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• I due artisti che hanno profondamente segnato Brecht e influenzato il suo nuovo
modo di fare teatro
• La nascita del teatro epico e la teoria dello straniamento
VITA
Bertolt Brecht è nato nel 1898 ad Augusta, città di provincia, tranquilla, defilata,
pigra, da cui lui vuole partire alla ricerca di nuovi stimoli.
Lui riesce inizialmente a sfuggire alla guerra, ad evitare l’arruolamento, perché nel
1917 si iscrive all’università di medicina a Monaco di Baviera, che frequenta in
modo abbastanza discontinuo. Dopo poco tempo viene però richiamato dal servizio di
leva ad Augusta, dove ricopre la funzione di infermiere per un solo mese, sufficiente
però per fargli cambiare rotta rispetto all’iniziale apprezzamento verso l’attività
militare tedesca e il nascente partito Nazional Socialista.
Finita la guerra e finito anche quel periodo opulento e prosperoso, lui lascia Amburgo
?), dove si era fin da giovane dedicato alla visione del teatro come spettatore e dove
aveva iniziato a recensirlo con piccoli articoli pubblicati sulla Gazzetta locale. Ma è a
Monaco che avrà il suo vero imprinting teatrale.
Brecht nel frattempo, prima di arrivare a Monaco, sviluppa una sorta di odio per
tutto ciò che è tedesco, probabilmente influenzato dalla sconfitta della Germania
nella grande guerra. Manifesta un atteggiamento critico nei confronti della cultura
tedesca e soprattutto di quella seriosa, austera e wagneriana (drammi per musica di
Wagner).
Una volta giunto a Monaco si ritrova immerso in una città frizzante più viva rispetto
al suo paesino di provincia.
Qui avviene il primo dei due incontri incredibili e significativi della vita di Brecht.
Nel 1917, quando inizia gli studi universitari, incontra un artista monacense/bavarese
tra i più influenti di quel tempo: Karl Valentin (1882-1948).
KARL VALENTIN
Karl Valentin era l’icona dell’arte e del teatro tedesco, ma non ha MAI affrontato
delle tournée internazionali in Germania; lui era sì espressione dello spirito del
tempo, dotato di un’ironia comprensibile a tutti, ma era caratterizzato anche da
riferimenti fortemente locali, monacensi.
Nella declinazione tedesca era un ambiente fumoso dove tante persone si univano per
mangiare würstel e crauti, per bere, incontrarsi e assistere alle varie scenette che
venivano proposte. Il pubblico era trasversale ed eterogeneo, composto da operai,
prostitute, gente del popolo, ma anche intellettuali e artisti.
Non possiamo relegare questo artista all’ambito del teatro minore, lui era più di un
attore di Second’ordine, era poliedrico, sfaccettato, un’inventore oltre che un attore
comico.
Lui era anche inventore di macchine; suonava tantissimi strumenti e aveva avuto
l’idea di inventare una super orchestra realizzata con un unico strumento che
comprendeva tutti i vari organi dell’orchestra, pensato per suonare da solo. Poi lo
distruggerà.
Karl Valentin era un personaggio eclettico e anche autore degli sketch che portava in
scena.
La sua compagnia era veramente basilare: unicamente composta da lui, Karl, e dalla
sua spalla, un’attrice di nome Liesl Karlstadt. Le sue scene erano accompagnate da
un’orchestrina dove Brecht suonava il clarino. Brecht suonando per lui si illumina e
capisce che Karl Valentin sarà uno dei suoi riferimenti imprescindibili.
Anche il suo aspetto fisico era estremamente particolare ed incisivo: era fortemente
magro, aveva la faccia scheletrica, scavata, sembrava una sorta di manichino di cera,
con il naso posticcio e la faccia imbiancata e funerea. Sembrava un emarginato, un
personaggio di un altro mondo. Portava un paio di occhialetti privi di lenti. Il corpo
era estremamente spigoloso e anche le gambe erano affusolate e scheletriche. Era un
fisico assolutamente strano che già creava un carattere, quasi volesse rappresentare
con le sue scene di vita quotidiana, un mondo non dissolto a in dissoluzione.
Ciò che colpisce maggiormente Brecht è l’uso che Karl fa del LINGUAGGIO.
Karl Valentin era non solo un artista ma anche un autore: ha scritto 450 scenette che
poi ha dato alle scene, erano quelle che rappresentava con la sua spalla.
Ciò che faceva ridere il pubblico era la sottile ironia. Lui non era banalmente
comico, era capace di rovesciare il linguaggio, disarticolare le parole dalle cose,
dalle idee e dai segni.
