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23/01/2021

BERTOLT BRECHT e il teatro epico

I punti salienti che toccheremo saranno:

• I due artisti che hanno profondamente segnato Brecht e influenzato il suo nuovo
modo di fare teatro
• La nascita del teatro epico e la teoria dello straniamento

VITA

Bertolt Brecht è nato nel 1898 ad Augusta, città di provincia, tranquilla, defilata,
pigra, da cui lui vuole partire alla ricerca di nuovi stimoli.

Cresce sotto la rigidità e austerità dell’educazione guglielmina; è un giovane dalle


grandi speranze che in questo periodo vengono inevitabilmente disilluse, spezzate,
dall’inizio della Prima Guerra Mondiale.

Lui riesce inizialmente a sfuggire alla guerra, ad evitare l’arruolamento, perché nel
1917 si iscrive all’università di medicina a Monaco di Baviera, che frequenta in
modo abbastanza discontinuo. Dopo poco tempo viene però richiamato dal servizio di
leva ad Augusta, dove ricopre la funzione di infermiere per un solo mese, sufficiente
però per fargli cambiare rotta rispetto all’iniziale apprezzamento verso l’attività
militare tedesca e il nascente partito Nazional Socialista.

Finita la guerra e finito anche quel periodo opulento e prosperoso, lui lascia Amburgo
?), dove si era fin da giovane dedicato alla visione del teatro come spettatore e dove
aveva iniziato a recensirlo con piccoli articoli pubblicati sulla Gazzetta locale. Ma è a
Monaco che avrà il suo vero imprinting teatrale.

Brecht nel frattempo, prima di arrivare a Monaco, sviluppa una sorta di odio per
tutto ciò che è tedesco, probabilmente influenzato dalla sconfitta della Germania
nella grande guerra. Manifesta un atteggiamento critico nei confronti della cultura
tedesca e soprattutto di quella seriosa, austera e wagneriana (drammi per musica di
Wagner).

Ma detesta anche tutto ciò che è legato all’avanguardia, come ad esempio


l’Espressionismo, molto florido all’epoca soprattutto in Baviera.

Avanguardia: qualcosa che è concettualmente elitario, non popolare, non impegnato


ma caratterizzato da una sorta di leggerezza, astratto nei concetti, nei tipi di contenuti
e di forme che elabora.
Per Brecht Avanguardia sta per qualcosa di intellettuale che ha poca presa sul largo
pubblico.

Una volta giunto a Monaco si ritrova immerso in una città frizzante più viva rispetto
al suo paesino di provincia.

Qui avviene il primo dei due incontri incredibili e significativi della vita di Brecht.
Nel 1917, quando inizia gli studi universitari, incontra un artista monacense/bavarese
tra i più influenti di quel tempo: Karl Valentin (1882-1948).

KARL VALENTIN

Karl Valentin era l’icona dell’arte e del teatro tedesco, ma non ha MAI affrontato
delle tournée internazionali in Germania; lui era sì espressione dello spirito del
tempo, dotato di un’ironia comprensibile a tutti, ma era caratterizzato anche da
riferimenti fortemente locali, monacensi.

Era un artista straordinario e Brecht si unisce a lui in compagnia.

• Ma quale compagnia? Quale teatro?


Karl Valentin non era un attore di rango dei grandi palcoscenici, ma era uno dei
protagonisti più amati e popolari del varietà tedesco, in particolare del varietà
bavarese di Monaco, che si chiamava il “tingeltangel” (caffè-concert tedesco).

Nella declinazione tedesca era un ambiente fumoso dove tante persone si univano per
mangiare würstel e crauti, per bere, incontrarsi e assistere alle varie scenette che
venivano proposte. Il pubblico era trasversale ed eterogeneo, composto da operai,
prostitute, gente del popolo, ma anche intellettuali e artisti.

Il RE del tingeltangel monacense, che aveva ottenuto successo in tutta la Germania,


era Karl Valentin.

Non possiamo relegare questo artista all’ambito del teatro minore, lui era più di un
attore di Second’ordine, era poliedrico, sfaccettato, un’inventore oltre che un attore
comico.
Lui era anche inventore di macchine; suonava tantissimi strumenti e aveva avuto
l’idea di inventare una super orchestra realizzata con un unico strumento che
comprendeva tutti i vari organi dell’orchestra, pensato per suonare da solo. Poi lo
distruggerà.

Karl Valentin era un personaggio eclettico e anche autore degli sketch che portava in
scena.
La sua compagnia era veramente basilare: unicamente composta da lui, Karl, e dalla
sua spalla, un’attrice di nome Liesl Karlstadt. Le sue scene erano accompagnate da
un’orchestrina dove Brecht suonava il clarino. Brecht suonando per lui si illumina e
capisce che Karl Valentin sarà uno dei suoi riferimenti imprescindibili.

