolari dello spazio tridimensionale dei parametri. Per esempio,
se in ogni punto dello spazio euclideo tridimensionale B dato un
ellissoide (cio8 B definito un tensore simmetrico del second0 ordi-
ne), allora le singolariti dei campi di assi principali saranno, in
generale, situati su linee distinte (dove due dei tre campi di dire-
zione presentano una discontinuith).
Queste linee, come i punti ombelicali dell'esempio prece-.
dente, sono di vari tipi. La loro classificazione (per campi tip0 di
ellissoidi) si pub dcdurre dalla classificazione delle singolariti
delle proiezioni lagrangiane, che 6 fatta alllAppendice 12.
In una famiglia tip0 a quattro parametri gli ellissoidi di rota-
zione si incontrano .su superfici bidimensionali dello spazio dei
paramet.ri. Queste superfici non presentano singolariti, a parte
le intersezioni trasrersali in certi punti dello spazio dei parametri;
a questi valori dei parametri corrispondono ellissoidi con due
(diverse) 'coppie di assi uguali.
Un asse triplo appare per la prima volta per cinque parame-
tri, in punti isolati particolari dello spazio dei parametri. I valori
dei parametri, corrispondenti a ellissoidi ad asse doppio, formano
nello spazio .pentadimensionale dei parametri una varieti tridi-
mensionale con singolariti di due tipi: intersezioni trasversali di
due rami lungo una curva e singolariti coniche in punti partico-
lari (non situati su questa curva), piG precisamente nei punti dello
spazio dei parametri, che corrispondono agli ellissoidi ad asse
triplo.
La singolariti conica indicata B fatta in mod0 tale che l'in-
tersezione di una sfera di dimensione quattro, di raggio piccolo
e centro in un punto singolare, d i due esemplari di piano proiettivo.
Le immersioni, che si originano, del piano proiettivo nella sfera
di dimensione quattro sono diffeomorfe all'immersione definita
da cinque funzioni sferiche di second0 grado su una sfera bidi-
mensionale (cinque combinazioni lineari ortonormali di funzioni
x t x ~ ,ortogonali all'uniti, definiscono nello spazio delle funzioni
sulla sfera 4 + ++ xi = I ~\mapplicazione pari S2,+ S4,
e, conseguentemente, l'immenione R P L SS.
E utile analizzare ancora come si comportano gli autovalori
,di una forma quadratica appartenente a una famiglia tip0 a due
parametri, quando ci si avvicina a un punto singolare, in cui due
autovalori coincidono. Un semplice calcolo mostra che il grafico

Fig. 243. F~equenzecaratteristiche di famiglie a uno c due parametri di


sistemi oscillatori di forma generale.

di questa coppia di autovalori possiede nell'intorno di un punto


singolare sopra il piano dei parametri la forma di un con0 a due
falde, il cui vertice corrisponde a1 punto singolare e ogni falda a
uno degli autovalori (fig. 243).
Una sottofamiglia unidimensionale tip0 della nostra fami-
glia bidimensionale possiede la forma di una curva tracciata sul
piano dei parametri, che non passa per il punto singolare. Ogni
sottofamiglia unidimensionale, che contiene un punto singolare,
pui, essere separata da esso con una piccola deformazione, tale
che la famiglia ottenuta unidimensionale sia una curva dello
spazio dei parametri, che passa vicino al.punto singolare. I1 gra-
fico degli autovalori situato sopra una curva del piano dei para-
metri, che passa vicino a1 punto singolare, consiste dei punti del
con0 che si proiettano su questa curva. Dunque, nell'intorno del
punto singolare il grafico 6 vicino a un'iperbole, simile a una
coppia di rette intersecantisi (si otterrebbe una coppia di rette,
se la nostra famiglia a un parametro passasse per il punto singo-
lare).
I1 ragionamento fatto riguardo agli autovalori delle famiglie
a due parametri di forme quadratiche, spiega lo strano compor-
tamento delle frequenzq caratteristiche a1 variare di un role para-
metro: in generale (escludendo casi del tutto eccezionali), a1 va-
riare di un parametro le frequenze caratteristiche possono avvi-
cinarsi l'una all'altra, ma non possono raggiungersi. Dopo essersi
avvicinate, esse devono allontanarsi in direzioni opposte.
B. Applicmione a110 studio delle oecillazioni di mevei continui.
I ragionamenti precedenti hanno numerose applicazioni nello
studi.0 di come dipendono dai parametri le frequenze caratteristi-
che di diversi sistemi meccanici a numero finito di gradi di li-
berti; tuttavia, probabilmente, le applicazioni piii interessanti
sono quelle relative a sistemi a numero infinito di gradi di liber-
tB, che descrivono le oscillazioni di mezzi continui. Queste appli-
cazioni si basano sul fatto che le codimensioni dejle varietit degli
ellissoidi a assimultipli sono definite dulle moltepltcitit stesse e non
dipendono d a l k dimensione &llo spazio.
Per esempio, la codimensione dekl'insieme degli ellissoidi
d i rotazione della varieti di tutti gli ellissoidi Q uguale a due in
uno spazio di dimensione qualunque; dunque, B naturale conside-
rare che nella u varieti B infinita degli ellissoidi in uno spazio di
Hilbert infinito-dimensionale l'insieme degli ellissoidi di rota-
zione abbia codimensione 2 (e che, in particolare, lo spazio degli
ellissoidi, che non hanno assi multipli, sia connesso).
Naturalmente, ragionamenti di questo tip0 hanno bisogno
d i una giustificazione rigorosa. Noi, tuttavia, non ci occuperemo
d i questo aspetto e vedremo invece a quali conclusioni si perviene
se non si ha paura di applicare.le riflessioni, sviluppate preceden-
temente, a1 problema delle oscillazioni di un mezzo continuo.
L'energia cinetica di un mezzo continuo, che riempie un domi-
nio compatto D, si esprime, in funzione dello scarto u di un punto
z rispetto all'equilibrio, con la formula
T=- 2 U: dx.
rb
Per fissare le idee prenderemo come mezzo continuo una membrana
(in questo caso il dominio D B bidimensionale, mentre lo scarto
u 6 unidimensionale). L'energia cinetica definisce una struttura
euclidea'nello spazio delle configurazioni del problema (cio8 riello
spazio delle funzioni u). L'energia poteniiale Q data dall'integrale
d i Dirichlet

(dal punto di vista matematico questi dati figurano nella defi-


niziane della membrana).
I quadrati delle frequenze caratteristiche della membrana
sono gli autovalori della forma quadratica U nello spazio delle
configurazioni, la cui metrica B definita per mezzo dell'energia
cinetica. Noi postuliamo che a una membrana tip0 coerisponde una
forma quadratica tip0 (questti supposizione implica la trasversa-
l i t i della varieti delle forme quadratiche, corrispondenti a diverse
membrane, alla varieti delle forme quadratiche ad autovalori
multipli). Se questa proprieti generale b verificata, perveniamo
allora alle eeguenti conclusioni.
1. Le freguenze caratteristiche di una membrana generica sono
tutte distinte. Si pub passare da una membrana generica a un'altra
con un cammino continuo, costituito unicamente da membrane a
spettro semplice. Inoltre, il cammino tip0 che unisce due membrane
qwlunque, non possiede nessuna membrana a spettro multiplo (e-
scludendo, eventualmente, glj estremi del cammino).
2. S i puii far si, cambiando due parametri di una membrana,
che due frequenze caratteristiche coinciduno; per ottenere una fre-
quenza tripla bisogna avere a disposizione cinque parametri indipen-
denti, per ottenerne una quadrupla, noce, ecc.
3. Se a partire da una membrana a spettro semplice, dejorman-
dola in mod0 continuo, si passa a un'altra membrana a spettro sem-
plice, lungo un cammino generic0 qualunque, allora alla fine di
questo prolungamento dulla k-esima frequenza. caratteristica, in or-
dine di grandezza, della membrana iniziale si ottiene, indipendente-
mente dul cammino della deformazione, sempre la k-esima (in ordine
di grandezza) frequenza caratteristica della membrana finale; i l
prolungamento delle autofunzioni, in generale, dipen& invece d a l
cammino della deformazione (pic precisamente, guando cambia it
cammino pub cambiare il segno dell'autofunzione ottenuta).
In particolare, Fe partendo da una membrana a spettro ssm-
plice e' deformandola dewriviamo un cammino chiuro nello spa-
zio delle membrane e ritorniamo alla membrana' iniziale dopo
aver percorFo un insieme di membrane a epettro multiplo (che
possiede. codimensione 2), allora la k-esima frequenza caratteri-
stica riprende il suo valore iniziale, mentre la k-esima autofun-
zione pui, cambiare segno.
C. Influenza delle simmetrie sulla molteplicits dello spettro.
Lo spettro multiplo b un'eccezione nei sistemi generali, ma eappa-
re, ed B allora ineliminabile con una piccola deformazione, se il
sistema dato B simmetrico e le deformazioni ne conservano la
simmetria.
Consideriamo, per erempio, un sistema composto da tre masse
uguali disposte ai vertici di un triangolo equilatero congiunte
fra di loro e con il centro del triangolo da molle tutte uguali,
e supponiamo che il sistema possa muoversi eul piano del trian-
golo. I1 sistema ha una simmetria rotazionale del terzo ordine.
Quindi esiste un operatore .lineare g, il cui cub0 b uguale ad 1,
che agisce nello epazio delle configurazioni (che ha dimensione 6)
e che conserva sia la struttura euclidea, defin-ita nello spazio dellc
configurazioni dall'energia cinetica, che l'ellissoide definito dal-
l'energia pctenziale.
Da quanto detto segue che questo ellissoide h e essere utz el-
lissoide di rotazione. I n effetti, se g B l'operatore che descrive l'azio-
ne della simmetria nello spazio delle configurazioni e f B un vetto-
re, che appartiene a un asse principale dell'ellissoide, allora l ' a s ~ e
che ha come direzione gf B un asse principale (in altri termini,
la rotazione g trasforma l'ellissoide in re steaso).
Ci sono due possibilith per il vettore gf: o gf = E, o i vettori
E e gE sono linearmente indipendenti e formano un angolo di 120"
nello spazio delle configurazioni. Nel secondo caso si ha che il
piano costruito sui vettori E e gf B formato tutto da assi principali.
Di conseguenza, I'autovalore corrispondente ad urn tale asse B come
minimo doppio.
I1 nostro ragionamento mostra che le oscillazioni normali di
un sistema a simmetria rotazionale del terzo ordine possono ewere
di due tipi: invariante rispetto alla rotazione di 120' (gf = E),
o che si traeforma, sotto l'azione di una tale rotazione, in un'o-
scillazione normale indipendente con la stessa frequenza (gE e f
indipendenti). Nel secondo caso si ottengono tre tipi di oscilla-
zioni normali con la stessa frequenza (f, gE, g2f), ma solo due tra
queste sono indipendenti:
+ +
E g5 g25 = 0,
dato che la eomma di tre vettori complanari di uguale lunghezza,
che formano angoli di i20°, 6 uguale a zero.
I1 numero complessivo di oscillazioni normali del nostro
sistema B uguale a 6. Per eapere quante sono del primo tip0 (sim-
metrico) e quante del secondo tip0 (non simmetdco) si pub uti-
lizzare il seguente ragionamento. Consideriamo il caso limite,
quando ciascuna di queste masse oscilla indipendentemente dalle
altre.
In questo caso possiamo ecegliere una base ortonormale nello.
spazio delle configurazioni, costituita da sei oscillazioni normali,
poste in ogni punto a due a due, tali che un punto si muove e gli
altri due no. Indichiamo con Ei ed qi gli autovettori relativi
all'i-esimo punto e corrispondentj rispettivamente alle frequenze
caratteristiche a e b, e siano s f , yl le coordinate nella base orto-
normale gi, qi. Allora l'energia potenziale si scrive nella forma

