1 Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande, dov'Eteocle col fratel fu miso?".
che per mare e per terra batti l'ali, 55 Rispuose a me: "Là dentro si martira
e per lo 'nferno tuo nome si spandel Ulisse e Diomede, e così insieme
4 Tra li ladron trovai cinque cotali a la vendetta vanno come a l'ira;
tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e dentro da la lor fiamma si geme
e tu in grande orranza non ne sali. l'agguato del caval che fé la porta
7 Ma se presso al mattin del ver si sogna, onde usci de' Romani il gentil seme.
tu sentirai, di qua da picciol tempo, Piangevisi entro l'arte per che, morta,
di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna. Deidamìa ancor si duol d'Achille,
E se già fosse, non saria per tempo. e del Palladio pena vi si porta".
Cosi foss'ei, da che pur esser dee! 64 "S'ei posson dentro da quelle faville
ché pir) mi graverà, com' più m'attempo. parlar", diss'io, "maestro, assai ten priego
Noi ci partimmo, e su per le scalee e ripriego, che 'l priego vaglia mille,
che n'avean fatto iborni a scender pria, 67 che non mi facci de l'attender niego
rimontò 'l duca mio e tiasse mee; fin che la fiamma cornuta qua vegna;
e proseguendo la solinga via, vedi che del disio ver' lei mi piegol".
tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio 70 Ed elli a me: "La tua preghiera è degna
lo piè sanza la man non si spedia. di molta loda, e io pero l'accetto;
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio ma fa che la tua lingua si sostegna.
quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi, 73 Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto
e più lo'ngegno affreno ch'i' non soglio, ciÒ che tu vuoi, ch'ei sarebbero schivi,
perché non corra che virtù nol guidi; perch'e'fuor greci, forse del tuo detto".
sì che, se stella bona o miglior cosa 76 Poi che Ia fiamma fu venuta quivi
m'ha dato'l ben, ch'io stesso nol m'invidi, dove parve al mio duca tempo e loco,
Quante'l villan ch'al poggio si riposa, in questa forma lui parlare audivi:
nel tempo che colui che 'l mondo schiara 79 "O voi che siete due dentro ad un foco,
la faccia sua a noi tien meno ascosa, s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
come la mosca cede a la zanzara, s'io meritai di voi assai o poco
vede lucciole giù per la vallea, 82 quando nel mondo li alti versi scrissi,
forse colà dov'e' vendemmia e ara: non vi movete; ma l'un di voi dica
di tante fiamme tutta risplendea dove, per lui, perduto a morir gissi".
l'ottava bolgia, sì com'io m'accorsi 85 Lo maggior corno de la fiamma antica
tosto che fui là've 'l fondo parea. cominciò a crollarsi mormorando,
E qual colui che si vengiò con li orsi pur come quella cui vento affatica;
vide'l carro d'Elia al dipartire, indi la cima qua e là menando,
quando i cavalli al cielo erti levorsi, come fosse la lingua che parlasse,
che nol potea sì con li occhi seguire, gittò voce di fuori, e disse: "Quando
ch'el vedesse altro che la fiamma sola, 91 mi diparti' da Circe, che sottrasse
sì come nuvoletta, in sù salire: me più d'un anno là presso a Gaeta,
tal si move ciascuna per la gola prima che si Enèa la nomasse,
del fosso, ché nessuna mostra 'l furto, 94 né dolcezza di figlio, né la pieta
e ogne fiamma un peccatore invola. del vecchio padre, né 'l debito amore
lo stava sovra 'l ponte a veder surto, lo qual dovea Penelopè far lieta,
sì che s'io non avessi un ronchion preso, 97 vincer potero dentro a me l'ardore
caduto sarei giir sanz'esser urlo. ch'i' ebbi a divenir del mondo esperlo
E 'l duca, che mi vide tanto atteso, e de li vizi umani e del valore;
disse: "Dentro dai fuochi son li spirti; 100 ma misi me per l'alto mare aperto
catun si fascia di quel ch'elli è inceso", sol con un legno e con quella compagna
"Maestro mio", rispuos'io, "per udirti picciola da la qual non fui diserto.
