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LEZIONE 1
Torniamo su Burckhardt, primo storico dell’arte che dà una sua interpretazione sul Rinascimento,
sostenendo una netta rottura con il medioevo. Svizzero, pubblica nel 1860 la Civiltà del Rinascimento in
Italia, vede il medioevo come trascendentista teocentrico, universalista, aspetto religioso importante, il
rinascimento porta un’evoluzione immanentista, pone al centro l’essere umano, antropocentrica e
particolarista, individuo prende una nuova forte caratterizzazione. Nel dibattito dell’800 esistono due
concezioni, una di Burckhardt che vedeva una netta cesura tra rinascimento e medioevo, ma anche altre
che tendevano a edere un rapporto di continuità, eccessivamente spinta, non vedevano un cambio di passo
e mentalità, Huizinga si pone in mezzo, pensa a come uno passa nell’altro, non vede una cesura che andava
in auge in seguito all’enunciato di Burckhardt, che per il mondo germanico con il suo volume sulla cultura
del rinascimento in Italia aveva creato una guida, gli avventori tedeschi in Italia, che era l’epicentro del
rinascimento, usavano come vademecum il suo volume, seguono le piste di quello che diventa un volume
guida. Riassunto della teoria di Burckhardt, individua 6 punti fondamentali riguardo a questa concezione, il
primo è che tra Rinascimento e medioevo c’è un massimo di discontinuità, epicentro del rinnovamento è
l’Italia, luogo comunque che si storicizza con lui, al punto 3 c’è una prima presa di posizione forte, la novità
ha a che fare con un atteggiamento antireligioso, 4 la ritirata di dio libera l’uomo e permette l’emergere del
soggetto, concetto di individualità che si riteneva compresso da una concezione universalista medievale, 5
riguarda ambito artistico, viene teorizzato che il trionfo dell’individuo si manifesta attraverso il trionfo del
realismo in arte, che non rappresenta più le cose per tipi, e Burckhardt vedeva in un medioevo così gotico e
iconico l’espressione di un’arte goffa, e vedeva in Cimabue e Giotto vedeva l’inizio di un percorso che va
verso il realismo, consapevolezza è uno dei canoni che in ambito politico ha espressione in una nuova
forma assunta dallo stato. Huizinga, L’elemento estetico delle rappresentazioni storiche, grande storico
dell’arte olandese, dottorato di ricerca dedicato al ruolo del giullare di corte, si interessa poi all’arte,
rapporti tra arte e vita sono importanti e anche sulla responsabilità sociale dell’artista, preferisce la pittura
realista piuttosto che l’impressionismo. Huizinga dal 1915 insegna all’università di Leida, prolusione
universitaria che si intitola L’elemento estetico delle rappresentazioni storiche, volume Le immagini della
storia, contiene le considerazioni dal 1905 al 1941, immagini come documento della storia e come
strumento per raccontare la storia. Il suo libro principale, L’autunno del medioevo, ha avuto un’ampia
silloge di edizioni, anche italiane. Homo ludens, uno dei suoi ultimi libri, anni ’30 del ‘900, la sua tesi di
dottorato era sulla figura del giullare, e in questo libro tratta del rapporto tra gioco e cultura,
considerazione della cultura come gioco, nel breve passo ci dice che anche il rinascimento ha qualcosa di
ancestrale, il gioco è qualcosa che avviene con un sistema di regole che sono diverse da quelle formali della
società civile, che non decadono anche quando la civiltà rinascimentale prende piede, e non soppiantano
del tutto il buio del medioevo. Altro importante volume su Erasmo da Rotterdam, Erasmus, umanesimo
erasmiano presentato come un raffinato gioco intellettuale che si svolge in una sorta di mura di un nobile
castello separato dalle vicende del mondo e del tempo, ideale che per Huizinga si identifica con l’ideale del
rinascimento, Erasmo rinascimento umanistico che avviene una sorta di upper class, che come in un gioco,
con le sue regole e senso di appartenenza e riconoscimento, si svolge isolato ma in una società che va
avanti con i suoi ritmi e usanze, vuole spiegarci che il rinascimento come lo conosciamo, anche nella lettura
di Burckhardt, è la considerazione di una élite intellettuale, ben consapevole di esserlo, che partecipava a
un progetto di rinnovamento intellettuale, spirituale e artistico della società, ma che in larga parte era
ancora contrassegnata dai costumi e usi del medioevo, che dilagava con il suo buio anche nel rinascimento.
Rievocazione del concetto classico di locus amoenus, cultura è evasione, principi della cultura
rinascimentale evadevano, e li portava in un altrove che è un gioco, attorno a cui c’è il mondo, rinascimento
non si può raccontare solo come gioco, non solo quello che succede all’interno del bel giardino in villa in cui
gli intellettuali si riunivano, umanisti uomini che avevano assoluta e piena coscienza di essere fuori dalla
vita ordinaria, e quale era la vita ordinaria? Serviranno generazioni perché quello che questi intellettuali
compivano potesse diventare un sentire comune. Huizinga, opera Autunno del medioevo, pubblicato nel
1919, e descrive il trapasso delle forme di vita e dei sentimenti dal medioevo al rinascimento, con un
riguardo per la società borgognona, punto di vista che viene scelto non è quello di Burckhardt e dell’Italia
che ha un primato, ma c’era una sorta di contrattare della società borgognona del XV secolo, la moda
borgognona internazionale di corte ebbe un grandissimo influsso anche sulle corti italiane del rinascimento,
che è dunque un momento complesso di evoluzione della nostra civiltà. L’opera tratta della fine del XIV
secolo e degli inizi del XV secolo, non come inizio del rinascimento, ma come fine del medioevo, e c’è un
ribaltamento di prospettiva, e lui stesso presenta la questione con parole pregnanti, dice che vogliamo
andare a cercare quello che si definisce moderno nel passato, nell’attualità si trovano forme ritardate così
come progressive così come consone, come diceva Focillon, e anche Huizinga dice così, non si può pensare
che una forma nuova spazzi via tutto quello che c’è di vecchio contemporaneamente. Introduzione chiara,
medioevo che ancora esiste, che è nella sua stagione più matura e che continua a perdurare quando il
nuovo si affaccia. Ancora Huizinga nei suoi scritti, cosa c’è in lui molto importante e sottolineato, questi fatti
storici vengono strettamente correlati con i fatti artistici marcatamente visivi, uno storico guarda anche alle
altre discipline e a una storia della cultura, in Huizinga si uniscono una storia della cultura e una delle
immagini, c’è un chiaro aspetto visuale della storia, cosa estremamente moderna, che per molti aspetti può
essere considerato come qualcosa che sta a prodromi di una cultura in cui l’immagine, l’aspetto visuale, ha
un forte significato anche per la storia. Civiltà che continua ad esserci nella vita reale, fuori dalle cerchie
umanistiche, cruda e variopinta, mostra le contraddizioni, convive una civiltà raffinatissima e una crudele
dall’altro, non può esistere una cesura assoluta, epocale. Per Burckhardt c’è una negazione evidente della
collettività, citazione che ha aspetti letterari, vengono enunciati i criteri che lo avevano portato alla sua
stringente divisione, l’uomo non è più un’entità che esiste solo in quanto gruppo, ma diventa un individuo
spirituale, che nella sua singolarità può pensare le cose in maniera autonoma, che nel medioevo venivano
definite infantili illusioni. Huizinga in opposizione a Burckhardt, sono una coppia non antinomica, ma lui
quando scrive ha Burckhardt come contraltare, concetto molto notevole, metafora delle onde molto
efficace, non è un tsunami il rinascimento che porta via quello che c’era prima, ma come un innalzamento
della marea, alcune onde si spingono più in avanti, e altre vanno più indietro, e una stessa onda quando
arriva al punto più estremo può generare un’onda di ritorno che può contrastare le altre che vogliono
avanzare, che pure avanzano, metafora con cui dobbiamo immaginare un passaggio tra due periodi storici
così importanti. A Huizinga è dedicato un intero capitolo di un libro di Haskell, dal titolo La storia e le sue
immagini, quasi uguale a quello di Huizinga, Haskell è attratto da un aspetto di Huizinga, cioè quello di usare
le immagini per rievocare la storia, ma in maniera molto problematica, Haskell racconta di un problema di
fatto sull’affidabilità di questo metodo. Gli scritti di Huizinga furono molto criticati in Italia, Chabod su
Rivista storica italiana, evidenzia l’assoluto riluttare dello storico olandese della definizione di periodi, idea
delle onde veniva vista come un’incapacità a periodizzare, uso delle immagini lasciava una impressione
epidermica dei problemi storici, mentre Burke cita un passaggio in cui enuncia che le testimonianze fornite
dalle immagini vengono impegnate negli anni ’30 anche dallo storico Freyre, in due enunciati diversi lo
stesso criterio può assumere una piega positiva o negativa, aggettivo impressionistico spesso abusato.
LEZIONE 2
Sciolla, insegna a Torino e a Milano e al DAMS, autore di una serie di libri rigorosi e curatore di mostre, con
attenzione per il tema del disegno antico, gli dobbiamo la raccolta che si chiama il Disegno, più organica e
completa sul modo di trattare il disegno antico, dalla teoria del disegno, alle grandi collezioni in Italia e ai
mercanti, taglio pluridisciplinare. Capitolo dedicato alla storia sociale dell’arte, principali protagonisti e
prodromi della storia sociale dell’arte, c’erano state delle manifestazioni precoci. Klingender, primo libro
sottolineato da Sciolla nel 1947, L’arte e la rivoluzione industriale, può essere collegato a un problema
sottolineato con Huizinga, quello dell’uso delle immagini come documenti storici, tratta della rivoluzione
industriale, che si sviluppo tra fine del ‘700 e ‘800, in un momento pre fotografico, in cui c’erano anche
scarse fonti letterarie, si segna l’importanza dei dipinti e delle opere d’arte con valore di testimonianza
sociale. Klingender studia tramite l’arte il mutamento socioeconomico e anche politico che accompagnò la
rivoluzione industriale, e come questo sia stato fortemente risentito dagli artisti, fenomeni di crescita delle
città, e grandi cambiamenti epocali, e anche nella funzione stessa delle città che sviluppano le periferie ed
escono dalle mura in cui erano rinserrate da numerosi secoli, cambiamenti sociali ed economici che sono al
centro del discorso di Klingender. Opera d’arte diventa un documento quando noi non possediamo studi
sulla condizione operaia ai primordi della società industriale, e la mette alla pari con architettura e arti,
superamento di rigida divisione in generi artistici. Altri esempi, come il quadro di Menzel, si nota l’interesse
degli artisti per le nuove fabbriche, nuova condizione sociale di molti uomini, operai, che andavano a
impattare su un cambiamento della società in corsa, artisti producono opere inusitate nel loro genere,
realismo storico che prima della rivoluzione industriale non aveva ragione di esistere, ancora un altro
dipinto, in cui si applicano gli studi sulla luce della pittura nordica fiamminga del ‘600, nelle industrie
c’erano condizioni particolari sia ambientali che di luce, che producevano un tipo di visione scuro e in
controluce, ora la realtà supera la costruzione, il set degli artisti dei secoli precedenti per dipingere i quadri
in cui i tagli di luce fossero particolari. Periodo in cui in Inghilterra inquadrata da Klingender c’era una
polemica contro la società della rivoluzione industriale, le arti oltre a mostrare questo interesse alzano una
sorta di bandiera di resistenza ai cambiamenti, che spesso si manifesta come un ritorno al medioevo, a
un’epoca preindustriale, costruendo una serie di edifici neogotici, e per cercare di ripristinare quelli che
erano stati i rapporti tra l’uomo e il suo contesto, nel 1834 viene ricostruita anche Westminster Hall, ritorno
al passato che si manifesta nei momenti di crisi o di forte cambiamento. Prende avvio anche la
confraternita dei Preraffaelliti, pittori che volevano dichiaratamente andare a pescare i loro modelli prima
di Raffaello, con rivisitazioni contemporanee, ambiente lontano dall’idea evolutiva e di imperfezione.
Contesto molto particolare, dipinto forte di Brown, testimonianza del fatto che nel 1852 circa 350000
persone si imbarcarono per l’estero, denuncia che l’industrializzazione aveva portato a qualcosa di diverso
da un progresso anonimo e per tutti. Altra sezione, The period eye, arte, società, una storia sociale,
vediamo i principali protagonisti di una metodologia di studio storico artistica e cerca di individuare, con
uno stampo marxista dichiarato, una storia sociale dell’arte. Hauser, punta di diamante, il migliore di questi
storici, volumi che si intitolano La storia sociale dell’arte, riflessione sulla scientificità della storia e uso
documentale delle immagini, sociologia si era andata affermando, Huizinga aveva capito questa cosa,
studiava i contesti dell’élite rinascimentale, la sociologia ebbe un fortissimo rilievo e influenza sulla storia
dell’arte. Hauser era olandese, ma si trasferisce in Inghilterra nel 1938, e ha una carriera di storico dell’arte,
scrittore e filosofo. La sua opera principale è La storia sociale dell’arte, pubblicata nel 1953, ma già presente
nel 1951, tradotta in molte lingue e molto influente, ricezione in Italia precoce, 1955. Hauser visse a Vienna
negli anni ’20, e approfondì la conoscenza dei vari indirizzi proposti dalla scuola di Vienna, e fu influenzato
dalla teoria di Dvorak, della sua idea di storia dell’arte intesa come storia dello spirito e dei suoi studi sul
manierismo, e anche Hauser si dedicherà a questa parte, e in Filosofia della storia dell’arte dà una
definizione breve e secca di che cos’è nella sua idea la storia sociale dell’arte, non c’è solo il formalismo,
l’arte è anche e soprattutto una risposta sociale che gli artisti forniscono a determinate istanze che i
manifestano nella società, non è puro formalismo, è strettamente legato alla società. Hauser assieme ad
Antal è uno dei più importanti esponenti della storia sociale dell’arte, di orientamento marxista,
convenzioni ideologiche e volontà di superare un approccio formalista fino a quel momento dominante, e
cercano di fondare una storia dell’arte improntata sull’analisi dei rapporti tra i fenomeni artistici e un loro
retroterra socio economico, Hauser fa un ampio uso della terminologia marxista, e cita anche i suoi scritti,
dichiara questa radice per i suoi studi e teoria, ma cita anche autori successivi, si inserisce in un filone
filosofico vivace, non si limita a un singolo artista o a un periodo specifico, ma grandi gruppi, spazia da
preistoria ad epoca moderna, mette al centro dei suoi studi le arti figurative, ma tratta anche molto spesso
la letteratura, la musica, il teatro, il cinema, e cerca di fare dei parallelismi generici e spiegazioni
schematiche che non sempre sono sorrette da una documentazione storicamente attendibile, venne
contestato, e rispose a queste obiezioni, risposta a quello che era considerato determinismo, arte risponde
a un determinato contesto sociale, lui dice che la società è articolata, e quindi l’arte risponde in varie
forme. In questa teoria manca la figura dell’artista, si parla di tendenze stilistiche, e si elude quella che
poteva essere la scelta e la volontà dell’artista all’interno della società. L’unica opera di Hauser dedicata a
un periodo limitato è sul manierismo, inteso come periodi di crisi del rinascimento e nascita dell’arte
moderna. Antal, altro grande storico sociale dell’arte, marxista, concepisce la struttura sociale e la
sovrastruttura culturale in senso dinamico e non monolitico, con una varietà di stili e gusti, e concependo
ritardi e avanzamenti, si laurea con Dvorak, con una tesi sul classicismo, romanticismo e realismo nella
pittura francese dal 1750 a Gericault, nel 1922 va a Berlino, da dove deve emigrare con il nazismo e va a
Londra. Libro fondante per la sua storia dell’arte, Florentine Painting and its social background. Lui
nell’introduzione a questo volume fa una dichiarazione esplicita, si vuole liberare della tirannia della
concezione dell’arte per l’arte, che deriva dall’idealismo crociano, e pur incentrando le sue ricerche
successive sui rapporti tra arte e società Antal evita a far ricorso alla terminologia marxista, è interessato a
spiegare le forme artistiche come un prodotto, una restituzione di alcuni rapporti sociali, tende a ricollegare
le singole correnti artistiche con le aspirazioni delle singole classi sociali in un determinato periodo storico.