L'operatore di simmetria g p e w u t a gli assi coordinati:

Possiamo ora rappresentare il nostro spazio a sei dimension;


come la somma diretta ortogonale di due rette e di due piani bidi-
mensionali, invarianti rispetto all'operatore d i simmetria g.
Piii esattamente, le rette invarianti sono definite dai versori

mentre i piani invarianti sono i loro complementi ortogonali


negli spazi generati, rispettivamente, dai versori degli assi coor-
dinati f f ed 9,.
La prima delle due rette rappresenta la direzione dell'oscil-
lazione normale simmetrica di frequenza a , e la seconda quella
di frequenza b. Allo stesso mod0 ogni vettore del primo piano B
direzione dell'oscillazione normale di frequenza a, che sotto I'azio-
ne di rotazione di 120' si trasforma in un'oscillazione, normale
indipendente da essa e di uguale frequenza; per t u t t i i vettori del
secondo piano l'oscillazione non B simmetrica ed B di frequenza b.
Dunque, nel caso degenere considerato di tre punti indipen-
denti, vi sono due oscillazioni normali indipendenti di tip0 simmetri-
co e quattro di tip0 non simmetrico; queste ultime si dividono in due
coppie. I n ogni coppia le oscillazioni hanno la stessci frequenza carat-
teristica e si ottengono l'una dall'altra mediante una rotazione di
120" del piano di giaeitura dei nostri punti.
..\ffermiamo ora che la conclusione ottenuta rimane valida
per qualunque legge d'interazione fra i nostri punti solo nel caso
di un'interazione simmetrica, cio6 solo nel caso che l'energia po-
tenziale sia invariante per una rotazione di 120".
Scegliamo, infatti, un qualunque sistema composto da sei
oscillazioni normali cl, . . ., G ortogonali fra di loro. Ognuno
di questi vettori ci nello spazio delle configurazioni o ruota di
120" o rimane fisso sotto l'azione di un operatore g. Ma tutti i
vettori invarianti rispetto a g formano un piano bidimensionale
nello spazio delle configurazioni, mentre tutti quelli che ruotano
di 120" formano uno spazio di dimensione quattro. Di conseguen-
za, esattamente due dei sei vettori corrispondono ad oscillazioni
simmetriche; i rimanenti quattro giacciono .nello spazio quadri-
dimensionale, perpendicolare ai primi due, generato da quei
vettori, che ruotano di 120". Prendiamo uno di questi vettori,
applichiamogli l'operatore g e definiamo il vettore cosi ottenuto
come accoppiato con la direzione iniziale dell'oscillazione norma-
le. Quindi, nel complemento ortogonale a1 piano ottenuto, relati-
vamente a110 spazio quadridimensionale, prendiamo un qualunque
vettore ed associamogli la sua immagine sotto l'azione dell'ope-
ratore g. Otteniamo cosi un sistema di sei oscillazioni normali,
'
che soddisfa le proprieta richieste.
Dunque, i n un sistema piano generic0 costituito da tre punti,
a simmetria rotazionule del terzo ordine, si hanno quattro diverse
frequenze caratteristiche, di cui due semplici e due doppie. A ciascuna
delle f r e p n z e caratteristiche semplici corrisponde un'osci llaziorie
normale simmetrica, e a ciascuna di quelle doppie tre oscillazioni
normali, che si ottengono l'una dall'altra mediante una rotazione di
120" e che danno come somma zero (&to che solo due sono indipenden-
ti);
P r o b 1 e m a. Classificare le oscillazioni normali di un
sistema con una simmetria del tip0 di quella del triangolo equi-
latero (che Q invariant0 non solo per rotazioni di 120°, ma anche
per riflessioni rispetto alle altezze).
P r o b 1 e m a. Classificare le oscillazioni normali di un
sistema, il cui gruppo di simmetria coincide con il gruppo delle
24 rotazioni del cubo.
Risposta. Le oscillazioni sono di cinque tipi. Facendo ruo-
tare ciascuna delle oscillazioni si ottiene un sistema o di 8, o di 6,
o di 4, o di 2, ovvero di 1 oscillazioni indipendenti (nell'ultimo
caso le oscillazioni sono completamente simmetriche).
0 s s e r v a z i o n e. Per classificare le oscillazioni in si-
stemi a gruppi di simmetria qualunque Q stato elaborato un for-
m a l i s m ~speciale (la cosiddetta teoria d'elle rappresentazioni dei
gruppi). Confrontare, per esempio, G. Ja. Ljubarskij La teoria dei
gruppi e la sua applicazione alla fisica, M., a Fizmatgiz B, 1958
(in russo), dove si troveranno le tavole necessarie.
D. Comportamento delle frequenze di un sistema simmetrico
per un cambiamento dei parametri che conservi la simmetria.
Supponiamo ora che il nostro sistema simmetrico dipenda in mod0
del tutto generale da un certo numero di parametri e che la sim-
metria non sia violata quando cambiano i parametri. Allora anche
le frequenze caratteristiche di molteplicita diverse dipenderanno
dai parametri, e sorge la questione dell'urto tra le frequenze
caratteristiche. Ci limiteremo a formulare i risultati nel caso
piii semplice di sistemi a simmetria rotazionale del terzo ordine
(nel caso di simmetrie rotazionali di ordine qualunque n 2 3,
la risposta Q la stessa). I dettagli si possono trovare negli articoli:
V. I. Arnold Modi e quasi modi, u Funktsionalnyj analiz i ego pri-
logenija N, 6 : 2, 1972, 12-20 (in russo); V. N. Karpugkin Sull'asin-
totica &gli uutovalori delle varietii simmetriche e s u l k rappresenta-
zioni u piii probabili n dei gruppi finiti, (( Vestnik MGU, Ser. Mat. B,
197.4, n. 2, 9-13 (in russo).
Le oscillazioni normali di un sistema a simmetria rotazionale
del terzo ordine si dividono in due tipi: oscillazioni simmetriche
ed oscillazioni che, con una rotazione di 120°, si trasformano in
oscillazioni indipendenti da quelle iniziali. Nel caso generale di
un sistema a simmetria rotazionale del terzo ordine (che non pos-
sieda in particolare nessuna simmetria complementare), tutte le
frequenze caratteristiche del primo tip0 sono semplici e quelle
del second0 sono doppie.
Risulta inoltre che, se il sistema dipende in mod0 generale
da un solo parametro ed Q simmetrico per tutti i suoi valori, quan-
do il parametro varia le frequenze caratteristiche delle oscillazioni
simmetriche non w t a n o fra di loro, mentre le frequenze carutteristi-
che doppie delle oscillazioni non simmetriche non si decompongono.
Inoltre, le frequenze caratteristiche dopp ie di oscillazioni non simme-
tri* ugualmente non si urtano. Tuttavia, a1 variare del parametro,
le frequenze caratteristiche delle oscillazioni simmetriche e non sim-
metriche si muovono i n modo indipendente fra di loro, cosicchC per
certi valori del parametro possono wtarsi (ed attraversarsi) la fre-
quenza caratteristica di un'oscillazione simmetrica e quella, (doppia)
d i un'oscillazione non simmetrica.
Affinch6 si urtino due frequenze caratteristiche di oscilla-
zioni simmetriche, bisogna far variare come minimo due parame-
tri, e nel caso di oscillazioni non simmetriche, almeno tre.
In generale, affinchh in una famiglia tip0 di sistemi a sim-
metria rotazionale del terzo ordine si incontrino sistemi, in cui
vi B l'urto di i frequenze caratteristiche semplici ( i oscillazioni
simmetriche) e j doppie ( j oscillazioni non.simmetriche) il numero
di parametri della famiglia deve essere almeno