son io più certo; ma già m'era awiso 103 L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
che così fosse, e già voleva dirti: fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
chi è 'n quel foco che vien si diviso e l'altre che quel mare intorno bagna.
di sopra, che par surger de la pira 106 lo e ' compagni eravam vecchi e tardi
1
I
109 acciò che I'uom più oltre non si metta; Musa, quell'uomo di multiforme ingegno
da la man destra mi lasciai Sibilia, Dimmi, che molto erro, poich'ebbe a terra
da I'altra già m'avea lasciata Setta. Gittate d'llion le sacre torri;
112 "O frati", dissi, "che per cento milia che città vide molte, e delle genti
perigli siete giunti a l'occidente, I'indol conobbe; che sovr'esso il mare
a questa tanto Picciola vigilia molti dentro del cor sofferse affanni,
115 d'i nostri sensi.ch'è del rimanente mentre a guardar la cara vita intende,
non vogliate negar l'esPerienza, e isuoi compagni a ricondur: ma indarno
di retro al sol, del mondo sanza gente. ricondur desiava i suoi comPagni'
118 Considerate la vostra semenza: che delle colpe lor tutti Periro.
fatti non foste a viver come bruti, Stolti! Che osàro violare i sacri
ma per seguir virtute e canoscenza". Al Sole lperion candidi buoi
121 Li miei compagni fec'io sì aguti, Con empio dente, ed irritàro il Nume,
con questa orazion picciola, al cammino, che del ritorno il dl lor non addusse.
che a pena poscia li avrei ritenuti;
124 e volta nostra poppa nel mattino, SE QUESTO È UN UOMO
de' remi facemmo ali al folle volo, Primo Levi, Einaudi, Torino 1987, pp. 115-118
sempre acquistando dal lato mancino. ... ll canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto
127 Tutte le stelle già de l'altro Polo in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest'ora
già non è piu un'ora. Se Jean è intelligente capirà, capirà:
vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
oggi mi sento da tanto.
che non surgèa fuor del marin suolo.
130 Cinque volte racceso e tante casso ... Chi è Dante. Che cosa è la Commedia: quale
sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di
lo lume era di sotto da la luna,
spiegare in breve che cosa è Ia Divina Commedia' Come
poi che'ntrati eravam ne I'alto passo, è diitribuito I'lnferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la
133 quando n'apparve una montagna, bruna Ragione, Beatrice è la Teologia. Jean è attentissimo, ed
io comincio, lento e accurato:
per la distanza, e parvemi alta tanto
Lo maggior corno della fiamma antica
quanto veduta non avéa alcuna' Cominciò a crollarsi mormorando,
136 Noi ci allegrammo, e tosto torno in pianto, Pur come quella cui vento affatica.
lndi, la cima in qua e in là menando
ché de la nova terra un turbo nacque Come fosse la lingua che Parlasse
e percosse del legno il primo canto. Mise fuori la voce, e disse: Quando...
Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero
139
Dante e povero francese! Tuttavia I'esperienza pare
a la quarta levar la PoPPa in suso prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della
e la prora ire in giù, com'altrui piacque' iingru, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere
"antica".
142 infin che 'l mar fu sovra noi richiuso".
E dopo "Quando"? ll nulla. Un buco nella memoria'
"Prima che sì Enea la nominasse". Altro buco.