Approccio critico verso il formalismo pur provenendo da Vienna, gli allievi di Dvorak e della sua storia dello
spirito hanno portato oltre questo segno, risultando fecondi nei loro sviluppi. Gombrich descrive Antal
come il più colto e sofisticato degli storici dell’arte marxista del suo tempo, era dogmatico e aveva un buon
occhio. Zeri scrisse che Antal gli ha insegnato che la storia dell’arte è una parte di una storia più grande,
persona più moderna, pur ideologicamente legato al marxismo ma liberandosi di una certa terminologia e
quindi degli aspetti deterministici, del far ricadere gli aspetti della società nella lettura marxista, Antal porta
le istanze della storia dell’arte ad essere considerate una parte fondamentale di uno studio della forma
dell’arte che doveva comprendere uno studio di più punti di vista e nuovi metodi. Confronto importante, La
maestà di Masaccio e La madonna con bambino e angeli di Gentile da Fabriano, sono due opere che
nascono nello stesso concetto sociale, ma sono diversissime, una è ai prodromi del rinascimento con la
corporeità, invece l’altra con le eleganze gotico cortesi, Antal si chiede come la stessa società possa
produrre, a livelli alti, due raffigurazioni così differenti nello stile e nella concezione del mondo: la
spiegazione è che in Masaccio si rivela uno stile progressivo di influsso fiorentino, in Gentile si nota uno stile
regressivo, di influsso centro italiano e più nordico. Per Hauser ogni società ha un suo specifico stile, una
società aristocratica predilige uno stile più rigido e tradizionalista, mentre una società come quella
democratica preferisce elementi che siano più naturalistici possibili, più vicina a natura e città, sono schemi
che emergono nelle teorie della storia sociale dell’arte. Da questo esempio dobbiamo ritenere il fatto che la
società non è omogenea, e anche a livello estremamente alto in uno stesso momento si possono restituire
istanze totalmente diverse, ci importa valutare una concezione problematica di Antal che non vede la
società in una maniera monolitica. Per Huizinga e Focillon una coesistenza di diversi stili in uno stesso
momento era legata a una persistenza del passato e a una fluidità di una storia che non aveva cesure, il
dipinto per Antal non guarda solo alla società, ma a una concezione generale della vita, sono lo specchio di
una concezione generale della vita, Antal dice che queste idee, queste concezioni della vita si esprimono
andando a rispondere a delle aspettative di un pubblico attraverso l’artista, figura che in Hauser non
avevamo mai trovato. Per Antal il pubblico non è unanime, non c’è un linguaggio di tipo marxista, il
pubblico non è unanime, così come non è unica la concezione della vita, ci sono divergenze di veduta tra i
vari strati sociali, e questo spiega la coesistenza di diversi stili nello stesso periodo. Si sposta il focus sul
concetto di pubblico, non è omogeneo, non sono solo diversi, in una società ci sono anche dei pubblici,
delle classi sociali antagoniste, anche se Antal non usa il termine classi sociali, il pubblico è semplicemente
un’altra parola per indicare la società, non è omogenea, divisa in settori antagonisti, non è unanime, l’arte
non può essere sociale nel senso di rappresentativa di tutta una società, l’arte rappresenterà una parte
della società e delle sue idee, e anche più parti in uno stesso momento, ci sono più concezioni della vita da
parte della società che si esprimono attraverso l’artista, rispetto ad Hauser la lettura di Antal è più
pragmatica e lucida, comprende tutte le componenti che sono in gioco. I commenti, la ricezione di queste
idee di Antal nella critica, così come riporta Sciolla, causano un profondo ripensamento anche negli
ambienti ispirati da una venatura marxista che esistevano anche nella critica artistica italiana, Maltese dice
che partecipa a quella società che suo malgrado appartiene al suo tempo, e rispecchia questo suo tempo,
talora aderisce direttamente a quelle idee, talora indirettamente, cioè inconsciamente, ha un potere
condizionante, si riconosce un grande valore all’artista nella società. Antal negli studi suscita un recupero
della figura, della personalità, dell’individualità dell’artista che agisce nella società, è condizionato ma è
anche condizionante, si attiva un flusso di scambio che nella teoria più rigida e determinista di Hauser
vedeva l’artista come esecutore di determinate istanze sociali dettate dalla società e dal contesto civile,
sociale ed economico. Pochi anni prima c’erano stati altri studi, una Sociologia del rinascimento insisteva
sull’idea dell’ascesa della gran borghesia, cioè di quella ricca, come motore della storia dell’arte del
rinascimento italiano, iniziano a stratificarsi una serie di idee sul rinascimento italiano basate su letture
storico sociali, che saranno di grande importanza per Antal, che scrive il suo libro cruciale sui pittori e
sull’arte fiorentina e sul background sociale che questa aveva. Antal sosteneva anche che in questo campo,
cioè nel campo della storia sociale dell’arte, il più importante pioniere fu Warburg, consapevolmente
indicato dai suoi successori come un personaggio all’origine di varie metodologie, nel suo magistero era
colui che aveva aperto numerose strade per la storia dell’arte che sarebbero state continuate anche da
correnti metodologiche indipendenti dal Warburg institute. A Londra incontrò Hauser e Antal, storie che
non solo hanno una continuità, ma anche si intersecano. Antal individua per Warbug come aspetto cruciale
e pioneristico per il rapporto tra la cultura e l’immagine, che è un documento sociale, ma ha anche una
attenzione alla committenza che gli fa valutare una funzione sociale delle opere d’arte e quindi una
interdipendenza di opera e ambito sociale, per Antal libri come Le ultime volontà di Francesco Sassetti che
Warburg approfondisce molto dal punto di vista della committenza è qualcosa che era inusitato al tempo, e
che con la storia sociale dell’arte diventa canonico, si istituzionalizza, come metodo di affrontare e studiare
le opere d’arte. Come anticipatore di questa storia sociale dell’arte abbiamo anche Benjamin, con il suo
libro più importante, L’opera d’arte al tempo della sua riproducibilità tecnica, che considerava l’arte di
fronte al nascere del concetto di massa, e la premessa è marxista, da cui Antal si discosta, nella premessa
c’è una citazione di Benjamin, in cui c’è tutto il dizionario marxista, e Benjamin si rende conto che c’è una
nuova società di massa, visione precoce di questo problema. Gombrich apprezzò Antal, dice che è colto
anche se dogmatico, ma in realtà fu critico nella storia sociale dell’arte, in particolare quella di Hauser, libro
A cavallo di un manico di scopa, in cui accusa Hauser di piegare l’arte a documento per dimostrare le sue
teorie, la sua visione della storia sociale dell’occidente, eludendo l’elemento d’archivio, quello più
importante, cioè della storia vera e propria, dei documenti.
LEZIONE 3
Libro che è diventato un best-seller, Nati sotto Saturno, dei coniugi Wittkower, che hanno lasciato questo
libro, tante edizioni in tutte le lingue, che riguarda il ruolo sociale dell’artista, viene pubblicato nel 1963, e
viene tradotto in Italia nel 1968. Margot Wittkower era stata una grandissima storica del design, il libro
dichiara dal titolo un’influenza saturnina, un umore nero e melancolico che caratterizzava tutti gli artisti, è
un’indagine su quelle che sono le aspettative del pubblico riguardo alla figura dell’artista, tutti i topoi che il
pubblico proietta sull’artista, abbiamo una evidente evoluzione della figura dell’artista nella società tarata
con il cambio di considerazione che la società rivolge all’artista, e loro individuano varie tipologie di artista,
esordendo con quello artigiano medievale, per stabilire attraverso anche quella che è la percezione
dell’artista nella società come questa figura si emancipi e si carichi di significati e aspettative, dalle botteghe
nel rinascimento si passerà a una nuova consapevolezza dell’artista, e vengono analizzate varie categorie di
artista, alchimista, saturnino, bizzarro, ma anche colto ed elegante, è un grande panorama in cui si dimostra
che molto spesso lo stesso topos può essere applicato a diversi artisti, come ad esempio la bravura a
disegnare fin da bambini, da Giotto a Reni, è un topos di una figura dell’artista che sembra predestinato fin
dalla culla. Rudolf Wittkower, studia a Berlino architettura per un anno, poi va a Monaco e studia storia
dell’arte con Wolfflin, ma il suo rapporto con lui non va bene, torna a Berlino e la sua tesi fu si Domenico
Morone e la pittura veronese del ‘400, e si trasferisce a Londra dopo il 1933, dove fu impiegato presso il
Warburg Institute, ricevendo una forte impronta warburghiana. Incipit dell’introduzione di Nati sotto
Saturno, i pianeti e Saturno, Warburg e il suo seguito entrano in questo discorso di Wittkower, che è anche
molto letterario, rassegna di fonti da cui si può evincere qual era la considerazione dell’artista nelle diverse
società, con molti topoi che si ripetono e punti di particolarità. Le fonti erano portatrici di una serie di
leggende che di realtà fattuali, ma questo poco importa ai Wittkower, che analizzano la leggenda, che è una
manifestazione molto più forte della storia di quella che è la vera aspettativa verso l’artista. Nel 1934 altro
libro importante, La leggenda dell’artista, scritto da Kris e Kurz, in cui tutte le varie leggende sugli artisti,
quello svogliato, straordinario disegnatore, predestinato, scontroso, si erano accorti che la stessa leggenda
con le stesse parole si ripetevano nelle fonti e nelle biografie degli artisti da Oriente a Occidente, dal
medioevo ai giorni nostri, c’erano leggende ricorrenti che venivano applicate a ogni artista, perché
creavano un ritratto che corrispondeva all’aspettativa e al concetto dell’artista bizzarro che il pubblico
aveva, pubblico che Antal ci ha insegnato essere equivalente alla società, analisi che in un filo che parte da
Kris e Kurz arriva a Wittkower con una nuova maturità. Esempio di come i Wittkower trattano questi
aspetti, si va alla ricerca di un punto di rottura, momento in cui il paradigma cambia, punto nodale viene
individuato nella figura di Brunelleschi, che quando sta erigendo e sovrintendendo alla cupola, vigeva
ancora un sistema corporativo, e lui stesso era tenuto a pagare la tassa alla corporazione, sistema
medievale, corporativo, torniamo a Burckhadt, universalista, ma il 20 agosto del 1434 Brunelleschi viene
richiesto di pagare la tassa, e lui rifiuta, dice che non è come loro, non è al loro pari, nuova consapevolezza,
viene denunciato e fatto arrestare, e poi liberato, si riteneva che solo lui poteva sovrintendere un lavoro del
genere, della massima importanza artistica e politica, poi lui cambierà i lavoratori che lo avevano
denunciato con manovalanza lombarda, poi li riassume con paga ridotta, ci sono nuove figure di artista con
una nuova consapevolezza della società, che escono da un discorso corporativo e vengono riconosciuti
come personaggi insostituibili. Passo di Vasari nella vita di Brunelleschi, in cui si parla degli operai che
chiedono un aumento o minacciano delle barricate, iniziano a ricattare Brunelleschi, che è in una posizione
di prestigio e dominio del cantiere, e poi Vasari ci racconta che a loro va male e vengono sostituiti, è un
personaggio che con la corporazione non ha niente a che fare, agisce autonomamente. Alberti dal punto di
vista teorico è il faro di questo cambiamento, ambizione dell’entrata della pittura nelle arti liberali, ma
l’artista doveva uscire dalla mentalità artigianale, istituzione che livellava il lavoro riconoscendo quello che
veniva fatto a regola d’arte, ma non bastava perizia della tecnica, l’artista per partecipare alle arti liberali
doveva studiare, infatti poi sorgono figure di artisti che sono dotti e letterati, nuova consapevolezza legata
al ruolo di artista che se vuole emergere deve studiare, posizione culturale paritaria con quella della
committenza. Composizione poetica di Michelangelo, che parla di come ha dipinto la Cappella Sistina, può
scrivere in endecasillabi, che ha una consapevolezza e autoironia, figure artistiche nuove forti di questa
consapevolezza, e litigò anche con papa Giulio II, artista non è più suddito neanche di fronte al pontefice.
Lettera del papa a Michelangelo, quando va a Firenze perché non può fare la tomba ma deve essere
costretto alla decorazione della cappella Sistina, lui era uno scultore, evidenziata la frase di umore
saturnino e imprevedibile. Raffaello era un po’ l’antitesi di Michelangelo, si elevava per il suo animo e la sua
grazia rispetto alla società, parte del profilo di Raffaello fatto da Vasari, persona colta ed educata, diversa,
anche Vasari cristallizza il topos che gli artisti son pazzi o strani, ma Raffaello no, artista nobile e perfetto.
Lionello Puppi, via italiana per la storia sociale dell’arte, anche se ha fatto di più, e taglio storico sociale
anche nei suoi libri più importanti, Puppi fu il primo a comprendere l’importanza del libro dei Wittkower,
l’unico in Italia a fare una recensione già in prima edizione, lui era sensibile a questi temi e da tempo
approfondiva alcuni studi che riguardavano la figura sociale dell’artista, si stava occupando del Giornale di
Paolo Farinati, artista di bottega attivo nella metà del ‘500 e che muore nel 1606, particolare e a cavallo tra i
due secoli, Puppi non ha appoggi dal punto di vista metodologico, in Italia una storia sociale dell’arte
esisteva di rilesso, con questo documento c’era la necessità di analizzare il documento con questo taglio,
era lui che lo richiamava. Puppi è uno studioso di documenti, parte da una ricerca storica e filologica,
grande archivista, le sue ricerche partirono dalla carta, il Giornale del Farinati è un documento, anche lui
era venato da un marxismo di fondo, ma era un pragmatico, non si accontenta della pura ricerca
archivistica, né di una sociologia che si piegava alle semplici e facili evidenze, poi si dedicò anche a questioni
iconologiche, è stato il più grande palladianista degli ultimi due secoli. Introduzione al libro dei conti di
Farinati, è una evidente dichiarazione di metodo, Puppi individua un metodo che è una storia sociale
pragmatica, che non esita a rivedere schemi marxisti se il documento mostra dei rapporti sociali differenti,
non mancano citazioni con linguaggio marxista, ma tutto diluito in un’assoluta aderenza storica al
documento, ebbe molto vivo il concetto di progetto, punto d’incontro tra artista e committente, la maggior
parte delle volte non venivano realizzati i progetti, e Puppi si interessa degli artisti i cui progetti non
venivano scelti, esempio di Palladio a Venezia. Il non realizzato è un altro tratto distintivo della esperienza
metodologica di Puppi, può ricordare anche Focillon, noi ignoriamo i fallimenti, approccio complesso. Puppi
si connette al marxismo per contestualizzare la partita doppia, metodo di far di conto che si usava nel ‘500,
tra il dare e l’avere, era un libro di conti di una bottega di pittori, rapporto anche con la matematica, analisi
di Puppi più ampia, e lamentela che i sociologi non hanno capito prima che serve anche una lettura storico
economica, la complessità degli studi e dei metodi non diventano concorrenti ma tutti vanno alla lettura del
fatto storico artistico. Sotto la coltre marxista Puppi anticipa una serie di studi delle botteghe degli artisti e
anche Baxandall, in passato il proprietario commissionando a una bottega un’opera era certo che avesse la
proprietà di quell’artista, gli ultimi decenni di studi hanno teso a enfatizzare il ruolo della bottega, l’artista si
era distaccato, ma poi ancora ogni artista aveva i suoi aiutanti e la sua bottega, non sappiamo se un quadro
di un artista è stato fatto interamente da lui, ma anche dalla sua bottega, ma non importa, era nato sotto la
sua supervisione, snodo cruciale che interessa tutta la storia sociale dell’arte, ruolo dell’artista rispetto alla
società può avere implicazioni rilevanti.
LEZIONE 4
Rapporto tra storia dell’arte e psicanalisi. Fin dalla premessa compare il nome di Freud, con il fatto che la
sua influenza ha pervaso così tanto il XX secolo che si fa fatica a starne fuori, lui era cauto, ed ebbe
un’influenza superiore rispetto a quella che lui stesso riteneva di dover avere. Freud neurologo, psicanalista
e filosofo, fondatore della psicanalisi, che è la più famosa delle correnti pratiche della psicologia, fu anche
molto contestato, e direzioni di pensieri alternativi che venivano anche dai suoi allievi, che nascono dalla
contestazione del ruolo ritenuto eccessivo che lui dava alla sessualità. Noi ci occuperemo degli aspetti
freudiani legati alla storia dell’arte, a cui diede un grande impulso e per lungo tempo le sue teorie ebbero
una forte influenza. Uno dei suoi libri più importanti è un saggio del 1910, Un ricordo d’infanzia di Leonardo
da Vinci, esce in un momento doloroso per lui, cioè di dissidio con Jung, e questo suo interesse per
Leonardo avrà caratteristiche particolari, si dedicherà a grandi artisti con un interpretazione nuova e con un
taglio particolare, che si presta anche a essere frainteso. Sciolla individua 3 caratteristiche nella lettura
freudiana di Leonardo da Vinci come artista, che sono la prima una incessante sete di sapere, la seconda
una estrema lentezza e ritrosia nel lavorare, che fecero sì che moltissime sue opere fossero rimaste
incompiute, e la terza è quella del rifiuto della sessualità da parte di Leonardo, nella ricostruzione biografica
ricostruita da Freud vengono messi in risalto questi aspetti che portano alla insoddisfazione dell’artista
rispetto al suo operato. Passo di Vasari che narra di un colloquio tra Vasari e il re di Francia, e le fonti citano
la sua insoddisfazione, dobbiamo considerare che Freud per costruire la sua lettura psicanalitica dell’uomo
si basava su quello che le fonti letterarie raccontavano soprattutto degli aspetti del suo carattere, scelta
difficile e insida, anche se è un metodo che è applicato in remoto, non sulla conoscenza diretta di un essere
umano, ma su quello che si diceva e scriveva di lui. Presunto rifiuto della sessualità di Leonardo si appoggia
su alcune fonti, che doveva avere una vita solitaria, lontana da possibili pulsioni sessuali, e questa
caratteristica psicologica era legata a un particolare rapporto con la madre, cadiamo nelle sue letture della
psicanalisi. I Wittkower parlano delle abitudini alimentari di Leonardo, ma il rapporto con le fonti può
essere infido, anche quando le fonti sono in mano ad addetti ai lavori come loro, figuriamoci con Freud,
antica lista della spesa del suo periodo fiorentino, vediamo che c’è scritto carne, non era vegetariano
quindi, errore storico di proiezione di un atteggiamento dei nostri giorni in cui non c’era neanche questo
concetto. Considerare che spesso le fonti usate da Freud e da altri storici erano fonti tradotte, con tutti i
difetti interpretativi. Sempre Wittkower riportano che Leonardo aveva un’idea della sessualità particolare e
di rifiuto, lo interpretava come una materia di studio, ma repulsione. Sempre Freud cercando di individuare
un aspetto di particolare reminiscenza sessuale dell’infanzia di Leonardo si appoggia su una citazione del
Codice Atlantico, e con questo ricordo fu letto da Freud come una dimostrazione di un antico rimosso
sessuale, ma lui si affidò a una traduzione sbagliata, non traduceva nibbio, ma avvoltoio, e per questo aveva
creato una costruzione particolare con l’avvoltoio, e questo sbaglio della traduzione da nibbio ad avvoltoio,
causa una lettura del tutto particolare, ricorre ad un atto sessuale orale marcatamente passivo o
all’immagine egizia della dea Mut raffigurata come avvoltoio, ma è uno sbaglio, deriva tutto da una
imprecisione nella traduzione. Freud si occupa anche di aspetti che riguardano il sorriso enigmatico di
Leonardo, il più celebre della Gioconda, e lui impiega 4 anni per realizzarla, e non la fece mai recapitare, se
la portò in Francia. Freud riconduce il sorriso leonardesco e la sua enigmaticità a un suo rapporto con la
madre, e si vede anche nella S. Anna, la Vergine e il Bambino, in cui Freud vuole rivedere elementi
riconducibili alla sua infanzia, la Vergine è una giovane donna, S. Anna viene ricondotta a Lucia, nonna di
Leonardo e madre di Albiera, collegamenti nel rapporto emblematico della femminilità che Freud vede in
Leonardo. Storia psicanalitica dell’arte che oggi appare un po’ distante dai nostri metodi.
