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Vladimir I. Arnold - Metodi Matematici Della Meccanica Classica-Editori Riuniti - Edizioni MIR (1992)
Vladimir I. Arnold - Metodi Matematici Della Meccanica Classica-Editori Riuniti - Edizioni MIR (1992)
Serie scienfifica
.a cura di Carlo Bernardini
Vladimir IgoreviE Arnold
Metodi matematici
della meccanica classica
Seconda parte
hlECCAKICA LAGHANCIASX
111. I1 principio vi~rii~zionale
9 12. Calcolo dellc variazionI. p. 58 - 5 13. L'e uazione di
Lagrange. p. 62 - 9 I I . La trasiorrnazione di ~ e g e n % e , ~65
: -
9 15. Le equaz~onidi Hamilton, p. 68- 16. I1 teorema I L~ou-
ville, p. 51.
IV. hieccanica lagrangiana su varietl
9 17. Vincoli olonomi, p. 7;- 5 18. Varieti differenziabili, p. 59
- 9 19. Sistemi dinamici lagrangiani, p. 85 - f 20. 11 teorema
di E. Xoether. p. 90-$21. I1 principio di D'Alembert, p. 93.
V. Oscillazioni
9 22. Linearizzazione. p. 100 - 9 23. Piccole oscillazioni, p. 105
- 9 24. Sul cornportalnento delle frequenze proprie, p. 111 -
9 25. Risonanza pararnetrica p. 115.
VI. Corpi rigidi
f 26. Moto in un sistema mobile di coordinate ,124 - $ 2 1 .
Form dVine.rzia.Form di Coriolis,
- - b:
129 $ Corpi riedl,
133 Q 29. Equazioni di Eulero.%escririone del m o b roondo
Ainsot, p. 143 - -
5 30. ~ m t t o l adi Lagrange, p. 148 Q 3i.
Trottola addormentata e trottola veloce, p. 153.
Tena parte
MECCANICA HAMILTONIANA
VII. Forme differenziali
32. Forme esterne, p. 161 - $ 33. Prodotto esterno,
diffemnziali, p. 178 - § 36.
8. -
Q 34. Forme diffemnziali, p. 171 - f 35. Integ~azionede e 167
forme
Differenziazione esterna, p. 485.
VIII. Varieti simplettiche
37. Struttura simplettica su una varietk, p. 198 - 38. Flussi
di fase hamiltoniani e loro invarianti integrali, .200 - 839.
Algebra di Lie dei campi vettoriali, p. 205 - (
-
h. Algebra di
Lie delle funzioni di Hamilton, p. 211 541. Geometria aim-
plettica, p. 216 - § 42. Risonanza parametrica in sistemi a molti
gradi di ,libertl, p. 222 - 8 43. Atlante simplettico p. 226.
IX. Formalismo canonico
44. Invariante integrale di Poincad - Cartan, 230 - f 45.
Comllario del teorema dell'inrariante integrale d;;
Poind -
Cartan, p. 236- 46. Princi io di Huygens, .245 - f 47. Me-
todo di iacmbi - Hamilton Qlintegrarione del?e equazioni u n o -
niche di Hamilton, p. 254 - f 48. Funzioni generatrici, p. 263.
X. Introduzione alla teoria delle perturbazioni
Q 49. Sistemi integrabili, p. 267 - Q 50. Variabili azione-angolo,
p. 274 - f 51. Media, p. 28L - 52. Media delle perturbazioni,
p. 2%.
Appendice 1. Curvatura riemanniana
Appendice 2. Geodetiche delle metriche invarianti a si-
nistra su dei gruppi di Lie e idrodinamica
del fluido perfetto
Appendice 3. Struttura simplettica su varieti algebriche
Appendice 4. Strutture di contatto
Appendice 5. Sistemi dinamici dotati d i simmetria
Appendice 6. Forme normali delle hamiltoniane qua-
dratiche
Appendice 7. Forme normali di sistemi hamiltoniani
nell'intorno di punti fissi e di traiettorie
chiuse
Appendice 8. Teoria delle perturbazioni dei moti quasi
periodici e teorema di Kolmogorov
Appendice 9. Teorema geometric0 di Poincar6, sue
generalizzazioni e applicazioni 429
Appendice 10. Moltepliciti delle frequenze caratteristich~
ed ellissoidi dipendenti dai parametri 439
Appendice 11. Asintotiche ad onde corte 453
Appendice 12. Singolarith lagrangiane 463
Appendice 13. Equazione di Korteweg - de Vriea 471
Indice analitico 475
I n mecEanica classica si utilizzano metodi e concetti matematici
molto diversi: equazioni differenziali e flussi di fase, applicazioni
regolari e varietit, gruppi ed algebre d i Lie, geometria simp lettica
e teoria ergodica. Molte delle moderne teorie matematiche hanno
avuto la loro origine i n problemi di meccanica .e solo i n seguito hunno
assunto quella forma astratta ed assiomatica che ne ren& cosi diffi-
cile lo studio.
I n questo libro l'apparato matematico della meccanica classica
viene costruito sin dall'inizio, i n modo tale che non si richiedono at
lettore conoscenze preliminari, diverse da quelle che si ottengono nei
corsi normali di analisi (derivata, integrale, equazioni differenzia-
li), di geometria (spazio lineare, vettori) e di algebra lineare (opera-
tori lineari, forme quadratiche).
Per mezzo di tale apparato matematico vengono esaminate tutte
le questioni fondamentali relative ai sistemi dinamici, compresa la
teoria delle oscillazioni, la teoria del n o t o del corpo rigido e il
formalismo hamiltoniano. L'autore hu cercato ovunque di mostrare
l'aspetto geometric0 e qualitativo dei fenomeni. I n questo senso il
libro 2 piii vicino a1 corso di meccanica teorica per fisici teorici che ai
corsi tradizionali di meccanica teorica usati dai matematici.
U n a parte significativa del libro 2 dedicata ai principi variazio-
nali e alla dinamica analitica. F. Klein caratterizzb la dinamica
analitica, nelle sue Lezioni sullo sviluppo della matematic? nel
diciannovesimo secolo, nel mod0 seguente: u I fisici possono ricavare
da questa teoria solo una piccola parte di informazioni per i loro
problemi, e gli ingegneri nessccna i. Lo sviluppo della scienza negli
ultimi anni ha decisamente conf utato questa osservazione. I1 forma-
lismo hamiltoniano 2 alla base della meccanica quantistica e rap-
presenta attualmente uno degli strumenti piii frequentemente usati
fra i metodi matematici della fisica. Dopo che fu riconosciuto il
valore della struttura simplettica e del principio di Huygens per
tutti i possibili p r o b h i di ottimizzazione, le equazioni di Hamilton
sono state costantemente usate nei calcoli ingegneristici i n questo
campo. D'altra parte, b sviluppo modern0 della meccanica celeste,
derivante dalla richiesta di studi cosmici, ha fatto rinascere l'interesse
per i metodi ed i prohlenti della Rinamica analilica.
Ci sono ntolti e diversi 1egam.i fra la mecca~zicaclassica ed altri
,
rami della matematica e della fisica. Le a Appendici alla fine del
libro mostrano alcurti di qriesti hgami. .Le npplicazioni dell'apparato
della meccanica classica, che si considerano qui, sono i fondamenti
della geometria rientanniancz, la dinamica clel jliiido perfetto, l a
teoria di Kolmogorov aclle pertlirbazioni dei rnoti quasi periodici,
l'asintotica ad on& corte per le equazioni clella fisica rnatemcitica e la
classificazionc delle catistiche i n otticn geometrica.
Queste appendici so12o dedicate nl lettore 'nteressato e non
entrano nella parte obhligatorin del corso. A lcune di qr~eslenppendici
possono fornire In base per dei corsi speciuli (ad esempio. per ten corso
sui metodi asintotlci della teoria delk oscillazioni non lineari o per
le asintotiche quasi classiclte). Nelle appendici sono anche riportate
delle in.forma.zioni a carattere cli ntanuale (per esetr~pio,l'elenco delle
forme norrnali delle hamilto~zinnequadratiche). L'uutore ha cercato,
nei capitoli fondanlentclli del libro; di riportare tutte le dimostrasio~ti
nel rnodo pi& accurato possibile, euitando di rimandare alla lettura
di altri a.rticoli: nelle appendici invece sono per lo pi11 elencati
i risultati, per la clci dimostrnzione si rimanda alla letteratura
relativa.
L a parte fondamentale del libro b costituita da u n corso obbli-
gatorio di meccanica classica, della durata di tre semestri, tenuto
dall'autore negli anni '66-'68 agli studenti del terzo e del quarto
anno di matematica, cite freqrientavano la facolt& di Meccanica-
illate~naticadell'Universit& Statale di .qfosca (ICfGU).
L'autore ringrazia I . G. Petrovskij, che ha insistito perchi questo
corso di lezioni fosse letto, riscritto e stampato. L'autore ha ricevtcto
un grande aiuto nel preparare le lezioni per la stampa da L . A. Buni-
movii., L . D. Vajngortin,, V . L. Novikov, che hanno fornito i loro
appunti rclativi alle lezioni, e particolarmente da N . N . Kolesni-
kov, che ha organizzato la stampa a rotativa ( M G U , 1968). L'autore
b p t o a queste persone, cosi come a quanti lo hanno segu.ito e ai
colleghi, chc hnnno suggerito le loro osservazioni sul testo stampato:
molte di queste osservazioni sono state u tilizzate per preparnre questa
edizione. L'autore ringrazia infine M. A. LeontoviE, che ha proposto
un'intepretazione dei vincoli per mezzo di u n passaggio a1 limite,
e I . I . 170rovii.e V . I . JudoviE per I'attenta recensione del manoscritto.
V. Arnold
Prima parte
MECCANICA NEWTONIANA
I. Fatti sperimentali
In questo capitolo sono elencati i fatti sperimentali fonda-
mentnli che sono alla base della meccanica: il principio di relati-
vith galileiano e le equazioni differenziali di Newton. Vengono
anche considerali i viocoli imposti dal principio di relativith
galileiano alle oqnazioni clel moto e presentati alcuni esernpi
semplici.
stanza
p(z, Y)==llf.-Y l I ~ V ( ~ - Y 2-Y)
,
dLdb
simmetrica bilineare definita positiva, detta prodotto scalrrre. I1
prodotto scalare permette di definire la di-
-
A* tempir reale. L'intervallo d i tempo tra
l'evento a E A4 c I'evento b E Ah b il numero
t (b - a) (fig. 2). Se t (b - a) = 0 gli even-
t t i a e b si dicono contemporanei.
Un insieme di eventi contemporanei tra
Fig- 2. L'intervallo
di tempo t.
loro forma un sottospazio affine tridimensio-
nale di A&. Esso viene chiamato spazio
degli eventi contemporanei As.
I1 nucleo dell'applicazione t consiste nei trasporti paralleli
di Ah, che portano un evento (e quindi ogni evento) in un evento
ad esso contemporaneo. Questo nucleo forma uno spazio lineare
tridimensionale Rs, sottospazio dello spazio lineare RC.
C'na struttura galileiana comprende ancora un elemento.
3) Una di&anza tra eventi contemporanei,
-t--p
tc il mot0 '.
La forma della funzione P' per ogni
- ti^ galikiana.
sistcma meccanico concreto i? definita
t sperimentalrnente. I)al punto di vista
matematico la forrna di 1.' perogni si-
Fig. 5. Princi io di relativi- sterna rappresenta la okfinizione di que-
sto sistema.
E. Limiti imposti dal principio di
relativitil. I1 principio di relativiti galileiana afferma che uello
spazio-tempo fisico esiste una certa struttura galileiana (4 classe
dei sistemi di coordinate inerziali B) che soddisfa la seguente
condizione.
Se applichiamo alle traiettorie spazio-temporali di tutti i punti
di un sistema meccanico 2 una ed una sola trasformazione galileianu,
Con alcune candizioni di regolariti che qui, naturalmcnte, si suppon-
goiio soddisfattc. In ge;~erale,la (1) definiace il mot0 solo su un ccrto intervallo
dell'asse dei tempi. Per sernpliciti supporrerno che questo intervallocoinci-
da con l'intero asse dei tempi, conclizione che i! soddisfattn nella ~naggior
parte dci problemi di meccanica.
2 I1 principio di relativiti i! formulato in n~apierache si riferisce sol-
tanto ai sistemi fisici (per l'esattczza meccanici) clriusf, cioi! noi dobhiamo
includere nel sistema. tutti quei corpi la cui interazione ha un ruolo nello
studio del sistema stesso. Da un punto di vista esatto dovremmo includerc
si ottengono le traiettorie &llo stesso sistema (con nuove condizioni
iniziali) (fig. 5).
Questo principio impone certe condizioni alla parte destra
delle equazioni di Newton scritte nel sistema di coordinate
inerziali: l'equazione (1) deve essere invariante rispetto a1 gruppo
delle trasformazioni galileiane.
E s e m p i o 1. Fm le trasformazioni galileiane ci sono le
traslazioni temporali. L'invarianza rispetto alle traslazioni tem-
porali significa che a le leggi della natura sono costanti B, cio8,
se x = cp (t) B soluzione dell'equazione (1). allora, per ogni s E R
la soluzione Q ancora x = cp (t +
s).
Da qui segue che la parte destra dell'equazione (1) in un sistema
inerziale di coordinate non pub dipendere dal tempo
dove r = r,, +
x (fig. 7).
Questa equazione si pud anche scrivere nella forma (3) intro-
ducdndo l'energia potenziale,
Nella maggior parte dei casi (per esempio, nel problema dei tre
corpi) non si riesce a risolvere il sistema di equazioni differenzia-
l i del moto, n6 ad analizzare in mod0 sufficientemente completo
il comportamento delle soluzioni. I n questo capitol0 esamineremo
alcuni problemi semplici, ma importanti, per i quali B possibile
risolvere le equazioni di Newton.
@
modulo. Percii, il mot0 di un punto di fase
sul piano delle fasi B una rotazione uniforme
attorno a 0:x = ro cos (9, - t), y = rox
x sen (17, - t). Quindi ogni insieme di livello
2 dell'energia rappresenta una curva di fase.
E s ecolm suo
tenziale
gli insiemi 2. Sia
pdii grafico
olive110 (fig.
dell'enegia
data %+
10).l'energia
Disegnamo
po-
Fig. 9.
dell'equazione z=
+ U (5)fatti.
fasi guenti = E. E uti!e tener presente i se-
=- t. 1. Le posizioni di equilibrio del sistema
(2) giacciono sull'asse x del piano delle fasi.
I1 punto x = f , y = 0 rappresenta una posizione di equilibrio se
f i! un punto critico dell'energia potenziale, cioB se dUldz. I,=E=: 0.
2. Ogni insieme di livello 6
e
una curva liscia nell'intorno di
ogni suo punto, che non rappre-
senti una posizione di equilibrio
(segue dal teorema sulla funzio-
ne implicita). In particolare, se E E~
non 2, un valore critico dell'ener- E3 E4
gia potenziale (cioB non B uguale E~
a1
in valore
uno dei dell'energia
punti critici),potenziale
l'insieme ;i, *
3:
ylk;
P r o b 1 e m a. Trovare le tangenti a i
rami della curva di livello critico, corri-
spondente a1 massimo dell'energia potenziale,
E = U (E) (fig. 13). -
Risposta. y = fYU' (f) ( x -6).
P r o b 1 e m a. Sia S (E) 1 area rac-
chiusa all'interno della curva d i fase chiusa,
corrispondente a1 livello di en,ergia E. Dimo-
Fi . 13. Curva di li- strare the il periodo del mot0 su questa cur-
veflo coicrit dell'ener- va B uguale a
gia. T=- dS dE '
P r o b 1 e m a. Sia Eo il valore dell'energia potenziale nel
punto di minimo fo. Trovare il periodo delle piccole oscillazioni
nell'intorno del punto E, To= lim T (E).
Risposta. 2n1
-
VU" (5).
E+Eo
1
diamo la soluzione del sistema (2)' le cui condizioni iniziali per
t = 0 sono rappresentate dal punto M.
Supponiamo che ogni soluzione del siste-
ma si prolunghi su tutto l'asse tempo-
rale. I1 valore della nostra soluzione per lS+t*"
un valore t dipende da M . Designamo il
punto di fase ottenuto (fig. 14) con
M ( t ) = gtM. Fig. 14. Flusso di fase.
In questo mod0 definiamo un'applicazione del piano
.delle fasi su se stesso, gt: R2 -t R2. Per noti teoremi della teoria
delle equazioni differenziali ordinarie l'applicazione gt costi-
tuisce un diffeomorfismo (applicazione biunivoca differenzia-
bile nei due sensi). I diffeomorfismi gt, t E R costituiscono un
gruppo: gt+' = gt $. Inoltre, l'applicazione $ B l'iden
L'unica eccezione sono i casi in cui il periodo non dipende dall'energia
tit& e l'applicazione g-t B I'inversa di 8. L'applicazione g:
R x RZ+ R '
, g (t, M) = g'M B differenziabile. Tutte queste
proprietii esprimono insieme che le applicazioni g' costitui-
scono un gruppo a un parametro di diffeomorfismi del piano delle
fasi. Questo gruppo si chiama anche flusso di fase, dato dal siste-
ma (2) (o dall'equazione (1)). --
E s e m p i o. I1 flusso di fase dato dall'equazione z = - x
B il gruppo gt delle rotazioni del piano delle fasi di un angolo t
intorno all'origine delle coordinate.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il sistema con energia poten-
ziale U = - d non determina nessun flusso di fase.
E=zx2f U(x),
.
Teorenla. L'energia totale di un sistema conservativo si comerva
i
x 2 = ( x , x).
<
Quindi, la variazione di x, Q limitata dalla striscia I xl I A,,
<
A , = 1/ 2E1(0)'e anche x, oscilla nei limiti della striscia I x , I
<A2. L'intersezione di queste due strisce definisce un rettangolo,
nel quale 15 racchiusa l'orbita (fig. 18).
P r o b 1 e m-a. Dimostrare che questo rettangolo & inscritto
nell'ellisse U< E. La soluzione piii generale delle nostre equazio-
ni B x, = A, sen (t + +
cp,), z, = A, sen (at cp,): il punto i n
mot0 effettua indipendentemente una oscillazione con frequenza 1%
ampiezza A, orizzontalmente e un'o-
scillazione con frequenza o e am-
piezza A, verticalmente.
Per disegnare l'orbita sul piano
x,, x? procediamo nel seguente modo.
Conslderiamo un cilindro di base
2A1 e una striscia di larghezza 2A2.
Disegnamo sulla striscia una sinusoi-
de di period0 2nAllo e ampiezza A? e
avvolgiamo la striscia sul cilindro Fig. 18. Regioni U < E ,
(fig. 19). La proiezione ortogonale U, < E o U, < E.
sul piano x,, x, della sinusoide av-
volta sul cilindro dj. proprio I'orbita cercata, che si chiama
figura di Lissajou.
Le figure di Lissajou si possono agevolmente studiare su un
oscillografo, immettendo due oscillazioni armoniche indipendenti
sugli ingressi verticale e orizzontale.
La forma della figura di Lissajou dipende molto dalla frequen-
za o. Se o = 1 (pendolo sferico dell'esempio I ) , la curva sul
Fig. 20. Serie di figure di Lissajou Fig. 21. Figurn di Lissajou con
con o = 1. o =
I.
Fig. 25. Lavoro di una forza co- Fig. 26. Lavoro di un campo di
stante F su un cammino rettili- forze F su un cammino I .
neo S.
(Fwd#) = @ (4dr*
dar t(~1)
e questo integrale, evidentemente, non dipende dal cammino.
P r o b 1 e m a. Calcolare l'energia potenziale di un campo
newtoniano. ,
Fig. 28. I1 momento della quan- Fig. 29. Scomposizione del vettore
tit& di moto. r nella base t,, e,.
B due volte pic piccola del momento della quantith di mot0 del
nostro punto di massa 1 e tlunque costante.
E s e m p i o. I satelliti per comunicazioni i( Fulmine s han-
no orbite fortemente schiacciate. In base alla legge di Keplero
tale satellite trascorre la maggior parte del tempo nella parte
dell'orbita pi& lontana e la quantith b piccola.
E=++U(~)
Integrando si ottiene
M
--- k
r hf
cp = arccos
k'
A questa espressione si dovrebbe aggiungere una costante arbitra-
ria. Noi la considereremo w a l e a zero, il che B equivalente
a misurare l'ampiezza dell'angolo cp a partire dal periceatro.
Introduciamo le seguenti notazioni:
--i
P
Si ottiene cosi cp = arccos '-, cio6
c
C=-='
vo"--b', dove c = ae 6 la distanza dal centro a1 fuoco
a a
.(vedi fig. 35).
0 s s e r v a z i o n e: Un'ellisse con piccole eccentricith
B molto simile a una circonferenza l. Se la distanza del fuoco da1
-
centro B un infinitesimo del primo ordine, la differenza tra i se-
miassi B del second0 ordine: b= a V 1-ea r a (I- T) ei
Per.
esempio, in un'ellisse con semiasse maggiore di 10 cm e eccentri-
c i t l 0,1 la differenza tra semiassi B pari a 0,s mm, mentre la
distanza tra il fuoco e il centro B 1 cm.
Le eccentricitl delle orbite dei pianeti sono molto piccole.
Per questo motivo Keplero inizialmente formuli, la sua prima leg-
ge in questo modo: i pianeti si muovono intorno al Sole su delle
circonferenze, ma il Sole non si trova nel centro.
I1 legge di Keplero: la velocitl areolare 6 costante (si veri-
fica in qualsiasi campo centrale).
111 legge di Keplero: il tempo di rivoluzione su un'orbita
ellittica dipende solo dalla misura del semiasse maggiore.
I quadrati dei periodi di rivoluzione di due pianeti che si
muovono su diverse orbite ellittiche stanno nello stesso rapport*
dei cubi dei corrispondenti semia~simaggiori 2.
D i m o s t r a z i o n e. Indichiamo con T il period0 d i
rivoluzione, con S l'area, descritta dal raggio vettore nel tempo T.
2 S = MT. dato che MI2 B la velocitl areolare. Ma l'area del-
l'ellisse B S = nab, da cui T = -
2nab
M E poich6 a = ' l P / kM' -
. -
=- k
2 1 ~ 1
(da a=-
1, b=-. Ma V -
I-e2 k
-
M
1
M =1/2)EJ
, dunque
~ I E I ~
k
T=2n
( ~ m ) ~
rna21EI=-,ecosi~=2na~/2k-~'~.
* a
Notiamo che l'energia totale E dipende, in questo modo, solo
dal semiasse maggiore dell'orbita a , ed 6 unica per tutta una
famiglia di orbite ellittiche, dalla circonferenza d i raggio a a1
segment0 di lunghezza 2a.
P r o b 1 e m a. Nel lancio di un satellite su un'orbita circo-
lare a 300 km dalla Terra, la direzione' della velocitl ha deviato
da quella calcolata d i lo sul lato diretto verso la Terra. Come
varia il perigeo?
Risposta. L'altezza del perigeo diminuiri all'incirca d i
110 km.
Lasciate cadere una goccia di tB non lontano dal centro del bicchiere;
Le onde si raduneranno in un punto simmetrico. La causa di cib B che, i n
accordo con la definizione focale dell'ellisse le onde che escono d* un fuoco
dell'ellisse, si raccolgono nell'altro.
