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ELEMENTI DI CONSERVAZIONE E GESTIONE DEI BENI CULTURALI I

16/09
Importante tema del rapporto tra l’attualità di un museo e la sua storia, realtà diverse date dalla
storia diversa. Nella parola museo si comprende una enorme varietà di tipologie di opere d’arte, la
pinacoteca è una raccolta di una varietà di dipinti, strumenti per il pubblico iniziano ad essere
introdotti nei musei nell’800, prima erano collezioni private, e i musei pubblici del ‘700 non li
avevano, in ambito anglosassone si inizia a pensare al pubblico, e già nel 1881 il pubblico non è
uniforme, si pensa ai pubblici, chi far entrare, bambini, artisti, far copiare i quadri dal vivo.
Wunderkammer, è un museo del passato, non nel senso contemporaneo del termine, dai nuclei
collezionistici delle wunderkammer sono nati musei contemporanei. Casa museo, mancano gli
strumenti per il pubblico, e sono esposti oggetti della vita quotidiana. Rapporto che si costruisce
tra le opere è significante, va in base al periodo storico, scegliere quante e quali opere è
significativo, non è mai casuale, si possono analizzare i rapporti tra le opere, e analizzare anche
come il museo propone le opere, significante posizione delle opere tra loro e rispetto al pubblico,
posizione del pubblico è uno dei temi fondamentali. Se analizziamo la storia dei musei dobbiamo
guardarla per capire qual era la cultura dell’epoca e cosa voleva raccontare il museo. Musei
iniziano ad essere opere d’arte, riconosciuti anche per la loro forma, usati anche come strumento
per rivalutare la città, come ad esempio per il Guggenheim di Bilbao. I musei sono anche istituzioni
che partecipano attivamente all’attualità, prendono posizioni politiche.
17/09
Museologia e museografia, oggi le parole hanno un uso e significato diverso: museologia (logos), si
usa per indicare tutte le cose che riguardano il ragionamento sul museo, concerne quello che
riguarda le questioni di ordinamento, dalla storia della collezione alle scelte dell’attuale
presentazione, che riguardano il suo ordinamento, inteso come ordine logico con cui le opere
vengono presentate, è una scelta critica decidere cosa mettere in rilievo, si occupa di pensare
ordine logico, scelte fatte sull’ordine logico su cui vengono esposte le opere, cambiato molto
rispetto alle epoche storiche, oggi c’è una selezione, si considera la necessità di presentare al
pubblico solo alcune opere, una volta si tendeva a esporre tutto. Museografia (grafos), aspetti
tecnici, pratici che servono a esporre le opere, illuminazione, forma della stanza, colore delle
pareti, tutto quello che riguarda l’architettura del museo, anche dove si espongono le opere, i
servizi al pubblico. I due aspetti, pur avendo delle differenze, si compenetrano, e vanno sempre
tenuti in considerazione, museo che riesce a comunicare l’ordinamento attraverso un buon
allestimento, è un museo che funziona, quando museologo e museografo lavorano assieme e per
comunicarsi a vicenda, se decido che tra una sala e l’altra c’è un passaggio concettuale molto
importante, ci possono essere degli espedienti che possono aiutare, si scrive, si cambia il colore
della sala, espediente che si usa dall’inizio dell’800, suggerisce che qualcosa sta cambiando
concettualmente, aiuta a comprendere l’ordinamento della sala, i musei parlanti sono quelli in cui
allestimento e ordinamento sono pensati assieme. Un museo secondo la definizione dell’ICOM
(International Council of Museum), è una istituzione permanente, si distingue da una mostra, non
bè determinante la proprietà, o il nome, è determinante che sia permanente, senza scopo di lucro
(anche se non è così per le fondazioni), al servizio della società e del suo sviluppo, che partecipano
alla politica e a quello che succede (esempio Covid), se non è aperto al pubblico non è un museo,
che compie ricerche su testimonianze materiali dell’uomo e dell’ambiente, il museo acquisisce i
materiali in proprietà, li conserva, li comunica, li racconta, li espone a fini di studio, di educazione e
di diletto, non è un’istituzione che solo comunica o che solo conserva, attenzione all’educazione
della società e al divertimento del pubblico (edutaiment). Il museo può usare il linguaggio pop, i
fumetti, il linguaggio della contemporaneità, ma per veicolare contenuti scientifici, si possono
coniugare studio educazione e diletto, il problema non è lo strumento, ma come si usa, cosa si
veicola attraverso lo strumento fisico, i contenuti restano, lo strumento passa. Le realtà museali
cambiano, l’ICOM nel 2016 ha aggiornato la sua definizione, con un grande processo partecipativo,
tutti hanno proposto una propria definizione, poi nel 2019 era stata organizzata una assemblea
generale internazionale in cui l’ICOM avrebbe dovuto votare la nuova definizione, ma è stata
animata tra le varie zone del mondo, e non si è arrivati a un accordo, c’erano due proposte, la
differenza principale cadeva sul non profit, la votazione è stata rimandata a data da destinarsi, c’è
un dibattito su come i musei stanno cambiando e quale è la loro definizione, il museo vive l’epoca
in cui è immerso. Conseguenze del Covid, reazione diffusa di uno spostamento sul virtuale, ma
anche disponibilità di interviste, newsletter, spostamento sul web per tutto, hanno reagito molto
bene, non c’è stato tempo per una riflessione su cosa servono questi strumenti, i musei sono stati
tra le prime istituzioni che dovevano aprire nel nostro paese, anche impatto economico molto
importante, e la rapida riapertura aveva anche un valore di rilancio delle città e del turismo, i
musei spesso assumono un valore simbolico nella cultura di un paese, sforzo che non tutti hanno
potuto compiere per poter riaprire, personale e strutture, molti musei comunque hanno riaperto
con grande rapidità, riapertura che ci ha portato un piacere nel godere il patrimonio che ci era
stato tolto. Parametri per giudicare standard di funzionamento dei musei, utili per capire come si
fa a giudicare un museo, documento Atto di indirizzo su criteri tecnico-scientifici e sugli standard di
funzionamento e sviluppo dei musei, documento interessante, diviso in 8 ambiti, 8 aspetti che si
deve considerare per capire se è buono il funzionamento del museo, ricordare gli 8 ambiti e di che
cosa trattano. 1. Status giuridico, ogni museo deve avere uno statuto scritto, forma, forma
giuridica, missione, come funziona, patrimonio, museo deve avere presente qual è il suo
patrimonio e cosa serve ad esso, il personale. 2. Assetto finanziario, devono esserci risorse
economiche adeguate alla grandezza, personale, sicurezza, cura e gestione del servizio al pubblico,
compito primario degli enti proprietari assicurare la regolarità dei flussi finanziari, ragionare non
solo sui musei grandi e famosi italiani, la realtà italiana è fatta da 4000 piccoli musei, si deve
ragionare su questa realtà museale diffusa. 3. Strutture fisiche, non ci sono standard uniformi, ma
ci devono essere delle strutture in grado di garantire la sicurezza delle collezioni, devono essere
controllabili e mantenibili. 4. Personale, tema cruciale, ogni museo deve essere continuativamente
dotato di personale in quantità sufficiente e con adeguata preparazione, proporzionato a
dimensione e caratteristiche delle collezioni, le competenze sono importanti, servono figure
professionali, si deve imparare a comunicare e deve studiare il proprio patrimonio, conoscerlo e
saperlo comunicare. 5. Sicurezza, ci devono essere strutture che siano in grado di conservare il
patrimonio, problema per le realtà piccole, strategie di sicurezza in rete. 6. Gestione e cura delle
collezioni, le collezioni rappresentano l’elemento costitutivo e la ragion d’essere di ogni museo,
dovrebbe esserci i fondi per acquisire e incrementare la collezione, o fondi, la gestione, la
conservazione e la cura, rendere accessibili i depositi, che potrebbero essere accessibili agli
studiosi, non è necessario al grande pubblico, il museo per questo deve avere personale
qualificato e strutture di professione, e deve preoccuparsi anche della catalogazione, quando i
musei si sono spostati sul web era importante avere un buon catalogo, il sito web si fa più
velocemente. 6.1. Parte che riguarda la conservazione e il restauro, termini di cosa deve fare un
museo per garantire una buona collezione e restauro, prevedere una scheda conservativa, in cui
aggiorna periodicamente lo stato delle opere, perché se io oggi curatore vedo che una tavola ha
un buco mi devo preoccupare se qualche anno fa non c’era, serve a monitorare una buona
conservazione dell’opera, anche per magari un mutamento microclimatico di una sala, che di
solito è stabile, il fatto che rimanga sempre uguale è una garanzia di conservazione, anche se la
temperatura e lo stato di umidità non è ottimale, basta anche tenere aperta una porta in più per
rompere l’equilibrio, si deve prevedere, e va bene se ci guadagna in termini culturali. 6.2. Il museo
in Italia non è autorizzato a vendere o a scambiare, solo in via provvisoria, perché è di tutti, questo
ci differenza dai musei americani, che sono privati quasi tutti. 6.4. Rapporto tra esposizioni
permanenti e temporanee, dibattito, in questo tempo c’è molta più facilità a comunicare
disponibilità alle mostre, deriva dalla cattiva comunicazione delle mostre permanenti. 7. Rapporti
del museo con pubblico e relativi servizi, si occupa dell’aspetto pratico, come si presenta il museo
all’esterno, le barriere per gli utenti, e anche aspetti per cui il museo deve ordinare, interpretare e
valorizzare il proprio patrimonio. 8. Rapporti con il territorio, peculiare natura del patrimonio
storico italiano, importanti per capire la realtà italiana, in cui si raccolgono oggetti che parlano del
patrimonio identitario del territorio, ed è a quello che si deve, un museo civico ha come vocazione
quella di raccontare un territorio da cui provengono le opere, deve ragionare come può essere
visibile la storia, capire come le opere vengono da un famoso collezionista per esempio, legami
che fanno la peculiarità di molti dei nostri musei.
18/09
Questione dei rapporti con il territorio e il personale, il primo fatto importante, è prescritto come
in ogni museo l’assunzione di appartenenza di un museo a un territorio andrebbe chiaramente
indicata, non è una cosa in più, cura del pubblico e dei rapporti con il territorio, le sue istituzioni,
università, scuole, cittadini, sono aspetti primari a cui si dovrebbe dedicare adeguato personale. A
proposito di questo ICOM Italia ha sviluppato una serie di indicazioni su quali sarebbero le
professionalità adatte a un museo, al centro c’è il direttore, e poi sono individuati 4 ambiti
professionali, l’ambito della cura, ricerca e gestione delle collezioni, il conservatore, il registrar e il
conservatore, che è il funzionario che si occupa di studiare la raccolta, classificarla, i restauratori di
solito danno in esterno, il registrar si occupa del controllo, della catalogazione e del controllo delle
opere, quando entrano ed escono da una mostra, e stila le schede con le condizioni periodiche.