Freud che studia Leonardo e individua 3 canoni, e poi si dedica anche a Michelangelo, sulla rivista Imago,
nel 1915 esce un articolo Il Mosè di Michelangelo, e Freud espone le sue considerazioni, ricche di intuizioni
sorprendenti, analizza la statua usando un metodo morelliano, si sofferma a lungo e guarda tutti i dettagli,
molto originale per il tempo il suo metodo consiste in un esame dettagliato dei molti particolari di cui la
statua è composta, ma non è un’analisi morelliana tout court, egli cerca di rilevare degli atteggiamenti,
cerca degli indizi che mostrino una certa predisposizione psicologica, e in un certo senso in queste immagini
che egli stesso crea viene messa da parte l’indagine psicologica in primo momento, non era interessato a
una biografia psicologica, come con Leonardo, né all’analisi della storia della personalità del patriarca Mosè,
ma è teso a spiegare le suggestioni che la statua gli suscita, lui stesso dice che l’ha ammirata per molti giorni
quasi ipnotizzato, con condizioni ambientali differenti, vedendola dalle più varie articolazioni, lettura
freudiana cerca di interpretare i gesti come manifestazioni di atteggiamenti che rivelino il pensiero
dell’artista su quello che doveva essere l’atteggiamento dell’opera che aveva realizzato, è un’indagine
psicologica su come questi gesti rivelino un atteggiamento. In tutti questi gesti Freud vede un
atteggiamento di Mosè che è una rabbia che stava per manifestarsi ma che viene trattenuta. Freud vede
Mosè nell’atto della rinuncia a dar corso alla sua rabbia, e la ragione secondo la sua osservazione ha il
sopravvento sul suo furore, il patriarca si controlla, era già pronto a rompere le tavole della legge, ma
reprime il gesto violento, analisi psicanalitica di Freud si manifesta non sull’autore ma su un’opera,
diversamente da Leonardo, su quello che un’opera può raccontare. Non tutti erano come Freud e nello
stesso anno, nel 1913, esce il saggio di un altro psicanalista, Jones, L’influenza della moglie di Andrea del
Sarto sulla sua arte, è un esempio di analisi applicata su un autore, si torna come per il Freud di Leonardo a
voler cercare nell’arte di un pittore le tracce di qualcosa che è la manifestazione di problemi psicologici. Lui
era influenzato dal lavoro di Freud e basa la sua investigazione sulle testimonianze delle Vite di Vasari, che
noi sappiamo fonte straordinaria ma infida perché aneddotica e romanzata, ma Jones riesce a capire che il
principale argomento è che tutti gli aspetti che sono legati all’arte di Andrea del Sarto derivano dall’intenso
amore servile che egli provava per la moglie Lucrezia, che nascondeva freudianamente una componente
omosessuale inconscia, che faceva parte della sua personalità più profonda, e questo dava adito a una
fortissima gelosia, anche se lei non era infedele. Il punto principale della sua tesi è che la gelosia eccessiva
di Andrea del Sarto era prova chiara di un’omosessualità latente dell’artista, nelle mani di uno psicanalista
che voleva dimostrare la sua tesi queste teorie tendono a diventare pericolose ed essere forzate su
interpretazioni che si basano su racconti romanzati di vite. Metodo che ha il suo fascino, la sua presa forte
sulla generazione di storici dell’arte dei primi del ‘900, ma anche storture molto evidenti. Personaggio
molto interessante, Ernst Kris, contrariamente a Freud e Jones la sua formazione è da storico dell’arte,
studia alla Scuola di Vienna con Dvorak e Schlosser, fa un percorso viennese, lavora nei musei in collezioni
minori, a 20 anni diventa responsabile della sezione di Glittica del museo di Vienna, nel 1927 sposa una
psicanalista figlia di un amico intimo di Freud, e qui cambia la sua visione, intenso interesse per la
psicanalisi. Differenza, non usa in maniera deterministica la psicanalisi, ha una solida base filologica, scrive
un libro con Kurz, La leggenda dell’artista, in cui l’artista è un personaggio da leggenda, che
nell’imprevedibilità delle sue azioni cristallizza un mistero, che è quella forma di magia che deriva dalla
creazione di immagini, e loro raccolgono una serie di racconti aneddotici, fanno qualcosa che poi faranno
anche i Wittkower, e cercano di dimostrare che la vita degli artisti raccontata nelle fonti è per lo più una
leggenda che si ripete in maniera identica per figure distanti sia nel tempo che nello spazio, stessi aneddoti
per artisti del ‘300 e dell’800, e stessi per artisti persiani e spagnoli, riescono ad individuare dei topoi che si
sedimentano su quella che è la vita degli artisti e le loro biografie, che venivano colorite da aneddoti che in
realtà sono topici, sono ricorrenze, non hanno attinenza con la realtà ma sull’aspettativa su quella che
doveva essere la particolarità della vita degli artisti nella visione del pubblico. Uno dei più comuni di questi
topoi è la scoperta del talento di un fanciullo di umile origine da parte di un artista più affermato, questa
storia ricorre tantissimo in tutte le biografie, ad esempio quello di Giotto, che da bimbo disegna le pecore,
passa di lì Cimabue e ne prevede i gloriosi destini, origine umile, intervento di un caso fortunato, una sorta
di autodidattismo, un grande artista lo è di nascita, e un estro incontenibile, nella letteratura di Kris e Kurz è
un enfant prodige, innalzato di classe sociale grazie al suo talento, la vita dell’artista è bizzarra, viene
ricostruita come una vita che nelle aspettative del pubblico è un personaggio da leggenda. Nel 1932 anche
grazie al suo avvicinamento alla psicanalisi, Kris risolve la sua crisi, che lo portava ad allontanarsi dalla storia
dell’arte verso nuovi interessi, e lo fa studiando i busti di Messerschmidt, famoso per aver fatto una serie di
espressioni facciali legate non tanto alla follia, come invece nel titolo del suo libro, La smorfia della follia,
quanto agli atteggiamenti particolari dell’umanità. Si rende conto che non avrebbe dovuto rinunciare né
alla psicanalisi né alla storia dell’arte, punto di congiunzione importante, e avrebbe potuto dedicarsi a
entrambe, i busti sono anche autoritratti che Messerschmidt faceva con il tentativo di mostrare gli atti
involontari del corpo e che derivano da pulsioni d’animo particolari. Questo artista aveva realizzato questa
serie di busti che tradizionalmente sono interpretati come una serie di rappresentazioni delle passioni
dell’anima, ma si pensava che l’artista fosse malato di mente, e la sua opera ne portasse i segni, e quindi
Kris sperimentò il metodo patografico, affiancando all’analisi storica le recenti acquisizioni della psicanalisi,
da cui risulta uno scritto che era una dimostrazione rivolta a un pubblico di storici dell’arte, e su questa
base procede a un’analisi psicanalitica vera e propria che compare nel 1933 nella rivista Imago, e nel 1952
viene raccolta in un volume di raccolte psicanalitiche sull’arte. Il connubio di questi due metodi che
avevano provocato la crisi di Kris, che non sapeva cosa fare, era stata la sua elezione a direttore della
rivista, che si occupava delle relazioni tra psicanalisi e cultura. I busti sono costellazioni mimiche complesse,
risultati della combinazione di tratti espressivi e incompatibili, i busti sarebbero inespressivi, in quanto
difettano dell’interpretazione dei singoli componenti che permetterebbero di interpretarli come
manifestazioni unitarie dell’animo, il significato della smorfia per Kris viene risolto psicanaliticamente con
l’unico sistema in grado di decifrarlo, la smorfia della follia dispiega un retroterra dimostrativo che poi verrà
anche ridotto, distorsioni espressive lasciano trasparire un grande interesse per la storia del ritratto, della
caricatura e della fisionomia, confronto e attenzione per gli studi sull’espressione delle emozioni già
condotti da Darwin. Quello che Kris cerca è di comprendere anche dal punto di vista junghiano qual è la
scintilla dell’ispirazione, dove si arrivi anche a qualcosa che è preconscio. Kris realizza importanti studi
sull’ispirazione come regresso al preconscio, come iterazione tra una parte razionale e una fantasia
preconscia che emerge, in maniera da manifestare poi l’esistenza di queste invenzioni di immagini. Lettera
di Kris a Gombrich, in cui si manifesta il suo allontanamento alla storia dell’arte per andare incontro alla
psicanalisi, precedente alla Smorfia della Follia, manifesta la crisi di Kris, che poi si risolve con quel
particolare artista, incredibile negazione dell’importanza della storia dell’arte da parte di Kris.
LEZIONE 5
Caso notevole che agganciamo alla storia sociale dell’arte è quello di Haskell, che studia a Cambridge, e poi
insegnerà ad Oxford. Il suo è un metodo storico puntuale che ha studiato vari aspetti del rapporto arte e
società, ha studiato la funzione della committenza in funzione dell’orientamento e produzione artistica,
indagatore attento del fenomeno artistico a tutto campo, ha studiato queste cose in rapporto alla storia del
gusto nel tempo, storico dell’arte a tutto campo molto attento agli aspetti sociali della storia dell’arte, ma
del tutto avulso dal sistema marxista di Hauser e Antal. Il suo libro più famoso è Mecenati e pittori, in cui
studia il rapporto arte-società: il libro è diviso in tre parti, il primo riguarda Roma, cioè il rapporto tra artisti
e mercanti nella Roma del ‘600, il secondo sulle dispersioni, in cui si parla di collezionismo e mercato
dell’arte italiana nei centri minori e all’estero, e poi il mecenatismo a Venezia. È diviso in 17 capitoli, novità
metodologica è relazionare la creazione artistica con la società, ma verificando come la committenza sia
stato in grado di influenzare, indirizzare o censurare l’opera degli artisti, in quanto questi furono sempre
vincolati da rapporti con i loro mecenati. Per la prima volta si prospetta interpretazione dell’opera
dell’artista non solo come genio, stile di una scuola o maniera, ma si attiva un secondo polo, cioè il fatto che
l’artista deve confrontarsi con gusto, esigenze e volontà della committenza. Dal punto di vista metodologico
è un esempio molto importante per quello che riguarda la storia sociale dell’arte senza una struttura
marxista, evita l’attribuzionismo, e alcuni aspetti che erano un pilastro della storia dell’arte in senso
accademico, scelse di scrivere libri di lunghezza monografica in un unico ampio argomento. Nella storia
sociale dell’arte si riabilita anche la figura dell’artista, cosa che con Hauser aveva perso di valore, ma Haskell
va oltre, dice che talvolta c’è un legame tra arte e società, ma non esiste una regola generale, a volte è una
logica interna del processo artistico, a volte ci può essere il capriccio di un singolo uomo, oppure può anche
entrare l’intervento del caso, non tutto nei processi artistici è classificabile come una risposta a un
problema. Altri libri di Haskell, ad esempio Rediscoveries in art, divisi in tanti paragrafi correlati tra loro, i
quali tratteggiando delle figure minori svelano dei problemi che in realtà sono cruciali per lo sviluppo della
storia dell’arte. Haskell in questo libro intende chiarire molte sfaccettature in differenti periodi nelle varie
società, che hanno un significato non per chi ha commissionato le opere e chi ne è contemporaneo, ma per
le generazioni posteriori, è qualcosa che può trovare un aspetto di somiglianza con la posizione di Lionello
Venturi, storia dell’arte coincide con la storia della critica, ma Haskell lo complica, non si occupa solo di
grandi capolavori, ma di artisti sconosciuti, e dimostra che moltissimi fattori, portati avanti anche da
personaggi sconosciuti hanno determinato fortemente il nostro gusto. Haskell in rapporto a Huizinga, il
primo è il teorico dei personaggi che furono importanti ma poi sono stati dimenticati, oppure di quelli che
in passato erano dimenticati ma che poi sono stati rivalutati, è un qualcosa che succede spesso nella storia
dell’arte, e Haskell lo ha dimostrato con una silloge di esempi straordinari. Una storia dell’arte è sociale ma
estremamente sfaccettata e problematica. Altro libro importante è le Metamorfosi del gusto, il XVIII e XIX
secolo erano negletti al tempo, quello che veniva dopo il barocco e rococò erano demodé, Haskell li
recupera, ma nota il gusto cambia, e quindi concepisce un libro imperniato su una serie di biografie di
personaggi particolari, minori, ma che diventano importanti per le loro vicissitudini, rivelatori per una storia
dell’arte tout court. Torna la parola gusto e ossessione, richiamo a Venturi e Gusto dei primitivi, ma qua
siamo in un contesto diverso, non è il gusto degli artisti, ma una relatività del gusto delle società attraverso
il tempo, Venturi la intendeva come KunstWollen, ma in questo caso è diverso, è quasi a che fare con la
moda e con la liquidità di una moda cangiante, il gusto nel tempo cambia e anche il rapporto con i
committenti, cambia in due sensi. Si basa su vicende che avevano avuto un grande eco ai tempi ma che poi
sono decadute, si sono perdute pur avendo rivestito una grande importanza ai loro tempi. Gli artisti del
‘700 avevano l’aspirazione di esporre in un museo, ma per gli artisti dei secoli prima non sussisteva, sono
cambiamenti di gusto e società e spostano i rapporti con i committenti, a cui gli artisti reagiscono in
maniera particolare e controversa. Il Concerto Campestre di Giorgione vale la pena citarlo, dice che noi
normalmente ci fermiamo a quando un quadro fu fatto, chi è il committente, il contesto storico, non
consideriamo che può aver avuto conseguenze su altri artisti, e lui sceglie il Concerto campestre, oggi
dibattuto, a noi interessa visualizzare il percorso che individua, non sappiamo bene da chi sia stato
realizzato, chi è il committente, la collocazione antica, ricostruire il contesto, tutte questioni che dovrebbe
evocarci un quadro, ma poi cosa succede, dopo un quadro che conseguenze ha? Ad esempio Manet si ispira
a questo dipinto, tema che ha un lungo riverbero di 4 secoli, Le déjeuner sur l’herbe ripercorre lo stesso
schema, 4 figure in un contesto boschivo. Poi esistono delle copie seicentesche, fino ad Haskell si
ignoravano, ma secondo lui non erano sufficientemente studiate, ma ci permettono di proseguire la storia
del quadro, che ha un grandissimo impatto sui francesi, come ad esempio Corot, schema raddoppiato del
trittico, o Turner, che prende copia isolando solo la figura della Venere nuda, e poi Latour, che manda un
altro messaggio, schema che risale agli inizi del ‘500, si arriva fino alle bagnanti di Cezanne, Henner prese
degli appunti, il fatto che gli artisti continuino a studiare un dipinto lo rendono attivo anche a tre secoli dalla
sua realizzazione, un quadro resta un messaggio attivo. Il quadro di Manet ha anche un altro prototipo, la
incisione di Raimondi, da cui prende la composizione del gruppo, del trittico, ma l’affare si complica,
riferimento iconografico preciso per la composizione e per il tema generale. Haskell si occupa di
Cavalcaselle, che di questo disegno fa un appunto, storici che tornano. Concetto affine a Lionello Venturi,
come è stato inquadrato storicamente un dipinto attraverso il tempo ce lo porta con la concezione che
abbiamo in questo periodo che ci viene data, il concetto e l’occhio cambia, l’occhio non è uno strumento
neutro, e questo è anche sugli artisti, chi si ispira a un’opera la arricchisce e la modifica, sfaccettato e
variegato la nostra possibilità di vederle e intenderle. Un altro libro di Haskell, L’antico nella storia del
gusto, taglio e costruzione di questi libri, cultura classica viene dipanata mettendo assieme esempi e
personaggi inusitati che riescono a costituire un quadro per cui alla fine si ha una idea di quello che doveva
essere i gusto dell’antico attraverso la storia. È sempre diviso in tanti capitoli, accesso di Haskell anche nel
campo del privato è un taglio molto anglosassone, per gli italiani era inopportuno mettere le mani su quello
che è privato, poi importanza della riproduzione, poi casi specifici, calchi e copie come erano tenute di
conto del ‘600, emerge il ruolo dell’accademismo, sistema dell’arte che poi è stato spazzato via dalle
avanguardie e condannato ingiustamente, sistema dell’arte che ha dato forma ai tempi passati. Le
immagini della storia, 1997, enunciazione importante, il fatto che l’immagine possa avere un valore
documentale è vero, ma si deve stare attenti, capitolo da leggere, come cambia il sistema e concetto di fare
storia dell’arte quando nascono i musei, passaggio della restaurazione come momento cruciale, che è stato
anche il passaggio più distruttivo nel mondo occidentale relativamente all’arte. Rivoluzione in Francia,
nascita della modernità è qualcosa che passa attraverso la distruzione dei simboli del regime precedente,
Haskell è uno dei pochi studiosi che guarda e rivaluta la lezione dello storico dell’arte olandese. Ad Haskell
dobbiamo anche un libro straordinario nel suo genere, a volte mal interpretato, The ephemeral museum, è
una storia delle mostre, come veniva concepito il concetto di mostrare l’arte dai tempi antichi fino ai giorni
d’oggi, casi particolari in cui lui si oppose a prestiti e spostamento di opere importanti e delicate, ma in
questo libro ricostruisce come le mostre d’arte, che sono qualcosa di nuovo del XIX secolo, che poi
diventerà un sistema, nuova potenzialità per l’arte, cioè l’esposizione, poter ammirare le opere, ha
arricchito il gusto del pubblico e ne ha plasmato il modo di vedere l’arte, possibilità di accostare due dipinti,
interi secoli della storia dell’arte non avevano potuto avere. Excursus delle prime mostre che venivano
organizzate a Roma e a Firenze nel ‘600, nei chiostri delle chiese, erano private, nel sistema dell’arte cambia
l’allentamento del legame con il committente, mettere in mostra e in vendita la opera senza sapere chi la
comprerà è un passaggio cruciale, non c’è più il rapporto diretto, l’artista può dipingere non si sa per chi. In
questo studio di Haskell andiamo a ripescare i primordi della mostra e del catalogo. Idea di una rivoluzione
francese che segna una svolta, nel 1793 259 dipinti della collezione del duca D’Orleans vengono esposti a
Londra per essere venduti, e alla fine del dicembre del 1798 i 296 dipinti più pregiati della collezione,
italiani, vengono esposti a Londra, ed ebbero un impatto enorme nello sviluppo del gusto in Inghilterra.
Esempio nel 1871 a Dresda apre una mostra che pone in confronto le versioni della Madonna Meyer di
Holbein, mostra che nasce con scopi di studio, nasce con l’obiettivo di decidere quale dei due dipinti fosse
l’originale, ma non c’era solo questo confronto, è stata una monografica di Holbein, e anche in riproduzione
fotografica, mostra voluta da storici dell’arte per esigenze scientifiche, alcuni dipinti vengono prestati da
uno stato all’altro. E poi grande mostra di arte italiana del 1930 a Burlington House, voluta dalla moglie del
ministro degli esteri inglesi, e Mussolini la volle molto, impegnò molto l’Italia, grande pubblicità per
Mussolini e Italia fascista, trade union tra esperienza italiana del fascismo e i raggiungimenti dell’Italia del
Rinascimento, ci furono pochi tentativi di trattenere le opere perché fragili, ma andarono tutte, vediamo
un’anticipazione di quello che sarebbe stato, le grandi mostre hanno un sostrato politico, che vanno oltre
alla volontà di esposizione. Alcune istituzioni cercarono di resistere, come ad esempio il Pol di Pezzoli, per il
Ritratto di Donna del Pollaiolo, per l’importanza simbolica del dipinto per la collezione, tolta quella si perde
molto significato, ma era quasi impossibile impedire, ma venne stampato anche come simbolo della
mostra. Haskell passa in rassegna anche altre mostre, mostra a Palazzo Pitti modifica la percezione del
pubblico dell’arte europea con una rivalutazione del barocco, c’è un intento politico, Italia era centro
d’Europa anche due secoli dopo il rinascimento, e le scuole francesi e spagnole ne erano debitrici, e un
esempio viene fatto con Caravaggio, mostre che iniziano ad avere un impatto politico nella percezione e
gusto dei visitatori, mostra che ha avuto un significato più importante dei libri nel rivalutare il barocco
rispetto al rinascimento. Discorso delle mostre di Haskell, Strage degli innocenti di Reni, Emiliani, allievo di
Gnudi, personaggio cruciale, ha curato moltissime esposizioni, con uno sguardo particolare. Portati al
giorno d’oggi gli aspetti che Haskell prefigurava sulle mostre. Una mostra è sempre un rischio, spostare le
opere significa metterle a rischio. Altro caso della Santa Bibiana di Bernini, che per una mostra alla galleria
Borghese, che le mancava un dito, le parti più fragili possono essere soggette a rischi, anche se oggi ci sono
tecnologie che lo riducono. Molto recentemente Montanari e Trione hanno fatto un pamphlet Contro le
mostre, analizza tutti i problemi che si sono avuti, si scaglia contro le mostre che guardano in maniera
contabile al numero dei visitatori, piuttosto che al portato culturale della mostra, ma qui c’è Haskell, si parla
dell’asservimento alla politica, dalla mostra del 1930 a Londra tutto è cambiato e si aggiunge il fatto che
questi spostamenti sono pericolosi, soprattutto quando sono tanti. Aspetti particolari di visite virtuali ai
musei.
