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METODOLOGIA I

03/02

Critica d’arte, definizione articolata, le avventure intellettuali dei critici sono differenti e non ce n’è una
univoca, ci sono stati dei filoni critici preminenti in determinati periodi, ma non mainstream, nella cultura
moderna l’arte è oggetto di studio da parte di una disciplina autonoma e specialistica, che opera secondo le
proprie metodologie, valutazione delle opere artistiche. Cos’è l’oggetto della storia dell’arte? Gli storici
dell’arte direbbero l’opera, prima di un secolo fa avrebbero detto gli artisti, per secoli è stata storia
biografica di artisti, il primo storico dell’arte è considerato Vasari, chiave di lettura biografica che avrà
successo straordinario e terrà campo per circa tre secoli, ma noi da un secolo e mezzo non ragioniamo più
così. Ma se l’opera è l’oggetto c’è un unico approccio c’è un'unica storia? Le arti sono sorelle, ma gli
approcci per studiarle non sono fratelli e non hanno un genitore comune. Ci sono casi curiosi che saranno
materia d’esame. Rapporto sbagliato con la pittura, grande frustrazione per chi va in un museo, senza aver
studiato, succederà che i comuni fruitori diventeranno potenti, anche in grado di giudicare gli eruditi.
Dobbiamo impedire l’ignoranza e curarla, ignoranza coltivata, diversa da quella selvatica, serve al fine
dell’interpretazione di un dipinto, ignoranza coltivata non si vergogna, ma è fiera di sé stessa, ignoranza che
apre la strada all’onnipotenza interpretativa. Mostre più visitate in Italia hanno dietro un’idea per cui la
pittura non ha bisogno di formule, ha bisogno di essere vissuta da spiriti liberi. Già il museo normalmente è
una decontestualizzazione dell’opera, nessun artista del passato ha dipinto per mettere una sua opera in un
museo, creazione che viene dall’epoca napoleonica in poi, concetto di legittimare quello che storicamente
non è in un museo e mettendocelo (moto, caschi) e viene chiamato crossover, legittimare qualcosa di
moderno al pari delle opere antiche. Nozione di critica d’arte, mi piace o non mi piace può diventare una
comparazione con una vetrina di moda, è come se la cultura non richiedesse sforzo. La critica e la
terminologia tecnica che si andava usando dal ‘300 aveva cambiato la percezione dell’arte, la critica era
diversa, tra 1300 e metà del ‘500 Stendhal dice come si sviluppi una disciplina critica legata all’arte, in
parallelo ad altre discipline come la critica letteraria, la prima cattedra di storia dell’arte fu a Berlino nel
1844, disciplina estremamente recente, questo le ha dato un anti accademismo, c’era una maggior libertà,
fa sì che possa pescare da varie discipline, economiche e sociologiche, nasce pluridisciplinare, mentre per la
letteratura un giudizio critico non esclude l’esistenza di un’opera, nella critica d’arte c’è un’urgenza della
mente, un giudizio è molto più efficace, può determinare l’esistenza o meno di un’opera, escludendola, un
caso di repetita iuvant, se avesse vinto Brunelleschi il concorso invece che Ghiberti? Giudizio critico basato
su vari aspetti, materiali, tecnici e stilistici, hanno fatto sì che un’opera esistesse e una no, fare arte costa,
aspetto materiale costa. Dante o Petrarca? Posso scegliere se uno mi piace o no, per il bronzo devo avere
una commissione pubblica, o per un ritratto, per i lapislazzuli o per i colori, gli artisti non erano ricchi.
Accostamento dei beni di lusso all’arte nei musei è difficile, sembra che non sia più un unicum, se compro
un bene di lusso poi lo sostituisco, abbiamo un altro aspetto della riproducibilità. Prima della storia della
critica in senso moderno c’è una storia dell’arte, da Plinio il Vecchio, dal punto di vista della letteratura
artistica ha una tradizione plurisecolare, come branchia della letteratura, Vasari è colui che raccoglie una
tradizione, e crea nelle vite una storia dell’arte fondata sulle biografie degli artisti, le Vite hanno due
edizioni, la prima del 1550 e la seconda del 1568, poderoso avanzamento. Rinascimento lascia un segno
nelle concezioni artistiche, il barocco viene rivalutato nell’800. Lanzi nel ‘700 inizia a ragionare per scuole, la
successiva musealizzazione, urgenza dell’allestimento dei musei, benché ci sia un aspetto storiografico
molto forte, l’aspetto della storia avrà un posto importante. Argan, critica d’arte ha le sue origini nel ‘500,
Vasari, critica militante, storia dell’arte normalmente inizia nei musei, poi si deve applicare una critica e una
scelta, vale per una commissione tout court ma anche per un museo, dove esporre e a fianco di cosa?
Questioni che fanno nascere la disciplina. Scuola di Vienna, gli studiosi che hanno avuto talvolta un portato
accademico provenivano dai musei e dalle collezioni, anche minori, e dal ‘700 nascono concezioni
espositive differenti, fino a quel momento i principali allestimenti erano antologici, basati su criteri di
bilanciamento simmetrico, e raggruppati per generi o tipologie, e avevano una connessione con le
accademie, che erano strettamente collegate con i musei, punto di sintesi stilistica. Alla fine del ‘700 uno
dei criteri è quello di allineare le opere su una base cronologica, a cui abbinare le scuole pittoriche (es.
fiorentini del ‘400). Si considerano i musei come depositi della cultura e storia visiva dell’arte, materiali che
vengono forniti per la storia dell’arte, Puccini importante perché inventa una tecnologia che abbiamo
ancora, quando con Napoleone il museo apre al pubblico è necessario democratizzarlo, prima chi era
invitato era guidato, si veniva accompagnati, ma quando nascono i musei con l’idea di luoghi espositivi di
beni pubblici qualcosa deve cambiare, e Puccini si inventa il cartellino, fino al 1792 non si avevano delle
indicazioni lì, tecnologia di Puccini ha un successo straordinario, ci sono convegni su quello che deve essere
in una didascalia in un museo. I cartellini si sono evoluti, all’inizio nome ed estremi dell’autore, Puccini è un
direttore della galleria degli Uffizi, e credeva che i cartellini avrebbero potuto rispondere all’afflusso di
pubblico che non aveva le conoscenze di chi era amatore e andava a vedere quelle pubbliche. Puccini dice
che noi siamo influenzati da quello che studiamo e che ci viene detto, autorialità e autografia, critica lucida.
È dal museo che nasce la disciplina, esperienza sul campo. Il museo ha vantaggi, si esprime per immagini,
strumenti che nelle mani di persone consapevoli sono avanzati, ha una necessità critica che deve restituire
un’immagine, comunque si fa critica.

04/02

Fondamento su cui la scuola di Vienna ha costruito il suo edificio, sono vicende napoleoniche,
demanializzazioni, istituzioni di tutela che sorgono in quel periodo, che porta una spoliazione notevole da
chiese e conventi di quadri, demanializzazione e spostamento dei beni artistici, non solo da Italia a Francia,
ma anche da altre regioni italiane a Milano, a seguito della caduta di Napoleone ci sono dei movimenti, una
necessità di far tornare le opere, che però molto raramente rientrano in quei luoghi da cui erano stati
prelevati, i conventi erano stati o soppressi o rifunzionalizzati, non potevano accogliere le opere, e questo
provoca in tutta Europa un ripensamento che nella maggior parte dei casi induce a creare una legislazione
di tutela o legislazioni, le nazioni a volte prendono coscienza del valore patrimoniale e documentale e
identitario delle opere d’arte. Una delle prime istituzioni nasce in Francia, nel 1850 in Austria, commissione
centrale per lo studio dei monumenti storico-artistici, ma anche in Germania dal 1862, verrà legato il
discorso artistico con quello dell’ubicazione, censimento topografico di dove si trovavano i beni,
inizialmente monumentali, non solo artistici, ancora nel XIX secolo c’era la necessità di proteggerli, erano
stati soggetti a defunzionalizzazioni, chiese sconsacrate, e poi seguono enti svizzeri, in Italia si arriva dopo e
tardi, unità politica viene dopo il 1850, e anche dopo l’unità è tardiva a elaborare una legislazione specifica,
fine ‘800, e poi dal 1909 con la legge Rosalia, e poi dopo il ’39, molto tardiva rispetto alle altre nazioni, però
a livello nazionale, prima usare la parola Italia aveva un senso territoriale più che politico, le varie entità si
erano provviste di leggi molto avanzate, esempio lo stato della chiesa, nel 1820 aveva emanato un decreto,
Editto Pacca, all’avanguardia per molti punti, estendeva al concetto di tutela un numero di beni molto alto,
scavi archeologici con norme precise, per difenderli dai furti, è un ufficio esportazioni che vaglia tutte le
richieste, auspicio modernissimo, ma in Italia una operazione di catalogazione inizierà negli anni ’20 del
‘900, con la fotografia anche, e poi organi di controllo e amministrazione, anche nel Regno delle due Sicilie
c’erano legislazioni avanzate, anche per la conservazione e il restauro, anche Istituto dell’esproprio,
funziona ancora oggi nello stesso modo. Le soprintendenze borboniche funzionavano bene, incombenze
della Commissione austriaca, attività dei suoi membri era meritoria, intento di queste commissioni era di
rilevare tutti i monumenti creando un inventario, un catalogo, le pubblicazioni sono di cruciale importanza,
tratto di grande novità, si crea una serie di professionisti che dovevano fare dei rilievi grafici accurati che
poi vengono anche standardizzati, normati da regole che li rendevano paragonabili, fotografia poi diventerà
strumento di straordinaria importanza ed efficacia, Austria ha la necessità di formare professionisti della
tutela, osmosi tra università, musei e queste istituzioni, si arriva a stabilire che i funzionari pubblici che si
occupano di ciò deve avere una specifica formazione, non ci si può improvvisare, e i risultati del censimento
dovevano essere pubblicati mensilmente e annualmente, presenze di riviste dedicate alla forma dell’arte
costituisce una possibilità straordinaria, studio e pubblicazione è una forma di tutela, ciò che è catalogato e
pubblicato potrà essere più difficilmente rubato, intaccato modificato, basi su cui si sviluppa la scuola di
Vienna. Scuola di Vienna definizione data da uno studioso in un secondo momento, Schlosser, che scrive
nel ’34 la scuola di Vienna nella storia dell’arte, e inseguito il suo testo viene tradotto in italiano nel ’36 e la
definizione la dà lui molto tardi, definizione a posteriori, specialisti intendono subito cosa significa scuola
viennese, lui la definisce anche se tutti sanno già cos’è, e decide di fare una storia, cronaca fatta
dall’epigono di questa scuola, inizia da Böhm, proviene da una disciplina molto differente, era un artista
minore, un cesellatore, personaggio preistorico, a lungo in Italia, viene accolto nella cerchia dei nazareni, e
dopo due viaggi importanti in Italia, tornando a Vienna, dal 1834 diventa direttore della zecca austriaca,
riferimento per tutti gli incisori, ma a Roma aveva iniziato a fare una collezione di piccoli oggetti incisi, e
divenne un primo nucleo fondante di collezioni minori dei musei nazionali austriaci, viene scoperto dal
conte Leo Thun, perché aveva iniziato a creare un circolo a casa sua in cui si riunivano una serie di
personaggi interessati alla scuola dell’arte, si attivavano lezioni storia dell’arte, o salotto in cui si discuteva,
e da questo passarono molti esponenti che finirono in cattedra all’università di Vienna, e lui costruisce un
prodromo che Schlosser ritene fondamentale, lo scrive raccontando di questa casa scuola. Metodo
didattico che ritroveremo, accentuazione del metodo induttivo e partire dall’individualità della singola
opera d’arte, inizia a succedere in questi salotti viennesi, e della sua autopsia, termine medico, da qui si
risale alla psicologia dell’artista, si pone in antagonismo con arte che si insegnava nelle accademie, ancora
con forte classicismo, e poi fa un quadro di quello che era il sistema di critica della storia dell’arte in Europa
rispetto all’Austria, che non aveva mai potuto dare un contributo, dopo la fase napoleonica non aveva più
egemonia, la scuola nasce quando il substrato politico causa una cesura, ma Scholsser comunque riconosce
l’autorità. Definizione Scuola di Vienna di Schlosser raccoglie tre aspetti, che sono cruciali, 1852, anno
fondativo, prima cattedra di storia dell’arte, assegnata a Eitelberger, un filologo, giornalista, e come tutti
questi primi protagonisti non poteva avere una formazione storico artistica, e fu la fondazione del museo di
arte industriale a Vienna, e seguendo questa linea tracciata da Böhm con i suoi salotti inizia a fare una
analisi dei monumenti considerandoli come opere d’arte, fatto fondante della scuola di Vienna, poi portata
avanti da altri studiosi importanti, fino a Schlosser, e ha una formazione astrusa rispetto all’arte, è il figlio di
un ufficiale dell’esercito, si specializza in giurisprudenza e lingue romanze, e insegnerà filologia, che è
comunque un metodo che può essere asportato nello studio della storia dell’arte, e dal 1846 si occupa di
costruire una mostra di opere antiche, basate su una sequenza cronologica e non continuità stilistica, è
molto filologo da questo unto di vista. Nel 1852 anche per questi suoi interessi ottiene la cattedra di storia
dell’arte e archeologia all’università di Vienna, era una delle prime europee, la prima fu quella berlinese
occupata dal 1844 da Waagen, era un conoscitore e esperto d’arte che era in grado di proporre attribuzioni,
era il primo direttore del museo prussiano, non era un insegnante appassionato, primato cronologico a
Berlino, ma quello austriaco era ideologico, Eitelberger importante, altro tratto distintivo era che le pratiche
museali e di conservazioni e esperienza sul campo sono legati con l’ambito accademico, accademismo
aperto alla pratica, e quasi tutti i protagonisti non solo si aprono, ma vengono dalla pratica, spesso
occupandosi di collezioni apparentemente minori, di oggetti per cui dovevano dedicarsi all’aspetto
materiale, e per cui non c’erano autori. Manufatti agiografici, Schlosser ci racconta cosa succede con
l’istituzione della cattedra, lui si rende conto che la disciplina è formata, ma ci vorranno generazioni per
formare degli storici dell’arte formati accademicamente. Sickel, importante perché è il fondatore della
diplomatica, archivio dei documenti come disciplina scientifica moderna, si forma a Parigi, in cui c’è una
lunga tradizione, e lavora anche a Roma presso gli archivi vaticani, fu un punto di riferimento per tutti i
primi esponenti della scuola di Vienna, che dopo l’attenzione al documento primario, l’opera d’arte stessa,
poi presta attenzione al documento secondario, il documento d’archivio sull’opera d’arte, analisi è un suo
tratto fondante, tutti questi aspetti stavano configurando questa nuova disciplina positivisticamente e
scientificamente, di artisti o uomini come grandi realizzatori per classificare l’opera, interrogare i documenti
e le fonti, si crea un metodo. Dopo Eitelberger c’è Thausing, che entra in carica nel 1879, che a sua volta
proviene da studi differenti, inizia a studiare a Praga e dal 1858 si trasferisce a Vienna, è uno storico, e poi
decide di dedicarsi alla storia dell’arte, primi portati di queste figure importanti, che hanno ancora
formazioni di carattere storico, filologico e giuridico. Uno dei suoi tratti distintivi è quello di cercare di
separare la storia dell’arte come disciplina dall’estetica, binomio che poi Schlosser riallaccerà, per la sua
stretta relazione con croce, ma secondo Thausing il compito dello storico dell’arte era l’accertamento dei
fatti riguardanti un’opera, molto positivista. Tutte queste esperienze vanno in una direzione cruciale,
creano un metodo che ha una autonomia e una scientificità, e durante il suo magistero vediamo che ha una
stretta collaborazione con Sickel, aspetto diplomatico e documentario, e gli dobbiamo una straordinaria
innovazione, la storia dell’arte diventa una parte obbligatoria per la formazione dei funzionari culturali
dell’impero asburgico. Impatto dell’istruzione sul progresso di una nazione, persone appositamente
formate, il primato austriaco deriva anche da questo, Thausing è anche il direttore dell’Albertina, anche lui
ha caratteristiche tipiche degli esponenti della fase iniziale, responsabili nei musei di collezioni minori,
presenza di un esperienza sul campo con oggetti di studio in mano, vocazione storica positivistica di
catalogo, Thausing nel 1873 fece una prolusione a una lezione ponendo il problema dell’arte come scienza,
ed è per questo che si cercava di slacciare i bracci filosofici, che non avrebbero consentito la proliferazione
come metodo scientifico, e Schlosser ci descrive la sua figura. Fino a Thausing siamo ai primordi, ma la
galleria degli artisti non è ancora percepita come una scuola, si sta formando. Morelli è colui che suscitò un
grande interesse in questi primi esponenti della scuola viennese che cercavano di fare un metodo
scientifico, lui era un medico, che guardava le orecchie che disegnavano gli artisti per riconoscerle, lui
intendeva dare un metodo scientifico, medico, anatomopatologico, riconoscere la mano degli artisti con un
metodo scientifico, i viennesi cercavano una struttura scientifica a cui appoggiare la loro nuova disciplina.
Affiliazione che rispetta la storia tout court, costituiva la formazione di quasi tutti i primi esponenti della
scuola di Vienna. Richiamo a un’arte ottica che colpisce la vista, concetto che sarà uno dei cardini della
scuola di Vienna, che lavora su documenti e oggetti, si allontana dal concetto romantico biografico
dell’artista, ma nel valutare le opere d’arte va verso un formalismo spinto, pura visibilità, sostanziale
alternativa ai metodi di valutazione della storia dell’arte di stampo romantico ed hegeliano, sistema che
tendeva a privilegiare un contenuto spirituale dell’opera d’arte, reazione formale, nell’intenzione oggettiva.
Uno dei personaggi cruciali per il concetto di pura visibilità fu Fiedler: si va a una radice, l’uomo percepisce
la realtà attraverso i sensi, e di questi la vista è quello più completo attraverso cui ricrea le forma che
esistono già in natura, formalismo, acquisisco dalla natura una conoscenza, e la restituisco in arte,
formalismo radicale, ma non esente da punti spirituali, una pura visibilità ha comunque un filtro. Fiedler
libera il campo da tutte le precedenti teorie non strettamente pertinenti all’arte, che deve essere una
disciplina visiva, indipendente e importante, la base è l’atto di vedere e la visione è svincolata dagli schemi
del linguaggio e del pensiero e la pura visibilità ha una sua autonomia di giudizio, rifiuta la
schematizzazione, e queste forme sono interpretabili solo nel campo della formazione visiva. Von
Hildebrand, scultore, che nel suo volume sui problemi della forma distingue due tipi di visione: una
ravvicinata e una a distanza, la prima è tattile, l’occhio da vicino è obbligato a compiere i movimenti di una
mano che tocca, mentre quella a distanza è ottica, consente di cogliere l’oggetto nella sua concezione
articolata e formale. Scuola di Vienna formalismo assoluto basato sulla vista fu un aspetto molto
importante. Sempre Hildebrand scrive nel 1887 un giudizio sulle opere kantiane, dice che la storia dell’arte
coincide con la conoscenza delle fonti, restiamo sempre in un campo visuale, e Fiedler dice che la vista è un
senso differente dal tatto, sviluppo interno, ha la capacità di percepire direttamente, in maniera non
mediata, per questo si parla di pura visibilità, aspetto diretto che è insito nel senso della vista, e ne
consegue che l’arte figurativa è l’attività in cui si producono delle forme che sono interpretabili
esclusivamente nel campo della percezione visiva, questa è la pura visibilità, l’arte è un’attività in cui si
producono forme, che si interpretano solo tramite la vista, non hanno bisogno di mediazioni culturali come
il linguaggio o il pensiero. Parallelamente a questa pura visibilità nasce una estetica formalistica
dell’empatia, dal formalismo discende che questa attività visuale nei confronti dell’arte crea un
atteggiamento estetico che genera un’empatia nei confronti di queste forme, proietta delle emozioni, si
immedesima, partecipazione emotiva, c’è sempre una tendenza formale e puro visibilista da una parte, e
dall’altra una spirituale della storia dell’arte, per un’attività partecipativa e in parte emotiva. Rizzolatti, ha
individuato i neuroni ha specchio, scienziato, ha dimostrato scientificamente ciò che i purovisibilisti hanno
cercato di dimostrare, questi neuroni si attivano quando vediamo qualcuno compiere un’azione, è quasi
una reazione passiva, empatia è una cosa scientifica. Wickhoff, ha un bagaglio di teorie un po’astruse,
docente che si forma nella nuova disciplina, era stato un alto conoscente di Giovanni Morelli, e non gli
manca l’essere stato ispettore della sezione tessuti del museo a Vienna, pratica museale e insegnamento
accademico, non sono quasi mai disgiunti. Wickhoff è un uomo di sintesi, è il primo che va in cattedra, il
metodo di partire dalla singola originale opera studiata direttamente, si fa storia dell’arte sugli oggetti visti
direttamente, non su una fotografia, due grandi canoni sono riassunti nel magistero di Wickoff cioè un
controllo assoluto e formale e specifico delle originali opere d’arte viste direttamente e anche un controllo
sui documenti secondari, fonti letterarie o di qualsiasi genere che potessero essere collegate all’opera
d’arte. È riconosciuta la creazione di un metodo, di una teoria, che mirava a un’oggettività scientifica.
Interessi principali di Wickoff, spettro ampio, a parte il rinascimento italiano, vedremo che la scuola di
Vienna è un momento cruciale per l’interpretazione del tardo antico, interesse per le opere minori e di cui
la storia dell’arte non si era occupata, e apertura verso arte contemporanea è di chi formalista vuole
abbracciare una lettura dell’arte che può estendersi, è anche istituzione presso cui si riconfigura il
manierismo, riportano il Barocco nella grande storia dell’arte, fino ad ora si era legati a una visione
vasariana.