Molte erano le qualità che caratterizzavano la figura di Valentin: lui era


straordinariamente ironico, era una sorta di Chaplin tedesco, un comico triste e raro;
scrivevano di lui come un artista:

• Capace di pensare a rovescio


• Come se provenisse da un altro pianeta
• Smisuratamente buffo
• Non faceva dello spirito, ma lui stesso era come se fosse una battuta di spirito

Anche il suo aspetto fisico era estremamente particolare ed incisivo: era fortemente
magro, aveva la faccia scheletrica, scavata, sembrava una sorta di manichino di cera,
con il naso posticcio e la faccia imbiancata e funerea. Sembrava un emarginato, un
personaggio di un altro mondo. Portava un paio di occhialetti privi di lenti. Il corpo
era estremamente spigoloso e anche le gambe erano affusolate e scheletriche. Era un
fisico assolutamente strano che già creava un carattere, quasi volesse rappresentare
con le sue scene di vita quotidiana, un mondo non dissolto a in dissoluzione.

Ciò che colpisce maggiormente Brecht è l’uso che Karl fa del LINGUAGGIO.

Karl Valentin era non solo un artista ma anche un autore: ha scritto 450 scenette che
poi ha dato alle scene, erano quelle che rappresentava con la sua spalla.

Ciò che faceva ridere il pubblico era la sottile ironia. Lui non era banalmente
comico, era capace di rovesciare il linguaggio, disarticolare le parole dalle cose,
dalle idee e dai segni.

Il suo era un realismo all’eccesso e il suo smontare e decostruire la realtà non era
fine a se stesso, ma aveva un valore estremamente riflessivo.

“Lettera alla figlia Bert”

Questo è uno dei suoi sketch e risulta essere un classico esempio del rovesciamento
del senso comune, perché rende materiale un rapporto puramente spirituale, quello
tra un padre e una figlia.

Si tratta di una lettera scritta alla figlia che lui proponeva nel suo teatro di varietà.
All’interno di questa lista, che lui leggeva in scena, c’è un lunghissimo e
dettagliatissimo elenco di tutte le spese che lui ha dovuto sostenere per la figlia a
partire dalla sua nascita. Come conclusione chiede alla figlia di risarcirlo e le concede
il 10% di sconto; le da otto giorni per pagare, altrimenti sarebbe ricorso ad un’azione
legale.

L’eccesso di realismo lo vediamo nella quantificazione esatta dei costi sostenuti.


L’ironia nasce da questo rovesciamento, dal tono formale che usa per rivolgersi alla
figlia, il che è assurdo, come del resto la richiesta del padre, ma questo porta lo
spettatore a ragionare.

Questo rovesciamento creato grazie all’utilizzo di un linguaggio formale, in contrasto


con un rapporto che dovrebbe essere spirituale, genera ironia.

Altra Gag che si può esemplificare è: “In farmacia”

Questo sketch lavora sui luoghi comuni del linguaggio e sull’inversione, sulla
letteralità di alcune espressioni linguistiche.

Si tratta in questo caso di un duetto, non di un monologo come quello precedente e


coinvolge Valentin e la farmacista. Lui è alla ricerca di un farmaco e lei gliene
propone uno che ha un nome lunghissimo e difficilissimo da pronunciare. Solo lei è
in grado di farlo e la comicità è data dal fatto che per lei è così scontata l’utilità di
quel farmaco per risolvere il problema del cliente; per lei è sicuramente il farmaco
giusto.

(Guardiamo i video)

Valentin nell’ultima parte della sua vita, metà degli anni ’40, ha registrato in video
gran parte delle sue scenette, quindi quello che noi vediamo non è il Karl Valentin
all’apice del successo, ma una sua versione più matura.

Karl Valentin segue la linea tipica del suo ambiente per la creazione del suo
personaggio, partendo dalle proprie caratteristiche fisiche. Il profilo della sua
silouette contribuiva a dar vita a questo tipo di recitazione “dall’altro mondo”,
distaccata.

È da questa assenza di immedesimazione che Brecht viene colpito, dal suo


provenire da un altro mondo, come se appartenesse ad un’altra dimensione e ad un
altro tempo.

Lo colpisce anche il suo atteggiamento nei confronti della parola: lui rovescia il
linguaggio, ma non per fari ridere banalmente, lui fa ridere perché innesta un
paradosso, una sorta di nonsenso.


Lo cattura anche il suo eccessivo realismo, oltre che la sua genialità di pensiero.
L’elenco completo che scrive nella lettera alla figlia potrebbe apparire noioso, ma ha
senso perché si riferisce proprio alle spese da lui sostenute; è un dato concreto.
Questo riferirsi alla realtà significa non essere astratti, e a Brecht interessa la
concretezza, non i grandi ragionamenti. Lui vuole dei dati, perché partendo dai dati
si può iniziare a parlare di qualcosa concretamente.