Espugnata e rasa al suolo la città di Troia in Asia Minore, Ulisse, come tutti i condottieri greci che avevano partecipato alla guerra
decennale, prese il mare per ritornare a ltaca, un'isola del mar lonio vicino a Same, Dulichio, Zacinto. Tocco dapprima lsmaro nelle
terre dei Ciconi [2], in Tracia; mentre poi, superata una tempesta, doppiava il capo Malea alla volta di ltaca, fu spinto dai venti in
direzione di Citera e per dieci giorni vago sulle acque finché giunse nel paese dei Lotofaqi [3], difficilmente identificabile dal punto di
vista geografico. Ripreso in fretta il mare per evitare l'insidia del loto, il frutto che dà l'oblio, giunse con i compagni nel paese dei
Ciclopi, nella zona dei campi Fleqrei. nei pressi di Napoli [4]; l'isoletta di Polifemo potrebbe corrispondere a Nisidia. Ancora in fuga,
dopo la decimazione dei compagni subita ad opera di Polifemo, Ulisse fu ospite per un mese nella reggia dl Eolo, re dei venti, nell'isola
di Stromboli [5]. Alla partenza, Eolo lo favorì consegnandogli come dono in un otre tutti i venti da lui rinchiusi, ad eccezione di Zefiro
che in nove giorni lo sospinse in vista di ltaca. Ma mentre Ulisse, spossato, si abbandonava al sonno, i compagni sciolsero l'otre per
dividersi le ricchezze che vi pensavano racchiuse. I venti, liberati, scatenarono una tempesta che ricondusse la nave nell'isola Eolia;
Eolo, adirato, cacciò Ulisse e icompagni dalle sue terre; dopo sei giorni e sei notti di navigazione a'forza di remi, essi toccarono le
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Vi è neil'impres:r di Ulisse il se- Ichr;rzio:rc
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INFERNO, XXVI
I primi dodici versi del canto si ricollegano a quello pr€cedente e sono uno sfogo amaro ed ironico
nei confronti della propria città.
L'apostrofe, motivata dall'aver incontrato uen linque norentini tra
i ùdri, è giocata sulla metafora del volo e sull,ironia attraverso il
ricorso alla litote per mettere in luce la cattiva farna della propria
citta--vi.nJugji*t" rnffir"aa di funesti eventi punitivi che già
19 ciltà rivali si augurano, anche se è bene che cio accada il più presto possibile in quaato, con l'avaruare
dell,età, taie sciagura sarà
più dolorosa da sopportare pe1 il poeta. Segue un accenao alle difficolta deambulatàrie nel risalire
agii scalini che portano ail,ottava
bolgia l versi che seguono, fino oltre la metà del canto, sono in gran parte descrittivi e didascafià e hanno una precisa
funzione
preparateria, sia dal punto di vista dello stiie, sia dell'atmosfera, afl'àpisodio culminante
di tliisse" iI peliegdnà esordisce con
un'espressione di dolore. La pausa narrativa, poi, col fermarsi del tempo della storia, serve ad acuire ie
*p"ttuilr" del lettore. C,è
subito un'elevazione di registro, per sottolineare ulteriormente l'importanza di qualcosa che deve accadere.
§egue la descrizione della
nuova bolgia, in cui l'elemento predominante è il fuoco, attraverso due articolate similitudini. Cominciaio questo
a punto le
spiegazioni de1 maestro per soddisfare le richieste del discepolo. I1 richiamo elassico, ;;qr"lt" biblico precedenti continuano ad
I
elevare ii tono de1 discorso. pochi eruditi accenni di Virgilio entusiasmano a tal punto Dante,
che manifesta enfaticamente il
desiderio che i due della fiamma biforcuta si awicinino peiparlare loro. L'enfasi si traduce stilisticamente
in una ridondanza di
termini simili ma non uguali. L'esordio di Virgilio e adeguito ail'awicinarsi del momento clou ditutto il canto.