Applichiamo quanto detto alle oscillazioni di membrane sim-


metriche.. Faremo qui l'ipotesi che a una membrana di tip0 gene-
rale, invariante per rotazioni di 120°, corrisponda un ellissoide di
tip0 generale nello spazio degli ellissoidi dello spazio delle confi-
'gurazioni, invarianti rispetto alla trasformazione indotta nello
spazio delle configurazioni dalla rotazione della membrana.
La formulazione esatta di questa ipotesi consiste nel s u p
porre che l'applicazione dello spazio delle membrane. simmetriche
nello spazio degli ellissoidi simmetrici sia trasversale alle varieth
degli ellissoidi con un numero diverso di assi multipli per tutte
le membrane, tranne un insieme di codimensione infinita.
Se si accetta questa ipotesi, allora si ottengono i seguenti
risultati sulle oscillazioni delle membrane simmetriche.
1. Per membrane di tip0 generale, invarianti rispetto a rota-
zioni di 120°, si ha che mintoticamente u n terzo delle freqwnze carat-
teristiche (lenuto conto delle loro molteplicitd) sono semplici e le
corrispondenti oscillazioni n o r m l i sono invarianti per rotazioni d i
1200. Le rimanenti frequenze caratteristiche sono doppie e ad ognuna
corrispondono tre autofunzioni, la cui somma 2 zero e che si ottengono
l ' u m dull'altra con una rotazione di 120".
2. Nelle famiglie generiche a un parametro di tali membrane
simmetriche si hunno, per valori particolari dei parametri, urti tra
una frequenza semplice e una doppia, m a non si verificano mai col-
lisioni di frequenze semplici fra di loro, o di frequenze doppie.
3. I1 nwnero minimo di parametri di una famiglia di membrane,
in cui si realizzano urti piii complicati di frequenze caratteristicb
(che non sE pornno eliminare con una piccola deformazione che con-
[(i-l)(i+2)/2+f21vlj,
dove v i j 2 il numero di punti di collisione tra i frequenze semplici e
f frequenze doppie.
In particolare, per una piccola deformazione generica di una
membrana circolare, che conservi la simmetria rotazionale del
terzo ordine, si scompone subito un terzo degli autovalori doppi
(corrispondenti alle autofunzioni che hanno come ,parte azimutale
cos 3kcp e sen 3kcp). Per un'ulteriore deformazione a.un parametro,
le frequenze caratteristiche semplici e doppie possono attraversar-
si, ma non si scontreranno mai due frequenze semplici, n6 due
frequenze' doppie.
E. Discussione. L'importanza delle considerazioni generali
e di simmetria risiede nel fatto che esse permettono di ottenere
delle informazioni in quei casi, in cui non si riesce a trovare una
soluzione esatta del problema.
In particolare, non sono note le forme delle oscillazioni nor-
mali di quasi tutte le membrane. Ciononostante B possibile con
ragionamenti di carattere generale dire qualcosa, per esempio,
sulle molteplicitl degli autovalori.
Lo studio delle oscillazioni ad alta frequenza dei mezzi con-
tinui ha una grande importanza per una' serie di campi (ottica,
acustica, ecc.) e per trovare le forme approssimate delle. oscil-
lazioni normali sono stati elaborati dei metodi speciali. Uno di
questi metodi (la cosiddetta asintotica quasi classics) consiste nel
cercare l'oscillazione in una forma localmente vicina ad un'onda
armonica semplice di lunghezza piccola, la cui ampiezza e dire-
zione del fronte, tuttavia, varia.no leggermente da un punto
all'altro.
L'analisi (sulla quale non possiamo qui soffermarci) mostra
che in alcuni casi si possono costruire delle soluzioni~approssimate
per l'equazione delle autofunzioni, che goda delle proprieti indi-
cate. Queste soluzioni sono approssimate, nel senso che qugsi
soddisfano l'equazione per le autofunzioni (e non nel senso che
sono quasi uguali alle autofunzioni effettive).
In particolare, se la membrana ha la forma di un triangolo
equilatero, con angoli fortemente arrotondati, si pub costruim
una soluzione approssimata del tip0 descritto, che differisce in
mod0 apprezzabile dallo zero solo nell'intorno di una delle altezze
d'el, triangolo. (I fisici chiamano questa soluzione approssimata
analog0 ondulatorio di un raggio che si muove lungo un'altezza
'
del triangolo; questo raggio B una traiettoria stabile di un biliar-
1 La condizione di stabiliti lineam di una traiettoria di biliardo he
la forma
(r1 + r, - 2) (r1 - 1) - 1) > 0,
(r*
do, che ha la forma della membrana; vedere l'appendice sulle
asintotiche a onde corte.)
Da ragionamenti di tip0 generale e di simmetria segue che
membrane generiche a simmetria rotazionale del terzo ordine non
ammettono vere oscillazioni normali del tip0 descritto. In effetti,
supponiamo che una delle oscillazioni normali della membrana
sia concentrata vicino ad un'altezza (ma non vicino a1 centro della
membrana). Allora, se si ruota l'oscillazione di 120' o di 240°,
otteniamo tre oscillazioni normali di uguale frequenza caratteri-
stica. Queste tre oscillazioni sono indipendenti (poich6 la lor0
somma 6 diversa da zero). Dunque, la frequenza caratteristica in
questione B tripla, il che non B dato di trovare in sistemi generici
a simmetria rotazionale del terzo ordine.
Dalla discussione fatta risulta evidente che il cercare di
costruire un'asintotica rigorosa ad alta frequenza delle autofun-
zioni B un problema senza speranza di soluzione: B meglio, e in
questo si pub riporre qualche speranza, ottonere delle formule
approssimate per le oscillazioni quasi normali. Una tale oscilla-
zione quasi normale pub differire notevolmente dalle oscillazioni
normali effettive, ma se B assegnata una condizione iniziale che le
corrisponde, allora in un intervallo di tempo abbastanza lungo il
mot0 ricorderh .un'onda stazionaria (oscillazione normale).
Un esempio di oscillazione quasi normale B il mot0 di uno
di due pendoli uguali, uniti da una molla molto debole. Seal-
l'istante iniziale facciamo mhovere il primo pendolo, mentre il
second0 6 fisso, allora, per un intervallo di tempo lungo, oscil-
leri praticamente solo il primo pendolo e le oscillazioni saranno
quasi normali. Nel caso di vere oscillazioni normali le ampiezze
dei due peridoli sono uguali.
Negli ultimi anni molti autori si sono occupati intensamente
del problema del legame che intercorre tra la geometria della
membrana e le proprieth delle sue oscillazioni normali (fra gli
altri, H. Weyl, S. Minakshisundaram e A. Pleiel, A. Selberg,
J. Milnor, M. Kaz, I. Singer, N. McKean, M. Berger, I. Colin de
VerdiBre, J. Chezarain, J. Duistermaat, V. F. Lazutkin, A. I. Sni-
relman, S. A. MolEanov).
La risposta alla semplice questione u 6 possibile ascoltare la
forma di un tamburo? n B negativa: esistono varieti riemanniane
non isometriche di uguale spettro. D'altra parte, alcune proprieti
della varieth si stabiliscono in base a110 spettro degli autovalori
dell'operatore di Laplace e alle proprieth delle autofunzioni (per
esempio, B possibile stabilire la collezione completa delle lun-
ghezze delle geodetiche chiuse).

dove I 1! la lunghezza di un segment0 di traiettoria, rl e rl sono i raggi di


curvatura della parete ai suoi estremi.
Appendice I 2
Asintotiche ad onde corte

La descrizione della propagaziona dclla luce in ottica geo-


metrica per mezzo dei raggi (ciol! per mezzo delle equazioni cano-
niche di Hamilton) o dei fronti d'onda (ciol! per mezzo delle equa-
zioni di Hamilton - Jacobi) dal punto di vista dell'ottica fisica
6 solo un'approssimazione. In base alla rappresentazionc dell'ot-
tica fisica la luce 13 un'onda elettromagnetica, e l'ottica geometri-
ca Q una prima approssimazione, che descrive bene i fenomeni solo
quando la lunghezza dell'onda 13 piccola in confront0 alle dimen-
sioni dei corpi considerati.
L'equivalente matematico d i questc rappresel~tazionifisiche
sono le formule asintotiche per le soluzioni delle corrispondenti
equazioni differenziali, formule che hanno un'approssimazione
tanto migliore, quanto maggiore l! la frequenza delle iscillazioni
(ciol! quanto piii corte sono le onde). Queste formub asintotiche
si scrivono in termini di raggi (ciol! di moti in un certo sistema
dinamico hamiltoniano) o di fronti (ciol! di soluzioni dell'equa-
zione di Hamilton - Jacobi).
Una simile asintotica a onde corte esiste per le soluzioni di
molte equazioni della fisica matematica, che descrivono tutti
i possibili processi ondulatori. Essa 15 chiamata in mod0 diverso
nei diversi domini della fisica e della matematica. Per esempio, in
meccanica quantistica l'asintotica a onde corte si chiama appros-
simazione quasi classica e la si cerca col metodo WKBJ (Wentzel,
Kramers, Brillouin, Jeffreys), sebhene molto prima si siano ser-
viti di questa approssimazione Liouville, Green, Stokes e Ray-
leigh.
La costruzione dell'asintotica a onde corte 13 basata sull'idea
che localmente si osservi urn serie di onde quasi esattamente si-
nusoidali, ma che la loro ampiezza e la direzione dei loro fronti
variano lentamente da punto a punto. La sostituzione formale di
una funzione di questa forma nell'equazione alle derivate parziali,
che descrive il process0 ondulatorio, porta (in prima approssima-
zione per una lunghezza d'onda piccola) all'equazione di Hamil-
ton - Jacobi per i fronti d'onda. Le approssimazioni successive
yernlettono di definire anche la dipendenza dell'ampiezza delle
oscillazioni dal punto.
Naturalmente, l'intera procedura deve essere giustificata
matematicamente. La formulazione esatta e la dimostrazione dei
relativi teoremi non sono affatto semplici. Le difficolti maggiori
derivano dalle cosiddette caustiche (diversamente: punti focali,
o punti coniugati o quelli di rotazione).
Le caustiche sono gli inviluppi di famiglie di raggi; si posso-
no osservare su una parete, illuminata dai raggi riflessi da una
qualunque superficie curva regolare. Se i raggi, che si introducono
nella descrizione delle onde, si intersecano e formano delle causti-
che, nell'intorno delle caustiche si devono allora modificare leg-
germente le formule dell'asintotica a onde corte. Piii precisamen-
te, la fase delle oscillazioni lungo ogni raggio subisce una discon-
tinuitl standard (di un quarto d'onda) per ogni passaggio del rag-
gio vicino alla caustica.
La descrizione esatta di tutti questi fenomeni si fa comoda-
mente in termini di geometria delle sottovarieti lagrangiane
del corrispondente spazio delle fasi e delle loro proiezioni sullo
spazio delle configurazioni.
In questo mod0 le causticbe si interpretano come le singo-
lariti della proiezione dallo spazio delle fasi a quello delle confi-
gurazioni della varieti lagrangiana che definisce la famiglia di
raggi. Dunque, le forme normali delle singolariti delle proiezioni
lagrangiane, introdotte all'Appendice 12, forniscono, in partico-
lare, una classificazione delle singolariti delle caustiche formate
da sistemi di raggi generici.
In questa appendice si presentano (senza dimostrazione) le
formule semplici dell'asintotica a onde corte per l'equazione del-
la meccanica quant.istica di Schrodinger. Un'esposizione pih det-
tagliata si trova nei seguenti lavori:
J. Heading Introduzione a1 metodo degli integrali di fase,
w Mir N, 1965 (in russo), o London, 1962 (vedere in particolare
l'appendice I1 del suo libro).
V. P. Maslov Teoria delle perturbazioni e metodi asintotici,
u MGU w , 1965 (in russo).
V. I. Arnold S u una c h e caratteristica, che entra nelle condi-
zioni di quantizzazione, u Funktsionalnyj analiz i ego prilogenija B,
t. I, fasc. 1, 1967, 1-14 (in russo).
L. Hormander Operatori integrali di Fourier, aActa Matemati-
ca B 127, 1-2, 1971, 119 (in inglese).
A. Apprcwsimazione quasi clltssica per ie soluzioni dell'equa-
zione di. Schriidinger. Si chiama equazione di Schriidinger per una
particella posta in un campo di potenziale U nello spazio eucli-
deo l'equazione relativa alla funzione complessa cp (q, t)
Qui h B una costante reale; che B il piccolo parametro del problema
considerato, mentre A 6 l'operatore di Laplace.
Supponiamo che la condizione iniziale abbia la forma a onda
corta

dove la funzione regolare cp B non nulla solo all'interno di una re-


gione limitata. Mostreremo, piii in basso, la formula, asintotica
(per h + 0) per la soluzione dell'equazione di Schriidinger, corri-
spondente a tale condizione iniziale.
Prima di tutto consideriamo il mot0 di una particella classica
immersa in un campo di potenziale U, cioB le equazioni di Hamil-
ton
aH
q=- a p ' p = -- "
a9 '
I
dove I I = T p l + U ( q )
nello spazio delle fasi 2n-dimensionale. Le soluzioni di queste
equazioni definiscono un flusso di fase (con alcune condizioni
per il potenziale, che noi supponiamo realizzate; queste condizio-
ni impediscono l'allontamento all'infinito in un tempo finito).
Associamo alle nostre condizioni iniziali una sottovarieti
lagrangiana dello spazio delle fasi (cio6 una varieti, la cui dimen-
sione B uguale alla dimensione dello spazio delle configurazioni
e sulla quale si annulla identicamente la 2-forma dp A dq, che
definisce la struttura simplettica sullo spazio delle .fasi). Piii
precisamente, definiamo 1'4 impulso n corrispondente alla nostra
condizione iniziale come il gradiente di fase, cioB poniamo
p (q) = astag.
Lemma. Qualunque sia la funzione regolare s, il grafico della
funzione p (q) costruito a partire du questa funzione nello spazio de1l.e
fasi R2" = {(p, q)) 2 una varieth lagrangiana. Inversamente, se
una vwieth kgrangiana si proietta univocamente su un q-spazio
(2 un grafico), allora essa 2 definita du una funzione generatrice s
secondo la formula precedente.
Indichiamo la varietir lagrangiana, costruita a partire dalla
condizione iniziale (dalla funzione s), con M. I1 flusso di fase g',
in un tempo t, trasforma la varieti M in un'altra varieti g' M.
Anche questa nuova varietl 13 lagrangiana, poich6 il flusso di
fase conserva la struttura simplettica.
Per t piccoli la nuova aarieti lagrangiana, come la vecchia,
s i proietta univocamente sullo spazio delle configurazioni. Tut.-
tavia, per t grqndi, cii, non B necessariamente vero (fig. 244).
In altri termini, in un punto Q dello spazio delle configura-
zioni si possono proiettare piii punti della nuova varieti lagran-
giana. Supporremo che questi punti siano in numero finito e che
siano tutti non degeneri (cio6 che sia non degenere la derivata del-
l'applicazione proiettiva della nuova varieta lagrangiana sullo
spazio delle configurazioni, in ognuno dei punti che si proiettano
nel dato punto Q).
La condiziol~edi non degenerazione 6 realizzata per quasi
tutti i punti Q. Quei punti singolari Q, per i quali essa non Q sod-
disfatta, formano un insieme di misura nulla nello spazio delle
configurazioni. Nel caso generale, questo insieme Q una superficie,
la cui dimensione 6 di un'unitl inferiore a quella dello spazio