A partire da qui Brecht inizia ad adottare un atteggiamento diverso nella scena.


Valentin è molto importante per la sua crescita artistica, anche se la sua influenza non
viene mai sottolineata a dovere.

A BERLINO

Brecht, dopo Monaco, va nella capitale, a Berlino. Lui all’epoca aveva già iniziato a
scrivere drammi, ma nutre l’aspirazione di scrivere per la scena. Appena arriva a
Berlino non ottiene l’effetto sperato. Vince subito, nel 1922, il Premio Kleist, il
miglior premio che poteva vincere all’epoca uno scrittore, ma, malgrado questo, i
suoi drammi non vengono rappresentati e non riesce quindi ad inserirsi nel panorama
teatrale/artistico del tempo.

Brecht vive nello stesso contesto e negli stessi anni di Marlene Dietrich. Frequenta la
stessa cerchia di intellettuali e artisti berlinesi e respira la stessa aria. Berlino in
quegli anni era movimentata, colorata, colma di Riviste, genera molto in voga al
momento. In quegli anni (anni ’20) a Berlino arriva anche il jazz e la novità del
cinema hollywoodiano.

Il dipinto di Otto Dix, “Metropoli”, è un ottimo esempio per comprendere lo sfondo


sociale in cui Brecht muove i suoi passi: Berlino è un ricettacolo di tutte le
avanguardie provenienti dall’oltreoceano, offre nuove possibilità.

Brecht troverà in questa Chicago europea una possibilità di affermarsi soltanto alla
fine degli anni ’20, con la massima ascesa del partito Nazional-Socialista, un’ascesa
irresistibile, a tratti paradossale rispetto all’effervescenza che si respirava. Un ruolo
chiave lo ebbe il genio pubblicitario di Ghebes, il protagonista e motore dell’ascesa
del partito. Lui aveva un sinistro talento organizzativo e aveva creato una propaganda
basata su un linguaggio semplice ma aggressivo. Brecht vive tutto questo.

Brecht vive questo clima artisticamente agiato, che sconvolge le forme, esprimendo
la necessità di un nuovo linguaggio, come quello aggressivo e semplice del partito
nazista, mentre dall’altra parte si avverte la necessità di un teatro semplice e popolare,
che sia anche politico. Un teatro che permetta anche di decostruire quella mentalità
populista, violenta e razzista propria del partito Nazional-Socialista, che già si
manifestava all’orizzonte.

Brecht inizia a maturare l’idea di questo teatro comprensibile a tutti, popolare,


politico, ma privo di contenuti politici. È politico perché è performativo, ovvero ti
spinge ad agire; è un teatro riflessivo che ti permette di interrogare la realtà, di
smascherare le finzioni; è un teatro veritiero, oggettivo, che stimola la ragione, che
produce un pensiero critico e lucido.

Ma non basta proporti queste grandi intenzioni, questi grandi propositi: questo teatro
deve anche produrre uno spettatore adeguato. Questo teatro nuovo deve avere
un’efficacia, deve generare un cambiamento, deve essere strumento di cambiamento
e può esserlo solo generando uno spettatore che sia:

• Vigile
• Oggettivo
• Che non si immedesimi nella vicenda
• Non sentimentalmente partecipe
• Non passivo
• Non intossicato dal sentimentalismo della pièce del dramma

Perché il teatro di Brecht è un teatro che ricerca il piacere della ragione, vuole
generare divertimento intelligente e quindi richiede uno spettatore “seduto in platea
che fuma il sigaro”, che guarda con distacco quello che avviene perché intento a
riflettere e a ragionare, non coinvolto emotivamente.

Questo teatro non deve coinvolgerlo, ma deve generare un distacco da cioè che viene
raccontato, in modo tale che lo spettatore non si immerga nella vicenda.

Questo conferma l’avversione di Brecht al wagnerismo. Il teatro musicale di Wagner


è un teatro che avvolge lo spettatore nell’oscurità, che genera partecipazione, lo porta
ad inabissarsi nella musica che trasporta altrove, in un’altra dimensione, tramite il
linguaggio dell’anima.

Brecht invece vuole uno spettatore che non sia ammorbato dai personaggi, che non
cada nelle trappole della trama, ma esattamente il contrario.

L’OPERA DA TRE SOLDI

Il prototipo di questo tipo di teatro popolare e politico, disincantato, lucido, critico e


riflessivo, lo realizza con L’opera da tre soldi, la cui prima avviene a Berlino nel
1928.

L’opera da tre soldi è stata scritta da Brecht, ma si tratta di una sorta di riscrittura di
The Beggar's Opera di John Gay (1728), una parodia del melodramma tedesco,
riproposta da Brecht 200 anni dopo.