2 Per pianeti si intendono qui punti che si trovano in un campo centrals.
S u g g e r i m e n t o. La differenza dell'orbita da una cir-
conferenza Q di un infinitesimo del second0 ordine e si pui, tra-
scurare. I1 raggio ha il valore calcolato, poich6 l'energia iniziale
ha il valore previsto. Dunque l'orbita si ottiene da quella calco-
l a t a con una rotazione di un angolo di lo(fig. 36).
P r o b 1 e m a. Come cambia l'altezza del perigeo, se la
velociti di lancio B di 1 m/sec minore di quella calcolata?
P r o b 1 e m a. Si chiama prima velocitiz cosmica la velocith
d i mot0 su un'orbita circolare, il cui raggio Q vicino a1 raggio del-
a
la Terra. Trovare il modulo della prima velocitl cosmica v,
e dimostrare che v, = vZ
Risposta. 8 , l kmlsec.
v, (cfr. § 3, B).
P r o b 1 e m a . Durante la sua usci-
t a nello spazio aperto il cosmonauta A. Leo-
nov lancib dalla parte della Terra il coper-
chi0 della cinepresa. Studiare il mot0 del
coperchio rispetto alla navicella spaziale,
considerando la velocitl di lancio pari Fig. 36. Orbita vicina
a 10 mlsec. a quella circolare.
Risposta. I1 coperchio si muoverl ri-,
spetto a1 cosmonauta all'incirca su un'ellisse con asse maggiore
d i circa 32 km e asse minore di circa 16 km. I1 centro dell'ellisse
Bsituato a 16 km davanti a1 cosmonauta sull'orbita, mentre il
periodo di rivoluzione sull'ellisse B uguale a1 periodo di moto
sull'orbita.
S u g g e r i m e n t o. Prendiamo come unitl di lunghezza
il raggio dell'orbita circolare della navicella spaziale, mentre
l'uniti di tempo la scegliamo in mod0 tale che il periodo di rivo-
luzione su questa orbita sia uguale a 2n. Dobbiamo studiare le
soluzioni dell'equazione di Newton
..
r = -r/r3
vicine alla soluzione circolare r, = 1, cp, = t. Cerchiamo queste
soluzioni nella forma
-
n o dell'energia, dell'impu1so.e
j 4
i#j
dove FI B una forza esterna nei confronti del sistema I.
B. Legge di conservazione dell'impulso.
In effetti, 2 F i j = 0,
i. 3
poich6 per le forze d'interazione Fi,=
3
= - Fji.
Corollario I. La quantith di moto di un sistema isolato sz con-
serva.
Corollario 2. S e la somma delle forze esterne, che agiscono
sul sistema, 2 perpendicolare all'asse x, allora la proiezione P , della
quantith di mot0 sull'asse x si conserva: P , = cost.
D e f i n i z i o n e. Si chiama centro d'inerzia di un sistema
(o baricentro) il punto cosi individuato:
r=
2 miri
p i
P r o b 1 e m a. Ilimostrare che il centro d'inerzia B defini-
to in mod0 esatto, cioi non dipende dalla scelta dell'origine per
la misura dei raggi vettori.
La quantitir di mot0 di un sistema b uguale a quella di un punto,
posto nel centro d'inerzia det sistema e di massapari a 2 I&.
E evidente che per come Q definito il centro d'inerzia
(2 m i ) r = ( m i r i ) ,da cui segue (2 2
m i ) & = mi;i.
Ora ~ o s s i a m oriformulare il teorema della auantiti di mot0
come t e o i m a sul mot0 del centro d'inerzia.
Teorema. I1 centro d'inerzia di un sistema si muow come se
tutte le muse fossero concentrate in esso e tutte le forze jossero appli-
cute ad esso.
Dimostrazione. (2 m i ) ;=P, quindi (2 m i ) ;=
--ddtP =
- 2 Fi.
i
Corollario. Se un sislema 2 chiuso allora il suo centro d'inerzia
si muove di mot0 rettilineo uniforme.
C. Legge di conservazione del momento della quantith di moto.
D e f i n i z i p n e. I1 momento della quantith di mot0 di un
punto mteriale rispetto a1 punto 0 B il momento del vettore impul-
so rispetto a1 punto 0:
M = [ r ,m r J.
Si chiama momento della quantita di mot0 di un sistema rispetto
a1 punto 0 la somma dei momenti delle quantiti di mot0 dei punti
del sistema:
n
M= 2 [ r i ,mii*i~.
i=l
-.
i= 1
Quindi,
T (ti)-T(to)=
ra(tl)
1 (F, dr)= I' .
( r , F) dt.
4 0 ) 10
In altre parole,
l'incremento dell'energia cinetica 2 uguale a1 lavoro dellu
(I forza n 3n-dimemionale F sul u cammino n r (t) nello spazio delle
conf igurazioni.
D e f i n i z i o n e. Un sistema si dice comervativo (o poten-
ziale) se le forze dipendono soltanto dalla posizione dei punti del
sistema, F = F ( r ) , e il lavoro F su un qualsiasi cammino dipende
solo dagli estremi del cammino stesso:
Y ( F , dr)=O(Mi* M*).
Mi
Teorema. Affinche' un sistema sia comer vat it;^ 2 necessario
e suff iciente che esista l'energia potenziale, cio2 u r n f unzione U (r)
tale che
D i m o s t r a z i o n e . Vedi $ 4, B.
Teorema. L'energia totale di un sistema comervativo E = T U +
si conserva durante i l moto: E (t,) = E (t,).
D i m o s t r a z i o n e. Per quanto dimostrato sopra
In effetti, allora
Per questo l'energia potenziale d'interazione di tutti i punti saril
L2, conseguentemente, v -
spesa per vincerla B dunque proporzionale a v2L2v. Cosi v3L2 -
drato della velociti e all'area della sezione trasversale; la potenza
- Lo. In effetti la velociti di corsa
in pianura, per animali non pih piccoli della lepre e non piii gran-
--
di del cavallo, praticamente non dipende dalle dimensioni.
- LSv; poich6 la potenza esercitata B -
Per correre in montagna 6 necessaria una potenza mgv
L2, troviamo v
Effettivamente il cane sale facilmente di corsa su un colle, men-
L-l.
tre il cavallo segna il passo.
56
Seconda parte
MECCANICA LAGRANGIANA
I1 I. I1 principio variazionale
In questo capitol0 dimostriamo che i moti di un sistema new-
toniano definito da un potenziale sono estremali per un principio
variazionale, il cosiddetto a principio di minima azione di
Hamilton n.
Da questo fatto derivano parecchie conseguenze importanti,.
come ad esempio la possibilitil di scrivere rapidamente le equazio-
L'invarianza sussiste anzi anche rispetto ad un gruppo piii grande
di trasformazioni; comprendente anche trasformazioni del tempo.
ni del mot0 in coordinate curvilinee, e anche varl rlsultati quali-
tativi, come il teorema sul ritorno vicino ad un punto iniziale.
In questo capitol0 useremo uno spazio munito di coordinate
n-dimensionale. Un vettore x di questo spazio B un insieme di n
numeri ( x , . . . x ) . Corrispondentemente aftax significa
(af!dx1, . . ., 3flax,), (0, b) = albl + . . .+
a,bn.
(3( y ) = jL (3 ( t ) , ;(t),t )d f .
to
Fig. 41. Variazione di una curva. Fig. 42. Costmzione della fun-
zione h.
t1
Teorema. I1 funzionule (3 (y) = L (x, ,; t ) dt 2 differen-
t
ziabile e il suo differenziale 2 &to dalla formula
Di m o s t r a z i o n e .
@(y+h)-O(y)=
ti . . t).-L(x, ,; t ) ] d t =
5 [ L ( x + h , x+h,
to
a~ a~
h + Th ) dt, R = 0 (h2).Integrando per parti
t9
dove F (h)= J {= a2
10
otteniamo
B. E9tremali.
D e f i n i z i o n e. Un estremale di un funzionale differen-
ziabile Q, (y) 6 una curva y, tale che F (h, y) = 0 per ogni h.
(Esattamente come quando si dice che y e un punto stazio-
nario per una funzione, se ivi si annulla il differenziale.)
Teorema. A ff inch4 la curva y: x = x (t) sia estremale per il
f unzionale Q, (y) = L (x, x, t) d t nello spazio delle curve passan-
t;
ti per i punti x(to) = xo e x (t,) = XI, 2 neeessario e sufficiente
che lungo la curva x (t) valga
generalizzate,
tn
L (q,
B I'equazione d l Lagrange.
i , t) dt 6 l'azione c d a~
(7)aqi -=a~
=0
to
B. Esempi semplici.
E s e m p i o 1. Per un punto materiale libero in E3
*
componenti del vettore quantiti di moto, le equazioni di Lagrange
coincidono con le equazioni di Newton dt = 0. Gli estremali sono
delle rette. Dal principio di Hamilton segue che le rette non sono
solo i cammini piii brevi (cioB estremali della lunghezza
1 {a + 6: + k dt) . ma
1,
i;
anche estremali dell'azione 1(k +
+ kP+r ok)b dt.1 e m a. Dimostrare che questo estremo B un minimo.
E s e m p i o 2. Consideriamo il mot0 in un campo centrale
piano, scritto in coordinate polari qi = r , q, = 9. Dalla relazione
T
.=re,. + cpre, troviamo l'energia cinetica T = -mra
=
m
2 -
(r'+
+ h)
r 2 2 ) e la lagrangiana L (q, q )= T (q, - U ( q ) , U =U (9,).
Gli impulsi generalizzati saranno p =aL~ cioe ,
acr
pi = mr, p, = mr2q.
yk5
geometrica: 13 l'ordinata del punto di ascis-
sa x sulla retta tangente a1 grafico di f (x)
con inclinazione p (fig. 45). In effetti, per
un p fissato, G (s, p) i! una funzione lineare
di x, per la quale X / a x = p, e per x =
-. x (p) abbiamo G (x, p) = xp- g ( p ) =
= f (x), per definizione di g (p).
'
E s e m p i o 2. Se f (x)=,,
za
allora g (p)=-,
P
P*
-+$=I
a
e otteniamo la disuguaglianza di Young
-
senza alcun cambiamento a auesto caso.
P r o b 1 e m a. Sia f:'~" R una ~ i 46.~ L~. trarforma-
funzione convessa sullo spazio lineare Rn. ta di Legendre di una
Indichiamo con Rn*lo spazio lineare duale. forma quadratica.
Dimostrare che le formule precedenti defi-
niscono completamente un'applicazione g: Hn*+ R (nell'ipotesi
che la forma linerae df , 1 descriva tutto lo s p a d o Rm*quando x
descrive tutto Rn).
2
P r o b 1 e m a . Sia f una forma quadratica: f (x) = f i j x g j .
Dimostrare che la sua trasforrnata di Legendre 6 ancora una forma
quadraticn g ( p )= 2 gijpipf tale che i valori delle due forme nei
punti corrispondenti sono uguali (fig. 46):
$ 15. Le equcrzioni di Hamilton
Con una trasformazione di Legendre, il sistema di equazioni
differenziali del secondo ordine di Lagrange si trasforma in un
sistema di 2n equazioni del primo ordine, dotato d i una notevole
simmetria: il sistema delle equazioni di Hamilton (o delle equazioni
canoniche).
A. Equivalenza delle equaaieni di Lagrange. e di Hamilton.
Consideriamo il sistema di equazioni di Lagrange = aLlaq,
dove y = a ~ l a * ,definito da una funzione di Lagrange L : Rn x
x Rn x R -t R che supporremo convessa rispetto a1 secondo
argomento q.
Teorema. I1 sistema delle equazioni di Lagrange 2 equivalente
ad u n sistema di 2n equazioni del primo ordine, le equazioni di
Hamilton
aL .
6 uguale a1 differerlziale totale di pq- L con p= -
af '
aL
d H = q dp-- % dq-- aL
at
dt.
Le due espressioni per dH devono coincidere. Pertanto
1 - P¶
In questo caso T=-2- q2, U = U ( q ) , p = q , H = T . f U(q), e le
eql~azionidi Hamilton assumono la forma
dove p (t), q (1) sono una soluzione del sistema delle equazioni di
Hamilton (fig. 47).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che g' 6 un gruppo.
B. Teorema di Liouville. 1) I 1 f l w o di fuse conserva il vo-
lume: per ogni regione D si ha (fig. 48)
volume g'D = volume D .
Dimostreremo una proposizione un pol pia generale, anch'essa
dovuta a Liouville.
Sia dato - u n sistema di equazioni differenziali ordinarie
x = f ( x), x = (zl, . . ., zn), la cui soluzione sia prolungabile
su tutto l'asse dei tempi. Sia g' il corrispondente gruppo di
C. Dimostrazione.
Lemma i . Vale la relazione
dove t r A = :x
11
i=l
a t , 2 la traccia &lla matrice A (la somma &gli ele-
menti diagonali).
(La dimostrazione del lemma 2 si ottiene sviluppando il
determinante: si ha 1 , poi n termini moltiplicati per t e i restanti
moltiplicati per t2, t3, ecc.)
Perci6
det - ag'x = 1 + t t r -
dx
dl'
d~ +
O(t2).
==2
n
Ma t r 6'f afi
-=
azi
div f. Pertanto
i=l
v ( t )= S +
[I t div f +O (t2)jdx,
D(0)
il che dimostra anche il lemma 1.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a 2). Poichknon
fa differenza considerare, nel lemma 1, t = to o t = 0, lo possia-
mo riscrivere nella forma
div f dx.
Allora se div f = 0, *= dt
0, c.v.d.
In particolare per un sistema hamiltoniano, abbiamo
a
d
ap r ) ~
diu f=-(--)+-(-)=0.
OQ 011. AH
dp
Questo B uno dei pochi risultati generali sul carattere del moto.
G i i nel caso
..
x = -- , Z = (=I. IJ
i dettagli del mot0 non sono noti.
Una conseguenza alquanto paradossale dei teoremi di Poin-
car6 e Liouville B la seguente: se apriamo un setto, che divide una
Fig. 54. Un vincolo come un cam- Fig, 55. L'energia potenziale .,iL
po di forze infinite.
Q 18. ~ a r i e t hdifferenziabili
Lo spazio delle configurazioni di un sistema vincolato B una
varietl differenziabile. In questo paragrafo vengono fornite le
nozioni piii semplici sulle varietl differenziabili.
A. Definizione di varietil differenziabile. Sull'insieme M
b data una struttura di varieti differenziabile, se M b fornito di
Fig. 57. Un atlante della sfera. Fig. 58. Pendolo iano, pendolo
sferico e pendolo $oppio piano.
posto, per esempio, da due carte (Ul, cpr, i = 1, 2) ottenute per
proiezione stereografica (fig. 57). Un'analoga costruzione B pos-
sibile per la sfera n-dimensional0
Fig. 59. Lo spazio delle configura- Fig. 60. Lo spazio delle configu-
zioni di un segment0 rigido nel razioni dl un triangolo.
piano.
ro
D e f i n i z i o n e. Una varieti differenziabile M con una for-
ma.quadratica definita positiva fissata (8, k) in ogni spazio tangente
TM,,si chiama varietct riemanntana. Questa forma quadratica si
chiama metrica riemanniana.
0 s s e r v a z i o n e. Sia U una carta dell'atlante di M con
coordinate q,, . . ., q,. Allora una metrica riemanniana B data
dalla formula
dsz = a y (q) dqi dqj. at = ajt,
i,j=l
dove le dq, sono le coordinate d i un vettore tangente.
Si intende che le funzioni a t j (q) sono supposte differenzia-
bili fino all'ordine necessario.
F. Derivata di un'applicazione. Sia f : M +N un'applica-
eione della varietl M nella varieti N. L'applicazione f si dice
differenziabile, se espressa in co-
ordinate locali di 1M e di N d i
luogo a funzioni >differenziabili.
@
JJ mr f*r
D e f i n i z ' i o n e . La de-
rivata di un'applicazione d i f f s
renziabile f: M + N nel punto
3: E M b l'applicazione lineare
tra spazi tangenti
Fig. 64. Derivata di un'applica-
zione. f*,: TMz-t TNf(z,,
definita come segue (fig. 64).
Sia v E TM,. Consideriamo la curva cp: R + M , cp (0)= x
con vettore velocitg
dP
della curva f o 8: R + N,
1
t=o = V. Allon f.,v & il vettore velocitl
to
dove ; ;
8 il vettore velociti, ( 1 ) E T M y ( t , .
E s e m p i o. Sia M una. regione dello spazio delle coordi-
nate, con coordinate q = (q,, . ., 9,). La funzione di Lagrange
.
L: T M -.+ R assume l'aspetto d i una funzione di 2n coordinate
,
dove L (q, 4)
h l'espressione della funzione L: T M -P R in coordi-
nate q e m T M .
Molto spesso si incontra il seguente caso particolare.
B. Ststemi .naturali. Sia M una varieti riemanniana. Si
chiama energia cinetica una forma quadrati'ca definita su tutti
gli spazi t a n ~ e n t i
1
T =T(v, v), v E T M Z .
Si chiama energia potenziale una funzione differerlziabilc U:
M+R.
D e f i n i z i o n e. Un sistema lagrangiano su una varieti
riemanniana si dice naturale se la funzione di Lagrange L; uguale
alla differenza tra un'energia cinetica e un'energia potenziale,
L=T-U.
E s e m p i o; Co~lsideriamodue punti d i massa ml e m,,
uniti da un segmento di lunghezza I nel piano z, y. Allora lo spa-
zio delle configurazioni ;una varieth tridimensionale
1Y
m
2-
Nello spazio tangente a110 spazio quadri-
dimensionale (x,, x,, y,, y,) B definita una
f o m a quadratica
equazioni di Lagrange.
E s e m p i o. Consideriamo' il mot0 di un punto di massa
unitaria su una superficie di rotazione nello spazio tridimensio-
nale. Si pud dimostrare che le orbite saranno le geodetiche della
superficie. In coordinate cilindriche r, g, z la superficfe B de-
scritta (localmente) con le equazioni r = r (2) o z = z (r). L'ener-
gia cinetica avrl rispettivamente la forma (fig. 66)
Fig. 66. Una superficie di rota- Fig. 67. Geodetiche su una super-
zione. ficie di rotazione.
&
variabile nel tempo, dello spazio delle confi-
gurazioni di un sistema libero. Una tale varie-
t i 6 assegnata con un'applicazione
i: IIf x R -+ Egn, i (q, t)= x ,
che ad ogni t E R fissato definisce un'immer-
Y sione ill -t E3". I1 metodo indicato a1 punto D
rimane valido per sistemi non autonomi.
E s e m p i o. I1 mot0 di una pallina su
una circonferenza verticale di raggio r (fig. 68),
. palli- che ruota con velocith angolare o intorno ad
~ i 68.~ una
na su una circonfe- un asse verticale passante per il centro 0 della
renza ruotante. circonferenza. La varieth M 6 data dalla cir-
conferenza. Indichiamo con q la coordinata
angolare sulla circonferenza, misurata a partire dal punto pic alto.
Siano x, y, z coordinate cartesiane in E3 con origine 0 e.
asse verticale z . Sia cp l'angolo formato dal piano della circonfe-
renza e il piano xOz. Per ipotesi cp = a t . L'applicazione i:
M x R -+ E3 I! data dalla formula
i (q, t) = (r sen q cos a t , r sen q sen at, r cos q).
Da questa formula (o piii semplicemente analizzando uw
e triangolo rettangolo infinitamente piccolo ), ricaviamo
Fig. 69. Energia potenziale effettiva e piano delle fasi della ,pallina.
P-0
aL
Introduciamo la notazione F (s, t) = 7 (@ (s, t),
* Qb (s, t)) e
sostituiamo a1 posto di -aL
aq
nella (4).
d
Scrivendo q' nella forma di zq', troviamo
0 s s e r v a z i o n e. L'integrale primo I = -
aL q' 6 stato
4
definito sopra a mezzo di coordinate locali q. Si pub dimostrare
che la grandezza I (v). non dipen.de dalla scelta del sistema di coor-
dinate q.
In effetti, I 6 la velociti con cui L (v) varia, quando il v e t
tore v E TM. varia in TM. con velociti & (_oh8x. Pertanto
I (v) B una funzione ben definita del vettore tangente v E TM,.
I1 teorema di Noether, con questo ragionamento, 6 dimostrato
anche nel caso in cui M sia una varieti.
C. hempi.
E s e m p i o 1. Consideriamo un sistema di punti materiali
d i masse mi:
dXt
la somma dei lavori compiuti dalle reazioni vineolcrri per un
qualunque spostamento vtrtuale { g i ) E T M , 2 zero.
I vincoli che hanno questa proprieti si dicono ideali.
Se si definisce un sistema con vincoli olonomi come limite
per N + w , il principio di D'Alembert - Lagrange diventa un
teorema; l a dimostrazione B stata accennata sopra per il caso pi&
aemplice.
Tuttavia si pub definire un vincolo olonomo ideale per mezzo.
del principio di D'Alembert - Lagrange.
Abbiamo cosi tre definizioni di sistema olonomo vincolato:
N-tw.
1) Limite di un sistema con energia potenziale U +
NU,,
2) Sistema olonomo (M, L), dove M k una sottovarietl rego-
lare dello spazio delle configurazioni di un sistema senza vincali
e L k una lagrangiana.
3) Sistema che soddisfa a1 principio di DIAlembert - La-
grange.
Tutte queste tre definizioni sono matematicamente equiva-
lent i.
Le dimostrazioni delle implicazioni 1) + 2) e 1) *
3) sono
state accennate in precedenza e non ci soffermeremo ulteriormente
su di esse. Dimostriamo che 2) e 3).
C. Equivalenza tra il principio di D'Alembert - Lagrange
e I1 prineipio variazionale. Sia M una sottovarieth dello spazio
euclideo M c RN e x: R + M una cuwa; .x (to) = t o , x (tl) =
= XI.
D e f i n i z i o n e. La curva x si chiama estremale condizio-
nato del funzionale d'azione
t4 .
0= (*- u (x)} dt
to
se il differenziale 6 0 = 0 alla condizione che per il confront0 ci si
limiti a curve vicine t r a xo e x, su M.
Scr iveremo
6nrQ2= 0. (1)
Evidentemente l'equazione (1) B equivalente alle equazioni di
Lagrange
<
Lemma. Sia f : {t: to< t t,) + RN u n camp0 vettoriale
ccntinuo. S e per i;gni campo vettoriale continuo 5 tangente ad Jd
lungo x (g (t) TJl,(t,, [ (t) si annul-
la per t = t o , t,), .vale
1'
J
\ f ( t , j ( t )dt = 0,
to
allora il campo f ( t ) h perpendicolare p
alla superficie Y in ogni punto x (t) Fig, 72. Lemma del campa
(ciod (f( t ) , t c ) = 0 per ogni vettore normale.
h E Thfz,t,) (fig. 72).
La dimostrazione del lemma rivete i ranionamenti. con i
quali sono state introdotte le equaioni di Eulero - ~ a ~ r a n ~ e
nel 4 12.
D i m o s t r a z i o n e d e 1 t e o r e m a. Confrontiamo il
valore ,di 0 su due curve x (t) e x (t) +
6 (t), 8 (to) = 5 (tl) = 0.