05/02

Teoria della puro visibilità, prima di Wickhoff, puro visibilità definizione data da Benedetto Croce nel 1911,
e trova i suoi artefici in due artisti, Von Hildebrand e Vischer, primato del senso della vista, l’uomo
percepisce il mondo esterno con i sensi e la vista è il primo, le altre percezioni sembrano più ostiche, è
formalista, si interessa alle opere in quanto forme, pura visibilità il senso della vista è un canale di
conoscenza puro, diretto, non mediato, linguaggio che non ha necessità di ricorrere al pensiero, individuare
un metodo che svincoli la storia dell’arte in quanto tale dall’estetica, primato della vista che è la risposta in
quanto tale, l’arte per un puro visibilista è una rielaborazione formale di quello che la vista percepisce,
siamo lontani dal concetto di imitazione della natura, è una creazione ex novo, percezione visiva passando a
una persona che restituisce come opere d’arte in forme, arte è una attività conoscitiva, non imitativa, si
basa sulla vista, codifica in forme, c’è un passaggio che riguarda anche un’attività di sviluppo spirituale, la
storia dell’arte poi verrà a coincidere con la storia dello spirito. Da qui deriva il formalismo, uno dei pilastri
della scuola di Vienna. Con questo si libera il campo da tutte le teorie che non sono pertinenti all’arte, via
l’estetica, interesse primario non è più il contenuto ma la forma, si svincola la percezione visiva dal
pensiero, teoria della pura visibilità. Ruolo della visibilità diventa centrale, focus sull’occhio e sulla forma, e
quindi l’arte è una sorta di contemplazione produttiva e storia dell’arte diventa una storia della conoscenza
delle forme. La natura non è mai al centro, l’arte non produce la natura, ma forme. Altra teoria che è
connessa, passaggio spirituale, si restituisce alla vista in maniera formale. Empatia, sentimento che di
fronte a queste forme ciascuno prova, empatia in senso generale qualcosa di me, nel momento in cui
appartiene solo a me, esiste per me e l’oggetto percepito, proiezione del sé nell’oggetto percepito,
l’oggetto esiste in quanto si stabilisce il rapporto di empatia, oggetto per il soggetto. Capire come sia
avvenuta la svolta nella scuola di Vienna in senso formalista, abbiamo a che fare con forme, volevano
creare un metodo e una teoria che avesse un fondamento scientifico, substrato storico-filologico molto
forte, elementi teorici momenti cruciali in cui la storia dell’arte si presta a diventare una disciplina
autonoma. Le conoscenze hanno trovato grande applicazione anche nelle opere d’arte. Wickhoff, si fa
erede e sintetizzatore di tutta questa serie di esperienze museali diplomatiche storiche e filosofiche di area
tedesca, abiamo visto che abbiamo una formazione per la prima volta che può sfruttare un solco
accademico, allievo dei traghettatori della scuola di Vienna, e anche lui ha una esperienza importante
museale, dal 1879 al 1885, ci sono molte lettere in cui lui dice che non vuole insegnare, che vuole tornare
nel museo, esperienza museale non è solo un campo parallelo, ma un banco di prova costante, a lui viene
riconosciuto il fatto di essere fondatore in un senso compiuto della scuola di Vienna, come la definizione di
Schlosser del ’34, vero fondatore della scuola di Vienna, perché sintetizza aspetti dei suoi predecessori che
si erano manifestati non assieme. Interessi di Wickhoff, vastissimi, la scuola di Vienna anche per questa
analisi formale ha riconosciuto il merito di aver ampliato l’aspetto cronologico, e lui stesso si occupa di arte
classica e medievale, e miniatura, si occupa di disegno, la sua opera più importante è La genesi di Vienna,
opera imprime una svolta cruciale, sugli studi sull’antichità e sul medioevo, edizione critica, c’è sempre un
sostrato filologico, di un manoscritto miniato, la scrive con Von Hartel, che studia la parte idiomatica,
mentre Wickhoff studia le miniature, osserva che nell’arte tardoantica una serie vivace e inesaurita di
riferimenti che provengono all’antichità classica, e decide di fare un excursus dall’età di Augusto a quella di
Costantino, contesto in cui l’autorità in campo era ancora Winckelmann, che riteneva che l’arte romana
fosse un’imitazione della greca, classicismo, e Wickhoff riesce a rompere, dice che l’espressione dell’arte
romana tardoantica non è una degenerazione dell’arte greca ma una sua peculiarità, con dei valori originali,
studiando gli aspetti ritrattistici dice che era diversa da quella greca, con un realismo particolare, possibile
sostrato nel realismo etrusco, e da quel momento in poi l’arte romana e imperiale romana acquisisce uno
status per cui ancora oggi viene riconosciuta, ha una matrice greca e etrusca ma ha una formalità peculiare,
è un grande portato per gli studiosi della scuola di Vienna, segmento della storia dell’arte il tardoantico a
lungo abbandonato, in uno stato di considerazione di decadenza continua, rispetto alla stagione ellenistica.
Le caratteristiche che Wickhoff individua sono un valore pittorico coloristico e un valore illusionistico e
spaziale della rappresentazione, e realismo del ritratto, capacità mimetica che individua nel sostrato, basi
che vengono gettate, rielaborazione della storia dell’arte dà dei risultati straordinari, si occupa poi anche di
medioevo, scrive un articolo nel 1849 su Guido da Siena, e Cavalcaselle, tratto peculiare della scuola di
Vienna lunga frequentazione dei musei fa sì che abbiamo un contatto con le opere e possano fare
un’osservazione puntuale, approccio metodologico nuovo di osservazione diretta, formale, paleografica,
Vienna a quei tempi costituiva un ambito in cui interessarsi anche nel segmento più antico di arti applicate,
era stata al centro di alcune manifestazioni importanti, come l’Esposizione universale del 1873, con cui
avviene anche la fondazione del museo industriale di Vienna, momento in cui in tutta Europa nascono i
musei di arte industriale, iniziano a includere anche opere che non sono industriali naturalmente, ma nel
senso che sono repliche, aspetti antichi della strumentazione, momento in cui a Roma nasce il Museo
artistico industriale, siamo nel 1874, raccoglie tutto sulla scia viennese, viene eletto direttore ai primi del
‘900 Giulio Ferrari, che inizia a pubblicare una serie di libri particolari, che guardano ad aspetti
ornamentativi e apparentemente minori, importanza alle arti applicate, è sempre un crogiolo teorico,
pratico e artistico e accademico, e museale, Vienna in questo momento è un centro di innovatività, artisti e
architetti che decidono di formare un gruppo autonomo con l’ideale dell’opera totale, fare di tutti gli aspetti
della creatività sui manufatti opere d’arte. La scuola di Vienna si estinse nel 1918 con l’influenza spagnola,
opere di questi artisti della secessione sono vetrate, maniglie, pareti, insieme in cui anche lampade e porte
sono arte, arte totale, ai prodromi del design, si basano su modelli grafici ricorrenti, anche nei dipinti,
ritratto di Klimt, Wagner aspetti decorativi salienti, e poi anche creazione di forme particolari, fratelli
Thonet, nuovo modo di curvare il faggio, forme che diventano tipiche classiche, mondo di ornamentazione
e decorazione a tutto tondo. Altro importante risultato che ottiene Wickhoff è quello di concepire una
rottura definitiva in un concetto evoluzionistico dell’arte e respingere l’idea che nell’arte medievale,
tardoantica, rinascimentale e le altre fino a quel momento esistessero delle nette cesure, insisteva molto
perché si studiassero le connessioni tra un mondo figurativo e l’altro. Il Renaissance nell’800 scoppia come
qualcosa di nuovo, come se tutto quello che c’era prima era medioevo. Wickhoff ha un percorso con una
gamma molto ampia, si è occupato di tardoantico, di medioevo e di miniatura, e si vede da come presenta il
suo lavoro sui disegni sull’Albertina, rapporti con Thausing non furono buoni, non lo riconobbe mai come
un suo maestro. Nel 1903 scrive uno dei primi libri sui disegni di Raffaello, posizione avanzata, tradizione
italiana di studio del disegno in senso moderno arriva molto tardi, riconoscimento tardo del disegno, per
arrivare all’importanza che ha adesso, si deve arrivare a qualcuno che apra una strada, Wickhoff si mette a
studiare i disegni e le stampe, alla scuola di studi tedesca, così filologica, si vede l’avvio dello studio del
disegno, era tutto da fare, quando si occupa di Dürer deve fare una mezza enciclopedia, tutto il lavoro
anche catalografico che avviene nei musei trova un compimento editoriale. Atteggiamento notevole di
Wickhoff nei confronti dell’arte contemporanea, 4 pannelli di cui Klimt viene incaricato per l’università di
Vienna, 87 accademici fecero ricorso verso queste brutture al ministero dell’istruzione austriaco, e il 15
maggio del 1900 Wickhoff fece una conferenza, si schiera, non voleva tra i piedi l’estetica, vuole imporre la
storia dell’arte come disciplina autonoma, fa una conferenza dal titolo provocatorio, Che cos’è brutto, dice
che non si può giudicare l’arte contemporanea con metodi classici, proposta di innovazione formale. Molto
spesso il barocco veniva distrutto per tornare a un gotico posticcio, che veniva considerato in stile tedesco e
non italiano, saranno i progetti conservativi della scuola di Vienna a opporsi a ciò. Wickhoff dice che non
possono esistere tout court il bello e il brutto nel giudizio artistico se non nel contesto culturale, il bello non
è una platonica armonia, ma qualcosa che può dare una nuova forma espressiva a partire da un contesto,
questa espressione diventerà molto forte in Riegl. Nell’arte romana, Wickhoff ha una concezione di
scomposizione in forme, formalismo di base, importante studiare la puro visibilità, non è la natura, ma un
insieme di forme che generano tanti valori luminosi che hanno un effetto fisiologico sull’occhio, postulare
una conoscenza sulla teoria puro visibilista, l’immagine consiste in un accostamento di macchie e punti, mai
forme e unite, non è imitazione della natura, è un’interpretazione, e l’occhio può poi riconoscere queste
forme nei loro oggetti corrispondenti. Enunciazione di Wickhoff da un lato dà un’idea della sua adesione al
puro visibilismo e manifesto del formalismo, ma a volte viene vista come una concezione visionaria di
quello che sarebbe successo con l’impressionismo. Giovanni Morelli, dalla posizione di medico trasforma le
forme in pattern, come disegni orecchie e naso, come fai le parti del corpo in cui metti meno attenzione, in
questo modo tradisci il tuo vero stile, parti che fai più meccanicamente, teoria largissimamente usata
tutt’oggi, aveva una parvenza scientifica, e nella sua passione per il disegno antico Wickhoff si ritrovò ad
essere in stretto contatto con Morelli, questa teoria veniva considerata scientifica.

Introduciamo Riegl, è uno dei grandi protagonisti della scuola di Vienna, teorie influenti e innovative,
giurista di formazione, ancora non riusciamo ad avere professionisti assoluti, convinto formalista e
assertore della teoria puro visibilista, si avvicina alla storia dell’arte tramite le mansioni museali, esperto di
tessuti antichi, che vanno da tarda antichità fino al ‘700, e spaziano anche geograficamente anche in un
ampio spettro, anche fino a oriente estremo e Medioriente, aderisce nel 1881 al circolo di mediazione
storica, avvicinamento a musei e storia e ai concetti puro visibilisti e dal 1886 al 1897 lavora come
responsabile dei tessuti al museo austriaco dell’arte e dell’industria, inizialmente è un volontario e
arruolatosi come soldato semplice sul campo, già c’era la legge di dover avere una formazione storica
dell’arte per i funzionari, ma lui lo fa comunque, nell’anno 1893 pubblica Stilfragen, opera compiuta di un
puro visibilista formalista, la copertina è particolare, grafica, compie una collezione della storia
dell’ornamentazione, parte dall’arte egizia fino a quella islamica, orizzonti amplissimi dal punto di vista
cronologico e geografico, vuole dimostrare che precisi motivi ornamentali si propagano con un filo
conduttore lungo tutta la storia, e anche in maniera interdipendente tra le civiltà. Uno dei casi più
particolari è quello del fiore di loto, che viene considerato di origine egizia, cellula germinale degli
ornamenti floreali, ha una vocazione universalista, i confini dell’arte non sono ristretti, ma attraverso
l’ornamentazione che è un filone parallelo, il suo filo infila molte perle che non riguardano solo i percorsi
artistici canonici, espansione geografica e concetto dell’ornamentazione non supporta una teoria rigida di
divisione per periodi storici. Stilfragen, libro illustrato con descrizione tipologica ed esperienza presso i
musei, il fiore di loto si spinge nelle civiltà fino ad entrare nella forma canonica del capitello,
ornamentazione attraverso l’evoluzione delle forme, evoluzione che sia dell’ornamento o biologica è un
concetto che prenderà piede, epoca darwiniana, fiore di acanto, elemento essenziale del capitello corinzio,
ha un suo substrato mitico. Il mito come le favole hanno sempre qualcosa di vero, radicati in una letteratura
artistica molto conservativa, prima volta in Egitto con tessuti e opere decorative, che poi è giunto nel
canone greco attraverso vari passaggi, anche i mobili sembrano risentire di queste teorie
sull’ornamentazione, c’è sempre fusione particolare nella Vienna del tempo tra il contesto, l’arte applicata,
teoria, arte tout court, siamo in una prospettiva generale di impronta evoluzionistica, Evoluzione delle
specie di Darwin è del 1859, fondamento metodologico, la biologia aveva già compiuto passi come scienza,
ma non aveva una consolidata tradizione accademica, ritardo ma vantaggio di poter guardare a tutte
queste esperienze parallele, in un certo senso per la decorazione è un parallelo di quello che Darwin era per
la biologia. Noi deriviamo dalle scimmie come un capitello deriva da astruse leggende.

10/02

Figura cruciale della scuola di Vienna, Riegl, si forma come giurista, ma si avvicina a Wickhoff, esponente
puro visibilista, lunga carriera nella sezione dei tessuti, prima come addetto e poi come responsabile.
Relativamente allo Stilfragen (Problemi di stile) fa qualcosa di nuovo e conoscono rispetto alla vocazione
formalista della scuola di Vienna, dall’arte egizia fino all’età aurea della scuola egiziana. Mancanza di
partizione netta tra i periodi, Riegl valutava la stilizzazione da elementi vegetali come all’interno delle varie
civiltà diventa codificazione degli elementi ornamentali, esempio paradigmatico delle foglie d’acanto,
portata simbolica lunga, fino a quel momento una spiegazione era con alcune storie mitiche, scuola di
Vienna inizia a rifiutare delle spiegazioni di tipo storico letterario e mitico, per andare alla ricerca di un
metodo che avesse un fondamento scientifico, tema delle palmette, come attraverso le varie civiltà in
maniera indipendente e anche con esisti vicini l’attività umana decorativa era arrivata a stilizzare degli
elementi vicini alla natura. Riferimento a Charles Darwin, la sua opera ha un’influenza molto vasta, sostrato
positivista ottocentesco, votato a una scientificità che non poteva lasciare indifferenti gli esponenti della
scuola di Vienna, fili di evoluzione che danno organicità a questa evoluzione. Stilfragen, volume che ha
avuto un grande successo negli studi quando si è storicizzata la storia di Vienna, ma ha trovato resistenza
quando è uscito, oppure è stato ignorato, e dopo un decennio può fare un bilancio dopo che ha pubblicato
questa teoria, così nuova e scientifica, dal 1893 in poi. Momento di grande rigore per gli studi dell’arte
bizantina, ma questo libro non viene preso in considerazione, KunstWollen, volere artistico, concetto nuovo
che si deve fissare, altro seme che getta che troverà una prosecuzione e riuscirà ad aprire la scuola di
Vienna all’idealismo, dice che la materia e la tecnica non sono il potenziale dell’opera d’arte, ma la sua
resistenza, sono un limite, con la volontà artistica viene immesso un fattore predominante, non grande
arte, ma decorazioni, tessuti, oggetti, da egizi a islamici. Dice che non è stato capito e considerato, ha
provato a superare la teoria materialista, ha cercato di farlo con un’idea di opposizione formale
all’evoluzione, che non era dovuta alle potenzialità della materia e della tecnica, ma di limite, rispetto a una
volontà artistica. KunstWollen reinserisce un aspetto umano e culturale, impulso di carattere artistico in
una determinata epoca. Semper, generazione precedente, è stato un architetto, formazione differente, che
si riferiva più facilmente ai modelli di architettura classica, e tende a rifiutare le istituzioni, teoria biologica,
non solo legata alla materia e alla tecnica, pensa che tutti i corpi abbiano delle funzioni base, comuni, in
architettura dice che si devono identificare quali sono quelle di base, che costituiscono le funzioni di base
sociali, del perché l’uomo fa architettura, concezione basica, c’è un focolare perché l’uomo ha la necessità
di produrre cibi cotti, come ci sono gli steccati per la necessità di proteggere, partizioni tra interno ed
esterno, se non ci fosse stata la funzione della protezione non sarebbe conseguita la divisione tra interno ed
esterno, da questa primitiva necessità degli steccati consegue l’arte tessile, è questo il determinismo della
materia. L’urgenza della critica d’arte si lega agli aspetti materiali e dei costi, teoria basata su aspetti
materialistici e deterministici, Riegl volontà di superarla con concetti formalisti, si occupa anche delle
produzioni artistiche industriali, interesse per i periodi storici che erano rimasti negletti è un’altra
caratteristica ricorrente della scuola di Vienna, categorizzate in tre parti questa opera di Riegl: il primo cerca
di individuare le caratteristiche del tardoantico attraverso la pittura e la scultura, si occupa delle tecniche di
lavorazione del tardoantico, affronta il problema da un altro punto di vista, Vienna in quel momento tra
esposizioni universali e secessione viennese è attento a queste arti applicate, e poi la parte finale è
sistemica all’individuazione della volontà artistica tardoromana, valori anticlassicistici nei loro aspetti
decorativi, e antinaturalistici, tendono a trasformare gli elementi visibili della natura in elementi simbolici,
dimostrare che anche l’arte romana antica aveva un KunstWollen, anche Riegl sottolinea il fatto che il
tardoantico non era un periodo di decadenza, periodo che avviandosi verso un lavoro anticlassico alla Riegl
segna quella continuità nel passaggio tra tardo antichità e medioevo. Gli studi tedeschi consideravano il
rinascimento la luce e il medioevo il buio. Nella considerazione del KunstWollen Riegl inizia a introdurre un
nuovo concetto, di KunstWollen interpretativo, idea che anche lo spettatore abbia un ruolo nelle arti
figurative, siamo a prodromi di notevole precocità. Un anno dopo al libro, nel 1902, Riegl pubblica un
volume su Ritratto di Gruppo olandese, a partire dal ‘400 al ‘600 era considerato un genere minimo,
sconosciuto, altezza cronologica in cui gli storici dell’arte si dedicano a fare disegni su Dürer e Botticelli, basi
dei grandi protagonisti delle varie epoche storiche. Il ritratto di gruppo olandese gli dà modo di sviluppare
ciò che aveva fatto il libro dell’anno precedente, il rapporto tra opera e spettatore, crede che si instauri
un’interdipendenza sia tra chi è ritratto e tra il gruppo e lo spettatore particolarmente significativo. Oggi noi
abbiamo un’idea di cosa sono questi ritratti di gruppo, lui studia tutto, come un’opera comunica con il
genere che nasce, studia come sono vestiti i personaggi, i gesti, gli ambienti, perché spesso sono interni
olandesi abbastanza neutri, non sontuosi, studia il rapporto e le differenze con le tradizioni coeve, scelta di
come disporre le figure nello spazio è cruciale, determina il ruolo dello spettatore, innanzitutto
l’interrelazione interna dei protagonisti, ma anche il grado e il ruolo della partecipazione che può avere lo
spettatore, ammiccamento e coinvolgimento di chi guarda, c’è un gruppo, e lo spettatore ne è parte?
Attenzione a gesti e vestiti per rapporti interni alle figure ma con chiari ammiccamenti della figura a destra
per chi guarda e viene a sua volta coinvolto. Attenzione per una decadenza aveva una tradizione degli studi
tedeschi: i periodi di decadenza erano tutto quello che stava tra antichità e rinascimento e tra il
rinascimento e la modernità, e quindi uno dei risultati cruciali della scuola di Vienna è la riscoperta del
Barocco, considerato un periodo decadente, ma che in questi contesti inizia ad avere le sue prime
considerazioni, Riegl trova nel ‘600 una silloge di opere più significative di quelle precedenti. Nel 1888 esce
un volume di Justi su Velasquez, distante da un’idea di rivalutazione, a Roma si innamorano di un ritratto di
Velasquez e creano una monografia articolata di questo personaggio cruciale per l’arte del ‘600, non siamo
nell’ambito della scuola di Vienna, siamo in presenza di una monografia che si riconnette con il filone
biografico critico e che tende a individuare l’artista come eroe del suo tempo, prelude ad aspetti che
ritroveremo nell’idealismo, e intersecheranno una fase avanzata della scuola di Vienna. Altro esponente
tedesco che non fa parte della scuola di Vienna, Wölfflin, scrive un altro volume, Rinascimento e Barocco, in
cui traccia un’evoluzione in una visione rivalutativa di questo periodo che segue il rinascimento, e Riegl si
innesta in questo filone, nel 1908 scrive il suo volume Gli studi sul barocco romano, con cui si trasferisce nel
centro di irradiazione dell’arte barocca, cercando di attuare le sue teorie in questo contesto, ne esce un
ruolo dello spettatore ulteriormente enfatizzato, notevolissimo lavoro di contestualizzazione di aspetti
storici e sociali, arte che oggi noi tendiamo a considerare nei suoi canoni, ma fino a quel momento idea di
un’arte che volesse stupire il conservatore non esisteva. È anche un caposaldo della teoria del restauro,
viene incaricato di riorganizzare il settore della tutela delle opere d’arte, e in continuità con questo ruolo
scrive il suo trattato, il Culto moderno dei documenti, libro di straordinaria influenza e modernità, alcuni dei
capisaldi della teoria del restauro sono ancora validi dalla teoria di Riegl: dice che il restauro dei monumenti
è autonomo dalla storia dell’arte, restauro monumentale operazione che richiede un’attività critica
autonoma della storia dell’arte, ci sono vari valori che individua, che non devono prevalere. Anche in
questo caso Riegl si oppone alla teoria corrente, cioè quella del restauro stilistico, e individua varie
componenti che sono concomitanti, innanzitutto il valore storico, si conserva come testimonianza del
passato, e il restauro può ripristinare la leggibilità del monumento, porta con sé ideali artistici dell’epoca in
cui è stato concepito, e ha un valore per le persona del tempo, c’è un valore d’uso, ad esempio un ponte
antico, ha un valore di novità, che poi con il passare del tempo perde, può degradarsi e non essere leggibile
in quanto nuovo, e poi un valore di antichità, che si deve conservare, restauro che elimini il lavoro fatto è
uno che toglie qualcosa, individua tutti questi aspetti, e dice che un restauro deve tenerne conto, e di volta
in volta deve capire qual è da privilegiare in ogni caso, il valore dell’antico è fondamentale, preservare è
fondamentale, quando una mano umana fa un’opera sa che ha un divenire storico, che si aspetta regolare,
a meno che non ci sia una guerra o una distruzione, la natura agisce nel tempo con degrado regolare,
patina che ha l’originale è deposito lasciato dal tempo, che non può avere una copia. In una cosa nuova c’è
valore di novità, finché non passa il tempo, come quando un monumento viene restaurato con integrazioni
o sbiancamenti, perde il valore di antichità, deve essere evitato l’intervento arbitrario della mano
dell’uomo, no guarnizione o riduzione, dice che un monumento deve essere così preservato, non va
aggiunto quello che ci immaginiamo che ci fosse. Stava avvenendo che le aggiunte barocche, che avevano
un valore storico venivano sostituite con un pezzo neogotico, Riegl crea un primo fondamento, l’intervento
è solo extrema ratio, è solo conservativa, atto critico della storia del restauro, rivalutare i periodi negletti
per una loro difesa, non si deve distruggere con estrema leggerezza. Il restauro è una disciplina difficile in
cui si devono trovare non sempre facili equilibri. Questo porta nella pratica, lui era diventato un massimo
funzionario, individua operazioni che sono puramente di restauro o conservazione, oppure di protezione.
Riegl muore nel 1909, e gli succede Dvorak, si occupa di miniatura, campo della storia dell’arte non molto
battuto al momento, si occupa di pittura giottesca, di Van Eyck, di pittura gotica franco fiamminga, i suoi
punti cardinali sono semplici, storia dell’arte è scienza storica, ma autonoma, si occupa della visione, e ha
una specificità che è l’analisi delle forme dello stile, formalista dichiarato, anche se poi arriverà a qualcosa
di diverso, canonicamente si dividono in tre grandi filoni, tre periodi, la storia dell’arte è una scienza storica,
nel secondo periodo si ha una forte attenzione per le questioni stilistiche e studia come il gotico fiammingo
si apre a un naturalismo quattrocentesco di origine italiana, tendono a gettare un ponte che supera le nette
divisioni, e nel terzo periodo scrive la monografia su il Greco e sul manierismo, interessante e capace di
aperture, mette a punto una teoria di una storia dell’arte intesa come storia dello spirito KunstWollen
estremamente potenziata. Storia intesa con un senso idealistico che arriva ad essere quasi spiritualistico,
vocazione universalista, tratto interessante della scuola di Vienna, idea evolutiva, da un punto di vista
formale ma con un aspetto molto sottolineato di un qualcosa che è di più di un volere artistico, è
espressione di una spiritualità, visione nel restauro molto partecipata, dice che le vecchie case devono
essere mantenute, perché permane in esse lo spirito delle generazioni precedenti. Prima considerazione
italiana è di Alberto dall’Acqua, in Italia avremmo personaggi importanti e influenti sulla scuola di Vienna,
ma comunque in generale un ritardo, ci metteremmo in pari negli anni ’30, per il fatto che la voce arte sulla
enciclopedia Treccani fu affidata a Schlosser, perché si voleva far conoscere universalmente questa istanza
in Italia. Considerazione italiana delle prassi di Dvorak, concezione dell’arte non è un programma teorico,
ma ha una finalità attiva, vede nell’arte il riflesso immediato del tempo in cui quest’arte si esprime, la storia
dell’arte è correlata ma indipendente dalle discipline storiche, non è semplice successione di fatti ed eventi,
ma è in continua connessione con la società, con la cultura e la nazione, con elementi spirituali. Tietze,
storico dell’arte nato a Praga, altro allievo di Wickhoff, studia a Vienna e migra nel ’38 a NY, ha una
metodologia formalista ma improntata a una forte valenza filologica, nel 1913 pubblica un volume che si
intitola Metodo della storia dell’arte, e ritiene che la storia dell’arte sia una scienza storica ma autonoma,
non deve essere annoverata nel gruppo delle scienze storiche, un documento storico manca dell’aspetto
visuale, intrinseco al documento artistico. C’è ancora nel ‘900 una necessità di rivendicazione di autonomia
di questa disciplina, richiamo all’estetica, anche se tende a rivalutarla, aspetti di Riegl che vengono
sedimentati anche in teoria. Tietze crede che l’estetica può aiutare la ricerca storica, non fa un taglio netto,
si connette a Riegl, dice che comunque lo spettatore ha un ruolo, e l’estetica uno strumento nelle mani
dello spettatore per la riflessione. Alla morte di Riegl, Dvorak eredita la cattedra e gestisce il restauro,
volume del 1916, e Sciolla dice che è importante il concetto di bene culturale, qualsiasi bene cultuale può
essere testimonianza della vita intellettuale, e va rispettata e conservata, cose che fino a quel momento
non esistevano in quanto tali, l’idea anche un’ampia gamma di oggetti, che non fossero solo monumenti o
opere d’arte, fossero da soggiogare a una tutela è una cosa che in Italia c’è dal secondo dopoguerra, e
prima lo stile barocco veniva distrutto per soppiantarlo con qualcosa di più tedesco, un rinnovato stile
neogotico, mettere in guardia dalle speculazioni edilizie, si tende sempre a costruire qualcosa di nuovo, e
poi forma di mercato antiquariale che ha spesso causato lo spostamento di molte opere d’arte, portato
pratico della sua storia dello spirito, una volontà uniformatrice che nell’architettura si manifesta dopo
eventi cruenti trova un contrattare molto netto, protezione delle tradizioni locali, significativo che in Italia
un testo del genere sia stato tradotto solo nel 1971. Fa una prima enunciazione dei decreti di formazione
degli storici, tutto deve essere lasciato intatto, anche nei piccoli centri, e soprattutto il contesto, soprattutto
paesaggistico, un’ultima cosa che ci lascia che la tutela dei monumenti deve abbracciare tutto ciò che viene
considerato un bene pubblico, e le cose di minore importanza spesso hanno bisogno di più protezione
rispetto a quelle più significative.