Qui lui è solo autore, non è ancora regista. Il regista è Erich Engel, fidato
compagno di Brecht che lo assisterà fino al 96 nella regia delle sue opere
drammatiche. Le scenografie sono di un compagno di scuola di Brecht, che aveva
perseguito un percorso parallelo a quello di Bertolt e le musiche sono di Kurt Weill.
È questo il nucleo da cui parte il cosiddetto TEATRO EPICO.

Trama: Lo spettacolo di Gay ricalca parodisticamente l’opera italiana, mentre


quello di Brecht/Weill il cabaret e il jazz. L’opera è ambientata nella Londra
vittoriana. Il protagonista è Macheath, un noto criminale, detto Mackie Messer o
Mack the Knife. Lui sposa Polly Peachum. Il padre di Polly che controlla tutti i
mendicanti di Londra, è sgradevolmente sorpreso dall’avvenimento e tenta di far
arrestare e impiccare Macheath. I suoi maneggi sono però complicati dal fatto che il
capo della polizia, Tiger Brown, è un amico di gioventù di Mackie. Alla fine
Peachum riesce a farlo condannare all’impiccagione, ma, poco prima dell’esecuzione,
Brecht fa apparire un messaggero a cavallo, inviato dalla “Regina” che grazia
Macheath e gli conferisce il titolo di baronetto, nella parodia di un lieto fine.

Partendo da L’opera da tre soldi Brecht inizia a definire il suo nuovo teatro sia sul
piano della drammaturgia sia sul piano formale e inizia anche a scrivere sulle
forme e modalità in cui questo nuovo teatro si fonda.

Anche con gli attori inizia a lavorare con delle modalità che in futuro verranno
definite “straniamento”. Già attraverso L’opera da tre soldi getta getta i fondamenti
di quello che sarà poi definito Teatro epico e Teoria dello straniamento. Queste
terminologie verranno introdotte successivamente, quando sarà lui il regista delle
proprie opere.

Caratteristiche dell’allestimento: Sul piano formale ci sono una serie di novità, a


partire dal tipo di drammaturgia. La drammaturgia NON è aristotelica, non è
lineare, non rispetta quelle convenzioni che venivano assecondate in tutto il teatro
Ottocentesco (unità di tempo, di luogo e di azione). L’opera non è aristotelica
nemmeno nei meccanismi, nella successione delle scene: lui decide di inframezzare
le parti recitate con quelle cantante. Le parti cantate non hanno però continuità con
quelle recitate, ma sono dei veri e propri inserti, staccati dal resto e l’allestimento
scenico deve rendere evidente questo distacco. In questo distacco delle parti sta la
novità. NON è realistico il fatto che una persona canti per raccontare qualcosa.

E anche le canzoni proposte hanno una caratteristica particolare: melodia allegra,


orecchiabile, popolare a anche piacevole, mentre il testo è estremamente spietato. Il
contenuto, le parole, entrano in contrasto con la piacevolezza della musica e questo
disaccordo è ciò che genera una sorta di sentimento di disturbo nello spettatore,
incomincia a far muovere lo spettatore sulla sedia, perché genera sorpresa. Questo
porta lo spettatore a distaccarsi dalla vicenda, a dimostrare un’attenzione diversa
perché deve capire cosa sta succedendo.

Ma ci sono anche altre novità. Sperimenta lo straniamento sia sul piano


scenografico che con gli attori.
Scenografia
Lo spettatore non si deve immedesimare per cui la scenografia NON deve essere
descrittiva o riprodurre qualcosa. Il teatro per Brecht NON deve fingere di essere
vero, ma deve esporre il fatto che si tratta di una rappresentazione. In questo
senso le fonti luminose devono essere a vista, non nascosti. Nel teatro di finzione
Ottocentesco questi macchinari che illuminano la scena e creano l’illusione sono
dietro le quinte. Brecht invece vuole renderli visibili e devono anche essere
manovrati a vista, i tecnici devono essere in scena, per cui anche loro sono attori e
devono spostare a vista tutti i materiali che sono funzionali alla rappresentazione.

Lo spettatore deve
capire sempre cosa sta
succedendo, non può
essere eliso. E così le
parti cantate devono
essere stavate dal resto,
gli strumenti musicali
venivano calati
dall’alto e venivano
usati i siparietti,
ovvero dei piccoli
sipari calati di lato o
dall’alto che
permettono di
scomporre la scena, di
l a v o r a r e
contemporaneamente
su più scene (scene multiple), distinguendo il parlato dal cantato.
Potevano essere usate anche delle superfici su cui proiettare delle immagini. In
questi anni iniziano anche le proiezioni filmiche, adottate anche in teatro; potevano
essere proiettate delle immagini anche sui siparietti, che raffiguravano elementi di
realtà o dati.