A rigore, per definire la variazione di &Q, occorre definire una strut-
tura di spazio lineare sull'insieme delle curve su M vicine ad x. Questo si
pub fare a mezzo di coordinate su M; la proprietb di essere un estremale
condizionato non dipende dalla xelta del sistema di coordinate.
Abbiamo, integrando per parti,
..
L'equaziohe di Lagrange B mq = mo2q sen2 a.
La reazione vincolare B perpendicolare agli spostamenti vir-
tuali (cio8 alla direzione della sbarra) ad ogni istante, ma non 8
affatto ortogonale alla traiettoria effettiva.
0 s s e r v a z i o n e 4. E facile ricavare le leggi di conser-
vazione dalle equazioni di D 'Alembert - Lagrange. Per esempiu,
ire tra gli spostamenti virtuali v i B la traslazione lungo l'asse q
P
*
I ' i
poich6 per il sistema linearizzato T, = q2, U 2 = w2q? (q=
= 3 - 50).
P r o b 1 e m a. Dimostrare che non solo le piccole oscilla-
zioni, ma anche tutto il mot0 della pallina Q equivalente in mod0
m t t o a1 mot0 in un qualche sistema unidimsnsionale con lagran-
1 Nel caso in cui la posizione di equilibrio non B stabile diremo che si
,
tratta di u piccole oscillazioni non stabili anche se in questo caso il mot0
non ha carattere oscillatorio.
giana:
i= 1 i=l
I numeri hi si chiamano autovalori della forma B rispetto a2la
f orma A.
P r o b 1 e m a. Dimostrate che gli autovalori di B rispetto
ad A soddisfano l'equazione caratteristica
det I B - hA I = 0, (3)
le cui radiqi sono tutte reali essendo le matrici A e B. simmetriche,
A >O.
Volendo si puL introdurre una struttura euclidea considerando la
rima forma come un quadrat0 scalare e quindi diagonalizzare la seconda
Porma mediante una trasformazione ortogonale rispetto a questa struttura
euclidea.
B. Oacillazioni proprie. Nel sistema di coordinate Q le equa-
zioni di Lagrange si riducono ad n equazioni indipendenti
&
sionali si possono verificare tre situazioni
1verse:
C a s o 1. h = o2>0; la soluzione
B data da Q = Cl cos a t + C, sen o t
(oscillazioni).
d* C a s o 2. 5 = 0; la soluzione B datr.
Fig. 78. Osoillazioni +
da Q = C1 C2t (equilibrio indifferente).
proprie. C a s o 3. 5 = -kg <3; la soluzione
B data da Q= Cl ch kt +
C, sh kt
(instabilith).
Corollario. Sia &to 51 cam in cui uno &gli autovalori &lla (3)
sia positivo: h = o2 >0. A llora il sistema ( 1 ) pu6 compiere un'o-
scillazione periodica del tip0
q (t) = (Cl cos wt + Ca sen a t ) g, (5)
dove % 2 l'autovettore che corrisponde a h (fig. 78):
Fig. 79. Yendoli uguali accoppiati. Fig. 80. Spazio delle configunzict
ni dei pendoli accoppiati.
V i v
qi=T(sent+T;senmt), q,=T(sen t-- 0I sen at)
o, trascurando i termini v ( 4 -+) sen a t , dello stesso ordine
d i grandezza di a
V
+
qf k -2- (sen t sen at) = v cos et sen o't,
V
qa B (sen t-sen ot) = -vcos o't sen et,
e 0-1 -
= a a'=-- - I.
a
La variabile e s T B dello stesso ordine di grandezza di a e quindi
q1 fa delle oscillaiioni con frequenza
o' B 1 e con ampiezza che varia len-
tamente v cos et (fig. 82).
Dopo un tempo T = 2e "a
JI
,
pendoli liberi (o:, = 1;,'J; per a -t oo (molla molto forte) una
delle due frequenze tende all'infinito, mentre l'altra tende alla
Fig. 86. Dipendenza delle frequen- Fig. 87. CLSO limite di pendoli
re proprie dalla rigiditk della accoppiati mediante una molla
molla. infinitamente rigida.
frequenza propria o, del pendolo con due masse su una sola asta
(fig. 87):
P r o b 1e m a. Studiare le oscllazioni proprie di un pendolo
piano doppio (fig. 88).
P r o b l ' e m a. Trovare la forma delle traiettorie delle picco-
le oscillazioni di un punto materide posto su di un piano, al
Fig. 92. Separazione delle frequsn- Fig. 93. I semiassi della sezione
ze. separano i semiassi dell'ellissoide.
D i m o s t r a z i o n e d e l t e o r e m a 4. La disugua-
glianza a; < ak segue dal teorema 5, dato che per calcolare ak i
massimo viene fatto su di un insieme piii grande. Per dimostrare la
disuguaglianza a;, > ah+,, intersechiamo Rn-' con un sottospa-
zio k + I-dimensionale, Rk+'. L'intersezione ha una dimensione
non piii piccola di k. I1 semiasse minore dell'ellissoide E' fl Rk+l
Q non minore del semiasse minore di E n Rk+'. Per il teorema 5
a i = max min 11xII>, max min IIxIl>,
o€FtknE'
(ItkcItn-') { R ~ + ~ c Ra€Itk+'n~'
~)
max min IIx 11 =ak+', c . v . ~ .
&Itk+'n~
(Itk+'~Itn)
F
fissato del parametro. A causa di questa insta-
biliti si pub dondolare sull'altalena.
A. Sistemi dinamici nei quali i parametri
cambiano periodicamente nel tempo.
E s e m p i o 1. Un'altalenu, in cui la lun- #
ghezza del pendolo matematico equivalente 1 ( t )
cambia col tempo in maniera periodica:
1 (t+ T) = 1 ( t ) (fig. 94). Fig. 94. Alta-
E s e m p i o 2. Un pendolo in un campo lena.
(in cui h form di gravita varia periodicamente
per esempio la Luna) 2 .&mitt0 dall'equazione di Hille
xi =z2,
{:
x2 = -02z1,
o (t $-T )=o ( t ) .
stabili (4).-
Di conseguenza, l'insieme dei sistemi instabili pub toccare
l'asse o solo nei punti o. = k f 2 . I n altri termini, si pub far oscil-
lare l'altalena. con una piccola variazione periodica della sua
lunghezza, solamente qnando il periodo di tale rariazione B
vicino a$ un numero intero di semiperiodi delle oscillazioni pro-
prie, risultato che B ben noto dagli esperimenti.
La dimostrazione del teorema en11nciat.o 6 basata sul fatto
che, per e = 0, l'equazione (4) ha coefficienti costanti e quindi si
risolve esplic itamente.
P r o b 1 e m a. Cakolare per il sistema (4),con E = 0, la
matrice della trasformazione A per un periodo T = 2n nella base x, x.
S o 1 11 z i o n e. La soluzione generale B
x = c, cos o t j c, sen ot.
La soluzione particolare che corrisponde alle condizioni iniziali
z = 1, x = 0 6 data da
x = cos o t , x = -o sen a t .
La solrizione particolare con condizioni iniziali x = 0, x = 1 B
data da
x=- I senot, z-cosot.
0
Risposta.
-4 = / cos 2no
-o sen 2x01 cos 3no
I
sen 2 n o
2e2
Si ha che A =7 0 (e4) +- < 1, come B
facile verificare. Utiliz-
+
zando le relazioni 2c1c2= cos 2ne cos 2no, ~ S ~ = S ,cos 2ne -
-cos 2no, riscriviamo l'equazione (5) nella forma
-A cos 2ne + (2 + A) cos 2 n o = f2,
oppure
2+Acos2ne
cos 2no= 2+A * (61)
-2+A cos 2ne
cos 2n0= 2+A
Nel primo caso cos 2 n o k: 1. Quindi poniamo
o =k +
a, I a I << 1; cos 2 n o = cos 2na= 1 - 2n2a2 +O (a4).
Riscriviamo l'equazione (6,) nella forma
cos 2 n o = 1- -
A
24-A
(1 -cos 2ne)
ovvero 2 n 2 a 9 0 (a&)= An2e2 + 0 (e4).
Sostituendo il valore A =
282
7 +0 (e4), otteniamo
Fig. 101. Zone di risonanza para- Fig. 102. Pendolo rivoltato, il cui
*
metrica per f = o e. punto di sospensione oscilla.
Ai =
chh~
kshkr
-shk19
1
chkr
d2=I cos ~2t
-52 sen Qz
1
=senQz
cos Qt * I
La condizione di stabilitl 1 tr A 1 < 2 ha quindi la forma
all=e"l, glc=p2<1.
Allora
k r = 2 VZe V m , Qz=21/ZeVl-p2,
Perci6 per piccoli valori di e, p sono corretti gli sviluppi, con un
+
errore o (c4 p4),
i
dove N = - 22
13 il numero di oscillazioni del punto di sospensione
nell'intervallo di tempo unitario. Per esempio, quando la lun-
ghezza del pendolo B 1=20 cm e l'ampiezza di oscillazione del
punto di sospensione B a = 1 cm, allora
N >0,311/~g.20 N 43 (numero di oscillazioni a1 secondo).
Per esempio, la posizione di equilibrio superiore stabile se il
numero di oscillazioni a1 secondo del punto di sospensione B
maggiore di 50.
VI. Corpi rigidi
9
relazione fra la velocitl relativa e la velocitb assoluta non 6 piir
cosi facile. Consideriamo prima il caso in cui
il punto in considerazione B in quiete rispetto a
K (cioB 6 = 0), ed il sistema di coordinate K
ruota (cioB r =O). In questo caso il mot0 del
punto q ( t ) ii detto rotazione di trascinamento.
E s e m p i ,o. Rotazione con velocitti a n g o h e
0 costante o E k. Sia U (t): k + k la rotazione
dello spazio k intorno all'asse o di un angolo
Fig- 105. Vela- I o I t. Allora B ( t ) = U ( t ) B (0) si chiama
anp'nre. rotazione u n i f o r m dello spazia K con velocitti
angolare o.
I?, evidente che in questo caso la velocitb di t.rascinamento del
punto q B data dalla formula (fig. 105)
.
Quindi se noi esprimiamo Q mediante q , otteniamo q = BB-lq =
= Aq, dove A = BB-I: k -F k B un operatore lineare da k a k.
Lemma I. L'operatore A 2 antisimmetrico: A' +
A = 0.
D i m o s t r a z i o n e. Dato che l'operatore B: K + k 6
un operatore ortogonale, che fa passare da uno spazio euclideo ad
un altro, il suo aggiunto coincide con l'inverso, B' = B-l: k +
-t K. Differenziando rispetto a t l a relazione BB' = E, otteniamo
01 -
Fig. 106. Scorn osizio- E. Velocitil di trascinamento. Crrso del
sozo mot0 rotatorio. Supponiamo ora the il
ne delle vefocita.
sistema K ruoti ( r = O), e che il punto nel
sistema K si muova (6
# 0). Dalla formula (2) troviamo che
(fig. 106)
~ = B Q + B Q = [ C Oqj+v8.
,
In altre parole, possiamo dire che abbiamo dimostrato il
Teorema. S e il sistema mobile K ruota rispetto a 0 E K , altora
la velocith m o l u t a 2 uguale alla somma della velocitiz relativa e della
velocitiz angolare di trascinantento:
v=vt+v*
dove
( v=qEk 2, la velocitb assoluta,
b la velocitb relativa,
(5)
vt = B Q = [o, q]E k b la velocitb angolare di trasci-
namento.
Finalmente il caso generale si pub riportare ai due prece-
denti, considerando un sistema mobile ausiliare Kl, che si muove
di mot0 traslatorio rispetto a k e rispetto a1 quale il sistema K
si muove ruotando intorno ad 0 E K,. Si pui, vedere quindi dalla
formula (2) che
v=vbl+vt+v0,
dove
v = qE k t la velocitb rrssoluto,
v 8= B(i Ek 2, la velocitii relativa,
vt = BQ = [a,q - T ]€4 k 'la, velocitb angolare di trascina-
mento,
uo= ; E k k la velocitb del sistema mobile di coordinate.
P r o b 1 e m a. Dimostrate che la velocitb angolare d i un
corpo rigido non dipende dalla scelta dell'origine delle coordinate
del sistema mobile K nel corpo rigido.
P r o b 1 e m a. hfostrate che lo spostamento pic generale di
un corpo rigido 6 dato dallo spostamento elicoidale, cio6 il pro-
dotto di una rotazione d i un angolo cp intorno ad un qualche asse
e di una traslazione h lungo quest'asse.
P r o b 1 e m a. Un orologio giace su un tavolo. Trovare la
velocitb angolare della lancetta contaore: a) rispetto alla Terra,
b) rispetto ad un sistema inerziale di coordinate.
S u g g e r i m e n t o. Se sono dati tre sistemi d i coordinate
k, Kl, K,, allora la velocitb angolare di K, rispetto a k B uguale
alla somma delle velocitb angolari di Kl rispetto a k e di K, ri-
spetto a K1, poich6
(E + Alt + + + +
. . . ) ( E A2t . . .) = E (A1+ A , ) t +...
3 27. Forze d'inerzia. Forza di Coriolis
Le equazioni del moto, in un sistema non inerziale d i coor-
dinate, differiscono dalle equazioni del mot0 in un sistema iner-
ziale per dei termini complementari dovuti alle forze d'inerzia.
Questo fatto permette d i osservara sperimentalmente 1a.non iner-
zialitb (per esempio, la rotazione della Terra intorno a1 suo asse).
A. Sistema di coordinate che si muove di mot0 traslatorio.
Teorema. Nel sistema di coordinate K, che si muove di mot0
traslatorio rispetto a d un sistema inerziale k, i l mot0 dei sistemi
meccanici awiene come se il sistema di coordinate K fosse inerziale,
solo che su ogni punto di massa m agisce una forza
..
b
complementare, u forza d'inerzia 9, F =- m r ,
dove'; b l'accelerazione del sistema K.
.. .. ..
D i m o s t r a z i o n e . Se Q = q - r ( t ) ,
allora m Q = mq-mr. L'effetto del mot0 tra-
m(g-i;)
slatorio del sistema di coordinate consiste nell'ap- 111 \ \
parizione di un campo omogeneo di forza in /r
p i i , -m W, dove W 13 l'accelerazione dell'ori-
gine delle coordinate, c.v.d. Fig. 107. Au-
E s e m p i o 1. I1 razzo alla partenza ha di gra-
vita.
un'accelerazione diretta verso l'alto (fig. 107).
Di conseguenza il sistema di coordinate K, solidale con il razzo,
non 15 inerziale e quindi un osservatore che si trovasse all'interno
del razzo potrebbe osservare gli effetti del campo di forza -mW, e
misurare la forza d'inerzia usando, per esempio, un dinamometro.
In 'questo caso la forza d'inerzia si chiama aumento di gravitd.
E s e m p i o 2. Saltando da una torre un tuffatore ha un'ac-
celerazione g, diretta verso il basso. Di conseguenza la somma del-
la forza d'inerzia e del peso B uguale a zero; misure con dinarnome-
tro mostrano che il peso di ogni oggetto B uguale a zero; tale stato
viene percii, chiamato irnponderabilita. E esattamente lo stesso
fenomeno che si osserva nei voli balistici liberi degli sputnik in
cui la forza d'inerzia B opposta alla forza di attrazione della Terra.
E s e m p i o 3. Se il punto di sospensione di un pendolo si
muove con accelerazione H' ( t ) , allora il pendolo si muove come
se I'accelerazione di gravith g fosse variabile ed uguale a g - W ( t ) .
B. Sistema di coordinate ruotante. Sia B,: K + k una rota-
zione del sistema di coordinate K rispetto ad un sistema fisso di
coordinate k. Indicheremo con Q ( t ) 6 K il raggio vettore del
punto che si muove nel sistema mobile di coordinate, e con q ( t ) =
= B t Q ( t ) E k il raggio vettore nel sistema fisso. I1 vettore velo-
citi angolare nel sistema mobile di coordinate sari indicato, come
nel paragrafo 26, con 8.
Supponiamo
- - che nel sistema di coordinate k il mot0 del punto
q sia soluzione dell'equazione di Newton mq'= f (q, i).
Teorema. In un sistema di coordinate ruotante il mot0 awiene
come se in ogni punto mobile Q di massa m agissero he c forze d'iner-
zia v complementari:
forza inerziale di rotazione rn [i,Ql,
forza di Coriolis 2m [O, (#I,
fona centrifuga m [O, [Q, a l l .
E quindi
..
dove
=F - m [h, Ql-2m 61-m [Q, tQl Q11,
tQ,
BF ( a 1 dl =f c~o.
(~6)).
La prima di queste tre forze d'inerzia si osserva solo nel caso
di una rotazione non uniforme; la seconda e la terza sussistono
anche per rotazioni uniformi.
La forza centrifuga (fig. 108) Q volta
sempre neila direzione che si allontana
dall'asse istantaneo di rotazione 8 , ed B
uguale in modulo a 1 8 I2r, dove r Q la
distanza da quest'asse. Questa forza non
dipende dal2a velociti del mot0 relativo ed
agisce anche sui corpi che sono in quiete
Fig. 108. Forza d'iner- rispetto a1 sistema K.
zia centrifuga. La forza di Coriolis dipende dalla velo-
c i t i (i. Nell'emisfero settentrionale spinge
verso destra qualunque corpo. che si muova sulla Terra, e verso
oriente .ogni corpo che cade sulla Terra.
D i m o s t r a z i o n e d e l teorema.Osserviamoche,
per ogni vettore X E K, abbi'amo che BX= B 10,XI; Infatti, in
accordo con il Q 26, BX = [a,a] = [BQ, BXI. Quest'ultima
espressione 6 uguale a B [Q, XI, dato che l'operatore B conserva
la metrica e l'orientamento e quindi anche il prodotto vettoriale.
Da q = BQ otteniamo che (i= $8
Differenziando ancora una volta troviamo
+ =B (6+ [P, 01).
coordinate, individuato dagli assi ex, e,, e,, solidale con la Terra,
e supponiamo che l'asse e, sia diretto verticalmente e che ex, e,
giacciano sul piano orizzontale (fig. 110). Nell'approssimazione
delle piccole oscillazioni si ha che = 0 (in confront0 a i,k), di
conseguenza la componente orizzontale della forza di Coriolis
sarh 2myQ,e, - 2mxSZ,e,. Da questo possiamo ricavare le equazio-
ni del mot0
{::
x = -oZx+2yQ,,
(Q,= 18 1 sen ho, dove Xo B la latitudine).
+ . .. ..+
y = -02~-2&,
+
+ ..
Se poniamo x iy = w allora si ha w = x iy, w = x
iy, e le due equazioni precedenti si possono scrivere come una
sola equazione complessa
Fig. iii. Traiettoria del pendolo Fig. 112. Varieta delle configura-
di Foucault. zioni di un corpo rigido.
9
in generale: se le frequenze ol e o, sono
incommensurabili tra di loro, il corpo non
torna mai in uno stato di mot0 passato. Le
quantith ole o, dipendono dalle condizioni
iniziali del mot0 c.
C. Operatore d'inenia. Passiamo ora alla
teoria quantitativa ed introduciamo le seguen-
t i notazioni. Sia k un sistema di coordinate
fisso e K un sistema ruotante insieme a1 corpo
Fig. 114. Raggio intorno ad un punto 0: in tale sistema il
vettom, vettom corpo B in quiete. Ogni vettore nello spazio K
velocitii viene trasformato in un vettore nello spazio k
angolare e momen-
t~ della quantitA mediante un operatore B . 1 vettori corrispon-
di mot0 di un pun- denti negli spazi K e k saranno indicati con le
to del C O T 0 nello stesse lettere: s a r i usata la maiuscola per i
spazio. vettori di K, la minuscola per i vettori di k.
Cosi, per esempio (fig. 114),
q Elk B il raggio vettore di un punto nello spazio,
Q E K 6 il raggio vettore dello stesso punto nel sistema
solidale con il corpo, q = BQ,
2. I1 prodotto diretto di variete orientabili B orientabile.
3. I1 fibrato tan nte T SO(3) B il prodotto diretto R" SO(3).
Le varietii tali c g il lor0 fibrato tangente B un prodotto diretto si
chiamano parallelizsabtli. I1 gruppo SO(3) (come ogni gruppo di Lie) B paral-
lelizzabile.
4. Le varietii parallelizzabili sono orientabili.
Da 1-4 segue l'orientabilita di S0(3), T SO(3) e Vc.
v = q c k B il vettore velociti di un punto nello spazio,
V c K B il vettore velociti nel corpo, v = BV,
o E k B la velociti angolare nello spazio,
Q c K B la velociti angolare nel corpo, o = B-2,
m c k B il momento della quantith di mot0 nello spazio,
M E K 15 il momento della quantiti di mot0 nel corpo,
m =BM.
Dato che l'operatore B: K + k conserva la metrica e l'orien-
tamento, allora conserva anche il prodotto scalare e quello vet-
toriale.
Per definizione dl velociti angolare ($ 26),
Gli assi e l si chiamano assi d'inerzia del corpo nel punto 0..
Naturalmente se i numerj I,, I,, I, non sono tutti diversi,
gli assi d'inerzia sono definiti in mod0 non univoco. Chiariamo
in maniera pih dettagliata il significato degli autovalori
11, I s 9 13.
Teorema. L'energia cinetica di un corpo rigido, vincolato ad
un punto 0 , che ruota con velocitd angolare B = Be (B = I Q I)
intorno all'asse e 2 pari a
ugualmente
Fig. 119. Velocith angolare, ellis- Fig. 120. Comportamento dei mo-
soide d'inerzia e momento della menti d'inerzia in aeguito a una
quantith di moto. riduzione del corpo.
I -I
dove a, = ,*,
1 1
as= -
1;-I,
Is11
, a3=- 11-"
1112
, oppure la forma
d i un sistema di tre equazioni per le tre componenti della veloci-
ti angolare
&?cp=lp=o.
D i m o s t r a z i o n e. Consideriamo la velocith di un punto
della trottola, che occupi all'istante t la posizione T . Dopo un
tempo dt il punto occuperh la posizione (a meno di infinitesimi
superiori a (dt)')
B (cp + dcp, 0 + do, g + d*) B-' (cp, 0.9) r .
dove dcp = dt, d0 = 6 dt, d g = dt. 6
Conseguentemente, con la stessa approssimazione, il vettore
dello spostamento Q dato dalla somma dei tre termini
(le velociti angolari ow, oe, owsi determinano con queste for-
mule).
Dunque la velocith del punto T Q v = [ a ,
La velocita angolare del corpo 6 allora
oe + +oc, T I .
Ma evidentemente quando cp = $ = 0
e, = e, oos 0 +
e 2 sen 0.
Cosi le proiezioni della velocith angolare sugli asai d'inerzia
el,e,, e, sono
i
+ +
Poich6 T = ( I i d 12ui 13u:), l'energia cinetica per cp =
= 9 = O 6 data dalia formula
a b c
Fig. 128. Traccia dell'asse della trottola sulla sfera unitaria.
1-uP.
Se la radice u' dell'equazione a = bu si trova all'esterno
di (u,, u,), allora l'angolo cp varia in mod0 monotono e l'asse
traccia sulla sfera unitaria una curva di tip0 sinusoidale
(fig. 128, a).
Se invece l a radice u' dell'equazione a = bu sta all'interno
di (u,, u,), allora la velocitl di variazione di cp sui paralleli 8, e 8,
B opposta, e l'asse traccia sulla sfera una curva con nodi
(fig. 128, b).