11/02

Importante il concetto di bene culturale, e in queste teorie del restauro, sia Riegl che Dvorak hanno insistito
che il fatto di tutelare un monumento non si deve andare a toccare l’azione del tempo sul monumento,
comprese aggiunte di parti e decorazioni, in stili successivi, caso delle chiese in area tedesca che avevano
avuto addizioni barocche, che poi nell’800 venivano distrutte per essere sostituite con parti in stile gotico,
che andavano a colmare quelle che venivano percepite come lacune, ed era anche quello un tentativo di
risarcire un gusto del passato. La polemica di Riegl e di Dvorak è precisa, contro la teoria del restauro
storicistica, che aveva visto in Viollet-le-Duc il maggior esponente, ricordato per quello che si definisce il
restauro stilistico, e per questo architetto una conoscenza presa dello stile del passato poteva consentire
una ricostruzione fedele e verosimile, e indica al restauratore la necessità di immedesimarsi nella mentalità
del costruttore del passato per riportare il monumento a uno stato ideale di completezza, e questo
ammetteva che questo genere di restauro integrativo e sostitutivo poteva essere fatto anche in assenza di
documentazione storica, semplicemente l’integrazione poteva essere concepita come qualcosa che l’artista
del passato poteva non aver mai pensato, integrazione che assomiglia a cosa avrebbe potuto essere, c’è un
risultato forte e immediato, percezione di un ripristino di un bene in stato di deperimento, ma siamo al
contrario di ogni operazione filologica. Libro L’architecture, scrive che restaurare una costruzione non è
mantenerla, ma ristabilirla in uno stato completo, la completezza è un canone, cancellare la storia, tutto
quello che è avvenuto nel tempo, e poi si rifanno le parti mancanti o demolite rispetto a quello che si ritiene
l’originario. Castello restaurato da Le-Duc, ha un successo in Italia, e arriva anche ben dentro il ‘900, ci sono
molti edifici storicistici, sono una citazione di stili storici, dobbiamo pensare che quando crolla il campanile
di S. Marco nel 1902 si scatena un dibattito, tra chi voleva costruire qualcosa di nuovo e moderno e chi lo
voleva com’era e dov’era, slogan coniato in questa circostanza, e vince, nell’opinione dei veneziani, ci sono
ragioni affettive, e non contravveniva l’idea degli esponenti della scuola di Vienna, quando c’è una
distruzione si valuta il da farsi, e viene ricostruito da Beltrami, che era in una posizione intermedia, dice che
si può ricostruire alla Viollet-le-Duc, ma solo tramite uno studio approfondito della documentazione
specifica, si sapeva tutto del campanile, si è ricostruito, anche se non con le tecniche del passato, ha
un’anima di cemento armato, il restauro è sempre un luogo di dibattito e di critica, e che ha una parte
estremamente conservativa, Ruskin riteneva che la forma del restauro fosse la peggiore delle distruzioni,
dice di prendersi cura dei monumenti così non si dovranno restaurare, non possiamo fermare il tempo ma
possiamo prendere dei provvedimenti per rallentare, considera un rudere come una manifestazione
congiunta tra il passato e il tempo naturale, teorizza un’assoluta intangibilità, passare del tempo elemento
fondamentale dell’architettura come si vede, una sua essenza propria, e un’architettura ha anche un diritto
di morire, il tempo fa il suo corso. Antonio Morassi, collegato al nome di Dvorak, perché di Gorizia, segue i
corsi di Schlosser, Dvorak, e altri, è importante perché il suo archivio è conservato nella sede di beni
culturali di Venezia, annotava tutto e scriveva tutto, archivio formato da taccuini di viaggio, libri, fotografie,
materiale complesso e composito. Aveva avuto una carriera differente, dopo la prima formazione a Vienna,
va a Monaco di Baviera, inizia una formazione artistica, poi vede le cose di Kandinskij, entra in una crisi
personale e torna a Gorizia sconfortato, poi si iscrive a Vienna, e nel suo archivio ci sono gli appunti che
prese alle lezioni di Dvorak, tutta la sua prima parte di attività è fortemente segnata delle idee sul restauro
che aveva appreso a Vienna, nella terza fase di Dvorak, teorizzazione della storia dell’arte come storia dello
spirito, già nei primi anni del ‘900 scrive in tedesco una serie di articoli che seguono il filone di Dvorak, in
delle riviste storico artistiche, ha la possibilità subito di pubblicare in maniera specifica, e partecipa
indipendentemente dagli incarichi per individuare architetture e pitture minori, segue un tratto viennese, a
cui attribuisce la capacità di rappresentare una cultura del popolo, e nel 1920 viene assunto come ispettore
nel reale ufficio di belle arti a Trieste, problema della ricostruzione dopo la prima guerra mondiale, molti
edifici danneggiati nelle terre di confine, che però non erano considerati al pari di quelli veneziani, in molti
casi speculazioni e esportazioni illegali di opere d’arte, e anni di attuazioni di leggi di tutela in Italia. Scritto
sulle vecchie casi di Gorizia in cui lui prende una posizione come quella di Dvorak, scrive che non hanno un
grande valore artistico, ma sono carne della nostra carne, dobbiamo resistere al tentativo da parte dei
proprietari di arrivare a una speculazione. Nell’archivio ci sono una serie di fotografie in cui lui cerca di
testimoniare la condizione delle vecchie case, Legge Rosadi, basi per la tutela del paesaggio del 1909,
congresso degli storici dell’arte a Parigi nel 1921, postbellico, sugli interventi da fare dopo la prima guerra
mondiale, Morassi dice che il monumento per tutti deve essere una forma intangibile, e che il restauro è
una sorta di falsificazione, la parola falso anche in Dvorak è importante, la sua linea è quella di promuovere
una ricostruzione filologica che andasse a consolidare l’esistenza dei monumenti, che erano le vecchie case
di Gorizia, e dice che tutte le parti restaurate devono essere riconoscibili, no false, un compromesso oggi
riconosciuto e di prassi. Aspetti viennesi penetrano nella soprintendenza dei confini, poi venne mandato
anche a Trento e Bolzano, gli aspetti viennesi riverberano nelle antiche terre dell’impero austroungarico
quando torna in dominio italiano, Morassi ha anche una lunga carriera nelle istituzioni italiane, pinacoteca
di Brera e anche a Milano, dal ’39 al ’49 soprintendente di Genova, e anche durante la seconda guerra
mondiale fa un piano di salvaguardia delle opere d’arte di Genova e Savona mandandole in dei conventi
negli appennini. Da soprintendente di Genova, scrive nell’ultimo anno di lavoro dei documenti significativi
per la difesa di Venezia, dalla costruzione degli alberghi, si studia come sorgevano alcuni dei più importanti
e lussuosi di oggi, che venivano considerati come dei vandalismi, e Morassi con il soprintendente di Venezia
riesce a limitare i danni, a non far costruire dei piani, cartolina di Morassi precedente alla costruzione del
Danieli, in cui segna l’ingombro della nuova costruzione, e ci mostra quali sono le vecchie case di Venezia
che vengono sacrificate. Malintesa idea di progresso quella di distruggere quello che è vecchio per
sostituirlo con quello che è nuovo, nel 1975 dice che lui aveva portato avanti quello che diceva Dvorak, un
anno prima di morire. Morassi si stupisce che di fronte alla speculazione nessun intellettuale si fosse mosso,
aveva individuato ai suoi esordi un problema. Dopo il 1949 ebbe una carriera spianata, ma poi si ritira dalle
cariche pubbliche, si andava consolidando la sua figura di massimo esperto di dipinti veneziani del ‘700, e
decide che la sua carriera di libero professionista non va d’accordo con quella di istituzione e dà le
dimissioni, e fu in polemica con Longhi, che culmina con la sua pubblicazione sul libro dei Guardi. Il Morassi
viennese si italianizza, per poter avere una carriera ministeriale accademica frequenta il corso di
specializzazione di storia dell’arte con Venturi, e ottiene l’abilitazione con un elaborato su Bellini. Quando
fu a Milano fece alcune cose molto viennesi, cioè solo uno che aveva un tale bagaglio di storia museale
avrebbe potuto concepire una mostra sull’antica oreficeria italiana nel ’36, e a lui si deve la prima guida
moderna del museo Moldi-Pezzoli, che mette assieme oggetti e dipinti, ci voleva una mentalità aperta, per
fare un lavoro di tutela e valorizzazione. La tesi di Morassi è su un architetto, Michele Sanmicheli,
dell’epoca della maniera, abbiamo visto che dalla scuola di Vienna e da Dvorak si ha una riscoperta di
questo periodo, la scuola di Vienna in un epoca tarda, in cui incrocia anche Schlosser, che nel 1934 dà la
definizione della scuola di Vienna, in un lungo enunciato tradotto in italiano nel ’36, anche la storia dell’arte
e il suo metodo hanno avuto delle ripercussioni politiche. Schlosser viene dal solco viennese più tipico, ma
nella formazione delle sue idee è importante il fatto che ebbe un’amicizia importante con Benedetto Croce,
la madre è italiana e lui ama l’Italia, traduce alcuni scritti di Croce in tedesco, contribuisce a portare il
neoidealismo italiano, che riportava al centro la figura dell’artista creatore, al contrario dell’idea tedesca, è
un viennese doc, nel 1922 succede come epigono a Dvorak alla cattedra, e rammenta questa necessità di
prendere in mano il filo della scuola di Vienna, lui preferiva stare nei suoi musei e archivi. Un tema
importante è l’arte di corte, per cui prima non c’era neanche una definizione, arte del gotico internazionale
nelle corti europee da fine ‘300 e per tutto il ‘400. Altro tratto distintivo, lui è lo storico della scuola di
Vienna, e pur conoscendo questa importanza della scuola nelle decorazioni predilige lavorare da storico nei
contesti culturali, storia dell’arte come dello spirito, indaga anche musica e religione, come viene usata nei
vari periodi, va verso una storia dell’arte di più ampio spettro, diventa un mondo più complesso e
articolato. Appare un personaggio di vastissime vedute, anche ai suoi contemporanei, Schlosser parla della
scuola di Vienna ma anche di se stesso, Schlosser è lo storico dell’arte della sistemazione e dello studio
delle fonti, opera d’arte come documento, filologia viennese, apertura verso la cultura generale ed
economia, che ha aspetti preponderanti sulla storia dell’arte, ma anche sulla storia dello spirito. Elementi
portanti della formazione di Schlosser, tre periodi, il primo, giovanile, lo passa nei musei, studia
numismatica antica e bronzetti, formazione di impronta formale storico filologica comandata. Kunsliteratur,
letteratura sull’arte, Schlosser farà una grande censimento della letteratura artistica ed è il fondatore della
disciplina, considerazione della storia dell’arte come sequenza di fonti letterarie che parlano della storia
dell’arte, e infine terzo periodo arte di corte, tipologia di studi di cui è il fondatore, le sue opere vengono
tradotte in italiano, insieme all’arte di corte scrive un libro importante che uscì nel 1908, sul collezionismo e
sulle wunderkammer, che ebbero importanza e c’è una correlazione a margine delle opere artistiche di
corte, filoni inesplorati della storia dell’arte trovino delle prime attestazioni negli studi. Tema delle fonti per
la storia dell’arte è cruciale per Schlosser, ci si dedica dagli inizi della sua carriera, prodotto raffinato del
filone di contatto della parte filologica della scuola di Vienna con gli studi di diplomatica e di storia tout
court, scrive anche articoli sul significato delle fonti per la storia dell’arte in età moderna, mette le fonti
specifiche storico artistiche al centro di una sistematizzazione, tende a identificarsi con la sua idea di studio
della storia dell’arte, deve essere un obiettivo primario della ricerca scientifica, senza la storia della critica
non esiste la storia dell’arte. Anche lui ha un ampio spettro cronologico, e deve considerare tutte le fonti
che esistono nel ‘500 e in periodi oscurati in quel momento, riscoperta della scuola di Vienna, quelle del
‘500 ricadono nella maniera, e quelle del ‘600 nel barocco, il recupero di fonti per noi oggi primarie. La
storia dell’arte viene chiamata la nostra scienza, ormai il percorso è compiuto, si discute se debba
annoverarsi tra le discipline storiche, archeologia rispetto alla storia dell’arte aveva una disciplina
consolidata già nell’800, struttura filologica in cui la storia dell’arte ha un modello auspicabile anche se
necessario di adattamenti. Raccolta e censimento che fece nelle biblioteche e negli archivi, divisi per fonti,
anche inconsuete. Aspetto importante, risposta che Schlosser dà a Gentile quando gli viene affidato negli
anni ’30 il lemma “arte” nell’enciclopedia Treccani. Arte moderna e medievale è alla viennese qualcosa che
va dal tardoantico al classicismo del ‘700, contesto preciso, enciclopedia Treccani era una impresa
nazionale nata sotto il fascismo e doveva avere l’intento sovranista di costituire un grande esempio delle
migliori eccellenze della cultura nazionale italiana, cosa scritta dagli italiani per gli italiani, scelta non priva
di implicazioni, si voleva riaffermare un monopolio artistico italiano, scelta particolare di Gentile, che sceglie
Schlosser, omaggio alla scuola di Vienna, e Gentile fa riferimento alla sua volontà di portare in Italia le
istanze viennesi nella sua enciclopedia, e lo scrive in una lettera del ’28. È chiaro a Schlosser che deve far
conoscere la concezione della storia dell’arte viennese in Italia. Schlosser deve citare come precedenti
Ghiberti e de Sanctis, per molto tempo le nozioni di storia dell’arte verranno pubblicate su riviste storiche e
letterarie, nel 1912 pubblica i Commentarii del Ghiberti, in due volumi, il primo scritto in tedesco, ma con
una dedica in italiano all’Italia, si è sempre dichiarato afflitto dall’italofilia, ma non fu questo che gli viene
affidata la definizione di arte, avvicinamento della parte austriaca con l’Italia, sostrato politico, c’è nella
scelta di Gentile. Schlosser fa una trattazione specifica sulla ricongiunzione, in un opera commissionata da
Gentile lui filosofeggia, un suo punto di riferimento è Croce, Vossler istiga una serie di domande in
Schlosser, la risposta crociana è che l’arte figurativa è figurazione individuale autonoma che si vede
attraverso lo stile, dichiarazione di neo formalismo idealista.

12/02

Sciolla cerca di restituire le esperienze europee che seguono e convivono con quella di Vienna. Nell’800 uno
dei metodi più in voga è quello di colui che riesce all’occhio a riconoscere l’autorità di un dipinto, attitudine
che ha una radice profonda, punto in comune con la scuola di Vienna, fare la storia dell’arte non
accontentandosi della biografia dell’artista ma concentrandosi sull’opera. In Italia c’è stato un notevole
pregresso a una tendenza, i Conoscitori, termine che una presa in Inghilterra, e poi in francese Conosseur,
Lanzi, siamo nell’800, dice che ognuno ha la sua calligrafia, come il dipingere, paragone semplice, affinando
l’occhio in contatto diretto con tante opere d’arte, vedendone il più possibile, qualcuno impara a
riconoscere la grafia pittorica di un autore, e può riconoscerlo, o anche un ambito, e dice che è difficile
arrivare a essere conoscitori, fino a quel momento l’800 è un secolo innovativo per la storia dell’arte, la
disciplina passa per mano di studiosi che non sono pittori, prima si riteneva che gli artisti in generale
fossero in grado di riconoscere le mani altrui, e la stessa cosa valeva anche per il restauro, che avevano più
capacità di mettere le mani, non esisteva una disciplina autonoma del fare arte, Baldinucci nel 1781 si
chiede se ci sia una regola certa per conoscere se una pittura sia copia o originale, si chiede come si fa a
essere sicuri vedendo una pittura, non c’era la ricerca dei documenti d’archivio, c’era Vasari, le fonti, le
tradizioni, lui non aveva gli strumenti moderni, lui era l’esperto d’arte di fiducia dei granduchi di Toscana,
alla fine dice che la risposta sta nell’esperienza, nell’aver fatto occhio, esperienza molto difficile, deve
conoscere davvero tante maniere prima di giudicare. I conoscitori italiani sono Venturi e Toesca, e con loro
anche in Italia ha inizio la critica d’arte in senso moderno. La sua formazione è particolare, 1872 segue
l’accademia di belle arti a Modena, poi consegue il diploma di perito commerciale, poi acquisisce
abilitazione per l’insegnamento della contabilità nelle scuole tecniche, poi lavora nel museo a Modena
grazie a un concorso. Venturi lamenta una mancanza di considerazione per la disciplina storico artistica, e fa
una scelta di campo, aderire alla scienza del conoscitore, in Italia si cercava di individuare dei metodi, altra
passione per i documenti antichi d’archivio, è lo studioso più attento e ricettivo su tutta la documentazione
su tutta la storia dell’arte che fornissero documenti storici, punto fermo, adesione a una tendenza
positivistica della ricerca storica e filologica, motto di Venturi è “vedere e rivedere”, opere d’arte,
documenti artistici primari, Venturi fa una raccomandazione per cui si deve avere una conoscenza originale
indispensabile di fronte alle opere originali, che vanno viste molte volte per riconoscerle, raccomandazione
che ai tempi cerca di arginare un uso improprio della fotografia. Venturi viene dopo una grande tradizione
di grandi conoscitori italiani dell’800, il primo è Cavalcaselle, che applica una analisi comparativa delle
opere d’arte, concetto apparentemente banale, dice che si devono vedere ma anche confrontarle,
affiancamento manifestazione diretta, ma in una maniera induttiva, non cerca forzatamente una teoria, lui
è empirico, induttivo, Morelli cerca una teoria scientifica, differenza importante tra i due. Importante
esigenza avvertita di riscrivere una storia dell’arte, Cavalcaselle si assocerà con un giornalista inglese,
esigenza di rifare la storia dell’arte basandosi su un’accuratissima analisi diretta delle opere, lavoro di un
conoscitore molto apprezzato anche da Venturi, il metodo di Cavalcaselle è fondato sui disegni, che sono
insieme disegno e parola: lui dice che deve basarsi su un esperienza diretta delle opere d’arte, gira tutta
Italia e tutta Europa, va in Germania, osserva i dipinti minuziosamente, li disegna e prende appunti, la sua
esperienza sul campo lo porta a considerare l’arte italiana regionale, anche in Italia si cercava di uscire dal
concetto biografico vasariano, caposaldo centrale della storia dell’arte, tra il 1864 e 1866 escono i suoi
volumi con la nuova storia della pittura, lui guarda le opere attentamente, ma anche individua la fessura di
una tavola in cui c’erano ridipinture, capire che cosa è originale e cosa no, anche in un dipinto molto
famoso di autorialità certa, in un dipinto confermato da tutti Cavalcaselle si mette davanti con tutti i suoi
dubbi, valutando tutta la storia, e dopo lui per un secolo questa prassi è stata abbandonata, anche se lui ha
portato delle capacità di osservazione notevoli, lui stilizza ha uno sguardo indipendente e libero rispetto alla
tradizione, va a cercare quello che a occhio di uno sguardo generale non si vede, cerca i dettagli stilistici,
attenzione notevole per gli interventi di restauro successivi che modificano caratteristiche e che possono
fuorviare, cerchia la mano della vergine e sopra scrive rifatta, non rientra nei suoi canoni di come conosce
Stefano da Verona, non si può giudicare una opera da una foto, diventa fuorviante, e in anni dopo hanno
fatto delle radiografie e hanno scoperto che era vero, Cavalcaselle ha insegnato ad andare dentro all’opera,
conoscitore più amato e di riferimento per Longhi, che recupera sempre i suoi scritti. Vedere e rivedere,
metodo di Cavalcaselle, empirico e positivista, quello di Morelli ambisce a una certa scientificità, ci sono
grandi conoscitori dell’800, rivoluzioni attributive, a Dresda Cavalcaselle vede il S. Sebastiano e dice che è di
Antonello da Messina. Giovanni Morelli, di Verona, Schlosser lo include nella sua storia di Vienna, perché il
suo metodo di pretesa scientifica aveva affascinato numerosi esponenti della scuola di Vienna, e anche lui
viene dall’arte e non dalle discipline storico artistiche, si era laureato in medicina, passione per la storia
dell’arte durante gli studi scientifici, si dedica alla botanica, studia il disegno e il corpo umano. Lui si forma
in Germania, a contatto con la cattedra di Wagen, e studiando medicina sviluppa un interesse per
l’anatomia comparata, poi a Milano frequenta l’atelier di Molteni, tema del falso lui sarà uno dei più grandi
falsari, e anche il direttore della National Gallery di Londra, e anche Miller, che era stato incaricato di girare
tutta Italia per comprare opere per il NG di Londra. Venturi descrive l’impatto di Morelli, uscita del libro ha
un impatto deflagrante, dice che molti abbandonano il metodo cavalcaselliano e adottano quello
morelliano. Metodo di Morelli, propone una tecnica di indagine attraverso i dettagli secondari, orecchie,
mani, pieghe delle vesti, che possono rivelare meglio al conoscitore la mano particolare di un artista
rispetto a quella degli altri, e secondo questa mano particolare agisce meccanicamente, cose che è
chiamato a fare in maniera meccanica, ripetitiva, senza pensarci troppo, ed è lì che tradisce di più la sua
sigla, catalogazione ottocentesca e positivista, lui li classifica e li chiama motivi sigla, possono riguardare
alcune pose tipiche o atteggiamenti tipici, i conoscitori per catalogare gli artisti coniano nomi singolari,
come il maestro dagli occhi ammiccanti, motivi sigla, pose atteggiamenti tipici sono le maniere abituali degli
artisti. Morelli definisce maniera abituale questi motivi, con particolari ricorrenti che un pittore riferisce
distrattamente, lo fa perché lo deve fare, la forma dell’orecchio è quella, tecnica di indagine, c’è una parte
di metodo comparativo anche in Morelli, quando ho un punto fermo di un artista propago l’autorialità a
tutte le opere in cui individuo un motivo sigla. Anche Cavalcaselle guarda i dettagli, ma non con un occhio
catalogatore, che vuole trovare un metodo scientifico, ebbe anche critiche. Cesare Lombroso, nato anche
lui a Verona, getta le basi della moderna criminologia, è convinto che era possibile stabilire per una persona
se avesse la tendenza a delinquere guardando alcune caratteristiche fisiche, diceva che un criminale ha dei
difetti fisici, criminale nella teoria lombrosiana ha caratteristiche precise, ha il cranio piccolo, orbite oculari
grandi, fronte sfuggente e rigonfiamento alla base della testa, e fa dei cataloghi in cui mette tutte le foto dei
criminali, non è molto diverso da Morelli, ha la volontà di essere e avere un fondamento scientifico,
scientificità che si oppone a tutte le varie discipline che risentivano del periodo romantico in cui tutti si
rifacevano ai miti. A Dresda ha individuato un’opera di Giorgione, considerata fino a quel momento una
copia, e ci azzecca, e scrive sotto lo pseudonimo di Lermolieff, e attribuzione del ritratto raffaelliano della
galleria Borghese. Nel suo saggio su principio e metodo Morelli fa un confronto con le altre scienze, dice
che si deve essere conoscitore. Cavalcaselle e Morelli avranno una menzione che verrà rinnovata da Longhi
e Benson. Morelli subito dopo l’unità d’Italia nel 1862 fa un discorso alla camera dei deputati e accusa la
classe dirigente italiana di essere sorda alla necessità di fare leggi mirate a ostacolare l’esportazione di
opere d’arte, e sempre in quell’anno Cavalcaselle scrive un opuscolo che è passato inosservato, con il
parlamento appena formato la corrente liberista non vuole impedire che un privato che vuole vendere un
quadro possa fare soldi, e poi segnala che debbano essere fatte delle leggi di tutela per il patrimonio
artistico italiano. Prese di posizione di Cavalcaselle e Morelli sono state importanti più rispetto alle
attribuzioni che erano riusciti a fare, in quel tempo riesce a evitare la vendita della Tempesta di Giorgione.
Siamo avanti nel cercare di sollecitare delle leggi sulla tutela, siamo nel 1862 e la prima legge fu nel 1909,
anche regionalizzazione importante, nell’interesse locale e nazionale.