Parte di controllo amministrativo, finanziario e gestionale, sarebbe impossibile riempire con una
persona tutte queste caselle nei piccoli musei, mentre in quelli grandi c’è un ufficio di digital media
con molto personale, parte del rapporto con il pubblico, servizi educativi, e coordinatore dei servizi
di accoglienza, la tendenza è quella di esternalizzare alcuni di questi servizi, si fa un appalto
all’esterno a delle ditte specializzate, nella di grave di per sé, ma poco efficace quando si perde il
contatto tra ente appaltatore e società che appalta, deve esserci una comunicazione, ad esempio
non ci si interessa poi alla accoglienza o all’educazione. Parte più tecnica di impiantistica,
sicurezza, la rete fisiche che sostiene il museo. Complessità e quantità di mestieri che ruotano
attorno a un museo, potenzialità ed esigenze dei musei, i musei hanno bisogno di professionalità
nuove, che sappiano conoscere la realtà museale, per legge a tutti i musei in questo momento il
MIUR ha inviato delle competenze, in cui si raccomanda di realizzare un servizio web, e in questo
si dovrà ricorrere a società esterne, ma comunque si deve imparare a dialogare con le istituzioni,
riesco a propormi in un modo più adatto alla situazione. Analizzeremo la sede, il contenitore, le
caratteristiche fisiche, tratteremo sempre di un ordinamento, criterio storico, museologico,
tratteremo dell’allestimento, criterio museografico, la struttura amministrativa, la conservazione e
il restauro, e la comunicazione e il pubblico. Si deve saper collocare il museo nella storia per
decidere cosa farne oggi. Dall’origine della parola museo, non esiste una data di fondazione della
museologia, collezionare è l’attività antropologicamente dell’uomo, tipologia, modo di esporre le
opere ha un’origine rinascimentale, anche se la parola museo veniva usata prima, in greco vuol
dire luogo delle muse, esempio di Strabone, che lo usa per definire il luogo nella biblioteca di
Alessandria in cui si trovano gli studiosi, oppure i tesori nelle chiese del medioevo, oppure i trofei,
raccolta di opere d’arte prese quando si vinceva una battaglia. Da ricordare è da un lato che la
parola museo è stata usata per descrivere realtà diverse da quelle che noi oggi consideriamo
museo, e per queste si usavano anche altre parole, come galleria o pinacoteca. Dal punto di vista
teorico, si è provato a ragionare su cosa distingue una collezione da un raggruppamento casuale di
cose, intanto la collezione è una raccolta di oggetti che vengono tolti da circuito d’uso ed
economico, i beni devono essere tutelati dalla dispersione, dal furto e dalla distruzione, poi che
siano esposti allo sguardo, per poter considerare quanto valgono, anche se in alcuni momenti della
storia non è sempre stato così, e poi devono essere disposti in uno spazio preciso, nessuna
collezione è un’accozzaglia di cose, c’è sempre un ordine, anche se non chiaramente visibile, non
dobbiamo mai applicare i nostri criteri attuali nelle collezioni del passato, non è mai un
accatastamento. Tipologia di raccogliere le collezioni, lo studiolo, che troviamo ricorrente nel
mondo degli umanisti europei tra la fine del ‘300 e il ‘400-‘500, abbiamo diverse fonti, in
particolare Petrarca, nel De vita solitaria, descrive il programma iconografico per lo studiolo di
Belfiore a Ferrara voluto da Lionello d’Este, in cui racconta di questi luoghi particolari, ce ne sono
diversi e sono differenti l’uno dall’altro, ma possono avere delle caratteristiche ricorrenti:
generalmente lo studiolo è un luogo appartato, non è al centro del palazzo, non è in un luogo
frequentato, non sono mai ambienti grandi, con pianta quadrata o rettangolare, e spesso con una
volta a botte, generalmente privi di illuminazione diretta, con una piccola finestra e una veduta
pittoresca, tema dell’illuminazione, che sarà fondamentale in seguito, è un po’ invertito, il luogo in
cui l’intellettuale si ispira si concretizza in ambienti piccoli e chiusi, non sono luoghi di passaggio e
rappresentanza, aperti a pochi, e il criterio di selezione delle opere è quello di raccogliere oggetti
utili allo studio e meditazione dell’intellettuale umanista. Petrarca descrive lo studiolo, e anche il
programma iconografico, dal punto di vista iconologico sono molto legate al gusto del
collezionista, non c’è una classificazione standardizzata, l’intellettuale si circonda di oggetti che lo
ispirano, e quindi possono essere vari. Studiolo di Federico da Montefeltro nel palazzo ducale di
Urbino, che nel ‘400 è una città importante, cultura rinascimentale di grande raffinatezza, nucleo
collezionistico che finisce nello studiolo è del 1474 e lo studiolo è progettato per il duca da due
degli architetti più apprezzati, Francesco di Giorgio Martini e Laurana. È il duca che immagina lo
spazio, lo formula attorno alle proprie predilezioni, è una stanza appartata, immaginata come un
piccolo studio in cui il duca si circonda delle muse e degli oggetti che fanno parte del suo modo di
studiare, coprire la stanza con delle armadiature, nel registro inferiore armadiature intarsiate, in
quello superiore dipinti che rappresentavano alcuni personaggi illustri dell’antichità e della
contemporaneità, rappresentati in scorcio prospettico, ruotati, come se fossero a conversazione
con lo studioso, idea di exempla virtutis; armadiature realizzare da Baccio Pontelli e Francesco
Giovanni di Matteo, che ricostruiscono in modo prospettico dei sedili su cui sono appoggiati degli
oggetti e poi delle armadiature che fingono e rappresentano in prospettiva quello che potrebbe
essere dentro, gusto per la finzione prospettica. Come scelta degli oggetti in questa collezione, in
uno studiolo quelli preziosi possono venire dal mondo dell’arte, della scienza, strumenti musicali,
libri, che erano una rarità, che facevano parte delle cose più preziose che servivano ad arricchire
l’esperienza di un collezionista. Parte superiore dello studiolo con dei ritratti, registro soprastante,
interessavano anche per l’artista che le aveva dipinte, ma anche la scelta interessante dei
personaggi in dialogo con chi le aveva scelte, e armadiature, armadi che fingono in prospettiva dei
sedili, raffinatezza dei livelli, si finge sull’armadio un armadio aperto, con dentro delle sculture,
strumenti musicali, e alcuni sono apribili, che dentro contengono dei veri oggetti, idea diversa di
come esporre e custodire. Studiolo di Isabella d’Este, studiolo di una donna, lei era molto potente,
erede della casata d’Este, poi sposa i Gonzaga, legata ad alcune committenze molto importanti a
Mantova, come Mantegna. Lo studiolo viene allestito negli ultimi anni del ‘400, spazio piccolo,
rettangolare, programma iconografico è dettato dalla stessa Isabella, costruito attorno al tema dei
vizi e delle virtù, tema delicato, e anche un altro tema, confronto tra antico e moderno, studiolo
che ha due livelli, in quello superiore lei seleziona una serie di dipinti di artisti a lei cari, come
Mantegna e Costa, che rappresentano il tema della lotta tra vizi e virtù, opere adatte a quel
contesto e a quello studiolo. Uno dei più documentati e ricchi è quello di Francesco I de’ Medici a
Palazzo Vecchio, programma iconografico fatto da Vincenzo Borghini, che lo descrive a livello
programmatico, descrive l’obiettivo del committente e come lo ha programmato, idea non di
esporre la collezione, ma creare un luogo di raccoglimento e che corrispondesse anche alle
passioni di Francesco I, in particolare l’alchimia, scienza che studiava anche la trasformazione della
materia, abbiamo una serie di lettere di Borghini che descrive il programma di immagini. Anche in
questo caso ci sono due registri, tutto lo studiolo è pensato attorno ai 4 elementi della natura, che
consentono lo studio della scienza e dell’alchimia, pianta rettangolare, poche finestre, volta a
botte, non tutte le opere esposte, no illuminazione, tutta la disposizione delle opere e la
decorazione è ispirata ai 4 elementi della natura, nei soffitti vengono dipinte le divinità che
presiedono agli elementi naturali, e la scelta dei dipinti collocati su pareti e armadiature lignee
sono dipinti ispirati agli elementi naturali, nel livello superiore casi di ingegno dell’uomo che si
applica alla natura, in quello inferiore scene mitologiche ispirate agli elementi della natura, tutto il
programma è raccolto attorno alla passione in quel momento del collezionista, e anche tutti gli
oggetti erano a lui legati, oggetti di bronzo, arti applicate, ma anche strumenti musicali, gemme
preziose, pietre, oggetti che si riferiscono al lavoro dell’uomo sulla natura. In generale gli studioli
riscontriamo un effetto di saturazione dello spazio, piacere ad essere circondati dagli oggetti, e
corrispondenza tra passioni intellettuali del collezionista e la selezione delle opere che vengono
collocate nello studiolo. Lo studiolo è il luogo dell’intellettuale umanista, le fonti ci raccontano che
non era importante che fosse al centro della casa, riservato a pochi. Importante conoscere la
cultura attuale di un’opera, anche dello studiolo, opere che hanno valore per come sono state
collocate.
Altro modo di esporre e collezionare le opere dell’antichità in Europa, le wunderkammern, oggi le
definiremmo musei naturalistici, tipologia che si diffonde tra ‘500 e ‘600, anche per motivi di
conquista, ce ne sono diverse in Italia, ma si diffondono anche nel nord Europa e in area tedesca,
anche queste hanno caratteristiche comuni, ma sono legate anche al luogo in cui nascono. Come
fonti abbiamo incisioni che possono essere messe come frontespizio degli inventari delle raccolte,
non cataloghi scientifici, incisioni che non possono essere considerate fotografie, ma ci danno
l’idea di molte caratteristiche ricorrenti, come la compresenza di oggetti della natura e oggetti fatti
dall’uomo, naturalia e mirabilia, la principale selezione è fatta sulla base della rarità, stranezze
della natura e cose meravigliose fatte dall’uomo. Le colleghiamo ai viaggiatori, dopo il 1492 si
inaugura una grande stagione di scoperta del mondo, e in questa cultura europea l’idea di avere
oggetti provenienti da luoghi irraggiungibili e misteriosi, amplia il concetto di rarità, che viene da
un mondo parzialmente esplorato. Per l’allestimento, effetto di saturazione e abbondanza, meglio
avere più varianti, no bisogno di distanziare oggetti per vederli meglio, distribuiti uniformemente
su tutta la superficie. Una delle collezioni più famose è quella di Aldrovandi, a Bologna, che
sviluppa una collezione legata al mondo naturale, delle piante, e minerale, lui si scambiava lettere
con altri appassionati di rarità, e nel caso in cui non si avesse la singola specie anche disegni
potevano supplire, rappresentavano comunque una conoscenza, e anche la biblioteca faceva parte
della collezione, e sarà così fino al ‘700, i libri sono ancora rari. Wunderkammern di Ferdinando
Cospi, del 1677, non c’è una classificazione di cose è dell’uomo e cosa della natura, ricerca di un
disegno interno, micro simmetria, no una disposizione con classificazione scientifica, piacere di
vedere misti le meraviglie dell’uomo, come le armi, frutto dell’ingegno dell’uomo, come una
scultura o un vaso o un busto, e anche farsi circondare da meraviglie. Idea in generale dell’effetto
di riempimento, e anche idea generale di cose non immediatamente visibili, che possono essere
chiuse, collezioni in cui finiscono anche le cose antiche, ci finiscono cose di etnografia anche.