Se infine la radice u' dell'equazione a = bu coincide con un
estremo (poniamo u' = u,), allora l'asse traccia una curva con
cuspidi (fig. 128, c).
L'ultimo caso, sebbene inusuale, si osserva ogni qualvolta
lasciamo andare l'asse della trottola lanciata, senza velocitl
iniziale, con una inclinazione 8%:la trottola dapprima cade,
ma poi si rialza.
I1 mot0 azimutale dell'asse della trottola si chiama preces-
sione. I1 mot0 risultante di una trottola consiste della rotazione
intorno a1 proprio asse, della nutazione e della precessione. Ognu-
no di questi tre moti ha la propria frequenza. Se le frequenze :on@
incommensurabili, la trottola non torna mai a110 stato iniziale,
sebbene gli si avvicini in mod0 arbitrario.
Ucrr =
( M , - M , cos 9)'
21, sens 9
+mgl cos 0
in una serie di potenze di 0. Troviamo
L
La frequenza delle piccole oscillazioni 0
intorno a questa posizione d'equilibrio uguale a
Iaoa
"nut = 7.
80 B
D i m o s t r a z i o a e.
In assenza di
forza peso l'energia potenziale efficace si
riduce a Fig. 130. Energia
(M,- illac o ~ e ) ~ potenziale efficace
urrr= g,,,.,rt) . della trottola.
MZ-Msco~8
Dalla formula cp = sent
si vede che, per 0 = go,
l'azimut dell'asse 8 costante nel tempo, cio8 l'asse 8 fisso. Si po-
trebbe anche studiare, con l'aiuto di questa formula, il mot0
azimutale per una piccola deviazione 0 da go, ma lo tratteremo
diversamente.
I1 mot0 di una trottola, in assenza di forza peso, si pub esa-
minare come un mot0 secondo Poinsot. In conseguenza di cib,
Fig. 131. Raffronto tra le descri- Fig. 132. Spostamento del minimo
zioni del mot0 di una trottola in seguito a una piccola variazione
second0 Lagrange e second0 Poin- della funzione.
sot.
f
( q u i f ( y ) --g(03), se lim -=I)
o,+oo 6
Per la dimostrazione passiamo a1 caso, in cui la velocith
angolare iniziale Q fissata, ma g + 0.
Interpretando in seguito le formnle ottenute con l'aiuto della
similitudine (vedi il punto B), avremo il teorema formulato.
Noi gi8 sappiamo dal 8 30, D, che, con le nostre condicioni
iniciali, l'asse della trottola traccia sulla sfera una curva a
cuspidi.
Applichiamo il lemma per la determinazione del punto di
minimo Og dell'energia potenziale efficace. Poniamo (fig. 133)
0= + x , cos 0 = cos x sen - + ...
Allora si ottiene, come sopra, lo sviluppo di Taylor in z
uett lg=o = a++. .., mglcose=
Applicando il lemma a f = Uett Ig-o, g = e, k = ml cos (go +
+ z) troviamo che il minimo dell'energia potenziale efficace
Uett 6 raggiunto per un angolo d'inclinazione
Og=Oo+zg, zg=
II,rnl sen 8,
I%!
g +0 (g2).
Dunque l'inclinazione dell'asse della trottola oscillerh intorno
a 0, (fig. 134). Ma all'istante iniziale 0 = 0,, mentre 0 = 0.
Cib vuol dire che 0, corrisponde alla posizione p i i alta dell'asse
Fig. 133. Determinazione dell'am- Fig. 134. Moto dell'asse della trot-
piezza della nutazione. itola.
anut - -Zg
I,ml sen $
180: g (g+O).
Adesso cerchiamo il mot0 di precessione dell'asse. Dalla
formula generale
P r o b 1 e m a. Dimostrare che
Terza parte
MECCANICA HAMILTONIANA
Fig. 135. Lavoro d i una forza come Fig. 136. L'area orientata 15 une
I-forma sullo spostamento. 2-lorma.
V(%,,.--,%n)= ,
Eni *.. Enn
dove gi = Llel
R".
+ +
. . . Elnen e el, . . ., en Q una base in
-- -
E s e m p i o 2. Sia Rk un piano orientato k-dimensionale
ncllo spazio n-dimensionale euclideo Rn. Allora il volume orien-
tat0 k-dimensionale della proiezione del parallelepipedo, di
.
spigoli El, g, . ., EL E Rn, su Rk Q una k-forma su Rn.
L'insieme di tutte le k-forme in Rn diventa uno spazlo lineare
reale, se si introducono in esso le operazioni di composizione
+ +
(01 02) ( i ) = 01( i ) 0 2 (5)'
E={gi,..., w, giERn
e prodotto per un numero
(Lo) (El = Lo (6).
P r o b 1 e m a 3. Dimostrare che questo spazio lineare ha
dimension0 finita e indicarla.
Risposta. Ci; la base Q mostrata piii in basso.
k,*
D. Prodotto esterno di due i-forme. Introdurremo ora ancora
un'operazione: il prodotto esterno di forme. Se oh15 una k-forma e
o' Q una I-forma in Rn, allora il loro pro-
dotto esterno oh /\ mi s a r i una k + I-for-
ma. Dapprima definiremo il prodotto ester-
no di I-forme, associando a ogni coppia
di I-forme o,, o, in Rn uaa certa 2-for-
ma o, o2 in Rn.
*z Sia g un vettore di Rn. Avendo due
4-forme a,, 0 2 , si pub definire l'applicazio-
(I,) ne di Rn su un piano R x R, associando
a E Rn il vettore o (g), di componenti
Or o, (6). o, (6) sul piano con coordinate
Fig. 139. Definizione ol' @z ( f i g 139).
di prodotto esterno di D e f I n i z i o n e. I1 valore del pro-
due I-forme. dotto esterno ol A 0, definito su una cop-
pia di vettori El, 6, € Rn i! l'area orientata
dell'immagine del parallelogramma di lati gl, E, sul piano o,, a,:
Q bilineare e antisimmetrica
dove .
. ., mk+1 sono I-forme.
. Lemma. .I1 prodotto esterno di due monomi b il monomio
0 1 ~ 0 2 7 0 3 = ( w i 7 0 ? ) A ~ a = ( o iA 02) A 03,
-
Oix02x ...
/\ 0 k = ( . . . ( ( 0 1 A 0 2 ) A a s ) / \ ... /\ ah).
Dall'evidente associativitsl della x-moltipkicazlone di k 1-
forme consegue dunque l'associativitit della A-moltiplicazione
d i monomi. Nello 'stesso tempo, in forza dell'osservazione fatta
sopra, l'associativitii Q dimostrata anche nel caso generale.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrate che il quadrato esterno di
I-forme, o in generale di forme di ordine dispari, Q uguale a zero:
oA/\ oh = 0, se k Q dispari.
E s e m p iI o 1. Consideriamo in RPnil sistema di coordinato
n
PI,. . ., Pn, 91, . . ., Qn B 18 2-forma zpl
<=I
9,.
[Geometricamente questa forma oPindica la somma delle
aree orientate delle proiezioni di un parallelogramma sugli n
piani coordinati bidimensionali (p,, 9,); ..
.; (p,, 9,). In seguito
vedremo che la 2-forma oa ha un significato fondamentale per
la meccanica hamiltoniana. Si pu6 dimostrare che qualsiasi
2-forma non degenere in Ran ha l'aspetto. oa in qualche sistema
d i coordinate (p,, . . ., q,).l
P r o b 1 e m .a 3. Trovare il quadrato esterno della 2-forma
oa.
Risposta. a2 w2= -2 pi pj qi A 91.
i>j rI;
In particolare,
h3L
gente 8 € TR," sono i valori dei dif-
.
ferenziali delle coordinate &,, . ., &,
sul vettore 5. Queste n I-forme su TR: 7
sono linearmente indipendenti. Dunque, 1,
le I-forme .. ., &, formano una 0 2 3
base nello spazio n-dimensionale delle
1-forme su TR:. Fig. 142. Per il proble-
Conseguentemente ogni I-forma in ma 4.
TR," si scrive univocamente nella for-
ma a,&, + +
. . . an&,, dove gli a, sono coefficienti reali.
Sia ora o una qualsiasi I-forma differenziale in Rn. In ogni
punto z essa si scompone univocamente second0 la base &,, . . .,
&,. Da qui segue il
Teorema. Ogni I-forma differenziale nello spazio Rn con un
sistema prescelto di coordinate x,, ..
., x, si scrive univocamente
come
o=a,(~)&~+ 9 . .+an(x)&n,
dove i coefficienti a t (x) sono funzioni regolari.
P r o b 1 e m a 4. Calcolare i valori delle forme ol = &,,
w2= x1 d;Z2,o3= d P (r2 =x:+xi) S'Ui vettori El, 5,. 5, (fig. 142).
Risposta.
P r o b 1 e m a 5. Siano z,, . . ., x,, delle funzioni sulla
varieth M , che formano un sistema di coordinate locali in un certo
dominio. Dimostrare che ogni 4-forma in questo dominio si espri-
me univocamente come o = a, ( x ) &, +. + . . a, (x) &,.
C. k-forme differenziali.
D e f i n i z i o n e. Si chiama k-forma differenziale oh 1, nel
punto x della varieti2 M una k-forma estmna definita sullo spazio
tangente a d M in x , TM,, cio3 una funzione k-lineare antistm-
metrica definita sui k vettori &, . . ., gh, tangenti a M in x.
Se tale forma oh 1, B data in ogni punto x della varieth
M e se risulta inoltre diffeienziabile, si dice che 6 data una k-
forma oh sulla varicta M.
P r o b l e m a 6. Introdurre una struttura naturale di varieth
differenziabile nell'insieme, il cui elemento B una raccolta di
k vettori, tangenti a M in qualche punto x.
Una k-forma differenziale B un'applicazione regolare della
varieth ottenuta nella retta.
Si puh dire che una k-forma su M 2 una k-fonna esterna su
TM,, (I che dipende da x in mod0 diffemnziabile D.
La composizione, la moltiplicazione per un numero e la
moltiplicazione esterna d i forme su M si definiscono puntual-
mente: in ogni punto a E M si devono comporre, moltiplicare
per un numen, o moltiplicare esternamente le corrispondenti
forme algebriche esterne sullo spazio tangente TM,.
P r o b 1e m a 7. Dimostrare che tutte le k-forme su M
formano uno spazio lineare (di dimensione infinita, se k non supe;
ra la dimensione di M).
Si possono moltiplicare le forme differenziali, non solo per
numeri, ma anche per funzioni. L'insieme C" delle k-forme dif-
ferenziali' possiede, in questo modo, una stmttura naturale di
modulo sopra I'anello delle funzioni reali differenziabili un nu-
men, infinito di volte, definite su M.
D. Aspetto generale delle k-forme differenziali in Rn. Con-
sideriamo come varieth M lo spazio lineare Rn con prefissate.
funzioni coordinate x,, . . ., x,: Rn-t R. Fissiamo il punto z.
.
Abbiamo visto sopra che le n 4-forme &,, . ., &, formano una
base nello spazio delle 4-forme .sullo spazio tangente TR:.
Consideriamo i prodotti esterni delle forme di base
Nel 3 32 abbiamo visto che queste Cft k-forme formano una base
nello spazio delle k-forme esterne su TR3: Conseguentemente,
ogni k-forma. esterna su TRE si esprime univocamente con la
sommatoria
Sia ora oh una qualsiasi k-forma differenziale nello spazio
Rn. In ogni punto x essa si scompone univocamente second0 la
base scritta sopra. Da cib segue il
Teorema. Ogni k-forma differenziale nello
spazio Rn, con un sistema di coordinate pre- 3kq-:
scelto x,, . . ., x,,, si scrive univocamente
oh=
i,<
-.
... < i k
...
ail ... i h ( x ) d a 1 / \ Adxi,, 2
72
Fig. 144. Per il problema 12. Fig. 145. Per il problema 13.
-
Da qui ricaviamo at = At VE2ES, cio6
In particolare, in coordinate cartesiane, cilindriche e sferiche
in Rs a1 campo vettoriale
A=A,e,+A,e,+A,ezEArer+A,e,+
+Azez= A R ~+A,e, +Age9
R
corrisponde la l-forma
ofr = A & + A,dy + Azdz = A,& + rA,dq + A d z =
= ARdR +R cos 0 A,dq +RAedO
e la 2-forma
o',=A,dy/\dz+A,dz/\&+A,&/\dy=
= rA,dq /\ dz +
A,dz /\ d r +
rA,dr /\ d q =
= R2 cos 0 AR d q A d0 +
RAGd0 /\ dR +
+R cos 0 A, dR dq.
E un esempio di campo vettoriale sulla varieti M il gradien-
te della funzione f: M + R. Ricordiamo che si chiama gradiente
il campo vettoriale grad f, corrispondente a1 differenziale
aicaa j= df, cioe df (5) = (grad f, 5), Vg.
P r o b 1 e m a 16. Trovare le componenti del gradiente di
una funzione nella base el, e,, e,.
S o l u z i o n e . Abbiamo d f = -Bfd ~ ~ + - daf ~ ~ + - daf~ ~
$21 a=, a28
Conformemente a1 precedente problema
grad f =- - l +1 - af es+--
at,
e
a
a22 1/% at,
e,.
In particolare, in coordinate cartesiane cilindriche e sferiche
5 mi
Y
= lim 2
A-0 4 . 4
Fi .
168. Integrazione di una Fig. 149. Una forma su N induca
k-krma in uno s azio k-dimensio- -na forma su M.
na e. P
i parallelepipedi tangenti; pih sotto ricondurremo questo caso
a quello considerato.
C. Comportamento di forme differenziali sotto applicazioni.
%a f : ;If + N un'applicazione differenziabile della varietii rego-
lare M nella varieth regolare N e o una k-forma differenziale
su N (fig. 149).
Allora anche su M si ottiene una' determinata k-forma; essa
si indica con f*o e si determina con la relazione
b,
r
f*oA= oA.
D¶ .
j
S n g g e r i m e n t o. Questo 6 il teorema sul cambiamento
di variabile in un integrale multiplo
Fig. 152. Orientazione della fmn- Fig. 153. Frontiers della catena.
tiera.
-
Chiaramente, ack B una k 1-catena su M l.
P r o b 1 e m a 10. Dimostrare che la frontiera della fron-
tiera di una, qualsiasi catena B nulla: sack = 0.
l?$2Jq= P
iw k = x m t
=h
P r o b 1e m a 11.
Jok.
'Ji
Dimostra~-e che
I'integrale dipende linearmente dalla forma
C1
Fig. 157. Integrale sulla frontiera Fig. 158. Peril teorema aulla deri-
di un parallelepipedo unidimen- vata esterna.
sionale. E I'incremento di una
funzione.
Fig. 159. Indi endenza della deri- Fig. 160. Dimostrazione della for-
vata esterna 8.1 sirtema di cmc-
dinate.
mula di Stokes per un parallele-
pipedo.
+
dove c 13 una qualsiasi k 4-catena sulla varieth M e o una
qualsiasi k-forma sulla stessa- varieth.
E sufficiente dimostrare questa formula nel caso di una catena
che consista di un solo dominio a. Supporremo inizialmente che
questo dominio a sia dato da un parallelepipedo orientato ll c
c Rk+l (fig. 160).
Scomponiamo ll in N'+' piccoli parallelepipedi uguali II,,
simili a n. Allora B evidentemente
5
OII
a=
1-1
Ft, dove Ft=
5
Per la formula (1) abbiamo
-(k+i)
&=do(%:, . . a , g:+,)+o(N 1'
....
Nk+l
dove E: , &:+i sono gli spigoli di nt. Ma .. .,
d o (%:, g+i)
i=i
B uniforme, dunque
Nk+l ~ h + l
lim
N +m
2 F t = lN-m
i-t
im 2
k t
da(%i, . . ., gk+i)= 5
n
da.
Infine troviamo
5
6II
a= 2 ~ ~ N-m 5 do.
= l i mF x~ =
n
Da qui segue automaticamente la formula (3) per qualsiasi catena,
i cui poliedri sono parallelepipedi.
Per dimostrare la formula (3) per un qualsiasi poliedro
convesso D, basta dimostrarla per il simplesso', dato che D si
pu6 sempre scomporre in simplessi (fig. 161):
D=~D*~ , D = X ~ D ~ .
Dimostriamo la formula (3) per il simplesso. Osserviamo che
un cub0 orientato k-dimensionale si pub trasformare in mod0 dif-
ferenziabile in un simplesso orientato k-dimensionale, in mod0
tale che
1) l'interno del cubo si trasformi in maniera diffeomorfa con-
servando l'orientazione nell'interno del simplesso;
2) l'interno di alcune delle facce k - l-dimensionali del
cubo si trasformino, in maniera diffeomorfa e consemando l'orien-
tazione, nell'interno delle facce del simplesso; le immagini delle
restanti facce k - 1-dimensionali del cub0 giacciano nelle facce
k - 2-dimensionali ?el simplesso.
I1 simplesso bidimensionale 4 il triangolo, quello tridimemionale
il tetraedro, e quello k-dimensionale 4 l'inviluppo convesso di k 1 punti
in Rn, che non giacciono nu un piano k - i-dimemionale.
+
k
zERk:tt>O, ytt<i
i=1
Per esempio, per k = 2 una tale trasfonnazione del cub0
0 < x1* x, < 1 sul triangolo 6 data dalle formule yl = x,, y, =
= a+z, (fig. 162). La formula (3) per il simplesso segue, ora, dalla
(la forma o" l'elemento di volume su M). Cosi dalla (3) consegue
P r o b 1 e m a 6. Dimostrare che
div [ A , B1 = (rot A, B ) - (rot B, A),
rot a A = (grad a, .A1 + a rot A,
div a A = (grad a, A) + a div A .
S u g g e r i m e n t o. Per la formule di differenziazione del
prodotto di forme abbiamo
Dunque
rot A =
i )e,+ ... =
In particolare, in R3,
1
2-forma il flusso del campo A = 3 e~ (fig. 163). E facile convin-
cersi che div A = 0, cosicch6 l a nostra 2-forma o A B chiusa.
Z
Nello stesso tempo il flusso attraverso qualsiasi sfera con centro
in 0 B uguale a 4n. Mostriamo che l'integrale del differenziale
della forma sulla sfera deve essere uguale a zero.
D e f i n i z i o n e. Si chiama ciclo sulla varieti d l una
catena, la cui frontiera sia nulla.
La superficie orientata della nostra sfera si pui, considerare
come un ciclo. Dalla formula di Stokes (3) segue direttamente il
Teorema. L'integrale di un differenziale su un qualsiasi ciclo
2 uguale a zero:
se a - b = b'ck+l e d o k = 0.
Poincar6 chiamb due cicli a e b cosi fatti omologici.
Con una definizione appropriata del gruppo delle catene
sulla varieti M e dei sottogruppi, che giacciono in esso, dei
-
tura 2 data dalla formula
us d p A dq = PI A dqi + + d ~ nA dq,.
D i m o s t r a z i o n e. Dapprima definiamo su T*V una
1-forma particolare. Sia 5 E T (T* V), un vettore, tangente a1
T*;k
fibrato cotangente nel punto p E T*V,
(fig. 166). La derivata f,: T (T*V) +
+ T V della proiezione naturale f: T* V-t
+ V tradorma g nel vettore fag, tan-
'*' gente a V nel punto x. Definiamo la
1-forma o1 su T*V con la relazione
=
fl 1 v
a' (g) = p (fag). Nelle 'coordinate locali
scritte sopra questa forma ha l'aspetto
o1= p dq. Conformemente all'esempio
del punto A, 18 2-forma chiusa a2=
= do1 B non degenere.
f,) 0 s s e r v a z i o n e. Consideriamo
il sistema meccanico lagrangiano, con
Fig- 166. La Gforrnep d q
sul fibrato cotanpnte.
varietd delle configurazioni V e fun-
zione di Lagrange L. E facile compren-
dere che la cr velocitii generalizzata R
i
lagrangiana B un vettore tangente alla varietil delle configura-
zioni V, mentre 1'a impulso generalizzato n p = a ~ l a Bi un vettore
cotangente. Dunque, lo spazio c p , q n delle fasi di un problema
lagrangiano B il fibrato cotangente della varietil delle configura-
zioni. Cosl, il teorema precedente mostra che lo spazio delle fasi
di un problema meccanico ha una struttura intrinseca di varieti
simplettica.
P r o b 1 e m a. Mostrare che la trasformazione di Legendre
non dipende dal sistema di coordinate: essa fa corrispondere
alla funzione L: T V - R sul fibrato tangente la funzione
H: T* V + R su quello cotangente.
C. Campi vettoriali hamiltoniani. Una struttura riemanniana
su una varieti stabilisce un isomorfismo tra gli spazi dei vettori
tangenti e delle 1-forme. Anche una struttura simplettica stabi-
lisce un simile isomorfismo.
D e f i n i z i o n e. Facciamo corrispondere a1 vettore 5,
tangente alla varieth simplettica (M2", a 2 )nel punto x , la 1-for-
ma ag su TM= second0 la formula
Allora, la corrispondenza
+ R2".
-
E s e m p i o . In R 2 n = {(p,q ) ) identificheremo i vettori
e le 1-forme, in accord0 con la struttura euclidea (3, x ) = p 2+
a{ dh la trasformazione R'" -+
q2.
I1 lemma B dimostrato.
Corollario. Se la catena p d chiusa (By=O), allora \ az=O.
0
Effettivamente,
Y
D i m o s t r a z i o n e d e 1 t e o r e m a. Consideriamo
una qualsiasi Bcatena c. Abbiamc
dl
at
cp (AtBax)= (L~cp)(B'x).
t = ~
6 Loo ( P x , = (LBW ( 4.
Cosi, dunque,
+ +
In totto, nella somma L[[A,B ] . C'I L[[B.C I . A ] L[[c,A ] , B ] , vi
Faranno 12 termini. Ogni termine entra nella somma due volte,
con segni opposti. I1 teorema B dimostrato.
E. Condizione di commutativith dei flussi. Siano A e B dei
campi vettoriali sulla varietl M.
Teorema. Due flussi A', BS commutano se e soltanto se la
parentesi di Poisson dei campi vettoriali corrispondenti, [ A ,Bl,
2 uguale a zero.
D i m o s t r a z i o n e. Se AiBS = B'A', per il lemma 1
I-4, B1 = 0. Se invece [A, B ] = 0, allora per il lemma 1, per
qualsiasi funzione cp in un qualsiasi punto x, risulta
HN=
a, 8, corrispondenti ai valori piii grandi d i
t e di s. Come abbiamo visto sopra (pag. 209),
<
p (a, fJ) C1N-3 (dove la costante C, >0
non dipende da N). Utilizzando il teorema
della differenziabilitii delle soluzioni del-
le equazioni differenziali rispetto ai dati
iniziali, non i! difficile valutare la distanza Fig. 172. Passa io da
tra gli estremi a ' , fJ' dei cammini x6ypfJ1 Una COP ia di fti al-
e x6:6eaa1 sulla varietii M: p (a', fJ1)< Pta~tra.
< C,N-3, dove la costante C, > 0 nuo-
vamente non dipende da N. Ma noi abbiamo suddiviso l'inte-
ro passaggio da B'oAtox a At~B'ox in Na simili passi. Dunque,
p (AtoB'ox, B'OA~OX)< NaC,N-3 VN. Conseguentemente, Atoll%z=
= B'OA~O~.