Brecht fa riferimento a dati concreti e reali, fondamentali per lui come per Valentin:
es. crolli delle borse, valori del marco, il costo del pane, etc.

Vengono utilizzati anche i CARTELLI con scritti i luoghi delle azioni o le entrate
dei personaggi o i numeri delle scene, per far capire allo spettatore che sta vedendo
uno spettacolo. In questo modo non viene risucchiato dentro la scena.

Non c’è finzione per Brecht, non perché l’attore non faccia l’attore, ma perché
l’attore e la scena non devono riprodurre interamente la realtà. Bastano pochi oggetti
per rappresentare una stanca, basta evocarla.
Se la scena è evocativa lo spettatore deve appunto evocare quello che manca, se ci
fosse già tutto non ci sarebbe il ragionamento, che è ciò che invece vuole Brecht.

Questo tipo di drammaturgia, il contrasto tra melodia e testo, le fonti luminosi a vista,
i cambi di costume e di scena a vista e gli spostamenti dei macchinisti, sono tutti
elementi che Brecht ha imparato dal varietà e dalle riviste, che non si preoccupavano
di rappresentare la realtà, non ne avevano bisogno.

TEATRO EPICO

• Se pensiamo all’EPICA cosa ci viene in mente?

Ci fa pensare agli aedi, ai cantastorie che cantavano i poemi omerici. Il cantastorie


non prende posizione, non si esprime a favore di un eroe piuttosto che di un’altro,
non giudica e non si immedesima completamente. Si limita a proteggere le battute e
ad enunciarle, non ad interpretarle, non è il suo compito. Deve essere credibile, usa
elementi della realtà, ma non si inabissa psicologicamente nella trama e nei
personaggi.

Per questo il teatro di Brecht viene definito “epico”, perché non è un teatro
drammatico ed emotivo.

La stessa cosa avviene per le canzoni. Molte delle canzoni di Brecht divennero parte
del repertorio di numerose cantanti, anche non prettamente teatrali.

Tra le più iconiche vi è quella della serva, “Jenny dei pirati”, sempre tratta da
L’opera da tre soldi, che è emblematica per riconoscere il contrasto tra musica e
contenuto, oltre che per il tipo di recitazione richiesta.

Ascolto: “Jenny dei pirati”

L’estratto è tratto dal film che è stato girato nel 1931, alcuni anni dopo il successo
dell’allestimento teatrale, e che ha generato aspre critiche da parte di Brecht nei
confronti del regista, Georg Wilhelm Pabst. Brecht non l’ha mai riconosciuto, e anzi,
l’ha ripudiato, perché la sceneggiatura da lui curata non corrispose poi alle sue
aspettative.

La canzone: questo brano parla di vendetta. La serva viene continuamente trattata


male, ma lei promette che un giorno si vendicherà. Verrà avvistata una nave pirata
all’orizzonte e ci sarà lei al comando, pronta a devastare villaggi e a far uccidere tutti
i suoi nemici.
Testo

Oh signori voi mi vedete asciugare le posate, disfare i letti


E mi date tre spiccioli di mancia e guardate i miei stracci
E questo albergo tanto povero e me
Ma ignorate chi son io davvero
Ma ignorate chi son io davvero
Ma una sera al porto grideranno e ci si domanderà
Cosa diavolo mai c'è?
Si vedrà che osservo il vino sorridendo
Si dirà, da ridere che c'è?
Tutta vele e cannoni
Una nave pirata
Al molo starà
M'han detto, asciuga i bicchieri ragazza, e m'han dato di mancia un cent
Mi son presa il soldino e sono andata a rifare un letto
Che nessuno domani disferà
Chi son io non c'è nessuno che lo sa
Chi son io non c'è nessuno che lo sa
Ma ecco gran rumore laggiù al porto e qualcuno griderà
Che succede mai laggiù?
Mi vedranno apparire alla finestra
Si dirà qualcosa certo c'è
E la nave pirata
Tutta vele e cannoni
Raderà la città
Oh, signori quando vedrete crollare la città vi farete smorti
Questo albergo starà in piedi in mezzo a un mucchio di sporche rovine
Di macerie e ci si chiederà il perché
Il perché di questo strano caso
Il perché di questo strano caso
Poi s'udranno grida vicino a noi e ci si domanderà
Come mai non sparan qui?
Verso l'alba mi vedranno uscire in strada
Si dirà chi è dunque quella lì?
Tutta vele e cannoni
Il vascello pirata
La bandiera isserà
E più tardi cento uomini armati verranno avanti e tenderanno agguati
Faranno prigionieri tutti quanti, li porteranno
Legati davanti a me
Mi diranno chi dobbiamo far fuori?
Mi diranno chi dobbiamo far fuori?
E il cannone allora tacerà e ci si domanderà
Chi dovrà morire?
Ed allora mi udranno dire
Tutti
E a ogni testa mozza io farò
Oplà
Tutta vele e cannoni
La galera di Jenny
Lascerà la città

La musica tuttavia è allegra. Il modo di recitare è distaccato.