Manfredo Settala, i dipinti, sculture, piccoli vasi, fanno parte di un insieme complessivo, stanno
assieme a coccodrilli, conchiglie, e iscrizioni, perché era una delle meraviglie dell’uomo. Museo
Kircheriano, allestito attorno alla metà del ‘600, nucleo originario di Alfonso Donnini, anche se
l’allestimento si deve a Kircher, e legato ai gesuiti a Roma, che evangelizzavano le terre appena
scoperte, e è anche interessante che quest’ordine religioso avesse raccolto a Roma una raccolta di
oggetti provenienti da questi viaggi, uniti a che a cose che non si conoscevano, gli obelischi,
facevano effetto di rarità, della natura, dipinti, descrizione del coccodrillo. Caso interessante di una
raccolta che poi nell’800, quando la cultura scientifica, museologica e museografica, viene
smembrata, perché ciascuna delle parti della wunderkammern diventa un pezzetto di museo
ottocentesco, tipo di collezionismo che funziona fino alle soglie della cultura scientifica, già
dall’illuminismo, che ci insegna a dividere le scienze, fa sì che questo tipo di raccolte non
funzionino più. Potevano essere legati anche al mondo locale, museo di Ole Worn,
wunderkammern legata al nord Europa, lo capiamo anche dal tipo di animali impagliati. Come
ordinamento rarità, come allestimento è il riempimento, avvicinare e mettere a confronto, tipo di
cultura collegata alla mnemotecnica, idea che per apprendere non fosse necessario studiare
metodicamente una cosa o un'altra, ma il cervello possa essere impressionato dalla visione
simultanea di più cose.
23/09
Fonti per ricostruire le wunderkammern spesso parziali, poi gli oggetti verranno separati in musei,
cultura non più accettata nel ‘700, abbiamo inventari e descrizioni ma non wunderkammern
ancora allestite. Collezione per cui è stato possibile rintracciare gli oggetti, raccolta di Rodolfo II
d’Asburgo, dal ‘500, poi ampliata, che contiene naturalia e mirabilia, ci consente di capire che
oggetti potessero essere nella wunderkammern, le arti applicate spesso usavano materiali
preziosi, via di mezzo tra naturalia e mirabilia, oggetto che ci ricorda che ha a che fare anche con
le scoperte geografiche. Dipinto che fa parte della collezione di Rodolfo II, da un lato è un dipinto,
ma dall’altro rappresenta un uomo sopravvissuto a un bastone infilato in testa, o altri oggetti tipici,
come una pietra molto preziosa poi lavorata dall’uomo, montata sopra un piede cesellato, che fa
parte della maestria dell’uomo, oggetti che uniscono le rarità naturali e quelle dell’uomo, anche
come i coralli, e oggetto di oreficeria, mappamondi di tutte le dimensioni, e anche gli scherzi della
natura, interessava molto il soggetto, non tanto l’autore, e anche l’avorio cesellato e lavorato,
materiale raro che viene da lontano. Il conoscitore, lo studioso apprezzava rapidamente la rarità
delle pietre, che corrispondevano a questo tipo di passione, oggetti che venivano da lontano,
quando le wunderkammern venivano smembrate, venivano portati in musei etnografici, oggi ci
colpisce l’apparente assenza di un ordinamento, un’accozzaglia. Testo del 1565, con un titolo
lunghissimo, opera che spiega come il sistema di raccolta, e classificazione viene paragonato al
teatro, come fosse una messa in scena, teatro che riesce a far vedere contemporaneamente tutte
le cose che si conoscono in quel momento, tipo di allestimento della parete è stato ricondotto alle
tecniche della mnemotecnica, metodologia dello studiare dell’epoca che prevedeva la visione
simultanea di tutto il sapere, esistono anche trattati che lo spiegano del ‘500 e ‘600. Noi dobbiamo
cercare di capire qual era la logica dei quel tipo di collezionismo, in quell’epoca si diffondono
anche diversi sistemi di classificazione, tipologie diverse da quella che sarà la classificazione
scientifica delle arti e delle scienze, tipologie di collezioni che vengono ricondotti alla
mnemotecnica. Se vediamo una wunderkammern oggi diciamo che è un insieme inspiegabile, ma
dobbiamo capire i criteri di allora, ci sono dei testi che ci aiutano e ci spiegano questo tipo di
cultura, come quello di Giulio Camillo che aiuta a capire che cosa è la mnemotecnica, Quicchelberg
è un medico di Anversa, appassionato di collezioni, che pubblica il testo con il titolo lunghissimo,
descrizione di un modo di disposizione, ci spiega l’ordinamento, come se fosse un teatro, non è un
insieme informe. Attenzione particolare alle collezioni delle antichità, e due spazi particolari,
tribuna degli Uffizi e tribuna Grimani. Collezioni rinascimentali, modelli e trasformazioni, se
dobbiamo guardare oggi a un museo dobbiamo considerare la sua storia, e poi ragionare sul
presente. Uno degli esempi molto celebrati nel ‘500 era la collezione di Giulio II nel cortile del
Belvedere, abitudine di collocare sculture antiche negli spazi aperti, può capitare durante la
costruzione delle città, costruendo fondamenta di un palazzo si trovavano delle sculture,
scavando. Cortile del Belvedere, grande spazio progettato da Bramante nei giardini vaticani, in
questo grande giardino durante il ‘500 vengono collocate alcune delle sculture più importanti
scoperte in quel periodo, collocate all’aperto, il Laocoonte, il Nilo, e l’Arianna dormiente, e alcune
di queste sono trasformate in fontane, cercare di capire la cultura dell’epoca, in questo modo
queste sculture venivano valorizzate e copiate, era il modo di quell’epoca di godere di queste
sculture antiche. Cortile del palazzo della Valle a Roma, uno degli spazi di raccolta di sculture
antiche più pregiato, interno di un palazzo, in questo caso alcune delle sculture sono in parte
restaurate, o venivano resecate, veniva usato solo il fronte, diventerà il modello molte famiglie
romane e non, non è solo arredo comunque, venivano studiate e ridisegnate, venivano creati spazi
appositi per collocarle. In una commistione di parti reinventate, come iscrizioni vere e reinventate,
modo che durante il ‘500 avrà una grandissima fortuna, abbiamo una serie di disegni di artisti
dell’epoca, ancora a quest’epoca convivevano sculture frammentarie e sculture restaurate o
parzialmente. Tema centrale per concludere il panorama della tipologia di collezioni del ‘500
riguarda due spazi denominati tribuna, interessante che abbiano questo nome già a quell’epoca.
Tribuna degli Uffizi, siamo a Palazzo Vecchio, c’era già lo studiolo di Francesco I, siamo negli anni
’80, la tribuna è stata modificata nell’allestimento, Buontalenti è l’architetto che si occupa dei
lavori in casa Medici, è anche architetto di corte, e assieme al pittore Ligozzi e a una serie di
collaboratori. Buontalenti progetta questo spazio ottagonale, abbiamo un primo inventario del
1589 che ci descrive questo spazio, contando 7 dipinti di Raffaello, 9 di Andrea del Sarto e poi altri
oggetti preziosi, possiamo ricostruire lo spazio com’era all’inizio, da alcuni schizzi di viaggiatori,
comunque siamo in spazi privati in un palazzo, sono pochi che vedono questa tribuna, spazio
privilegiato, in cui stando agli inventari veniva allestita una selezione della collezione. Ad
osservarla si nota come fossero ricchi i richiami alle passioni di Francesco I, in particolare quella
dell’alchimia, spazio progettato con una serie di richiami agli elementi della natura, che
contribuivano alle sue passioni, e contemporaneamente è un omaggio alla casata dei Medici.
Spazio ottagonale, cupola che richiama la torre dei Venti, più che il Pantheon, anche per la
presenza della lanternina in alto, che ha il simbolo dei venti, costoloni della cupola erano tutti
decorati con incrostazioni di conchiglie, e bolle dorate su fondo rosso che fanno riferimento ai
colori della casata medici, la luce veniva dall’alto, molto poco, e poi dalle finestre lungo l’ottagono,
all’epoca c’era un dipinto continuo che rappresentava scene marine, poi pavimento con marmi
policromi preziosissimi, l’umanista di quell’epoca sapeva immediatamente riconoscere quali erano
i più preziosi, dalle descrizioni è stato possibile ricostruire che la tribuna avesse questo tipo di
allestimento, conteneva una serie di dipinti poi ampliati, una serie di sculture che poi vengono
cambiate nei secoli successivi, comunque sculture anche poste su piedistallo, e mensole su cui
erano collocati bronzetti e cassettini, apribili, con dentro gioie e pietre preziose, affinità con la
tipologia di oggetti che potevano essere nello studiolo di Francesco I. Presenza al centro della
tribuna di un tavolo, e sopra esso un oggetto, un piccolo scrigno progettato da Buontalenti, di
ebano, costruito sul modello di un tempietto, tutto coperto di pietre preziose, su una base di
argento dorato, e decorato all’antica, dentro cui c’erano 120 piccole gemme: questo ci aiuta a
capire il senso dello spazio, fa da fulcro visivo e simbolico a un ambiente che è uno scrigno
all’interno del palazzo, rimandi del tempo, anche per i viaggiatori. La tribuna non è uno spazio così
ricorrente, non è sempre presente nel palazzo rinascimentale, non è il fulcro del palazzo. Durante
gli anni ’90 lo scrigno che era al centro, con Ferdinando I, viene eliminato, e viene fatto costruire
un mobile adatto a contenere pietre preziose, addossato a una delle pareti dell’ottagono,
progettato da Buontalenti, tutto intarsiato e con pietre preziose, oggetti che colpiscono i
viaggiatori dell’epoca. Discorso generale su criteri di ordinamento e allestimento, ancora in
quest’epoca non tutto deve essere esposto, sistemi di protezione degli oggetti, non tutto deve
essere esposto alla vista, e anche qui lo spazio è stato modificato con l’ampliarsi della collezione
dei medici. Altra tribuna, all’interno di un palazzo rinascimentale, oggi questo spazio è molto
interessante, anche se un po’ problematico per cosa farci oggi, è periferico, e molto diverso,
museo che ha bisogno di essere compreso e capito, parliamo di una famiglia di antiche origini
veneziane, origine della collezione si deve a Domenico Grimani, umanista nato a Venezia nel 1461,
legato a Firenze, poi a 33 anni viene nominato cardinale e inizia a vivere tra Venezia e Roma, dove
inizia a raccogliere la sua collezione di antichità, colleziona sculture, manoscritti, gemme, camei,
con interesse ampio e raffinato. La famiglia ha una serie di problemi perché il padre partecipa a
una flotta veneziana sconfitta dai turchi, e finisce in esilio, poi la famiglia avrà sempre questa cosa
di rivalsa, oltre a che orgoglio, nel 1521 il padre Antonio viene eletto Doge, la famiglia continua ad
acquisire antichità a Roma, che in parte vengono portate a Venezia, descrizione di Sanudo, libreria
con molti libri bellissimi, e anche sculture, trovate nel terreno a Roma dove Grimani si sta facendo
costruire il palazzo. Già Domenico fa una operazione per l’epoca importante, decide di legare il
proprio patrimonio alla città di Venezia, e donare 16 sculture alla Serenissima, fatto che non viene
preso bene dagli eredi, che tentano di riprendersi queste sculture, idea di legare il patrimonio al
valore pubblico, collezionismo della famiglia continua con il nipote, Giovanni Grimani, molto in
contatto con gli artisti dell’epoca, come Palladio, Giovanni da Udine, che collaborerà con Raffaello.