17/02

Morelli nel 1862 fece un discorso in cui si scaglia contro la società italiana, che era rea a istituire leggi che
ostacolassero le esportazioni. Opuscolo di Cavalcaselle, negli stati prioritari c’erano legislazioni di tutela che
avevano la loro efficacia, dopo il 1861 aveva immaginato un sistema decentrato in cui le regioni potessero
garantire la sorveglianza sulle opere d’arte, quelle che poi sarebbero state le soprintendenze italiane. Aveva
immaginato una consulta, un ispettorato, una divisione speciale delle belle arti, doveva catalogare, la
catalogazione è il primo passo che certifica un’opera, fissa un bene, prima legge sull’inventariazione con le
fotografie successiva è del 1923. Aspetti relativi alla scuole di Vienna, c’erano sensibilità diverse tra chi era
fautore di un restauro come Dvorak e chi un restauro ricostruttivo, e si dice di scegliere un canone per il
restauro italiano, si dà unificazione perché nella sua idea che è della storia dell’arte italiana regionale ogni
entità avrebbe dovuto avere il suo museo in cui era testimoniata l’arte del luogo, e anche in questo caso
dice di fare i cataloghi delle gallerie, con una pubblicazione che deve essere sottoposta al ministero,
studiare, capire e pubblicare è una forma di conoscenza e di tutela, è più facile proteggerle. Si comincia
dalla conservazione, poi lavori di restauro, che vanno ispezionati, è necessario a volte intervenire nelle
opere, ma deve essere controllato da chi ha le competenze di controllare le procedure. Parte importante
dell’inventario e catalogo degli oggetti d’arte del regno, erano opere sconosciute, alla scuola di Vienna
venne formata una commissione centrale per tutti i documenti, in quel momento in Italia eravamo indietro
nell’azione, ma si era capito cosa c’era da fare. Altro aspetto viennese, avevamo visto che le commissioni
centrali facevano riviste specifiche in cui davano contro dei loro lavori, erano periodiche, necessità di
sedimentare in uno scritto consentiva un’assicurazione di tutela e conoscenza dei beni, Venturi dà il via alla
disciplina storico artistica in Italia, fa una scuola di specializzazione, e abilita gli specializzandi
all’insegnamento delle discipline storico artistiche, e anche Venturi cerca di avviare, e capisce che servono
delle sedi editoriali proprie in cui pubblicare i risultati delle ricerche, le riviste potevano essere un volano
per questa nuova disciplina, e dal punto di vista pratico della percezione simbolica rendevano la disciplina
ancella di più consolidate materie, riviste in cui nell’800 si poteva riuscire a pubblicare contenuti storico
artistici, anni ’80 dell’800. Nel 1888 viene fondato l’Archivio storico dell’arte, prima rivista formalmente
artistica, da Domenico Gnoli, direttore della biblioteca storica di Roma e studioso dell’arte a Roma nel
Rinascimento. Nel 1898 l’Archivio storico dell’arte diventa L’arte, che fino alla morte di Venturi sarà il punto
di riferimento in Italia. Pochi anni dopo sorsero altre riviste in Italia, nei primi del ‘900, con vesti grafiche, la
prima è Emporium, include anche l’arte contemporanea, poi Rassegna d’arte, fondata da Valeri, rivista
attenta alla nascita dei musei e alle arti anche minori soprattutto nel periodo rinascimentale tra Emilia e
Lombardia, e poi anche il Bollettino d’arte, di Ricci, è molto attento ai problemi di tutela e di restauro.
Panorama che ha una rapida evoluzione, in Italia urgenza del restauro. Venturi usa questa Storia dell’arte,
che doveva andare dal tardoantico al barocco, in un totale di 25 volumi, arriva solo alla fine del ‘500,
collana che ha un taglio ancora ottocentesco, ha degli aspetti particolari e innovativi che sono soprattutto
l’attenzione per l’architettura, e una inedita attenzione per le arti minori, considerato il precursore in
questo genere di studi, e il suo modo positivista filologico lo porta ad avere una estrema attenzione per i
documenti d’archivio, qualsiasi ricerca archivistica viene messa a sistema, riteneva che fossero i punti di
appoggio dell’architettura storica, veste editoriale splendida. Gonzales-Palacios, cubano, quando Castro va
al potere lui va a Firenze e Milano, e poi Roma, studia Longhi, viene considerato il fondatore sulle arti
applicate, su mobili, collezionismo, si espresse sulle memorie autobiografiche di Venturi del '27.

Pietro Toesca, fu uno dei più importanti storici dell’arte medievisti del ‘900, il suo libro ricostruisce la storia
medievale ridefinendone l’importanza a livello europeo, il suo metodo è strettamente filologico, Longhi
definisce questo libro principe per l’arte lombarda, che in quel momento assume una sua fisionomia, sono
contenuti alcuni aspetti importanti, non solo attribuzioni di autori maggiori, influenza di varie istanze, anche
schlosseriane, molto attento anche al metodo cavalcaselliano, guardare le opere e compararle, anche lui dà
una grande importanza ai documenti, e anche con le opere di dubbia attribuzione, tratto di Cavalcaselle
mettere in dubbio tutto, non dare nulla per scontato, e infatti Toesca concepisce una canonizzazione di
questi aspetti che non erano così sistematici, non si deve trascurare nessun segno, usare i documenti bene
come diceva Venturi, ricerca che compone vari metodi che iniziano a diventare aspetti di una tradizione
documentale filologica italiana, utilità stilistica formale, a questi studi stilistici farà sussidio anche
l’iconografia, in Toesca confluiscono la tradizione filologica germanica e influenza dello stile che richiama le
questioni relative alla scuola di Vienna. Berenson, personaggio che ha avuto un’influenza straordinaria a
livello globale, nato il Lituania nel 1865 da una famiglia ebrea, allora faceva parte dell’impero russo, nel
1875 va a Boston con il padre, viene naturalizzato, va all’università a Boston, poi passa ad Harvard e compie
studi linguistici, e lì inizia a frequentare il museo, luogo sempre importante, nel 1890 va a Firenze e assieme
alla moglie fa viaggi nell’Italia settentrionale, Toscana, Umbria e Emilia, anche lui va a vedere tutte le opere
d’arte minuziosamente, si dichiara influenzato da Morelli e dal suo metodo, si crea una fama di esperto e
inizia a lavorare per degli antiquari molto importanti, con Wildestein diviene socio dopo la 2GM, e sono
usciti negli anni anche una serie di volumi che riportano dei traffici di opere d’arte che fece, lo storico
dell’arte inizia a diventare un personaggio moderno, con tutte le sue ambiguità, ci arriva non per scelta, lui
voleva fare lo storico letterario, ma la sua richiesta viene rifiutata, e poi quindi viene mandato in Europa a
vedere i quadri, è uno che ha una vita interessante, si ispira molto al metodo morelliano, che inquadra in
maniera precisa, scienza delle immagini, lo paragona a Darwin, e aveva intenzione di fare delle recensioni
sui libri di Morelli, ma non pubblicò mai i suoi appunti, lo conosce personalmente ma le cose non
funzionano. Intanto le attività di mercato funzionano, e si arricchisce, e compra la villa dei Tatti, sopra
Firenze, e pur recependo tutti questi documenti a un certo punto dice che il suo intento era di fondare una
istituzione, nel periodo tra le due guerre mondiali è il salotto d’arte più importante in Italia, e ambito da
tutti. Per l’epoca inizia a scrivere un po’ tardi, i suoi Pittori veneziani del rinascimento esce nel ‘94, ha un
successo immediato, libro scandalo, denuncia delle false attribuzioni consolidate, personaggio storico, nel
1895 viene fatta una mostra dalle collezioni private, rifiuta dipinti di Giorgione e di Tiziano, nel 1896 esce I
disegni dei pittori fiorentini, in cui presenta la teoria della tangibilità, poi si dedicherà a questioni minute, e
smette di pubblicare opere di studio, si era fatto una posizione. Recensione del 1905, già anche alla scuola
di Vienna si segnala che i disegni italiani del rinascimento erano un campo inesplorato, difficoltà stava nella
vastità dell’argomento, Berenson dice che questi disegni andavano studiati con attenzione, davano luce sui
processi creativi degli artisti, non c’è una scienza esatta per conoscere un disegno, ma semplicemente
plausibile, metodo comparativo con il dipinto e con la scultura, e anche spirituale, non è un disegno
preparatore, concetto quasi sciamanico della storia dell’arte, che cercava l’oggettività, ma poi trova
l’empirismo, legata a prestigio e consapevolezza, è ancora nell’immaginario, canone della disciplina. Che
criteri usava Berenson per inquadrare queste opere? Bisogna dividere in maniera netta i valori decorativi e
illustrativi, che hanno una prima sostanziale differenza, il primo è formale, che costituisce l’opera in quanto
tale ed è immutabile, il secondo si riferisce a una serie di allusioni sentimentali iconografiche che cambiano
a seconda del periodo in cui vengono percepite. I valori decorativi costituiscono gli aspetti formali
dell’opera, valori tattili, di movimento, di composizione spaziale, aspetti stilistici formali, valori tattili
spiegati con Giotto o Masaccio, capacità di un pittore con la sua arte di dimostrare una profondità, una
conoscenza tattile nelle figure, definizione di valore tattile, volume tangibile, che fanno parte degli aspetti
decorativi, cioè formali, Giotto era capace di evocare un senso tattile che prima non c’era, valori formali di
movimento, idea di evocare un movimento, aspetti formali e decorativi, per Berenson gli artisti umbri erano
i più tipici rappresentanti dei valori di composizione spaziale, e gli artisti veneti erano legati ai valori che
riguardavano colore e tono. Valori illustrativi sono l’antitesi dei valori decorativi, elemento discriminante
del giudizio del valore delle opere, può essere fatto nel tempo, è mutevole, e poi ci sono casi in cui
Berenson si applica e denuncia anche dei suoi stessi errori, come nel caso della S. Giustina, prima attribuita
a Vivarini, ma poi a Bellini, e fu la disperazione per alcune attribuzioni museali. Definizioni, elementi
illustrativi sono tutte le parti dell’opera che riguardano il contenuto, iconologia, rapporto soggettivo che si
stabilisce, non possono essere assoluti. Panorama della storia della critica d’arte europea di stampo
formalista, uno dei più curiosi è Fry, che ha un vantaggio, la biografia, inglese e si occupa di primitivi italiani,
primitivi ha un significato particolare in Inghilterra, si ricollega ai Preraffaelliti, e al medievale, fa i primi
studi sui post impressionisti, in particolare su Cezanne, è stato un evento che ha cambiato anche la
percezione. 1910 organizza una mostra che si intitola Manet e i postimpressionisti, riesce a far conoscere
artisti fino a quel momento sconosciuti, oltre all’interesse per i primitivi faceva il ritrattista. Tra i formalisti
in Francia spicca la figura di Malle, in area tedesca abbiamo Wollflin, si forma a Basilea, fa un dottorato sulla
visione psicologica dell’architettura, fu a Roma alla scuola di Venturi, dove fa una tesi per la libera docenza
su rinascimento e barocco, attenzione per i periodi storici non considerati del tardoantico e del barocco.

18/02

Wollflin, contesto di studiosi formalisti in Europa, ha una teoria spiccatamente formale che culminerà nella
storia dell’arte senza nomi, definizione con cui è diventato famoso, pur avendo partecipato al dibattito sul
barocco e su settori non approfonditi della storia dell’arte, come collaterale della scuola di Vienna, fa parte
di una grande schiera di studiosi tedeschi, ma la sua formazione avviene a Basilea, e poi a Roma aveva
conseguito l’abilitazione per la libera docenza della scuola dell’arte con una tesi su rinascimento e barocco.
Wollflin ritiene che il modo per un artista di osservare la realtà è sempre collegato a un preciso periodo
storico, fissa dei canoni, le opere prodotte in un’epoca corrispondono ai problemi di quell’epoca e usano le
forme e i linguaggi dell’epoca, crea un linguaggio con una serie di coppie polari, in un libro di impianto
metodologico, è un volume che vuole stabilire una metodologia e vuole trovare delle regole per valutare gli
schemi dello sviluppo stilistico, delle leggi di fondo per una storia dell’arte senza nomi, analisi prettamente
formale, divide lo sviluppo stilistico in 5 coppie formali, rifiuta la storia narrativa dell’arte e quella della
biografia degli artisti, già criticate dal suo maestro, Burckhadrt, e propone una storia sistematica anonima,
fatta per cose e generi, teoria non facilmente riassumibile, rivediamo qualcosa che abbiamo già trovato in
Berenson, che articolava un dualismo, qui tutti i valori soggettivi rimangono fuori. La prima dicotomia, stile
lineare e pittorico, anche i valori tattili dal punto di vista formale di Berenson hanno un’origine in questa
teoria, da un lato abbiamo quasi valori tattili, dall’atro più visibilisti, in questo mondo di matrice tedesche
gli aspetti formali sono preponderanti e ritornano, hanno anche un impatto e un influsso,
superficie/profondità, esperienze pittoriche coeve a queste di Wollflin trovano una possibilità di entrare
nell’arte dal punto di vista teorico, anche se si trattava di avanguardia, gli elementi sul piano si mettono in
un ordine determinato, quando c’è una simmetria la forma è chiusa, l’ordine è determinato da un rapporto
assiale, è aperta quando gli elementi non hanno un rapporto, formalismo legato da schemi. Un’opera in cui
c’è una folla, ogni persona esiste in rapporto agli altri, l’unità è una raffigurazione in cui non si può
rappresentare un dettaglio estrapolabile in modo autonomo. Chiarezza riguarda il rapporto tra il dipinto e
la chiarezza considerata, uno stile di chiarezza assoluta è quello rinascimentale, quando c’è una chiarezza
relativa, tipica del mondo barocco, richiamo stilistico meno astratto. Esempi per comprendere le categorie
sono indicati da Wollflin stesso, indica un’ultima cena rinascimentale, il Cenacolo di Leonardo da Vinci, in
cui il dipinto è perfettamente calibrato nello spazio, confrontato con il Tiepolo del Louvre, in cui c’è
qualcosa che indica il movimento e mancanza di simmetria prospettica, profondità che si oppone alla
linearità leonardesca. Categorie create da Wollflin sono applicabili a qualsiasi opera d’arte teoricamente,
viene definita una storia dell’arte senza nomi, reazione a un individualismo romantico settecentesco, cerca
un’oggettività, anche Morelli lo faceva, la teoria di Wollflin, che ha avuto una ricaduta inaspettata in Italia,
dava una predominanza a un certo punto ritenuta eccessiva all’aspetto formale, vide un declino rapido
dopo qualche decennio, quando Panovskij imposta una teoria contraria, divisione che riguarda l’iconologia,
dà al contenuto un’estrema importanza. Tesi per la libera docenza di Wollflin è sul rinascimento e barocco,
che viene pubblicata a 24 anni, libro ancora molto potente, che individua per il Barocco artisti che vengono
rivalutati, impianto formalista con cui cerca di individuare le caratteristiche per cui il Barocco è uno stile
differente dal Rinascimento, caratteri che sono in larga parte manualisticamente condivisi ancora oggi. Fino
a quel momento l’idea del Barocco era di decadenza, Vasari aveva accompagnato la storia dell’arte fino alla
terza maniera, progresso da cui il filo era rimasto interrotto, e per secoli era rimasta l’idea che tutto quello
che veniva dopo il rinascimento fosse un degradamento dell’ideale classico arrivato ai massimi livelli, ma
Wollflin dice che nel Barocco c’era un modo diverso di vedere il mondo, non ha senso fare un rapporto
qualitativo, due modi diversi degli artisti di rispondere al loro mondo. Wollflin vede nel momento di
dissoluzione di una civiltà un punto di osservazione privilegiato per vederne le caratteristiche, dice che fa
storia degli stili, non degli artisti, cerca una legge universale che parte dai sintomi della decadenza e spieghi
cosa accade, per il Barocco non fa nomi ma dice che la posizione di alcuni artisti possa avere la funzione di
rinnovatore, la storia degli artisti è diversa dalla storia dell’arte, la storia degli stili si occupa dei grandi geni,
cita il genio se crea un nuovo canone stilistico e formale, non può esimersi dal dire che Bernini fa
stilisticamente delle nuove forme, ma non dice della vita dell’artista, quando si elabora una teoria si
dovrebbe difendere. Burckhardt, diverso dagli esponenti della scuola di Vienna, nasce nel 1818, entra in
contatto con Wagen quando la scuola si forma, soggiorna a Parigi, insegna storia a Basilea, è anche un
giornalista, sta a Roma e poi a Berlino, scrive un manuale di storia dell’arte, poi sarà professore, e fa vari
viaggi di studi, in Italia scrive il Der Cicerone, morirà a fine secolo. Der Cicerone viene scritto nel 1855,
introduzione al godimento delle opere d’arte italiane, imperniato nella figura centrale di Raffaello, e
centralità dell’arte italiana rispetto a quelle degli altri paesi europei, questo Cicerone è una guida attraverso
i Tesori d’Italia, con una storia completa dell’architettura, attento a un range cronologico molto ampio,
dalla tarda antichità al neoclassico, per misurare il successo di questo libro si deve sapere che per i
viaggiatori di lingua tedesca fino ai primi del ‘900 è rimasto il manale di riferimento. Burckhardt è anche
responsabile della divisione netta tra il rinascimento e il medioevo, la parola Renaissance nasce in Francia,
la sua idea è che l’uomo del medioevo si concepisce come elemento nella società mentre individualismo del
rinascimento, ritiene che il rinascimento sia un’epoca di nuova luce sull’umanità. Wollflin, ci sorprende che
lo storico dell’arte senza nomi ha scritto una monografia su Dürer, in maniera aperta intende concepire
come Dürer sia colui che riesce ad adattare la maniera tedesca al classicismo italiano, figura ponte,
interesse per gli stili in dissoluzione, fonde nel classicismo italiano la maniera tedesca, e Wollflin dice che
queste forme mutano, non per motivi esterni o casualmente, Wollflin dice che ogni periodo ha il suo modo
di vedere, rinascimento epoca di felicità ed equilibrio, barocco tutto più serio, senso del massiccio,
tendenza all’infinito, rimanda al Cortegiano di Castiglione, sprezzatura nel comportamento si traducono in
una solidità monumentale dal punto di vista artistico, magrezza del gotico del XV secolo, quando muta la
coscienza della corporeità nella cultura e nella società mutano anche i modi per rappresentarlo nell’arte.
Passaggio tra rinascimento e barocco non è una crisi, ma sazietà nelle forma precedenti che richiede un
cambiamento, non si capisce se muta la forma in base alle esigenze o le esigenze in base alla forma.
Warburg, personaggio particolare, nasce da una facoltosa famiglia di banchieri ebrei di Amburgo, si forma
prima a Bonn, e seguì un lavoro di traduzione delle Vite di Vasari, dal 1889 fu spesso a Firenze e conseguì
un dottorato di ricerca con tesi sui soggetti mitologici antichi nelle opere di Botticelli, si colloca già su quelli
che saranno i suoi temi. Sarà storico della cultura e anche uno dei più importanti creatori delle prime
biblioteche specializzate in storia dell’arte, prima si faceva in archivio e nei musei, con lui si aggiunge un
terzo ambito cruciale, la biblioteca, che sarà lo specchio di una parte consistente del suo metodo, vengono
disposti gli argomenti e le materie per affinità tematiche e concettuali tra i vari testi, biblioteca a servizio
della storia dell’arte, vengono conservati studi naturalistici, teologici e tutto quello che serve per disegnare
un contesto ampio per la storia dell’arte. La biblioteca d’Amburgo era disposta in 4 piani, da qui verranno
fuori filoni di ricerca innovativi, Warburg institute a Londra, volantino distribuito, sarà il grande teorico della
trasmigrazione nelle culture dei vari simboli. Inizia le prime ricerche su Botticelli, come la sua tesi di
dottorato, indagine ampia sulla cultura occidentale, analizza le fonti iconografiche e a tutto raggio che
hanno determinato le opere, le prime individuazione delle fonti letterarie che ispirano le immagini, contatti
con Lucrezio, Virgilio, Orazio, Poliziano, ricerca in modelli figurativi, e perché si siano trasmessi nell’ambito
culturale fiorentino vicino a Botticelli, e precursore nello studio della committenza. Warburg era un uomo
profondamente radicato nel suo tempo, famoso per la sua teoria sullo studio della trasmigrazione in vari
tempi in varie civiltà di varie tipologie di trasmissione di sentimenti umani con vari gesti convenzionali,
hanno dato risultati straordinari, si trova un filo conduttore che va inconsciamente dall’antichità al medio
oriente fino all’arte rinascimentale e ai suoi giorni, per questa sua teoria risale a un volume di Darwin, del
1888, scopre questo libro, che era utile, costruisce su esso una sezione di una biblioteca, La percezione
delle emozioni nell’uomo e negli animali, 1872, scoperto da Warburg durante i suoi studi a Firenze, scopre
che la gestualità delle immagini artistiche è comunque espressione di una forte emozione vissuta attraverso
i tempi, fino a ricostruire una rappresentazione simbolica, è un gesto che ha un significato convenzionale
per una emozione, e che trasmigra in maniera imprevedibile e inconscia, un atteggiamento determinato ha
una radice antica e culturale, seguire il filo delle forme del pathos è la grande apertura che dà, e con cui
crea dei canali comunicativi tra civiltà lontane, noi usiamo, e l’arte lo rappresenta, dei gesti convenzionali
per esprimere sentimenti forti. Empatia è un modo di reagire gestuale a determinate emozioni, per adesso
fa un aspetto formale, dice che ci sono forme che vengono dall’antichità che vengono replicate più o meno
consciamente, poi si arriverà ai gesti. Impatto che si vede dal discorso di commemorazione che fece Saxl, lo
fa vedere in maniera chiara, è quasi un racconto della sua vita intellettuale e di precursore. Momento in cui
Warburg si rivela al mondo della storia dell’arte e lo stupisce è in una conferenza a Roma nel 1912 in cui
presenta le sue teorie sugli affreschi di palazzo Schifanoia a Ferrara, cultura astrologica con rimandi a un
passato lontano, al nono secolo, ciclo di affreschi profano realizzato a metà ‘400. La conferenza venne
organizzata da Venturi, storico che analizza i motivi astrologici che provengono dall’antichità e per la storia
culturale dei luoghi fanno giri particolari, percorso che fu sorprendente, apparve come un enigma figurato
risolto. Warburg non parla di trasmigrazione, ma usa il termine tedesco Nachleben che significa
sopravvivenza, persistenza, diceva che questi gesti o simboli si muovono perché persistono, perché
sopravvivono, come le pathosforme più importanti si manifestano in una maniera più precisa, sala divisa in
3 registri, nella parte inferiore è messo in scena un aspetto della vita di corte ai tempi di Borso d’Este a
Ferrara, in centro ci sono figure astrologiche enigmatiche, i decani, che derivano da una tradizione
astrologica apocrifa che proviene dalla sapienza araba ed egiziana, e in quella superiore ci sono gli dei
dell’Olimpo che sorreggono le posizioni planetarie. Lui studia questi e questo libro e riesce a stabilire dei
collegamenti con queste società lontane, con l’Egitto e il filosofo Albumasar, e il decano capisce che è una
figura di origine divina in cui si riflettono gli attributi delle costellazioni e definisce le parti astrologiche, per
ogni segno c’erano tre decani, risale a tutte le versioni del libro di Albumasar, e come era giunto alla Ferrara
estense del ‘400, come l’immagine trasmigra nella cultura e nelle rappresentazioni astrologiche antiche.
Aspetti di magia e astrologia attraversano il campo degli studi di tutto l’800, e in questo pur essendo un
innovatore è un figlio del suo tempo, nel 1853 Heine pubblica Gli dei in esilio, in ci sottolinea una cosa
importante, cioè che gli antichi dei non sono scomparsi, anche perché anche la cultura della chiesa non li ha
rimossi, una iconografia di queste divinità antiche radicatissima nell’immaginario di secoli di storia si
trovavano a essere soppiantati dal sistema cattolico, che prima cerca di soppiantarli, e che vengono
cristianizzate o tornano in forme di sentimenti o atteggiamenti che si erano caratterizzati nelle loro pose.
Non tutti erano d’accordo, Reinach ad esempio, ritroveremo gli dei all’esilio riproposti in varie forme, anche
a Schifanoia, in cui le immagini astrologiche sono motivi che con una circolazione sotterranea nella cultura,
fanno una trasmigrazione e in qualche modo tornano, sono molto radicate, temi che dalla mitologia devono
tornare.

