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Complotti in Inghilterra

In Inghilterra Pio V intervenne per ristabilire la supremazia della religione cattolica con
l’insediamento sul trono di Maria Stuart al posto della regina Elisabetta I. Nel 1569 Maria Stuart,
regina cattolica di Scozia deposta dai suoi sudditi, si rifugiò presso la cugina Elisabetta che,
diffidando di lei a causa delle sue pretese sul trono inglese, la tenne prigioniera, lasciandole però la
possibilità di comunicare con i suoi amici. Di Maria Stuart e dei suoi sostenitori cattolici si servì Pio
V per realizzare il suo piano che si concluse, però, con un totale insuccesso. Non avendo la
possibilità di inviare un nunzio apostolico in Inghilterra per l’opposizione di Elisabetta, Pio V, nelle
sue trame contro di lei, si servì dell’opera del suo agente segreto Roberto Ridolfi, un nobile
fiorentino che ufficialmente esercitava la professione di banchiere, ma in realtà svolgeva un’azione
di sobillazione dei sudditi inglesi contro la loro sovrana – che, in quel momento, favoriva il culto
calvinista – per eliminarla dalla scena politica unitamente ai suoi sostenitori. Durante il pontificato
di Pio V i cattolici inglesi che sostenevano Maria Stuart organizzarono due complotti contro
Elisabetta: il primo nel 1569, il secondo nel 1571.
Il primo complotto sfociò nella cosiddetta «ribellione settentrionale» che fu capeggiata dai nobili
Thomas Howard, duca di Norfolk, Tommaso Piercy conte di Northumberland e Carlo Nevil conte
di Westmoreland. Esso prevedeva la destituzione di Elisabetta e l’insediamento sul trono di Maria
Stuart e del duca di Norfolk, che si sarebbero dovuti sposare dopo la vittoria dei ribelli. Scoppiata
nel novembre 1569, essa fu soffocata in breve tempo dall’intervento del’esercito inviato da
Elisabetta, composto anche da cattolici a lei fedeli, che la represse duramente con l’uccisione di
circa ottocento congiurati. Il Piercy e il Nevil scamparono all’eccidio rifugiandosi in Scozia. Il
Piercy fu successivamente consegnato alla regina Elisabetta che lo fece decapitare nell’agosto 1572.
La morte per la causa cattolica gli valse il conferimento del titolo di beato da parte di Leone XIII
nel maggio 1895. Sopravisse alla congiura il duca di Norfolk che fu arrestato e rinchiuso nella Torre
di Londra nell’ottobre 1569, perché sospettato di tradimento, poco prima dello scoppio del conflitto
armato. Liberato nell’agosto 1570, prese parte al secondo complotto che si concluse per lui
tragicamente. Fu sospettato di coinvolgimento nel complotto anche il Ridolfi ma, non essendosi
potute raggiungere le prove a suo carico, fu rimesso in libertà.
Pio V dette al complotto non solo il suo sostegno morale, ma anche quello finanziario, come risulta
dalla sua lettera del 20 febbraio 1570 diretta al Piercy e al Nevil. L’intermediario di Pio V con i
ribelli inglesi fu il Ridolfi, al quale il papa, stando alla testimonianza del suo primo biografo,
Girolamo Catena, consegnò la somma di centocinquantamila scudi ad essi destinata. Ecco
l’esortazione alla ribellione da parte del papa e la sua promessa di sostegno finanziario ai ribelli:

Ecco che colui che rende nuove le cose vecchie e vecchie le cose nuove, il Signore nostro Gesù Cristo – per
mezzo di voi che ci siete assai cari non solo per la nobiltà di nascita ma anche per lo zelo verso la fede
cattolica – ha stabilito forse di rinnovare e confermare l’unione di questo regno con la Chiesa romana. E per
questo vi ha spinto a liberare voi stessi e questo regno dalla turpe servitù di questa perfida donna e di
riportarlo alla primitiva obbedienza di questa santa Sede Romana.
[…] Quand'anche, per difendere la fede cattolica e l’autorità della Santa Sede doveste morire versando il
vostro sangue, è per voi assai più vantaggioso guadagnare la vita eterna con una morte gloriosa per la
confessione della fede che vivere ignominiosamente servendo alla passione d'una donna impotente con
pericolo della vostra anima.
[…] Dovete riporre la vostra fiducia in Dio, che sommerse i carri e le armi del Faraone nel mare, è capace di
spezzare la forza e il potere dei suoi nemici, e può per mezzo vostro restaurare l’antica religione e la dignità
di questo regno. E perché ciò avvenga, non solo appoggeremo, come ci avete chiesto, le vostre istanze presso
i principi cristiani, ma invieremo anche immediatamente quella somma di denaro che ci sarà consentita dalle
nostre possibilità per soddisfare la vostra richiesta. E come potrete apprendere più chiaramente e ampiamente
dal nostro amato figlio Roberto Ridolfi, cercheremo di procurare una somma persino superiore a quella che
la povertà delle nostre finanze attualmente ci permette e, con l’aiuto di Dio, sosterremo tempestivamente e
con piacere la vostra azione con tutte le nostre proprietà e il nostro potere. [Goubau, pp. 191-294]
[Laderchi, 1570, n. 384, con data 22 anziché 20.]
Poco tempo prima della lettera inviata al Piercy e al Nevil, Pio V aveva espresso tutto il suo
sostegno a Maria Stuart – che si era rivolta a lui con per chiedergli aiuto – esortandola a sopportare
con pazienza le sofferenze a cui era sottoposta e ad avere fiducia in Dio, e promettendole il suo
intervento presso i re di Spagna e di Francia per indurli a venire in suo soccorso. Nella lettera del 9
gennaio 1570 le scrisse:

Dio, che salvò Davide dalla mano di Saul e l’apostolo Paolo dalla bocca del leone, può liberare anche te
dalla tue sventure e ristabilirti nel regno. E affinché ciò avvenga, noi siamo disposti da parte nostra, come già
abbiamo fatto prima, a impegnarci con tutte le forze di cui disponiamo. Per quanto riguarda ciò che ci hai
scritto a proposito dei due re, spenderemo diligentemente con essi il nostro nome e li esorteremo
ardentemente, come è nostro dovere, a intervenire a favore della tua incolumità e della sicurezza del tuo
regno. [Goubau, p. 264]

A metà gennaio 1570 arrivò a Roma la notizia della sollevazione dei cattolici inglesi contro
Elisabetta e si pregò continuamente perché Dio assistesse gli insorti: « per l’aviso della solevatione
delli catholici in Inghilterra si fanno qui di continuo orationi acciò Iddio augmenti le forze a quegli
buoni spiriti ». [Avviso di Roma del 14 gennaio 1570, riportato in Pastor, p. 411]
Il papa sollecitò l’intervento della Spagna a favore degli insorti scrivendo al duca d’Alba, il 4
febbraio 1570[Goubau 363] e a Filippo II il 21 febbraio 1570 [Laerchi, tomo XXIV, 1570, 194],
senza però ottenere la loro adesione alla sua proposta.
Dopo il fallimento della ribellione Pio V scese in campo apertamente contro Elisabetta con un atto
eclatante di scomunica che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto toglierle ogni potere e favorire
l’ascesa al trono di Maria Stuart. Elisabetta era già di per sé incorsa nella scomunica in base alla
bolla in Coena Domini. Ma Pio V volle aggiungerne un’altra più solenne che fu emessa il 25
febbraio 1570, con la bolla Regnans in Excelsi, dopo la celebrazione di un processo per eresia
contro la regina inglese, tenuto a Roma dal 5 al 12 dello stesso mese. [Il testo della sentenza-bolla fu
redatto in Italiano e poi trodotto in latino dal cardinale Perretti, futuro Sisto Quinto cfr Vita di Pio Quinto di Gregorio
Leti, edizione 1721 p. 347] [Furono ascoltati 12 testi su 12 capi d’accusa.dal 6 al 10, fu emessa la sentenza il 12 cfr.
Laderchi che fa un sunto [Laderchi 1570, tomo XXIV 197-219]
Con la bolla Pio V dichiarò eretica e scomunicò Elisabetta, privandola di ogni preteso diritto alla
corona d’Inghilterra. Inoltre non solo sciolse i sudditi dall’obbedienza nei suoi confronti, ma impose
loro di disobbedire ai suoi ordini e alle sue leggi, sotto pena di incorrere anch’essi nella scomunica
qualora non avessero disobbedito alla regina:

«Noi dichiariamo la suddetta Elisabetta eretica e sostenitrice di eretici e dichiariamo che è incorsa nella
sentenza di scomunica assieme ai suoi sostenitori, distaccandosi dall’unità del corpo di Cristo. Inoltre, la
dichiariamo privata dei suoi pretesi diritti sul regno succitato e di qualsiasi signoria, dignità e privilegio.
Dichiariamo altresì che i nobili, i sudditi e i popoli di detto regno e tutti coloro che le hanno prestato
giuramento di fedeltà sono assolti in perpetuo da qualsiasi obbligo di fedeltà e obbedienza. Perciò, li
assolviamo e priviamo la stessa Elisabetta del suo preteso diritto sul regno e di tutte le prerogative ad esso
connesse. E proibiamo ai singoli nobili, ai sudditi e ai popoli e agli altri già detti di obbedire ai suoi ordini,
alle sue ingiunzioni e alle sue leggi. Colpiremo chi agirà diversamente con una simile sentenza di
scomunica. Includiamo nella stessa sentenza di scomunica coloro che dovessero agire diversamente.
[[Laderchi 1570, tomo XXIV 218-219]

Ottanta copie della bolla furono inviate al Ridolfi affinché le facesse diffondere in Inghilterra. La
mattina del 25 maggio 1570 ne fu vista una affissa alla porta del palazzo del vescovo di Londra
vicino alla cattedrale di San Paolo. I sospetti caddero su John Felton, un nobile cattolico di buone
maniere, che fu arrestato pochi giorni dopo e rinchiuso nella torre di Londra. Sottoposto a tortura,
confessò di avere affisso la bolla per la salvezza sia della regina sia del regno. Fu condannato per
alto tradimento e impiccato l’8 agosto 1570. Fu beatificato da Leone XIII nel dicembre 1886.
Il risultato della bolla fu disastroso perché Elisabetta abbandonò la sua politica di tolleranza verso i
cattolici e adottò severe misure repressive nei loro confronti. Filippo II, il duca d’Alba e
l’imperatore Massimiliano II, che erano molto più realistici del papa, gli chiesero di ritirarla, ma
inutilmente, perché egli continuò ad essere accecato dal suo fanatismo religioso.
Il secondo piano insurrezionale contro Elisabetta fu organizzato, nel 1571, dai nobili cattolici
inglesi con la complicità di Pio V ed è noto come «complotto Ridolfi», dal nome del suo l’ideatore.
Esso prevedeva il matrimonio tra il duca di Norfolk e la regina Maria Stuart, la loro conquista del
potere con la sommossa dei cattolici inglesi e la cattura della regina Elisabetta. Un apporto
determinante alla riuscita del complotto avrebbe dovuto darlo il duca d’Alba con l’invasione
l'Inghilterra dai Paesi Bassi, in seguito alla quale sarebbe dovuta scattare la ribellione dei cattolici.
Dopo l’eliminazione di Elisabetta, il papa avrebbe dovuto concedere in feudo il regno a Maria e al
suo consorte, insediandoli sul trono. Pio V svolse un’intensa attività diplomatica per coinvolgere nel
complotto la Spagna e la Francia, inviando presso le loro corti lettere e propri rappresentati, ma non
raggiunse alcun risultato, perché esso fu scoperto da Elisabetta e duramente represso. Il duca di
Norfolk fu arrestato il 7 settembre 1571, processato nel gennaio del 1572 e giustiziato il 2 giugno
dello stesso anno. L’ideatore del complotto, Roberto Ridolfi, si salvò perché al momento della sua
scoperta si trovava fuori dall’Inghilterra.
Della campagna d’odio scatenata contro Elisabetta da Pio V e delle congiure da lui ordite contro di
lei ordite fecero le spese i cattolici inglesi perché il Parlamento, nell’aprile 1571, approvò una serie
di leggi che ritenevano responsabile di alto tradimento chiunque, vivente la regina, rivendicasse un
diritto alla corona o sostenesse che la corona appartenesse ad altri anziché a lei o che dichiarasse
che essa fosse eretica, scomunicata, tiranna, infedele e avesse usurpato il potere. Dopo la
pubblicazione della bolla, i cattolici furono tutti considerati potenziali traditori e, perciò, sottoposti a
pene molto più severe rispetto al periodo precedente, subendo in molti casi la pena di morte.
Fecero le spese della libido dominandi di Pio V i cattolici inglesi che vollero persistere nella
“Fede”.
Se prima della pubblicazione della bolla i cattolici erano solo
Dapprima i cattolici che non volevano aderire alla nuova chiesa anglicana venivano semplicemente
multati, ma non giustiziati. Dopo la Bolla di Pio V furono invece tutti considerati e tra il 1577 e il
1633 centoventi sacerdoti furono messi a morte insieme a sessanta laici che avevano dato loro asilo.
Duecento cinquanta anni dopo la morte di Pio V, cioè nel 1822, si guadagnarono la patacca di
“santi”. 