Il suo era un realismo all’eccesso e il suo smontare e decostruire la realtà non era
fine a se stesso, ma aveva un valore estremamente riflessivo.
Questo è uno dei suoi sketch e risulta essere un classico esempio del rovesciamento
del senso comune, perché rende materiale un rapporto puramente spirituale, quello
tra un padre e una figlia.
Si tratta di una lettera scritta alla figlia che lui proponeva nel suo teatro di varietà.
All’interno di questa lista, che lui leggeva in scena, c’è un lunghissimo e
dettagliatissimo elenco di tutte le spese che lui ha dovuto sostenere per la figlia a
partire dalla sua nascita. Come conclusione chiede alla figlia di risarcirlo e le concede
il 10% di sconto; le da otto giorni per pagare, altrimenti sarebbe ricorso ad un’azione
legale.
Questo sketch lavora sui luoghi comuni del linguaggio e sull’inversione, sulla
letteralità di alcune espressioni linguistiche.
(Guardiamo i video)
Valentin nell’ultima parte della sua vita, metà degli anni ’40, ha registrato in video
gran parte delle sue scenette, quindi quello che noi vediamo non è il Karl Valentin
all’apice del successo, ma una sua versione più matura.
Karl Valentin segue la linea tipica del suo ambiente per la creazione del suo
personaggio, partendo dalle proprie caratteristiche fisiche. Il profilo della sua
silouette contribuiva a dar vita a questo tipo di recitazione “dall’altro mondo”,
distaccata.
Lo colpisce anche il suo atteggiamento nei confronti della parola: lui rovescia il
linguaggio, ma non per fari ridere banalmente, lui fa ridere perché innesta un
paradosso, una sorta di nonsenso.
Lo cattura anche il suo eccessivo realismo, oltre che la sua genialità di pensiero.
L’elenco completo che scrive nella lettera alla figlia potrebbe apparire noioso, ma ha
senso perché si riferisce proprio alle spese da lui sostenute; è un dato concreto.
Questo riferirsi alla realtà significa non essere astratti, e a Brecht interessa la
concretezza, non i grandi ragionamenti. Lui vuole dei dati, perché partendo dai dati
si può iniziare a parlare di qualcosa concretamente.
A BERLINO
Brecht, dopo Monaco, va nella capitale, a Berlino. Lui all’epoca aveva già iniziato a
scrivere drammi, ma nutre l’aspirazione di scrivere per la scena. Appena arriva a
Berlino non ottiene l’effetto sperato. Vince subito, nel 1922, il Premio Kleist, il
miglior premio che poteva vincere all’epoca uno scrittore, ma, malgrado questo, i
suoi drammi non vengono rappresentati e non riesce quindi ad inserirsi nel panorama
teatrale/artistico del tempo.
Brecht vive nello stesso contesto e negli stessi anni di Marlene Dietrich. Frequenta la
stessa cerchia di intellettuali e artisti berlinesi e respira la stessa aria. Berlino in
quegli anni era movimentata, colorata, colma di Riviste, genera molto in voga al
momento. In quegli anni (anni ’20) a Berlino arriva anche il jazz e la novità del
cinema hollywoodiano.
Brecht troverà in questa Chicago europea una possibilità di affermarsi soltanto alla
fine degli anni ’20, con la massima ascesa del partito Nazional-Socialista, un’ascesa
irresistibile, a tratti paradossale rispetto all’effervescenza che si respirava. Un ruolo
chiave lo ebbe il genio pubblicitario di Ghebes, il protagonista e motore dell’ascesa
del partito. Lui aveva un sinistro talento organizzativo e aveva creato una propaganda
basata su un linguaggio semplice ma aggressivo. Brecht vive tutto questo.
Brecht vive questo clima artisticamente agiato, che sconvolge le forme, esprimendo
la necessità di un nuovo linguaggio, come quello aggressivo e semplice del partito
nazista, mentre dall’altra parte si avverte la necessità di un teatro semplice e popolare,
che sia anche politico. Un teatro che permetta anche di decostruire quella mentalità
populista, violenta e razzista propria del partito Nazional-Socialista, che già si
manifestava all’orizzonte.
Ma non basta proporti queste grandi intenzioni, questi grandi propositi: questo teatro
deve anche produrre uno spettatore adeguato. Questo teatro nuovo deve avere
un’efficacia, deve generare un cambiamento, deve essere strumento di cambiamento
e può esserlo solo generando uno spettatore che sia:
• Vigile
• Oggettivo
• Che non si immedesimi nella vicenda
• Non sentimentalmente partecipe
• Non passivo
• Non intossicato dal sentimentalismo della pièce del dramma
Perché il teatro di Brecht è un teatro che ricerca il piacere della ragione, vuole
generare divertimento intelligente e quindi richiede uno spettatore “seduto in platea
che fuma il sigaro”, che guarda con distacco quello che avviene perché intento a
riflettere e a ragionare, non coinvolto emotivamente.