Giovanni Grimani diventa vescovo di Caneda e poi patriarca di Aquileia, e durante la vita
ingrandisce la collezione, non diventa mai cardinale, viene accusato di occhiare alla riforma
luterana, e per questo ritorna il tema di difesa della famiglia, mecenate che recupera la collezione
dello zio. A Venezia vengono raccolte le prime sculture originali greche, Venezia è uno dei primi in
cui arrivano opere greche, la maggior parte del collezionismo è fatto da sculture romane al tempo.
Grimani fa restaurare da Tiziano Aspetti quelle originali greche, e Giovanni commissiona la nuova
ristrutturazione del palazzo come lo vediamo oggi, la facciata principale è sul canal grande, e
anche un ingresso in una calle laterale, ingresso particolare, portone che ci dice quanto portassero
a Venezia una tradizione diversa, più vicina al gusto fiorentino e romano, individuate due fasi
costruttive, la prima che vedeva coinvolti Francesco Salviati e Giovanni da Udine, e la seconda con
Federico Zuccari, in cui viene costruita la tribuna, palazzo che assume l’aspetto di un palazzo
rinascimentale e manierista centro italiano, palazzo che si articola attorno al cortile centrale, con
una serie di sale, uno scalone monumentale, in cui si alternano momenti decorativi costruiti con
intarsi di pietre preziose, e c’era anche l’inserimento della collezione d’arte, sistema di stucchi,
collezione di dipinti e sculture con ispirazione dall’antico, decorazione in stucco tutta pensata
attorno alla collezione d’arte, la decorazione stessa aveva un legame stesso con la raccolta, stretto
legame tra decorazione e raccolta d’arte. Della prima fase famoso il camerino di Apollo, con le
grottesche, che erano famose dopo la scoperta della Domus Aurea, tipo di decorazione che a
Venezia era molto meno diffusa. Sistemi decorativi erano costruiti attorno all’allestimento, sistema
comunque frequente, oggi è strano perché queste opere non ci sono più. Scalone successivo degli
Zuccari, scala ovale, aspetto attuale di una collezione importante e originale per Venezia, a cui
manca la raccolta d’arte per cui era stata pensata. Camerino con decorazione a racemi, in cui sono
nascosti degli animali tra il fogliame, allusione alle verità svelate, e ripetute, spazio particolare con
decorazione recuperata, ma vuoto. In questo sistema di sale, quella principale, che non è al
centro, la tribuna, spazio quadrangolare, con soffitto a cassettoni che richiama il Pantheon o la
Sacrestia Nuova, illuminato dall’alto con lucernari, con un sistema di sostegno in cui c’era il meglio
della raccolta di Grimani, le fonti dicono che il progetto è voluto da lui, che trova una soluzione
rara, allestisce Ganimede e l’aquila appeso al centro, sospeso nell’aria, lo spazio è privilegiato, non
enorme, ma che doveva essere affollato di sculture antiche, prezioso contenitore disegnato
all’antica pieno di sculture antiche. Non si può avere un’opinione di un museo senza conoscerne la
storia. La famiglia va in crisi verso ‘700 e ‘800, con la caduta della Serenissima nel 1797, inizia la
dispersione della raccolta, fino al 1897 quando il palazzo viene venduto a una compagnia privata,
ci sono dei diversi passaggi di proprietà, diventa palazzo di uffici, versa in sempre peggiori
condizioni, quando nel 1971 una compagnia lo mette in vendita e lo stato esercita il diritto di
prelazione e compra questo palazzo. Nel 1984 iniziano i restauri, esemplari dal punto di vista dello
studio, con la storia della famiglia, committenza e collezione, è stata fatta una messa a punto degli
impianti, che servono anche ad essere museo, lavoro lungo e dispendioso, ma fatto bene, e
recupero della parte originale del ‘500. Nel 2001 quando il restauro viene ultimato si decide di
istituire qui il Museo di Palazzo Grimani.
24/09
La famiglia Grimani possedeva diversi palazzi a Venezia, quello di cui stiamo parlando noi è quello
di Santa Maria Formosa. Museo che ha problema di scarsa visibilità, fisicamente è fuori dai
percorsi, e poi ha uno stile diverso dagli altri di Venezia. Museo permanente, i problemi sono
molteplici, c’è una grossa differenza come missioni, possibilità economiche, risorse, differenza con
le mostre temporanee, il museo permanente deve comunicare il proprio patrimonio, che nel caso
di palazzo Grimani è senza opere, è architettonico, ed è anche parte dei musei che sono sotto la
direzione regionale musei, che ha un solo direttore, e riunisce molti musei diversi, ed è quindi
statale, è importante considerare ciò, quando c’è stata la Riforma Franceschini il governo ha
selezionato dei grandi musei, a cui sono stati dati finanziamenti e grandi direttori internazionali,
come per esempio a Venezia le Gallerie dell’Accademia, tutti gli altri sono stati raggruppati sotto
questa direzione regionale, che da un lato è un fatto positivo, che mette in rete, ma ha meno
finanziamenti, e poi è raggruppata con musei di altre tipologie, tanto che questo museo non ha un
sito suo, viene fuori il sito della Direzione regionale Musei, il direttore Ferrara ha messo in campo
un progetto interessante, peculiarità dello spazio, fatto positivo ma che complica la situazione, non
è uno spazio neutro, la storia diventa molto importante, negli anni sono state fatte diverse cose,
ora ci sono 3 strumenti per vedere il museo, una visita virtuale, fatta da una società che ne ha fatti
tanti in Italia, tipo di strumenti che possono essere usati come primo gancio turistico, non
strettamente conoscitivo, strumento che aiuta a dare visibilità ed esplorare lo spazio, problemi di
difficoltà di soluzione fisica del museo, assenza delle opere tempo fa era stato fatto un progetto di
restituzione virtuale, Musei Ritrovati, in cui vengono proposti tour virtuali con le opere ricollocate,
e per ciascuna viene fuori l’oggetto con la opera, la cosa interessante consente di studiare come
poteva presentarsi nel complesso, e poi sempre su questo museo, il direttore Ferrara ha colto
l’opportunità, interventi di restauro nella Marciana, è stato fatto un accordo tra diverse istituzioni,
regionale e statale, per collocare provvisoriamente nella tribuna le sculture vere, che
generalmente sono in altri musei, e c’è anche la presenza di grossi sponsor, con dei visori di realtà
aumentata, con anche delle audioguide fatte da attori. Differenza che c’è con il riportare lì le
strutture vere, rimane la distanza, esperimento fortunato in cui gli originali tornano nella tribuna.
La Galleria nel ‘600, si inizia già dalla fine del ‘500, ripetersi dell’allestimento di uno spazio
specifico delle opere, che già in quel momento viene definito galleria, termine che noi oggi usiamo
in vari termini, nella storia, nei dizionari storici, la galleria è uno spazio specifico del palazzo
dedicato ad allestire il meglio della collezione. Gli studiosi dell’architettura e collezionismo del
‘600, hanno riscontrato di come nelle diverse realtà geografiche dentro gli spazi privati i dipinti
iniziano ad avere un ruolo che ha molto a che fare con il sistema sociale e di rappresentanza, che
in questo secolo diventa sempre più codificato, la cerimonialità mondana, il modo di relazionarsi,
viene codificato, si diffondono trattati di buone maniere, o di come ci si comporta, la diplomazia, si
discute sull’etichetta, su come accogliere un visitatore, come si deve far annunciare un padrone di
casa, da qui le questioni dell’etichetta avevano una ricaduta sugli spazi fisici dei palazzi, li
accomuna il fatto che gli spazi vengono frazionati e accomunati a momenti, con differenza tra
momenti pubblici e privati, come ad esempio nei palazzi romani, con una serie di anticamere, in
cui l’ospite veniva accolto, ogni sala aveva una sua funzione, si partiva dalla scala, ogni stanza
aveva un suo ruolo con la cerimonialità, poi c’era una sala d’udienza, in cui il padrone di casa e gli
ospiti si dovevano disporre in un certo modo, poi c’erano una serie di camere e poi la parte
privata, e anche le opere d’arte potevano assolvere alla funzione di cerimoniale, ed erano
funzionali a questo, ad esempio nelle sale di udienze si disponevano dipinti di storia, di battaglie, o
di caccie, dipinti selezionati per il tema che rappresentavano, ordinamento tematico funzionale
all’uso della sala, nelle sale private potevano esserci dipinti con soggetti più lascivi o mitologici, e
nelle cappelle religiosi, non era un criterio assoluto, ma comunque il soggetto era la cosa
principale da valutare nella disposizione nelle diverse camere, dobbiamo cercare di capire lo scopo
e come dovevano essere disposti, spesso succedeva che le pareti erano molto piene, dall’alto, più
si riusciva a metterne meglio era, anche per impressionare l’ospite, spesso con l’aggiunta di arredi
e sedute. Nei palazzi più importanti va progressivamente ad accostarsi a questo la presenza di un
ambiente che viene definito galleria, ambiente specifico che si origina nella storia dei musei dalla
tradizione francese, in particolare dal castello di Fontainebleau, attestato dal 1540, è il padiglione
di caccia con dipinti di Rosso Fiorentino e Primaticcio, ambiente che poi verrà molto copiato e
riprodotto con altre caratteristiche in altri ambienti nel ‘600. È uno spazio per esporre le opere
d’arte importanti, selezionate, come criteri di ordinamento convivono sculture e dipinti, ma non è
lo spazio per gli oggetti piccoli e bronzetti, che finiscono in ambienti diversi, generalmente
dedicato a grandi dipinti e sculture. Dal punto di vista museografico è un ambiente rettangolare
lungo, che unisce due aree o due parti del palazzo, ambiente in cui l’ospite veniva fatto procedere,
e questo fa sì che sia costruito con un ritmo costante, un lato aveva le finestre, per l’illuminazione,
e un lato all’esposizione delle opere, e tra le finestre potevano esserci delle sculture, raccordo tra
diversi corpi di fabbrica, con apparato decorativo molto importante, troviamo ricorrente il soffitto
e i pavimenti, apparato decorativo che circonda le opere esposte, cornici e quadri con un apparato
decorativo attorno importante. Anche il soffitto spesso era riccamente decorato, o può essere
ligneo, altro esempio, Galleria dei Marmi a Mantova, sia il pavimento che il soffitto sono
ritmicamente scanditi, come l’apparato decorativo di fronte alle finestre, poteva contenere quadri
e sculture, spesso le esigenze di allestimento erano superiori alle opere, spesso i proprietari
chiedevano a un artista di ingrandire un quadro o di tagliarlo, o un dipinto veniva selezionato in
base alle sue dimensioni per stare in una galleria, disposizione architettonica dello spazio è uno
degli elementi vincolanti nella selezione delle opere, illuminazione è spesso unidirezionale,
potevano esserci ritratti della famiglia, o anche gallerie dedicate esclusivamente a un artista, ma
l’obiettivo non è mai di fare una galleria monografica di un artista o una scuola pittorica, ma creare
uno spazio che potesse esaltare le opere, difficile capire anche qui i criteri di ordinamento, come
venissero disposte le opere, a volte predilezioni del collezionista, oppure cose che andavano al
tempo, come Tiziano in confronto a Rubens, però non c’è ancora idea di vedere l’evoluzione
dell’opere, ma non c’era un criterio predominante di selezione delle opere. Anche la Galleria dei
Carracci a Palazzo Farnese a Roma, straordinaria invenzione e finzione dell’esposizione di dipinti,