La sua è un,elaborata
captatio benevolentiae con uso di ripetizioni e paralleliimi,
Berifrasi, antitesi e coslruzioni lalineggianti. prima che Ulisse cominci a
parlare, viene descritto, in tennini quasi fisici, il fenomeno àefla fuoriuscita a.rt. pu.otr
arttu fiamma nel suo contorcersi e nel suo
scoppiettio che diventa varco alle parole" I1 realismo del fenomeno è accentuato da ripstizioni di
suoni e dall,onomatopea
"mormorardo"' La mobilità della fiamma è data da quei due awerbi monosillabici al centro-del verso (qua
e tà) nei quali sembra
rispecchiarsi l'oscillare della lingua di fuoco. Finalmente le parole si materializzano alle orecchie
di Dante. La narraztone comincia in
medias res: ci troviamo nel vivo dell'azione, con un rapido flash back relativo al soggiorno
dell'eroe greco presso Circe. poi subito la
motivazione della nuova awentura, sentita come ,- froco che brucia dentro (ardiie) e che non può .rrÀr" spento nemmeno dalla
somma degli affetti liù viaggro si percepisce solo il momento notturno: il tempo è scandiio dall'awicéndarsi delle lune; per
3ari.-p.et
il resto cogliamo solo l'implicito silenzio zu di un mare sconfinato (mare qerta in sinalefe). poi uaavisione indistinta sottolineata
dall'eniarnbement (quando n'apparve una montagnq, bruna / per ta distanzò che suscita sentimenti di gioia
r"Uito *fti in dolore e
disperazione. L'antitesi che segue, ristretta alf interno del verìo, dà I'idea dÉfla repentinità del cambiamento
di stato d,animo. Nel
vocabolo finale "richiuso" c'è un triplice chiudersi del racconto di lIlisse, della suà drammatica
awentura, del canto che lo ha per
protagonista.
Nella vicenda narrata da I-IIisse predomina una isotopia, o linea di senso, degii opposti. Una delle coppie
oppositive di fondo è quella
alto-basso. Il contrasto riguarda anche gli spazi e la sfera sentimentale ed intellettuale.
Così allegoricamente I-Ilisse rappresenta la ragione umana, che faliisce pensanco di poter fà.re a meno
della Grazia divina e a essa si
contrappone. Dallo scontro degli opposti si sviluppa iI dinamismo dell-'azione, il perpetuo movimento, I'irrequietezza
esemplata nel
viaggro verso l'ignoto.
Nell'impresa di Illisse risalta inoltre la grander.za dell'umanità prima dell'awento di Cristo, ma anche la
sua insufficienza, perché
non può essere sostenuta dalla Rivelazione divina. In lllisse sf celebra l'uomo ma anche i suoi limiti. In
ciò consiste il dramma
dantesco di IJlisse, nel quale in parte si riconosce lo stesso Dante, che in un certo periodo
si è lasciato suggestionare dall,orgoglio
intellettuale di poter raggiungere la verità attraverso la sola via filosofica. Del resto é legiuimo il
sospetto che il condannato (IJtisse)
continui a contagiare il suo giudice (Dante). Il qyulg offeso ed esasperato dallo svolazzui" p", mare e per
terra dei mercanti fiorentini,
manifestamente si lascia ancora emozionare dal "folle volo" del suo vecchio eroe, e manifestamente
condivide con lui, non solo
f insofferenza per le meschinerie del cuore, ma anche il sentimento
- che affiora iieve e straziante sul far del canto - di invecchiare
nelia solitudine di una nostalgia senza ritorno, senza "nostos" insomma, puro "algos,,, dolore puro.
DISTTCO ELEGIACO
ESA,IAETR,O E PENTAN,IETRO
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V\I II
DATTILO SPONDEO
Lo CESURA code sempre o metà o a due terzi del piedet quellemqschili codono dopo porte
la forte del piade, guelle
femminili dopo lo porte debole; quelle principali o metò delversa,quallesecondarìe sostengono
un'Gltr6 cesuro e si
trovono di solito qll'inizio del verso.
La DrEREsr BUcoLrcA è uno pausa rifmica che code o fine piede (di solito dopo il guarto).
Ha bisogno di una pauso
di senso forte, come un segno di interpunzione. È ussfo soprottutto d«i poeti bucolici.