F. Complemento. Algebra di Lie di un gruppo di Lie. Si
chiama gruppo di Lie un gruppo G, che risulti esse're una variete
differenziabile, con le operazioni (moltiplicazione e inversione),
che sono . applicazioni differenziabili, G x G + G, G -.+ G.
Lo spazio tangente a1 gruppo di Lie G, nell'elemento unite
TG,, ha una struttura intrinseca di algebra di Lie; essa si deter-
mina nel mod0 seguente.
Ad ogni vettore tangente A E TG, corrisponde il sottogruppo
ad un parametro At E G con il vettore di velocitl A = d ,,
At.
I1 grado di non commutativitii di due sottogruppi A', B8
B misurato dal prodotto AtB'A-'B-'. Esiste un solo sottogruppo
Cr, per il quale risulta
d
I1 vett.ore corrispondente C = ;i;l,-,Cr si chiama commutatore
di Lie, C = [A, B1, dei vet tor;.^ e B.
Si pub dimostrare che l'operazione di commutazione, cosi
introdotta nello spazio tangente TG,, lo trasforma in un'algebra
di Lie (cio8 l'operazione i! bilineare, antisimmetrica e soddisfa
l'identitii di Jacobi). Questa algebra si chiama algebra di Lie del
gruppo di Lie G.
-
varieth simplettica. Alla funzione H : M2" -+ R , data sulla
varieth simplettica, corrisponde il gruppo a un parametro
gb : Man M2" delle trasformazioni canoniche d i M2", cioir il
flusso di fase, la cui funzione di Hamilton B uguale a H .
Sia F: M2" + R un'altra funzione sulla varieth M2".
D e f i n i z i o n e. Si chiama parentesi di Poisson (F, H )
delle funzioni F e H , date sulla varieti simplettica (M2", w2),
la derivata della funzione F , riapetto alla direzione del flusso
di fase, con funzione di Hamilton H :
(i)-:
\
,dy
in mod0 che il suo prodotto antiscalare
con e diventi uguale ali'uniti. Nel caso
di n = 1 il teorema B dimostrato.
Se invece n > 1, consideriamo il com-
p l e m e n t ~ antiortogonale D (fig. 174) alla
coppia d i vettori e , f . D B I'intenezione dei
Fig.to i74. Complemen- complementi antiortogonali a e ed f.
antiortogonale.
Questi due sottospazi, 2n - 1-dimensionali,
non coincidono, poichd e non giace nel
complemento antiortogonale a f. Dunque, la loro intenezione D
ha dimensione pari, 2n - 2.
Dimostriamo che D 6 un sottospazio simplettico in Ran,
cio6 che il prodotto antiscalare [,I su D Q non degenere. Effcttiva-
mente, se il vettore g E D fosse antiortogor~aleall'intero spazio D ,
allora, essendo antiortogonale anche ad e ed f, questo vettore 6
sarebbe antiortogonale a Ran, il che contraddice la non singola-
r i t i di [,I su Ran. Cioi? B un sottospazio simplettico.
Ora, se si aggiungono alla base simplettica in D*-2 i vettori e
ed f , otteniamo una base simplettica in Rm, e la dimostrazione
del teorema si completa per induzione fino alla dimensione n.
Corollario. Tutti gli spazi simplettici, di uguale dimensione,
sono isomorf i.
Se si prendono i vettori della base simplettica, come versori
coordinati, otteniamo il sistema di coordinate pi, q,, nel quale [,I
assume la forma standard p, /\ q, + +
. . . pn /\ q,. Tale siste-
ma di coordinate si chiama simplettico.
C. Gruppo simplettico. Alla struttura euclidea 13 legato il
gruppo ortogonale delle applicazioni lineari, che conservano la
struttura euclidea. Un ruolo analogo lo svolge nello spazio sim-
plettico il gruppo simplettico.
D e f i n i z i o n e. La trasformazione lineare S: R2n-+ Rs,
dello spazio simplettico R2n in se stesso, si chiama simpldtica
se conserva il prodotto antiscalare:
L'insieme di tutte le trasformazioni simpletticl~edi Ran si chiama
gr~cpposimpkttico e si indica con S p (2n).
E evident.0 che il 'prodotto di due trasformazioni simplettiche
risul t.a essere una trasformazione simplettica. Per giustificare
il $ermine gruppo simplettico, si deve dimostrare soltanto che
una t.rasformazione simplettica & non degenere, e allora 6 chiaro
che anche l'inversa P simplettica.
P r o b 1 e m a. Dimostrare che il gruppo Sp (2) 3 isomorfo
a1 gruppo delle matrici reali del second0 ordine, con determinan-
te 1. ed t! omeomorfo all'interno tridimensionale di una ciam-
bella.
Teorema. La trasformazione S: R2" -+ R2" dello spazio sim-
plettico standard ( p ,q ) 2 simplettica, se'e soltanto se 2 lineare e cano-
nica. cio2 conserva la 2-forma differenziale
0%= d ~ Al 471 + ... + cEp, /\ dq,,.
D i m o s t r a z i o n e. Per una ideritificazione intrir~seca
dello spazio tangelite a Rm e R2", la 2-forma w2 si muta in I,].
Corollario. I 1 determinante di qu.alsiasi trasformazione simplet-
tica 2 u p a l e all'unith.
D i m o s t r a z i o n e. G i i sappiamo (3 38, B) clie le tra-
sformezioni canoniche conservano le potenze esterne della forma w2.
Ma la sua potenza esterna n-esima (a meno di una costante mol-
tiplicativa) t! l'elemento di volume in R2". Cii) implica che le
trasformazioni simplettiche S dello standard R2" = {(p,4)).
conservano l'elemento d i volume, cosicch6 det S = 1.
Ma, dato che ogni struttura lineare simplettica si scrive
nella f o m a standard in un sistema simplettico di coordinate,
il cleterminante di unn trasformazione simplettica di qualsiasi
spazio simplettico 6 uguale all'unith, c.v.d.
Teorema. Urla trasjormazione lineare S: R"' -t R2" 2 sim-
plettica, se e soltanto se trasjorma qualche base simplettica (e allora
.quahcnque) in una base sirnp2ettica.
D i m o s t r a z i o n e. I1 prodotto' aritiscalare di due
qualsiasi combinazioni lineari di vettori di base si esprime con
i prodotti antiscalari dei vettori di base. Se la trasformazione
non cambia i prodotti antiscalari dei vettori di base, allora non
cambia neanche i prodotti antiscalari di vettori qualunque, c.v.d.
D. Piani nello spazio simplettico. I n uno spazio euclideo tutti
i punti sono equiva1ent.i: ognuno di essi pui, e,sserc sovrapposto,
con un movimento, a qualunque altro.
Consideriamo uno spazio lineare simplettico da questo punto
di vista.
P r o.b 1 e m a. Dimostrare che un vettore, non nullo, di uno
spazio simplettico si pub port.are in qualunque altro vettore,
non nullo, con l111a l~.asformazionesimplettica.
P r o b 1 e m a. Dimo~trarc clle, (!;I 1111 dato 2.pian0, norr
si pui, ottenere, con una trasformaziane sirqplottjoa, ogni piano
bidimensionale d i uno spazio, simplettico R2", n > 1.
S u g g e r i m e 11 t o. f=onsidg&rite i piani ( p , , p,) c ( p l , q?.
D e f i 11 i z i 0 n 9. Un p i a ~ r k-dimenslanals,
, di uno spazio
simplettico, si chigma nyllo 1, so 6 a~~tiortagonale a se stesso,
cio6 se il p~odottc\antiscglar9 di due vettori qualunque del piano
+ uguale a zeFQt
E s e m p i o. In un sist.ema simplettico di coordinate p, q,
il piano coordinata ( p , , . . ., p h ) t nu110 (dimostratelo!)
F r 9 h j e m 3, Dimastram ohe q y ~ l s i a s i piano bidimen-
sionale, non nullo, si pui, portare, con una trasformezlone simplet-
tica, in qualunque altro rlon nnllo.
Per i calcoli, in unn geometria simplettica, r i s u l t ~utile
introdurre allche qnalche struttura euclidea nello apazio simplet-
tico. Fisseremo un sistema simplettico di coordinate p, q e intro-
durremo una struttura euclidea, con I'aiuto del prodotto scalare
delle coordinate
(x, x ) = 2 pf +q : , dove 3: = Piepi 4-9iepi.
La base simplettica e,, e, in questa struttura euclidea
b ortonormale. I1 prodotto antiscalare, come ogni forma bilineare,
B espresso attraverso quello scalare 11ella forma
It, Ill = ( I t , Il), (2)
dove I: R2"-t R2" I, un qualche operatore. Dall'antisimmetri-
c i t i del prodotto nntiecalare deriva che l'operatore I B antisim-
metrico.
P r o b l e m a. Calcolare la miltrice dell'operatore I nella
base simplettica e,,, eqi.
0 -- E
Risposta. ( E .
O ) dove E E tlna rnatriee unitaria dl
ordine n .
In questo modo, per n = 1 (sul piano p, q) I b semplice-
mente una rotazione di 9OC, mentre 11e1 caso generale I 6 una
rotazione di 90" in ognuno degli n piarli p i . q i .
F! r o b 1 e m a. Dimostrare che l'operatore I 8 simplettico
e che I2= -E2,.
Sebbene la struttura euclidea e l'operatore I siano legati
con lo spazio simplettico in modo non invariante, essi risultano
spesso utili.
Dalla (2) consegue immediatamente il
Teorema. I1 piano n di uno spazio simplettico t nullo, se
e soltanto se il piano In 2 ortogonale a n .
dove I = (i -E
0 ) , mrntre S' t? la matrice trasposta di S.
D i m o s t r k z i o n e. La condizione di simpletticltb
([St, Sql = [ t , q l per ogni 6, q ) si scrive, per mezzo dell'o~-a-
tore I , attravewo il prodotto scalare nella forma
( I S t , s q ) = ( I t , 11) v t, r
o anche
(S'IS 8, tl) = ( I t , q) v t , q ,
che I! quanto si voleva dimostrare.
B. Simmetria dello spettro di una trasformazione simplettica.
Teorema. I1 polinomio caratteristico !di una trasformazione
simplettica
p (A) = det I S - AE I
2 riflessivo l, ciob p (A) = I m p (llh).
D i m o s t r a z i o n e. Utilizzeremo il fatto che det-S =
= det I = 1, la= - E e det A' = det'A. Per il teorema prece-
dente S = -IS1-lI. Dunque,
p (1")= det (S- hE) = det (- IS'-'I - AE) = det (-St-' + AE) -
che 6 cib che si voleva dimostrare.
Si chiama riflessivo un polinomio a,xm
coefficienti sono simmetrici: a, = a,, a, = a,-,,
+ . .. + . . . + a,,
alxm-l i cui
Corollario. Se A 2 r c n autovnlore di rinn trasformazione simplet-
tica, allora ancle l l h E un autovalore.
D'altro lato, il polinomio caratteristico i? reale; quindi,
se h un autovalore complesso, X L\ un autovalorc che non coincide
(1
cot1 A.
D R qui segue che tutte le radici del polinomio complesso
so110 poste simmetricamente rispetto all'asse reale e alla cir-
conferenza unitaria (fig. 176). Esse si dividono nelle quatorne
Fi .
176. Disposizione degli auto- .
Fi 177. Comportamento di auto-
uafori di una tnaformazione sim- vafori rmm licl per un piccolo cam-
plettica. biamento iella trasformazione sim-
plettica.
227
delle equazioni differenziali ordinarie, questa funzione 6 definita
e differenziabile in un intorno del punto x E R2". Indichiamola
con q,. Notiamo che q, = 0 su N, e che la derivata della fun-
zione q,, rispetto alla direzione del campo PI, B'uguale a 1. Dunque,
la parentesi di Poisson &lle funzioni cosi costruite, q, e p,, 2 uguale
a 1:
(91, PI) = 1.
D. Costruzionedi coordinate simplettiche per induzione fino a n.
Se n = 1, la costruzione B finita. Sia n > 1. Supporremo gih
dimostrato il teorema di Darboux per R2n-2.
Consideriamo l'insieme M, dato dalle equazioni p, = q, = 0.
I differenziali dp, e dq, nel punto x sono linearmente indipendenti,
poich6 02( I dp,, I dq,) = (q,, p,) = 1. Dunque, per il teorema
sulla funzione implicita, nell'intorno clel punto x l'insieme M
h una varieth di dimensione 2n - 2; la indicheremo con Mm-2.
Lemma. La struttura simplettica m2 in R2" induce, in qualck
intorno &l punto x su M2n-2, una struttura simplettica.
D i m o s t r a z i o n e. Per la dimostrazione serve soltanto
la non singolariti di 02su TM,. Consideriamo lo spazio simpletti-
co lineare TR2"x. I vettori PI( x ) , Q , (3)dei campi hamiltoniani,
con funzioni di Hamilton p, e q,, appartengono a TR2"x. Sia
g E TAI*. Le derivate di p, e q, rispetto alla direzione di sono
uguali a zero. Cio@ dp, (g) = m2 (P,, g) = 0, dq, (5) = 02x
x (Q,, = 0. Dunque, Tillz il complemento antiortogo-
nale a PI(x), Q , (x). In accordo con il $ 41; B la forma 02 su
TM, i? non degencre. I1 lemma L; dimostrato.
Per ipotesi d'induzione, sulla varieti simplettica (M2n-2,
w2 IM) nell'intorno del punto x esistono coordinate simplettiche.
Indichiamole con pi, qi (i = 2, . . ., n). Prolunghiamo le fun-
zioni p,, . . ., qn sull'intorno del punto x in R2" nel seguente
modo. Ogni punto x , dell'intorno del punto x in R2", si pub
porre in mod0 unico nella forma z =.-.PiQ"), dove ou E Mzn-2,
mentre s e t sono numeri piccoli. Ponianro i valori delle coordinate
p,, . . ., q,, nel punto x uguali ai loro valori riel punlo uo(fig. ?79).
Le 2n funzioni costruite p,, . . ., p,; ql, . . ., qn formano
nell'intorno del punto x un sistema di coordi~iatelocali in RM.
E. Dimostrazione della simpletticiti delle coordinate costruite.
Indichiamo con PI e Qf (i = 1, . . ., n) i flussi hamiltoniani,
con funzioni di Hamilton pi, q,, e con Pi,Q r i corrispondenti
campi vettoriali. Calcoliamo le parentesi di Poisson delle fun-
zioni p,, . . ., q,. Abbiamo gi&visto, a1 punto C, che (q,, p,) = 1.
Conseguentemente i flussi Pt e Q; commutano: P:Q: = QfP:.
Dunque, le parentesi di Poisson di p, e q, con tutte le 2n - 2
funzioni pi, qi (i > 1) sono uguali a zero '.
1 Ricordando la definizione di p , . . ., q,, si vede che ognuna d i
queste funzioni b invariante rispetto ai f'fussi P: e Qf.
L'applicazione PiQ: commuta percib con tutti i 2n - 2
flussi Pf, Q: (i > 1). Conseguentemente, lascia a1 loro posto
ognuno dei 2n - 2 campi vettoriali P i , Q i (i > 1). L'applica-
zione P:Q: conserva la struttura simplettica 02,dato che i flussi
Pi e Q: sono hamiltoniani. Per questo, i valori nei punti x =
=P:Q: w E Rm e w E Mm-%della forma 02, sui vettori di due
qualslasi dei 2n - 2 campi P i , Q i ( i > 11, sono uguali. Ma questi
valori sono uguali ai valori delle parentesi di Poisson delle cor-
rispondenti funzioni di Hamilton; Dunque, i valori della parentesi
di Poisson di due qualsiasi delle 2n - 2 coordinate pi, qi (i > l ) ,
nei punti x e w , sono uguali, se x = P:aw.
Le funzioni p, e q, sono integrali primi di ognuno dei 2n - 2
flussi P f , Qf (i > 1). Percib ognuno dei 2n - 2 campi P i ,
Q i ( i 3 1) B tangente alla varieti di live110 p, = q, = 0. Ma
questa varieti B M2"-2. Percib ognuno dei 2n - 2 campi P i ,
Q i (i > 1) 6 tangente a M2"-2. Ne consegue che questi campi
sono campi hamiltoniarii sulla varieti simplettica (M2"-', o2 IM),
e le corrispondenti funzioni di Hamilton sono uguali a p i I ,,
qi IM (i > 1). Cosi, in tutto lo spazio (R2", 02) la parentesi di
Poisson di due qualsiasi delle 2n - 2 coordinate pi, qi (i > I),
considerata su MM-2, coincide con la parentesi di Poisson di queste
coordinate nello spazio simplettico (M2n-2, 02 1,).
Ma per ipotesi d'induzione, le coordinate su M2"-2 (pi I?,
qi I;, i > 1) sono simplettiche. Per questo in tutto lo spazio
R2" le parentesi di Poisson delle coordinate costruite hanno i valo-
ri standard
(pil ~ j E
) (pi, qj) (4il 91) E 01 (qi, pi) 1-
Tale forma hanno anche le parentesi di Poisson delle coordinab
p, q in Rm, se o2= 2 dpi A dqi. Ma la forma bilineare 6 definita
dai suoi valori sulle coppie dei vettori di base. Conseguentemente,
le parentesi di Poisson delle funzioni coordinate determinam la
forma di o2 in mod0 univoco. Dunque,
0 2 = = p , / \ dq,+ . . . +dp, /\ dq,.
I1 teorema di Darboux B dimostrato.
IX. Formalismo canonico
vi
.
$a dl - &v dl =
Y2 1s rot v d n = 0, dato che rot v 15 tangente
a1 tub0 di rotore, c.v.d.
B. Lemma di s t o k e s multidimensionale. I1 lemma di Stokes
ammette una generalizzazione nel caso di una qualsiasi varieth
di dimensioni dispari M?"+' (invece di R3). Per formulare questa
generalizzazione, passiamo dai campi vettoriali alle forme diffe-
renziali.
La circolazione del campo v 6 l'integrale della l-forma
o1(01 (5) = (v, g)). A1 rotore del campo v corrisponde la 2-forma
= do1 (do1 (5, q ) = ( r , g, q)). Da questa formula I! evidente
che in ogni punto esiste una direzione (e cioI! la direzione del
rotore r , fig. 181), che possiede la proprietl per cui la circola-
14
sulle linee d i rotore (dato che d d S = 0).
Quindi le immagini delle traiettorie delle
(1) sono le linee di rotore della forma
P d Q - K dT. In accordo con il $ 44,
Po4,
C
le le
curve
lineeintegrali
di rotoredelle
di tale
equazioni
forma cano-
sono
*ig. 185. cammino niche (2), che Q cib che si doveva dimo-
so della forrna p d q - strare.
-P d Q . In particolare, sia g: Rm -+ RM una
trasformazione canonica dello spazio del-
le fasi, che trasporta il punto di coordinate ( p , q) nel punto d i
coordinate ( P , Q).
Le funzioni P (p,q), Q (p, q) possono essere considerate come
nuove coordinate nello .spazio delle fasi.
Teorema. Nelle nuove coordinate ( P , Q ) le equazioni cano-
niche (1) hanno la fonna canonica'
PI. 91
= pdq-PdQ.
PI.91
B. Riduzione del g a d o per mezzo dell'integrale dell'energia.
Ammettiamo ora che la funzione d i Hamilton H (p,q) non d i p n d a
dal tempo. Allora le equazioni canoniche (1) banno un integrale
primo H (p (t), q (t)) =cost. Con l'aiuto di questo integrale si
pu6 ridurre la dimensione dello spazio (2n +
1) di due unit&,
riconducendo il problema all'integrazione di qualche sistema di
equazioni canoniche in uno spazio 2n - l-dimensionale.
Supponiamo che (in qualche dominio) l'equazione h =
= Hb1, .. ..
., pn; qlr ., q,,) possa essere risolta rispetto a p,:
PI = K (P, T; h), a,
dove P = ( ~ 2 , - 9 pn); Q = (qs,
Allora troviamo
.
qn); T = -91-
( p p - ~ ) d t = 5 Ldt
t.. 9, to 10
Fig. 194. Dimostrazione del teore- Fig. 195. Direzione del raggio e di-
ma di Huygens. rezione di moto del fronte.
Fig. 198. Camp0 centrale di estre- Fig. 199. :Eatremale con un punto
mali. focale, $he non pub essere inserito
in un camp centmb.
n $ 0
i
p = aLl8 , cioi sostituendo l'estremale con la traiettoria di fase.
Allora, ne lo spazio generalizzato delle fasi, otteniamo una varieta
4-dimensionale, formata da traiettorie di fase, ciod da linee
.. -
P r,o b 1e m a. Mostrare che, per t to grandi, non B pi& coal.
S u g g e r i m e n t o. q = - q (fig. 199).
d i rotore della forma p d q - H dt. Incrementiamo ora l'estremo
(q, 1 ) di (Aq, At) e consideriamo la famiglia degli estremali,
che oongiungono (go, to) con i punti del segmento q BAq, +
t + €)At, 0 8< <1 (fig. 200). Nello spazio delle fasi otteniamo
un quadrilatero u formato dalle linee d i rotore della forma
p dq - H dt, la cui frontiera
ed i l teorema 6 dimostrato.
Vediamo che l a forma p d q - H dt, precedentemente intro-
dotta da noi ad arte, si presenta da sola, per l'analogia realizzata
tra ottica e meccanica, nell'o studio dell'azione corrispondente alla
lunghezza ottica di un cammino.
D. Equatione 'di Hamilton - Jacobi. Ricordiamo che a il
vettore lentezza normale p B non pub essere completamente arbitra-
rio: esso B sottomesso alla sola condizione g q = 1, che deriva dal
principio di Huygens (pag. 248). Un'analoga condizione B imposta
anche a1 gradiente dell'azione S.
Teorema. L'azione soddisfa l'equazione
5 pdq-Rdt= Ldt.
Yf. 1 Yf, I
Cod,
e poniamo
P (P,q ) = PI ( a (P, Q), q).
Allora, l'applicazione locale g: R2" -+ R2", che ports il punto
( p , q) nel punto P ( p , q), a
( p , q), sarh canonica con funzione
generatrice S,, poich6 per costruzione
C O S ~a =
4cz-(rl-r2)s
4r,r*
, sen a -
-
(rl+r2)'-4c2
4r1r1
*
Cod, dunque,
a (rl+ r d l - 4 ~ ~ 4 -r -r ) ----
k k
= PC 2r1rs +p: 2h'* rl rz '
.
Sia S' = S' (q,, . ., q,; c,, c ) una famiglia di soluzioni di
questa equazione, dipendente dai parametri c i . Le funzioni
S, (q,, c,) + S' soddisfano l'equazione di partenza, se S1 sod-
disfa l'equazione ordinaria p (%,
ql) = c,. Questa equazione
si risolve facilmente; e s p r i m e n ddS
o a in funzione di, q, e cl, si
d9,
--
Q1
(TIas z(p-4c2)-4k~-~~=ci,
Fig. 206. Una geodetica sull'ellis- Fig. 207. Geodetiche uscenti dai
soide triassiale. punti di arrotondamento.
una carta dell'intorno del punto 2,: ogni punto 2, E :If ha rrn in-
torno U, 2, € U c M , t a b che g L un diffeomorfismo di V su U.