(Ascolto Ute Lemper, bravissima cantante tedesca)

Non è solo nelle canzoni che si evince il metodo di Brecht, ma soprattutto nella
prosa.

OPERE TEORICHE E GRANDI SUCCESSI

Gli anni dell’esilio sono anni molto floridi, caratterizzati da una forte produzione.

A partire dalla metà degli anni ’30 fino al ‘46 si dedica alla scrittura di una serie di
interventi, scritti teorici, e dei suoi grandi successi teatrali:

• Santa Giovanna dei Macelli


• Madre Coraggio e i suoi figli
• L’anima buona di Sezuan
• Il signor Puntila e il suo servo Matti
• Vita di Galileo

Tutti costruiti a partire dalle basi de L’Opera da tre soldi.

All’interno degli scritti teorici parla di tutti gli elementi tipici del teatro, fa riflessioni
in merito al teatro classico e mette a punto il proprio metodo, il teatro epico.

L’OPERA DI PECHINO e Mei Lanfang

Tra la redazione de L’opera da tre soldi e la scrittura delle sue altre opere avviene un
secondo incontro fondamentale, quello con Mei Lanfang, uno dei più grandi artisti
del teatro cinese, il più grande esponente dell’Opera di Pechino.

Brecht e Mei erano praticamente coetanei. Lui era un attore cinese dell’Opera di
Pechino, ovvero il teatro tradizionale cinese, sviluppatosi a partire da l1600 ca., che
recupera le storie del folklore cinese.

Le drammaturgie univano canto, musica, danza, acrobazie e anche pantomima, per


cui gli attori erano poliedrici ed eclettici, dovevano saper recitare, ma anche cantare e
fare acrobazie.
Questo teatro tende a creare una sofisticata rarefazione del contenuti. È un teatro
fortemente codificato, caratterizzato da forme e movimenti molti precisi trasmessi
da mostro ad allievo da generazioni in generazioni.

Caratteristiche
Le rappresentazioni proposte erano una serie di satire apprese a memoria dagli
attori. Questi ultimi, fino agli anni ’20 del Novecento, erano solo maschi e
interpretavano en travesti i ruoli femminili, restando legati a quel ruolo per la loro
intera esistenza artistica. C’erano proprio degli attori quindi che si specializzavano in
ruoli femminili, che danzavano, cantavano, recitavano; alcune scene prevedevano
anche acrobazie, legate soprattutto alle arti marziali.

Le parti recitate erano molto brevi, mentre erano numerose le parti cantate. Queste
ultime non venivano necessariamente eseguite da attori, ma potevano esserci dei
cantanti parallelamente alle figure attoriali. Il montaggio avveniva per scene
successive, non necessariamente incatenate.

Mei Lanfang

Mei è un attore molto esile, che si specializza proprio in ruoli femminili. È


giovanissimo e viene riconosciuto come il re degli attori. Lui acquista fama al di là
dei confini della Cina ed è stato tra i primi ad aprire il teatro cinese e le tradizioni
teatrali cinesi anche alle donne e si è impegnato nel recupero delle tradizioni locali.

Per tutti i suoi meriti, artistici e non, la sua lungimiranza, l’apertura di sguardi, e il
suo impegno nel far rifiorire il teatro, venne chiamato dal governo sovietico, come
rappresentante della Cina, per partecipare ad un programma artistico aperto a tutto il
mondo, non solo europeo, ma anche asiatico.

Lanfang raggiunse Mosca nel 1935, entrando in contatto con tantissimi esponenti del
teatro e del cinema del momento, come Stanislavskij e Eisenstein. Quest’ultimo
allora si occupava di teatro, ma era anche uno dei maggiori registi di cinema
(cineasti) del tempo, ed era attratto dalle forme artistiche del mondo asiatico.

È Eisenstein che accoglie Lanfang a Mosca e lo filma durante una delle sue
esibizioni, e in particolare riprende un particolare momento che si imprimerà
indelebilmente nella memoria di Brecht. Al termine dei suoi spettacoli e delle
repliche Lanfang viene interrogato in merito alla sua tradizione teatrale, ai contenuti
proposti, ed è chiamato ad analizzare e a discutere delle tecniche recitative adottate
nella sua tradizione. Mei viene ripreso mentre esegue tutta una sequenza di uno dei
suoi personaggi, che aveva interpretato poco prima in teatro. Per rispondere a queste
domande e mostrare su cosa si basassero la sua tecnica e i suoi meccanismi di
recitazione, porta ad esempio un pezzo che era solito eseguire interpretando il suo
personaggio, ma lo fa indossando abiti occidentali borghesi. L’esecuzione è identica a
come l’avrebbe fatta indossando il costume del suo personaggio femminile, i
movimenti vengono eseguiti con la stessa identica precisione.