Questo teatro non deve coinvolgerlo, ma deve generare un distacco da cioè che viene
raccontato, in modo tale che lo spettatore non si immerga nella vicenda.
Brecht invece vuole uno spettatore che non sia ammorbato dai personaggi, che non
cada nelle trappole della trama, ma esattamente il contrario.
L’opera da tre soldi è stata scritta da Brecht, ma si tratta di una sorta di riscrittura di
The Beggar's Opera di John Gay (1728), una parodia del melodramma tedesco,
riproposta da Brecht 200 anni dopo.
Qui lui è solo autore, non è ancora regista. Il regista è Erich Engel, fidato
compagno di Brecht che lo assisterà fino al 96 nella regia delle sue opere
drammatiche. Le scenografie sono di un compagno di scuola di Brecht, che aveva
perseguito un percorso parallelo a quello di Bertolt e le musiche sono di Kurt Weill.
È questo il nucleo da cui parte il cosiddetto TEATRO EPICO.
Partendo da L’opera da tre soldi Brecht inizia a definire il suo nuovo teatro sia sul
piano della drammaturgia sia sul piano formale e inizia anche a scrivere sulle
forme e modalità in cui questo nuovo teatro si fonda.
Anche con gli attori inizia a lavorare con delle modalità che in futuro verranno
definite “straniamento”. Già attraverso L’opera da tre soldi getta getta i fondamenti
di quello che sarà poi definito Teatro epico e Teoria dello straniamento. Queste
terminologie verranno introdotte successivamente, quando sarà lui il regista delle
proprie opere.
Lo spettatore deve
capire sempre cosa sta
succedendo, non può
essere eliso. E così le
parti cantate devono
essere stavate dal resto,
gli strumenti musicali
venivano calati
dall’alto e venivano
usati i siparietti,
ovvero dei piccoli
sipari calati di lato o
dall’alto che
permettono di
scomporre la scena, di
l a v o r a r e
contemporaneamente
su più scene (scene multiple), distinguendo il parlato dal cantato.
Potevano essere usate anche delle superfici su cui proiettare delle immagini. In
questi anni iniziano anche le proiezioni filmiche, adottate anche in teatro; potevano
essere proiettate delle immagini anche sui siparietti, che raffiguravano elementi di
realtà o dati.
Brecht fa riferimento a dati concreti e reali, fondamentali per lui come per Valentin:
es. crolli delle borse, valori del marco, il costo del pane, etc.
Vengono utilizzati anche i CARTELLI con scritti i luoghi delle azioni o le entrate
dei personaggi o i numeri delle scene, per far capire allo spettatore che sta vedendo
uno spettacolo. In questo modo non viene risucchiato dentro la scena.
Non c’è finzione per Brecht, non perché l’attore non faccia l’attore, ma perché
l’attore e la scena non devono riprodurre interamente la realtà. Bastano pochi oggetti
per rappresentare una stanca, basta evocarla.
Se la scena è evocativa lo spettatore deve appunto evocare quello che manca, se ci
fosse già tutto non ci sarebbe il ragionamento, che è ciò che invece vuole Brecht.
Questo tipo di drammaturgia, il contrasto tra melodia e testo, le fonti luminosi a vista,
i cambi di costume e di scena a vista e gli spostamenti dei macchinisti, sono tutti
elementi che Brecht ha imparato dal varietà e dalle riviste, che non si preoccupavano
di rappresentare la realtà, non ne avevano bisogno.
TEATRO EPICO
Per questo il teatro di Brecht viene definito “epico”, perché non è un teatro
drammatico ed emotivo.
La stessa cosa avviene per le canzoni. Molte delle canzoni di Brecht divennero parte
del repertorio di numerose cantanti, anche non prettamente teatrali.
Tra le più iconiche vi è quella della serva, “Jenny dei pirati”, sempre tratta da
L’opera da tre soldi, che è emblematica per riconoscere il contrasto tra musica e
contenuto, oltre che per il tipo di recitazione richiesta.
L’estratto è tratto dal film che è stato girato nel 1931, alcuni anni dopo il successo
dell’allestimento teatrale, e che ha generato aspre critiche da parte di Brecht nei
confronti del regista, Georg Wilhelm Pabst. Brecht non l’ha mai riconosciuto, e anzi,
l’ha ripudiato, perché la sceneggiatura da lui curata non corrispose poi alle sue
aspettative.