S u g g e r i m e n t o. Applicare il teorema della funziol~e
implicita e utilizzare l'indipendenza lineare dei campi nel punto so.
P r o b 1 e m a 2. Dimostrare che g: Rn + 1l-I L un'applica-
zione su.
S u g g e r i m e n t o. Congiungete un punto x € llf col pun-
to s, con una curva (fig. 212), ricoprite la curva con un numero fi-
nit0 di intorni U del problema precedente e definite t come somma
delle traslazioni t i , corrispondent.i ai vari tratti della curva.
Notiamo che l'applicazione g: Rn + Mn non pub essere biu-
nivoca, poichk M nB compatto ed Rn no. Studiamo l'insieme delle
controimmagini del punto soE Mn.
D e f i n i z i o n e. Si chiama gruppo stazionario del punto so
l'insieme r dei punti t E Rn, per i quali gtzo = to.
P r o b 1 e m a 3. Dimostrare che r 2 un sottogruppo di Rn,
che non dipende dal punto to.
S o 1 u z i o n e. Se g f t o = to,gato = toallora
gn+'x0= g.gtxo = goto= t o , g"x0 = g-'g'q = ro.
S u g g e r i m e n t o. L'applicazione g: V + U B diffeo-
morfa.
P r o b 1 e m a 5. Dimostrare che, nell'intorno t +V (fig. 213)
d i un punto qualunque t E r c R:, non vi sono punti del gruppo
stazionario r diuersi dal punto t .
Dunque i punti del sottogruppo stazionario r sono posti in Rn
in mod0 discreto. Sottogruppi di questo tip0 si chiamano sottogruppi
discreti.
E s e m p i o. Siano el, . . ., e k k vettori linearmente indi-
pendenti in Hn, O<k<n. L'insieme di tutte le loro combina-
zioni lineari a coefficienti interi (fig. 214)
I punti f ,,. .,
. f E Rn (f ha coordinate cpt = 2n, q,= 0,
g = 0). per questa applicazione hanno come immagine lo 0.
Supponiamo che el, . . ., e k E I'c Rn siano generatrici del
gruppo stazionario I' (vedere lemma 3). Applichiamo lo spazio
lineare Rn = {(q, y)) sullo spazio Rn = {t), in mod0 tale che
i vettori fr abbiana come immagine i vettori e t . Sia A: Rn+ R"
un tale isomorfismo.
Osserviamo ora che Rn = ((9, y)) fornisce le carte di Tk x
x Rn" mentre Rn = {t) le carte della nostra varieti Mt.
P r o b 1 e m a 10. Dimostrare che l'applicazione delle carte
A: Rn -t Rn definisce un diffeomorfismo x:
Tk X Rn-" -t Mp,
S(I. 9)- 1p d g .
90
11 (f)==
1
;S P ~ P . (5)
Yl
P r o b 1 e m a. Dimostrare che questo integrale non dipende
d a l h scelta & l h curva yl, che rappresenta il ciclo di base (fig. 218).
.
Fi 218. Indipendenza della va- Fig. 219. Indipendenza del ammi-
d%ile d'arione dalla acelta ddla no dell'integrale pdq su M y
curva Id'integrazione.
dove 80 = y - y'.
D e f i n i z i o n e. Le n grandezze Il(f), definite dalle
formule (5). si chiamano variabili d'azione.
Supponiamo ora che, per dei dati valori f degli n integrali Ft,
lu n grandezze Itsiano indipendenti: det -$-( # 0. Allora, nel-
I'intorno del tor0 Mf, si possono prendere come coordinate I, cp.
Teorema. La trasformazione p, q + I, cp 2 canonica, cio2
Po
c.v.d.
Osserviamo ora che tutte le nostre operazioni contengono
solo operazioni 4 algebriche s (inversione di funzioni) e una w qua-
dratura w, il calcolo dell'integrale di una funzione nota. Percib
il problema dell'integrazione d i un sistema canonico di 2n equa-
zioni, di cui si conoscono n integrali primi in involuzione, si
risolve per quadrature, il che dimostra anche l'ultima afferma-
zione del teorema d i Liouville ($ 49).
0 s s e r v a z i o n e 4. GiA nel caso unidimensionale lo
variabili azione-angolo I , cp non sono definite univocamente dalle
condizioni (3). CioB, come variabile d'azione si sarebbe potut?
prendere I' = I + cost e come variabile angolare cp' = cp +
c (I).
0 s s e r v a z i o n e 2. Abbiamo costruito le variabili azio-
ne-angolo per un sistema che ha come spazio delle fasi RZ":
:$
cluasi periodico un gruppo a un parametro
di diffeomorfismi T" -t T", definito dalle
uquazioni differenziali (fig. 221)
(P = 61, = (ol, .. on) = Cost.
Queste equazioni differenziali si inte-
grano subito:
cp (t) = cp (0) + at.
0
8
Percib, sulla carta {cp), le traiettorie sono Fig. 221. Moto quasi pe-
delle rette. La traiettoria sul toro si chia- riodico.
ma elica del toro.
E s e m p i o. Sia n = 2. Se 01/02 = kllkB, le traiettorie
sono chiuse; se o l / 0 2 15 irrazionale, le traiettorie sono ovunque
dense sul toro (vedere il § 16).
Le quantiti o l , . . ., on si chiamano frequenze del mot0
quasi periodico. Le frequenze si dicono indipendenti, quando sono
linearmente indipendenti sul campo dei numeri razionali: se
k 6 Z'" e (k, a ) = 0, allora k = 0.
B. Media temporale e spaziale. Supponiamo che f (cp) sia
una funzione integrabile sul toro Tn.
D e f i n i z i o n e. Si chiama media spaziale della funzione f
sul toro Tn il numero
- 27 2n
f=(2rclwn j am. J f ( 9 ) aq, .. . dq..
0 0
Risposta. 'Y1a1+U2ap+0aa8
X
, dove a,, a2,as sou0 gli angoli
di un triangolo di lati ah (fig. 223).
Dimostrare che il numero r non dipende dalla scelta dei vettori indi-
pendenti k,.
2 Peresempio, sono sempre possibili i cambiamenti di variabile 1 '=
= 1,9' = 9 3- S I ( I ) 0 1 1 , 1,; 91, 9 , + 11 +
1 2 , 1 2 ; (?I., ps - 91.
S u g g e r i m e n t o. Mostrare dapprima che mis {a: 3 k#
# 0, ( 0 , k) = 0) = 0.
A1 contrario, in un sistema degenere si possono costruire dei
sistemi di variabili azione-angolo tali, che i tori I = cost saranno
diversi in un sistema enell'altro. Cib si spiega col fatto che le
chiusure delle tralettorie di un sistema degenere sono dei tori
di dimensione k < n e si possono unire in modi diversi in tori
n-dimensionali.
..
E s e m p i o 1. L'oscillatorc! armonico piano x = -x; n =
= 2, k = 1. La separazione delle variabili in coordinate carte-
siane e coordinate polari p'orta a delle variabili azione-angolo
diverse, e a dei tori diversi.
E s e m p i o 2. 11 mot0 kepleriano piano ( U = -);, 1 n =
= 2, k = 1. Anche qui la separazione delle iariabili in coor-
dinate polari ed ellittiche conduce a diversi I.
I= Eg (1, (P),
dove E < 1.
Dimentichiamoci momentaneamente del fatto che il sistema
i. hamiltoniano e consideriamo un sistema arbitrario di equazioni
differenziali (1). defi~litosul prodotto di'retto ' T x G del toro
k-dimensionale Tk = {(c = (vl, . . ., q k )mod 2n) e del dominio
G di uno spazio I-dimensionale G c R' = {I = ( I , , . . ., I,)).
Per E = 0 il mot0 (1) i' quasi periodico, con un numero di fre-
quenze < k e con tori invarianti di dimensionc k.
I 1 principio della media per il sistenla (1) consiste nella sua
sostituzione con un altro sistema, detto sistema mediato:
II(t)--J(t)l<ce,
-
dove J ( t ) = I ( O ) + e g t .
Soluzione.
t
dove ir (q) = 1?
0
(q) dq 6 una funzione periodica e quindi limitata.
Dunque, la variazione nel tempo di I consiste di due parti:
d i oscillazioni di ordine e, dipendenti'da g e di una e evoluzione n
sisternatica d i velocith e g (fig. 224).
11. principio della media Q basato sulla supposizione che,
anche nel caso generale, il mot0 del sistema (1) si pub scomporre
in una cc evoluzione B (2) e in piccole
oscillazioni. Nella forma generale tale
supposizione Q ingiustificata e lo stesso
principio 6 falso.
Nonostante ci6 applichiamolo a1
sistema hamiltoniano (1):
I
7
I
et
--
cP=
. -=
a
(Ho (I)+ e H * ( I ,
Fig. 224. Evoluzione e
oscillazioni. a
I=- +
@' (Ho (1) eH, (I,
cp)).
e )
-
, dove g ( J ) = = yI g ( J ' cp)dcp. (2)
0
Indichiamo con I (t), cp (t) la soluzione del sistema (I), con con-
dizione iniziale I (0), rp (0), e con J (t) la soluzione del sistema (2)
con la stessa condizione iniziale J (0) . . =
= I (0) (fig. B5).
Teorema. Supponiamo che: 1) le funzio-
ni o , f , g siano definite, quando I varia m1
dominio limitato G, e siano ltmitate in G
con le loro derivate fino a1 second0 ordim
incluso:
11 0 , f , g I C'(CxS') c CI;
2) nel dominio G Fig. 225. Teorema del-
la media.
> c > 0;
o (I)
<
3) per 0 ,(t 118 il punto J (t) appartiene a G, insieme a un
intorno di raggio d:
J (t) E G - d.
Allora per un e abbastanza piccolo (0 < e < e,) sar&
II(t)-J(t)t<.c98 per ogni t, O,(t<lle,
dove la costante c9 > 0 dipende da cr, c, d, ma non da E.
Alcune applicazioni d i questo teorema saranno date pi&
in basso (a invarianti adiabatici s). Osserviamo che l'idea fonda-
mentale per la dimostrazione d i questo teorema (un cambiamento
d i variabili, che diminuisce la variazione) b pih importante dell6
stesso teorema; si tratta di una delle idee fondamentali nella teoria
delle equazioni differenziali ordinarie, che si incontra g i i nel
corso elementare sotto forma del a metodo d i variazione delle
costanti n.
D. Dimoetrazione del teorema della media. Al posto delle.
variabili I introduciamo le nuove variabili P
;(P, cp)=g(P, ( P ) - i i ( ~ ) ,
ponendo
+
dove I R' I < c2ea c5e I x 1, se l ' i n t e ~ a l l o( P , J)I! contenuto
in G - a. Con questa ipotesi troviamo
> 0,
Lemma. Se 1; I<a I z I
allora I. x (t) I<(d +bt) 8'.
+
b, I x (0) I C d ; a, b, dl t >
D i m o s t r a z i o n e. I x (t) I non supera la soluzione y (t)
dell'equazione y = ay +
b, y (0) = d. Risolvendo questa equa-
zione troviamo y = Ce'", te'" = b, 2: = e-atb,' C (0) = dl C<
<d + bt, c.v.d.
Ora dalla (If), nell'ipotesi che l ' i n t e ~ a l l oP , J sia conte-
nuto in G - a (fig. 226), abbiamo
I x (t) I < (c3e+c2e2t)eCaet,
da qui, per O<t<l/e
+
I x (t) I <C78, c7 = ( ~ 3 ~ 2@a.)
Vediamo ora che, se a = dl3 ed e 2, abbastanza piccolo,
l ' i n t e ~ a l l oP ( t ) , J (t) (t< lie) I! tutto interno a G - a e dunque
I P (1) -J (t) 1 <c8e per tutti gli O<t <lie.
D'altra parte, I P (t) - I (t) I < I eR I < c,e. Dunque per
outti i t, O<t<lle,
I I ( t - J ( I<c c9 = c8 c3 > 0,+
e il teorema I! dimostrato.
E. Invarianti adiabatici. Consideriamo un sistema hamilto-
niano a un solo grado di libertb, di hamiltoniana H (p, q; A),
dipendente dal parametco h.
Come esempio'.possiamo prendeq il pendob
6:
P r o b 1 e m a. Dimostrare che xS
-.- (I, q; a) 6 una funzione
univoca sul piano delle fasi.
$ u g g e r i m 6 n t o. La non unixocith di S si riconduce
alla aggiunta di multipli di %I.
Otteniamo dunque le equazioni del mot0 nella forma
2 P'++P,
If=- 0%
Fig. 229. Invariant0 adia-
I=-2ni n-z
--
b -- ,
h = =b, b a t i c ~di una sfera prfet-
tamente elastica tra pa-
reti, che si muovono len-
cio6 l'invariante abiabatico B il rapport0 tamen te.
tra energia e frequenza.
P r o b 1 e m a. La lunghezza di un pendolo raddoppia lenta-
+
mente .(I = 1, (1 et), .O<t<lle).
dell'angolo di deviazione qmaX?
Come varia l'ampiezza
Soluzione. :I=Tl 8/¶
g11sqmax;
1
dunque
2 96
APPENDICI
Appendice I
Curvatura riema~iana
nale geodetica.
origina un'applicazione .del piano, tan-
gente nel punto iniziale, nel piano tan-
gente nel punto finale. Tale applicazione
B lineare e isometrics.
Definiamo ora i l trasporto parallelo
di un vettore su una superficie, lungo unu
poligonalc, cornposta da archi di geodetica
Fi 230. Trasporto pa- (fig. 230). Per trasport'are un . vettore
rabO lung0 una ~ o l i g o - lungo una pol igonale lo trasporteremo
dal primo vertice nel second0 lungo iE
primo arco d i geodetica, trasporteremo
poi il vettore ottenuto nel vertice successive lungo il second0
arco di geodetica, e cosi via.
P r o b 1 e m a. Trasportare un vettore, tangente alla sfera,
in uno dei vertici di un triangolo sferico con tre angoli retti, fino
a farlo tornare nello stesso vertice, lungo il triangolo.
Risposta. Come risultato di tale trasporto, il piano tangente
alla sfera nel vertice di partenza ruoteri di un angolo retto.
Infine, il trasporto parallelo lungo una cuma regolare qualsiasi
si definisce approssimando la curva con poligonali, formate d a
archi di geodetiche, e passando a1 limite.
P r o b 1 e m a. Trasportare un vettore, diretto verso il Polo
Nord, partendo d a Leningrado (latitudine h = 60")mu'ovendosi
verso est lungo il parallelo 60" 1.n. e ritornando a Leningrado.
Risposta. I1 vettore ruota di un angolo 2n (1 - cos A), cioh
circa di 50" verso ovest. Dunque la grandezza dell'angolo d i
rotazione B proporzionale all'area delimitata dal nostro parallelo,
mentre il senso della rotazione coincide con quello intorno
a1 Polo Nord 'aurante il trasporto del vettore.
S u g g e r i ni e n t o. E sufficiente trasportare il vettore
lungo la stessa circonferenza sul con0 generato dalle tangenti alla
Terra dirette verso nord, tracciate in tutti i punti del parallelo
(fig. 231). Questo con0 si pub distendere su un piano, cosicchd il
trasporto parallelo sulla sua superficie diventa l'usuale trasporto
parallelo sul piano.
E s e m p i' o. Consideriamo il semipiano superior0 y >O
del piano della variabile complessa z = x +
iy di metrica
un vettore qualunque.
Risposta. I versori degli assi xl e y ruotano nel piano da essi
individuato di un angolo z nel verso che va dall'asse y all'asse xl,
mentre il versore di x, B trasportato parallelamente a se stesso,
nel senso della metrica euclidea.
E. Tensore di cuwatura. Consideriamo ora, come nel caso
bidimensionale, il trasporto parallelo su un piccolo cammino
chiuso, che inizia e termina in un punto di una varietii rieman-
niana.
I1 trasporto parallelo lungo un tale cammino fa ruotare i vetto-
ri nello spazio tangente iniziale. L'applicazione ottenuta dello
spazio tangente in se stesso B una piccola rotazione (cio6 una
trasformazione ortogonale, vicina a quella identica).
Nel caso bidimensionale noi abbiamo caratterizzato questa
rotazione con un numero: l'angolo di rotazione cp. Nel caso multi-
dimensionale il ruolo del numero cp 6 preso .da un operatore anti-
simmetrico.
P i i precisamente, ogni operatore ortogonale A, vicino all'ope-
ratore identitit, si scrive in mod0 univoco nella forma
Risposta. A =
-sen cp cos cp
A differenza del caso bidimensionale, la funzione 0 non 6,
in generale, additiva (dato che il gruppo ortogonale dello spazio
n-dimensionale per n > 2 non B comrnutativo). Tuttavia, nono-
stante ci6 possiamo costruire per mezzo di la forma di curva-
tura, che descrive a una rotazione infinitesima causata dal traspor-
t o lungo un parallelogramma infinitesimo B in mod0 analog0 a1
caso bidimensionale., cioh per mezzo della formula (2).
Dunque, supponiamo che 5, q di TM, siano dei vettori
tangenti alla varieti riemanniana M nel punto x. Costruiamo
su M un piccolo parallelogramma curvilineo II,. (I lati del paralle-
logramma II, si ottengono dai vettori e5, eq dello spazio, tangente
identificando, per mezzo di coordinate locali, un intorno dello
zero di TM, con un intorno del punto x su M.) Consideriamo il
trasporto parallelo lungo i lati del parallelogramma II, (comince
remo a girare da f).
I1 risultato del trasporto s a r i una trasformazione ortogonale
dello spazio TM,, vicina a quella identica. Essa differisce dalla
trasformazione identica per una quantiti dell'ordine di e2 e si
scrive
A , (5, q ) = E+ + e252 0 ( ~ ~ 1 ,
.
Indichiamo con el, . ., en dei campi vettoriali diretti come
i versori degli assi coordinati (cosicch6 la derivata nella direzione
el B at = alaz,). Allora si possono calcolare le derivats covarianti
per mezzo delle formule del problema 1 e delle formule seguenti:
i
h = lim -i;max max In 1 f (t) 1,
T+g. ltl<T IE(O)l=i
s = its.
In generale, l'esponente h e il cammino s dipendono dalla geodeti-
ca iniziale.
Se le curvature della nostra varietir in tutte le direzioni bidi-
mensionali sono minori o uguali a -b"b >O), i l cammino caratte-
ristico non 2 superiore a b-'.
Dunque, tanto maggiore B l a curvatura negativa della varie-
th, tanto minore B il cammino caratte :stico s, sul quale l'in-
stabilith delle geodetiche produce una crescita degli errori di e
volte. A causa del carattere esponenziale della crescita degli
errori, l'andamento di una geodetica su una varieth di curvatura
negativa non pub essere in pratica predetto.
Supponiamo, ad esempio, che la curvatura sia negativa e
minore o uguale a -4 m-2. I1 cammino caratteristico non supera
l'errore cresce di el0-
mezzo metro, cioB su una porzione di geodetica di cinque metri
10Cvolte. Dunque, un errore di un decimo
di millimetro sulle condizioni iniziali comporta una deviazione
dell'ordine del metro alla fine della geodetica.
L. Flussi geodetici su varieti compatte di curvatura negativa.
Sia II! una varieti compatta riemanniana, la cui curvatura in
ogni punto sia negativa in tutte le direzioni bidimensionali (tali
varieth esistono). Consideriamo il mot0 per inerzia sulla variet.8 M
di un punto materiale di massa 1, in assenza di qualsiasi forza
esterna. La funzione di Lagrange di questo shtema B uguale
all'energia cinetica, all'energia totale ed B un integrale primo
delle equazioni del moto.
Se la varieth M B di dimensione n, allora la varieth di livello
dell'energia B di dimensione 2n - 1. Questa varieth B una sotto-
varieti del fibrato tangente della varieth M. Fissiamo, ad esempio,
il valore della costante dell'energia 112 (che corrisponde alla
velocith iniziale 1). Allora la velocith del punto resterh rempre
uguale a 1 e la nostra varieth di livello s a r i lo spazio del fibrato
TIM c TM,
,
la stessa proprieti di a scarsa sensibiliti o a stabilith strutturale n
d i un ciclo limite, diciamo, o di un fuoco stabile sul piano. Osser-
viamo che n6 un centro sul piano, n6 le eliche di un toro godono
d i questa proprieth: il tip0 topologico dell'immagine di fase in
questi casi varia per una piccola variazione del campo vettoriale.
La possibiliti di sistemi insensibili con moti complessi,
ognuno dei quali in s6 B esponenzialmente instabile, 6 una delle
recenti scoperte fondamentali nella teoria delle equazioni diffe-
renziali ordinarie (I'ipotesi della stabilith strutturale dei flussi
geodetici su varieti di curvatura negativa B stata fatta da S. Sma-
le nel 1961, mentre la dimostrazione B stata data da D. V. Anossov
a pubblicata nel 1967; risultati fondamentali sulla stocasticitl
di questi flussi sono stati ottenuti da Ja. G. Sinaj e D. V. Anossov
sempre negli anrii sessanta).
Prima si supponeva che in m sistema di equazioni diffe-
renziali di a forma generale P erano possibili solo regimi limite
stabili semplici: posizioni di equilibrio e cicli. Se il sistema era
pic complesso (conservativo, per esempio), allora si ammetteva
che cambiando un poco i suoi livelli (per esempio, tenendo conto
di piccole perturbazioni non conservative) i moti complessi
u si decompongono )) in moti semplici. Ora sappiamo che le cose
stanno diversamente e che nello spazio funzionale dei campi
vettoriali vi sono interi domini, composti di campi con un anda-
mento pic complicato delle curve di fase.
Le conclusioni che ne derivano coprono una larga classe di
fenomeni, in cui si osserva il comportamento a stocastico n di
,oggetti deterministici.
CioB immaginiamo che nello spazio delle fasi di un sistema
,(non conservativo) esista una varieth (o un insieme) invariant0
attrattiva, su cui le curve di fase sono esponenzialmente instabili.
Sappiamo ora che sistemi con questa proprieti non sono un'ecce-
zione: le proprieti indicate si conservano per una piccola varia-
zione del sistema. Cosa vedrh lo sperimentatore, che osserva i moti
d i un tale sistema?
L'approssimarsi delle curve di fase all' insieme attrattivo
s a r i percepito come un regime limite. I1 mot0 ulterior0 del punto
di fase vicino all'insieme attrattivo provocherl delle variazioni
di a fase D caotiche, difficilmente prevedibili, da considerare come
a stocasticith D o a turbolenza D.
Purtroppo, finora non B stata fatta un'analisi convincente
tlegli esempi fisici di tale natura dal punto di vista indicato.
I.'esempio che viene naturale B l'instabilith idrodinamica di un
fluido viscoso, descritto dall'equazione di Navier -
Stokes.
Lo spazio delle fasi' di questo problema 8 di dimensione
lnfinita (si tratta dello spazio dei campi vettoriali di divergenza 0
nella regione della corrente), ma l'infinith della dimensione non 8,
evidentemente, un ostacolo serio, perch6 la viscositi smorza .le
nrmoniche superiori (i piccoli vortici) tanto pih velocemente
quanto piii 8 elevato l'ordine dell'armonica. Percib le curve di
fase dello spazio di dimensione infinita si avvicinano alla varieti
(o:insieme) di dimensione finita, cui appartengono anche i regimi
limite.