19/02

Saxl fa discorso commemorativo nei confronti di Warburg, inizia a mettere giù le domande che implicavano
gli studi warburghiani e che Warburg si pone:

«perciò pose a se stesso la domanda: quale formula teorica poteva nascondere ciò che, dai tempi di
Burckhardt, veniva inteso con uomo del Rinascimento? Quale significato assume l’antichità nella vita
dell’uomo rinascimentale?»

«Per prima cosa Warburg arrivò a comprendere quale fosse la forza principale che durante il Rinascimento
si opponeva all’antichità: è l’influsso del Nord tardomedievale»

(Saxl nel discorso di commemorazione)

Nella considerazione del rinascimento come termine: rinascimento dell’antico che dopo il periodo
medievale torna alla luce. Saxl dice che Warburg capisce che c’è un’antichità che rinasce, ma c’è anche una
forza opposta, che è quella del tardo medievale, gotico. Primo rinascimento riunisce:

«Da qui in poi era spianata la via che portava alla formula da lui elaborata per l’essenza dell’uomo del
primo Rinascimento in genere. Riunire in sé le contraddizioni apparentemente inconciliabili tra cristianesimo
e paganesimo, fra il Nord e l’antichità, fra la corte medievale e i trionfi antichi costituiva difatti l’essenza di
questo uomo di primo Rinascimento» (Saxl)

Uomo del primo rinascimento riunisce in se le contraddizioni del cristianesimo e paganesimo, tra corte
medievale e trionfi antichi.
Ci sono delle “preformazioni antiche” forme fisiche dell’antichità per esprimere sentimenti. Si tratta delle
espressività umane: forme di Pathos nell’arte antica (battaglie, gigantomachia, ecc.) come si formano
queste serie nella biblioteca di Warburg. L’atlante warburghiano è una collezione di immagini che vengono
affiancate a testimonianza di queste forme correnti. Forme antiche sono richiamo per scene del
rinascimento: scena del David e Golia di Andrea del Castagno è un adattamento di una forma già esistente
di una scultura classica che è il pedagogo degli Uffizi.

Ora, le Pathosformeln possono essere definite in almeno due modi (convergenti):

a) come repertorio di forme per esprimere il movimento e le passioni, messo a punto dagli artisti antichi,
tramandato e ripreso nel Rinascimento;

b) come classificazione delle formule usate nella tradizione figurativa europea; classificazione operata dagli
storici dell'arte (in particolare, da Warburg) allo scopo d'intendere il meccanismo di quella tradizione.

S. Settis

Classificazione operata dagli storici dell’arte, per capire in che modo questa tradizione attraversa i tempi e i
luoghi.

Abbiamo visto quanto Saxl ritenga Warburg un precursore. Questa sua forma fa sì che dal 1918 al 1924
venga ricoverato in un sanatorio per individui con disturbi mentali. Soggiorno che apre uno straordinario
motivo di ricerche di Warburg.
Ai tempi bisognava dimostrare la sua guarigione: Warburg fa un discorso di addio ai medici e pazienti e fa
una conferenza sul rituale del serpente, che ha osservato in Nuovo Messico nella società dei Pueblo.
Questo simbolo dei messicani è anche simbolo del cristianesimo. Rituali possono passare da società
primitive a aspetti più contemporanei del cristianesimo.
Warburg era stato veramente accanto ai Pueblo. Affina il pensiero che l’opera d’arte potesse essere
strumento di una cultura magico primitiva. Il suo discorso per uscire dal sanatorio è una specie di
confessione/testamento, il passo successivo sarebbe stato quello di dire che si, esistono queste
Pathosforme che ci arrivano dall’antico e mantengono o lo stesso significato o hanno altri significati adattati
ad altre culture, ma in questo viaggio cerca di guardare oltre l’origine arcaica delle pathosforme, guardando
verso un culto del primitivo, qualcosa che sta ancora prima di una conoscenza codificata di queste forme.
Descrive questo così:

Davanti alla storia dell'arte estetizzante, provai un vero e proprio moto di disgusto. Mi parve che la
trattazione puramente formale delle immagini finisse col generare solo uno sterile gioco di parole; a meno
che le immagini non vengano intese come un prodotto umano biologicamente necessario, a metà fra la
religione e la pratica artistica.

Si reca in America senza nessun piano scientifico in mente. Saxl dice che quasi sicuramente si recò nel New
Mexico come scolaro di Hermann Usener (1834-1905) è un filosofo classico. Studia il processo etimologico
sull’etimologia dei nomi degli dei antichi e come quando essa cambia, e cambia anche la percezione
psicologica del culto. Metodo cruciale, di origine 800esca, uomo ancora del XIX sec Warburg, ma dai suoi
maestri prende questa tendenza ad andare a ritroso verso archetipi, parla di una cultura magico primitiva.

Scrive Il problema dell’incredulità religiosa nel XVI secolo, in cui parla di un antropologo, famoso per aver
studiato mentalità primitiva.

«I libri di Lévy-Bruhl: ma, appunto, non c'è nessuno che viva da tempo assieme agli uomini del sec. XVI che
non sia colpito, allorché studia i loro modi di pensare e di sentire, da tutto quanto in essi evoca quella
“mentalità primitiva” che il filosofo ha ricostruito così curiosamente per noi. Fluidità di un mondo in cui
nulla è rigorosamente delimitato, in cui gli esseri stessi, perdendo i loro confini, cambiano in un batter
d'occhio, senza provocare altrimenti nessuna obiezione, di forma, di aspetto, di dimensione...».

(Il problema dell’incredulità nel XVI secolo, 1942)

Introduce problema cruciale, non solo della mentalità primitiva ma anche del rinascimento: noi intendiamo
di far applicare categorie del nostro tempo su dei tempi estremamente remoti del passato dei quali
conosciamo le esigenze principali (spesso conosciamo esigenze artistiche, ma non mentalità e
superstizioni). Studiamo il XVI secolo ma il nostro giudizio è molto diverso da un uomo che viveva in quel
secolo: viveva superstizioni che avevano a che fare con una mentalità primitiva. Non è un filosofo, è uno dei
maggiori antropologi della prima metà del 900 e la mentalità primitiva costituisce fase importante per gli
studi di Warburg. Ha a che fare con culti misterici, magici. Non c’è un rapporto dimostrato anche se ci sono
consonanze forti.

Levy-Bruhl, nel mondo mitico può capitare qualsiasi cosa: ogni essere vivente può assumere una forma
nuova. Il passato così remoto è un tempo passato e presente.

«[nel mondo mitico] può capitare qualsiasi cosa. Analogamente, ogni essere vivente può a ogni momento
assumere una forma nuova... L'instabilità fluida propria del mondo mitico [investe anche la temporalità]: il
passato così remoto di cui parlano i miti è tuttavia a un tempo passato e presente... Una scena mitica ha un
bell'essere collocata al tempo della creazione, i suoi attori sono comunque ancora in vita, e la loro influenza
ancora dominante»

Molti di noi ancora oggi leggono gli oroscopi: ancora oggi sono attivi dei substrati che hanno origine in una
mitologia che è latente, sempre attiva. In queste forme primitive c’è un aggancio forte con le pathosforme
di Warburg.

Saxl racconta ancora della fase del manicomio:

Da malato Warburg ebbe il coraggio di uscire completamente da quel circolo di pensiero che lo aveva
portato alla malattia e di iniziare da un punto più remoto, che giaceva molto più indietro nella storia
dell’umanità. Per la prima volta nella sua vita si svincolò dal fatto storico e iniziò ad affrontare il problema
generale. E parlò della psicologia dell’uomo primitivo.

Saxl

LA BIBLIOTECA = MNEMOSYNE

«Quelle immagini che l’uomo pone per il suo bisogno di orientamento, come il serpente in cielo o nella
mano dell’indiano o, nel caso della cultura greca, la figura della menade infuriata che fa a brani un animale,
conducono giù nella profondità della passione e della sofferenza umana. Là si scopre per la prima volta la
matrice che imprime i valori espressivi della commozione pagana. Sono quelle Pathosformeln che, già
venticinque anni fa, Warburg aveva visto riemergere dall’antichità nel Rinascimento»

(Saxl)

Getti forti/pathosforme sono una codificazione di passioni e sofferenze umani che hanno origine in un
passato ancora più remoto della classicità, momento in cui questi sentimenti/emozioni prendono forma.
Spiegare Warburg è difficile: Il cieco dalla nascita, non vedendo perde la parte imitativa del comportamento
che è innata. Conosciamo espressioni del dolore perché l’abbiamo vista. I ciechi nella storia erano
considerati esseri aberranti perché avevano comportamenti fuori dal canone: se pesti un piede ad un cieco
faceva una smorfia che era un sorriso; la maggior parte delle nostre espressioni sono imitative.
Pathosforme sono gesti che in qualche modo facciamo in una maniera che è inconscia: tante cose che noi
facciamo perché convenzionalmente quelle sono il gesto di una determinata osservazione; gesti derivano
da un’osservazione visiva che da bambini abbiamo visto sugli adulti. La memoria sociale degli uomini lascia
emergere forme un tempo impresse.

«Warburg ha chiamato l’atlante Mnemosyne, memoria, e ha indicato come una legge fondamentale il fatto
che la memoria sociale degli uomini custodisce e lascia nuovamente riemergere le formule un tempo
impresse, quando si presenta la necessità di espressione.

È necessario esprimere qualcosa: l’uomo deve trovare una forma fisica gestuale. Quando il rinascimento
deve mettere espressione a Giuditta di Giuditta e Oloferne, trova la Pathosforme della Menade.
Atlante si creava dando un titolo e si raccoglievano varie forme per cui Menade si rappresentava nell’antico
mettendola in relazione con figure di Giuditta, adattamento di un mito classico ad una necessità
iconografica a noi più vicina.
Forme arcaiche che vengono da civiltà pagana, possono reincarnarsi con significati diversi.

Due volti della Ninfa: l’angelo e la cacciatrice di teste

Altre reincarnazioni della Ninfa in opposte figure di protezione o di furia distruttiva: l’angelo custode e la
‘cacciatrice di teste’ (Giuditta, Salomè, l’ancella che porta la testa mozzata). Il tema della protezione dei
piccoli (Tobia e l’Angelo come immagine votiva per i figli dei mercanti) è presente anche in soggetti biblici
(la scena evangelica del Ritorno a casa dal Tempio).

Apparentamento di immagini mostra traslazione e adattamento della pathosforme, in significati attualizzati,


non per forza con lo stesso significato antico.

«Se si sono riconosciuti questi fondamenti, lapidariamente semplici, del pensiero del Warburg maturo,
allora è assicurata anche la comprensione dell’atlante stesso, nonostante per lo più manchino i testi delle
tavole in dettaglio»

Saxl

Saxl parlando delle tavole di Mnemosyne descrive un aspetto curioso: Warburg non ha scritto molto ma ha
combinato poco rispetto a quello che ha scritto. Soprattutto i suoi appunti che spesso indicavano
prospettive di ricerca ed erano rimasti anche incompiuti sono stati pubblicati postumi da allievi, ma tavole
non avevano una spiegazione e testo. Resta più indefinito, fa un percorso per immagini.
Qui c’è un uso decisivo della fotografia. Ricordo Adolfo Venturi: fotografia è ottimo mezzo mnemonico ma
non stimola intelligenza. Warburg ebbe modo di viaggiare per tutta Italia, ma sicuramente non aveva visto
tutte queste cose: fotografia diventa strumento straordinario. Entra la biblioteca come luogo cruciale per la
storia dell’arte, ma comincia anche a manifestarsi l’importanza della fototeca: fotografie come repertorio
d’immagine. Saxl dice che:

«Vengono presentate in primo luogo le immagini di quelle antiche opere d’arte che sono servite al
Rinascimento come pre impressioni, ossia le formule espressive di lotta, vittoria, morte, lamento, ratto,
persecuzione, sacrificio, ascesa trionfale, elevazione -Saxl fa opera straordinaria dopo essere diventato
direttore del Warburg Institut, fa mostre e codifica impressioni che da un lato si basano sulla fotografia, ma
sono anche state salvate da fotografie: sono fotografie di fotografie (Warburg era ebreo)-. Poi seguono le
forze, provenienti dal bacino mediterraneo di epoca post classica, che distruggono la distanza -altro aspetto
cruciale, elementi in comune con la scuola di Vienna, c’è mediazione di tutta una serie di passaggi tra tardo
antico, medioevo e non necessariamente nei luoghi dove per classicità si erano manifestate queste forme e
che per vie traverse migrano in atri luoghi e arrivano fino al rinascimento-. E infine le divinità olimpiche
divenute idoli astrologici nella loro migrazione verso est e nel loro ritorno verso ovest e nord, fino a palazzo
Schifanoia a Ferrara, e fino alla Huneborstelhausa Braunschweig»
Saxl

C’è idea di continuum storico, trovato anche a Vienna. Ma bisogna raggiungere anche un altro aspetto in
Warburg, in parte anche inaspettato. Fonda una biblioteca suddivisa per aree e sezioni ognuna delle quali
rappresentava un campo del sapere che doveva essere messo in confronto con gli altri per una
ricostruzione più ampia della storia dei beni artistici.

WARBURG E L’IMPORTANZA A FONTI E DOCUMENTI

Warburg declina questo suo interesse in un modo nuovo, in particolare su un libro che si basa sul
testamento: Le ultime volontà di Francesco Sassetti derivano da analisi del testamento di questo
committente risalenti al 1488 che si trova all’archivio di stato di Firenze. Riguardano la cappella Sassetti in
Santa Trinità a Firenze di Ghirlandaio, in cui Warburg studia ed inaugura campo di studi nuovo, di come i
committenti possano determinare un’opera d’arte.

GertrudBing, allieva di Warburg, 1960

“Al tempo di Warburg nessuno storico dell’arte si sarebbe interessato dei contratti d’affari dei Medici o del
testamento di un loro socio nel quale non si parlasse d’arte…cose del genere erano lasciate agli storici
dell’economia.”

Questo testamento per essere connesso con la cappella Sassetti aveva necessità di ampliarsi in una serie di
note di contesto che spiegassero intera civiltà attraverso la quale Francesco Sassetti si è dopo la morte
fermato in questa cappella: dipinto di profilo insieme alla moglie. Nel testamento non c’è nulla di questo,
ma Warburg riesce ad evocarlo. Il testamento è curioso per altri aspetti: Sassetti era un banchiere della
corte medicea, aveva banca ma teneva i suoi soldi murati in casa, perché diceva che in una banca aveva
tutto fuorché la certezza di avere dei soldi. Warburg nelle ultime volontà di Sassetti scrive:

Aby Warburg, Le ultime volontà di Francesco Sassetti, 1907: «Spero tuttavia di aver mostrato che
dall’inesauribile ricchezza dell’archivio fiorentino delle cose umane lo sfondo dell’epoca è ricostruibile
abbastanza chiaramente perché si possa correggere storicamente una considerazione unilateralmente
estetica».

Dice che bisogna essere interdisciplinari. Bisogna usare economia anche: è una storia dell’economia della
committenza. Warburg si dedica alla componente ritrattistica, che vediamo in questo Francesco Sassetti:
per W. dice che c’è perfetta corrispondenza fisionomica e del ritratto che lega alla cultura del committente
che voleva rappresentarsi con un valore simbolico e votivo.

Saxl
Studi particolari che riguardano il barocco e quando tratta di questa riemersione e sopravvivenza delle
menadi, per esprimere dei moti per riferirsi all’antichità, individua in Rembrandt ritrova una delle più
elevate rappresentazione delle menadi.

«Forse nessula figura in tutto l’atlante risulta più grande e più bella di quella di Rembrandt. Il giovane
Rembrandt rappresenta Dalila come colei che porta il capo mozzato, come una menade esagitata»

Menadi servivano per dare qualsiasi pathosforme di un atteggiamento femminile violento agitato. Questa
forma sopravvive. Rembrandt non è mai stato a Roma e ha conosciuto arte classica grazie ad incisioni.

Sta a noi riuscire a prolungare, con l’aiuto di Mnemosyne, l’opera che Warburg ci ha consegnato come
strumento per la riflessione su noi stessi, quel fuggevole intervallo tra impulso e azione…
(Saxl)

Tra impulso e azione c’è intervallo che non è totalmente conscio ma è storicizzato.
Arriviamo ad un’altra pagina di possibili domande d’esame:

- Il concetto di conoscitore (tradizione italiana da Bellori a Lanzi)

- Adolfo Venturi: vedere e rivedere. Il fondatore della disciplina in Italia. Il fondatore della rivista Archivio
Storico dell’Arte, poi l’Arte. La sua monumentale storia dell’arte italiana in 25 volumi, l’attenzione ai
documenti, l’attenzione per le arti minori.

- Cavalcaselle e Morelli alla radice del metodo dei conoscitori (empirismo ma nuova attenzione per tutti i
dati dell’opera, metodo con disegni; metodo comparativo; metodo morelliano); comuni interessi per la
tutela
Cavalcaselle metodo: metodo più empirico comparativo e di osservazione, induttivo e basato sul
disegno: Morelli: metodo scientifico, viene dalla medicina, dalle comparazione dell’anatomopatologia-->
emergono personaggi come Cesare Lombroso. Per Morelli ricordo la critica che gli veniva fatta (orecchie
di Botticelli ecc.)