Fig. 244. Trasformazione di varieti lagrangiane sotto il flusso di fase.

delle configurazioni. Questa superficie, che svolge il ruolo d i


caustica nel nostro problema, pu8 avere essa stessa delle singolari-
t l piuttosto complicate.
I punti della nuova varietl lagrangiana, che si proiettano in
Q, provengono da certi punti della varieti lagrangiana iniziale
sotto l'azione del flusso di fase (la varieti di partenza 6 costruita
utilizzando la condizione iniziale). In altri termini, nel punto Q
a1 tempo t giungono pih traiettorie della particella classica, le cui
condizioni iniziali appartengono alla varietl lagrangiana di par-
tenza.
Indichiamo con (pj, qj) tali punti iniziali dello spazio delle
fasi e con Sj l'azione lungo la traiettoria del flusso di fase, che
esce dal punto (pi,qj). Piii esattamente poniamo

Allora per h + 0 la sobziom dell'equazione di Schriidinger, con


funzioni s e (p definite da una condizione iniziale oscillante, ha per
asintotica
dove p, 2 un numero intero (indice di Morse), k cui definizione L
data in seguito.
Per aver chiaro il senso di questa formula, consideriamo d a p
prima il caso di un intervallo di tempo t piccolo. I n questo caso
l a somma si riduce a un unico termine, poich6 l a varietl lagran-
giana, ottenuta da quella iniziale per trasformazione effettuata
dal flusso di fase in un tempo t, si proietta sullo spazio delle con-
figurazioni in mod0 univoco. In altri termini, della famiglia delle
particelle, che corrispondono alla condizione iniziale dell'equa-
zione di Schriidinger, solo una giunge in Q in un tempo t piccolo.
Per t piccoli l'ind:.ce di Morse B uguale a zero (come vedremo
sotto i-base alla sua definizione). Dunque, la funzionerp (Q, t) pos-
siede, cosi come la condizione iniziale, una forma rapidamente
oscillante.
D'altra parte l a funzione S, che definisce i fronti d'onda al-
l'istante t, non B altro che il valore all'istante t della soluzione del-
l'equazione di Hamilton - Jacobi, la cui condizione iniziale Q
data dalla funzione s, che definisce i fronti d'onda all'istante ini-
ziale. L'ampiezza delle onde, all'istante t nel punto Q, si ricava
dalla loro ampiezza all'istante iniziale, nel punto di partenza
della traiettoria che giunge in Q, moltiplicandola per un certo
fattore. Questo fattore B scelto in mod0 tale che durante il mot0
delle particelle, corrispondenti alla nostra condizione iniziale,
l'integrale del quadrat0 di modulo della funzione 9 , esteso a1
dominio dello spazio delle configurazioni riempito dalle parti-
celle, non vari nel corso del tempo. (Si suppone qui che all'iktante
iniziale sia stato scelto un dominio qualunque dello spazio delle
configurazioni, quindi si considerano sulla varieti lagrangiana di
partenza i punti di fase, le cui proiezioni sullo spazio delle confi-
gurazioni si trovano in quel dominio, poi le loro immagini sotto
I'azione del flusso di fase dopo un tempo t e, infine, le proiezioni
di queste immagini sullo spazio delle configurazioni, che formano
il dominio w riempito dalle particelle all'istante t n.)
B. Indici di Morse e di Maslov. I1 numero pJ si definisce come
il numero di punti focali alla varietl M sull'intervallo [O, tl
della curva di fase, che esce dal punto (pj, 9,).
La definizione di punto focale a M B la seguente. Abbiamo
scelto il punto Q in mod0 tale che in esso sia soddisfatta la condi-
zione di non degenerazione per la proiezione della varieti lagran-
giana ottenuta all'istante t da quella di partenza M. Tuttavia, se
consideriamo l'intera curva di fase che esce dal punto (p, qJ)?
in certi istanti di tempo 8, compresi fra 0 e t, la condizione dl non
degenerazione pub non essere soddisfatta nel punto (p (8), q (8))
della varietl lagrangiana ge M. Proprio questi punti si chiamano
punti focali alla varietii M lungo la curva di fase considerata.
Osserviamo che le definizioni di punto focale a M e di indice
d i Morse non dipendono dall'equazione di Schriidinger, ma s i
riferiscono semplicemente alla geometria del flusso di fase nel
fibrato cotangente a110 spazio delle configurazioni (0, il che B lo
stesso, a1 calcolo variazionale). In particolare, come varietii lagran-
giana M si pub prendere una fibra del fibrato cotangente, che passa
per il punto (p,, q,) (definita dall'equazione q = 9,).
In questo caso, un punto focale a M sulla curva di fase, che
esce da (p,, go) si dice coniugato del punto iniziale (piti precisa-
mente, la proiezione di questo punto focale sullo spazio delle
configurazioni si chiama punto coniogato del punto go lungo l'estre-
male dello spazio delle configurazioni, che esce dal punto q, con
i'mpulso p,). Nel caso ancora piii particolare tit1 mot0 lungo una
geodetica su una varieti riemanniana, un punto focale a una
fibra del fibrato cotangente si dice coniugato del prlnto iniziale
d i m a geodetica lungo di essa. Per esempio, il polo sud della
sfera 13 punto coniugato del polo nord lungo qualunque meri-
dian~.
L'indice di Morse di un segment0 di geodetica, uguale a1 nu-
mero di punti coniugati dell'origine, giuoca un ruolo importante
nel calcolo variazionale. Piii esattamente, consideriamo il diffe-
renziale second0 dell'azione come una forma quadratica sullo
spazio delle variazioni tiella geodetica studiata (con estremiti
vincolate). Allora l'indice negativo d'inerzia di questa forma qua-
dratica B uguale all'indice di Morse (vedere, per esempio, J. Milnor
La teoria di Mwse, u Mir ,)b 1965 (in russo), o Princeton,
1963).
Dunque, fino a1 primo punto coniugato la geodetica realizza
il minimo dell'azione, con il che si giustifica la denominazione
di u principio di minima azione 9 per diversi principi variazionali
della meccanica.
'Notiamo che per calcolare l'indice di hlorse i punt.i focali
devono essere contati con le loro moltepliciti (la moltepliciti
di un punto focale generic0 B uguale a 1).
L'indice di Morse 13 un caso particolare del cosiddetto indice
d i Maslov, che B definito, indipendentemente dal flusso di fase,
per curve qualunque SII una varieti lagrangiana del fibrato cotan-
gente svpra lo spazio delle configurazioni.
Consideriamo la proiezione della nostra varieti lagrangiana
n-dimensionale sullo spazio delle configurazioni, anch'esso di
dimensione n . Si tratta di un'applicazione regolare di varieti di
ugnale dimensione. Essa pub avere punti singolari, cioB punti
in cui il rango della derivata di applicazione si abbassa e nell'in-
torno dei quali la proiezione non B nn diffeomorfismo.
Risulta che, in generale, l'insieme dei punti singolari b di
dimensione n - 1 e consiste dell'unione della varieth regolare di
dimensione n - 1 dei punti singolari semplici, in cui il rango si
abbassa di 1, e di una collezione finita di varieth, le cui dimensioni
sono uguali o minori.d'i n - 3.
Qui e in generale w significa che si possono ottenere le pro-
prieth indicate con una modificazione piccola a piacere della va-
rieth lagrangiana, per la quale essa resta tale.
E essenziale sottolineare che tra le parti di rango .diverso, in
cui si divide l'insieme dei punti singolari, non ve ne sono di dimen-
sione n - 2. Ai punti singolari semplici, che formano una varieti
di dimensione n - 1, seguono i punti, dove il rango si abbassa di
due unite, ed essi formano una varieth di dimensione n -'3.
La proiezione dell'insieme dei punti singolari sullo spazio delle
configurazioni (la caustica) b formata, in generale, di parti di tutte
le dimensioni da 0 a n - 1 senza eccezioni.
Risulta inoltre che la wrietd di dimensione - 1 &i punti
singolari semplici 2 dispmta s u l k varietd lagrangiana su due lati;
pi& esattamente, si' pub definire nel mod0 seguente l'orientazione
delle normali in tutti i suoi punti.
Consideriamo un qualunque punto singolare semplice di una
varieth lagrangiana.
.,
Sia q,, . . q, un sistema di coordinate nell'intorno della
proiezione di questo punto sullo spazio delle configurazioni.
Siano p,, .. ., p, le corrispondenti coordinate nelle fibre del
fibrato cotangente. Nell'intorno del nostro punto singolare la
varieti lagrangiana pub essere considerata come il grafico di una
fnnzione vettoriale (q,, pa, . . ., p,) delle variabili (p,, q,, . . .
. . ., q,) (o di una funzione vettoriale di forma analoga, in cui il
ruolo di coordinata scelta sari svolto non dalla prima, ma da una
qualunque delle restanti).
I punti singolari nell'intorno di quello considerato si deter-
minano allora in base alla condizione aq,lap, = ' O . Per varieti
lagrangiane generiche questa derivata cambia segno a1 passaggio
da un lato all'altro della varieti dei punti singolari, nell'intorno
considerato del punto singolare semplice. Scegliamo come lato
positivo quello dove questa derivata B positiva.
Osserviamo che si deve dimostrare l'accordo della definizione
di direzione positiva nell'intorno dei diversi punti. Inoltre, biso-
gna dimostrare che la direzione positiva nell'intorno di un punto
Q definita correttamente, cioB no8 dipende dal sistema di coordi-
nate. Tutto cib si pub fare con dei calcoli diretti (vedere l'articolo,
apparao in cc Funktsionalnyj analiz B, citato sopra).
Ora, l'indice di Maslov di una curva orientata su una varieth
lagrangiana si definisce come il numero di passaggi dal lato nega-
tivo a quello positivo della varieti delle singolariti, meno il
numero dei passaggi inversi. Si suppone che le estremith della
curva siano non singolari e che essa intersechi solo la varieth dei
punti singolari semplici, sempre sotto angoli non nulli. Dopo aver
definito l'indice per tali curve, lo si pub definire per ogni curva,
a
che congiunga due punti non singolari: bast approssimare la
curva in questione con un'altra, tale che interse hi esclusivamente
la varieth dei punti singolari semplici, sempre sotto angoli non
nulli. Si puh mostrare che l'indice non dipende dalla curva usata
nell'approssimazione.
P r o b 1 e m a. Trovare l'indice della circonferenza p =
= cos t, q = sen t, orientata dal parametro t, 0 < < t 2n, sr~lla
+
varieth lagrangiana p2 q2 = 1 del piano di fase.
+
Risposta. 2.
Infine, l'indice di Morse di una curva di fase di R2" si pui,
ora definire come l'indice di Maslov di una curva su una varietP
lagrangiana, di dimensione n + I , di uno spazio delle fasi di
dimensione 2n + 2, scelto in mod0 appropriato. In questo spazio
le coordinate sono @, p; q,, q) (dove (p, q) E'RZn). Se si pone qui
q? = t, pa = -H @, q), e si fa percorrere a1 punto (p, q)' la varie-
ta lagrangiana n-dimensionale di R2n ottenuta da quella di par-
tenza a1 tempo t sotto l'azione del flusso di fase, allora, a1 variare
di t, i punti ottenuti in R2n+2descriveranno una varietii lagran-
giana di dimensione n + 1. I1 grafico del mot0 del punto di fase
sotto l'azione del flusso di fase pub essere considerato come una
curva di questa varieth lagrangiana n + I-dimensionale. Si ve-
rifica che l'indice di Maslov di tale grafico coincide con l'indice di
Morse della curva di faae iniziale.
C. Indici delle curve chiuse. Gli indici delle curve chiuse,
definite su sottovarietii lagrangiane di uno spazio delle fasi linea-
re, possono essere calcolati anche per mezzo di una struttura com-
plessa. Introduciamo nello spazio lineare delle fasi R2" = {(p, q)),
oltre alla struttura simplettica dp /\ dq, anche una struttura eu-
+
clidea (con quadrat0 scalare p2 q2) e una struttura complessa
definita dalla moltiplicazione per l'unitii immaginaria