Brecht era già in esilio e all’epoca si trovava proprio a Mosca, durante questo
programma artistico promosso dall’Unione Sovietica e rimane impressionato da
questa esibizione. Capisce che ciò che ha visto è proprio ciò che stava cercando:
Lanfang era la dimostrazione vivente della sua idea di teatro.

Ciò che lo aveva colpito era la sua capacità di riprodurre un personaggio


indipendentemente dalle condizioni rappresentative, indipendentemente dall’illusione
data dal costume. Lanfang non si cala nei panni di, non interpreta quel personaggio,
non recita, non come se esistesse la quarta parete, non come se ignorasse chi lo
circonda, anzi, fa il contrario.

Lo spettatore non è portato a credere che lui sia l’eroina vittima dell’incantesimo, ma
l’attore stesso sta enunciando il personaggio. È come se dicesse “Io sto facendo
questa principessa che si comporta così”.

Brecht dice che “L’attore si guarda”, per intendere che l’attore non è quel
personaggio, non si confonde con lui, non ne è posseduto. L’attore si guarda, guarda
il suo corpo, lo spazio che sta attraversando. In questo modo l’artista separa l’atto di
immedesimazione da quello del gesto.

Il teatro tradizionale cinese è fortemente codificato, l’esecuzione del movimento è


rigoroso e intransigente. Brecht nota che l’attore si sforza di risultare estraneo
all’esibizione e a se stesso. Anche le azioni di lotta erano più che altro dimostrative,
piuttosto che immedesimati. Il gesto scorre parallelamente al resto, divide i livelli,
mantenendoli paralleli.

Per cui le storie proposte dall’Opera di Pechino sono strutturate in modo preciso, un
po’ come il balletto; le strutture si sono stabilizzate nel tempo e vengono sempre
eseguite alla lettera.

Mei è dunque la dimostrazione pratica dello straniamento dell’attore. Brecht


propone all’attore delle linee guida per poter lavorare sullo straniamento, all’interno
dello scritto “Il testimone oculare”.

Lui fa ricorso a due esempi per spiegare cos’è la teoria dello Straniamento:

1) Re Liar
2) Testimone Oculare

1. Il Re Liar è un’opera di Shakespeare che tratta della collera di Re Liar dovuta


all’ingratitudine delle figlie nei suoi confronti. Brecht dice che lo spettatore è
plasticassi immedesima completamente in Liar e in questo modo la collera che lui
rappresenta diventa una collera universale, perché questa forma di
immedesimazione tipica del teatro rappresentativo occidentale tende a riflettere
nello spettatore la stessa emozione. Lo spettatore quindi tende a dare ragione al
protagonista, a stare dalla sua parte, è totalmente intossicato da quelle emozioni,
crede in quello che vede e in quella collera, ritenendola giusta. È un teatro che
parla alla pancia dello spettatore impedendo però di decostruire, di riflettere,
perché è l’istinto a prevalere. Invece mediante la teoria dello straniamento lo
spettatore si stupisce per ciò che accade, vede la collera di Liar come una collera
umana, ma NON universalmente umana, perché ci sono anche uomini che non la
provano. Le esperienze di Liar non devono per forza scatenare la collera in tutti.
2. Ma in concreto come fa l’attore a raggiungere questo? Brecht nel famoso scritto
intitolato “Il testimone oculare” spiega come dovrebbe agire l’attore. Fa
riferimento al testimone oculare di un’incidente. Il testimone oculare mostra ad
un assembramento di gente la dinamica della disgrazia; i presenti possono aver
assistito anche loro al fatto ed essere di un parere diverso, o possono non averlo
visto affatto, ciò che importa è che il testimone rappresenti il comportamento
dell’autista o del pedone, in modo che gli altri si formino un’opinione. Il
testimone deve evitare che le persone si immedesimino in lui e non deve
nemmeno ammaliare gli ascoltatori, che non devono pensare: “Com’è bravo a
rappresentare!”. L’elemento distintivo è che nel rappresentare come sono andate
le vicende, manca l’apprestamento dell’illusione: il teatro per Brecht NON
deve più nascondere la sua natura di teatro. Se siamo testimoni di un evento lo
raccontiamo come se fosse davanti ai nostri occhi, ma non per prendere le parti di
qualcuno, lo scopo è riproporre ed enunciare la data situazione, non riprodurla
esattamente; la testimonianza deve essere segnaletica e l’atteggiamento
dimostrativo. Non è importante la causa psicologica dell’evento in questione,
non la possiamo conoscere, potrebbe essere qualsiasi ragione, l’importante è il
fatto in sé, riproposto in modo tale da porre l’ascoltatore nella posizione per
capire cosa è avvenuto e elaborare la sua personale opinione.