- Bernard Berenson. Connoisseur nel segno di Morelli. Teoria della tangibilità: i «valori tattili». Il concetto di
«qualità». Il metodo: valori decorativi e valori illustrativi. Principali opere (Venetian, North Italian,
Florentine… l’attenzione per il disegno antico).
Distinzione tra valori decorativi e illustrativi --> faccio uno schema
Opere principali: veneziani, nord italiani e disegni fiorentini. Attenzioni per il disegno

- Heinrich Wölfflin. Allievo di Burckhardt. La storia dell’arte senza nomi: sue concezioni formali, sua teoria.
1915 Principi fondamentali della storia dell’arte, e l’analisi stilistica compiuta tramite l’individuazione di
cinque coppie polari. Rinascimento e Barocco (ogni contingenza storica ha o meglio chiede un suo stile) sulla
scia della tradizione degli studi tedeschi sul Seicento.
Concezioni formaliste spinte e teoria basata su coppie polari che consentono classificazione
formale tout court delle cose. 5 coppie polari, importanza nella definizione di rinascimento e
Barocco. Seicento riscoperto e come si applicano le sue polarità in senso compiuto.

Due applicazioni warburghiane tramite libro di PAOLO FRANZONI --> studioso che collabora con università,
fa studi particolari e cerca di capire le pathosforme nella nostra quotidianità. Anche tutto il mondo che ci
circonda anche della pubblicità, vede attivati meccanismi che derivano da Warburg.
Lettura paragrafo “Mani alla testa” --> descrizione di una posa: persistenza delle forme che troviamo nelle
pubblicità dagli anni 60 ad oggi --> richiamo anche alle Demoiselles D’Avignon di Picasso. Atteggiamento
delle “demoiselle” è lo stesso dello “schiavo morente” di Michelangelo; non è difficile trovare delle
riverberazioni di un motivo, ma bisogna capire perché esse sono collegate. Analizzare il gesto serve per
osservarle in prospettiva. Braccia dietro la testa hanno posto stabile tra le pose femminili che è un esercizio
ingenuo, nei diversi usi si fa ricorso all’archivio della memoria corporale.
Questa postura nel Mondo classico fino all’800: ebbrezza, entusiasmo dinnanzi alla musica, abbandono,
sofferenza fisica dinnanzi alla morte.
Nel 900: dimensione della seduzione quasi esclusivamente femminile.
Alla fine del 19 secolo la borghesia occidentale aveva ormai perduto i suoi gesti.
Queste forme che si caricavano di significati si stanno svuotando --> lo svuotamento sta arrivando a
caratteri assoluti (foto del selfie). C’è una necessità di andare avanti, Franzoni insegue questi gesti e cerca di
portarli a questioni storiche, parla anche dei gesti del potere.
Si sta perdendo contatto con matrice ancestrale dei gesti e i gesti si stanno trasformando in qualcosa che ha
altri significati, ma si stanno svuotando dei loro significati.

Warburg è lo storico dell’arte del testamento di Sassetti, storico delle pathosforme e di ricerche che si
dedicano a delle forme primitive che sono ancora più archetipe delle pathosforme che hanno codificazione
nei gesti di opere dell’antichità classica.
LEZIONE 10-11

Warburg ebbe molti allievi diretti che portarono molto avanti le sue stesse ricerche. Saxl, formazione
viennese, si laurea con Dvorak e poi è a Berlino, basi formaliste, nel 1911 entra a contatto con Warburg e
nel 1913 va ad Amburgo, poi nel 1919, dopo aver combattuto la 1GM, viene chiamato ad Amburgo per
occuparsi della biblioteca, fino al 1929, trasformandola in un istituto di ricerca di rilievo internazionale,
aveva una mentalità pluridisciplinare che si confaceva al metodo di Warburg, fa una dichiarazione di
appartenenza al novero della biblioteca di Warburg che poi diresse. I primi suoi saggi ancora con una
cultura viennese e berlinese sono dedicate a Rembrandt e mostrano un interesse per lo stile e per la forma,
e fu trattato anche da Warburg nella sua trattazione sulla Didone Menade, che tornava in quella di
Rembrandt. Incontro di Saxl con Warburg avvenne nel 1911, quando decise di dedicarsi a uno studio
iconografico su aspetti che riguardano l’astrologia. Il suo catalogo dei manoscritti astrologici ripresi nel
medioevo sono recuperi di inediti, da una parte era in voga già nel XIX secolo e dall’altra si riconosce la
matrice viennese di Schlosser, e interesse per il medioevo e il tardoantico, che erano stati riportati alla luce
nella scuola di Vienna da Dvorak e Riegl. Assieme a Warburg e poi da solo, Saxl diresse la biblioteca, la
ampliò e le diede una più coerente organizzazione, e dal 1921 viene trasformata in un istituto di ricerca in
rapporti con l’università, a Vienna università in rapporto con i musei, qua con la biblioteca. Saxl promuove
un’attività editoriale costante, le riviste erano uno strumento fondamentale per la divulgazione e per la
elaborazione, tra il 1922 e il 1932 Saxl cura la lavorazione degli studi che erano passati per la biblioteca
Warburg, e insieme a Panofsky nel 1923 pubblica un volume sulla Melancolia di Dürer, problema di capire
cosa avesse in testa Dürer quando stava incidendo la sua opera, ambientazione fantastica che aveva
lasciato molte domande aperte e interpretazioni, anche equivocità contemporanea, connotato negativo
che in passato era diversa. Panofsky e Saxl cercarono di inquadrare il termine in ambito classico, il termine
assume un significato astratto, collegata anche alla teoria di Empedocle sui quattro umori, si passa a una
visione negativa del termine per l’età medievale, anche per Warburg gli studi universitari erano stati molto
importanti, e poi con Dante si giunge alla conclusione che i melancolici si dedicano a una sincera attività
contemplativa. Nell’iconologia di Ripa esistevano delle codificazioni di questa figura, incertezza della
conoscenza teorica come base della vita contemplativa, e quindi melancolica. Ritratto di Michelangelo della
personificazione di Eraclio nella scuola di Atene di Raffaello. Saxl la Fede degli astri dall’antichità al
rinascimento è l’opera più universalmente nota, l’astrologia occupa un posto centrale nella storia della
tradizione classica, le divinità erano sopravvissute nel Medioevo con vari simboli, giorni della settimana,
pianeti, il cristianesimo non doveva sostituire nulla al sapere astrologico, che era stato tramandato dal
cristianesimo, anche se lo posteggiava, sapere che astrologia conservò, di un’antica scienza e un’antica
astrologia, Saxl era un raccoglitore di fonti, che portano da Babilonia al rinascimento italiano, migrazione di
segni astrologici con numerose tappe, in cui hanno un posto importante greci e arabi, le figure delle varie
costellazioni vengono ripensate e stravolte, anche se restano riconoscibili, e costituiscono per la cultura
occidentale un deposito di memoria storica e visuale. Varcando la soglia di villa Chigi, Farnesina nel 1590,
cielo di color cobalto, celebrazione pittorica e astrologica come celebrazione del segno zodiacale del
banchiere Agostino Chigi che l’aveva voluta, l’edificio sorge sotto la direzione dell’architetto Baldassarre
Peruzzi, che realizza il complesso tra il 1506 e il 1509, nel 1511 affresca la volta di Galatea, dando vista a
figure zodiacali che narrano la vita e le gesta del mecenate, caposaldo degli spunti di Saxl. La scelta del
banchiere è di rendere evidente il proprio oroscopo, il dipinto rendeva frutto di una predestinazione i suoi
successi, disegno divino li aveva preordinati, erano giustificati, Chigi diede l’incarico di realizzare l’opera a
Peruzzi, che poteva realizzare l’opera sia dal punto di vista architettonico che pittorico. Saxl è anche
protagonista del trasferimento nel Regno Unito della biblioteca nel 1933, anno dell’ascesa di Hitler,
Warburg era ebreo, e fu curata dall’università di Londra. Dal 1937 Saxl coordina la pubblicazione della
rivista, inizia la pubblicazione del Journal, inizialmente diretto da Edgar Wind e Rudolf Wittkover, e in
seguito da Antony Blunt. Dopo la guerra Wind viene sostituito da Frances Amelia Yates. Nel primo editoriale
del Journal c’è una dichiarazione agli utenti, che è warburghiana, mostra una caratteristica molto chiara,
interdisciplinarietà degli studi, sovrintendenza negli studi, vita sociale e religione. Una volta divenuto
direttore della biblioteca, Saxl aveva organizzato esposizioni basate sulle fotografie, nel 1939 fa una
introduzione visiva al mondo classico, nel 1940 introduzione all’arte indiana, come Warburg interesse alle
culture lontane, nel 1941 arte inglese e mediterraneo, rapporti tra le due sponde, nel 1943 volto e
carattere, da ricordare che venivano usate le fotografie, che diventano a questo punto anche uno strumento
espositivo. Benjamin, nasce a Berlino da una ricca famiglia di antiquari ebrei, nel 1919 si laurea in filosofia,
aderì al marxismo. Nel ’40 Parigi è assediata dai tedeschi, e lui fugge verso sud, per varcare il confine con la
Spagna, era ebreo, voleva raggiungere una località di mare da cui raggiungere poi gli USA. Giunto nella
località catalana il 25 settembre si vede ritirare il visto di transito, cattura da parte della polizia di frontiera,
sarebbe stato riportato in Francia, e quindi la notte stessa si suicida, aveva una valigia con tutti i suoi scritti
non completati, monumento, scala verso il mare e la libertà. L’opera che più ci interessa è L’opera d’arte
nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, scritto nel 1935, molto famoso, Benjamin riteneva che
l’introduzione di nuove tecniche per produrre e diffondere alla massa l’arte aveva cambiato l’atteggiamento
verso l’arte sia degli artisti che del pubblico, e quindi aveva intrecciato due punti, uno sull’arte tecnica, e uno
sulla fruizione dell’opera d’arte nella nuova società di massa. Premonizione di qualcosa che sta per
succedere o che sarebbe successa, e che avvenne, cioè sul fatto che la riproduzione come quella di un
cinema stava svalutando l’opera d’arte, prima c’era una relazione tra opera e spettatore caratterizzata dal
fatto che fosse unica e irripetibile, hic et nunc, anche la storia concreta di ogni singola opera, questa
dimensione si condensa nella sua autenticità, qualcosa di autentico rispetto a cui qualsiasi riproduzione è
falsa, ma con la nuova arte non si limita a riprodurre l’opera, ma anche in un contesto diverso da quello
tradizionale, riproduzione fotografica e discografica consente di trasportare l’opera in un contesto di
consumo quotidiano, ripete l’opera d’arte ma non è autentica, è consumo, un’opera d’arte si trasforma
attraverso le riproduzioni e le tecniche che lo consentono, la forma più caratteristica di tutto questo è il
cinema, di cui non esiste l’originale, il film può essere ripetuto in molte sale contemporaneamente.
Benjamin teorizza qualcosa che può far uscire da questo meccanismo della nuova storia dell’arte, con il
concetto di aura, identità materiale per cui all’originale si riconosce qualcosa di diverso e superiore,
qualcosa di innato, inestinguibile, fu precursore per molte cose, con nuove tecniche anche il concetto di arte
stava cambiando. In seguito alla considerazione di Warburg e poi i suoi seguaci introduciamo Panofsky e
l’iconologia: storico dell’arte tedesco naturalizzato statunitense, si laureò con una tesi sugli scritti teorici di
Dürer, in linea con gli studi di tipo tedesco si occupa di una classificazione di fonti, tra il ’21 e il ’26 fu
docente ad Amburgo, nel ’26 è nominato professore di storia dell’arte, dove insegnò fino al ’33, quando fu
costretto a lasciare la Germania a causa del nazismo. Nel 1915 scrive il Problema dello stile delle arti
figurative, dà riscontro a una sua attività teorica in cui discute le teorie di Wollflin, per il suo formalismo e
per i nessi che ci possono essere tra arte e linguaggio, discute anche il KunstWollen di Riegl, sulla volontà
che poteva avere un’artista o una società, si interroga quale fosse un KunstWollen intrinseco all’opera d’arte,
c’è un legame dell’aspetto contenutistico con il contesto culturale con cui un’immagine viene prodotta. Nel
1927 scrive la Prospettiva come forma simbolica, stesso anno in cui Venturi pubblica le sue memorie
autobiografiche, due mondi diversi che si toccano pur essendo lontani, uno dei saggi più influenti di
Panovsky, la prospettiva non è solo una formula matematica, ma è la concezione dello spazio che una
cultura di un determinato momento aveva, lo studio di Panovsky guarda anche agli stratagemmi medievali
di rappresentare lo spazio, la forma simbolica dello spazio nel medioevo non coincideva con quella
prospettica, era differente rispetto a quella del rinascimento, sguardo più generale, tradotta per la prima
volta in italiano solo nel 1961. Nel saggio Panovsky teorizza che ogni epoca aveva sviluppato un modo
proprio per rappresentare lo spazio, che può essere inteso come forma simbolica di quella particolare
cultura, non c’era l’idea di spazio infinito nel medioevo, leggi che non avrebbero rappresentato la forma
simbolica dello spazio come loro lo percepivano. Esempi del medioevo con prospettive induttive, all’occhio,
ma non sono banali, per l’uomo di quelle epoche la forma simbolica dello spazio era quella, e non
importava che non fosse realistica. Il mondo antico aveva a sua volta una concezione ancora differente
rispetto al medioevo, al rinascimento e ai nostri giorni, noi non dobbiamo proiettare la nostra idea di spazio
che viene da un lungo percorso filosofico concettuale percettivo, sul passato, noi proiettiamo una
conoscenza nostra e pretendiamo che il passato abbia la nostra stessa visione, cosa che non è, si sommano
delle suggestioni che vengono dalla scuola di Vienna, vaste tematiche diacroniche, un ampio ricorso alla
letteratura artistica e un forte influsso del pensiero di Cassirer, nel ‘900 questo filosofo neokantiano propose
una filosofia delle forme simboliche, pensiero e linguaggio rendono l’uomo un animale razionale e
simbolico, l’uomo ha bisogno di razionalizzare le cose, produce cultura esprimendo il pensiero con un
linguaggio e dei simboli, per Panofsky l’uomo rappresenta lo spazio in un determinato modo e con
determinati simboli, per Cassirer è uno strumento che permette all’uomo di operare una mediazione tra il
concreto e il concetto, codice attraverso cui si oggettiva lo spirito, e mediante cui ci si può esprimere,
contestualizzare ambito culturale in cui le questioni legate a Panofsky vedono la luce. Un pensiero si
esprime nelle varie sue forme tramite un simbolo, l’evoluzione umana e intellettuale passa da una continua
elaborazione simbolica della realtà. Nel 1939 Panofsky pubblica i suoi Studies in Iconology, libro che segna
una cambiamento nella pratica e nella metodologia della storia dell’arte, in particolare nel secondo
dopoguerra. Panofsky parte dall’Iconologia di Cesare Ripa, trattato di fine ‘500, che condensava per
immagini tutta una serie di iconologie con i loro attributi e descrizioni, iconografia come classificazione delle
immagini e iconologia come interpretazione del loro significato. La simbolicità delle forme conduce
Panofsky a delineare l'approccio iconologico all'opera d'arte, dal 1939 tradotto in Italiano nel 1962. Si
individua nella lettura della opera di Panofsky in Italia una continuità con gli studi di Warburg e di
rinascimento dell’antichità. Esempio procedimento di Panofsky si divide in tre fasi, la prima è
l’individuazione del soggetto primario, cioè cosa vediamo al di là di qualsiasi superfetazione culturale,
Madonna del parto di Piero della Francesca, noi sappiamo qual è il soggetto, ma non è così scontato, non è
il soggetto primario, è quello che si vede come immagine pura libera da qualsiasi superfetazione culturale,
l’iconografia valutando alcuni attributi inquadra la figure angeliche, l’iconologia parla del contenuto e la
mette in rapporto con la cultura del periodo, Madonna del parto con angeli, visto che in Toscana circolava
già da tempo l’immagine della madonna incinta, visione particolare e materiale, che si oppone al Cristo
come raggio di luce, ma concepito e cresciuto nel seno della vergine. Triade, va studiata bene, oggetto
dell’interpretazione è diviso, c’è un soggetto primario, naturale, un soggetto secondario e un significato
intrinseco, e a lato ci sono gli atti per individuarlo, per individuare un soggetto primario è sufficiente una
descrizione pre iconografica, un’analisi formale che si può basare sull’esperienza pratica, vedere cosa si ha
davanti e descriverlo, per il soggetto secondario conoscenza delle fonti letterarie, analisi iconografica e
familiarità con temi e concetti specifici, in questo caso familiarità con i vangeli, e il significato intrinseco è
un’intuizione condizionata da un approfondimento contenutistico che rileva una simbolizzazione che riesca
a sviscerare il vero profondo contenuto di un’opera.