Non è solo nelle canzoni che si evince il metodo di Brecht, ma soprattutto nella
prosa.
Gli anni dell’esilio sono anni molto floridi, caratterizzati da una forte produzione.
A partire dalla metà degli anni ’30 fino al ‘46 si dedica alla scrittura di una serie di
interventi, scritti teorici, e dei suoi grandi successi teatrali:
All’interno degli scritti teorici parla di tutti gli elementi tipici del teatro, fa riflessioni
in merito al teatro classico e mette a punto il proprio metodo, il teatro epico.
Tra la redazione de L’opera da tre soldi e la scrittura delle sue altre opere avviene un
secondo incontro fondamentale, quello con Mei Lanfang, uno dei più grandi artisti
del teatro cinese, il più grande esponente dell’Opera di Pechino.
Brecht e Mei erano praticamente coetanei. Lui era un attore cinese dell’Opera di
Pechino, ovvero il teatro tradizionale cinese, sviluppatosi a partire da l1600 ca., che
recupera le storie del folklore cinese.
Caratteristiche
Le rappresentazioni proposte erano una serie di satire apprese a memoria dagli
attori. Questi ultimi, fino agli anni ’20 del Novecento, erano solo maschi e
interpretavano en travesti i ruoli femminili, restando legati a quel ruolo per la loro
intera esistenza artistica. C’erano proprio degli attori quindi che si specializzavano in
ruoli femminili, che danzavano, cantavano, recitavano; alcune scene prevedevano
anche acrobazie, legate soprattutto alle arti marziali.
Le parti recitate erano molto brevi, mentre erano numerose le parti cantate. Queste
ultime non venivano necessariamente eseguite da attori, ma potevano esserci dei
cantanti parallelamente alle figure attoriali. Il montaggio avveniva per scene
successive, non necessariamente incatenate.
Mei Lanfang
Per tutti i suoi meriti, artistici e non, la sua lungimiranza, l’apertura di sguardi, e il
suo impegno nel far rifiorire il teatro, venne chiamato dal governo sovietico, come
rappresentante della Cina, per partecipare ad un programma artistico aperto a tutto il
mondo, non solo europeo, ma anche asiatico.
Lanfang raggiunse Mosca nel 1935, entrando in contatto con tantissimi esponenti del
teatro e del cinema del momento, come Stanislavskij e Eisenstein. Quest’ultimo
allora si occupava di teatro, ma era anche uno dei maggiori registi di cinema
(cineasti) del tempo, ed era attratto dalle forme artistiche del mondo asiatico.
È Eisenstein che accoglie Lanfang a Mosca e lo filma durante una delle sue
esibizioni, e in particolare riprende un particolare momento che si imprimerà
indelebilmente nella memoria di Brecht. Al termine dei suoi spettacoli e delle
repliche Lanfang viene interrogato in merito alla sua tradizione teatrale, ai contenuti
proposti, ed è chiamato ad analizzare e a discutere delle tecniche recitative adottate
nella sua tradizione. Mei viene ripreso mentre esegue tutta una sequenza di uno dei
suoi personaggi, che aveva interpretato poco prima in teatro. Per rispondere a queste
domande e mostrare su cosa si basassero la sua tecnica e i suoi meccanismi di
recitazione, porta ad esempio un pezzo che era solito eseguire interpretando il suo
personaggio, ma lo fa indossando abiti occidentali borghesi. L’esecuzione è identica a
come l’avrebbe fatta indossando il costume del suo personaggio femminile, i
movimenti vengono eseguiti con la stessa identica precisione.
Brecht era già in esilio e all’epoca si trovava proprio a Mosca, durante questo
programma artistico promosso dall’Unione Sovietica e rimane impressionato da
questa esibizione. Capisce che ciò che ha visto è proprio ciò che stava cercando:
Lanfang era la dimostrazione vivente della sua idea di teatro.
Lo spettatore non è portato a credere che lui sia l’eroina vittima dell’incantesimo, ma
l’attore stesso sta enunciando il personaggio. È come se dicesse “Io sto facendo
questa principessa che si comporta così”.
Brecht dice che “L’attore si guarda”, per intendere che l’attore non è quel
personaggio, non si confonde con lui, non ne è posseduto. L’attore si guarda, guarda
il suo corpo, lo spazio che sta attraversando. In questo modo l’artista separa l’atto di
immedesimazione da quello del gesto.
Per cui le storie proposte dall’Opera di Pechino sono strutturate in modo preciso, un
po’ come il balletto; le strutture si sono stabilizzate nel tempo e vengono sempre
eseguite alla lettera.