LEZIONE 6
Baxandall, giunge molto vicino ai nostri tempi. Ha una carriera lenta, è al Warburg Institute nel 1973, poi
docente ad Oxford, e poi cattedra al Warburg. Figura che per taglio di studi ha un modo di concepire la
storia dell’arte, vedere le cose in modo differente, spesso additato come uno degli autori che aprono verso
il campo dei visual studies. Nei suoi primi studi si dedica al tema del rapporto tra la concezione dell’arte e la
letteratura, qua è diverso, lui cerca in Giotto e gli umanisti, di valutare come sia la lingua stessa, il tipo di
studi degli umanisti, gli Orators, questi studi sul latino abbiano influenzato e dato delle aspettative nei
confronti dell’arte, e vengono valutati questi aspetti, gli studi sul latino neoclassico influiscono sul modo di
parlare delle opere d’arte, e quindi anche sul modo di pensarle, lui dice che il latino che gli umanisti
studiavano era basato sulle autoritates, e quindi traduzioni medievali, e questo porterà a una sorprendente
predilezione per il gotico, e fin dalla sua introduzione Baxandall dopo anni si rende conto che per i lettori la
cosa più importante del suo libro era quella di aver dimostrato che gli umanisti preferivano i pittori di gusto
gotico internazionale ai grandi campioni del rinascimento, preferivano Pisanello a Masaccio ad esempio, la
storia dell’arte che studiamo oggi è quella dei vincitori, da Giotto per Masaccio arriva a Michelangelo, è una
linea vasariana, ma ci sono anche altre linee, come per Gentile da Fabriano e al Manierismo, non è rilevante
per la storia, ma non è che ha avuto un impatto minore sui contemporanei, anzi, lo sono solo per noi i
vincenti, distinzione da tenere presente. Ricordarci di Lionello Venturi, ma qui è diverso, forma del
ragionamento sotteso al recupero del latino umanistico poi applicato anche alla storia dell’arte, parole
implicano un cambiamento del modo nostro di percepire la storia dell’arte, parole hanno un peso forte e
fondamentale. Enunciazione che ha scompaginato dopo secoli le carte, diversa dalla versione di Huizinga,
che diceva che gli umanisti vivevano incastellati e facevano un gioco cortese rispetto al mondo ancora
medievale che li circondava, e Baxandall dice che è vero, ma loro dal loro castello non pensavano al
Rinascimento come noi lo intendiamo, ma pensavano e amavano quell’arte curtense di Gentile da Fabriano
e Pisanello, che si trovava nei catelli in quel periodo. C’è ed è attiva ed è storicamente assodato che quella
sia la linea vincente, ma ci sono altre linee. Provocazione di Baxandall, nasce da un volume in cui c’è una
ricerca storica fatta con una metodologia scientifica precisa, non c’è solo il rinascimento di Masaccio,
Michelangelo e Raffaello, ci può essere un’altra linea, comunque reale anche se secondaria, linea del
tempo, se noi impareremo a vedere altre linee potremmo riuscire a dare uno sguardo differente ai
protagonisti della linea vincente. Frase che avrebbe potuto scrivere anche Huizinga, studioso dell’uomo
ludens, loro studiavano il latino classico sulle autorità medievali, che lo avevano poi traghettato
all’umanesimo che poi diventerà rinascimentale, distinzione forte e sottile che Baxandall propone, la parola
latina ars, gli umanisti si trovavano di fronte a varianti, capacità tecnica, l’arte quindi è la tecnica, mentre la
parola ingenium portava una gamma importante di associazioni mentali, distinguevano tecnica
dall’invenzione, arte come la intendiamo noi non aveva in quel periodo lo stesso valore di concetto, e
Baxandall dice “parole uguale sistema concettuale”, l’usare una parola piuttosto che l’altra implicava una
mutazione di sistema concettuale e quindi anche di concezione dell’arte, dell’artista che è capace di
inventare e creare, al tempo nella concezione di arte c’è l’aspetto legato alla tecnica e manualità, quando si
inizia a fare un slittamento semantico verso altre parole inizia a valutarsi un cambiamento anche nel
concetto. Testo cruciale di Baxandall del 1985 è Le forme dell’intenzione, in cui lo studioso rifacendosi ad
alcuni quadri famosi esplora i fondamenti e la ragion stessa di essere della critica d’arte, cercando di
stabilire meccanismi più corretti, quelli che ci consentono di godere e capire meglio un’opera,
addentrandoci di più nei sistemi mentali degli artisti e dei committenti, dei fruitori dell’opera quando
questa fu creata. Quadro a cui fa riferimento è Il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, nel quarto
capitolo rifacendosi a quello a cui aveva fatto menzione prima, nota che come possiamo noi dare un
giudizio su un’opera del ‘400 con i nostri occhi, con la nostra forma mentis, degli artisti dei committenti e
del pubblico di tanti secoli fa. Poi parla del quadro di Piero della Francesca, prende le distanze da questioni
attributive e di datazione, che Haskell diceva che sono scontate, c’è altro, c’è una differenza sostanziale tra
Piero della Francesca a Picasso, il primo non può dipingere per un museo, le letture sono interconnettibili
con Haskell, ma anche con i Wittkower. Primo punto, pala d’altare, concetto che non ci appartiene più,
taglio anglosassone degli studi tende a non dare per scontato quello che è scontato per noi, siamo abituati
a vedere le pale d’altare nelle chiese, quando lui insegna non è così scontato, e lui spiega di cosa si sta
parlando, metodo che gli studiosi italiani spesso non hanno, siamo sempre immersi, e lui spiega che il
fruitore non si pone davanti a un’opera con le stesse competenze di un altro fruitore, straordinaria capacità
in sintesi di chiarire dei concetti. Primo concetto fondante dei discorsi di Baxandall, se noi vogliamo capire
fino in fondo un’opera dobbiamo avere una conoscenza della forma mentis, strumenti di pensiero, modo di
guardare alle immagini, che aveva Piero, il committente, la clientela, siamo vicino ad Haskell, ma anche di
un pubblico che ha una cultura media e un modo di vedere le cose tipico del suo tempo, noi tendiamo a
fare proiezioni di tempi mentali nostri sulle opere antiche. Se noi non sappiamo qual era la struttura
mentale e formazione complessiva di visione del mondo di Piero non potremo capire fino in fondo il suo
quadro. C’erano delle conoscenze condivise che spesso avevano caratteristiche pratiche, di uso comune,
piattaforma su cui poteva essere letto un messaggio artistico, ogni dipinto è un’immagine, e ogni immagine
parla in modo differente agli spettatori, in base al loro sistema e bagaglio culturale. Gli uomini del ‘400
vedevano e giudicavano i quadri in modo diverso dal nostro, passaggio fondamentale, i quadri erano anche
degli effetti, avevano un loro aspetto materiale, punto di unione con Haskell, cliente è causa efficiente e
causa finale, nel ‘400 un quadro è di chi lo commissiona, per Picasso no. Nel pensiero degli uomini del ‘400
l’autorialità aveva un valore diverso, un quadro fatto da Piero era un quadro del committente, di chi era il
destinatario finale, noi possiamo raccontare quello che vogliamo ma se non abbiamo idea di quale fosse
l’ordine della mente nel ‘400, nella committenza e nel contratto di dare avere, non potremmo capire fino in
fondo quell’opera d’arte, era la pala di quella confraternita, di quel committente, di quella chiesa, prima
che di Piero. C’è un grande ribaltamento quasi paradossale, quando Baxandall parla della matematica
commerciale spiega che era non la matematica insegnata nelle università, ma quella di uso comune e
pratico, per poter fare commercio, e Piero scrive un trattato su questo, il De Abaco, scrive quindi anche
questi trattati oltre a quelli sulla prospettiva, c’è anche un Piero pratico, e uno degli esercizi più tipici a cui
venivano sottoposti gli studenti di questa materia era quello di calcolare la superficie e il volume di un
padiglione, e il concetto di volume non è inteso come lo intendiamo noi, cioè con il vacuo, per il ‘400 non
era così, la matematica d’uso corrente insegnava a misurare per una serie di volumi questo vuoto, in questo
saggio si parla di barili, l’uomo del ‘400 calcolava il volume in base a quanti barili potevano starci dentro,
cioè figure geometriche, qualcosa di molto pratico, e Baxandall vuol dirci attenzione, quando guardiamo
un’opera del passato dobbiamo guardarla stando attenti e non proiettando i nostri sistemi in quelli molto
diversi dai nostri, nella concezione quotidiana del mondo. I libri di Baxandall sono anche illustrati con
immagini di matematica antica, ha un taglio interdisciplinare, con un ingresso della teoria economica
antica. Altro capitolo, Artisti e musei nell’Europa del XIX secolo, domande che diventano cruciali e che
riguardano anche la musealizzazione dell’arte, cosa avrebbero pensato alcuni artisti, gli avanguardisti,
incarcerazione nei musei, vanno di pari passo con le teorie che riguardano il gusto, e con il contesto,
Baxandall estremo epigono della storia dell’arte, questioni che riguardano il rapporto tra artisti e società,
quello che vediamo in museo non è nato per starci, problema che si deve sempre tener presente. Baxandall
in un ulteriore volume, teorizza la definizione che avrà più fortuna, Painting and experience, definizione di
period eye, sintesi del suo pensiero sulle questioni inerenti al suo metodo della storia dell’arte, altro suo
testo, L’occhio del ‘400, in cui spiega in maniera più forte e matematica e scientifica il concetto di calcolo
dei volumi tramite le teorie matematiche commerciali del XV secolo, si interroga su chi sono i ricettori di
quest’immagine, chi doveva guardare il Battesimo di Cristo? Chiaramente il committente, che ha un ruolo
preponderante, colui che poi entra in possesso dell’opera, cagiona tutte le circostanze che permettono di
realizzarla, ma l’opera era rivolta anche a una società di spettatori, persone che ammirano, e che con la loro
cultura visiva giudicano, e qual era la cultura visiva del tempo? Chiaramente non la nostra, era differente, in
particolar modo il period eye è per lui da distinguere tra una percezione fisiologica dell’occhio, astorica e
invariabile, e ricorda gli aspetti formali di Berenson, ed una psicologico cognitiva, variabile non solo nei
semplici contesti, ma anche da individuo a individuo, rispetto alla cultura che ognuno dispone. Baxandall
sostiene che i fattori culturali, cioè informazioni visive determinate dall’esperienza in un determinato
periodo, gli occhi di oggi non sono gli stessi di 500 anni fa, influenzano le caratteristiche artistiche in un
particolare ambito, come hanno reagito in un contesto sociale, ci serve capire la mentalità, l’educazione
dell’occhio di quel periodo, lavoro difficilissimo, che può essere fatto attraverso lo studio di una quantità e
varietà di fonti cospicua, anche su quella che era la vita quotidiana. Period eye analisi antropologica della
cultura visiva di una società, occhio di un osservatore, particolare e unico, enfatizza la costruzione culturale
di una visione, l’immagine non è neutra, e l’occhio non è neutro, ma profondamente influenzato dalla
società, sia nell’artista sia in chi lo riceve, committente e spettatore, pubblico. C’era un’armonia
straordinaria tra occhio di chi guardava le opere nel momento in cui erano realizzate, spettatore che
partecipava delle medesime nozioni di base dell’artista, momento di fruizione dell’arte che con il passare
dei secoli non si può avere, mentalità e religiosità, devozione popolare non la avremo più nella stessa
maniera.
LEZIONE 7
Torniamo a Focillon, ha influenzato Kubler, è stato un suo diretto allievo. Focillon, importante medievista
ma con altri interessi, scrive libri importanti sull’incisione, e ha grandi capacità didattiche, si deve prendere
e affrontare un problema, ha anche grandi doti letterarie, neo formalista che aveva rivendicato importanza
della mano e della tecnica nella storia dell’arte. Scritto più teorico, la Vie des formes, scritto nel 1944,
impatto stimolante al rinnovamento della situazione italiana, punto di vista differente all’Europa. Libro che
era stato considerato come un manifesto di un formalismo che tornava parallelamente a correnti di
maggior successo più contenutistiche, però Castelnuovo nel dare un’introduzione all’edizione italiana,
scrive che il trattato di Focillon è una morfologia genetica delle forme artistiche, che sottolinea in maniera
empirica tutti gli assetti formali delle attività umane che partono dalla mano e dagli strumenti, recupero di
esperienze teoriche precedenti avrà un grande impatto nelle teorie di Kubler. Prodromo a Focillon nel Vies
des Mots di Darmesteter, opera da cui trae il fatto che anche con le parole si giunge all’opera mediante
un’incessante sperimentazione, che viene particolarmente sottolineata anche da Focillon, aspetti venati da
un taglio metodologico transoceanico tornano il Kubler con un impatto di maggior novità. Focillon aveva
proposto un recupero di Viollet-le-Duc, L’Architecture, in cui le tecniche avevano una sorta di vocazione
formale, e ogni tecnica doveva obbedire alle proprie leggi con uno sviluppo ben determinato, genetica
formale degli elementi dell’architettura, legame con il senso materiale di questi strumenti, diventerà
importante nelle sequenze che crea Kubler, tutte le cose degne di entrare nelle considerazioni di uno
storico dell’arte. Punti nodali della teoria di Focillon che sono la dichiarazione di un formalismo assoluto,
contenuto fondamentale della forma è formale, la forma è la forma, reazione alle teorie iconologiche che
stavano prendendo forma. Questione di inserirsi nello spazio e nel tempo per Kubler diventa cruciale, idea
di stampo anche avrà i suoi sviluppi, e sempre lui porterà all’estrema ratio il concetto di esperimento, teorie
di Kubler sono un insieme concatenato di esperimenti e successive reiterazioni di questi finché non cambia
il paradigma, anche per Focillon sono importanti sia esperimenti riusciti che falliti. Sempre dal libro di
Focillon, L’art des sculpteurs romans, idea di genetica, di cambi formali, quando uno stile si disgrega e un
altro è ai suoi albori, idea di tempo fluido. Ritroveremo in Kubler il concetto di tempo, che veniva spiegato
attraverso la metafora del fiume, o vette, che non ha andamento lineare e prevedibile, ma esistono anche
tante altre linee, lo abbiamo visto anche in Baxandall, linee molto importanti nell’elaborazione della lezione
del maestro. Le forme del tempo, titolo del capitolo 5, è stato fondativo per Kubler, il cui libro è quasi una
citazione, tempo e spazio sono le due grandi dimensioni in cui collocare le cose, concetto di sequenzialità
adombrato da Focillon, e che Kubler porterà a teoria. Questioni cruciali dell’ultimo Focillon, tentativo di
dare una descrizione dell’istante dell’attualità, in questo flusso catturare l’istante era difficile, ha uno spazio
e un tempo, in rapporto a quello che c’è prima e quello che c’è nello stesso istante, di precocità di
contemporaneità o ritardo, dalla Forma del Tempo di Kubler, frase dedicata a Focillon, il passato serve a
conoscere l’attualità, a questa gli sfugge. Castelnuovo aveva concluso con un concetto che lui applica a
Kubler ma vale anche per Focillon, tempo degli esperimenti corre veloce, sequenze con cui si visualizzano
figure attraverso la considerazione molto materiale delle cose, anche anonime o apparentemente
insignificanti. La forma del tempo di Kubler, copertina originale significativa, con maschere sudamericane,
libro che arriva velocemente in Italia, grazie a Castelnuovo, ha avuto il merito di captare le teorie e libri più
influenti all’estero e tradurli in fretta. Kubler è stato allievo di Focillon negli USA, il suo libro ha un forte
impianto metodologico, formazione con ricerche sulla tradizione artistica europea, specialmente
sull’architettura, virata poi nel nuovo mondo, con cristianizzazione e colonialismo, si occupa di architettura
spagnola a cavallo dell’oceano, e di edifici in Nuovo Messico, studia a lungo i manufatti precolombiani, e
l’iconografia di quell’arte, è americano, vive la storia dell’arte con questo taglio archeologico, al di fuori di
una tradizione umanistica, è lontano da qualsiasi tradizione filosofica idealistica, manifesta un’attenzione
per gli aspetti scientifici, antropologici, linguistici, matematici e astronomici, portò a una sua teoria del tutto
diversa dagli schemi europei. Ackerman, sempre in USA aveva già nel 1958 nel corso di un convegno sulla
storia dell’arte in America, aveva denunciato il fatto che lì non avevano mai prodotto una propria
metodologia, una propria teoria artistica, molti arrivano in USA con l’avvento del nazismo, ma questi
apporti erano alti ma di immigrazione, non si era avuta una vera e propria storia e teoria della storia
dell’arte indipendente in USA. A partire da questi scenari dell’archeologia e richiami all’arte contemporanea
del dopoguerra, in cui tutto può essere arte, iniziano a diventare negli USA meno centrali la qualità del
segno, gerarchia tra opere e artisti e peso delle personalità, esigenza per un rigore scientifico che veda le
opere d’arte come sequenze di manufatti, come soluzioni legate a uno stesso problema. Spostamento
dell’attenzione dalla grande opera d’arte al singolo manufatto può trovare precedenti nella Scuola di
Vienna, ma qui la teoria è molto diversa. Sequenza di oggetti che sono risposte a un problema artistico e
concatenate tra loro, in un rapporto di consequenzialità o parallelismo, aspetti che ci richiamano Focillon,
soprattutto nel suo concetto di tempo. Eliot sosteneva che ogni capolavoro ci costringe a ripensare alla
tradizione, quando si innesta in una sequenza di opere artistiche cambia tutta la sequenza, e induce a
leggere con uno sguardo diverso tutto quello che c’è prima, Kubler stesso parla di Eliot’s effect. La Forma
del Tempo è stata pubblicata nel 1972 in USA (Italia 1976), impatto che Previtali ha scritto a introduzione a
questo libro, ricezione è uno spostamento rispetto all’attribuzionismo di stampo italiano, e anche rispetto
all’iconografia che stava avendo un lungo strascico di stampo panofskiano. Per fare una teoria scientista, o
statistica per le opere d’arte, serviva essere più liberi da un sostrato che da noi non si può prescindere,
problema della scientificità della storia dell’arte tema che troviamo sempre, tra altre scienze, si è costretti a
uscire da una arte eurocentrica e umanistica, ancora con il rinascimento come faro portante, senza cui non
poter prendere in considerazione né quello che viene prima né dopo. Kubler fa un attacco ben preciso, è in
grado di osservare quello che succede attorno a lui, iconologia chiave di lettura preponderante anche negli
studi americani, ma per fare un attacco a Panofsky sceglie una via larga e cita Cassirer, le sue radici. Nella
sua filosofia delle forme simboliche Cassirer concepisce anche il mito, linguaggio, religione, arte, come
forme simboliche per mezzo di cui lo spirito dà forma alla realtà, e il simbolo non è il rivestimento
accidentale del pensiero, ma suo organo necessario, simbolizzazione che è alla radice dell’iconografia e
iconologia.