LEZIONE 12

Pura visibilità e idealismo crociano nella critica d’arte italiana tra le due guerre: da ricordare Fiedler, Marées
e Hildebrandt, nel contesto della scuola di Vienna. Lionello Venturi, figlio di Adolfo, ha una carriera
importante, è ispettore alle gallerie di Venezia, poi a Roma, poi sovrintendente di Urbino e poi docente di
storia dell’arte a Torino, partecipa alla 1GM, figlio d’arte, non era avvantaggiato per questo, Venturi fu uno
dei 12 docenti universitari nel ’21 rifiutarono di prestare fedeltà al fascismo, perde quindi la cattedra e va a
Parigi, poi a causa dei nazisti si trasferisce a NY fino al 1944, poi nel ’45 torna in Italia, e mentre era a Parigi
aveva aderito ai circoli antifascisti del paese. Argan, fu uno dei suoi allievi. Tesi fondamentale dell’Estetica
crociana è l’autonomia dell’arte che fonda l’autonomia dell’Estetica e del Bello. L’arte non è subordinata al
piacere o all’utile né al vero né al bene. Ne deriva che l’Estetica non è né utilitaristica né concettuale né
moralistica. L’unico scopo dell’arte è l’arte stessa, ossia la bellezza. La bellezza si definisce come espressione
riuscita e il valore dell’esperienza estetica sta proprio nel piacere della bellezza, che ha un carattere
contemplativo e disinteressato e viene fuori dalla sintesi a priori tra forma e contenuto, uno vede una
forma, esperisce un contenuto, l’arte basta a se stessa: l’arte è, infatti, intuizione pura (priva di riferimenti
storici o critici alla realtà o alla irrealtà di cui si interessa) e intuizione lirica (contemplazione del sentimento)
e, quindi, sintesi a priori estetica di sentimento (contenuto) e immagine (forma); accoglie dal sentimento il
contenuto e lo trasforma in pura forma. Vedete che anche in Berenson c’è comunque un assonanza crociana
sentimento e immagine potremmo dirli valori decorativi e valori illustrativi, c’è una parte formale che non
cambia mai, e una illustrativa legata al sentimento del tempo, che è mutevole e non dato a priori. Primo
saggio cruciale di Leonello Venturi è La critica e l’arte di Leonardo, nel 1919. E’ qualcosa di inconsueto: non
una biografia artistica, non un catalogo. Ma è impostato per problemi, i capitoli sono «Leonardo e la
natura»; «Leonardo e i contemporanei»; «Leonardo e la scienza»; «Leonardo e il disegno», ne consegue un
canone fondamentale venturiano, l’importanza dei giudizi critici per la ricostruzione storico artistica,
Leonello Venturi è lo storico dei giudizi critici, per lui la storia dell’arte coincide con la storia della sua
valutazione critica, senza la critica non esisterebbe la storia dell’arte. E’ evidente il debito da Schlosser, che
fu apprezzato e recensito anche da Benedetto Croce, e quindi immediatamente recepito in Italia. Ma se per
S. la letteratura artistica è la raccolta di ogni sorta di testimonianza letteraria relativa all’arte o a una sua fase
o periodo, per Venturi è una storia della critica affidata alla scrittura. DA TESTIMONIANZA A CRITICA è il
passaggio fondamentale, che rende la raccolta venturiana non neutra, raccolte di voci critiche sull’arte non
sono neutre, non sono testimonianza di fonti libere, ma diventano capitoli cruciali della critica,
testimonianze che sono esse stesse la storia dell’arte. Si allinea di fatto ai critici puro visibilisti. Ma è anche
apparentemente all’opposto di Wolfflin: la sua non è una storia dell’arte senza nomi ma una storia critica
fatta di tante individualità. La storia dell’arte coincide con la storia della critica d’arte. Considerare un’opera
d’arte come un problema presente nella nostra coscienza. Considerando come il susseguirsi della critica o
delle critiche l’ha fatta giungere fino a noi, non neutra. Oggi social: commento con la prima cosa che mi
passa per la testa, senza sapere, e anzi in totale spregio per chi sa (antiaccademismo). Argan si spingerà
anche oltre scrivendo che il primo critico è l’autore stesso nel momento in cui decide che l’opera è finita.
Quando decide che è finita, «situa l’opera d’arte nella cultura» quindi fa un’operazione critica. Nel 1922
scrive gli schemi del Wolfflin, basati sulle polarità, sulle coppie, non rinuncia agli schemi interpretativi puro
visibilisti di Wolfflin, anche in parte in polemica con Croce: pur essendo astrazioni sono una forma di
descrizione e classificazione e quindi fanno parte della critica, è importante per la storia dell’arte. Altro
caposaldo del 1926 è il Gusto dei primitivi. Rivaluta gli artisti primitivi (toscani del ‘300 e ‘400 soprattutto)
ma anche i «neoprimitivi» della fine dell’Ottocento, tra cui gli Impressionisti. Esalta il valore mistico dell’arte
e introduce il concetto di GUSTO, cioè qualcosa che discende dalla scelta dell’artista in un contesto. Dal
punto di vista culturale – considerate l’anno 1926 – è in aperta polemica con il classicismo figurativo
imposto dal Fascismo, ed è una presa di posizione teorica che ha anche implicazioni sociali e politiche.
Vedremo l’introduzione e la struttura del libro. È un saggio di critica anche in questo caso, ovvero di storia
critica che corrisponde come abbiamo visto per V. con la storia dell’arte, i primitivi vengono valutati nella
loro ampia vicenda critica. Nella parte seconda torna cruciale la questione del gusto. Il capitolo finale in
maniera moderna è legato a Manet, Cezanne e Degas. Parte dell’introduzione importante, concetto di gusto
oggi è molto radicato e nel secondo dopoguerra ha avuto studi precisi, ha un’importante teorizzazione in
Leonello Venturi, è una scelta dell’artista, che orienta se stesso verso un gusto, riverbera l’idea di polarità di
Wolflinn, è vero che ci sono queste preferenze, ma non vanno intese in modo deterministico, è preferire un
aspetto rispetto ad altri, non soggiacciono del tutto ma restano inferiori. Recensione di Croce apparsa sulla
Critica nel 1927, parla come Leonardo sia in rapporto al disegno, approfondisce la critica e storiografia
artistica, parla di problemi reali dell’arte. Venturi sul concetto di gusto secondo Croce, c’è una forte
assonanza anche con il KunstWollen. La storia della critica d’arte fu pubblicata da Venturi per la prima volta
negli USA nel 1936, quindi di fatto in esilio. Rosario Assunto l’ha definita «un compendio delle idee estetiche
che hanno condizionato i giudizi sull’arte» dall’antichità classica alla contemporaneità. La storia della critica
si identifica con storia dell’arte per Venturi. In seguito scrisse numerosi importanti libri sull’impressionismo,
lui li considerava come nuovi primitivi, c’è in questi studi una sottotraccia del clima che c’era in Italia, di
ritorno all’ordine. Alla fine del periodo americano apprende un modo di scrivere e una maniera divulgativa,
viene da una tradizione anglosassone, aspetto manualistico, entra anche questo nei metodi della storia
dell’arte in Italia. Passaggio scritto da Morassi in un suo saggio del 1936 sulla critica d’arte in Italia ai tempi,
era chiaro a lui che la storia dell’arte si identifica con la critica, lui si avvede che c’è un interesse per l’arte
contemporanea, che è anche un tratto dell’arte viennese, grande riconoscimento di questo primato. Libro
che fu un best seller di Marangoni, del 1927, Come si guarda un quadro. Nel 1933 Marangoni scrisse il suo
capolavoro, Saper vedere, anche Spranzi scrisse un libro uguale che è in polemica con Marangoni. Si laurea
nel 1905 in antropologia, s'impiegò come funzionario volontario nella Soprintendenza di Firenze, della quale
divenne ispettore nel 1913 e successivamente direttore. Per breve tempo diresse anche, nel 1920, la
Pinacoteca di Brera e nel 1924 la Galleria nazionale di Parma. Dal 1938 insegnò storia dell'arte all'Università
di Milano, ritornando all'ateneo pisano dal 1946 fino al pensionamento nel 1951, 7 anni prima di morire.
Anche lui crociano, idealista e formalista alla Wolfflin. In quello che scrive echeggia anche Benjamin,
contrario di Spranzi, lege ac relege, è un vedere e rivedere fatto per i libri, le cose vanno viste e riviste,
studiate e ristudiate per poterle capire. LEGE AC RELEGE (che poi è come un venturiano vedere e rivedere)
contro il NON LEGGETE NIENTE di Spranzi. Capite che di comune i due libri hanno solo il titolo. La
pubblicazione di Marangoni ebbe un enorme successo, raggiungendo ben venti edizioni italiane e altre
numerose straniere. Lo Spranzi è quasi introvabile. Anche Marangoni divide le forme per coppie
antinomiche come Wolfflin. Ma poi dà un grande risalto al ruolo soggettivo dell’artista. Un crociano di ferro.
Fa una sintesi tra l’arte senza nomi e il ruolo dell’artista. In questo ci fa da ideale prologo a Roberto Longhi.
Anche Marangoni è critico sugli aspetti degli studi storico artistici, scrive delle critiche al sistema, dice che
l’arte va fatta studiare a tutti, sistema che va tarato in maniera funzionante, si rende conto che c’è un
problema di trasmissione del sapere sulla storia dell’arte. Dà anche una serie di consigli, dà un sua ricetta. Il
saper vedere insegna come fare una lettura formale e informata, dà dei consigli pratici, dice di togliere le
cose mediocri dai musei, ripensare la divulgazione, smetterla con libri e riviste di pura erudizione. Invece
bisognerebbe fare un'altra cosa, più importante – e questa è la maggior definizione di metodo di
Marangoni, ed è una citazione da Lionello Venturi, si deve rimediare alla deficienza visiva con la pura
visibilità. Roberto Longhi, nacque ad Alba nel 1890. All'Università di Torino fu allievo di Pietro Toesca, si
laureò nel 1911 discutendo una tesi sul Caravaggio. Si trasferì poi a Roma, dove si diplomò presso la locale
Scuola di Perfezionamento in Storia dell'Arte sotto la guida di Adolfo Venturi, del quale divenne discepolo e
stretto collaboratore alla rivista L'Arte, da lui diretta. Nel 1924 si sposa con Anna Banti, di cui era stato
professore di liceo. Fu docente di Storia dell'arte prima presso l'Università di Bologna (dove insegnò, tra gli
altri, a Pier Paolo Pasolini, influenzandone la formazione estetica) poi in quella di Firenze. Pallucchini dice
che Longhi fa una trasposizione letteraria delle opere d’arte, ma ciò non è metodo, è legato al suo talento,
altri ci hanno provato. Longhi collabora con la rivista di Venturi dal 1913 al 1920. Qui pubblica i primi articoli
sugli artisti caravaggeschi come Preti, Borgianni, Battistello Caracciolo, Orazio e Artemisia Gentileschi,
prosegue la rivalutazione del ‘600, considerato fino a quel momento negletto. Abbiamo visto che l’esame
del Seicento era iniziato alla Scuola di Vienna, un secolo fino a quel punto negletto. Ma Longhi non segue
nessuna corrente coeva: non il formalismo, non la ricerca d’archivio. Longhi ricerca l’intuizione dell’artista. In
questo aderisce all’idealismo crociano, ma a suo modo, sostenendo la specificità dell’arte. Denuncia tuttavia
i limiti della prospettiva lirica, di indistinto idealismo, di Benedetto Croce (anche se scrive a Bernard
Berenson – i due ritratti insieme - di essere, filosoficamente, crociano). È anche polemico con Croce, ovvero
è polemico in generale, è uno dei suoi tratti distintivi; inaugura in un certo senso il «tipo» dello storico
dell’arte polemico, ma qui eravamo su altri livelli, i polemici attuali lasciano il tempo che trovano. Problema
individuato dalla scuola di Vienna che va avanti. Il rapporto con Berenson fu molto travagliato, gli propose di
tradurre i pittori italiani del rinascimento, ma l’opera non andò a buon fine, i due si amarono e odiarono
cordialmente per tutta la vita. Briganti ricorda un motto di Longhi: sempre cose e cose, mai astrazioni.
Dall’opera d’arte Longhi tirava fuori racconti che avevano a che fare con tutti i contesti, ma non
soggiacevano ai contesti, non era una storia sociale o economica dell’arte, erano elementi che potevano
confluire nel racconto, ma non determinavano l’opera. La sua iperscrittura, Longhi è stato a lungo
considerato una sorta di D'Annunzio della critica d'arte: stile originale, complessità della scrittura, no
formule standard. Longhi approfitta di una polemica (postuma per la verità) con un giornalista, Enzo
Petraccone, che lo accusava di essere un mercante, fu come Berenson implicato in questioni di mercato, un
collezionista, un consulente di antiquari, e nel 1920 (Petraccone era morto in guerra, nel '18), scrive che
cosa intende per la scrittura di un critico (e storico) dell'arte, questo è importante. Un’opera d’arte quindi
trasmette a una sensibilità come quella di Longhi una possibilità di tradurre gli aspetti formali dell’opera in
un valore anche letterario, aspetto cruciale del primo Longhi, parti in giallo importanti. Nel 1934 scrive
Officina Ferrarese, un saggio critico insuperato di Roberto Longhi, pubblicato a Roma nel 1934. Lo scritto è
una rilettura della mostra Esposizione della Pittura ferrarese del Rinascimento, tenutasi a Palazzo dei
Diamanti a Ferrara nel 1933 sulle opere pittoriche ferraresi tra il XV secolo e il XVI secolo. La capacità di
Longhi è quella di inserire l'opera d'arte nel suo contesto descrivendola anche in termini narrativi di alta
fattura, raggiunge gli apici della sua narratività per l’arte. La musa Calliope di Tura, trasporre le parole in
aspetti formali, lingua letteraria e comunicativa. Ultime righe del saggio di Morassi che faceva un punto
della storia della critica in Italia negli anni ’30, tratta di Officina Ferrarese ma non in maniera entusiastica,
Longhi aveva molti oppositori, il problema di Longhi è che tutti volevano essere più di lui senza averne le
doti. I Fatti di Masolino e di Masaccio, pubblicati nel 1940 su "La Critica d'Arte", hanno costituito la
soluzione per quanto possibile definitiva della vexata quaestio sulla collaborazione tra il vecchio e il giovane
pittore (ove 'vecchio' e 'giovane' non si limitano ad essere pure indicazioni anagrafiche), di quella dunque
che già il Milanesi definiva "la più importante nella storia dell'arte". Nel 1950 fonda Paragone, rivista
cruciale con un discorso di metodo di capitale importanza, ma sarà argomento del secondo modulo. La
presenza di Longhi, come vedremo quella di Warburg o Focillon, è pervasiva e attraversa anche la cesura
della seconda guerra mondiale.

LEZIONE 13

Focillon, successore nel 1925 alla Sorbona, interesse per la scultura romanica, prosegue la cattedra con
l’arte medievale, e interesse per cultura giapponese e per l’incisione, grandi capacità didattiche, insegna
anche in USA, affronta i problemi della storia dell’arte, grandi doti letterarie, ricordato per aver rivelato
l’importanza della tecnica nel mondo dell’arte, non è un dato esteriore o materiale, ma un mezzo che
consente all’artista di sperimentare e esprimere i suoi principi stilistici, fa un passo indietro rispetto alla
lettura formalista, dice che la forma può essere espressa attraverso la tecnica e la sua conoscenza, ha
cercato di rilevare il lato estetico della cultura materiale. Focillon fu un appassionato di incisione, rinnovò il
campo degli studi sull’incisione antica, classificazione tassonomica repertoriale delle stampe, per anni gli
studi rimasero cristallizzati, fino a che Focillon li rinverdì. Si interessa anche di culture più lontane, si
appassiona di incisori visionari, o quelli lontani nello spazio e dalla nostra cultura, come quella giapponese,
che non ha interesse per la simulazione della terza dimensione, che è un caposaldo dell’arte occidentale, e
fa un excursus sugli strumenti dell’incisioni, per lui lo strumento e la mano sono di prima importanza per
determinare la tecnica, lo stile e la forma degli artisti. Incisioni giapponesi del monte Fuji di Hokusai,
attraverso lo studio sistematico di artisti che erano già noti nella Francia di fine ‘800, gli impressionisti ci si
rifacevano, negli studi c’era un ritardo nell’integrare questi artisti in libri, connotati da studi moderni.
Focillon parla nel suo libro su Hokusai del suo testamento, è un racconto di una disavventura ci fa notare
che salva i pennelli, grande attenzione per gli strumenti, tecnica importante, in quanto erano una tecnologia
che poteva migliorare e aprire il ventaglio di possibilità formali e artistiche, nulla die sine linea, non c’è un
giorno in cui non si debba lavorare. Nel 1918 scrisse una biografia su Piranesi, con un regesto delle opere, e
nel secondo capitolo in cui tratta delle carceri, era visionario e entra negli interessi di Focillon, considera
l’arte di Piranesi, come l’invenzione, era cruciale, prima erano riproduzione di dipinti, tecnica che fa un salto
di qualità e diventa invenzione. Focillon scrive che Piranesi sceglie un suo motivo, incisore, fa questi disegni
in funzione delle incisioni, e l’acquaforte è la materia in cui prende corpo la sua immaginazione, non è più
riproduzione, è invenzione, aspetto tecnico ha un ruolo predominante. Il suo scritto più teorico è la Vie des
Formes, 1934, pubblicato con aggiunte nel 1943, fin dal suo apparire fu considerata come manifesto del
nuovo formalismo, Castelnuovo la definisce come morfologie genetiche delle forme artistiche, sono
sottolineate in maniera empirica tutti gli assetti formali delle attività umane, mentre l’Elogio della mano è
un saggio in cui la mano viene elogiata da Focillon come organo più specializzato che ha l’uomo, capace di
cogliere tutte le sfumature della realtà, andando oltre le forme apparenti, è la volontà, al scelta, l’azione, è
uno strumento dell’uomo, attraverso cui dà forma alle invenzioni, all’immaginazione, all’intuizione artistica,
caratterizza l’essere umano e attraverso essa svolge il suo processo artistico, technè del corpo che coinvolge
una finezza intellettuale e una sapienza realizzativa molto concreta. Le Vie des Mots, di Darmesteter, da
questo libro Focillon deriva un punto cardine della sua teoria e del suo formalismo, gli elementi capitali che
servono per realizzare o indirizzare a un esperimento sono le tecniche, gli strumenti e le materie, in
un’epoca di grandi ricerche iconologiche cerca di riaffermare l’aspetto materiale pratico che non è disgiunto
dall’aspetto intellettuale di fare arte. Focillon propone il recupero di alcune posizioni, come quelle di Viollet-
le-Duc, ogni tecnica obbedisce alle proprie leggi, la sua architettura era fatta di funzioni legate a tecniche e
materiali, l’evoluzione delle tecniche non risulta parallela o sincronica con le altre, il tempo per Focillon è un
attore di estrema importanza. L’Architecture di Violet-le-Duc, libro di grande successo nell’800, superato
nella tecnica e nella teoria del restauro era stato messo da parte, e viene riabilitato da Focillon per la
questione della sua estrema attenzione per le materie e le tecniche, che secondo lui erano in grado di
terminare la forma e lo stile degli edifici nelle differenti epoche e nei differenti luoghi. Dal libro di Focillon, i
suoi enunciati sono apparentemente astrusi, il formalismo di Focillon è quasi assoluto, nella forma Focillon
non vede niente altro che la forma stessa, per sé, per nulla agganciata a significati, è una teoria che tende a
risolvere in un formalismo assoluto la teoria artistica, rapporto tra forme e segni è connotante per Focillon,
fu un grande teorico di un formalismo nuovo, che nell’epoca di grande auge di studi warburgiani pone uno
sguardo differente. Focillon, la forma non per forza è legata a un significato, si significa, è come un
contenitore, uno stampo in cui possono esserci vari significati, concetto importante di esperimento, di
experience, noi ignoriamo tutti gli errori che nell’ombra accompagnano il successo, tecniche con vocazione
formale sottoposte nel tempo a una serie di tentativi, percorsi di affinamento che nella maggior parte dei
casi erano stati fallimenti, mentre i successi sono meno, e importanti per questo, ma in realtà per Focillon
tutti i fallimenti sono importanti, perché su di essi c’è la base per i successi, che danno una svolta formale
alle arti, gli esperimenti falliti che non danno svolta, ma chiudono una strada e indicano di prenderne
un’altra, e esperimenti senza venire, cioè che possono avere un successo momentaneo ma non aprono in
realtà nuove strade, esperimenti che si basano sull’idea di invenzione e sulle potenzialità tecniche della
mano. Focillon vede queste forme come identità autonome, destinate a una continua trasformazione, ogni
opera d’arte finita è forma, ed è la fine di un lungo percorso, di cui noi vediamo i risultati ma ignoriamo i
fallimenti, non è entità astratta, è ingegno, l’arte ha bisogno del suo aspetto materiale per essere tradotta,
prima di quello è solo speculazione, questa è la Vie des Formes. Nell’Arte degli scultori romani, Focillon
introduce un altro concetto, cioè quello di un tempo che non è fisso e lineare, quando abbiamo un punto di
osservazione straordinario e irripetibile? Nei momenti di passaggio, quando uno stile muore e un altro
sorge, non c’è una cesura netta, c’è una durata lunga di uno stile decadente e uno nascente, che spesso
coesistono, noi possiamo in questo periodo osservare più precisamente la loro entità più profonda. La
forma crea il tempo che più le conviene, lo può accelerare o rallentare, tempo ricco di contraddizioni e di
strati sovrapposti, l’umanità ha adattato il tempo alle proprie esigenze, istituendo una linea ripartita in
secoli, ma il tempo va considerato come una catena montuosa, complesso e stratificato con la linea fatta
dalle vette, che sono gli esperimenti riusciti, e le valli quelli falliti, un passaggio di secolo è un momento
sempre visto come epocale, ma in realtà non ci sono grandi differenze. Altra metafora che usa è quella del
fiume, secondo lui lo possiamo intercettare come se fossimo su un ponte su un fiume, guardandolo
possiamo vedere nello stesso momento una corrente centrale più regolare, e anche dei rivoli laterali con
una corrente più accelerata, o dei gorghi in cui il fiume rallenta, in quel momento sopra il ponte possiamo
vedere tutti e tre i momenti, il tempo per lui è questo, non è un’entità univoca e lineare. Uno stile ha una
coevità con altri stili, ci sono stili d’avanguardia, quelli del tempo e quelli che rimangono ancorati al passato.
Il capitolo V è cruciale, formalismo che si intreccia con la dimensione del tempo, c’è anche una dimensione
spaziale, considerazione intemporale di alcuni aspetti artistici, l’opera d’arte intemporale però è anche della
storia, ha dei precedenti e dei successori, risulta da delle esperienze, successione delle opere comporta una
linea di successione che può essere rapida o no, e c’è una coevità di esistenza, di stili e forme anche nello
stesso tempo. Focillon lamenta la nozione canonica di divisione per secoli, non si interrompe alla fine di un
secolo, ma nota che stava diventando fuorviante, esiste una nozione per cui verso la fine di un secolo c’è
decadenza, che la fa coincidere con eventi storici o correnti artistiche, dice che la storia non è lineare o
successiva, ma sovrapposizione, presenti largamente estesi, che sono diversi e si sovrappongono, lo
possiamo attuare anche per la metodologia, come Venturi che scrive le sue memorie autobiografiche nello
stesso anno in cui Panofsky scrive qualcosa di completamente nuovo, non è che se sono nello stesso istante
siano allo stesso livello di sviluppo, in uno stesso anno ci sono entità, concetti, modi di pensare totalmente
diversi. La storia dell’arte ha sopravvivenze e anticipazioni, ha tempi che scorrono in modi diversi ma che
possono essere colti nello stesso momento. Castelnuovo sintetizza tutto ciò nella sua introduzione, l’opera
d’arte è il risultato di una serie di esperimenti, la più parte dei quali falliti, ma il rincorrere il risultato fa sì
che si raggiunga la vetta, e una volta arrivati il tempo inizia a scorrere più lento.