I : Ran -t R2", I (p, 9) = (-q, p); z =p + iq,


cn = {z).
Tutte e tre le strutture sono legate dalla relazione

dove 1e parentesi quadre indicano il prodotto antiscalare.


Le trasformazioni lineari dello spazio delle fasi, che coa:er-
van0 due qualunque di queste strutture (nel qua1 caso conservano
anche .la terza), si chiamano unitarie. Tali t.rasformazioni mandano
piani lagrangiani in piani lagrangiani.
Ogni piano lagrangiano pub essere ricavato da uno qualunque
(per esempio, da un piano reale di Rn, definito dall'equazione
q = 0) per mezzo di una trasformazione unitaria. Due trasforma-
zioni unitarie A , B qualunque, che mandano un piano reale nello
stesso piano lagrangiano, differiscono tra loro per una trasforma-
zione unitaria che B reale ed ortogouale:
B = AC, dove CRn = Rn.
Inversamente, applicando prima una trasformazione orto-
gonale non si cambia l'immagine di un piano reale per una trasfor-
mazione unitaria.
Osserviamo ora che il determinante di una trasformazione or-
togonale Q uguale a fI. Dunque il quadrat0 del &terminante di
una trasformazione unitaria, che manda un piano reale in un dato
piano lagrangiano, dipende solo da questo piano e non dipende
affatto dalla scelta particolare della trasformazione unitaria.
Dopo queste osservazioni preliminari, torniamo alla nostra
varieth lagrangiana e alla curva orientata chiusa, definita su
d i essa. I n ogni punto della curva esiste .un piano tangente alla
varietl lagrangiana nello spazio lineare simplettico. I1 qulidrato
del determinante di una trasformazione unitaria, che manda un
piano reale in uno tangente, Q un numero complesso in modulo
uguale all'unith. Questo numero complesso varia durante il mot0
del punto lungo la nostra curva chiusa. Nel tempo necessario a1
punto per compiere un giro completo della curva chiusa, il qua-
drato del determinante effettua un numero i n t e r ~di rotazioni
intorno all'origine delle coordinate del piano della variabile corn;
plessa, che B orientato da 1 a i . Questo numero intero Q proprio
l'indice della curva chiusa considerata.
Gli indici delle curve chiuse entrano nelle formule asinto-
tiche dei problemi stazionari (delle oscillazioni normali). Suppo-
niamo che il flusso di fase, corrispondente a1 potenziale U, ammet-
t a una varietl lagrangiana invariante posta sul live110 d'energia
H = E. Allora l'equazione

possiede una serie di autovalori IN-+ ao di asintotica AN =


= PN + 0 (p#), se per tutti i contorni chiusi y definiti sulla no-
stra varieth lagrangiana B soddisfatta l'identiti

Nel caso unidimensionale la varieth lagrangiana B una cir-


conferenza, il suo indice Q uguale a 2, e la precedente formula si
tiduce alla cosiddetta u condizione di quantizzazione ,
Anche le autofunzioni corrispondenti a questi autovalori sono
legate alla varietil lagrangiana, ma questo legame non B cosi aem-
plice. I n effetti, non si riescono a scrivere delle formule asintoti-
che per le autofunzioni, ma solo delle formule per funzioni, che
soddisfano approssimativamente l'equazione delle autofunzioni.
Queste funzioni risultano piccole all'esterno della proiezione della
varieti lagrangiana sullo spazio delle oonfigurazioni. Le formule
asintotiche hanno delle. singolaritil nell'intorno delle caustiche,
che si formano sotto l'applicazione proiettiva.
Tuttavia, le vere autofunzioni possono comportarsi in mod0
completamente diverso, almeno se l'autovalore B multiplo o se
esistono altri autovalori vicini ad esso (vedere llAppendice 10).
Appendice 12
Singolarith lagrangiane

Le 'singolariti lagrangiane sono le singolariti delle proie-


zioni delle varieti lagrangiane sullo spazio delle confignrazioni.
Tali singolariti si incontrano nello studio delle soluzioni in grande
dell'equazione di Hamilton - Jacobi, in quello delle caustiche,
dei punti focali e coniugati, nell'analisi della propagazione delle
discontinuiti e del!e onde d'urto nella meccanica del mezzo con-
tinuo, e anche nei problemi che conducono all'asintotica a onde
corte (vedere llAppendice 11).
Per descrirere le singolariti lagrangiane, si deve prima spen-
dere qualche parola sulle singolariti delle applicazioni regolari
in generale. Cominciamo con gli esempi pi6 semplici.
A. Singolarith delle applicazioni regolari di una superficie su
un piano. L'applicazione proiettiva della sfera sul piano possiede
una singolariti in corrispondenza all'equatore della sfera (sul-
I'equatore il rango della derivata si abbassa di un'uniti). Per questo,
sul piano di proiezione si forma una curva (il cosiddetto u contorno
apparente N), che limita domini i cui p.unti hanno un numero di-
verso di controimmagini: ogni punto del piano, posto all'interno
del contorno apparente, ne possiede due, mentre i punti posti al-
l'esterno, nessuna.'
In casi meno aemplici, il contorno apparente pu6 presentare
delle singolariti pi6 complicate. Consideriamo, ad esempio, la
superficie definita nello spazio tridimensionale, di coordinate
( x , y, z), dall'equazione (fig. 245)
x = YZ - z3
e l'applicazione proiettiya parallelamente all'asse z sul piano
delle coordinate (x, y).
I punti singolari della proiezione formano lina curva regolare
sulla superficie (di equazione 3z2 = y). Tuttavia l'immagine di
ql~estacurva sul piano (x, y) non 6 una curva regolare. Questa
immagine B una parabola eemicubica, con cuspide nel punto
(0, 0). di equazione
27x2 = 4y3.
Tale curva divide il piano in due 'parti: una piii piccola (al-
l'interno della cuspide) e una piii grande,(all'esterno). Sopra ogni
punto posto all'interno si trovano tre punti della nostra superfi-
cie, mentre sopra quelli posti all'esterno solo uno.
Consideriamo ora una qualunque piccola deformazione della
nostra superficie. Risulta che, se si proietta una superficie arbi-
traria vicina alla nostra, il contorno apparente possiede sempre

*
una singolariti analoga (una cuspide semicubica) in un punto,
vicino alla singolariti del contor-