LEZIONE 8
Premessa di Kubler si intitola Simbolo, forma e durata, inizio attacco a Cassirer e indiretto verso Panofsky.
C’è un aspetto linguistico e strutturale, il continuo dibattersi delle teorie artistiche con ritorni di aspetti
formali, dalla linguistica prende l’idea di un mutamento regolare, da altre discipline, cioè quelle più
scientifiche delle umanistiche di Previtali, trae una serie di categorie. Ringraziamenti che retrodatano il
libro. Introduzione creata per liberarsi del mainstream della simbolica considerazione dell’arte. Frase
declaratoria, l’arte nella sua lettura simbolica ha tralasciato una radice, sistema di relazioni formali, lui
ritorna, gli viene dal magistero di Focillon che era stato in Europa il grande ripropositore di questo taglio.
Estremo sunto della teoria di Kubler, cioè porre tutti gli aspetti formali dell’arte in una serie, ovvero in una
sequenza, uno dopo l’altro, serie costituita dalle risposte formali che gli artisti hanno fornito a determinati
problemi, riguardanti non solo l’arte, Kubler capisce che c’è un’evoluzione storica, forchetta evoluzione
storica che ha una serie di precedenti evoluzioni e dei conseguenti, lui cerca di attirare l’attenzione su
questi aspetti formali di tutte le cose, non c’è nulla che non possa rientrare in questa teoria, tutto viene
messo all’interno dello stesso sistema teorico. Previtali aveva notato che si tratta di un cambiamento di
punto di vista, importanza di Focillon, teorico degli strumenti con cui si può fare arte, che hanno una
vocazione formale, artista non è più isolato, parte della sequenza di risposte a un medesimo problema.
All’interno di queste serie non è legato al concetto di genio, legato a migliaia di soluzioni ripetitive, si replica
la stessa soluzione, concetto di sequenza di Kubler, quando c’è un’intermittenza che cambia l’intera
sequenza, in arte è il genio, quando qualcuno trova un’altra soluzione a quel problema e inizia un’altra
sequenza, quindi da quel momento in poi ci saranno repliche della nuova soluzione. Dalla forma a passare
allo stile manca poco, ad esempio con l’avvento di Raffaello, e poi allontanamento da lui con il manierismo,
e poi ancora con il barocco, e poi neoclassicismo, e così via con altri tagli, come per tutto anche per l’arte si
può applicare questa sequenza. Serie concatenata di cose, all’interno di cui la maggior parte degli item sono
ripetizioni, che vanno avanti finché non c’è un intervento di qualcosa che non muti la serie, e andranno
avanti con quel qualcosa di nuovo, concetto della serialità di Kubler. Si sposta non solo all’opera, ma anche
all’oggetto, alle cose, e ancora Previtali tecnica, morfologia e statistica, teoria articolata che prende aspetti
matematico statistici. Figura dell’artista che crea un’opera che dà via a una ripetizione di artigiani che
prolungano la serie modificando le premesse. Questo riprodurre e continuare a fare una sequenza di copie
e replicazioni delle soluzioni trovate dal genio non è neutra e neanche fissa, nel corso del tempo che passa
queste sequenze cambiano, ci sono delle piccole varianti che alla lunga trasformano la forma del
paradigma, che a forza di essere copiato si allontana dal suo archetipo, sequenza di Kubler serie collegata di
soluzioni formali al medesimo problema. Il fatto di aver compiuto studi sull’arte precolombiana lo ha
aiutato in questo sforzo di astrazione, dove quasi tutti se non tutti gli artefici sono anonimi, e il giudizio, un
po’ come nell’archeologia, si sviluppa considerando l’evolversi delle forme, che vengono appunto intese
come «soluzioni» di un «problema». Qui una illustrazione che sono una serie di soluzioni al problema vaso,
con uno stampo archeologico del caso, che sono anonimi, tutte le forme sono diverse, varianti nella
soluzione del medesimo problema, soluzioni diverse e aspetti decorativi diversi, catalogandoli si ha una
sequenza i forme nel tempo, oggetti alla radice della teoria di Kubler, che poi si applica a tutti gli oggetti
artistici. Indice del libro, sono i capitoli e i paragrafi che dichiarano di cosa si sta parlando, tre termini della
premessa sono in contrato, forma e durata sono qualcosa di diverso dal simbolo. Storia delle cose,
argomento caratterizzante, per lui serve collocare in una durata delle cose, il che comporta una limitazione
della biografia, e il compito dello storico è sequenziare queste cose, plurime risposte formali concatenate a
singoli problemi. Repliche finché non si manifesta ogni oggetto primo, e gli oggetto ha una posizione,
significa che c’è una conseguenza importante, c’è una serie di cose che lo precedono e una serie di cose che
lo seguono, ogni cosa ha una successione, che prevede un pregresso e un proseguo, e come questa pesiste
o viene scartata? Concetto di durata è quello che individua le forme del tempo, il titolo diventa al plurale, il
tempo ha forme differenti, ha un divenire lento, veloce o entrambi contemporaneamente. Kubler ricorda la
nascita dei musei di arte «industriale» già alla fine dell’Ottocento, a segnare già un superamento della
distinzione tra arti «alte» e arti «minori». Confronta con il concetto di experience, di esperimento, di
Focillon, suo maestro. E sempre da Focillon l’idea di strumento, che qui è tradotto in arnese. Introduce il
concetto di mettere in serie, dalla selce sbeccata il coltello è una serie di risposte che l’uomo ha dato allo
stesso problema, con soluzioni varie, alcuni interrotti, alcuni rami si sono sviluppati, oggi ci sono migliaia di
varianti alla cosa coltello, la stessa cosa per il concetto di vaso. Tutto messo in questa sequenza di risposte
formali a un problema dato. Kubler dice che la vita di un artista è certamente significativa ma in sé non
basta. Anche considerando solo gli artisti maggiori non si farebbe che creare, come diceva Focillon, una
«linea delle vette». La metafora del treno: come se volessimo giudicare l’intero sistema ferroviario
basandosi su un solo viaggiatore o su pochi viaggiatori e non considerando tutte le tratte. Qualcosa che nel
tempo assomiglia ai diagrammi, linee che partono e si interrompono, e riprendono, cambiano. Problema
per Kubler, opera d’arte è una soluzione a un problema formale, le cose fatte dall’uomo sono soluzioni
intenzionali di un determinato problema, sequenze sono risposte date formali a dei problemi in maniera
intenzionale dall’uomo. Se Haskell, aveva parlato di «caso», qui Kubler sembra introdurre quasi il concetto
di «occaso». Le critiche a Kubler, naturalmente, di stampo neo-romantico, riguardano la negazione
dell’individualità dell’artista. Altrove però Kubler introduce il concetto di «genio». Come nota Previtali
nell’introduzione, Kubler serve a superare l’idealistica nozione di artista come individuo isolato, che trae
tutto da se stesso e niente deve a nessuno. La forte connotazione «oggettiva» della serie, anzi, contribuisce
a tener conto del vasto contesto di repliche e reiterazioni nelle quali il «genio» si inserisce con le sue
innovazioni, ovvero con la creazione di «oggetti primi» che cambiano la sequenza. Artista che ruolo ha in
queste sequenze? Non è che non esiste, passaggio cruciale, dice che non basta avere doti straordinarie,
serve anche la fortuna, avere queste doti quando possono risolvere un problema creando un oggetto
primo, succede a qualcuno chiamato prediletto dalla sorte, chi ha capacità, talento e tempismo, idea
fatalista immessa in una teoria così rigorosa, formalista e statistica, figura dell’artista che fa saltare questo
suo schema, due ruote della fortuna concatenate, e se gli ingranaggi combaciano perfettamente allora può
avvenire una soluzione, una forma prima. Il compito dello storico, scoperta delle molteplici forme del
tempo, il suo fine è ritrarre il tempo, Focillon diceva che l’attualità era la grande ossessione del suo
maestro, e lui la diluisce, lo storico è quello che riesce vedere attraverso il tempo la mutazione delle forme,
metafora degna di Focillon, astronomi guardano solo le luci passate, in comune con gli storici, hanno
manifestazioni presenti ma accadute nel passato, noi vediamo adesso un quadro fatto anni fa, distanza di
tempo che va colmata, Baxandall, il lavoro dello storico è capirla e colmarla. Spiegazione delle sequenze
formali, Focillon parlava di una linea delle vette per definire lo stile, Kubler invece salire fino alla vetta, cioè
soluzione del problema, e poi scendere e salire, entra il caso sempre, come in Haskell, con accumularsi delle
soluzioni il problema cambia aspetto, il nuovo capolavoro costringe anche a guardare indietro, e si vedono
le cose del passato diversamente rispetto che fino a quel momento, oltre che al futuro. Innovazioni
tecniche hanno una grande importanza, derivano anche da Focillon, grande importanza alla tecnica,
quando arriva una novità tecnica e scientifica, anche impersonale, può cambiare tutto il corso di una
sequenza formale, anche artistica, ad esempio la prospettiva, o la pittura a olio, innovazioni tecniche
possono irrompere in queste sequenze in maniera decisiva, sempre tenendo presente la posizione della
mano dell’artista, queste tecniche devono andare nelle mani giuste, da cui poi la sequenza cambierà,
sostrato estremamente teorico, di sequenze formali come risposte intenzionali a un problema, con un
pregresso e un portato.
LEZIONE 9
Applicazione pratica della teoria di Kubler, il disegno infantile di Caroto, come funziona la idea di
replicazione, quando uno ha in mano questo disegno e lo deve trasmettere, ci vuole del tempo, e poi
interviene una serie di fattori, la capacità tecnica e la cultura visiva di ogni relè, non essendo l’occhio neutro
è qualcosa che va a interferire nella sequenza, il modello principale, il ricordo nostro, gli artigiani che
replicano le opere d’arte, ricettore trasmettitore non neutro, si arriva a una normalizzazione, anche il
processo di copiatura di una forma prima, e di una cosa prima, non è neutro, perché fatto da esseri umani,
anche la replicazione a uno stesso problema porta delle varianti, soluzioni consolidate sono destinate a
mutare nel tempo. Ci sono infinitesimali possibilità nelle sequenze che danno cambiamenti, copiatura che
porta alla correzione dell’archetipo del modello. In Kubler la figura dell’artista non è così soppressa da
questa teoria, due categorie di innovatori, i precursori, quelli a cui gli ingranaggi di tempismo e talento si
incastrano, oppure i ribelli, o meditativo e riflessivo, il precursore non può avere imitatori, il ribelle è
circondato da molte persone, inserimento particolare dei geni in queste sequenze, o sono i geni, come ad
esempio Brunelleschi, che fa la cupola, per cui non c’è un eguale, e poi ci sono i ribelli, che rompono lo
schema, segna il limite di una società in via di disgregazione, momento di passaggio privilegiato in cui si
vedono le costituenti, posizione ambigua dell’artista, che riesce a essere incasellato nella sua teoria ma mai
completamente. Kubler, replicazione non è meno importante delle vette, due tipi di movimento, da e verso
la qualità, provinciale porta a un prodotto più grezzo, commerciale a uno più sgargiante, arte rimane nel
provincialismo, ma anche industrializzazione porta a una perdita del valore artigianale delle cose,
sgargiante è qualcosa di immediatamente riconoscibile con un brand. Concetto di durata ha perso di valore,
tutto deve essere continuamente aggiornato e sostituito, e le forme devono essere continuamente
cambiate, evoluzione continua che prevede l’eliminazione di quello che c’è prima. Il coltello ha una età
assoluta, ma ci sono anche età relative, pittura a olio dal ‘400 fino a oggi, che è meno usata rispetto ad altre
tecniche oggi. Il capitolo nel libro cambia rispetto al titolo, mette forme al plurale, Kubler critica la divisione
per secoli e decenni, idea di qualcosa che deve cambiare per un passaggio convenzionale, una cosa cambia
perché in un contesto si manifesta un miracolo di qualcuno che rinnova un problema con una soluzione,
magari anche gettata precedentemente. Passaggio di Sartre, rapporti con la sociologia della teoria di
Kubler, Sartre aveva una teoria di azioni e reazioni, quando c’è una soluzione il problema tende a sparire, e
anche le tensioni che avevano tenuto assieme il gruppo che ha cercato la soluzione, quando qualcuno la
trova la soluzione quella diventa seriale, nuovo paradigma, quello che era nuovo diventa seriale, rapporto
che può essere trovato anche nella sociologia, e comunque per Kubler artista resta una scheggia
abbastanza incontrollabile.
LEZIONE 10
Forte considerazione antropologica dei beni storico artistici, che riguarda la catalogazione. Storia dell’arte e
antropologia, legame che si può declinare nella pratica e anche nella teoria. Taglio che dà Sciolla, capitolo
12, è italiano, misurare in che modo quello che ci è apparso fin ora come teorico poi abbia avuto un
sostanziale portato anche nella pratica. Enunciato centrale, cultura materiale, bene culturale e territorio,
connessioni con antropologia, ambiente umano in cui questi fenomeni si manifestano, ritroviamo spazio e
tempo, anni ’70 anni di dibattito cruciali, oggetti dell’uso comune quotidiano ci rivelano dettagli sulle vite
degli uomini del passato che altre fonti non potrebbero raccontarci, vale per l’archeologia, è simile a quello
che diceva Baxandall sulle idee. Nel 1939 in Italia legge 1089, caposaldo e avanzata sulla tutela dei beni
artistici e dei paesaggi: cardine, base su cui hanno insistito anche le leggi successive, la legge si occupa di
cose, 30 anni prima di Kubler, sovrapposizione di un termine, cose, così pregnante, idea che arte
comprende cose in termini generali e anche i parchi e i giardini, tutto viene implementato in seguito, questa
idea di una sequenza di cose fatta da Kubler, che negli anni ’70 sembrava sconvolgente, si era al massimo
passati da artisti a opere, qui si ha la citazione lampante delle cose, a volte le leggi sono indicatori di aspetti
culturali, e diventano anticipatori di istanze culturali che poi maturano nel tempo. Alla scuola di Vienna
l’aspetto della salvaguardia era collegato all’università, in Italia invece c’erano dei sistemi, negli stati
preunitari, avanzati, articolo 9 della costituzione post bellica, successiva anche alla legge 1089, anche le
definizioni hanno un’importanza rilevante, differenza tra cose e patrimonio storico artistico, percezione
diversa. Sciolla per la definizione dei beni culturali mette l’accento anche su testimonianze aventi valore di
civiltà. Ampliamento dell’articolo 2, si insiste su testimonianze aventi valore di civiltà, nuova definizione del
bene culturale che si ha dal testo unico in poi, ma anche cose immobili e mobili è un blocco che viene
mantenuto dalla legge, sono le cose individuate in base alla legge che sono tali, persistenza delle cose,
tutt’ora questa idea persiste e ha avuto una nascita pregressa, nel fascismo, e poi si è mantenuta fino ai
giorni nostri, cose, marker che sottolineiamo con ricorrenze significative e inaspettate. Storia dell’arte e
antropologia in questo campo entra in modo dichiarato, quando si individua il campo d’azione della tutela
in Italia (BSAE). Cambiamenti della definizione stessa del ministero, che dà una forte caratterizzazione alla
sua attività, ad esempio la differenza dal 1881, 1923, 1974, in cui si dice beni culturali, mentre si traduceva
il Kubler, beni culturali è più esteso di antichità e belle arti, poi nel 1998, parola attività è stata discussa, da
una parte c’è la tutela e dall’altra una valorizzazione, e poi 2013 collegare anche il turismo ha delle
implicazioni, e dopo la caduta del governo Renzi si è tornati solo al ministero dei beni e attività culturali, e
ora ancora con Franceschini è di nuovo MIBACT, da addetti ai lavori le parole hanno un peso, e le definizioni
hanno implicazioni e vanno valutate. A partire dagli anni ’70 parte un’ampia campagna di catalogazione dei
beni culturali sul territorio italiano dall’ICCD, che concepisce varie schede, diventano specifiche, lavoro che
un tempo esisteva, di catalogazione, lavorare per le soprintendenze, catalogare qualsiasi cosa. Poi con
informatizzazione ci si trova a dover catalogare una infinità di oggetti, dal dipinto di Caravaggio al
candelabro anonimo dell’800, incasellandoli in una serie di campi che chiedono definizioni univoche, lavoro
diverso dall’idea comune dello studio e dell’applicazione dello studio dell’arte. In precedenza la
compilazione avveniva in maniera cartacea, campi che causavano spacchettamento dell’informazione,
operazioni importanti che davano un accesso a questi beni e anche un aspetto di tutela, quando un bene è
catalogato è più difficile rubarlo o portarlo a casa.