sono disposti sul soffitto, e anche alle pareti c’è una galleria, con pochissime finestre, scansione
ritmica, impianto decorativo importante e selezione delle opere che confà ad esso, cose che ci
sono sempre in una galleria, ricorrere di questo sistema di ordinamento e allestimento, che viene
identificato come uno spazio specifico, secondo un sistema di allestimento in cui l’apparato
decorativo è sempre predominante e importante. Galleria di Palazzo Spada, palazzo del ‘600 di
Roma, inizia con la famiglia Capodiferro, ha le tipiche sembianze dell’architettura di quest’epoca,
venivano usate sulla facciata pezzi antichi, modo in cui le opere venivano conservate, poi quando
passa alla famiglia Spada viene affidata a Borromini la loggia in prospettiva. All’interno del palazzo
la galleria, caratteristiche ricorrenti all’interno dei palazzi del ‘600, lato con le finestre che si
illuminano, presenza di sculture e pitture su soffitto e pareti, predominanza di elementi decorativi
di allestimento che condizionano la scelta delle opere all’interno. Altro esempio a Roma, Palazzo
Doria Pamphili, museo privato, interessante perché è stato di proprietà di famiglie di grandi
committenti, vengono accolti capolavori importantissimi, e viene costruito un palazzo
appositamente, per riallestire queste collezioni familiari che venivano riunite in un’unica sede a
Roma. Negli anni ’90 del ‘900, si è deciso di ripristinare l’allestimento ‘700, che riproduceva
l’aspetto del palazzo secondo un inventario che registrava un aspetto del palazzo all’epoca, opere
disposte nel modo che era frequente nei palazzi, le prime sale sono quelle di rappresentanza, di
udienza, poi di lato ci sono gli appartamenti privati, che oggi sono accessibili raramente, e poi alla
fine c’è una galleria che in via del tutto eccezionale è articolata in quattro braccia attorno a un
cortile, non in uno solo, cosa che anche a quell’epoca era un elemento di originalità e particolare
ricchezza, ancora oggi è da vedere per farsi un’idea di come era un palazzo nel ‘700. Sala di
Poussin oggi, all’epoca era una sala d’udienza, ordinamento fatto su una base tematica, delle
caccie e paesaggi, alcune sono copie e altre di altri artisti, criterio di ordinamento è tematico, e
allestimento che è a riempimento della parete, per esposizione del massimo che si poteva avere
attorno a un nucleo tematico. Spazio della galleria, i 4 bracci sono un po’ atipici, uno dei 4 è
interamente dedicato alla scultura, gli altri ai dipinti, e quello della scultura ha anche un sistema di
specchi, con effetti scenografici anche con le finestre, idea dello spazio ritmico nella disposizione, e
spesso elemento di andamento ritmico tra struttura verticale e una piccola, o seduta, più che
scelta della singola opera perché rappresenta un artista. Questo vale anche per gli altri 3 bracci, in
questa galleria ci sono opere famosissime, di Caravaggio, Velasquez e Tiziano, e nel sistema del
‘600 non venivano disposte isolando i capolavori, ma in una sequenza continua, in cui si ricercava
un effetto di composizione, confronti o pendant, sul piano del colore o dimensionale, i criteri non
erano quelli della storia dell’arte, ma di confronto stilistico tra le opere, in un effetto di
riempimento della parete, noi dobbiamo capire che idea c’era dietro. Recentemente negli ultimi
anni è stata fatta un’operazione che contraddice questo allestimento storico, ha un valore di
interesse perché consente di capire cos’era il collezionismo nel ‘600, ma è stato recentemente
messo in discussione dai curatori, che hanno voluto estrapolare dal percorso e dall’allestimento
della galleria alcuni capolavori, in particolare di Caravaggio, scelta in contraddizione con
l’allestimento storico, i capolavori stavano nell’insieme, prendevano senso dal continuum
dell’insieme, è un senso in più che le opere davano alle opere, collezionisti che erano anche
grandissimi committenti, idea di estrapolarlo da una galleria del genere lascia perplessi. Idea di
isolare i capolavori è attuale. Giulio Mancini, idea di selezionare le opere sulla base di funzione
sociale e dimensione è un’idea che si legge nelle fonti, lui è un medico che vive nell’ambiente,
entra in rapporti con il Cardinale del Monte, è anche lui collezionista, apprezza Caravaggio, e
attorno al 1620 scrive un testo che non viene mai pubblicato ma che circola, Considerazioni sulla
pittura, in cui inserisce un capitolo che parla di valutazione del prezzo, collocazione, verniciatura e
lavatura, e cornici e tende, è interessante perché ci aiuta a capire come secondo un collezionista
dell’epoca andavano collocati i dipinti all’interno di una collezione.
25/09
Fonte interessante è Giulio Macini, testo sulla pittura per pittori dilettanti, lui descrive la casa di un
gentiluomo privato, pensando non solo ai grandi principi ma a un collezionismo medio alto, parla
delle collezioni di disegni, immagina che vengano raccolti negli album, come era pratica, e la
catalogazione di questi disegni è varia, cronologia, grandezza del foglio, le tecniche disegnative, di
esecuzione, molteplicità di criteri, non è il suo problema principale, ma come conservarli e
mostrarli all’ospite. Distinzione tra uso pubblico e privato dei dipinti, considerati essenzialmente
per il soggetto, non per l’artista. Trattati dell’epoca discutevano anche come dovesse essere
orientata la galleria, per una questione di illuminazione, e si sconsigliavano le finestre a sud,
perché la luce del giorno per tutto il tempo avrebbe potuto rovinare le opere, nella galleria
secondo Mancini vanno collocate in modo vario, in ordine le materie, il modo di dipingere, poi si
possono mettere in ordine cronologico e poi eventualmente secondo la scuola pittorica, sono temi
che seguono gli interessi al tempo, o ad esempio due soggetti simili messi a confronto, noi oggi
consideriamo la scuola pittorica, in senso di area di provenienza, come principale criterio di
classificazione, ma nel ‘600 la scuola era una delle categorie, ma si disquisisce di più su colorito,
composizione e disegno, sono i tre criteri su cui si classificano i pittori, la scuola pittorica non era il
criterio prevalente, che si può riscontrare dagli inventari e da fonti come quella di Mancini. Nel
‘700 le cose cambiano, una delle cose ricorrenti è la trasformazione da collezioni private a musei
pubblici, tema molto discusso nella storiografia, molti dicono che il primo museo pubblico è quello
della rivoluzione francese, oppure c’è anche chi dice che sia stata la raccolta Grimani donata alla
città di Venezia, ma altri hanno donato prima e non se ne esce. Durante il ‘700 la circolazione delle
idee che coinvolge tanti aspetti del pensiero, l’illuminismo, contribuisce alla riflessione sull’utilità
di queste opere, non solo come devono essere risistemato, e abbiamo molte fonti per questo, cioè
che le opere d’arte fossero utili alla formazione del patrimonio collettivo, e da un lato
partecipassero alla formazione degli artisti, mentre dall’altro alla formazione del gusto della
popolazione, le collezioni restano di proprietà privata, il primo pubblico è il museo della
rivoluzione francese perché cade la monarchia, ma iniziano le aperture al pubblico da parte di
privati, anche se non è il pubblico di massa di oggi, il dibattito si sposta a un’idea che come le idee
devono circolare, comunicazione tra gli intellettuali, così quel patrimonio prezioso deve poter
essere accessibile agli studiosi, e poi si tramuterà in una reale apertura a chiunque, anche se non
c’erano statistiche per sapere chi andava veramente. Storia degli Uffizi, nel ‘600 la collezione si
ingrandisce, membri della famiglia Medici sono sempre committenti, succede un fatto importante
nel 1737, muore Gian Gastone de’ Medici, si estingue la dinastia (muore senza figli), e la carica
passa alla sorella Anna Maria de’ Medici, la quale fa una convenzione in cui stabilisce di assicurare
alla città di Firenze per sempre la collezione dei Medici, sapeva che la collezione sarebbe andata a
un’altra famiglia, ma sarebbe sempre rimasta legata alla città e al palazzo, si riconosce in un atto
del genere il riconoscimento dell’importanza del patrimonio artistico indipendentemente dalla
proprietà, provvedimento lungimirante, tantissime collezioni si muovono per via ereditaria, il
Granducato di Firenze passa alla famiglia Lorena, e nel 1765 diventa granduca Pietro Leopoldo di
Lorena, che aveva una forte impostazione riformatrice, rimane granduca, assolutista nel senso
della politica, ma era molto interessato alle idee illuministe, fa una riforma delle tasse e
dell’interesse dello stato, amante delle arti, dell’arte antica. Quando diventa granduca si occupa
anche dell’allestimento e riorganizzazione della collezione degli Uffizi, che avviene parallelamente
sia sul piano organizzativo, riflessione sulla struttura amministrativa che deve gestire questo
museo, molto precoce, e sul piano dei regolamenti, viene emanato un primo scritto, e poi negli
anni successivi un riordinamento fisico delle opere. La collezione di proprietà rimane privata, ma
non viene più sentita come un fatto individuale, ma grande organizzazione che deve iniziare a
funzionare come parte di amministrazione dei beni. Documento scritto dal direttore di allora che
invia al granduca, ragiona su chi sono stati fino ad adesso i custodi e direttori della galleria, e mette
un albero genealogico molto dettagliato, esisteva già una macchina amministrativa che gestiva la
collezione, tradizionalmente i collezionisti del ‘500 e ‘600 avevano un pittore che si occupava di
ciò, mentre nel ‘700 questa carica di custode passa a degli antiquari e studiosi. Riflessione sulla
struttura amministrativa, si inizia a pensare a che abilità deve avere chi deve gestire e curare un
museo. Regolamenti da praticarsi nella regia galleria, pubblicato nel 1769, importante perché ci
aiuta a capire come doveva essere fisicamente la gestione di questa pinacoteca, ci sono una serie
di indicazioni che vanno lette con prudenza per capire come funzionava questo spazio. Al punto 1
si parla dei funzionari, che devono vestirsi in un certo modo, anche per distinguerli, deve essere
riconoscibile, e non possono far entrare la servitù e gente vile, dettaglio inteso come una
restrizione, ma se deve essere precisato vuol dire che c’era una richiesta, una potenzialità di
questo, non era neanche mai stato scritto un regolamento. Al punto 2 si parla di un portinaio, e si
ribadisce che le persone vili non possono entrare, e il pericolo quindi c’era, poi si dice al punto 4
che le opere non si possono toccare, oppure al punto 6 si parla di un orario di apertura,
corrispondente alle ore del giorno, e questo conferma che erano musei aperti al pubblico, poi c’è il
sistema delle chiavi, poi sempre ricondotte al direttore, e altro aspetto interessante manutenzione
delle opere al punto 8, e parla delle sculture, che dovevano essere spolverate, non si suggerisce un
restauro, ma intervento di manutenzione, già nel 1769 si consiglia che le prime ore del giorno si
spolverassero le statue e busti, quando trova qualcosa di problematico e rovinato deve essere
comunicato al direttore, nasce un laboratorio di restauro, sottolinea l’importanza di una
manutenzione quotidiana. Il regolamento prosegue con un capitolo dedicato ai quadri, non
bastano solo le spolverature, come per le sculture, si immaginano stipendi differenziati per chi