Per una viscositl elevata esiste una posizione di equilibrio
attrattiva stabile (a corrente stazionaria 'stabile n). A1 diminuire
della viscositl essa perde la stabiliti; inoltre pub apparire, per
osempio, un ciclo limite stabile nello spazio delle fasi (a corrente
periodica D) o una posizione di equilibrio stabile di tip0 nuovo
(a corrente stazionaria secondaria 9)'. Ancora, man mano- che
diminuisce l a viscositi, entra in gioco un numero crescente di
ormoniche e i regimi limite possono aumentare di dimensione.
Per una viscositl piccola sembra del tutto verosimile .il
passaggio a regimi limite con traiettorie esponenzialmente insta-
bili. Purtroppo non sono stati fatti sinora i calcoli corrispondenti,
a causa dei limiti dei calcolatori. Tuttavia si pub trarre la seguente
conclusione generale senza fare calcoli: perch6 appaiano fenomeni
di tipo turbolenza non Q necessaria la non esistenza o la non uni-
c i t i delle soluzioni: 8 sufficient0 l'instabilith esponenziale, che
si incontra peraino in sistemi determini~ticicon nn numero finito
di gradi di liberti.
Come ulteriore esempio di applicazione dell'instabiliti espo-
nenziale indichiamo la dimostrazione, annunciata da Ja. G. Sinaj,
dell'c ipotesi ergodica )) di Boltzmann per un sistema di sfere
~olide. L'ipotesi consiste nell'affermare che il flusso di fase,
corrispondente a1 mot0 di sfere perfettamente elastiche in una
scatola con pareti elastiche, B ergodico su insiemi connessi di
livello dell'energia. (L'ergodiciti significa che quasi ogni curva
di fase trascorre in ogni regione misurabile dell'insieme di livello
un tempo proporzionale alla misura di questa regione.)
L'ipotesi di Boltzmann permette di scambiare le medie tempo-
rali con quelle spaliali e a lungo Q stata considerata necessaria
per ogni h E G.
I1 diffeomorfismo R,-lL, B un automorfismo interno del
gruppo. Esao lascia a1 suo posto I'uniti del gruppo. La sua derivata
nell'unith 6 un'applicazione lineare dell'algebra (cioB dello
spazio fangente a1 gruppo nell'uniti) in se stessa. Tale applica-
zione s a r i indicata con
Ad,: g + 9, Adg = (R,1 L,)*,
e si chiama rappresentazione aggiunta del gruppo.
Si verifica facilmente che Ad, B un omomorfismo dell'algebra,
cioh che
fl* +- T*Gg--* #*
L: R:
~ d ;
Questi due vettori non sono altro che a la velociti angolare rispet-
to a1 corpo B e e la velociti angolare rispetto a110 spazio n.
In effetti, all'elemento g del gruppo G corrisponde la posi-
zione del corpo, che si ottiene da uno stato iniziale (scelto arbitra-
riamente e corrispondente all'unitA del gruppo) con il mot0 g.
Sia o un elemento dell'algebra.
Indiohiamo con eut il gruppo a un parametro delle rotazioni
con velociti angolare o; o B la tangente nell'uniti a1 gruppo in
questione. Consideriamo ora lo spostamento
c.v.d.
L'equazione di Eulero pub essere trasportata dallo spazio
duale dell'algebra, nella stessa algebra g, per inversione del-
l'operatore d'inerzia. Si ottiene cosi la seguente formulazione
dell'equazione di Eulero in termini dell'operazione B (pag. 323).
Teorema 5. I1 mot0 del vettore velocitd angolare nel corpo
b definito dulla posizione iniziale di questo vettore e non dipende dalla
posizione iniziale del corpo. I1 vettore velocitd angolare nel corpo
soddisfa l'equazione con secondo membro quadratico
-
dove 26 = B (E, q ) + B (q, E), 28 = B (E, q) - B (7, &), 2a =
[&, ql, 2BE = B (E, E), 2B, = ' B (q, q) e B h l'operazione
definita a1 punto B (pag. 323).
La dimostrazione consiste in un calcolo fastidioso, ma diretto.
Si tratta d i verificare la formula per la derivata covariante
dove & e q'nel primo membro sono dei campi vettoriali invarianti
a sinistra e nel secondo, i loro valori nell'unith.
0 s s e r v a z i o n e 1. Nel caso particolare d i una metrica
invariante bilaterale, la formula della curvatura si scrive molto
semplicemente
I§ vi= $ vv
t BY
g, rot 4 = rot v,
Non solo, l'isorotazionaliti di due campi pui, essere d'efinita
come l'equivalenza dei campi dei rotori, se il dominio del flusso
2 semplicemente connesso. Dunque il problema delle orbite della
rappresentazione coaggiunta nel caso tridimensionale contiene
il problema della classificazione dei campi vettoriali di divergenza
nulla a meno di diffeomorfismi che conservano l'elemento di
volume. Questo ultimo problema nel caso tridimensionale i? di
una difficolth disperata.
Consideriamo ora il caso bidimensionale. Inizialmente, ri-
scriviamo le formule principali in una forma comoda per lo studio
di questo caso.
Supponiamo che il dominio di flusso D sia bidimensionale
e orientato. La metrica e l'orientazione definiscono su D una
struttura simplettica; il campo vettoriale delle velociti ha diver-
genza nulla e quindi B hamiltoniano. Percii, questo campo B defi-
nit0 da una funzione di Hamilton (in generale plurivoca se il
dominio D non B semplicemente connesso). La funzione di Hamil-
ton del campo delle velocith in idrodinamica si chiama funzione
di flusso e si nota con 9. Dunque,
v = I grad $,
dove I B l'operatore di rotazione di 90" (( a destra 8 .
La funzione di flusso del commutatore di due campi B lo
jacobiano (0, se si vuole, la parenbsi di Poisson del formalismo
hamiltoniano) delle funzioni di flusso dei campi di partenza:
, ,= J ($i, 9r).
~ c vVSI
I1 campo vettoriale B (c, a) B definite, nel caso bidimensionale,
dalla formula
B = -(AvC) grad $, + grad a,
dove 9, e qCsono le funzioni di flusso dei campi a e c, A =
=div grad B il laplaciano.
Nel caso particolare di un piano euclideo munito di coordi-
nate cartesiane x , y, le formule per la funzione di flusso, il com-
mutatore e il laplaciano prendono la forma particolarmente
semplice
Q un integrale primo.
E proprio l'esistenza di questi integrali primi (cio8 la strut-
tura relativamente semplice delle orbite della rappresentazione
coaggiunta) che ha permesso di dimostrare i teoremi di esistenza,
unicitii, ecc. nell'idrodinamica bidimensionale di un fluido per-
fetto (e anche viscoso); ed B proprio la geometria complessa delle
orbite della rappresentazione coaggiunta nel caso tridimensionale
(0, forse, l'insufficienza d'informazioni su queste orbite) che
rende tanto difficile il problema della giustificazione dell'idrodi-
namica tridimensionale.
L. Stabilitii dei . moti stazionari piani. Riformuliamo ora
i teoremi generali sulle rotazioni stazionarie (teoremi 7, 8 e 9)
per il caso di un gruppo di diffeomorfismi. Otteniamo le seguenti
proposizioni:
1. I 1 mot0 stazionario di un fluido perfetto si distingue &i
moti, che gli sono isorotazionali, per il fatto di essere un punto di
estremo vincolato (o punto critico) dell'energia cinetica.
2. Se 1) il punto critico indicato 2 effettivamente un estremo,
ciob un massimo o un minimo condizionato locale, 2) 2 soddisfatta
una condizione di regolarith (in generale lo 2) e 3) l'estremo 2 non
degenere (il differenziale secondo 2 def inito positivo o negativo),
allora il flusso stazionario 2 stabile (cio2 2 una posizione di equilibrio
stabile, nel senso di Ljapunov, dell'equazione di Eulero).
3. La formula per il differenziale secondo dell'energia cinetica
su uno spazio tangente alla varieth dei campi ,isorotazionali a quello
&to, nel caso bidimensionale ha la forma seguente. Sia D un domi-
nio del piano euclideo munito di coordinate cartesiane x, y. Consi-
deriamo un mot0 stazionario con funzione di flusso 9 = 9 (x, y).
A llora
D
T (vcp)2+c AT)^ d l dy <
.D
5 (Vcpo)' +C (Avo)' d x dy.
S e i l flusso stazionario soddisfa la disuguaglianza
R ~ , I , ~ , ~ =seOk, + l + m + n # O ; se invece k + l + m +
+ n = 0, allora
dove a,,= -
(uAvIa
Iu+vl '
In queste formule S rappresenta l'area del tor0 ed u /\ v
l'area del parallelogramma costruito su u e v (nell'orientazione
scelta del piano Ra). Le parentesi tonde 'indicano il prodotto
scalare euclideo sul piano, mentre quelle angolari nell'algebra
or Lie.
La dimostrazione di questo teorema si trova nel primo artico-
lo (in francese) citato all'inizio di questa. appendice (Annali
de1l'Istitut.o Fourier, XVI, n. 1).
Le formule introdotte permettono di calcolare la curvatura
in qualsiasi direzione bidimensionale. I calcoli mostrano che la
curvatura B negativa nella maggior parte delle direzioni, e pcwitiva
in alcune di esse. Consideriamo un flusso qualunque del fluido,
cioh una geodetica del nostro gruppo. Per l'equazione di Jacobi,
la stabilith di questa geodetica B definita dalle curvature nelle
direzioni di tutti i piani bidimensionali, che passano per il vettore
velocitil della geodetica in ognuno dei suoi punti.
Supponiamo ora che il flusso considerato sia stazionario.
Allora la geodetica B un sottogruppo a un parametro del nostro
gruppo. Ne consegue che le curvature in tutti i piani, che passano
attraverso il vettore velocitil della geodetica in ognuno dei suoi
punti, sono uguali alle curvature nei corrispondenti piani, con-
dotti per il vettore volocitil della geodetica in questione all'istante
iniziale. (Dimostrazione: traslazione a destra nell'unith del grup-
po.) Dunque, sulla stabilitil di un flusso stazionario influiscono so-
lo le curvature nelle direzioni di quei piani bidimensionali del-
l'algebra di Lie, che contengono il vettore del camp0 delle velocith
del flusso stazionario.
Consideriamo, per esempio, un semplice flusso parallel0
sinusoidale stazionario. Tale flusso B definito dalla funzione
di flusso
E-.- ek + e-k
Q=-
z
OSk<lCn
(wk 8.1-wl d w k ) ~ ( & k& l - ~ l d l ~ k )
23%
(wkG'Ia
k=O
0 s s e r v a z i o n e. Le forme differenziali sullo spazio
complesso a valori complessi (per esempio, dwk e d 6 ) sono defi-
nite come funzioni lineari complesse dei vettori tangenti; se
wk = xk + iyk, allora
+
dwk = dxk i dyk, d& = dxk - i dyk.
Lo spazio di queste forme su C" ha dimensione complessa 2n;
formano una C-base, per esempio, le 2n forme dwk, d& (k = 1, . ..
. . ., n) o le 2n forme h k , dyk.
I1 prodotto esterno si definisce nel solito mod0 e obbedisce
a1le regole ordinarie. Per esempio,
dw /\ d; = (dx +
i dy) /\ (dx - i dy) = - 2i dx /\ dy.
Sia f una funzione regolare reale su -CL (in generale, a valori
complessi). Un ese~llpioB 1 w la =xwkwk. I1 differenziale della
funzione f Q una 4-fonna complessa. Dunque lo si pud scornporn
nella base h k , Gk.I coefficienti d i questa scomposizione si
chiamano derivate parziali a rispetto a wk B e a rispetto a Ek B:
Strutture di contatto
Ab
Otteniamo due cammini, che vanno dall'origine delle coordinate
nel vertice opposto. Su ognuno di questi
due cammini si pu6 costruire una curva
integrale (a due segmenti), come 6 descritto
sopra. Si ottengono cosi, in generale; sopra
il vertice del parallelogramma opposto al-
l'origine, due diversi punti. La differenza
delle altezze di questi punti una funzione
della nostra coppia di vettori. Questa fun-
zione B antisfmmelrica e nulla, se B nullo
uno dei vettori. Dunque, la parte lineare Fig. 236. Curve inte-
della serie di Taylor di questa funzione Q ~ l ~ ~
uguale a zero in 0, mentre la sua parte pabile di piani.
quadratica Q una forma bilineare antisim-
metrica sul piano orizzontale.
Se il campo Q integrabile, si ottiene una 2-forma uguale a zero.
Percib, questa 2-forma pub essere considerata come una misura
della non integrabilith del campo.
Utilizzando il nostro sistema di coordinate, possiamo identi-
ficare il piano coordinato orizzontale con il piano del campo, pas-
sante per l'origine delle coordinate. Dunque, dalla nostra costru-
zione si ottiene una 2-forma su un piano stesso del campo.
La 2-forma b definita in modo intrinseco. La 2-forma indicata
sopra 13 stata costruita per mezzo di coordinate. Tuttavia, il valo-
re di questa 2-forma su una coppia di vettori tangenti non dipende
dal sistema di coordinate, ma solo dalla I-forma, con .cui si
6 definito il campo.
Per assicurarsene, basta dimostrare il
Teorema. La 2-forma def inita sopra sullo spazio deglt zeri
della I-forma o coincide con la derivata esterna di quest'ultima,
do = ,I.,
D i m o s t r a z i o n e. Mostriamo che la differenza delle
altezze dei punti, ottenuti muovendosi sui lati del parallelo-
gramma, coincide con l'integrale della I-forma o esteso ai quattro
lati, a meno.di un ir~finitesimodel terzo ordine rispetto ai lati.
A questo fine, notiamo che l'altezza di una curva integrale su
qualsiasi cammino di lunghezza E, che esce dall'origine delle
coordinate, E dell'ordine di eZ,poicl16 nell'origine delle coordinate
il piano del campo B orizzontale. Dunque, gli integrali della
2-forma d o estesi alle quattro aree verticali sopra i lati del paral-
lelogramma, delimitate dalle curve integrali e dal piano orizzon-
tale, sono dell'ordine di e3, se i lati sono dell'ordine di e.
Gli integrali della forma o estesi alle curve integrali sono
uguali a zero. Allora, per la formula di Stokes, l'incremento del-
l'altezza lungo una curva integrale, situata sopra uno qualunque
dei lati del parallelogramma, 6 uguale all'integrale della I-forma o
lungo questo lato, a meno di un infinitesimo del terzo ordine.
Ora, il teorema da dimostrare discende immediatamente
dalla definizione di derivata esterna.
Rimane ancora un'arbitrarieti nella scelta della I-forma o ,
con la quale Q stata costruita la nostra Zforma. Piii esattamente,
la.forma o I! definita dal campo di piani a meno della moltiplica-
zione per una funzione f che non si annulla mai. In altri termini,
saremmo potuti partire dalla forma f a . Allora, saremmo arrivati
alla 2-forma
qFjOf
del gruppo moltiplicativo dei numeri reali su una fibra si riporta
alla moltiplicazione per un numero
dei vettori dello spazio cotangente.
Sul fibrato cotangente esiste
una ngtevole l-forma: la l-forma
cc p dq n. Un'analoga, l-forrna esiste
anche su oglii varieth, ottenuta da
una varietii di contatto per simplet-
tizzazione.
l-forma canonica sullo spazio
simplettizzato.
D e f i n i z i o n e. Si cliiama
Ilforma canonica sullo s ~ a z i osim-
pl'ettizzato di una varieta di con-
tatto la 1-forma differenziale a, il Fig.una237. Simplettizzazione di
varieta di contatto.
cui valore su onni vettore E . tan-
gente in un j u n t o p allo-bpazio
simplettizzato (fig. 237), B uguale a1 valore, sulla proiezione
del vettore E nel piano tangente alla varieti di contatto, di
quella l-forma definita su questo piano tangente, che corri-
sponde a1 punto p:
f !P = (f?cx,)-l P*
In termini semplici, trasportiamo la forma p dallo spazio
tangente nel punto x, nello spazio tangente nel punto f (x), per
mezzo del diffeomorfismo f (la cui derivata in x stabilisce un dif-
feomorfismo tra questi due spazi tangenti).
La forma f!p B di contatto, poich6 il diffeomorfismo f B di
contatto.
Teorema. L'applicazione f!, def inita sopra, &lla simplettiz-
zata di una varietii di contatto su se stessa b un diffeomor./ismo
simplettico, che commuta con l'azione &l gruppo moltiplicativo dei
numeri reali e conserva la I-form canonica sulla simplettizzata.
D i m o s t r a z i o n e. L'affermazione del teorema deriva
dal fatto che la I-forma canonica, la 2-forma simplettica e I'azione
del gruppo dei numeri reali sono definite.dalla stessa struttura
di contatto (per costruirle non abbiamo utilizzato coordinate
o altri oggetti non invarianti),' e che il diffeomorfismo f conserva
la struttura di contatto. Dal che si ricava che f! manda in se
stesso tutto cib, che B stato costruito in mod0 intrinseco rispetto
alla strutt~iradi contatto e, in particolare, la 4-forma a , la sua
derivata da e l'azione del gnlppo, c.v.d.
Teorema. Ogni diffeomorfisno simplettico della simplellizzata
di una varietd di contatto, che commuta con l'azione del gruppo
rnoltiplicativo dei numeri reali, 1) si proietta sulla varieth di con-
tatto iniziale sotto forma di un diffeomorfismo di contatto; 2) conser-
va la I-forma carzonica a.
D i m o s t r a z i o n e. Ogni diffeomorfismo, che commuta
con l'azione del gruppo moltiplicativo, si proietta in un diffeo-
aorfismo della varieth di contatto. Per dimostrare che quello
che si ottiene B nn diffeomorfismo di contatto, & sufficiunte dimo-
strare la seconda affer~naaionedel teorema (poich6 SIL un piano
di contatto si proiettano solo quei vettori E, tali che a (f) = 0).
Per dimostrare l a seconda affermazione, esprimiamo (I'inte
grale della forma a, su un cammino qualunque y, in funzione della
struttura simplettica da:
j a - l i m 1 j da.
Y a (C)
@<!
B uguale a1 valore della parentesi d i Poisson delle funzioni (H,, Hb)
nel punto x. La seconda 6 HLa,b1(5).
Poich6 l'azione 8 poissoniana il teo-
rema B dimostrato.
Di,mostrazione del z r
c o r o 1 1 a r i o. La derivata di
ogni componente del momento ri-
spetto alla direzione del flusso di
fase, con hamiltoniana H , 8 ugua-
le a zero, essendo uguale alla deri-
vata della funzione H rispetto alla
6*KP
direzione del flusso di fase del cor- Fig. 238. Spazio delle fasi ri-
rispondente sottogruppo a un para- dotto.
metro del gruppo G, c..v.d.
B. Spagio delle fasi ridotto. Sia data un'azione poissoniana
del gruppo G su una varietl simplettica M. Consideriamo un
insieme di liyello del momento, cio8 la controimmagine per l'ap-
plicazione P di un punto qualunque p E g*. Noteremo questo
insieme con M,, cosicch6 (fig. 238)
M , = P-' (p).
In molti casi importanti l'insieme M,, 8 una varietl. Per
esempio lo 8, se p B un valore regolare del momento, cio8 se il
differenziale dell'applicazione P, in ogni punto dell'insieme M
.
'
k- I
H= pjqj+, (per k=1, H=0).
1-1
.
(per k = i , H = j= i q:) Le hamiltoniaoe di segni diversi non
& trasformano l'una nell'altra.
A una coppia di blocchi di Jordan d'ordine dispari 2k+ I,
ad autovalori immaginari puri f bi, corrisponde una delle due
hamiltoniane seguenti:
1
Per k = 0, H = f T(bZp: +p:). Le hamiltoniane di segni
diversi non si trasformano l'una nell'altra.
A una coppia di blocchi di Jordan d'ordine pari 2k, ad autova-
lori immaginari puri f bi, corrisponde una delle due hamilto-
niane seguenti:
1 1
(per k=l, H = * (Tq:+'1:)-b2~iq2+~2qi).
Anche qui le hamiltoniane di segni diversi non si trasformano
l'una nell'altra per una trasformazione simplettica reale.
Teorema di Williameon. Lo spazio simplettico lineare
reale, sul quale k dkfinita urn f o r m quadratics H, si &ompone in
urn somma diretta di sottospazi simplettici reali, a due a due antior-
togonali, in modo tale che la f o r m H si rappresenta come somma
d i forme dei tipi indicati prima su questi sottospazi.
C. Blocchi di Jordan ineliminabili. Un'hamiltoniana indi-
viduale generica non possiede autovalori multipli e si riconduce
a una forma semplice (tutti i blocchi di Jordan sono del primo
ordine). Tuttavia, se si considera non un'hamiltoniana individua-
le, ma un'intera famiglia .di sistemi, dipendenti da parametri,
allora per alcuni valori eccezionali dei parametri possono apparire
delle strutture di Jordan-piii complesse. Di alcune di esse ci si
pub sbarazzare con una piccola deformazione della famiglia, le
altre invece non sono eliminabili e si deformano solo un poco. Se
il numero I di parametri della famiglia B finito, allora di questi
casi ineliminabili ne esiste un numero finito nella famiglia a 1
parametri. I1 teorema di Galin, equnciato piii in basso, permette
d i calcolare tutti questi casi, comunque si fissi 1.
>
Indichiamo con 4 (z) n, (z) 2 ... 2 n,(z) le dimen-
> ... - - ..
sioni dei blocchi di Jordan ad autovalon z # 0, con m,>m2 2
> m u e m, 2 m2>. >,r& le dimensioni dei blocchi
d i Jordan, ad autovalore nullo, inoltre mJ sono pari ed gJdispari
(in ogni coppia di blocchi di dimensione dispari se ne considera
uno solo).
Teorema. La varieth di hamiltoniane, i cui blocchi di Jordan
hanno le dimensioni indicate,.possiede nello spazio di tutte le hamil-
toniane la codimnsioiu
j- i j+l k = i
(Osserviamo che, se lo zero non B autovalore, allora nella
somma solo il primo termine B diverso da zero.)
Corollario. Nelle fumiglie di. sistemi hamiltoniani lineari,
dipendenti, i n modo generule, da 1 parametri non si incontrano che
sistemi con blocchi di Jordan tali che il numero c, calcolato per mez-
zo della formula precedente, non sia superiore a 1: tutti i casi i n cut
c b maggiore di 1 sono elimimbili con wna piccola deformazione della
famiglia.
Corollario. Nelle famiglie a uno e a due parametri si incontra-
no blocchi di Jordan non eliminabili solo dei 12 tipi seguenti:
I = 1: ( f a)', ( f 'fa)', 0%
(qui i blocchi di Jordan sono indicati con i lor0 determinunti; per
esempio, ( f a)' designa una coppia di blocchi di Jordan d'ordine
2 e ad autovalori a e -a rispettimmente);
1 = 2: (f a)a,( f ai)" ( ( f a f bi),, 0'' ( f a ) ' ( f b)',
( f a i ) ' (*bi)2, ( f a ) , (*bi)', ( f U)~O', f f ai)202
(i restanti autovalori sono semplici).