Cultura materiale e archeologia, paragrafo che indica che in particolar modo in Italia, a livello scientifico,
questi aspetti di cultura materiale sono stati indagati in primo luogo nell’archeologia, lo vediamo anche con
Kubler, archeologo delle civiltà precolombiane, archeologia rivela importanza della considerazione tout
court, molto ampia, della cultura materiale. Archeologia di Kubler è del sud America, diversa da quella
europea, che ha sempre un forte sostrato umanistico. Personaggio cruciale Andrea Carandini, presidente
del FAI, Sciolla misura sul nostro paese l’impatto delle teorie della cultura materiale, Carandini aveva
proposto un’archeologia con uno spettro molto più ampio di quella tradizionale, non quello di quelli del
‘700, in generale dal punto di vista metodologico è a spettro molto ampio, comprende la considerazione di
quegli oggetti che erano in grado di dare indizi sulla quotidianità, storia economica e sociale, su una
antropologia del mondo antico, oggetti seriali che caratterizzano gli scavi archeologici e che vengono
esposti nei musei, vengono inquadrati quali testimoni di quegli aspetti della vita quotidiana e aspetti del
mondo antico che sarebbero rimasti muti, non solo le grandi scoperte, Carandini insegna che tutte le cose
contestualizzate e capite nella loro funzione sono importanti perché consentono di ricostruire gli aspetti
della vita del passato. Carandini si laurea con Bandinelli, nel 1973 scrive un libro importante, Archeologia e
cultura materiale, quello che Kubler teorizza secondo l’uso americano e in maniera più scevra dal sostrato
umanistico, per altre vie Carandini arriva a considerare l’importanza di tutte le cose, tutti gli oggetti danno
delle risposte di carattere non solo inerenti la grande storia, ma anche antropologico, una sorta di
quotidianità dell’antico. Ricerche storico artistiche sul territorio, si parla di lavori senza gloria nella collana
di Carandini, andare a lavorare sugli oggetti quotidiani erano lavori considerati senza gloria, ma che nel
taglio di studi acquisiscono una dignità che ci induce a guardare i musei archeologici con un occhio diverso,
oggetti parlanti, ci raccontano aspetti cruciali per la ricostruzione del mondo antico. Da qui nasce una
filologia delle ricerche storico artistiche sul territorio, tutti i segni sono antropologicamente e per la storia
dell’arte importanti. A questo grande movimento avviato dall’archeologia e Carandini sottostà un’idea
generale di conservazione dei centri storici, di catalogazione, che si attua dalle grandi città ai borghi più
piccoli, che abbiamo visto poi concretizzarsi nelle schede. Carta del restauro del 1972 documento cruciale,
opere d’arte in ogni epoca, nell’accezione più vasta, merita tutto di essere restaurato, gamma altissima e
amplissima, sforzo di dare definizione che includa un numero di cose enorme, siano esse intere o
frammentarie, e poi entra anche l’ambiente, tutela e conservazione delle case museo è diventata un
caposaldo anche della legge attuale, negli anni ’70 c’è un tentativo di definire uno spettro vasto di cose che
devono essere tutelate. Tra 1964 e 1966 c’era stato l’intervento della commissione Franceschini,
commissione di indagine per tutela e valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del
paesaggio, parole hanno un importante senso in queste enunciazioni, tutela e valorizzazione, c’è
un’anticipazione del ministero dei beni e delle attività culturali, tutela è qualcosa di statico, valorizzazione
dinamico, che ha a che fare con le attività, arriviamo vicino a quello che Vienna era successo alla fine
dell’800, personale formato, e poi anche adeguamento dei mezzi finanziari. In questa commissione si
registra che da un lato c’è già la sensibilità della tutela del paesaggio, e dall’altro si registrano gli anni del
boom in Italia, negli anni ’60 riparte con una crescita incredibile, idea di tutelare di fronte a questo boom,
traffico, Italia che cementifica e inquina, c’è una volontà di difendere gli antichi monumenti, le grandi opere
d’arte, non c’è più la volontà di difendere tutte le cose, verrà poi recuperata negli anni ’70, e Longhi diceva
che andando avanti così in 50 anni tutti gli affreschi sarebbero diventati delle larve e si sarebbero persi per
sempre, interventi che individuano i problemi ma non mettono mano a soluzioni di tutela.
LEZIONE 11
Pasolini dice che vuole difendere qualcosa che non è codificato, che nessuno difende, presa di posizione per
le cose, difficile capire che si deve difendere la sedimentazione di lavori popolari su cui si fonda il resto, la
nazione. Catechismo di Dvorak, ci sono sempre dei riverberi di pensiero, affinità, sentore comune su questi
aspetti, in italiano viene tradotto nel 1971, c’è una concomitanza di messaggi che univocamente tendono a
determinare un contesto anche teorico, ideologico, di tutela estremamente diffusa, traduzione del
catechismo, Kubler, Pasolini, le leggi di tutela, carta del restauro, concertazione di fatti ed eventi non
casuale, cose, genericità voluta che lascia lo spettro ampio, percezione di un profilo storico sedimentatosi in
secoli di persone, c’è un portato di una decina di anni di boom economico selvaggio, entusiasmo dell’Italia
che ripartiva, fa quasi paura, cosa succederà dal punto di vista della ripartenza e industrialismo aggressivo.
Pasolini era una voce di sinistra, scomoda, intellettuale, tutto ciò aveva delle ricadute anche dall’altra parte,
Longanesi, giornalista, scrittore, disegnatore e creatore di molti aforismi, scomodo nella parte
conservatrice, anche nella cultura di una destra sociale gli stessi temi avevano la medesima portata,
lamentela fortissima per questa nuova urbanizzazione. Contesto ampio culturale e dal punto di vista
politico. Libro di Barbieri sulle ville venete, la stessa civiltà delle ville venete erano completamente
decadute, degradate, erano luoghi rurali, ma alcuni contadini le avevano conservate bene o male, pur
traslandole ad altre funzioni, ma che hanno permesso che non fossero sostituite da capannoni, miseria che
ha permesso la conservazione. Giuseppe Mazzotti, foto che fece a una mostra fotografica sulle ville venete,
esposizione che fu portata in vari paesi, e presentando lo stato sconcertante di questi edifici li faceva
vedere come prodotto di una civiltà velocemente spazzata via dall’industrializzazione, l’Italia 15 anni dopo
la guerra è ancora un paese rurale, poi rischia di spazzare via i segni del passato, anche avendoli individuati
come una miseria da cui liberarsi. Oggi ci sono molte ville venete che si sono salvate, ma si è perso tanto,
immagine villa veneta distrutta. Movimento che ha fatto sì che con una maggiore consapevolezza, anche
con queste mostre, si è arrivati fino all’UNESCO, appelli che hanno portato a opzioni di salvaguardia con una
prospettiva globale, questa è la testimonianza di una consapevolezza che si consolida dal dopoguerra, e
arriva agli anni ’70 con risultati concreti dal punto di vista teorico, culturale, politico e legislativo, tutta
questa serie di leggi e concomitanza di traduzioni nasce da delle esigenze che si manifestano nella società,
non è casuale questa concentrazione. Questa grande ondata si è talvolta fatta forza quando non nei cervelli
più illuminati, anche in questo ampio spettro, ha avuto la tendenza a fare una retorica della tutela tout
court, che era diventata delle cose popolari quasi a dispetto dei grandi capolavori, punto di contrasto, ci fu
anche una reazione di chi mal digeriva questa attenzione assoluta verso le cose piuttosto che verso le opere
d’arte. Non si sentivano rievocare le arti minori dal periodo a cavallo tra ‘800 e ‘900, erano diventate arti
pratiche, c’è una reazione, si voleva mantenere un concetto di qualità, viene da ripensare a Berenson,
anche se nel suo formalismo, era attivo nelle menti in Italia, idealismo crociano, tutte le cose sono degne di
essere conservate ma un Raffaello non è un cancello, qui cade il punto di critica, la posizione dell’artista
come chi fa saltare gli schemi qui è rispettata. Carteglorie, cornici d’altare, che servivano al celebrante per
leggere delle parti di messe, quello che restituisce una query su cartagloria su ampli numeri, nella pratica è
una sequenza formale di differenti forme di un oggetto, che è una risposta a un problema, cioè creare un
supporto, che potrebbe essere ordinata sulla linea del tempo, che potrebbe farci vedere l’evoluzione dello
stile, esempio kubleriano, la cartagloria non compare dall’antichità più profonda, serie che possono avere
un inizio e una fine, inizio verosimilmente dopo il Concilio di Trento, con la riforma delle messe nasce
questa necessità, fino a un’ulteriore riforma, che determina la loro non più utilità, le serie individuate da
Kubler non sono infinite, vanno avanti finché alla società non serve. Guardando indietro pioniere dei valori
antropologici dell’arte vediamo Warburg, che era andato anche dagli indiani pueblo, a cercare qualcosa di
più recondito anche delle sue pathosformel, in un campo in un senso antropologico.
LEZIONE 12
Visione della storia antropologica dell’arte basata sulle cose, ridondanza particolare, che con Kubler arriva
anche in USA, basata sulla statistica, esperienza meno teorica e più pratica, si concretizza nelle necessità
della catalogazione, con il contesto del dibattito degli anni ’70 in Italia. Considerare un libro interessante e
spiazzante rispetto alle teorie di Kubler, Il potere delle immagini di Freedberg, pubblicato a Chicago nel
1989, libro che resta anche ora un caposaldo, e che è stato salutato come uno dei prodromi dei visual
studies. Freedberg ora è professore di storia dell’arte, è stato anche direttore del Warburg Institute, tra il
2015 e 2017, ed è conosciuto soprattutto per i suoi studi sulle risposte psicologiche all’arte, studi su
iconoclastia e censura, che nel suo libro viene inquadrata come repressione. Troviamo un altro testo oltre
oceano di taglio antropologico e psicologico, testo che ha avuto un impatto innovativo. La prima frase del
Freedberg, rapporto tra immagini e persone analizzati nella loro dimensione storica, discostamento, si
passa da tutte le cose, viste fin ora, a tutte le immagini, e lui parla anche delle immagini materiali, teoria più
astratta rispetto a quella di Kubler, tutte queste immagini comunque hanno una loro esistenza materiale,
noi fin ora abbiamo visto la creazione di una disciplina scientifica con una sua terminologia, Freedberg
dichiara di voler recuperare una serie di categorie di reazioni alle immagini, che anche provenendo da una
storia, anche primitiva, di reazione alle immagini, vuol dire che tutta la parte della conoscenza artistica
l’abbiamo repressa, tutte le immagini, come tutte le cose, anche quelle mentali, a cui si ha una reazione,
diversificata in un gruppo di categorie. Se le immagini sono investite di potere, quali caratteristiche devono
avere per essere efficaci? Freedberg fa un tracciato netto, a cavallo tra psicologia e psicanalisi, con richiami
sessuali, ma intesi in una maniera moderna rispetto a Freud. Nel primo capitolo c’è un titolo significativo,
Reazione e repressione, tratta a lungo della Venere di Urbino, con tutte le implicazioni erotiche del gesto
della mano, dice che se noi togliamo tutti gli strumenti critici, terminologici, di gusto e convenzione, può
rimanere, e c’è in maniera inconfessata qualcosa che rifiutiamo, perché ci appare grezzo, ci appare
primitivo, ma che è un potere delle immagini che resta attraverso il tempo, caso eclatante in cui dice che se
guardiamo ai nostri aspetti più profondi ci affacciamo a questa immagine con barriere culturali e critiche, e
vediamo con divertimento chi ha una reazione primitiva perché non ha le barriere culturali, in realtà la
abbiamo anche noi, ma la tendiamo a reprimere. Comunque Freedberg vuole occuparsi di tutte le
immagini, tavolette, disegno di Annibale Carracci in cui un condannato a morte ha sotto un monaco che
gliene mostra una, prodotto artistico non eccellente, con un altro scopo, porre in faccia al condannato un
immagine religiosa edificante, di solito il sacrificio di Cristo, che si riteneva avessero un potere di lasciare
come ultima cosa negli occhi un’immagine che avesse un potere salvifico e lenitivo, e i condannati avevano
diverse reazioni, Freedberg dice che per noi oggi non hanno lo stesso valore, oppure sì, noi forse
reprimiamo questo aspetto, barriera culturale di cui non vogliamo liberarci e di cui non abbiamo pudore di
farlo. Freedberg fa il caso anche dei pellegrinaggi, assumere l’onere di un lungo viaggio per andare dove c’è
un monumento o un’immagine, e per distinguere questi aspetti di giudizi estetici fa l’esempio di Nostra
Signora di Rocamadour, statuetta a cui venivano dati poteri taumaturgici, una sua amica gli raccontava il
viaggio per arrivare davanti a questa, e una volta arrivata la sua delusione, perché è una statua rozza,
brutta, dice che l’amica per esprimere la sua rabbia, era arrabbiata con la statua come persona e non come
oggetto, rivela come inconsciamente anche come usare questo pronome, lei, c’è una personificazione
dell’immagine, attribuirle una capacità, un potere, che si è tramandato nei secoli. Conclude dopo una serie
di esempi dicendo che noi occidentali attribuiamo un potere alle immagini, tutte, prima che possiamo issare
le nostre barriere noi neghiamo che di fronte alle immagini abbiamo reazioni, spesso anche irrazionali,
viene individuato un rifiuto occidentale, legato a un determinato tipo di cultura, diventata scientista e più
laica, rifiuto di un sostrato primitivo che anche Warburg aveva riesumato, anche la Pathosformel venivano
dall’antichità e non erano state represse dalle società che si erano succedute. Immagini che si allontanano
sempre più da essere immagini di opere d’arte e capolavori, qui le immagini tendono in un senso
antropologico a diventare tutte le immagini. Capitolo 4, riguarda Immagine e pellegrinaggio, Freedberg dice
che nel corso dei pellegrinaggi si ha una moltiplicazione delle immagini, dove si ha una immagine venerata
con un potere si ha anche una replicazione, con i souvenir, che diffondevano questa immagine, e anche
questa sostituta si riconosceva con un potere. Foto di Lourdes, un tempo i pellegrinaggi erano un fenomeno
molto esteso, non possono essere considerati semplice folklore, esempio della Madonna di Regensburg, in
cui si sono trovati oltre 109 mila distintivi da pellegrino, non solo le immagini bersaglio di questa devozione
spesso sono elementari, ma anche e soprattutto i souvenir, che restano tuttavia immagini moltiplicate a cui
viene assegnato un qualche potere. Immagini votive, rappresentazione del fatto che tramite un’immagine si
può avere il potere di trasmettere un ringraziamento alla divinità per una grazia, negli ultimi anni sono stati
molto studiati, fenomeno di cui tener conto, e il libro prosegue per una serie di tipologie, non per un unico
uso di queste immagini, ma varie declinazioni, gli si vuol dare un potere, ad esempio tramite un miracolo.
Già dall’introduzione ci sono i problemi di idolatria e iconoclastia, per la prima si intende un culto animista
verso immagini dotate di un potere attraverso o meno dei riti, casi in cui sono delle pietre, che non hanno
valore artistico, a rappresentare un’immagine che ha un qualche potere, ad esempio cristalloterapia, dietro
di ciò nascondiamo la volontà del voler dare potere alle immagini? Freedberg si occupa dell’iconoclastia,
quando all’immagine viene data un potere forte, di deificazione, e colpendo l’immagine si possa colpire
l’effigiato, che quindi abbia un potere, parallelo provocatorio delle bamboline voodoo, è un’immagine
mentale che si proietta sulla bambolina, da questo alla distruzione di simboli della storia, c’è tutta questa
differenza? Trade union con il capitolo di Haskell, rivoluzione francese aveva fatto una delle più importanti
operazioni di iconoclastia dell’occidente, colpendo sì delle cose, ma in realtà colpendo delle immagini,
distruggere immagine per distruggere quello che rappresenta vuol dire riconoscerle un potere, ciò avviene
con immagini anche più dozzinali, foto, manifesti, attacco simulato al presidente Marcos a Manila, scene
che comunque hanno un aggiornamento costante, noi le abbiamo viste in forme iconoclaste forti, in medio
oriente, quando c’è qualcosa di rivoluzionario si riconosce all’immagine del nemico un potere, che può
essere distrutto assieme all’immagine, sennò non avrebbe senso e utilità, ma è solo simbolica questa
azione, o vuol dire attribuirle un potere, e quindi disconoscere un potere? Freedberg stesso dice che ha
fatto questi esempi per storicizzare il problema, ma lui vuole che il lettore si riconosca e ammetta che
queste pulsioni le ha anche lui, ma represse da una barriera culturali. Lui parla anche di casistiche
importanti, di distruzione di opere d’arte, Freedberg dice che non è solo un pazzo chi le rovina, mancato
tentativo di capire non le ragioni perché lo fa, ma perché è insita nell’umanità la tendenza all’iconoclastia,
se non consideriamo questo come aspetto generale e primitivo nell’essere umano, vuol dire che
accantoniamo e sopprimiamo quello che non può essere affrontabile, lo cataloghiamo come pazzia, o
alcune reazioni le censuriamo, le consideriamo o infantili o legate a una visione da contadini, di classe
bassa, qualcosa di meno, anche se c’è in tutti noi nei confronti dell’immagini un uomo primitivo represso.
Capitolo 15, Rappresentazione e realtà, che segna una distonia nel campo delle immagini, cos’è reale e cosa
una rappresentazione, ed è per questo che Freedberg è stato messo all’origine dei visual studies, non solo
l’arte deve essere considerata, ma per capire la cultura visiva del nostro tempo dobbiamo essere in grado di
considerare le immagini artistiche. In questo capitolo tra delle conclusioni, dichiarandole, fa un excursus
dettagliatissimo, dimostra che alle immagini sempre è stato riconosciuto un potere, che non si è spento, e
non è retaggio di civiltà più primitivi, il libro di Freedberg vuole essere una considerazione ampia di tutte le
immagini, a cui è sempre stato riconosciuto un potere, che sopravvive anche al presente, e chi leggendo gli
esempi si trova a sperimentarlo su se stesso anche in maniera repressa, doveva ammetterlo, anche con
riluttanza, non dice mai preconscio, sta lontano, storia del potere delle immagini nella concretezza della
storia, non inconsce, esempi consapevoli di generazioni passate. Il suo è anche un invito a trarre
implicazioni che possono anche corrispondere a una attualizzazione del Period Eye di Baxandall, secondo
cui dovremmo ricostruire la cultura visiva e sistemi mentali del passato, ma Freedberg ci dice che una
traccia di questo ci rimane, anche quello che ci sembra primitivo. Belting, si occupa di questioni di
antropologia delle immagini, e la sua ricerca, visione è considerata una risposta europea all’approccio dei
visual studies, e presenta una scienza delle immagini che tiene conto di un aspetto decisivo, il medium, cioè
il mezzo con cui un’immagine si manifesta, viene ritenuto una risposta a una visual culture che ha avuto
una tendenza a smaterializzare le immagini, il medium attraverso cui un’immagine si manifesta è per
Belting in particolare il corpo. Antropologia delle immagini, l’antropologia studia l’uomo, non le immagini,
ma è pur sempre l’uomo a produrle, portato notevole di Belting, ma l’uomo non ha mai potuto percepire la
realtà al di fuori delle immagini. Visual studies, normalmente si fa risalire questa cultura alla Harpers, ma
anche Baxandall, e lei nella cultura fiamminga parlava di una struttura della visione, ogni specifica epoca ha
una struttura visiva, un artista non agisce in un contesto visuale neutro, il suo dipinto non trova la
collocazione nella sequenza storica, ma va vista in un contesto visuale, un artista che vive in un mondo ha
un set visivo particolare, immagine è creata da un uomo, un pittore, che al contempo è il creatore, ma è il
fruitore di questo universo di immagini che lo circondano e formano la cultura visuale del dipinto. Questo
rapporto, visione più ampia, porta a considerare il rapporto tra immagine e spettatore, o tra immagine e
consumatore di immagine, si è spostato anche il focus da un campo che non comprende solo l’arte, ma che
comprende tutte le immagini, quantità enorme, sottoposte alla capacità di leggerle dei fruitori, e di
contestualizzarle storicamente, negli anni ’90, anno decisivi dei visual studies, nasce photoshop, e ci sono
anche stati eventi visivi, che hanno fissato nella memoria collettiva una serie di immagini rimaste fortissime,
viste e reiterate nella loro visione solo a distanza, mettere queste immagini sullo stesso piano di quelle
artistiche, tutte queste immagini hanno nell’immaginario un impatto più forte e vivo dell’impatto delle
opere d’arte a esse contemporanee. Grammatica della visione, in un mondo cambiato dalla tecnologia,
immagini che assumono una valore iconico. Era dei big data, che danno edito a riproduzioni che hanno
anche un fascino estetico, fasci di passaggi di dati personali. Risposta di Belting alla cultura dei visual studies
inglese, privilegia un’immagine remota, di pixel, anche lui dice che nella nostra esperienza visiva quotidiana
siamo fruitori di immagini in modo più o meno consapevole, non sempre con esercizio critico, prende
valore l’idea di Freedberg, che anticipa i tempi, spesso le relazioni tendono a essere primitivi, ad esempio
come le immagini sui social, e noi viviamo l’esperienza della visione in maniera naturale, retinica,
automatica, e ci limitiamo a chiederci cosa vediamo in questa visione, accade più raramente di fermarsi
sulla natura stessa dell’immagine, manifestazione stessa delle cose. Belting introduce il concetto del
medium, mezzo attraverso cui l’immagine si manifesta, il mezzo è il luogo delle immagini, e si rivela
centrale nel discorso visivo. Il corpo attraverso gli occhi percepisce l’immagine, anche quella più astratta ha
una necessità corporale. Immagine è diversa dall’opera d’arte, e può non essere oggetto, attraverso il
computer non ha esistenza fisica, immagine può vivere in un’opera d’arte, ma non coincide
necessariamente con essa. Oggetto tangibile che Belting mette in campo è una cosa, ma non coincide
necessariamente con un’immagine, esempio che fa è considerare la distinzione mezzo/immagine/corpo.
