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Infarti

Si definisce infarto un'area di necrosi ischemica causata dal blocco dell'apporto ematico arterioso o
del drenaggio veno so. L'infarto dei tessuti rappresenta una patologia estremamente importante e
frequente. Negli Stati Uniti, circa il 40% dei decessi è causato da malattie cardiovascolari, per la
maggior parte attribuibili a infarto miocardico o cerebrale. Anche l'infarto polmonare è una
complicanza frequente di numerose situazioni cliniche; l'infarto intestinale è spesso fatale e la
necrosi ischemica delle estremità (gangrena) rappresenta un problema serio nei pazienti diabetici.
Quasi tutti gli infarti sono causati da trombosi arteriosa o embolia arteriosa.
Le cause meno comuni di ostruzione arteriosa che provocano l'infarto comprendono il vasospasmo
locale, l'emorragia in una placca ateromatosa o la compressione estrinseca di un vaso (per esempio,
a causa di un tumore).
Altre cause non comuni di infarto tissutale possono essere la torsione di un vaso (per esempio, nella
torsione del testicolo o nel volvolo intestinale), la rottura traumatica di un vaso o la compromissione
vascolare da edema (per esempio, nella sindrome compartimentale anteriore) o da intrappolamento
in un sacco erniario.
Sebbene la trombosi venosa possa determinare l'infarto, la conseguenza più comune è la semplice
congestione; in questo caso, si apro no rapidamente canali collaterali, i quali permettono un certo
deflusso venoso dalla zona e ciò, a sua volta, migliora l'afflusso. arterioso. L'infarto secondario a
trombosi venosa è pertanto più frequente negli organi dotati di un singolo vaso venoso efferente.
(per esempio, il testicolo e l'ovaio).

Morfologia
Gli infarti sono classificati, in base al loro colore e alla presenza o meno di infezione,
rispettivamente in infarti rossi (emorragici) o bianchi (anemici) e in infarti settici o aseettici

Gli infarti rossi si verificano:


1. in caso di occlusioni venose (per esempio, nella torsione testicolare);
2. nei tessuti lassi spugnosi (per esempio, il polmone), in cui il sangue può raccogliersi nella
zona infartuata;
3. nei tessuti con doppia circolazione (per esempio, polmone e intestino tenue), che per
mettono al sangue di affluire alla zona necrotica da vasi paralleli non ostruiti;
4. nei tessuti in precedenza congesti per un rallentato drenaggio venoso;
5. quando si ristabilisce il flusso nell'area di una precedente occlusione arteriosa con necrosi
(per esempio, in seguito all'angioplastica di una lesione trombotica).

Gli infarti bianchi si verificano in caso di occlusione arteriosa in organi solidi a circolazione
arteriosa terminale (come cuore, milza e rene), dove la compattezza del tessuto limita la quantità di
sangue che può infiltrarsi nella zona di necrosi ischemica dalla rete capillare contigua.