svolge questo compito, da giugno ad agosto ogni mattina si deve fare un giro delle stanze per
innaffiare i pavimenti e aprire le finestre che chiuderanno quando il sole sarà cocente,
provvedimento artigianale trovato dal museo per regolare la temperatura e umidità delle sale,
provvedimento molto interessante, fatto da un funzionario, non da un restauratore, con la
consapevolezza che questo possa aiutare. Capitolo dedicato ai forestieri, indirizzati al portinaio,
trattamento differente a seconda del rango, ed era abbastanza comune che i viaggiatori più ricchi
lasciassero mance ai custodi, che poi si dividevano. Nuovo regolamento al museo e nuovo
ordinamento e allestimento della raccolta, operazione avviata nel 1775, a quell’epoca era
formalmente nominato direttore della galleria, Giuseppe Pelli Bencivenni, un funzionario dello
stato, appassionato di disegni, ma non uno storiografo, e l’altro, che viene nominato inizialmente
suo aiuto, è Luigi Lanzi, autore della Storia Pittorica dell’Italia, un grande intellettuale studioso
dell’epoca, aveva studiato prima a Fermo e poi a Roma dai gesuiti, e aveva iniziato a interessarsi
alle collezioni dell’epoca, poi era diventato uno studioso di antichità, studio della lingua etrusca, e
assieme alla riscoperta delle antichità classiche nel’700 nasce l’etruscologia come disciplina, prima
venivano messe tra le rarità nelle wunderkammern. Dopo il lavoro al museo si dedica alla Storia
pittorica dell’Italia, prima storia dell’arte complessiva dell’arte italiana, non partendo dalle vite,
importante perché anche lì sta studiando e andando in giro per l’Italia a studiare la storia dell’arte,
a collocare gli artisti e a raccogliere informazioni. Tra la fine degli anni ’70 e inizio ’80 lui si occupa
di ripensare la collezione degli Uffizi, scavalcando Pelli Bencivenni, e aveva scritto una lettera al
Granduca in cui descriveva la galleria pensata in uno stato confusionario, poco ordinato, perché
era un accumulo delle collezioni di ‘500 e ‘600, e nell’82 pubblicherà nel giornale dei letterati
(voleva rendere pubblico quello che pensava) un lungo saggio in cui descriveva il suo lavoro nel
museo. Lui fa una descrizione della galleria prima del suo intervento, c’erano delle armi (Muse
assieme a Marte), c’è anche una camera delle matematiche, cioè con strumenti scientifici, e poi
porcellane, Lanzi descrive una raccolta fatta di progressivi accumuli ereditari, in cui secondo lui
non esiste un condivisibile criterio di organizzazione, e in cui convivono armi, oggetti scientifici,
bronzi. Vediamo come nel ‘600 una cosa che era positiva, come la presenza di strumenti scientifici,
diventa poco accettabile nel ‘700, perché c’era stata l’evoluzione del pensiero scientifico, dopo
Newton, e infatti Lanzi eliminerà l’armeria, che collocherà fuori dal palazzo nelle altre residenze
dei medici, e anche tutti gli strumenti scientifici e naturali, che andranno a formare il nucleo di un
museo scientifico che verrà aperto. Superare idea della galleria medicea come un insieme di
oggetti che vengono per via ereditaria, cercare di dare un ordinamento scientifico, e togliere tutto
quello che lui riteneva superfluo, come l’armeria o raccolte di storia naturale, e selezione dei pezzi,
non era un museo con poche opere, ma se deve fare delle sequenze scientificamente credibili
deve integrare delle opere che i Medici non avevano e far spostare e nelle residenze opere di
meno valore, e poi tenta un ordinamento per macro cronologie. Arte degli etruschi rappresentava
l’epoca classica della Toscana, attenzione all’antichità e identità di essa. Le stanze tematiche erano
ordinate in base alle tipologie di oggetti, Lanzi fa anche un lavoro sulle sculture, fa uno scambio
anche con villa Medici a Roma, fa un gabinetto di pitture fiamminghe, inizia la divisione per scuole,
si sta studiando il lavoro di studioso che lui faceva con il lavoro fisico che fa dentro la galleria, isola
anche un gabinetto di stampe e disegni, e uno di scultura, e ancora non ha la varietà per costruire
tutte le storie pittoriche nel museo però inizia a sottoporre questa raccolta che veniva da nuclei
difformi a una classificazione scientifica. Gli Uffizi hanno una documentazione importante, e
museo virtuoso, in cui i funzionari hanno condotto ricerche interessanti, come quella condotta da
Anna Floridia, che pubblica uno studio fatto su una serie di registri di un portinaio che registrava
chi entra, il portinaio segnava quando conosceva il nome e cognome, e da qui sappiamo che gli
artisti frequentavano i musei, e anche i personaggi importanti, ma anche presenza di persone
comuni, non c’è nome e cognome, ma magari c’è scritto un avvocato, o portantini, o macellaio,
un’ostessa, e anche cose curiose, si tratta di presenze rare, ma non dobbiamo applicare gli studi
quantitativi attuali, specchio di una nuova modalità di fruizione di queste collezioni, da un lato
l’aristocratico apre la collezione come segno di liberalità, a cui corrisponde anche una
frequentazione di una classe medio borghese, diversa da quella aristocratica. Inizia a diffondersi
idea di un piccolo catalogo, diffusione di piccoli cataloghi tascabili, rappresentazione spesso
mediata dalla cultura aristocratica, maggio è il mese con numero massimo di visitatori, perché è il
mese del patrono di Firenze, e quindi ce n’erano di più, e poi a settembre e ottobre anche, mesi
ideali, e poi anche distinzione tra stranieri e italiani, non erano solo visitatori del Gran Tour, anzi, il
contrario, la Toscana maggiore provenienza di visitatori, abbiamo una serie di rappresentazione di
pittori, che ci fanno vedere in modo simbolico di come si poteva stare nella galleria, in cui si sono
riconosciuti dei camerieri che facevano le guide al museo. Altra studiosa ha studiato il
funzionamento del real museo di fisica e storia naturale, che è uscito alla fine degli anni ’70 con gli
strumenti scientifici eliminati da Lanzi dagli Uffizi, e ha molto successo, anche questo viene aperto
al pubblico e ha un regolamento, ed ebbe più successo degli uffizi. Idea del museo del ‘700,
collezione che rimane privata me che diventa accessibile a un pubblico più ampio. Due casi
tedeschi, molto celebrati all’epoca come innovativi, uno è l’allestimento nel museo di Düsseldorf
della collezione d’arte dell’elettore palatino, e l’altro è l’allestimento della collezione d’arte a
Vienna, e vediamo che l’idea di fare un ordinamento scientifico porta all’idea di costruire sulle
pareti del museo questa divisione per storie pittoriche. Düsseldorf era una collezione che si era
accumulata nei secoli precedenti, e che dal ‘700 viene chiusa in delle casse, era scoppiata la guerra
dei 7 anni, poi finita, negli anni ’60, si decide di ripensare l’allestimento del castello e della galleria,
e il lavoro che viene fatto è raccontato da un catalogo che descrive questo lavoro, e c’è uno
scontro tra il tradizionale direttore di una galleria nobiliare, che era un pittore, che progetta un
cambiamento, e l’arrivo deciso di von Mechel a ripensare la collezione. Lavoro di ordinamento e
allestimento lo si ricostruisce dal catalogo del 1768, catalogo ragionato e figurato dei dipinti, non
era solo un catalogo, ma ragionato, i dipinti devono essere sottoposti a un criterio di catalogazione
scientifico. È un catalogo lussuoso, che si apre con una pianta della galleria del momento, a ferro
di cavallo, sviluppata su due piani, e ci fa vedere anche lo spaccato, prodotto pensato per un
pubblico internazionale, non per andare in giro nel museo. Sala per sala, e parete per parete,
vengono presentati tutti i quadri, restituzione grafica molto fedele di ordinamento e allestimento
del momento, sopra ogni dipinto c’è l’autore e un numero, che fa riferimento alla parte testuale
del catalogo. Comincia l’idea di un ordinamento per scuole pittoriche, e all’interno di esse c’è
anche una sorta di divisione cronologica, ordinamento che inizia ad avere una classificazione
scientifica, e anche allestimento che riprende abitudine del ‘600 di riempire la parete, obiettivo
esporre il più possibile, c’è simmetria e ordine, e si nota che spesso sulle pareti si creano confronti
nella stessa scuola su artisti diversi, che vengono accostati per capire quali fossero le differenze, e
c’era anche una sala dedicata a Rubens, perché avevano tanti quadri di esso. Fatto questo
percorso per immagini a questo corrispondono schede di catalogo che rappresentano
un’evoluzione e un modello, siamo nel 1778, e la descrizione del dipinto avviene su più piani,
rapporto diretto tra incisione e scheda dell’opera, autore, titolo, dimensione, materia su cui è
dipinto e con cui a volte, poi c’è una descrizione stilistica e di interpretazione del quadro, e a volte
anche provenienza e traduzione della firma, l’opera è studiata nei suoi aspetti materiali e storico
artistici. Strumento pensato per il pubblico, che vuole raccontare, von Mechel era un esperto
incisore, fatto per diffondere la notorietà della operazione di allestimento in tutta Europa, e verrà
celebrata per la novità, e in alcuni contesti viene criticato, come un po’ incomprensibile, troppo
innovativo, classificare in modo sicuro il sapere.
30/09
Von Mechel stesso, dopo Düsseldorf e dopo aver lavorato a Dresda, in cui aveva fatto un
provvedimento e iniziato a dividere le scuole, vede l’ordinamento della galleria di Vienna. Caso
interessante perché Mechel scrive un testo che spiega le ragioni di questa descrizione delle sale, e
gli studiosi recentemente hanno fatto una ricostruzione virtuale delle sale. Vienna al tempo è un
caso che diventa subito famoso, percepito come molto innovativo, anche in questo caso ci furono
anche pareri discordi, sembrò troppo ordinato. Scontro tra due personalità anche qui il custode
della collezione dei dipinti a Vienna era John Rosa, che era anche lui un pittore accademico, e sulla
base del fatto che Mechel aveva fatto queste esperienze, nel 1768 Maria Teresa d’Austria lo
chiama per riordinare i dipinti della casa d’Austria, contemporaneamente alla costruzione di un
nuovo spazio espositivo, nel Belvedere inferiore, in cui Maria Teresa fa spostare la collezione
d’arte con l’obiettivo di aprirla a un più vasto pubblico, esplicita nel voler educare il gusto della
popolazione, passaggio all’idea del patrimonio artistico che ha un valore pubblico, per la
collettività, passaggio che ha diverse acquisizioni. Collezione che si era accumulata nei secoli, per
trasformarla in un museo chiama Mechel, che fa un lavoro profondo, studia la collezione in 3 anni,
e la riallestisce, in un ordinamento per scuole, dalla francese alla tedesca alla danese a quella
italiana. Nel 1781 il museo viene aperto al pubblico, c’era un regolamento, accessibilità delle sale
tre volte a settimana, era vietato ai bambini, quindi potenzialmente potevano andarci, poteva
entrare chiunque purché si avessero le scarpe pulite (vietato nei giorni di pioggia), dettaglio
significativo, vuol dire che questa apertura non era per un élite selezionata, comunque si lasciava
aperto, ma la dignità del luogo richiedeva una selezione di un qualche tipo, accessibilità che era
sempre sentita come una gentile concessione dinastica. Von Mechel fa un ordinamento quindi
molto innovativo, che inaugura una tradizione che riguarda l’ordinamento delle pinacoteche che
ha avuto una fortuna incredibile. Primo e secondo piano, il piano terra generalmente non si usava.