Differenza tra immagine e mezzo è tipica del culto dei morti, foto nei cimiteri, il corpo non c’è più e viene
sostituito da un’immagine per restare accanto ai vivi, Freedberg sarebbe d’accordo, a questa immagine si
può attribuire un potere di sostituzione, esperienza mediale che facciamo con le immagini è fondata sulla
consapevolezza che noi usiamo i nostri corpi per ricevere e generare immagini esterne, fortissima
concretizzazione rispetto a una teoria come i visual studies, anche immagine più eterea ha un mezzo, che
può essere uno schermo, che diventa tangibile, ma comunque non confondiamo la Gioconda con
l’immagine della Gioconda nel computer, che questo è se stesso in sé. Morte e appartati funerari
costituiscono il paradigma dello scambio, in cui il corpo ha un significato centrale. Benjamin, siamo 100 anni
prima, parla di un fondamento cultuale nelle opere d’arte, l’aura, che con le immagini tende a disperdersi, e
anche in una fotografia, quando è usata per un ricordo dei cari, a questa immagine si dà un potere. Il corpo
umano è sempre il trade union tra queste immagini, è il luogo delle immagini, le rimaterializza, pur
ammettendo l’esistenza di una iconosfera.
LEZIONE 13
Capitolo 9 di Sciolla, quadro della fortuna del metodo iconologico, panorama degli studi sviluppati attorno
al Warburg Institute nel dopoguerra. Panofsky, punto di vista del libro di Sciolla è italiano, genere di studi,
che sono anche datati, hanno una ricaduta in Italia dopo la loro traduzione, ritardi anche forti che spostano
l’impatto dei metodi. 1949, data cruciale con il libro di Wittkower (1901-1971), Principi nell’età
dell’Umanesimo, lui è uno storico dell’arte inglese di origine tedesca, facciamo un passo indietro, torniamo
al dopoguerra, è anche storico dell’architettura rinascimentale barocca, e all’interno del Warburg Institute
a Londra fu uno dei grandi protagonisti, essendosi poi trasferito in USA fu un propugnatore di quegli
indirizzi di ricerca lì. Si occupa di problemi di iconografia e simbolismo, ma allarga il campo anche allo studio
di prospettiva e geometria, arrivando a comprendere anche l’architettura, la prima traduzione italiana del
libro è del 1964, arretramento è relativo, per la lingua, questo libro prima è conosciuto dagli addetti ai
lavori ma non circola nelle università. Questo volume analizza questioni legate a geometria, prospettiva e
architettura, che aveva avuto un lungo periodo di studi eruditi di stampo filologico e ottocentesco, con
Adolfi c’è un impatto dell’architettura della storia dell’arte, in Italia c’è una coscienza erudita
sull’architettura, ma la realtà è che fino al dopoguerra a livello italiano l’architettura è considerata una
materia debole a livello accademico, no una materia di studio specifica, si ha una sedimentazione delle
discipline accademiche in questo campo. Wittkower analizza il tema della pianta centrale, intendendola
come una geometria simbolica applicata alla pianta, che è quanto di più astratto ci sia legato a una chiesa,
ma che ha implicazioni matematiche e anche simboliche, e liturgiche importanti, rispetto a una chiesa
tradizionale con una navata centrale, questo problema ha anche una serie di portati simbolici, lui riprende
Alberti, e verifica che uno studio sulle proporzioni portava a una armonia che risuonava nelle proporzioni
matematiche, assieme al progetto divino. Prende anche in considerazione il problema della facciata e
dell’insieme delle facciate, fino a quel momento rimasto sospeso. Il problema della facciata è una risposta
formale a un problema dato che gli architetti avevano, Kubler, si doveva estroflettere all’esterno quella che
era la divisione interna della chiesa, sulla facciata, e prende in esempio alcuni capolavori del rinascimento,
come il Tempio Malatestiano. Altro esempio con S. M. Novella, in cui si costruisce un altro edificio nel
secondo ordine, che hanno una funzione decorativa e funzionale, per nascondere i contrafforti che reggono
edificio della navata centrale, c’erano anche problemi tecnici. La soluzione inizia a trovarsi a Venezia con
Palladio, secondo Wittkower, raccordi laterali erano elementi scollegati dal piano della facciata, Palladio
inventa un incastro tra due edifici, come se i due ordini si compenetrano, fondere in una maniera armonica,
e da quel momento in poi e chiese iniziano a essere ordinate con queste facciate che hanno il doppio
ordine. Anche a S. Giorgio funziona la stessa cosa, secondo triangolo spezzato che finisce nelle due parti
laterali viene suggerito dall’architrave dentellata che continua su tutta la facciata. O ancora in maniera più
complicata nella Chiesa del Redentore, Wittkower è stato uno studioso attivo anche in Italia e ha lasciato un
segno forte anche in questa disciplina, e ha preso in considerazione anche disegni di Palladio, questo in cui
vengono presi in considerazioni vari esempi di piante per le sue ville, grammatica delle proporzioni che si
ripete, formazione delle piante di Palladio che concretizza una musica, in cui gli stessi elementi vengono
posti in modo differente, ventaglio ampio di possibilità. Wittkower arriva a formalizzare un linguaggio
astratto tramite queste piante, viene trasformata una pianta in un diagramma, ha avuto un impatto forte e
fondativo nell’architettura italiana. Altro libro di Wittkower, Palladio e il palladianesimo, Haskell diceva che
a uno storico dell’arte basta sapere le cose base dell’opera e no il suo sviluppo nel tempo? Problema che
diventa cogente per Palladio, che crea uno stile, ha avuto un’influenza come mai nessun altro architetto,
Wittkower mette assieme questo. Wittkower si occupa anche di Michelangelo, del problema del
manierismo in architettura, e della distinzione tra manierismo e barocco, e anche interesse per Bernini,
vasti interessi, in campi che fino a quel momento non erano mai stati sottoposti. Altro personaggio del
Warburg Institute, ha tratti comuni con Wittkower, dal punto di vista del metodo vengono definiti dei
pragmatici, non sottopongono a eccessiva teorizzazione, hanno un approccio molto chiaro e pragmatico,
uso concreto rispetto ai problemi storico artistici, Blunt prende i trattati e li studia in quanto portatori di
teorie sull’arte, diventa anche uno storico delle teorie artistiche antiche, si apre sempre di più il ventaglio di
campi di studio della disciplina. Lui fu al centro di uno scandalo, spia attiva in Italia e Inghilterra, usò le sue
capacità per carpire dei segreti di stato. Seconda generazione dell’ambiente warburghiano, ruolo
pioneristico di Warburg, precursore di tante metodologie, arte, antropologia, e storia sociale dell’arte, e
anche dei committenti, evocato molto di frequente anche in rapporto a quello che succede nella
generazione successiva, quella dell’istituto. Amelia Yates, figura di spicco nel Warburg Institute, entra nel
1956, come collaboratrice della rivista dell’istituto, ricerche su ‘500 e ‘600, metodologia pluridisciplinare,
intreccia la storia dell’arte con quella della scienza, tradizioni alchemiche e astrologiche, successione
rispetto a Saxl, con aperture rispetto alla psicologia, e sulla storia delle mentalità del passato, essendo in
questo un precursore. Saxl, biografo di Warburg, personaggio cruciale per la continuazione ed evoluzione
dell’istituto, assistente di Warburg dal 1911, e dal 1929 direttore della biblioteca. Nel 1948, anno della sua
morte, scrive un saggio, Le ragioni della storia dell’arte, visione precoce dei visual studies, studiosi che si
formano in un ambiente aperto hanno una tendenza ad avere una certa visione. Saxl, famoso per il volume
La fede negli astri, anche per lui l’astrologia e l’iconografia astrologica occupa un posto centrale nella storia
della tradizione classica, le antiche divinità erano sopravvissute nel medioevo come simboli di tante
essenze, e del loro influsso sugli uomini e sulla loro vita, credenze ancestrali, cultura che ha ancora oggi un
suo potere, gli astri erano per Saxl anche simboli di altrettante essenze che avevano influsso su uomini e
sulla loro vita, la sapienza astrologica era tramandata e ostentata, era in sé chiusa e coerente, astrologia ha
conservato frammenti antichi, e Saxl lo mette in contesti e mostra quanto fosse ancora forte, gli astri
compongono per la cultura occidentale un ricco composito di memoria storica. Ulteriore passo che fa la
Yates, che va verso una sapienza particolare, che può essere collegata a Freedberg. Lei si occupa di
esoterismo e magia, e della sua fioritura in età rinascimentale, grazie a Marsilio Ficino, studio che lei ha
privilegiato, scrive un libro su Giordano Bruno, che assume aspetti inediti, legami tra ermetismo
rinascimentale e avvio della moderna speculazione scientifica, alchimia sta alla base, la Yates riesce a
trovare un ricco deposito di conoscenze in pratiche che a noi oggi sembrano insostenibili, primitive, e che
invece erano vitali, tangibilmente considerabili nella storia dell’arte e nella trasmigrazione dei suoi simboli,
si occupò anche del campo legato all’aspetto ludico e festivo, importante per la storia dell’arte e per
l’immaginario visivo, precursore idea dell’homo ludens di Huizinga, tendiamo a considerare anche quello
che è effimero e transitorio, hanno un grande impatto visivo su cultura e società del tempo, civiltà visiva
che va ricostruita. Storia della memoria, che vara poi verso la storia della memoria visuale, passo implicato
dalle sue aperture. Yates, d’accordo con altri studiosi nell’individuare in Agrippa l’origine della Melancholia
di Dürer, verso un’analisi degli oggetti apparentemente distribuiti in disordine nell’incisione, De Occulta
Philosophia, per questo genere di studi, iconologia ha una rilevanza cruciale nell’individuare nell’autore una
somma di neoplatonismo cabalistico, Yates fa capire come a quei tempi la magia era considerata una vera
scienza, un’applicazione particolare delle scienze naturali, aspetto più legato a questo interesse per i giochi,
balli, tornei, ha un prodromo in Warburg, che nel 1883 aveva realizzato uno studio sui costumi di
Buontalenti per le nozze di Ferdinando de’ Medici e Cristina di Lorena, lavoro pubblicato nel 1895, punto
d’inizio, alcuni dei disegni, c’era una cultura particolare, in cui i costumi si legavano a una simbologia
fortissima, erano quasi arcimboldeschi, gusto metamorfico, di unione tra i vari piani, cioè umano e animale,
in questo caso marino, oppure simbiosi con elementi vegetali, e in questi apparati festivi si manifestavano
aspetti che erano al centro degli studi della Yates. Altri libri della Yates, che si occupa anche di quali fossero
le arti mnemoniche, in generale il suo campo di studio indaga quelli che oggi sembrano credenze superate
o affascinanti esperimenti prescientifici, ma lei dimostra che gli uomini del passato avevano sistemi mentali
complessi e molto performanti, la memoria per il passato era vitale, andare a studiare questi aspetti
apparentemente reconditi del passato, la porta a considerare una cosa che avrà poi sviluppo, in passato,
quando non c’erano facilmente dei mezzi di riproduzione, la memoria era cruciale, fondamentale, e c’erano
delle tecniche per allenarla, con sistemi che abbiamo perso. Aspetti che la Yates riporta a galla, spessore a
spazi mentali dimenticati, nelle menti delle persone si producevano idee e immagini nella vecchia Europa,
con modi e visioni che a noi oggi sono estremamente distanti, c’erano sistemi non meno efficienti, e anzi di
più di quelli odierni, per la mnemotecnica. Pratica per estrarre l’oro puro, a questa attività che sembra tra
pratico e utopico corrispondeva una filosofia del mondo, non c’era il darwinismo, che ha influenzato tanti
aspetti dell’evoluzione scientifica della storia dell’arte, nel rinascimento c’era un moto mentale regressivo,
per cui si doveva ridistillare qualcosa che veniva dal passato, processo alchemico che vediamo come
qualcosa di magico in realtà aveva profonde ricadute umanistiche.
LEZIONE 14
Gombrich, ebbe il titolo di baronetto nel 1972, per i risultati raggiunti, nato a Vienna, avventura di studioso
e anche lunghissima, muore nel 2001. Dall’iconologia alla teoria della comunicazione, titolo che Sciolla
sceglie per il paragrafo, lui si formò all’università di Vienna con Schlosser e Dvorak, stampo formalista e
aperto allo studio delle fonti, fece una tesi su Giulio Romano, aspetti del manierismo rievocati proprio lì da
Dvorak, e con il nazismo lui va in Inghilterra, e salva anche la biblioteca specializzata in storia dell’arte e
iconologia di Vienna, e in GB incontra altri allievi di Warburg. Arriva a Londra nel 1935, si interessa al
Warburg Institute grazie a Kris, si era formato su basi formali solide, amici che avevano un’esperienza
passata comune, entrambi a Londra si trovarono in questo ambito, i due scrivono assieme un libro
importante sulle caricature, che diventa qualcosa di particolare, precisa volontà di caricare le fisionomie e
attribuirgli una estensione visiva del carattere di una persona, la prima esperienza comune avviene in
questo ambito, formazione straordinaria che fa di Gombrich una sintesi di tanti metodi e scuole diverse.
Teoria principale per cui viene ricordato, nessun occhio è puro e neutro, e di fronte alla natura nessun
pittore imita direttamente quello che vede, se un artista produce un’opera questo avviene perché ha una
memoria visiva e culturale fatta della sua esperienza di altre opere che hanno codificato il soggetto che egli
vuol rappresentare, e questo per lui è uno schema, l’artista può copiare la realtà riferendosi ad altri schemi,
cioè altri dipinti, che è una continua replicazione di una messa in forma dell’immagine proveniente dalla
realtà esterna, ma possono anche avvenire della variazioni, un artista guardando la natura e tenendo in
mente gli schemi precedenti, poteva portare delle varianti, correggere lo schema, ma vale anche per
l’osservatore, le trasformazioni stilistiche di una rappresentazione non dipendono solo dalla maggiore
abilità di un artista, ma dal modo e dallo schema di vedere il mondo, Gombrich dice che nell’arte esiste uno
schema, universalmente conosciuto, sia da una variazione, non c’è un occhio puro che possa vedere una
cosa senza riferirsi alle rappresentazioni che ha visto di quella cosa. Diventa noto per libri come Art and
illusion, studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica, 1960, testo sulla pittura, in cui la parola
illusione va intesa come strumento rappresentativo, teoria sta nell’affermare che non esiste un’evoluzione
nel vedere, i nostri occhi sono gli stessi di un uomo di 5000 anni fa, ma è diversa l’esperienza visiva che
cambia a seconda dei tempi, e cambia anche il paradosso, costituito dalla pittura, che è illusoria, mette in
due dimensioni, e il mezzo su cui si dispone è tangibile e tridimensionale, è un paradosso, può essere un
trade union tra Mitchell e Kubler, è una cosa concreta e paradossalmente illusoria, campo che viveva di due
poli contendenti, uno che è più oggettuale e uno più legato all’immagine. Introduzione, non esiste un
occhio neutro, e così anche per gli artisti, non possono dipingere quello che vedono prescindendo dagli
schemi, anche quando si fa un ritratto, un’artista non può prescindere dallo schema della ritrattistica,
tradizione che precede la sua opera, il fare precede l’imitare, gli artisti anche se immaginano di copiare
quello che vedono avanti a loro, producono delle rappresentazioni usando schemi che hanno ereditato,
passare una realtà da tre a due dimensioni richiede una rappresentazione che usi delle convenzioni che
possano attuare questa traslazioni, e queste sono schemi, in un certo momento storico un artista compara
uno schema mentale, visivo che ha con il mondo, e facendo questa comparazione può mettere del suo, un
artista innovatore ha ben presente tutti gli schemi di una categoria di rappresentazioni che lo precedono,
che guarda anche alla realtà naturale, ma che li cambia, introduce una variazione, Gombrich fa delle
immagini qualcosa di convenzionale, fortemente correlate a una cultura tout court visuale. Secondo lui la
percezione visiva non funziona come percezione passiva del mondo che ci sta di fronte, ma attività di
ricostruzione del mondo, ed è sempre il risultato di una combinazione di ci che ci aspettiamo di vedere, con
ciò che è inaspettato, qualcosa di nuovo, la confutazione di questo schema, per Gombrich è sempre la
comparazione di un paradigma dato, uno schema, e un confronto attuale con la realtà, e a maggior ragione
nelle arti visive. Occhio non è neutro, non è innocente, quello che dice Gombrich viene letto in modi diversi,
l’occhio ha una diversità culturale, e viene letto anche come negli anni ’60 una potente conferma di una
teoria della psicologia della visione di quello che si stava diffondendo negli studi sul linguaggio,
convenzionalità del linguaggio, teorizzata da Kun, che parla di paradigmi, cioè gli schemi attualmente
vigenti, che a un certo punto devono essere mutati e stravolti, consequenzialità, lui scrive un libro sulla
struttura delle rivoluzioni scientifiche, vari paradigmi che si succedono, schema di determinati eventi che
vige finché un nuovo schema non va a sostituirsi perché più adatto ai tempi o scientificamente valido, o
altro. Analogia tra queste due teorie e il metodo che lui attua per le arti visive. Per Gombrich il modo in cui
percepiamo le immagini è dovuto a un nostro schema, che si crea attraverso il linguaggio e altri elementi
culturali o simbolici. Disegno famoso di Justrow, che dimostra come la percezione sia sempre
un’interpretazione, non si vede contemporaneamente sia anatra che coniglio, qualcuno vede prima uno e
poi l’altro, percezione fa sempre riferimento a schemi, a idee, che ci portiamo dentro attraverso al nostra
percezione visiva, non esiste un occhio innocente, e la percezione è sempre categoriale e discreta, è a
discrezione di chi guarda, su questa immagini si proiettano i nostri schemi e aspettative. Ridurre
innovazione dell’artista al meccanismo di schema e correzioni, basati sul valore della tradizione, valore di
continuità su cui si fonda un processo di comunicazione, orizzonte di aspettative, che è in grado di verificare
da un lato le persistenze e dall’altro le modificazioni, veicolo di un messaggio particolare, inteso dallo
spettatore nella misura in cui lui partecipa al contesto in cui il messaggio si trova. Possiamo risolvere i
problemi attraverso ciò che ci fornisce la tradizione, e gli schemi culturali che abbiamo acquisito, lo schema
è legato all’aspettativa che noi abbiamo. Entra aspetto cruciale della percezione, schemi e variazioni di
questi schemi. Esempio del ritratto dell’intelligenza artificiale, repertorio di schemi sull’evoluzione del
ritratto, algoritmo che consente alla macchina di trarre insegnamento ed elaborare un proprio ritratto,
poteva essere un occhio neutro, ma non sarebbe stato in grado di fare un ritratto, gli sono serviti dei
disegni da esempio, servono degli schemi, comunque l’uomo è diverso, oltre al ritratto ha visto anche le
persone vere, e dal confronto può immettere la sua correzione, cosa che IA non poteva fare, non poteva
confrontarsi solo con la realtà, non aveva qualcuno da tradurre nella realtà. Storia dell’arte, strutturalismo e
semiotica, caso di Brandi e Meyer Schapiro. Cesare Brandi, storico dell’arte, un critico e saggista italiano,
famoso come teorico del restauro, attività poliedrica che lo ha visto impegnarsi sia nell’estetica
contemporanea, tecnologia del restauro, e libri considerati diari di viaggio, e pioniere dell’arte in
televisione. Segno e immagine, saggio fondativo a livello italiano, pubblicato nel 1960, precoce, usa un
termine particolare, astanza, per indicare una particolare dorma di presenza nell’opera d’arte, che è
distinta dalla flagranza, che è la sua esistenza reale, e sono differenti dalla semiosi, processo che trasforma
l’evidenza e la forma in segno, cioè qualcosa che porta un significato. Altro libro importante, Le due vie, si
teorizza la coppia antinomica di flagranza e astanza, esistenza concreta e percezione dell’opera d’arte nel
senso di stato di coscienza. Altro libro Teoria generale della critica, affina la trilogia metodologica in cui
l’autore affina le sue teorie. Schema, la realtà oggettuale è definita da Brandi come flagranza, realtà
oggettuale che si manifesta davanti a noi, alla nostra percezione, l’opera d’arte è più uno stato di coscienza,
astanza, e la fruizione avviene quando l’atto intellettivo trasforma le presenze raffigurative, che hanno a
che fare con l’astanza, in segni, che hanno un significato, atto della semiosi, il destinatario è il fruitore,
guardando un’opera d’arte e avendone uno stato di coscienza ne fruisce attraverso un percorso semiotico,
attribuendo alle forme la funzione dei segni, quindi è a metà tra la realtà comune di un oggetto e la semiosi,
percezione ultima, astanza stato aurorale dell’arte, opera d’arte realtà pura, presenza immediata,
precedente alla semiosi. Astanza, particolare presenza che la coscienza prova di fronte alla realtà pura
dell’arte, che è agli antipodi della flagranza, realtà materiale, presenza che la coscienza realizza a contatto
di una realtà esistente, flagranza. C’è un’affinità con Benjamin e l’aura, elemento imprescindibile, l’hic et
nunc dell’opera d’arte, esistenza unica e irripetibile del luogo in cui si trova, concetto della sua unicità,
concetto basata sulle scienze letterarie, strutturalistiche, che hanno avuto un forte impatto in letteratura
negli anni ’60, contesto di lettura semiologica dell’arte per l’arte a lui contemporanea. Meyer Schapiro,
storico dell’arte importante, Sciolla non lo colloca a coda degli studi semiotici. Libro, Per una semiotica del
linguaggio visivo, trasmutazioni pittoriche subite da un testo nel corso del tempo, spesso nelle iconografie
del dipinto di basano su un testo, ad esempio la bibbia, devono dare una visualizzazione a quello che esiste
nel testo scritto, con la simbolizzazione della scrittura, e quello che deve trasferire in un immagine, e questa
trasmutazione non è sempre lineare, le immagini sono trasmutazioni dei testi. Un’alternativa: la lezione di
Meyer Schapiro, teorico semiotico sui generis, difficile da collocare, inquadrare in un’ottica semiotica. Ebreo
lituano, storico dell’arte atipico, non si limita allo studio degli aspetti formali, ma anche alla tradizione
iconografica, non si devono mettere divisioni nette, si interessa anche ai contesti socio economici, metodi
complessi che racchiudono in sé esperienze metodologiche pregresse. Include semiotica particolare,
slegata dallo strutturalismo, arriva a segni primari nell’arte, regredendo verso qualcosa di primitivo. Fu uno
studioso di arte medievale, e sullo stile romanico, rigore e metodo per il concetto di stile legato a un
particolare contesto sociale, metodologia attuata con vari tagli e sotto diverse prospettive.