9
no apparente della superficie ini-
ziale. In altri termini, la singola-
rith considerata non. si elirnina con
una piccola deformuzione della su-
perf icie.
Inoltre, invece di deformare
la superficie si pub deformare. come
si vuole la . stessa applicazione
proiettiva della superficie sul piano
(senza preoccuparsi che essa sia
proiettiva), purch6 essa resti rego-
lare e la deformazione sia piccola.
Anche per tali deformazioni la
cuspide non scompare, ma si de-
Fig. 245. Singolariti di Whit- forma so10 un poco.
ney. Gli esempi menzionati qui
esauriscono tutte le singolarith
tipiche delle applicazioni di una superficie su un piano. Si pub
dimostrare che le singolariti piii complesse si eliminano con una
piccola deformazione. Dunque, deformando leggermedte una qua-
lunque applicazione regolare, si pub sempre fare in mod0 che nel-
l'intorno di ogni punto della superficie proiettata l'applicazione
sia non singolare, oppure costruita come l'applicazione proiettiva
della sfera sul piano vicino all'equatore o infine come l'applica-
zione proiettiva della superficie prima considerata, con una cu-
spide cubica sul contorno apparente.
L'espressione * costruita come * significa che sulla superfi-
cie controimmagine e sul piano immagine si possono scegliere
delle coordinate locali (nell'intorno del punto considerato e
della sua immagine), tali che in'esse l'applicazione si scrive in
una forma speciale. Piii precisamente, le forme normali, cui si
riduce I'applicazione della superficie sul piano nell'intorno dei
punti dei tre tipi indicati sopra, sono
y, = x,, y, = x, (punto non singolare),
y1 = x:, y, = x, (piega come sull'equatore della sfera),
y1 = x,x, - x:, y, = x, (increspatura con una cuspide di
contorno apparente).
Qui (x,, x,) sono le coordinate locali sulla controimmagine, (yl,y,)
sull'immagine.
Le dimostrazioni dei teoremi menzionati (formulati da
H. Whitney) e le loro generalizzazioni a1 caso multidixhensiona-
le si possono trovare nei lavori sulla teoria delle singolarith delle
applicazioni regolari, per esempio in:
V. I. Arnold Singolarit& delle applicazioni regolari, u Uspe.-
khi matematiteskikh nauk 9 23, n. 1, 1968, 3-44 (ill russo).
R. Thom, G. Levine, J . Maser e altri Singolaritb delle ap-
plicazioni differenziabili, t Mir B, 1965, traduzione in russo di
Stability of Cm-mapping, I-IV, (( Ann. Math. * 87, 1068, 89, 19G9,
254-291.
B. Singolaritl della proiezione delle varietl lagrangiane.
Consideriamo ora una varietl delle configurazioni n-dimensionale,
il corrispondente spazio delle fasi di dimensione 2n e una sotto-
varietl lagrangiana, d i dimensione n, di questo spazio (cioB una
sottovarietl n-dimensionale, sulla quale si annulla identicamente
la 2-forma che definisce la struttura simplettica dello spazio delle
fas,i).
Proiettando la varieth lagrangiana sullo spazio delle con-
figurazioni, otteniamo l'applicazione di una varietl regolare
n-dimensionale su un'altra della stessa dimensione.
In un punto comune questa applicazione B un diffeomorfismo
locale, tuttavia in certi punti della varieti lagrangiana il rango
del differenziale si abbassa. Tali punti si dicono singolari. Proiet-
tando l'insieme dei punti singolari nello spazio delle configura-
zioni si forma t il contorno apparente v , che nel caso lagrangiano
si chiama caustica.
Le caustiche possono presentare delle singolarith complesse,
ma, cosi come nella teoria generale delle singolarith delle applica-
zioni regolari, ci si pub disfare con una piccola deformazione delle
singolaritl troppo complicate. (Qui per piccola deformazione si
intende una deformazione piccola della varietl lagraligiana nello
spazio delle fasi, tale che la varietl resti lagrangiana.)
Con il che restano solo le s i n g d a r i t l pi^ semplici ineli~xina-
bili, per le quali si possono scrivere le forme norrhali e fare uno
studio dettagliato una volta per sempre. Nello studio di problemi
generici, che non,godono di alcuna particolare proprietl di sim-
metria, B naturale attendersi di trovare solo le singolaritl piii
semplici ineliminabili.
Consideriamo, per e$empio, le caustiche clie si formal10 quan-
do una parete B illu~ninatadalla luce proveniente da una sorgentc
purltiforme e riflessa da una qiialunque superficie cuiva regolare
(qui lo spazio delle fasi, di tlimclisione quattro, B format.0 dalle
rettc clle intersecano la superficie della parete in tutte le diiezioni
possibili, mentre la sottovarietii lagrangiana B costruita dai raggi
di lucc usciti dalla sorgente, per intersezione con la parelc).
dpostando la aorgente si pub osservare, che, in generale, le causti-
che presentano solo delle singolariti semplici (cuspidi aemicubi-
che), mentre le singolarith p i i complesse non appaiono che per
delle posizioni eccezionali della sorgente.
Si elencano, piii in basso, le forme normhli per le singolariti
della proiezione di una sottovarieth lagrangiana n-dimensionale,
da uno apazio delle fasi di dimensione 2n sullo spazio delle confi-
qurazioni n-dimensionale, n < 5. Queste forme normali sono in
numero finito e la loro classificazione B legata (in mod0 yiuttosto
oscuro) a quella dei gruppi semplici di Lie, dei punti critici sem-
plici degeneri delle funzioni, dei poliedri regolari e di molte
altre entith. Per n 2 6 le forme normali di certe singolarith devono
necessariamente contenere dei parametri. Per maggiori dettagli
si rimanda il lettore all'articolo:
V. I. Arnold Forme normali di funzioni nell'intorno di punti
critici degeneri, gruppi di Weyl Ah, Dk, Ehe singolaritii kzgrangiane,
a Funktsionalnyj analiz i ego prilogenija n, 6.: 4,.1972, 3-25 (in
rusqo).
C. Tavola delle fonne normali delle singolaritA tipo delle
proiezioni .di varieth lagrangiane di dimensione n < 5. Faremo
uso delle seguenti notazioni:
.
(ql, . ., q,) indicano le coordinate nello spazio delle con-
f igurazioni;
.
(p,, . ., p,) sono invece i corrispondenti impulsi, cosicchb
p e q insieme formano un sistema simplettico di coordinate nello
spazio delle fasi.
La varieti lagrangiana sari definita per mezzo della funzione
generatrice F con le formule

.
dove l'indice i percorre una parte dell'inaieme (1, . ., n), e
l'indice j la parte restante. Pi6 precisamente, B i = 1, j > 1 per
le singolariti, 'indicate nella lista con Ah, e i = 1, 2, j > 2 per
le singolariti indicate con Dk ed Ek.
In queste notazioni si pub pensare che una stessa espressione
di F (pi, qj) definisca una varieti lagrangiana in spazi di dimen-
sioni diverse: possiamo scrivere tanti argomenti qj quanti ne vo-
gliamo, dai quali F non dipende affatto.
La lista delle forme l~ormalidelle singolariti tip0 B la se-
guente:
per n = l
A,: F = p:; A,: F = A= p:;
per n = 2, oltre alle precedenti, si hanno
A,: F = z t p: + qzti;
per n = 3, oltre alle tre precedenti, abbiamo ancora

per n = 4, oltre alle cinque precedenti, abbiamo


A,: F = f P: 4- Q#: 9nP: +
Q#:*
DS: F = f p:p, f P: +
91~: q9f;
per n = 5, oltre alle sette precedenti, abbiamo
A6: F =.f pi =t q& -?- . . . -k Q~P:,
D6: F = f p:pa f P: +
QSP', Q~P: Q~P:,+
E,: F = f pi f P: +WIP: 4- q@$, 4- 9 ~ : -
D. Discuesione delle forme normali. Un punto del tip0 A
i, non singolare.
La singolariti del tip0 A, 6 una singolariti del tip0 a piega.
In effetti, se come coordinate sulla varieti lagrangiana si prendono
1p1, qe, . . ., qn), allora l'applicazione proiettiva si scrive

La singolariti.de1 tip0 A3 6. una crespa con cuspide semicubica


sul contorno apparente. Per convincersene, basta scrivere espli-

Fig. 246. Singolarite tip0 delle caustiche nello spazio tridimensionalo.


citamente l'applicazione corrispondente della varieti lagrangiana
bidimensionale sul piano:
(PI, 9%) (*4p: +
2 9 ~ 1 ,92)-
La singolariti del tip0 A4 appare per la prima volta nel caw
tridimensionale e la corrispondente caustica B una superficie dello
spazio tridimensionale (fig. 246), con una singolarith detta a coda
di rondine (I'abbiamo gih incontrato a1 5 46).
La caustica della singolarith di tip0 D, 6 una superficie dello
spazio tridimensionale con tre spigoli cuspidali (del tip0 A 3 ) ,
tangenti in un punto; inoltre due di questi spigoli possono essere
immaginari, cosicch6 esistono due varianti di caustica D,.
E. Equivalenze lagrangiane. Bisogna ora dire in che senso
gli esempi citati sono le forme normali delle singolaritl tip0 della
proiezione delle varieth lagrangiane. Prima di tutto definiamo
quali singolarith si considerano u costruite nello stesso mod0 B.
Chiameremo per brevith applicazione lagrangiana, l'applica-
zione proiettiva di una varieth lagrangiana sullo spazio delle
configurazioni. Siano date due applicazioni lagrangiane di varieth
di uguale dimensione n (le corrispondenti varieth lagrangiane
n-dimensionali sono poste, in generale, in spazi delle fasi diversi,
che sono i fibrati cotangenti di due diversi spazi delle configura-
zioni). Diremo che due tali applicazioni lagrangiane sono equiva-
knti in senso lagrangiano, se esiste un diffeomorfismo simplettico
del primo spazio delle fasi sul secondo, che manda una fibra del
primo fibrato cotangente in una fibra del secondo.8 la prima va-
rieth lagrangiana nella seconda. Lo stesso diffeomorfismo simplet-
tic0 si chiama allora equivalenza lagrangiana di applicazioni.
Osserviamo che due applicazioni lagrangiane, equivalenti in
senso lagrangiano, si trasformano I'una nell'altra per mezzo di
diffeomorfismi nello spazio controimmagine e in quello immagine
(0, come si dice in analisi, si trasformano I'una nell'altra con una
sostituzione di coordinate nella controimmagine e nell'immagine).
In effetti, la restrizione del nostro diffeomorfismo simplettico a
una varieth lagrangiana definisce un diffeomorfismo delle contro-
immagini; il diffeomorfismo degli spazi delle configurazioni
irnmagine ha origine perch6 una fibra si trasforma in una fi-
bra.
In particolare, le caustiche di due applicazioni, equivalenti
in senso lagrangiano, sono diffeomorfe; dunque la classificazione
a meno dell'equivalenza lagrangiana implica la classificazione
delle caustiche. Tuttavia l'applicazione a meno dell'equivalenza
lagrangiana, in generale, i, piii fine della classificazione delle
caustiche, dato che dal fatto che le caustiche siano diffeomorfe
non deriva, in generale, I'equivalenza lagrangiana delle applica-
zioni. Inoltre, la classificazione a meno dell'equivalenza lagran-
giana I! pic fine della classificazione a meno dei diffeomorfismi
della controimmagine e dell'immagine, poich6 non ogni tale cop-
pia di diffeomorfismi B realizzata da' un diffeomorfismo dello
spazio delle fasi.
U~r'applicazione lagrangiana, considerata nell'intorno di un
punto prescelto, si dice equivalente in questo punto in senso lagran-
giano a un'altra applicazione lagrangiana (che possiede ugual-
mente un punto prescelto), se esiste un'equivalenza lagrangiana
della prima applicazione in un intorno del primo punto sulla
seconda in un intorno del secondo punto, che trasformi il primo
punto nel secondo.
Ora possiamo formulare il teorema sulla classificazione del-
le singolariti delle applicazioni lagrangiane per dimensione
n < 5.
Ogni varietd lagrangiana n-dimensionale (n < 5) si pua trasfor-
mare, con una deformazione piccola quanto si vuole nella classe delle
varietd lagrangiane, in un'altra tale che l'applicazione proiettiva
sullo spazio delle configurazioni surd in ogni punto .equiualente in
senso lagrangiano a una delle applicazioni lagrangiane della lista
indicata sopra.
I n particolare, una varieti lagrangiana bidimensionale pub
essere trasformata, per mezzo di una deformazione piccola a pia-
cere nella classe delle varieth lagrangiane, in una generica varieti,
tale che l'applicazione proiettiva sullo spazio delle configurazioni
(bidimensionale) non a v r i altre singolarith, a parte delle pieghe
(che si riducono con un'equivalenza lagrangiana alla forma norma-
le A,) e delle increspature (che con una equivalenza lagrangiana si
riducono alla forma normale AJ). '
Osserviamo che l'affermazione relativa alle varieti lagrangia-
ne bidimensionali non deriva dal teorema di classificazione per
le applicazioni generali (non lagrangiane), poich6, in primo luogo,
le applicazioni lagrangiane costituiscono una classe molto ristretta
all'interno di tutte le applicazioni regolari, e dunque possono avere
(ed hanno in effetti per n > 2) come tipiche per le applicazioni
lagrangiane delle singolariti, clie non. sono tipiche invece per le
applicazioni generali. I n secondo luogo, dalla possibiliti di ridur:
re un'applicazione alla forma normale, con dei diffeomorfismi
della controimmagine e dell'immagine, non segue la possibiliti
Ji una .tale riduzione per mezzo d i una equivalenza lagran-
giana.
Dunque le caustiche di una varieti lagrangiana generica bi-
dimensiona le ammettono come singolariti soltanto delle cuspidi
semicubiche (e punti di autointersezione t.rasversale). Tutte Ie
singolariti piii complesse scompaiono per una piccola deformazio-
ne della varieti lagrangiana, mentre i punti di cuspide e i punti
di autointersezione di una caustica sono ineliminabili e si defor-
mano solo un poco per una deformazione piccola.
Le forme normali delle singo1arit.i seguenti A,, D,, . . . si
poesono ~ t i ~ i z z a r ein, mod0 analogo, nello studio delle caustiche
delle varieti lagrangiane con un numero di dimensioni maggiom,
cosi come per. lo studio delle modificazioni delle causticlie dellc
varieth lagrangiane con un numero di dimensioni non grande, 81
variare (lei parametri, da cui dipende la varieti.
Altre applicazioni delle formule di questa appendice si
trovano nella teoria delle singolarita legendriane, ciok delle sin-
golariti dei fronti d'onda, delle trasformazioni di Legendre,
degli inviluppi e degli inviluppi convessi (vedere 1'Appendice 4,
pag. 372). La teoria dolle singolariti lagrangiane e legendrinne
ha applicazioni immediate nor) solo nell'ottica geometrica e nella
teoria delle asintotiche degli integrali oscillanti, ma anche nel
calcolo delle variazioni, nella teoria delle aol~~zioni discontinue
delle equazioni non lineari alle derivate parziali, nei problemi di
ottimizzazione, di inseguimento, ecc. R. Thom ha. propouto di
unificare sotto il nome di teoria dclle catastrofi la teoria delle sin-
golariti, delle biforcazioni e le loro applicazioni.
Appendice 13
Equazione di Korteweg - de Vries