LEZIONE 14-15

Manierismo inteso come nascita del concetto e studi degli storici dell’arte. Dibattito su manierismo e
barocco, in area tedesca si afferma una generale riabilitazione dell’arte del ‘600, si esce dal concetto dei
primitivi e dell’arte rinascimentale. Il termine Manierismo aveva un’accezione negativa, da Bellori a Lanzi;
quest’ultimo studia presso i gesuiti, diventa un abate e poi un professore di greco, poi lavora presso Pietro
Leopoldo il Granduca alla galleria degli Uffizi, come antiquario, pubblica molti scritti sugli etruschi, e La
storia pittorica dell’Italia, grazie a cui venne identificato come il primo padre della moderna storiografia
artistica italiana, in cui il termine Manierismo è ancora in accezione negativa. Partiamo da Vasari, fu sotto la
protezione di Alessandro Farnese a Roma, ebbe un’importante carriera artistica e fu anche un grande
storico dell’arte, il primo, con le sue Vite (1550 e 1568). La prima edizione del 1550 presso il Torrentino ebbe
uno straordinario successo, il punto di partenza era quello degli Uomini illustri di Paolo Giovio, che lo porta
a fare una raccolta di artisti illustri, scritti con i canoni di una materia che lui ben padroneggiava, storia
dell’arte con un punto di vista particolare e marcato, tende a porre Firenze al centro, che è progressivo,
aneddotico, talvolta parziale, ma comunque imprescindibile, in molti casi costituisce l’unica fonte su opere,
artisti e periodi della vita, e anche sul loro carattere. Vasari nelle Vite, come i suoi contemporanei usa il
temine Maniera molto frequentemente, ma con accezioni differenti, che sono positive o negative a seconda
del contesto. Maniera qui ha l’accezione di epoca storica caratterizzata da uno stile ben preciso, lui ne fa tre,
delle tappe di questa evoluzione progressiva e crescente della storia dell’arte, e qui c’è un concetto generale
legato alla questione dello stile. Maniera è usato come termine per più precisi termini cronologici, ad
esempio la Maniera Vecchia è quella da Giotto fino al ‘400, mentre la Maniera moderna si apre con
Brunelleschi e Masaccio, si sviluppa e arriva a Leonardo, a Michelangelo e a Raffaello. Altre volte maniera
viene impiegato come stile di un artista, di un epoca o zona geografica, o secca, o per individuare una scuola
geografica precisa. Questo concetto di Vasari viene inquadrato nella electio, scelta delle parti più belle e
idealizzate della natura per comporre durante il manierismo delle figure che risultavano artificiose ma di
bellezza superiore, perché erano la composizione di aspetti tutti portati alla loro massima potenzialità in
natura, ma il termine maniera è anche ambiguo, se c’è un eccesso di maniera il termine può prendere un
connotato negativo, usando uno stile eccessivo si arriva a una ripetizione meccanica di immagini che
vengono meccanizzate, equilibrio difficile, si rischia di arrivare a una degenerazione. Prima comparsa del
termine maniera è stata nel libro di Cennino Cennini, che raccomanda di scegliere solo un maestro ed
esercitarsi sulla sua maniera, che ha il senso qui di stile. La parola maniera ricorre, se ti sai adattare a quella
di un buon maestro può essere che un giorno tu ne avrai una tua propria. Baruffaldi, biografo ferrarese di
tardo ‘600, scrive su Bonatti, ognuno deve mantenere una propria maniera, un proprio stile. È con Bellori
nel ‘600, che era un teorico del Barocco, che continua Vasari, era il suo equivalente più tardi, da dopo
Raffaello fino al ‘600 era un’idea appoggiata alla pratica e non all’imitazione, erano cambiati i tempi, queste
composizioni del manierismo così intellettualistiche e astratte non rispondevano più a un’esigenza stilistica
che si era rivolta a un naturalismo, studio della realtà effettuale, naturale delle cose. In realtà Bellori è
diverso da Vasari, non è il suo continuatore, non è evolutivo, non fa il discorso di crescita costante e delle
maniere, ma è selettivo, ritiene che questo stile sia normativo e nasca in opposizione al manierismo,
cambiamento di paradigma verso un nuovo naturalismo, Cardinal Paleotti, Discorso sopra le immagini sacre
e profane, 1582. Sciolla inquadra i tedeschi come coloro che riscoprono il manierismo, dopo l’accezione
negativa presa con Bellori, e poi fino all’800, era rimasto confinato per secoli in un limbo indeterminato e
negativo, Wollflin diceva che non esisteva, prima era un periodo di evoluzione dello stile dal rinascimento al
barocco, è Weisbach nel suo Der Manierismus del 1919, dà una serie di definizioni moderne per quel che
riguarda questo stile, che era un’esaltazione della libertà creativa, gusto raffinato di corti e classi alte, ha nel
suo momento di apice con quello della Riforma e Controriforma, momento negato o enfatizzato per capire
la sua portata teorica e stilistica. Poco dopo sarà Dvorak a scrivere un libro importante sul Greco, il suo
concetto è che il manierismo inizia con la morte di Michelangelo fino a El Greco, siamo nell’ambito di una
critica che esalta la posizione soggettiva dell’artista, il manierismo viene associato a una delle tante correnti
artistiche coeve, tendenza a trasformare tutto in corrente e movimento. Anche Pinder si occupa di
manierismo, lo fa nella sua ricostruzione del barocco, lo considera dalla morte di Raffaello fino al Greco,
mette in relazione questa corrente artistica con la Controriforma e con le tendenze che si sviluppano in
riposta alla Riforma protestante. Friedlander è un allievo di Wollflin, nel 1920 scrive L’origine dello stile
anticlassico nella pittura italiana intorno al 1520, anche in questo caso la data iniziale coincide con la morte
di Raffaello, e introduce un concetto che avrà in Pinelli una grande riscoperta, quello di anticlassico, il
termine di manierismo è da individuare nel 1590, non più con El Greco, e non lo fa entrare nel ‘600,
anticlassico come qualcosa che reagisce al classicismo di Raffaello, da intendersi come quel livello a cui la
pittura era giunta di tale perfezione formale da diventare classica, canone, di pittori che dovevano essere
giunti al vertice, come Raffaello e Andrea del Sarto. Pevsner a sua volta fu allievo di Pinder, Controriforma e
manierismo, lega la controriforma e manierismo, e parallelismo tra i rispettivi ideali. Lossow nel 1941
approfondisce le idee di Pevsner a introduce la questione dell’arte di corte, con una particolare attenzione al
problema del manierismo che si era manifestato alla corte praghese di Adolfo II. Hoffman comincia nel 1938
a cercare di capire il nesso di passaggio, dà un’interessante versione non scontata, il problema del
manierismo si ricollega alla scuola del barocco, il manierismo è stato inquadrato perché soprattutto in area
tedesca si è andati alla riscoperta del barocco. Si riprende dal dopoguerra, due libri cruciali, mostra che si è
tenuta a Manchester, si dimostra che il termine manierismo negli studi anglosassoni non esisteva, era il
periodo che sta tra una cosa e un’altra, tra 1520 e 1600, non configurato, siamo nel 1965 e la mostra inizia a
creare un dibattito sul Burlington magazine, una rivista importante. Ci si chiede cosa sia questa cosa
innominata della mostra di Manchester, e ci sarà un momento in cui la questione si farà centrale. Shearman,
Congresso internazionale di storia dell’arte tenutosi a NY nel 1961, ha fatto un intervento intitolato Maniera
come ideale estetico. Si era impegnato anche Smyth, scrive un trattato, Mannierism and Maniera, in cui
prova a dare una definizione partendo dai termini, manierismo e maniera, che riverberava in tutti i trattati
antichi. Shearman scrive un suo libro, Mannerism, nel 1967, recensione che fece Pinelli, la maniera è lo stile
che ha stile, Shearman fa un cambio di paradigma, propone di vedere l’inizio della maniera nella Roma post
raffaellesca. Shearman si era formato al Courtauld Institute, formazione particolare, punti di riferimento di
questo centro di studi londinese: Blunt, amato da tutto il mondo storico artistico internazionale fino a che si
scoprì che lavorava per i russi, per vedere dal punto di vista dell’occidente, avventure non solo intellettuali,
raccoglie un importante silloge di Teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manierismo, vediamo che il
manierismo è il periodo in cui l’arte ripensa a se stessa e si teorizza in trattato, periodo estremamente colto
e che ripensa anche a se stesso. Anche Wilde era al Courtauld, considerare tutte le forme d’arte, nel senso
di una considerazione storica che vedeva nel manierismo un’arte totale, tutti gli aspetti in cui poteva essere
applicata. Manierismo di Shearman, non è un periodo storico, anche se ci sono dei paletti cronologici, ma
non essenziali, è uno stile colto ma anche polifonico, in grado di investire varie forme artistiche e culturali.
Nel 1960 anche a Roma si era tenuto un convegno internazionale, Manierismo, Barocco e Rococò, l’unico
vero intervento sul manierismo è quello di Weise, basato solo sulla storia del termine, mentre Salmi intitola
il suo intervento Tardo rinascimento e primo barocco, come se il rinascimento avesse una lunga coda che
tocca il barocco, eludendo il manierismo. C’era una riflessione sul manierismo anche in Italia, Giuliano
Briganti, nel 1961 pubblica la Maniera italiana, uno degli allievi più brillanti di Longhi. Briganti sottolinea
l’aspetto dell’inquietudine di questi artisti, e tutte le loro caratteristiche di astrazione, di ghiribizzo, di
artificio, di metamorfosi, di continuo gioco tra il reale e l’astratto. Visualizzazione delle forme bizzarre che
sorgono in questa fase storica, descritte dal Briganti, che rifiuta l’idea di crisi che scatena questo nuovo stile,
continua a insistere sulla definizione di inquietudine di anni cruciali e ricchi di eventi che destabilizzano il
mondo rinascimentale nella sua accezione di serena centralità dell’uomo. Siamo agli antipodi di Shearman,
il manierismo non è un’astrazione e un puro stile, anche Briganti non può non tener conto del sedimentarsi
di definizioni e concezioni che hanno cercato di definire il manierismo. Torniamo a Shearman, per lui la
prima insidia è nel termine stesso, manierismo, non è una corrente, uno stile, porta a intenderlo come una
corrente del ‘900, può essere tradotto con la parola inglese style, torna alle definizioni già adottate nel XIX
secolo, definizione di Bellori, maniera come stile personale di un artista. Artificio, idea, volontà di fare
qualcosa di artificioso, poi la difficoltà, ovvero la volontà di superarla, da Michelangelo si cercano delle
costruzioni stilistiche formali difficili, delle torsioni dei corpi inusuali ma celate dietro una sorta di facilità nel
fare queste cose difficili, e la possibilità di far sembrare facili queste cose difficili, poi il virtuosismo, bizzarra
fantasia, presentazione di motivi anche sorprendenti e legati a capacità tecniche e inventive molto
particolari, la grazia, aspetto importantissimo, saper prendere il meglio da tutti gli aspetti della natura e
saper comporre delle figure graziose, artificiali ma con una grazia superiore a quella della natura, e della
complessità, devono essere molto ricercate, e poi astrazione, serie di categorie formali che compongono lo
stile manierista portano a un allontanamento, complessità, ricercatezza, virtuosismo, grazia, portano a
qualcosa che è piuttosto astratto che reale, anche se raffigura qualcosa di esistente. Molto cruciale è la
figura di Baldassare Castiglione, nel suo Cortegiano la definizione racchiude molte entità evocate anche da
Shearman, sprezzatura termine importantissimo nel manierismo, grazia, fare cose complicate, virtuose, ma
apparentemente senza alcun particolare sforzo, far vedere che si fa delle cose facilmente e generalmente
difficili è stupefacente. Cortegiano scritto tra il 1513 e il 1524, e pubblicato nel 1528, trasse la sua
esperienza dalla corte di Urbino, con Elisabetta Gonzaga, trattato in 4 libri che descrive i perfetti usi e
costumi del Cortegiano, in queste regole si parla della vita di corte, anche manierismo riservato alla upper
class, trova in questa figura una proiezione di quello che doveva essere l’artista al tempo della maniera. Le
cause del manierismo secondo Shearman, nuova evoluzione del mecenatismo, nell’età de manierismo
l’artista si libera della sua concezione artigianale, e viene considerata come strana, con talenti particolari e
straordinari, autoconsapevolezza degli artisti estremamente marcata. Chastel, il Sacco di Roma del 1527 è
stato ampiamente analizzato, e viene considerato come una rottura degli equilibri politici e degli artisti attivi
nella Roma di Clemente VII, e questo avvalora anche chi invece ritiene che questa crisi non sia del tutto da
sottovalutare. Il sacco di Roma ha portato alla diaspora di molti artisti, Raffaello era già morto nel 1520,
Giulio Romano era già andato a Mantova nel 1524, molti erano morti, o i protagonisti attorno a Raffaello
emigrarono, propagazione dello stile della maniera risente di questo cruciale evento storico, i nomi che si
vedono nella cartina sono gli stessi che Shearman individua a Roma, come i prodromi del manierismo. Passo
cruciale, su questo si innesterà anche la riflessione di Pinelli, secondo Shearman esiste una fase di pieno
rinascimento che va dal 1480 al 1520, tra la maturità di Leonardo e la morte di Raffaello, che vada
individuato a Roma l’inizio del manierismo, e non nella Firenze di Pontormo e Rosso Fiorentino. Shearman
parla di una trasformazione animatrice che Leonardo aveva effettuato nel campo del nudo e del ritratto, che
Giorgione aveva fatto nel paesaggio, come prodromi della maniera e del nuovo stile, Leonardo nella sua
Leda e il cigno sfida il canone antico e lo supera in sensualità, ci fu una grande ricezione, e queste torsioni
faranno parte del manierismo quando si canonizza. Per Shearman anche Giorgione è autore di questa
trasformazione animatrice nel paesaggio, ci crea una dimensione drammatica, c’è anche un riferimento
letterario all’antico, Plinio, che scrive della rappresentazione di una tempesta. Andiamo a Firenze, Shearman
individua nella Madonna delle Arpie del 1517 di Andrea del Sarto, un punto insuperabile di un discorso
classicista particolarmente vibrante espressivo e comunicativo, apice del discorso rinascimentale, e lasciano
intravedere alcuni aspetti che saranno nel manierismo, ma non hanno ancora fatto un balzo nel nuovo stile,
maniera moderna teorizzata da Vasari, si arriva con Andrea del Sarto a una purezza che si rifà al classicismo,
arriva a un vertice di questo stile che non può essere superato e si fonda come canone, come opera classica.
Nel Tondo Doni Shearman nota aperure particolari verso qualcosa di nuovo, Michelangelo secondo lui in
questo tondo in questa torsione della Vergine, del bambino e dei nudi fa un virtuosismo, vuole mostrare che
è capace e che gli risulta facile risolvere delle torsioni fisiche difficilissime da mettere in scorcio. Cartone per
la battaglia di Cascina, in Michelangelo, che non può essere considerato manierista, indica alcune strade,
alcune potenzialità, le esplora e inizia una serie di discorsi che verranno portate da altri a conseguenze
estreme, fu contestato dai suoi contemporanei, Dolce ad esempio prende una chiara posizione contro le
forzature michelangiolesche, e contro chi vedeva in queste un canone su cui impostare un’arte virtuosistica
e artefatta e a un’astrazione che si allontanava sempre più dalla credibilità. Gli Ignudi di Michelangelo,
secondo Shearman sono la bellezza in sé, la bellezza per la bellezza, diventa qualcosa di nuovo, per
Shearman comunque l’opera nel suo insieme non è manierista, è un grande innovatore ma non si pone
consapevolmente nell’ambito della materia nel suo periodo più maturo. Raffaello era un pittore classico, il
manierismo guarda a Raffaello, gli spiriti più ribelli, sperimentalisti anticlassici si ribelleranno, ma Shearman
dice che alcune opere di Raffaello anticipano il manierismo, come nella Santa Cecilia, nella figura sulla
destra abbiamo la prima manifestazione di questa bellezza talmente assoluta da diventare astratta. Livello
che va a sollecitare l’idea della electio, scelta di tutti i canoni migliori che confluiscono in una unica figura
che arriva a un livello di idealizzazione astratta. Shearman individua alcune forme caratteristiche del
manierismo, che nasce a Roma nel 1520 con la generazione dei più stretti collaboratori di Raffaello, canone
di classicismo senza errori, iniziano a maturare forme particolari e caratteristiche che diventano la cartina
tornasole del manierismo. Figura serpentinata, ha una citazione in Lomazzo, trattatista e artista nel periodo
della maniera, 1584, una sinuosità accentuata comincia a diventare un canone di bellezza, e Gli Ignudi di
Michelangelo iniziano a diventare un canone in questo senso, con la sua capacità di mettere i corpi in
torsione in scorcio, che era considerata prodigiosa anche ai suoi tempi. Alcuni casi di Michelangelo, girando
su tutti i lati troviamo una figura che evoca una S, c’è una doppia torsione, una parte da un lato e una
dall’altro, figura che sale sinuosa come una fiamma, è una sintesi di opposti. Eccitazione maggiore del
canone che veniva dall’antichità del contrapposto, che dagli egizi era il modo che nel realismo della scultura
ellenistica e romana facesse in modo che la posa sembrasse più naturale, il busto risulta leggermente
inclinato e le gambe risultano fuori asse, per la spinta di equilibri che il corpo naturalmente fornisce per
restituire una posa di equilibrio è sempre stato considerato un canone di eleganza nella statuaria antica. Nel
manierismo questo arriva a una temperatura più elevata, Ratto delle Sabine di Giambologna, le tre figure
salgono al cielo in forma serpentinata che ricorda anche l’idea del fuoco teorizzata da Lomazzo, sale come
una fiamma con una varietà di moti, torsioni e ripetizioni, che danno un’estrema grazia, e che sembri una
cosa facile, virtuosismo. Mercurio di Giambologna ha fatto furore da questo punto di vista, virtuosismo,
figura con movimento serpentinato e fiammeggiante ha in sé anche la grazia di essere appoggiata in punta
dei piedi, come una danza, è sempre stato messo in rapporto all’attitude, un famoso passo di danza, aspetto
teatrale e musicale anche legato alla danza e alle sue grazie fa parte del canone manierista. Shearman
conclude con alcuni canoni, il manierismo non fu lo stile di tutta l’arte del XVI secolo, è un vasto fenomeno
culturale, fa studi sul giardino, sul teatro, sulle feste, tutto ciò fa parte di uno stile, di un modo di concepire
la vita del periodo, Shearman dice che quest’arte manierista era estremamente colta, destinata a una upper
class che era in grado di cogliere tutte le licenze, tutte le sforzature, ed era conscio che queste cose fossero
un’arte che si distaccava volontariamente dal realismo e che cercava nel virtualismo la sua stessa ragion
d’essere, cerchia molto ristretta e conscia di fruitori. Shearman infine costruisce un capitolo che riguarda
arte, letteratura e lingua che risolve vedendo nell’arte del manierismo la trasposizione visiva della figura
retorica letteraria dell’ossimoro, e individua una serie di copie antinomiche che contrariamente alle polarità
ad esempio di Wollflin non sono esclusive, ma la poetica manierista è tale per cui comprende l’ossimoro, è
tanto più virtuosa quanto più riesce a mettere nella stessa immagine queste due entità contrapposte,
sempre celando lo sforzo, vediamo che c’è un forte portato intellettualistico di quest’arte e di questo stile.
La Bella maniera è un libro cruciale scritto da Pinelli, nato a Domodossola nel 1943, un libro denso di una
lettura intellettualmente molto valida e vivace del fenomeno del manierismo, e connotato da una scrittura
piana e notevole dal punto di vista letterario. Prima edizione è del 1993, problema esordisce nelle fonti
antiche, ha un’importante riscoperta in area tedesca della scuola di Vienna, travalica l’immediato
dopoguerra e si avvicina fino ai tempi nostri, problema metodologico e storiografico è una questione che
resta aperta, nuove letture, teorie e metodologie. Il primo capitolo importante di Pinelli è quello su Vasari e
Pontormo, due personaggi molto diversi, ma che erano fino a quel momento classificati come massimi
esponenti del manierismo, Pinelli fa una lettura accurata della Vita di Pontormo scritta da Vasari, in cui egli
mette in rilievo in maniera disomogenea le qualità stilistiche di Pontormo, che a noi oggi non sembrano
quelle più rilevanti, e insistendo su una certa dissolutezza della sua vita. Alcune definizioni che dà Vasari, ci
sono probabilmente dei dati tali di carattere, ma è la rappresentazione del tipico artista solitario e
insoddisfatto, con un comportamento differente dai canoni del buon gusto sociale. Per spiegare questo
dualismo due autoritratti, di Pontormo e di Vasari, quest’ultimo uomo maturo, consapevole, con una
posizione sociale, collana che fu il dono di qualche committente, ostenta uno status di artista importante,
secondo Pinelli ci sono due fasi che vanno distinte, Pinelli è d’accordo con Shearman nel non vedere negli
artisti fiorentini l’inizio del manierismo, ma a Roma un lustro più tardi. Vasari quando parla di Pontormo
sottolinea ogni aspetto che demarchi la sua differenza con il suo modo di essere, non soleva vestirsi in
maniera elegante ad esempio. Nel proemio alla terza parte delle Vite, in cui compaiono tutti gli artisti al
vertice di questa catena evolutiva individuata dal Vasari, si propone di capire a che punto siamo arrivati,
anche lui è uno dei protagonisti, attivo come teorico, pittore e architetto. C’è Verrocchio, Pollaiolo, Piero
della Francesca, Bellini, Perugino, successione logica, dai primordi del ‘400 fino al ‘500, ai giorni suoi. Poi
Leonardo Giorgione, Andrea del Sarto, Correggio, e nella terza maniera, registrando quello che succede
attorno a Raffaello ci sono Parmigianino, Rosso Fiorentino, Sebastiano del Piombo, Giulio Romano e
Michelangelo. Manca Pontormo, che era un artista di grandi qualità, punto di massima distanza è quando gli
viene commissionato il coro per la Basilica di S. Lorenzo a Firenze, ci rimangono dei disegni preparatori,
figure nude nelle pose più varie e tendenzialmente aggrovigliate. Altro disegno che ci dà una restituzione
grafica dei corpi che componevano la decorazione di Pontormo, che proiettato in larga scala era una bolgia
di ignudi, che in una chiesa del ‘500 doveva essere un messaggio forte e inusitato. Altro disegno, da notare
le capacità disegnative in ci tutti i corpi si affastellano, non sono ancora codificati in quelle figure
serpentinate e nella ricerca di un’eleganza formale estrema, accumulo che dà un’idea di drammaticità che si
distanzia dal modello di Michelangelo. Vasari dice che lui non riesce a capire che cos’ha davanti agli occhi,
se non un groviglio di figure fatto in 11 anni, a guardarlo lui teme non capendolo di essere catturato. È un
giudizio di un distacco formale assoluto, Pinelli individua in loro due figure esemplari di due fasi del ‘500 che
non possono ricadere sotto la stessa etichetta di manierismo, per Pinelli quello di Pontormo è una delle
massime espressioni di un’attitudine che egli chiama sperimentalismo anticlassico, una ricerca di forzare e
rompere regole che si erano stabilite con Raffaello e Andrea del Sarto, volontà di sperimentare anche a
costo di forzare enormemente le potenzialità formali qualcosa di nuovo, gruppo consistente di artisti cerca
di incamminarsi su una via sperimentale, che aprirà alla via del significato tout court del manierismo, che è
una sua normalizzazione, con tutti i suoi canoni e modi, Pinelli distingue una fase ulteriore, sperimentale e
di rottura, che non è il primo manierismo, ma qualcosa di diverso. Pinelli ritiene che la frattura tra Vasari e
Pontormo sia generazionale, quindi di mentalità, e divide la maniera in due fasi, una che non è ancora la
prima maniera, e cioè lo sperimentalismo anticlassico, che ha in Pontormo il rappresentante più
emblematico, e attenzione per gli artisti fiamminghi, patente di appartenenza a questa corrente come altri
artisti eterogenei, è un’età della maniera, che ha in Vasari il teorico più lucido, artefatto che risponde ai
canoni che sono enunciati nel Cortegiano, non è espressione di una sorta di bohème, concetto cruciale
introdotto da Pinelli, non esiste un primo manierismo fiorentino, ma attorno a Pontormo e Rosso Fiorentino
esiste una fase che lui definisce sperimentalismo anticlassico, codificazione di quella che poi sarà età della
maniera. Anche Pinelli poi individua i canoni del manierismo, cioè cosa determina lo stile manierista,
ripristinando anche il concetto di crisi, il sacco di Roma non può essere ignorato, anche nella definizione
dello stile manierista anche Pinelli mantiene molti degli aspetti tipici individuati da Shearman. Insistono
sulla letterarietà, arte nata per un’arte stessa, citazioni su Michelangelo o Raffaello, volontà di fare qualcosa
di bello solo per fare qualcosa di bello, riverberano concetti finali di Shearman che apparentemente sono
ossimori, ma che in realtà in maniera ambigua tendono a voler coesistere come aspetto di un virtuosismo,
vocazione a diventare accademico, non è un caso che nella seconda metà del ‘500 nascano in Italia una
serie di accademie, sia letterarie che di arte, poi Pinelli continua con La maniera in Vasari, ut pictori poeta
capitolo che riguarda i rapporti con la realtà visiva e letteraria, e poi giardino e teatro, nascita del teatro in
senso moderno, e poi alla fine panorama finale sul tramonto della maniera. Anche Giulio Romano può
essere scelto come importante caposaldo dello stile manierista, va a Mantova nel 1524 a servizio dei
Gonzaga, architettura classica nell’uso degli ordini e anticlassica nella grammatica e composizione di questi
ordini, si occupa di tutti gli aspetti decorativi della corte, si fa ritrarre da Tiziano nella veste di architetto,
posizione sociale simile a quella di Vasari, e una delle caratteristiche dell’artista manierista della grande
maniera è quella di poter sostenere una conversazione dolce e intelligente anche con i committenti più colti,
gli artisti della maniera partecipavano a un mondo estremamente colto. Anche Pietro Aretino insiste su
queste caratteristiche di Giulio Romano, ma dà una definizione rimasta memorabile, su cui insisterà Pinelli,
ossimoro doppio, anticamente moderno è uno e modernamente antichi un altro, doppio ossimoro costruito
a chiasmo, si attua alla descrizione dell’arte, con un interscambio molto forte. Palazzo Te a Mantova, la
prima grande commissione di Giulio Romano, bugnato, ordine grande delle lesene, tutto costruito secondo
ordini classici ma non c’è nulla di antico a qualcosa dell’antichità. Altri aspetti dei cortili interni di palazzo
ducale, frontoni spezzati dai conci centrali delle arcate, tutto basato sul lessico antico ma riscritto con una
grammatica moderna. Ancora un dettaglio, parti che sembrano instabili, ma in realtà sono un artificio scelto
da Giulio Romano. Affreschi interni, sta insieme un michelangiolismo portato quasi al parossismo, stanno
assieme il mostruoso con l’architettura classica, qui c’è un crollo vero e proprio, fuori è solo finzione, gioco
tra realtà e finzione tipica del manierismo. Ancora nella rustica, riproposizione di colonne tortili, espressione
di un’arte bizzarra e fantasiosa. Pietro Aretino, lodando un disegno di Vasari che gli era stato donato, nel
quale una figura chinata a terra aveva una torsione molto particolare, lodò la capacità di mostrare
contemporaneamente “il dinnanzi e il di dietro”, ovvero una specie di ossimoro anatomico, una
trasposizione grafica della figura retorica letteraria, modernamente antico è un ossimoro, e anche il dinanzi
e dietro, anche nell’incisione di Mercurio, sempre gioco su figure serpentinate. Perin del Vaga era stato
indicato da Shearman nome espressione del rigoglio del manierismo, quando dice che inizia a Roma nel
terzo decennio indica alcuni artisti e in particolare questo disegno come espressioni di quello stile, le gambe
sono rivolte avanti, la torsione fa sì che noi la vediamo da dietro, in una stessa figura c’è un ossimoro visivo.
Lo si vede anche in Caino e Abele, anatomie che diventano ipermichelangioliste, gambe viste di fronte ma
parte superiore del corpo vista da dietro, parti che diventano quasi esagerate, per questo anche viene
criticato da alcuni teorici, anche se per il manierismo erano virtuosismi. Goltzius, torsioni arrivano a livelli di
virtuosismo straordinari, da un lato questi artisti riuscivano a rispondere a questo canone ossimorico, ma
dall’atro sforzavano talmente tanto il messaggio da aver fatto diventare maniera questa manifestazione
ossimorica. Diluvio universale, manierismo che si procrastina con queste sue torsioni dentro e anche oltre il
‘600, stile così complesso anche quando il rinascente naturalismo contenderà il campo artistico con il
Caravaggio, questa arte continua a vivere, Focillon ci spiega che c’è un manierismo in ritardo che continua a
vivere con il naturalismo nascente, il manierismo riesce ad avere una lunga sopravvivenza nelle corti
d’Europa, alla fine del ‘500 c’era Caravaggio, ma il presidente dell’accademia di S. Luca era il manierista
Zuccari, il manierismo è stato un fenomeno rilevante nella storiografia artistica e solo nella silloge di studi
metodi, definizioni e riscoperte siamo arrivati a riconsiderarlo per quello che è stato.

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