L’impressionismo, studi sulla pittura di ‘800 e ‘900, stessa metodologia, condensa alcuni decenni di studi su
vari artisti, con un taglio particolare, dal semiotico, al sociale allo psicologico. Parole e immagini: letterale e
simbolico nell’illustrazione del testo, saggio, problema che affronta, come delle parole vengano traslate in
immagini, come un racconto letterale si simbolizzi, e un testo venga trasformato in immagine,
procedimento non scontato che palesa molte possibilità interpretative per l’artista. Per Schapiro è una
questione importante anche la direzione di lettura delle immagini, come per la scrittura, da sx a dx, forma
mentis che tende a una rappresentazione così, lui importa nella disciplina iconografica concetti semiotici,
impreziositi da concetti legati alla psicologia della visione. Obiettivi di Schapiro, mostrare in modo non
meccanico relazioni tra la storia e un fatto artistico, e poi problema della continuità e mutazione, aspetto al
centro del dibattito artistico, e rivelare specificità dell’opera d’arte nella sua trasformazione, a lui interessa
percepire le progressive modificazioni della storia nell’immagine, tratto comune che si trova in diverse
metodologie. Tema centrale del rapporto tra verbale e visivo, indaga la relazione tra aspetto visivo e testo
di riferimento, rapporto non necessariamente diretto, può riferirsi anche allo schema, la tradizione visiva, la
sua caratteristica è che non è deterministico, crede che la relazione sia storica, caso dei Magi, il vangelo non
specifica il numero dei magi. Anche nel caso di Gentile da Fabriano c’è uno schema più affollato,
indeterminatezza del testo, nessuno è così specifico da generare immagini univoche, un pittore può
scegliere di enfatizzare un aspetto rispetto a un altro, Schapiro sottolinea questi spazi di interpretazione,
che non sono scontati, i magi sono tre per convenzione, serie consolidata di raffigurazione di questo tema
in cui il numero 3 diventa canonico, schema inteso come Gombrich. Altro esempio di Benozzo Gozzoli,
corteo nobiliare dell’epoca, o Paolo Veronese affollamento particolare, tema che può essere variato e
convenzionale in base al numero dei magi. Altro caso che Schapiro sceglie è il gesto dell’orante a braccia
aperte, attualizzata in senso cristiano, passa da un anonimato riconvertito in fonti cristiane, che ritroviamo
in altre catacombe anche se con iconografie differenti, e anche in un rilievo siro-ittita, tema delle braccia
che vengono sostenute, sviluppato poi nel Mosè sostenuto da Aronne e Ur, che consolidano la posizione, e
poi compaiono anche varianti, con un richiamo della croce che non c’è, braccia sostenute da qualcuno,
braccia che attraversa i tempi, varia nelle interpretazioni perché non è determinata, dalla posizione antica
dell’orante viene usata per varie scene relative a Mosè e si consolida in altre figure che lo sostengono per le
braccia, testo uno interpretazioni tante, prima si vedono le fonti, quando sono indeterminate si vede come
iconografia spiega questi aspetti, studio approfondito di Schapiro del rapporto tra testo e immagine, di
com’è descritto in un testo e non chiarezza che lascia uno spazio interpretativo all’artista. Alcuni accidenti
della semiotica delle arti figurative: campo e veicolo nei segni-immagine, intervento enunciato da Schapiro
in un convegno di semiotica in Polonia nel 1966, in cui emersero le sue nuove istanze, semiotica legata ai
suoi studi su arte medievale, che poi sono stati raggruppati nel libro Per una semiotica del linguaggio visivo,
lui arriva a considerare problemi cardine, problema del campo dell’immagine e la cornice, che spesso erano
figurate, parlanti, in quel periodo la linguistica intensifica gli studi del rapporto tra testo e paratesto, cioè
strutture funzionali al testo, da un’osservazione basata sul suo campo di studi elabora un concetto più
generale. Schapiro divide la sua ricerca in alcuni paragrafi, che sono macro problemi che riguardano la
visione in senso generale. Il primo è del campo regolare, spazio in cui si manifesta un’opera d’arte, che è
contingentato in una forma canonica e regolare, non scontato, risma di fogli, noi diamo per scontata la
forma, su cui noi disegniamo, ma questo campo non corrisponde a niente che è presente in natura, o che
nell’immaginario in uno spazio vuoto spunta l’immaginazione, noi quando figuriamo un’immagine non è
racchiusa in un campo regolare, esempio dei dipinti delle caverne, che si dispongono su una cosa non
preparata, le irregolarità affiorano attraverso l’immagine, e il campo è molto vasto, l’uomo operava su una
superficie diversa, senza limiti, non levigata e non preparata. Anche i graffiti, come le opere dei primitivi
non sono su un campo delimitato, un muro, chi si appresta a farli ha uno spazio grande e privo di limiti, e
può sovrapporli ad altri, considera spazi non determinati. Si inizia a levigare nell’età del bronzo, Schapiro
regredisce fino a qualcosa che è primitivo, una delle cose più cruciali per la comprensione dell’oggetto
artistico è il suo campo, e noi non sappiamo chi sia stato il primo che ha deciso che una raffigurazione deve
avvenire in un campo limitato e autonomo. C’è anche un richiamo alle tecniche, piano ben definito, che
aveva un limite costituito dai margini. Schapiro è sensibile all’arte dei bambini e dei primitivi, attenzione per
mondo infantile, privo delle repressioni che poi l cultura dà nei confronti dei poteri dell’immagine, noi
tendiamo a guardare nei disegni dei bambini la loro fantasia, non consideriamo mai che gli scarabocchi
riescono a restare nel foglio delimitato, anche lui riesce a stare nel campo regolare, distingue l’immagine
che crea e che potrebbe stare in un campo infinito, e viene paragonata all’azione, produrre suoni che non
fanno parte del sistema fono-sintattico non esclude che quest’azione sia una forma di linguaggio, come gli
scarabocchi non sono una forma meno primitiva di azione, un bimbo resta nei limiti, cosa che i primitivi non
avevano, anche un bambino può muoversi in un campo limitato, fa già parte di un sistema. Schapiro dice
che anche alcuni animali, come le scimmie, restano nel foglio. Schapiro parla di Mirò, suo contemporaneo,
che sente attrazioni per pitture rupestri, pitture astratte su un fondo ruvido, vuole evocare primitivismo che
è una forma di libertà, noi come civiltà viviamo in questo sistema, il campo è lo spazio della figurazione, ma
quanto è importante, parte piccola del mondo, scelta di fondo che esclude una parte grande del mondo,
convenzione che diamo per scontato. Anche Burri, nel Grande cretto nero. Il secondo è la cornice, che
appartiene allo spazio dello spettatore piuttosto che a quello illusorio delle immagini, il limite diventa uno
spazio semiotico importante, la cornice ha una valenza pregnante, tendiamo a dare per scontato il bordo
regolare. Quadri particolari in cui degli elementi delle immagini attraversano la cornice, come se fosse una
parte dello sfondo, presuppone uno spazio che va oltre. Ci sono cornici in campo medievale in cui il lavoro
di carpenteria rende quasi indipendenti le figure. Cornice del tondo Doni, partecipa dell’essenza del dipinto
e delle torsioni che in esso si svolgono. Poi le cornici possono svilupparsi, può diventare un’estensione
dell’immagine e dello stile, non è l’immagine che è compressa dalla cornice, ma è questa che ne asseconda
le vibrazioni. Alcune cornici entrano nell’immagine, quando diventano tridimensionali, semplice rifilatura, è
un’inquadratura della realtà, può essere invasa dalla raffigurazione. Il terzo è il rapporto figura-sfondo, in
un campo determinato c’è una figura all’interno, e quello che non è figura è sfondo, non è privo di effetto
espressivo, ha la sua importanza, rapporto con la scrittura, inserire una figura in un campo e determinare
uno sfondo ha significati diversi rispetto all’attitudine con cui si guarda, il nostro occhio segue una lettura
con un orientamento. Poi si muove anche valutando le proprietà compositive, quando una cosa più grande
è in alto e una piccola più in basso c’è un orientamento dal basso, schemi apparentemente semplici, e vale
lo stesso per destra e sinistra, necessità di lettura. Il quarto sono le dimensioni, in questo campo, nella
cornice con gli orientamenti le dimensioni con cui una figura si manifesta sono determinanti, rapporto tra
figura e sfondo e figura con altre figure. Esempio di Bonaventura Berlinghieri, dimensioni importanti per la
visione a distanza, e anche per l’importanza, ad esempio del santo, impatto forte sulla lettura. Gentile da
Fabriano, la natura è più piccola, il committente è più piccolo dei santi, gerarchia, nella lettura delle
immagini sono aspetti forti, o ancora con Piero della Francesca le cose cambiano, i tre personaggi sono sulla
scala maggiore rispetto al cristo che dovrebbe essere in primo piano, ma c’è la prospettiva, che dà una
simulazione che può equiparare le dimensioni. Il quinto è il contorno, elemento non mimetico del quadro,
trasformazione degli elementi che compongono il quadro sono chiamati una materia portatrice del segno,
linee, contorni, macchie di pittura, tutto quello che può essere strutturato in un linguaggio figurativo
formale. Ridotti al loro valore minimo i segni assumono un loro significato mimetico solo in un contesto,
regredire al segno è fondamentale che sia spogliato del suo contenuto mimetico, che valga a seconda del
contesto in cui si trova, il contorno in natura non esiste, ogni immagine secondo Schapiro può essere
scomposta in segni minimi, che come le lettere, assumono una valenza diversa solo in relazioni con altri
segni, lettura semiotica.
LEZIONE 15
Capitolo X di Sciolla, ricerche storiche e filologiche del dopoguerra, stampo italiano, aspetti di Longhi, ma ci
sono anche altre figure. Longhi, allievo di Toesca, da cui acquisisce il metodo della ricerca di una
individualità. Longhi si dichiara crociano ma denuncia i limiti di una prospettiva lirica dell’idealismo di Croce,
ma dice a Berenson di essere crociano, rapporto di rivalità, che poi è amore e odio. Longhi del dopoguerra,
ragiona sulla storia dell’arte in Italia. Metodo berensoniano era in vigore, ma Longhi prende le distanze da
questa impostazione logica ed empirica, per lui era troppo edonistica e non collettiva, succedersi di tre
visioni artistiche, quella lineare, quella plastica e quella plastico pittorica, in Longhi queste tre successioni
diventano parallele, tradizioni parallele, disegnativa e coloristica, ne scrive nel 1912 e 1914, si affianca al
dualismo dell’arte italiana, colore dei veneti e disegno dei fiorentini, che era già in vigore dal ‘500. Sempre
cose, mai astrazioni, idea, convinzione che non c’è un rapporto e paralleli tra opere d’arte e critica d’arte,
avvertimento che faceva ai suoi allievi, cose intese non nel senso di Kubler, ma idea di una concretezza che
si doveva riconoscere all’opera d’arte. Osservazione intensissima, diretta, cercando i buchi, capiamo quanto
sia erede di Cavalcaselle, si rivolge a lui come talento incomprese, preferisce il suo empirismo classico.
Sempre Briganti, Longhi era opposto alla storia sociale dell’arte, parole conce e acconce e trasferimento
verbale, si deve partire dall’opera e trovare le parole giuste per trasferire verbalmente quello che un’opera
può esprimere. Longhi del dopoguerra, rivista Paragone, fondata nel 1950, il primo numero è fondante, si
compone di una serie di articoli che diventano come un quiz per i lettori, guanto di sfida lanciato nelle loro
concezioni. Longhi fa un excursus sulla critica d’arte, paragona la lettura dell’opera d’arte con quella del
romanzo storico, c’è una componente storica e una letteraria, e risolve il problema del rapporto tra i due
codici. Si impegna nella rivalutazione internazionale di Caravaggio, mostra 1951, epocale, ha un metodo
letterario, libro che svela tutti i retroscena, di Aiello, Caravaggio 1951, non è stato più lo stesso, si vede
come una mostra del genere in cui furono spostate tele inamovibili, e poi tutte le trattative andate male,
recupera le foto dell’allestimento, successo della proposta, evento epocale perché si basa anche sul
prestigio personale di Longhi, impatto personale e sociale nel mondo dell’arte in Italia, ma fu anche
promotore di trasmissioni televisive che portarono a conoscenze di base di storia dell’arte nella
popolazione italiana. Castelnuovo, allievo di Longhi, anni ’60 e ’70 consulenza per Einaudi per quello che
doveva essere portato nel dibattito artistico italiano, per cui vanterà la diffusione dell’opera di Gombrich, gli
dobbiamo anche le prime edizioni italiane di Baxandall, attività editoriale di punta che colma il gap
cronologico. Presa di posizione contro al filone storico critico, stare lontano da presenze che lui chiama
astrattive, per stare più aderenti alle cose, ai sensi, non a teorie che vivono in assenza delle opere, i poeti e
letterati hanno sempre fornito spiegazione all’arte più convincenti rispetto a quelle dei teorici, gioco sottile
di citazioni e contro citazioni, la storia della critica non dà un punto univoco e non può coincidere con la
storia dell’arte. Quando considera l’idea di Venturi che la storia dell’arte coincide con la critica trova un
punto di forte contrasto quando deve affiancare la critica coeva al suo artista. Non solo nei letterati c’è più
consapevolezza critica, ma anche degli artisti, che hanno conoscenza critica maggiore dei critici,
ricostruzione storica di errori e paradossi della critica passata. Dopo questa critica alla critica intesa come
identità con la storia dell’arte, dà una sua lettura, artisti e letterati nella storia sono stati più efficaci dei
critici di professione, e poi cerca di prevenire delle obiezioni, affinità per cui Longhi non avrebbe avuto
interesse per una lettura che da letteraria potrebbe diventare semiologica, nelle teorie anche più distanti si
possono trovare possibili agganci anche in mezzo a molte differenze. La critica è legata al periodo in cui è
attuata, come può coincidere con opere del passato? Opera non sta mai da sola, è sempre in rapporto, per
cominciare con un’altra opera d’arte, ritorno a una concretezza, umanizzazione dell’arte, di un’opera che è
in relazione ad altre opere, anche un capolavoro non è slegato dal mondo, si deve aprire un rapporto, non è
solo una sequenza, tra opera e mondo, socialità, si apre a tutte le possibili relazioni, ma nessuna di esse dà
una spiegazione preponderante. È l’opera che suggerisce le spiegazioni, sono le cose materiali, è pur
sempre un’opera d’arte, non tutte le cose.