Non tutti gli integrali primi delle equazioni della meccanica


classica si spiegano grazie a una simmetria evidente del problema
(esempi: integrali specifici del problema di Keplero, di quello
delle geodetiche su un ellissoide, ecc.). In questi casi si parla di
uoa w simmet.ria nascosta B.
Esempi .interessanti di tale simmetria nascosta sono forniti
dall'equazione di Korteweg - de Vries

Questa squazione non lineare alle derivate parziali i? apparsa


per la prima volta nella teoria dei periodi di magra dei fiumi; in
seguito questa stessa equazione Q stata ritrovata in tutta una serie
d i problemi della fisica matematica.
Numerosi eeerimenti fa t t i a1 calcolatore hanno mostrato
le sorprendenti proprieth delle soluzioni di questa equazione, cor-
rispondenti a delle condizioni ai limiti nulle all'infinitor queste
soluzioni, per t + +m e t -t -m , si scompongono in a solito-
ni *, onde di forma definita che avanzano a velocith diverse.
Per ot,tenere un solitone, che avanza alla velociti c, basta
porn nell'equazione (I) la funzione u = cp (z - ct). Si ottiene allora
+ +
per cp l'equazione cp" = 3cpa ccp d (d Q un parametro). Questa
Q un'equazione di Newton con potenziale c cubico. Sul piano delle
fasi (cp, cp') si ha un punto di sella. La separatrice, che va da un
punto di sella a quello in cui cp = 0, definisce una soluzione cp
che tende a 0 per z + f o o ; essa 6 un solitone.
Nell'urto di solitoni si osserva un'interazione non lineare
abbastanza complessa. Tuttavia, un esperimeilto fatto a1 calco-
latore ha mostrato che le dimensioni e le velocith dei solitoni non
cambiano in seguito a un urto. Questa proprieth ha portato all'idea
d i leggi di consemazione. Ed effettivamente, K m c a l , Zabusski,
Lax, Gardner, Green e Miura sono riusciti a trovare tutta una
serie di integrali primi per l'equazione di. Korteweg
- - de Vries.
.
Questi integrali sono della forma I . = P, (u, . ., u(9) &,
dove P, 6 un polinomio. .Per esempio, si verifica facilmente che
integrali primi dell'equazione ( I ) sono

1
1, = u dx.

I1 fatto che appaia una serie infinita di integrali primi si


spiega facilmente col seguente teorema di Lax1. Ii~dichiamo
l'operatore di moltiplicazione per una funzione di x col simbolo
di questa funzione, mentre indichiamo con a l'operatore di deriva-
zione rispetto a x. Consideriamo l'operatore di Sturm - Liouville
+
L = - a2 u, che dipende dalla funzione u (x). Si verifica subi-
to il
Teorema. L'equazione di Korteweg - de Vries (1) b equivalente
all'equazione 3 = [L, A], dove A = 4a3 - 3 (ud +
au).
Da questo teorema d i Lax segue immediatamente il
Corollario. Gli' operatori L, costruiti in corrispondenza a unu
soluzione dell'equazione (I), sono unitariamente equivalenti per tutti
i t; in particolare, ognuno degli autovalori h del problema di Sturm -
Liouville Lf = hf con condizioni nulle all'infinito b un integrale
primo de2l'equazione di Korteweg - de Vries.
V. E; Zakharov e L. D. Faddeev hanno osservato che l'equa-
zione (1) B un sistema hamiltoniano d i dimensione infinita com-
pletamente integrabile e hanno indicato le corrispondenti varia-
bili azione-angolo2. La struttura simplettica nello spazio delle
funzioni u (x), che si annullano all'infinito, B definita dal prodotto
antiscalare 3(aw, av) = ;1 (w av - v aw) 05,mentre l'hamil-
toniana dell'equazione (1) B I'integrale I,. In altri termini, l'equa-
zione (1) si scrive nella forma dell'equazione di Hamilton nello
d 611
spazio funzionale delle funzioni di x, u = -- & 6u '
Ogni integrale I, definisce dunque un'u equazione superiore
di Korteweg - de Vries n u = Q, [ul dove Q, = - d -
61, g un
dx 6 u
polinomio in u, u', . . ., uz~+'.Gli integrali I, sono in involuzione
e i flussi loro corrispondenti nello spazio funzionale commutano.
L'espressione esplicita dei polinomi P, e Q,, come delle va-
riabili azione-angolo (e, quindi, delle soluzioni dell'equazione

P. D. Lax Integrali delle eguazioni d'evoluzione e onde isolate. 6 Raccol-


ta Matematica *, 13 : 5, 1969, 128-150 (in russo).
3 V. Zakharov, L. Faddeev L'equazione d i Korteweg - de Vries 2 un
sirtema hamiltoniano completamente integrabile, a Funktsionalnyj analiz D.
5 : 4, 1971, 18-27 (in iusso).
(I)),si scrivc. i l l termini di soluzione dei problemi diretto e inverso
della teoria t l i tlissipaziorlc sul potenziale u.
La forma esplicita dei polinomi Q, si pu6 ottenere allche col
seguente teorema di Cnrdner, che gcneralizza il teorema di Lax.
Consideriamo nello spnzio delle funzioni di x l'operatore differen-
ziale A = 2 pi P i , dove p, = 1, e i restanti coefficienti p,
sono dei polinomi in u e nelle derivate di u rispetto a s. Risulta
che per ogni s esiste LIZ operatore A , di ordine 2s + 1, tale che ii
.WO commutatore con l'operatore di Sturm - Liouville L 2 l'opera-
tore di moltiplicaziorze per una funzione: [L, A,] = Qdl.
L'operatore A , i. definito dalle condizioni scritte in rnodo uni-
voco, a meno dell'addizione di una combinazione lineare di A,,
con r < s; dunque anche i polinomi Q, in 'u e nelle derivate di u
sono definiti a meno dell'addizione di una combinazione lineare
dei Q,, che precedono.
V. Zakharov, A. ~ a b a t L. , Faddeev ed altri hanno studiato,
per mezzo del procedimento di Lax e della tecnica del problema
inverso della teoria della dissipazione, numerose equazioni impor-
tanti dal punto di vista fisico, tra cui le equazioni utt - u,, =
= sen u e ilp, + lp,, + . r ~ ,1 #I IZ = 0.
Lo studio del problema con condizioni ai limiti periodiche
per l'equazione di Korteweg - de Vries ha condotto S. P. Novi-
kov alla scoperta di un'interessante classe di sistemi completa-
mente integrabili a numero finito di gradi di libertl. Questi si-
stemi si costruiscono nel mod0 seguente.
. Consideriamo una qualunque combinazione lineare finita
di integrali primi I = xclI,,-, e sia c, = 1. L'insieme dei punti
stazionari del flusso di hamiltoniana I nello spazio funzionale Q
invariante rispetto ai flussi di fase di hamiltoniane I,, in partico-
lare rispetto a1 flusso di fase dell'equazione (1).
D'altro lato, questi punt.i stazionari sono definiti dall'equa-
zione d 61 = 0 o 61 = d. L'ultima equazione 1 l'equazione
dx 6u
di Eulero - Lagrange per il funzionale I - d I - , , che comprende
.le derivate n-esime. Essa, dunque, B di ordine 2n e pu6 essere scrit-
ta come un sistema di equazioni di Hamilton in uno spazio euclideo
d i dimensione 2n.
Risulta che il sistema llamiltoniano ottenuto, a n gradi di
libertl, possiede rz integrali in involuzione e pub essere completa-
mente integrato per mezzo di coordinate azione-angolo adatte.
Si ottiene cosi una famiglia di dimensione finita di soluzioni par-
ticolari dell'equazione di )(orteareg - de Vries, dipendente da

1 S. P. Novikov Problema periodico per I'equazione di Korteweg-de


Vrier, I, ~Funktsionalnyiar~alizs,8:3, 1974, 54-66 (in russo).
3n + 1 parametri (2n coordinate di fase e n + 1 parametri c,, . . .
. . ., c,; 4.
Le soluzioni trovate godono, come ha mostrato Novikov, di
notevoli proprieti: per esempio, nel problema periodic0 definisco-
no delle funzioni u (z), per cui l'equazione differenziale lineare a
coefficienti periodici -Xu + (z) X = AX possiede un numero
finito di zone di risonanza paramet.rics (vedere il f 25) sull'asse A.
Indice analitico