Il primo piano sequenza di gallerie, con sale piccole, 3 pareti con una con le finestre. Si entrava
dalla scala in un grande salone di marmo, tutta un’ala era dedicata alla scuola d’Italia, e un’altra a
quella fiamminga, e all’interno della scuola d’Italia sono indicate quelle regionali, prima c’era la
scuola veneziana, poi quelle monografiche, poi scuola romana, fiorentina, bolognese e lombarda,
le 5 principali su cui si era fondata anche la letteratura artistica del momento. Dall’altra parte
scuole con maestri diversi, e poi sappiamo che nelle sale era mantenuta anche una scansione
cronologica, non stretta, ma l’intento era di costruire un ordinamento cronologico, che Mechel
espliciterà, e negli angoletti c’erano degli oggettini preziosi, ma il percorso principale era diviso
geograficamente, per un criterio topografico, e all’interno una sorta di criterio cronologico,
ugualmente per la scuola tedesca e quella fiamminga. Aspetto interessante, percepito agli occhi
dell’epoca come troppo tassonomico, ci furono molte critiche, come Rosa, eccessiva classificazione
rispetto all’allestimento, inventario che ci fa vedere com’era la collezione prima di Mechel, tutto
inserito in un impianto decorativo, tutto seicentesco. Idea diversa di galleria, che riprende dalla
classificazione delle scienze e delle aree naturali, fatta anche dalla storiografia, che viene resa
visibile sulle pareti del museo. Nel 1781, finito il nuovo allestimento, Mechel pubblica un regesto,
non un grande catalogo, ma uno piccolo, che descrive parete per parete tutti i dipinti, come erano
collocati, e viene tradotto in francese qualche anno dopo, che era la lingua internazionale, quindi
ha avuto una grande diffusione. I musei stavano cambiando, lo si legge in questo catalogo
all’introduzione, obiettivo di fare una storia dell’arte visibile, non solo fare le biografie degli artisti,
ma rendere manifesta la storia dell’arte, l’esposizione deve essere istruttiva, fatto di modificare la
collezione in modo che sia istruttiva, e poi lo spiega meglio, intanto dice che è una collezione
pubblica, la paragona alla biblioteca, il visitatore deve essere immerso, si può diventare
conoscitore d’arte guardando le pareti del museo, passaggio fondamentale, pur rimanendo di
proprietà privata la collezione diventa di utilità pubblica, e per questo deve essere riallestita, idea
che il patrimonio d’arte è utile alla cittadinanza è illuminista, i cittadini possono leggere storia
dell’arte sulle pareti. Catalogo super sintetico, ma i dipinti avevano i cartellini esplicativi, dedicato
al pubblico che non sa, libro piccolo che poteva essere economicamente più accessibile. La
studiosa Nora Fisher, partendo dal catalogo di Mechel, è riuscita a ricollocare virtualmente i dipinti
sulle pareti, tipo di ricostruzione molto rara ma molto interessante, ancora c’è comunque la
quantità, valore importanti in questi musei, anche per tutto l’800, è un fatto di sensibilità, ma non
c’è anche qui confusione, la distanza tra i dipinti c’è e quelli importanti sono resi visibili. Mechel
dice che non è un’esposizione di capolavori, esporre dipinti anche di epoche meno considerate,
non solo quello che va di moda o i dipinti dei momenti più alti di una scuola, ma comunque
servono a illustrare la storia dell’arte. Studio dello spazio che ha a che fare anche con la godibilità
di questi.
Nello stesso secolo si iniziano a inaugurare musei aperti al pubblico anche di archeologia, al tempo
chiamati musei di antichità. Primo caso, museo Lapidario di Verona, a ordinarlo e allestirlo è
Scipione Maffei, tipico intellettuale del ‘700, aristocratico interessato ai temi dell’attualità, in
collegamento con l’Europa, viaggia a Parigi e Londra, appassionato anche di politica, in GB c’era un
parlamento, scrive di lingua, di legge, poi anche dei libretti per Vivaldi, sapeva occuparsi dei temi
più svariati, esperto di antichità e collezionista, interessato a epigrafia e numismatica, discipline e
argomenti di studio considerate autonome tra fine ‘700 e inizio ‘800, si prende in considerazione
quali sono gli strumenti per considerare la ricostruzione antica. Inizia a diventare una questione
importante la verifica dell’attendibilità delle fonti, e in questa prospettiva le iscrizioni, monete e
medaglie, erano di grande interesse, sembravano più solide rispetto alle fonti letterarie, copiate
per secoli, sembravano qualcosa di più stabile. Maffei è molto interessato a questi aspetti, alla
numismatica in particolare, aggiornato su quello che succedeva nel resto d’Europa, e una prima
attività nel campo dei musei è dei primi anni del ‘700, 1716, un parere che lascia sull’ordinamento
del museo di Torino, in cui si era recato per motivi di famiglia, e i Savoia lo avevano convocato a
prendere parte a un progetto, che puntava a migliorare il curriculum universitario, lui consiglia di
studiare le discipline storiche, importanti numismatica ed epigrafia, e poi attorno al ’20 un
progetto per un museo di antichità dell’università di Torino, raccogliere tutti i reperti antichi
attorno alla città e collocarli all’interno del cortile dell’università, obiettivo fare un museo che
servisse alla storia della città, che però verrà realizzato alcuni decenni dopo. Torna a Verona e
inizia a progettare un museo lapidario, che descrive in una lettera indirizzata a una contessa, che
poi venne pubblicata, in cui discute a proposito di numismatica ed epigrafia, trattano di oggetti che
sono più significativi e sicuri rispetto agli altri, sono basi sicure per costruire scientificamente
questa storia, e ricorda anche l’importanza di studiare dal vero queste iscrizioni, non fidarsi delle
trascrizioni, inizia a diventare importante il confronto diretto con l’opera, e anche che un museo
pubblico fosse necessario, quelli privati rischiavano di disperdersi, se una famiglia si estingueva la
collezione rischiava di sparpagliarsi, valore di un museo pubblico come di un luogo in cui si
conserva la storia della città. Fisicamente il museo si costruisce tra il 1736 e il 1745, viene scelto
uno spazio retrostante alla filarmonica della città, e progettata una forma interessante, scelta
museografica che avrà grandissima fortuna nella storia dei musei, costruire come pronao di un
tempio, che è a dimensione gigante, il porticato era a dimensione normale, e nello spazio protetto
allestire tutte le epigrafi. Richiamo al tempio, luogo di protezione, luogo delle muse che
proteggono le arti, diventa il tempio delle arti, e si inaugura uso degli elementi dell’architettura
classica del tempo, riuso fantasioso, non filologico, che avrà grande fortuna, sarà una cosa
lunghissima, usare le forme del tempio per indicare dall’esterno che quell’edificio è un museo.
L’altra cosa importante l’ordinamento delle epigrafi, anche qui per aree geografiche, non c’erano
scuole, selezionate come documenti storici, che poi sono i popoli che costituiscono la macro storia
dell’antichità, come romane, greche, cristiane, medievali, esotiche e spurie, che sarebbero quelle
forse non originali. Ordinamento generale del museo è topografico e cronologico, la forma
museografica aiutava questo ordinamento, sappiamo che erano disposte lungo il portico,
visitatore poteva fare un percorso in questo ordinamento. Dopo la caduta della repubblica il
museo viene smontato e modificato più volte, e dopo gli anni ’80 è stato riallestito sulla base di
fonti storiche e scritti di Maffei. Stato di conservazione reale è riprodotto nel museo. Altro caso
contemporaneo a Maffei è la nascita del museo Capitolino. Collezione dei papi aveva una antica
storia della collezione, e nel 1471 Sisto IV dona alla città di Roma alcune grandi sculture di sua
proprietà, donazione che è il primo nucleo della raccolta, ma non di certo un museo, la cui origine
si deve far risalire a Clemente XII, e all’acquisto da parte del papa della collezione Albani, che al
momento rischiava di essere venduta all’estero, lui investe molti soldi per conservare questa
collezione nel proprio patrimonio, e pochi mesi dopo decide di stabilire l’esistenza di un nuovo
museo, nella piazza del campidoglio sul monte capitolino, che ha due edifici, uno è un palazzo di
residenza, l’altro erano uffici della città, e si decide che lì andrà collocata la collezione, palazzo
esistente che riceve qualche modifica architettonica all’interno, come ad esempio anche i vetri
delle finestre. Dal 1734 Clemente XII stabilisce una struttura burocratica, che è molto più snella di
quella degli uffizi, nomina un presidente, Alessandro Gregorio Capponi, che ha lasciato un diario
del periodo di allestimento del museo, a cui è data la facoltà di nominare un custode, e il museo
sarà aperto per la curiosità di forestieri, dilettanti e comodo degli studiosi, conta l’intento
esplicitato, c’è un custode, orari di apertura e chiusura, non è più uno spazio privato, ed era aperto
anche agli artisti, accademia del nudo dovevano copiare le antichità il museo era ordinato in modo
tematico, no cronologico, anche perché le cronologie dell’arte antica si stavano formando, non
c’erano moltissime conoscenze, poi reperti continuavano a uscire dagli scavi, accumulo
progressivo, il papa poi continua a comprare statue, le sale prendono i nomi da qualcuna statua
più importante attorno a cui si articolavano le sculture. Tutto era tematico tranne ordinamento
della sala dei busti o degli imperatori, e quella dei filosofi, in cui i busti erano messi in ordine
cronologico, una volta identificati si poteva, anche con le monete, e idea di collocarli in ordine
cronologico sulle mensole delle pareti, all’epoca è una cosa meravigliosa, tutti la lodano, tanto che
tutti i musei archeologici dell’800 hanno una sala dei busti, perché per la prima volta mettere in
ordine i busti voleva dire iniziare a notare l’evoluzione stilistica della scuola romana, si potevano
mettere in ordine e vedere l’accrescere delle caratteristiche e ricerca del ritratto, tipo di
ordinamento che a noi non sembra accattivante ma per l’epoca sì. Palazzo è preesistente, viene
ridecorato, l’allestimento riprende una residenza, non ci sono soluzioni pensate per le singole
statue, decorazione settecentesca, non ci sono soluzioni studiate appositamente per il museo.