Pio V cercò di coinvolgere nella realizzazione del suo piano il re di Spagna [lettera dell’8 o 5 marzo
1570 a Filippo II, Catena 225-233; Goubau, libro IV, lett, 13] al duca d’Alba Goubau, p. 363 libro
IV, lett. 36, Portogallo e Francia [a Caterina de Medicis 25 dicembre 1571 perché intervenga contro
elisabetta: Catena 301-305], senza però riuscirvi.
Il 1° settembre 1570 Ridolfi scrisse a Roma che il piano del 1569 era ancora attuale mutatis mutandis;
L’8 febbraio 1571 Maria scisse al vescovo di Ross che era disposta ad accettare il piano di Ridolfi
Prima passò in Fiandra presso il duca d’Alba , Ridolfi arrivò a Roma ad aprile 1571, arrivò a Madrid il 28 giugno; il 14
giugno Filippo scrive al duca d’Alba che parteciperà al complotto di Ridolfi. In agosto 1571 un servo del duca di
Norfolk fu preso mentre portava aiuto finanziario di 12.000 [Catena p. 116] ai sostenitori di Maria in Scozia; arrestato
disse quanto sapeva.
Lettera 5 gennaio 1571: Pio V disposto versare suo sangue [Laderchi,1570, 381]
Roberto Ridolfi, fece da intermediario

PIO V contro Elisabetta: lettera del 8 marzo 1570 a Filippo II [Catena 1586, 227: femmina
infamissima, sentina di tutti i mali ; 5 marzo in Catena p. 225]

Che diremo di quel famosissimo regno d’Inghilterra? Nel quale è confluito da ogni parte, come in una
cloaca, il sudiciume di tutte le eresie, dopo che una donna infame, che si ritiene regina d’Inghilterra, vi
esercita una crudelissima tirannide. La qual donna infame – dopo avere eliminato il sacrificio della
santissima messa, rinchiusi in carcere i vescovi cattolici, estromessi gli uomini nobili e onesti dal Consiglio –
si dichiara [cosa spaventosa e orribile da udire] capo della Chiesa d’Inghilterra. Questa stessa donna infame,
o meglio questo disonore di tutta la Cristianità, tiene prigioniera la nostra carissima figlia in Cristo Regina di
Scozia, dopo averla privata del regno e di tutti i beni. Inoltre, con editti pieni di superbia, costringe i cattolici
a professare l’eresia e a rinnegare la vera fede, avendo come obiettivo di eliminare ogni ricordo della
religione cattolica nel regno.
[lettera di Pio V a Filippo II in data 8 marzo 1570, Goubau, p. 305]

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