Accelerrzione, 15, 16 Carte com atibili, 80


Algebra di Lie. 205, 320 catena, i f 2
- - dei campi vettoriali, 205 Caustica, 454. 465
- - delle funzioni di Hamilton, Centro d'inerzia. 49
211 Ciclo, 194
- - di un gruppo di Lie, 210 Circolazione, I84
de li integali primi. 215 Classe di coomologie di un'algebra
G li f i Eulero. 148. 149 di Lie, 379
Apocentro, 40 Cociclo bidimensionale di un'alge-
Ap licazione canonica, 235 bra di Lie, 379
- Pagangiana. 468 Coda di rondine, 254, 373, 467
- per un periodo, 115 Codimensione di una varieti, 440,
Assi d'inerzia, 138 445
Atlante, 80 Commutatore. 205, 208
- simplettico, 227
Atlanti equivalenti, 80
- di Lie. 210
~omplementoantiortogonale. 217
Azione, 63 Corn~osizione delle velocith. 125-
- poissoniana di un gruppo di Lie, 129
359 Condizione d'integrabilith, 356
- - di Frobenius, 353, 356
Base hermitiana ortonormale, 346 Contattizzazione di una varieti sim-
- simplettica, 217 plettica, 374
Blocchi di Jordan ineliminabii, 39i Coomologia, 196
Coordinate cicliche, 70
- generalizzate, 63
Cammino caratteristico, 311 Corpo rigido, 133
Campo centrale, 34, 46, 63 Cwva di fa-, 23
- di form conmrvativo, 33
- invariante a destra, 211
Curvatura riemanniana, 303
- - in una direzione bidimensio-
- di iperpiani non degenere, 357 nale, 306
- ridotto, 386
- con simmetria assiale, 45
-
- vettoriale di contatto, 364
- hamiltoniano, 200
h r i v a t a di un'applicazione, 84
- covariante, 307, 309
- - localmente hamiltoniano. 216 - in una direzione, 206
- - della variazione di una geo- - di una forma esteraa, 187
- di Lie, 196
- delle309velocith di fase, 23
-detica, - del pescatore. 196
Campi isorotazionali, 334 Diffeomorfismo di contatto, 364
Caratteristiche, 232, 253, 375 - omologo all'identith, 432
Carta, 79 Dimensione di una varieti, 80
Dirczionc clnale, 248 - geodetico, 312
- - degli clelrienti di contatto
Disaccordo cli frcquel~xa, 400
Distanza Ira cvent i contcnrporanei, orientati, 364
--
4R - hamiltoniano. 201
Disuguaglianza d i Young. 67 1:orma chiusa, 194
Divcrgenza, 186 - di contatto. 360
Divisione deilc scparatrici, 403 - normalc di Rirkhoff per una
han~iltoniann, 395
- - - per onn trasformazione,
Elenrento di contatto, 358 397
- - oricntato, 364 - non singolare, 232
- - - , flusso geodetic0 di un. Formc
364 . - di base, 164
Ellissoide degli indici, 246 - differenziali, 171, 173
- d'inerzia, 395 - csterne, 161. 162
Energia cinetica, 22, 51, 85 Formula di omotopia, 195
- non meccanica, 53 - di Stokes, 189
- potcnziale, 19, 22, 52, 85 Forza (e), 21, 48
- - cfficacc, 39 - centrifu a, 130
- totale. 23.. 28. 53, 69 - di ~oriofis,129
Equazione di Eulero - Lagrange, 61 - esterna, 48
- di Hamilton- Jacobi, 252, 256 - generalizzata. 63
- di Kortewveg - de Vries, 471 - d'inerzia, 97, 129
- di Lagrange. 63 - - di rotaiione, 130
.- di Newton. 16 - interna, 49
- di 8chrijdin&, 454 - di reazione vincolare. 93
Equazioni canoniche di Hamilton, Frequenza di un mot0 qLasi perio-
68, 233, 237 dico, 281
- alle derivate ~ a r z i a l i non li- Frequenze indipendenti, 281, 282
neari del prima* ordine, 374 Fronte d'onda, 246
- di Eulero. 143
- - per il. corpo rigido genera-
.
- - velocitl di mot0 del. 247
~ r o n t i e r adi una catena, 183
lizzato; 326 Funzionale, 58
Equilibrio, 100 - differenziabile. 58
- relative, 387 .Funzione
Equivalenza lagrangiana di appli- - d'azione, 249
cazioni, 468 - di flusso. 335
Estremale, .60 - generatrice. 255. 263
- condisionato, 95 - - , invarianza di, 392
Eventi, 13 - di Hamilton, 68. 200. 266, 369
- contemporanei, 13 - - , autovalori della, 389
Evoluzione, 289 - - di contatto. 369
- di Lagran e. 63
Funzioni duaqi second0 Young. 67
bttorizzazione di un flusso d i fase,
90-
- in involuzione. 267
3L I
- di uno spazio delle configura- Gruppo di diffeonlorfismi ad un pa-
zioni, 386
Fihra corrispondente a1 punto a nel rametro. 27, 205
fibrato. 83 - galileiano, 14
Fibrato cotangente, 199, 358 - di Lie, 210. 320
- legendriano, 372 - ortogonale, 232
- tangente, 83 - simplettico, 219
Figure di Lissajou, 30, 31 - di trasporto parallelo, 13
Flusso di un campo attraverso una - unitario, 222
superficie, 185
- di fase, 26, 71 Hamiltoniane quadratiche, 389
- - localmente hamiltoniano. 216 - autovalori delle 389
identiti di Jacobi, 208, 213 hioto quasi periodico, 281, 425
lrnmagi~~edi una fornla di contatto, - in un sistema di coordinate gali-
365 Iciano, 16
I~npulso,49 - in un sistema di coordinate mobi-
lm ulsi generalizzati, 63 le, 125
lnfice di Maslov. 458 - traslatorio, 125
- di hlorse, 457
lnslerne degli cllissoidi di rotazio-
ne, 440
lutegrale di una for~na su una ca- Numero tli Bctti. 196
tena. 184 - di gradi di IibertA, 81
Intcgrazione delle for~ue. dillorcan- Natazionr, 153. I 5 6
ziali, 178
Interval10 di tempo. 13
lntorno di un purlto di una varie- O~nologii~,196
. t i , 80
Invarianti adiobatici, 294, 424, 425 Opclratore diffcrcnziale, 205
Invariante integrale. 203 - d'inerzia, 136, 325
- - relative, 204 Oscillazioni di fa*. 407
- - - di Poincar6, 235 - yiccole, 104
--- di PoincarC - Cartan. 230. - proprie (normali), 106
234
Involutivitl, 66
lnvoluzione di Lepndre, 351 Pnrentesi di Poisson. 206, 208
Iperpiano di contatto, 358 I'ericcntro, 40
Piano di contatto. 360
- delle fasi. 23
Lagrangiana. 63 - isotropico di uno, spazio sim-
Lavoro di un campo, 34 pletticd, 219-220
- di una forza. 33
Leene di conservazione della circiii-
- lagrangiano di uno spazio sfm-
plettico, 220
Kzione, 335 - di Lobrfevaliij. 301
- - dcll'enernia. 38. 204 - nu110 di unn- spazio simpletti-
- cli Keplero, 36. 37 co, 220
ternma di PoincarC 195 Poliedro singolare k-dimensionale,
-'di Stokcs. 23C 181
- - multidimensionale, 232 Yolinomio di CehyScv, 33
Lentezza normale di un frcnte, 248 Polinolnio riflessivo, 223
Linea di universo, 15 Posizione di equilibrio, 23, 96, 100
Linearizzazione di un sistcma, 100, Prccessione, 147, 153, 156
102 Principio di conwrvazione del-
Lince di rotore, 230, 232 l'energia, 28
- di rortice. 230 - di Fermat, 245
- di D'.4lcmhcrt - Lagrange, 94
- cli dcter~nil~azionedi Ncwton.
Media syaziale, 281 I:!
- tenlporalo. 281 - di Hoygcos, 247
AIetrica kiihlerialla, 350 - di minima azionc cli Harnillon,
- rienlannialli~. 84
- - invariante a dcstra. 332
- - inrarintllc a sinistra, 323,
-83- -- rli Xla-~pertuis, 243
- di relativitii, galilciana, 22
330 13rohlenii~dei tlue corpi, 53
Jloltiplicazio~~c*
estcrrln, l i l - di Kcylero, 42
.1Iomento ci~ictico.35, 325, 330 - limitato dei tre corpi. 427
- d'inerzia rispetto a UII assc, 130 Prodotto antiscalarc, 217, 382
- di un rcttorc rispetto a 1111 assc, - cstcrno; 164, l67
47 - inlcrno. 168
~ l ~ n o nesterni,
li l65 - sralnrc. 13
- - hermitiano, 345 - - ridotto, 382
Punti di fa-, 23 -
- galileiano, 14
- delle coordinate,
- focali di una varietl, 457 14
- di universo, 13 - lineare simplettico, 217
Punto di contatto, 358, 360 - proiettivo complesso, 345
- regolare dello spazio dei momen- - tangente, 82
ti, 330 Stabiliti, 101
- forte, 118
- nel senso di Ljapunov, i O i , 116
Quantitl di moto, 49 Stato di equilibrio, 23
Struttura complessa, 222
- di contatto, 353, 357
Rapporto tra frequenzc, 281 - euclidea, 13, 323
Rapprescntrzione aggiunta di a n - alileiana, 13
gruppo, 320
- coaggiunta, 321
- iermitiana dello ~ p a z i o proict-
tivo complesso, 345
Rigiditi di un sistema, Ill - simplettica, 198
Risonanza parametrica, 115, 222 - - lineare, 217,
Rotazione. 125 - - dello spazio proiettivo com-
- stazionaria, 145, 329
Rotore, 191 -plcsso, 348
- di variet! algebriche proiet-
- di un campo delle velocitl hidi- tive, 349
mensionale, 336
Tempo, 13
Simplettizzazione di un campo vet- Tensore di curvatura, 306
toriale di contatto, 366 Tensore d'inerzia. 325
- di una varietl di contatto, 360 Teorema di Darboux, 227
- - per strutture di contatto,
Singolaritl lagrangiane, 463
- legendriane, 372 367
Sistema chiuso, 48 - di Galin, 391
- conservative (potenziale), 21, - di Gardner, 453
28, 52 - di Hu gens, 246
- di coordinate fisso, 125 - di ~ofmogorov,416
- - galileiano, 14 - di Lax, 472
- - inerziale, 12 - di Liouville, 71
- - mobile, 124 - - sui sistemi integrabili, 267
- - simplettico, 218 - di Noethcr, 90
- a due gradi di libertl. 27 - di Poincarh del ritorno, 73
- a un grado di libertl, 22 - di Poinsot, 146
- integrahile isoenergetico, 414 - di Poisson. 213
- integrabile non degenere, 285 - di Rayleigh, 339
- integrabile lagrangiano, 85 - di Steiner, 141
- - non autonomo, 88 - di Williamson, 391
- meccanico, 15 - geometric0 di Poincad, 429
- naturale, 85 - di Jacobi, 257
Solitone. 471 - della media, 282
Sottoalgebra, 214 Termini risonanti. 400
S o t t o a r u ~ ~discreto.
o 272 Tori invarianti. 412
SottoipaiC trasversali. 221 - - non risoianti, 413
Sottovarietii lxendriana. 371 - - risonanti. 413
Spazio affine, i 3 Traccia di una catena sotto un'omo-
- delle configurazioni, 16 topia, 201
- - di un sistema vincolato, 79 Traiettoria, 15
- cotan nte, 199, 321, 358 Trasformazione (applicazione) cano-
- eucli&, 13 nica, 235
- de li eventi contemporanei, 13 - - infinitesima, 265
- d e b fasi. 28. 'i! - - libera, 255, 263
- ellittica, 396 - immerse, 82
- alileiana, 14 - kzhleriane, 350
- 8i Legendre. 65, 372 - lagrangiane, 455
- lineare simplettica, 218, 222
- - totalmente staljile, 224
- legendriane, 371
- - stabile, 224
- parallelizzabili, 136
- riemanniane, 83
- unitaria, 460 - simplettiche, 198
Traslazione a destra, 211, 324 Velociti, 15
Trottola addormentata, 153 - angolare, 126
- di Lagrange, 148 -- areolare, 37
- lanciata veloccmente, 157 - gencralizrate, 63
- simmetrica, 148 - prima cosmica, 45
- veloce, 154. - seconda cosmica, 20
Tubo d i rotor*, 230, 232 Vcttore accelerazione, 15
- cakatterist.ico d i unr fornia, 375
- cotang~ntea una varieti, 199
- di Laplace, 426
- nu110 di una forms, 232
- di Poisson, 386
Variazione. 58 - tangentc a una vrrictir, 82
Variabili &one-angolo, 274, 275, - vclociti, 15
278 Vettori antiortogonali, 217
- d'azione, 255, 277, 278 Vincoli olonomi, 77
Varieth connesse, 80 - itleali, 94

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