Gli infarti tendono ad avere una forma a cuneo, in cui l'apice è rappresentato dal vaso occluso e la
base dalla periferia dell'organo; quando la base è una superficie sierosa, viene spesso ricoperta da un
essudato fibrinoso risultante da una risposta. infiammatoria acuta a mediatori rilasciati dalle cellule
danneggiato e necrotiche. Gli infarti recenti sono mal definiti e lievemente emorragici, ma nell'arco
di alcuni giorni i margini tendono a delimitarsi meglio, con un sottile bordo di iperemia dovuta
all'infiammazione
Con il trascorrere del tempo, gli infarti derivanti da un'occlusione arteriosa in organi senza doppia
vascolarizzazione diventano sempre più pallidi e nettamente definiti. Nel polmone, invece, gli
infarti sono di regola emorragici. Negli infarti emorragici i globuli rossi fuoriusciti vengono
fagocitati dai macrofagi, che convertono il ferro eme in emosiderina; piccole quantità non
producono effetti macroscopicamente apprezzabili sul colore del tessuto, ma emorragie estese
possono diventare più consistenti e scure e ricche di emosiderina.
La caratteristica istologica dominante dell'infarto è la necrosi ischemica coagulativa. È importante
ricordare che, se l'occlusione vascolare è avvenuta poco prima del decesso del paziente (minuti o
ore), è possibile che le modificazioni istologiche siano assenti: sono infatti necessarie da 4 a 12 ore
prima che il tessuto morto mostri un'evidenza microscopica di necrosi manifesta.
Un'infiammazione acuta compare lungo i margini dell'infarto entro poche ore e in genere assume un
aspetto ben definito nell'arco di 102 giorni.
Alla fine, una risposta riparativa inizia dai margini conservati. Nei tessuti stabili o labili si può
verificare una rigenerazione parenchimale in periferia, dove la sottostante architettura stromale è
stata risparmiata, tuttavia la maggior parte degli infarti viene sostituita da tessuto cicatriziale.
Il cervello costituisce un'eccezione a queste generalizzazioni; infatti, un infarto nel sistema nervoso
centrale provoca una necrosi colliquativa.

L'infarto settico può svilupparsi in seguito all'embolizzazione di vegetazioni formatesi su valvole


cardiache infette o quando alcuni microrganismi invadono un'area di tessuto necrotico. In questi
casi l'infarto si trasforma in un ascesso, con una maggiore risposta infiammatoria. La sequenza
finale di organizzazione, tuttavia, segue le modalità già descritte.

Fattori che determinano lo sviluppo di un infarto


Un'occlusione vascolare può causare effetti che vanno da un danno praticamente irrilevante fino alla
disfunzione e alla necrosi del tessuto, sufficienti a portare al decesso. Le variabili che influenzano
gli esiti dell'occlusione vascolare sono le seguenti:
– Anatomia dell'apporto vascolare. La disponibilità di vasi collaterali alternativi è il fattore
più importante nel determinare se l'occlusione di un vaso sarà causa di lesioni ai tessuti.
Come già menzionato, i polmoni hanno un duplice apporto di sangue arterioso, polmonare e
bronchiale, che protegge dall'infarto indotto da tromboembolia; allo stesso modo sono
relativamente insensibili all'infarto il fegato, con la sua doppia circolazione arteriosa e
portale, la mano e l'avambraccio, dotati del doppio apporto arterioso radiale e ulnare. La
circolazione arteriosa di reni e milza, invece, è di tipo terminale e l'ostruzione di tali vasi è
di solito all'origine di un infarto.
– Velocità dell'occlusione. Le occlusioni che si sviluppano lentamente hanno minore
probabilità di causare infarto, poiché concedono tempo per lo sviluppo di vie collaterali di
perfusione. Piccole anastomosi interarteriolari, per esempio, normalmente con flusso
funzionale minimo, interconnettono le due arterie coronarie. Se una delle coronarie viene
occlusa lentamente (per una placca aterosclerotica in espansione), il flusso all'interno di
questi circoli collaterali può aumentare quanto basta per impedire l'infarto, persino se è
occluso il ramo principale dell'arteria coronaria.
– Vulnerabilità dei tessuti all'ipossia. I neuroni vanno incontro a un danno irreversibile se
privati dell'apporto di sangue per soli 3 - 4 minuti. Anche le cellule miocardiche, benché più
resistenti rispetto ai neuroni, sono molto sensibili e muoiono dopo soli 20 - 30 minuti di
ischemia (anche se, come accennato, i cambiamenti nell'aspetto delle cellule morte si
manifestano dopo 4-12 ore). I fibroblasti all'interno del miocardio, al contrario, rimangono
vitali anche dopo molte ore di ischemia.
– Ipossiemia. Come è facile comprendere, un contenuto patologicamente basso di O2 nel
sangue (indipendentemente dalla causa) incrementa sia la probabilità sia l'estensione
dell'infarto.

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