Lui fa ricorso a due esempi per spiegare cos’è la teoria dello Straniamento:
1) Re Liar
2) Testimone Oculare
Il teatro che propone Brecht non è un teatro politico come il teatro Agit-Prop.
Quest’ultimo era un teatro che si esprimeva contro lo sfruttamento capitalistico degli
operai ed era volto a raccontare le condizioni di vita del proletariato, dei contadini
allo scopo di generare una sorta di consapevolezza e emancipazione nel pubblico che
ascoltava. Brecht ha altri intenti: lui vuole un teatro capace di incitare il
cambiamento, che parta però dalla capacità dello spettatore di essere vigile e attento;
un teatro capace di decostruire le verità che vengono proposte dalla propaganda
nazista, verità assertive e violente nella loro semplicità.
Brecht sa che il nostro mondo è un mondo in cui l’uomo non è passivo, ma attivo,
perché in grado di agire sulla natura con la scienza e la tecnologia. Può intervenire sui
cicli della natura fino a distruggerli, per cui può cambiare le strutture, non solo
subirle, può cambiare il mondo.
BRECHT REGISTA
Brecht fino al ’46 è stato prevalentemente autore, ma a partire dal ’47 diventa anche
regista delle sue opere. Tra il ’33 e il ’46 non fa altro che scrivere e viaggia in tutto il
mondo, costretto a scappare perché perseguitato.
Poi scopre questa dimensione anche registica e da questo momento in poi cambia
moltissimo anche il suo approccio.
Ciò che lui aveva scritto negli anni ’30, ovvero le sue opere teatrali, ma anche i suoi
scritti teorici, hanno nel frattempo fatto il giro del mondo, rendendo Brecht già molto
famoso come autore (inizialmente acquisteranno fama le sue opere scritte, gli
allestimenti verranno realizzati solo in un secondo momento, a partire dal ’46)
Quando però inizia a dedicarsi alla regia delle sue opere ridimensiona tutto,
ammorbidisce molte delle sue posizioni che erano inizialmente molto teoriche e
concettuali, non completamente astratte. Da regista capisce che la creazione è un
lavoro collettivo che coinvolge quindi anche gli attori, che avviene insieme agli
attori, e non è calato dall’alto e distaccato.
Questo mutamento nelle sue posizioni cambia anche gli esiti della sua produzione.
Abbandona anche le note di regia e affronta anche tematiche diverse.
Prima di diventare regista, lui ci tiene a rendere chiaro il suo pensiero, a fornire
un’elaborazione concettuale che poi precipita anche nella pratica, nella scrittura,
portandolo però ad essere anche più rigido, poco flessibile, perché sta mettendo a
punto il suo pensiero.
Quando però si ritrova a dover realmente mettere in scena ciò che ha scritto, il suo
sistema si ammorbidisce, mette in discussione tutto, o almeno così dice lui, anche se
in realtà non è del tutto vero, perché sono poche le cose che realmente modifica. Certi
aspetti possono risultare meno schematici e/o comunque refrattari ad una non
interpretazione. Si rende conto che il lavoro creativo che coinvolge anche gli attori
richiede un altro tipo di sensibilità.
Brecht si dedica alla regia fino alla sua morte, avvenuta nel ’56. Poi sarà la moglie a
prendere in mano le sorti della sua compagnia e i diritti di Bertolt, la cui conoscenza
in Italia è dovuta ad un piccolo teatro e a Strehler che insieme ad altri registi aveva
messo in scena le opere di Brecht. Quest’ultimo rimase incantato dagli allestimenti di
Strehler, lo vedeva come il regista ideale delle sue opere.
Le storie che propone Brecht hanno poi un contenuto sociale, cioè riflettono la
società anche se vengono ambientate in contesti spazio-temporali diversi e lontani.
Gli ultimi anni della sua vita li dedica interamente al lavoro e alla costituzione della
sua compagnia: la Berliner Ensemble che anche ora replica la tradizione brechtiana.
È una sorta di museo di Brecht.
Brecht lavora con gli attori della sua compagnia per realizzare gli allestimenti delle
sue opere.
Inoltre nel 1954, a due anni dalla sua morte, viene finalmente scoperto e apprezzato il
“Brecht regista” del suoi drammi attraverso una tournée del suo ensemble in
Francia. La sua compagnia si esibisce a Parigi, in occasione del famoso Festival
delle Nazioni che convocava i più bravi artisti dei vari Paesi. Il suo passaggio è stato
indelebile, ha segnato una spartiacque nella critica del tempo, diventando una fonte di
ispirazione per i registi e la scena teatrale-artistica dell’epoca.