Galin ha anche calcolato le forme normali, cui si pub ricon-
durre una qualunque famiglia di sistemi hamiltoniani lineari,
dipendenti i n mod0 regolare da parametri, per mezzo di u n cam-
biamento di coordinate lineare simplettico, dipendente i n mod0
regolare da questi parametri. Per esempio, per il blocco di Jordan
semplicissimo (fa)' tale forma normale dell'hamiltoniana sarA
( I ) = -a (pi91 + ~ 2 q s+) pigs + Qiqi + h @ s q ~
(A, e I , sono dei parametri).
Appendice 7
Forme normali di sistemi hamiltoniani
nell'intorno di punti fissi
e delle traiettorie chiuse
dove
(z, 9)- (r, (P + a,, + + . - . a,,+ arnzrn),
a1'F
@
ve non esiste un integrale olomorfo e le
serie di Bohlin sono divergenti n (H. Poin-
car6 I nuovi metodi della meccanica
celeste, a Opere scelte n, t. 2, a Nauka n,
1972, cap. 33).
Bisogna sottolineare che nel quadro
delle separatrici che si intersecano vi
sono ancora molte cose non chiare.
E. Risonanze d'ordine superiore.
Fig. 211. Hamiltoniana Anche le risonanze d'ordine successive
media delle oscillazio,li possono essere studiate per mezzo della
di fase nell'intorno dells forma normale. Osserviamo che le riso-
risonanza 5 : I . nanze d'ordine superiore a 4 general-
mente non provocano instabilitl, poi-
ch6 nella forma normale compaiono termini di quarto grado,
che assicurano un minimo o un massimo di H, persino nella
risonayza.
Nel caso di risoriariza d'ordine n > 4, la modificazione
tipica della rappresentazione d i fase del sistema, con funzione
di Hamilton H,, Q data dalla formula
H, = e t + t2a( t ) + a t n * sen ncp,
2 t = p2 + q2,. a (0) = f1,
e consiste in quanto segue (fig. 241).
Per uno scarto piccolo (dell'ordine di e) della frequenra
rispetto alla risonanza e a una distanza piccola (dell'ordine
di,v.13 dalla posizione di cquilibrio, posta nell'origine delle
cdortlinate, la funzione H,. possiede 2n punti critici nell'intorno
dei vertici del 2n-poligono regolare, con centro nell'origine
delle coordinate. La m e t i di questi punti critici sono di sella,
e la seconda m e t i sono di massimo, se l'origine delle coordinate
6 un punto di minimo, e di minimo, se l'origine delle coordinate
un punto di massimo. I punti di sell e quelli stabili si alter-
nano. Tutti gli n punti d i sella sono situati su unlivello della
funzione Ho e le loro separatrici, che congiu~lgonoselle succ6s-
sive, .formano n cr isole v , ognuna delle quali B riempita da curve
d i fase chiuse, che circondano il punto etabile. La larghezza
delle isole B dell'ordine di e(n/4)-'. Le curve d i fase chiuse all'in-
terno di ogni isola si chiamano oscillazioni di fuse (poich6, in
principio, varia la fase delle oscillazioni intorno all'origine
delle coordinate). I1 periodo delle oscillazioni d i fase, a1 dimi-
nuire del disaccordo di frequenza e, cresce come I ? - ~ / ~ .
All'interno dello stretto anello, formato dalle isole, piin
vicino all'origine delle coordinate, sono contenute delle curve
d i fasc chiuse clle circondano l'origine; all'esterno dell'anello,
le cllrre di fase sono ugualmente chiuse, ma il mot0 su di esse
@
no11 perturbato non degenere 6 ovun-
que densa su un toro invariante, la
cui dimensione B uguale a1 numero di
gradi di liberti del sist.ema (cioB alla
m e t i della dimensione dello spazio
delle fasi).
Per avere un'idea migliore di
tutto il quadro, studiamo il caso di
due gradi di liberti (n = 2). I n questo Fig. 212. Tori invarianti in
c.aso lo ,cpazio delle fasi ha dimensione una rarieta tridimensional^
4. Perci6, gli insiemi di livello d'ener- di livello d'energia.
gia sono tridimensionali. Fissiamone
uno. Si t.ratta di una varieti tridimensionale, fibrata in tori
invarianti bidimensionali, che si pu6 rappresentare nello spazio
ordinario tridimensio~lalecome una famiglia di tori concentrici,
immersi l'uno nell'altro (fig. 242).
Le curve di fase sono eliclie di questi tori, mentre le due
frequenze di rivoluzione variano da toro a toro. Nel caso generale,
varieranno da toro a toro non solo entrambe le frequenze, ma
anche il loro rapporto. Se l a derivata del rapporto delle frequenze
rispetto alla variabile d'azione, che numera i tori sul dato insie-
me di live110 della. funzione H,,6 non nulla, allora diremo che il
nostro sistema B isoenergeticamente non de'gewe. La condizione
di non degenerazione isoenergetica (come si calcola facilmente)
si scrive
-
d2Ho -
dl8
8H0
dI
det # 0.
-
dH0
dI
0
-
rimane indefinitamente nell'intorno del suo valore iniziale, per
una perturbazione sufficientemente piccola.
3. Applicazione ( I , cp)
sionale n. Funzione generatrice
(I', cp') di una u corona 2n-dimen-
2
dove H , ( t ) = o h r k -I-Yz
I
O h l t k t l , mentre i puntini indicano
i termini di grado superiore a1 quarto rispetto alla distanza dalla
posizione di equilibrio.
La condizione di non degenerazione
e sul fatto clie una funzione regolare sul toro possiede almeno quat-
tro plrnti critici (tenuto conto delle moltepliciti). di cui almeno
tre sono geometricamente dint inti.
I tentativi di dimostrare questo teorema senza restrizioni
sugli autovalori si scontrano con una difficolti, molto simile a
quella in clii si 6 imbattuto Poincar6 nel teorema della corona.
Osserviamo che il teorema della corona deriverebbe da quello
del toro, se in esso si potesse fare a meno della restrizione si~gli
autovalori. Jn effetti, componiamo un toro con due esemplari
della nostra corona, disponendo nell'intorno di ognuna delle cir-
conferenze limite una stretta corona di congiungimento.
Allora possiamo prolungare l'applicazione della corona fino
.a un diffeomorfismo del toro, tale che 1)su ognuna delle due corone
grandi il diffeomorfismo coincida con quello iniziale, 2) su ognuna
.dell0 corone di congiunzione il diffeomorfismo non possieda punti
fissi, 3) il centro d i graviti rimanga fisso.
La costruzione d i un tale diffebmorfismo del toro si fa uti-
lizzando la proprieti delle circonferenze limite di ruotare in dire-
zioni opposte. Sulle corone di congiunzione tutti i punti si spo-
stano nella stessa direzione di quelli su entrambe le circonferenze,
che le delimitano. Poich6 le direzioni di spostamento sulle due
corone di congiunzione sono opposte, la grandezza dello sposta-
mento si pul, scegliere in mod0 da garantire l'invarianza del centro
d i graviti.
Ora, dei quattro punti fissi del toro, due devono essere posti
sulla corona iniziale, e dal teorema relativo a1 toro deduciamo quel-
lo relativo alla corona.
I1 teorema sul toro formulato sopra ammette una generalizza-
zione ad altre varieti simplettiche, sia bidimensionali che mul-
tidimensionali. Per enunciare queste generalizzazioni si deve in-
nanzitutto riformulare la condizione d'invarianza del centro di
graviti.
Sia g: M -t M un diffeomorfismo simplettico. Diremo che il
diffeomorfismo g b omologo allli&ntit&, se lo si pu6 unire all'iden-
t i t i (che lascia fissi tutti i punti del1.a varieti M) con una curva
regolare g,, composta di diffeomorfismi simplettici, in mod0 tale
it
che il campo delle velociti possieda ad ogni istante t una fun-
zione di Hamilton univoca. Si puh dimostrare che i diffeomorfismi
simplettici, omologhi alllidentitA, formano un commutante della
componente connessa aell'uniti nel gruppo di tutti i diffeomorfi-
smi simplettici della varieti.
Nel caso del toro bidimensionale, i diffeomorfismi simplettici
omologhi all'identiti sono esattamente quelli, che noi abbiamo
detto che conservano il centro di graviti.
Perveniamo cosi alla sequente generalizzazione del teorema
di Poincar6.
Teorema. Ogni diffeomorfismo simplettico di una varietii
simplettica compatta, omologo all'i&ntitii, possie& almeno tanti
punti fissi, quanti punti critici ha una funzione regolare su questa
varietk, purchd il diffeomorfism non sia troppo lontano &llli&n-
titii.
Osserviamo che la condizione d'omologia all'applicazione
identica B essenziale, come risulta chiaro g i i dall'esempio del
mot0 sul ,taro, che non possiede nessun punto fisso.
Per quanto concerne l'ultima restrizione (il diffeomorfismo
rlon deve essere tioppo distante da quello identico) non B chiaro
se essa sia, o meno, essenziale. Nel caso di un toro 2n-dimensionale,
B sufficiente che nessuno degli autovalori dello jacobiano del
diffeomorfismo (in un qualunque sistema di coordinate simplet-
tic0 globale definito in R2")sia uguale a -1.
'
Forse una restrizione di questo tip0 B necessaria anche nei
problemi multidimensionali, poich6 non B escluso che il teorema
d i Poincar6 sia essenzialment: un risultato bidimensionale, simile
a1 seguente teorema.di A. I. Snirelman e N. A. NikiSin: ogni dif-
feomorfismo, che conserva le aree, della sfera bidimensionale in se
stessa possiede almeno due punti fissi geometricamente distinti.
La dimostrazione di questo teorema si basa sul fatto che l'in-
dice del campo vettoriale del gradiente di una funzione regolare
di due variabili, in un punto critico isolato, non pub essere mag-
giore dell'uniti (sebbene possa essere uguale a 1, 0, -1, -2,
-3, . . .), mentre la somma degli indici di t u t t i i punti fissi di
un diffeomorfismo, che conserva l'orientazione, .di una sfera bidi-
mensionale su se stessa B uguale a due.
Invece, l'indice del gradiente di una funzione regolare di un
numero maggiore di variabili, in un punto critico, pub prendere
valori interi qualunque.
D. Intersecioni delle varieti lagrangiane. A1 ragionamento di
Poincare si pub dare una forma diversa, se si considerano su ogni
raggio della corona quei punti, che si spostano solo radialmente.
Di punti tali ne esistono su ogni raggio, dato che le circonferenze
che delimitano la corona ruotano in versi contrari. Supponiamo
di essere riusciti a formare, con i punti che si spostano radial-
mente, una curva chiusa, che separa le circonferenze esterna e
interna della corona. Allora, I'immagine di questa curva per la
nostra applicazione deve intersecare la curva stessa (poich6 i
domini, in cui la curva divide la corona, si trasformano in domini
d i area uguale).
Se la curva indicata e la sua immagine intersecano ogni raggio
una sola volta, allora i punti d'intersezione della curva con la
sua immagine sono, evidentemente, i punti fissi dell'applicazione.
Una parte del ragionamento fatto si pub trasportare a1 caso
multidimensionale, il che fornism utili risultati sulle soluzioni
periodiche dei problemi della dinamica. Nel caso multidimensio-
nale alla corona corrisponde uno spazio delle fasi: il prodotto di-
retto di un dominio di uno spazio euclideo per un toro di uguale
dimensione (la corona 6 il grodotto di un intervallo per una cir-
conferenza). La struttura simplettica nello spazio delle fasi B
2
definita nel mod0 usuale, cioh si scrive P = dzk /\ dyk, dove
le xk sono delle variabili d'azione e le yk delle variabili angolari.
Non B difficile stabilire quali diffeomorfismi simplettici del
nostro spazio delle fasi sono omologhi all'identiti. P i t esatta-
mente, un diffeomorfismo simplettico A b omologo all'identiti, se
lo si pub ricavare dall'identitb con una deformazione continua e
inoltre se
$xdy=Qzdy
v I;v
per ogni contoriio chiuso (non necesaariamente omologo a zero).
La condizione di omologia alla trasformazione identica im-
pedisce uilo spostamento sistematico lungo una x-direzione (1'4 evo-
luzione delle variabili d'azione B), permettendo invece gli sposta-
menti lungo i tori.
Consideriamo uno qualuqque dei tori n-dimensionali x = c =
= cost e applichiamogli il nostro diffeomorfismo simplettico omo-
logo all'identitb. Otteniamo nuovamente un toro. Risulta che il
toro iniziale itzterseca la sua immagine almeno in 2" punti (te-
nuto conto &lle molteplicitd) e di questi almeno n + 1 sono geo-
metricamente distinti, in ogni caso nell'ipotesi che i l toro immagine
possieda un'equazione &lla forma x = f (y), con f regolare.
Per n = 4 l'affermazione fatta significa che ognuna delle cir-
conferenze concentriche, che formano I'a corona, interseca la sua
immagine in almeno due punti. Cib deriva immediatamente dalla
conservazione delle aree, inoltre non B necessaria l'ipotesi che
l'immagine abbia equazione x = f (y).
Si ignora se questa ipotesi sia necessaria nel caso multidi-
mensionale. Se la si accetta, la dimostrazione si svolge come segue.
Osserviamo che il toro iniziale B una sottovarieti lagrangiana
dello spazio delle fasi. I1 nostro diffeomorfismo B simplettico, dun-
que anche il toro immagine B lagrangiano. Percib, la 4-forma
(x - c) dy definita su di esso B chiusa. Inoltre questa forma sul
toro B il differenziale totale di una funzione regolare unwoca F,
dato che il nostro diffeomorfismo B omologo all'unith, e quindi,
per qualunque contorno chiuso,
-c$ dy=O.
AV
Notiamo che i punti d'interzetione del toro con la sua immag-
ne sono i pliriti critici della funzione F (poich6 in questi punti
d F = (X - C) dy = 0).
Dalla condizione d'univocitb della proiezione del toro imma-
gine (cioB dal fatto che il toro immagine ha come equazione x =
= f (y)) Fegue che, inversamente, tutti i punti critici della fun-
zione F eono i punti d'intersezione dei nostri tori. Infatti, per
1' ipotesi indicata, y pub essere presa come coordinata locale sul
toro e, dunque, l'esnere d F uguale a zero per tutti i vettori tan-
genti a1 toro immagine implica che x = c.
Una funzione regolare su.un toro n-dimensionale poziede al-
meno 2" panti critici, tenuto conto delle moltepliciti, e di questi
punti almeno n + 1 eono geometricamente distinti (vedere, per
esempio, Milnor Teoria di Morse, M., 1965, in russo o Princeton,
1963,' in inglese).
Dunque i nostri tori si intersecano almeno in 2" punti (te-
nuto conto delle moltepliciti) e inoltre almeno n +1 punti d'in-
tersezione sono geometricamente dirtinti.
Un ragionamento perfettamente analog0 mootra che l'im-
magine di qualunque toro lagrangiano interseca il turo stesso almeno
in 2" punti (di cui almeno n + f geometricamente distinti), nel-
l'ipotesi che sia il toro iniziale, che la sua immagine si proiettino uni-
vocamente su un y-spazio, ciob siano definiti dalle equazioni x =
= f (Y)' x = g (Y).
Del resto, questa proposizione si riconduce alla poecedente
con l a trasformazione canonica (x, y) (x - f (y), y).
E. Applicazioni alla ricerca dei punti fissi e delle solueioni
periodiche. Consideriamo ora una trasformazione simplettica
omologa all'identiti, del tip0 particolare che compare nei proble-
mi integrabili della dinamica, cioh della forma
A. (x, y) = (x, y + o (x)), dove o = aslax.
Qui s E Rn B una variabile d'azione, y mod 2n E T" una coor-
dinata angolare.
Supponiamo che sul toro x = sotutte le frequenze siano corn-
mensurabili:
o, (so)=$2n con ki, N interi;
a una banda formata dai segmonti di retta, che congiungono ogni punto con la
ma immagine. Dunque una tale funzione @ B legata in mod0 invariante
all'applicazione, relativamente alle aostituzioni lineari canoniche di coor-
dinate.
Appendice 10
Moltepliciti delle f requenze caratteristiche
ed ellissoidi dipendenti dai parametri,
*
una singolariti analoga (una cuspide semicubica) in un punto,
vicino alla singolariti del contor-
9
no apparente della superficie ini-
ziale. In altri termini, la singola-
rith considerata non. si elirnina con
una piccola deformuzione della su-
perf icie.
Inoltre, invece di deformare
la superficie si pub deformare. come
si vuole la . stessa applicazione
proiettiva della superficie sul piano
(senza preoccuparsi che essa sia
proiettiva), purch6 essa resti rego-
lare e la deformazione sia piccola.
Anche per tali deformazioni la
cuspide non scompare, ma si de-
Fig. 245. Singolariti di Whit- forma so10 un poco.
ney. Gli esempi menzionati qui
esauriscono tutte le singolarith
tipiche delle applicazioni di una superficie su un piano. Si pub
dimostrare che le singolariti piii complesse si eliminano con una
piccola deformazione. Dunque, deformando leggermedte una qua-
lunque applicazione regolare, si pub sempre fare in mod0 che nel-
l'intorno di ogni punto della superficie proiettata l'applicazione
sia non singolare, oppure costruita come l'applicazione proiettiva
della sfera sul piano vicino all'equatore o infine come l'applica-
zione proiettiva della superficie prima considerata, con una cu-
spide cubica sul contorno apparente.
L'espressione * costruita come * significa che sulla superfi-
cie controimmagine e sul piano immagine si possono scegliere
delle coordinate locali (nell'intorno del punto considerato e
della sua immagine), tali che in'esse l'applicazione si scrive in
una forma speciale. Piii precisamente, le forme normali, cui si
riduce I'applicazione della superficie sul piano nell'intorno dei
punti dei tre tipi indicati sopra, sono
y, = x,, y, = x, (punto non singolare),
y1 = x:, y, = x, (piega come sull'equatore della sfera),
y1 = x,x, - x:, y, = x, (increspatura con una cuspide di
contorno apparente).
Qui (x,, x,) sono le coordinate locali sulla controimmagine, (yl,y,)
sull'immagine.
Le dimostrazioni dei teoremi menzionati (formulati da
H. Whitney) e le loro generalizzazioni a1 caso multidixhensiona-
le si possono trovare nei lavori sulla teoria delle singolarith delle
applicazioni regolari, per esempio in:
V. I. Arnold Singolarit& delle applicazioni regolari, u Uspe.-
khi matematiteskikh nauk 9 23, n. 1, 1968, 3-44 (ill russo).
R. Thom, G. Levine, J . Maser e altri Singolaritb delle ap-
plicazioni differenziabili, t Mir B, 1965, traduzione in russo di
Stability of Cm-mapping, I-IV, (( Ann. Math. * 87, 1068, 89, 19G9,
254-291.
B. Singolaritl della proiezione delle varietl lagrangiane.
Consideriamo ora una varietl delle configurazioni n-dimensionale,
il corrispondente spazio delle fasi di dimensione 2n e una sotto-
varietl lagrangiana, d i dimensione n, di questo spazio (cioB una
sottovarietl n-dimensionale, sulla quale si annulla identicamente
la 2-forma che definisce la struttura simplettica dello spazio delle
fas,i).
Proiettando la varieth lagrangiana sullo spazio delle con-
figurazioni, otteniamo l'applicazione di una varietl regolare
n-dimensionale su un'altra della stessa dimensione.
In un punto comune questa applicazione B un diffeomorfismo
locale, tuttavia in certi punti della varieti lagrangiana il rango
del differenziale si abbassa. Tali punti si dicono singolari. Proiet-
tando l'insieme dei punti singolari nello spazio delle configura-
zioni si forma t il contorno apparente v , che nel caso lagrangiano
si chiama caustica.
Le caustiche possono presentare delle singolarith complesse,
ma, cosi come nella teoria generale delle singolarith delle applica-
zioni regolari, ci si pub disfare con una piccola deformazione delle
singolaritl troppo complicate. (Qui per piccola deformazione si
intende una deformazione piccola della varietl lagraligiana nello
spazio delle fasi, tale che la varietl resti lagrangiana.)
Con il che restano solo le s i n g d a r i t l pi^ semplici ineli~xina-
bili, per le quali si possono scrivere le forme norrhali e fare uno
studio dettagliato una volta per sempre. Nello studio di problemi
generici, che non,godono di alcuna particolare proprietl di sim-
metria, B naturale attendersi di trovare solo le singolaritl piii
semplici ineliminabili.
Consideriamo, per e$empio, le caustiche clie si formal10 quan-
do una parete B illu~ninatadalla luce proveniente da una sorgentc
purltiforme e riflessa da una qiialunque superficie cuiva regolare
(qui lo spazio delle fasi, di tlimclisione quattro, B format.0 dalle
rettc clle intersecano la superficie della parete in tutte le diiezioni
possibili, mentre la sottovarietii lagrangiana B costruita dai raggi
di lucc usciti dalla sorgente, per intersezione con la parelc).
dpostando la aorgente si pub osservare, che, in generale, le causti-
che presentano solo delle singolariti semplici (cuspidi aemicubi-
che), mentre le singolarith p i i complesse non appaiono che per
delle posizioni eccezionali della sorgente.
Si elencano, piii in basso, le forme normhli per le singolariti
della proiezione di una sottovarieth lagrangiana n-dimensionale,
da uno apazio delle fasi di dimensione 2n sullo spazio delle confi-
qurazioni n-dimensionale, n < 5. Queste forme normali sono in
numero finito e la loro classificazione B legata (in mod0 yiuttosto
oscuro) a quella dei gruppi semplici di Lie, dei punti critici sem-
plici degeneri delle funzioni, dei poliedri regolari e di molte
altre entith. Per n 2 6 le forme normali di certe singolarith devono
necessariamente contenere dei parametri. Per maggiori dettagli
si rimanda il lettore all'articolo:
V. I. Arnold Forme normali di funzioni nell'intorno di punti
critici degeneri, gruppi di Weyl Ah, Dk, Ehe singolaritii kzgrangiane,
a Funktsionalnyj analiz i ego prilogenija n, 6.: 4,.1972, 3-25 (in
rusqo).
C. Tavola delle fonne normali delle singolaritA tipo delle
proiezioni .di varieth lagrangiane di dimensione n < 5. Faremo
uso delle seguenti notazioni:
.
(ql, . ., q,) indicano le coordinate nello spazio delle con-
f igurazioni;
.
(p,, . ., p,) sono invece i corrispondenti impulsi, cosicchb
p e q insieme formano un sistema simplettico di coordinate nello
spazio delle fasi.
La varieti lagrangiana sari definita per mezzo della funzione
generatrice F con le formule
.
dove l'indice i percorre una parte dell'inaieme (1, . ., n), e
l'indice j la parte restante. Pi6 precisamente, B i = 1, j > 1 per
le singolariti, 'indicate nella lista con Ah, e i = 1, 2, j > 2 per
le singolariti indicate con Dk ed Ek.
In queste notazioni si pub pensare che una stessa espressione
di F (pi, qj) definisca una varieti lagrangiana in spazi di dimen-
sioni diverse: possiamo scrivere tanti argomenti qj quanti ne vo-
gliamo, dai quali F non dipende affatto.
La lista delle forme l~ormalidelle singolariti tip0 B la se-
guente:
per n = l
A,: F = p:; A,: F = A= p:;
per n = 2, oltre alle precedenti, si hanno
A,: F = z t p: + qzti;
per n = 3, oltre alle tre precedenti, abbiamo ancora
1
1, = u dx.