Il teatro che propone Brecht non è un teatro politico come il teatro Agit-Prop.
Quest’ultimo era un teatro che si esprimeva contro lo sfruttamento capitalistico degli
operai ed era volto a raccontare le condizioni di vita del proletariato, dei contadini
allo scopo di generare una sorta di consapevolezza e emancipazione nel pubblico che
ascoltava. Brecht ha altri intenti: lui vuole un teatro capace di incitare il
cambiamento, che parta però dalla capacità dello spettatore di essere vigile e attento;
un teatro capace di decostruire le verità che vengono proposte dalla propaganda
nazista, verità assertive e violente nella loro semplicità.

Brecht sa che il nostro mondo è un mondo in cui l’uomo non è passivo, ma attivo,
perché in grado di agire sulla natura con la scienza e la tecnologia. Può intervenire sui
cicli della natura fino a distruggerli, per cui può cambiare le strutture, non solo
subirle, può cambiare il mondo.
BRECHT REGISTA

Brecht fino al ’46 è stato prevalentemente autore, ma a partire dal ’47 diventa anche
regista delle sue opere. Tra il ’33 e il ’46 non fa altro che scrivere e viaggia in tutto il
mondo, costretto a scappare perché perseguitato.

Poi scopre questa dimensione anche registica e da questo momento in poi cambia
moltissimo anche il suo approccio.

Ciò che lui aveva scritto negli anni ’30, ovvero le sue opere teatrali, ma anche i suoi
scritti teorici, hanno nel frattempo fatto il giro del mondo, rendendo Brecht già molto
famoso come autore (inizialmente acquisteranno fama le sue opere scritte, gli
allestimenti verranno realizzati solo in un secondo momento, a partire dal ’46)

Quando però inizia a dedicarsi alla regia delle sue opere ridimensiona tutto,
ammorbidisce molte delle sue posizioni che erano inizialmente molto teoriche e
concettuali, non completamente astratte. Da regista capisce che la creazione è un
lavoro collettivo che coinvolge quindi anche gli attori, che avviene insieme agli
attori, e non è calato dall’alto e distaccato.

Questo mutamento nelle sue posizioni cambia anche gli esiti della sua produzione.
Abbandona anche le note di regia e affronta anche tematiche diverse.

Prima di diventare regista, lui ci tiene a rendere chiaro il suo pensiero, a fornire
un’elaborazione concettuale che poi precipita anche nella pratica, nella scrittura,
portandolo però ad essere anche più rigido, poco flessibile, perché sta mettendo a
punto il suo pensiero.

Quando però si ritrova a dover realmente mettere in scena ciò che ha scritto, il suo
sistema si ammorbidisce, mette in discussione tutto, o almeno così dice lui, anche se
in realtà non è del tutto vero, perché sono poche le cose che realmente modifica. Certi
aspetti possono risultare meno schematici e/o comunque refrattari ad una non
interpretazione. Si rende conto che il lavoro creativo che coinvolge anche gli attori
richiede un altro tipo di sensibilità.

Brecht si dedica alla regia fino alla sua morte, avvenuta nel ’56. Poi sarà la moglie a
prendere in mano le sorti della sua compagnia e i diritti di Bertolt, la cui conoscenza
in Italia è dovuta ad un piccolo teatro e a Strehler che insieme ad altri registi aveva
messo in scena le opere di Brecht. Quest’ultimo rimase incantato dagli allestimenti di
Strehler, lo vedeva come il regista ideale delle sue opere.

Le storie che propone Brecht hanno poi un contenuto sociale, cioè riflettono la
società anche se vengono ambientate in contesti spazio-temporali diversi e lontani.
Gli ultimi anni della sua vita li dedica interamente al lavoro e alla costituzione della
sua compagnia: la Berliner Ensemble che anche ora replica la tradizione brechtiana.
È una sorta di museo di Brecht.

Brecht lavora con gli attori della sua compagnia per realizzare gli allestimenti delle
sue opere.

Inoltre nel 1954, a due anni dalla sua morte, viene finalmente scoperto e apprezzato il
“Brecht regista” del suoi drammi attraverso una tournée del suo ensemble in
Francia. La sua compagnia si esibisce a Parigi, in occasione del famoso Festival
delle Nazioni che convocava i più bravi artisti dei vari Paesi. Il suo passaggio è stato
indelebile, ha segnato una spartiacque nella critica del tempo, diventando una fonte di
ispirazione per i registi e la scena teatrale-artistica dell’epoca.

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