C’era una sala delle lapidi, e Capponi fece costruire delle catenelle che andavano dal peduccio del
busto alla mensola, che li assicurassero, fatto che ci fa pensare che questi spazi fossero frequentati
da tanti, abitudine a maneggiarli, pensiero all’atteggiamento che il pubblico potrebbe avere. Primo
catalogo che esce, enorme, inizialmente pubblicato in latino, poi in italiano, l’autore, Bottari, era
un erudito, attivo nel campo di arti ed editoria, pubblico selezionato, corredato di incisioni, una
per ogni pezzo, strumenti che servivano a far conoscere i pezzi in ambito internazionale, immagine
del museo è molto accurata. Descrizione delle opere che ha a che fare con antiquaria del ‘500 e
‘600, partendo dal pezzo si discute del soggetto, opera usata come documento per raccontare il
personaggio, idea di studiarlo più che come opera d’arte nelle sue caratteristiche, come erudizione
storica, partendo dal tema. Pochi anni dopo, a partire dal 1750, viene pubblicato anche un
cataloghino piccolo, tascabile, con descrizione dei singoli reperti, con nome e breve descrizione,
compito di identificare il soggetto e trovarlo. Altro caso che coinvolge Winckelmann, raccolta del
cardinale Albani, famiglia di collezionisti, che dagli anni ’40 si fa costruire una villa, da Anioli e
Marchionni, e quando Winckelmann arriva a Roma fa il suo bibliotecario, inizia a vedere
moltissime sculture, rimane colpito dalla visione diretta delle opere, e dal 1758 si occupa
dell’allestimento della collezione, distribuita su due edifici, spazio principale, con giardino
all’italiana, poi all’inglese, e poi con un grande emiciclo. Allestimento tematico che media tra
residenza ad uso privato e esposizione scientifica, Winckelmann colloca al centro le divinità, poi
nel porticato altro, e poi dentro un uso più di arredo, non è che da un giorno all’altro i musei
vengono ordinati in modo scientifico, c’è un ragionamento. In questo periodo e nel ‘600 si
espongono tutte strutture restaurate, che vuol dire ampiamente integrate, intere. Nelle guide del
‘700 la villa è considerata un luogo visitabile, non aveva orari di accesso, era ancora una cosa
intermedia, si doveva probabilmente avere una lettera d’invito, spazi che iniziano ad essere
interessanti per come sono, all’epoca.
01/10
Museo capitolino, ha avuto una notevole fortuna nella storia dei musei, spesso citato nella storia
dell’800, collezione di antichità del papa, assicurare alla città questo patrimonio che rischiava di
andare disperso, e ritrovamenti di sculture antiche che riemergono dagli scavi, che avevano
obiettivo di studiare strutture architettoniche e trovare degli oggetti, ed esisteva una legge che
assicurava allo stato pontificio un terzo dei ritrovamenti, avevano diritto a scegliere per prime, un
terzo andavano al proprietario del terreno e un terzo all’imprenditore di scavi, che era quello che
pagava chi scavava la terra. In proprietà dello stato pontificio avevano una grande quantità di
sculture, anche per questo il papa decide di fare un museo di antichità, con le sculture che riesce a
tenere. Il museo inizia ad essere edificato nel 1770 da papa Clemente XIV, la zona scelta è dentro il
palazzo vaticano, nella parte opposta degli appartamenti pontifici, c’erano una serie di casupole e
un giardino prima, poi viene costruito un museo, che all’inizio si chiamava clementino, poi Pio
clementino, perché avrà una seconda fase, anche più consistente, dovuta a papa Pio VI. Pianta del
museo, parte di Clemente XIV si attacca a un braccio del Cortile del Belvedere, che viene
modificato dall’architetto Alessandro Dori, viene costruita una grande galleria e due sale. Obiettivo
è di accogliere questa collezione che poi si ingrandirà, aspetto del museo è ancora intermedio tra
museo e galleria privata, decorazione della galleria celebra i pontefici, senza un particolare legame
con le sculture, che vengono esposte già restaurate, non esisteva idea che si esponesse un
frammento, alla fine bella sala dei busti, aspetto del museo è ancora una via di mezzo tra residenza
del ‘700 e spazio specifico di esposizione, non c’è un legame tra ambiente e opere. Di tutt’altro
tenore saranno le tre sale che farà costruire Pio VI tra il ’75 e i primi anni ’90, la sala a croce greca,
la sala rotonda e la sala delle muse, che poi si legava alla parte già costruita. Ingresso viene
modificato, non si entra più dai corridoi che vengono dagli appartamenti papali, con la scala
Simonetti, al cui fondo c’era un ingresso, ingresso dei 4 cancelli, che era stato costruito
appositamente, che all’epoca dava all’esterno del palazzo vaticano, ingresso non più strettamente
privato ma rivolto verso la città. Museo Pio Clementino non è mai stato modernizzato, tranne il
colore delle pareti, oggi è affascinante, e per essere nel percorso dei musei vaticani, è nel percorso
lungo che porta alla cappella sistina, poi ci si inoltrano, oggi è rimasto identico, dal punto di vista
museologico e museografico. Dall’ingresso dei 4 cancelli si sale la scala Simonetti, fatta riusando
materiali di spoglio o un’architettura museografica con parti rifatte in stile, ambiente che richiama
il posto in cui le opere erano fatte, idea di coincidenza tra parte museologica e museografica,
creare un contenitore che richiamasse nelle forme quella architettonica di epoca romana, in alcuni
casi usando pezzi antichi di scavo, come ad esempio le colonne di marmo rosso, a creare
un’atmosfera all’antica. La prima sala dopo le scale è quella a croce greca, che viene costruita per
ospitare i due sarcofagi di Sant’Elena e Santa Costanza, che danno la forma alla sala, museografia e
museologia vengono progettate contemporaneamente, il curatore, Visconti, inizia il padre e poi il
figlio, era un grande studioso di antichità dell’epoca, che si occupa di tutto, selezione della
selezione delle opere, di stabilire gli aspetti museografici, la forma del museo e gli artisti che ci
lavoravano, e modifica le sale, le inventa per i pezzi che ci dovevano entrare. La sala a croce greca
per le due sante, che erano moglie e mamma di Costantino, imperatore che aveva liberalizzato la
religione cristiana, vengono fatti trasportare e restaurare i due enormi sarcofagi, operazione
difficile e costosa, e il museo era aperto a tutti gli invitati del papa e durante la settimana santa
anche al pubblico. Altre due sale importantissime sono quelle successive, la prima era la sala
rotonda, fonte di ispirazione è il Pantheon, caso fortunato di progettazione simultanea di aspetti
museologici e museografici, obiettivo è di citare il Pantheon, copertura e oculo da cui entra la luce,
inaugura idea di illuminazione zenitale, e tutto gira attorno a un bacile al centro di marmo rosso
antico, tutto costruito attorno ad esso che anticamente era usato come una fontana nei giardini
vaticani, e ambiente è progettato attorno a questo oggetto, ambiente circolare con nicchie
ritmate, e vengono scelte delle statue colossali, vengono selezionate tutte statue di dimensioni
molto grandi, cosa che colpisce molto i visitatori dell’epoca è anche il pavimento, che è a mosaico,
composto appositamente usando i mosaici pavimentali che erano riemersi dagli scavi. Espediente
che da un lato costruisce l’ambiente con materiale antico, no ricostruzione filologica, e idea di
rimettere elementi dell’architettura romana antica che si stavano riscoprendo nel periodo, per
collocare le sculture antiche, non più situazione di decorazione, ma un luogo altro, spazio costruito
all’antica, e sulla stessa logica grandi paraste con capitelli antichi, e anche di nuovi, la stessa cosa
per le finestre, esempio virtuoso di una progettazione museografica assieme al progetto
museologico. Colore rosso che attualmente caratterizza il museo è stato imposto nell’800, nel ‘700
aveva un colore chiaro. Sala delle Muse, diventerà famosa nel ‘700 e ‘800, e verrà spesso replicata,
dedicare una sala alle muse di per sé ci sta bene in un museo, ma in più criterio museologico
suggerito dal fatto che negli anni ’70 emerge da uno scavo di un imprenditore, De Angelis, trova in
una villa romana una scultura di Apollo, quasi intatta, e assieme a lui una serie di sculture con
attributi che vengono ricondotti alle Muse, e Visconti esercita subito il diritto di prelazione, sceglie
per primo questo gruppo di sculture, le fa restaurare, restauro integrativo che completa tutte le
iconografie delle muse, e riesce a costituire un ciclo che ha come protagonista Apollo e attorno le
muse, e assieme a loro Visconti allestisce anche le erme, di Pericle e Aspasia, erme, tipologia
scultorea che prevede l’iscrizione con il nome e il ritratto, erano il massimo per l’archeologo
dell’epoca, consentivano di unire con certezza il volto di una persona alle fonti scritte, uno dei
primi ritrovati per i due personaggi, assimilazione tra Apollo protettore delle arti e il papa che
costruendo il museo si fa protettore è evidente, interessante perché ci fa capire che tipo di
celebrazione questi musei si portano. Una parte delle opere emerse vengono vendute e entrano
nella collezione Daunley, che ora sono al British Museum, anche in questo caso il pavimento è
fatto di mosaico, il soffitto ottagonale della sala viene affrescato da Tommaso Conca, un pittore
dell’epoca, sorvegliato da Visconti, che quindi controlla tutto, e gli chiede di riprodurre sul soffitto
le muse che ispirano i poeti del passato, le muse sono dipinte con gli stessi attributi con cui aveva
fatto restaurare le statue, e il quadro che conclude la cima della volta, la parte centrale, è
interessante perché sappiamo dai disegni preparatori che Conca voleva metterci Minerva, ma
Visconti gli chiede l’iconografia di Apollo che punisce Marzia, messaggio per gli studiosi dell’epoca,
guardate che fine fa a chi sfida apollo, anche messaggio politico, ci interessa per sottolineare la
progettazione simultanea. Fino agli ultimi decenni dell’800 nella sala delle Muse c’erano dei
paesaggi sul muro, le muse vivevano sul monte Parnaso in un bosco, ridare una collocazione
naturale alle muse, effetto scenografico notevole. Catalogo, contemporaneamente alla
realizzazione del museo, Visconti pubblica un grande catalogo, lussuoso, in folio, dedicato a tutte
le opere che si andavano accumulando nel museo, catalogo interessante perché da un lato ci
spiega quale era obiettivo del curatore e dall’altro ci spiega molte cose: critica all’antiquaria
precedente che non si appoggia ai fatti, dice di abbandonare le digressioni storiche fantasiose degli
antiquari di ‘500 e ‘600, lasciare in secondo piano tutte le descrizioni iconografiche, cioè prendere
spunto da un’opera per raccontare un mito, e lui dice di prendere ispirazione per raccontare un
determinato pezzo di marmo, catalogo interessante ed evoluto, ogni opera è accompagnata da
una scheda, in basso nelle annotazioni c’è sempre il luogo in cui è stato ritrovato, le dimensioni, il
tipo di marmo (attenzione al dato materico dell’opera), e indicazione di cose antiche e di cose di
restauro, e poi spesso durante la descrizione lunghe riflessioni sullo stile e confronti con altre
opere analoghe, attenzione al confronto materiale sulle opere, che costruisce un sistema di
datazione, attenzione a richiamo di epoche di grandi scansioni stilistiche, attraverso osservazione
del singolo pezzo si andava a costruire la catalogazione. Catalogo del genere rivolto a un pubblico
altolocato, per dimensioni e costo, e incisioni, colpisce la nuova attenzione a reperto come
qualcosa di materiale da studiare, e importanti anche i frontespizi, ognuno diverso per ognuno dei
7 volumi, ad esempio per l’ingresso o la sala degli animali, per cui oggetto del frontespizio è il
nuovo spazio museale.
Abbiamo visto come nel ‘700 inizia a circolare idea di aprire i musei al pubblico, vissuta sempre
come concessione del proprietario, idee illuministe però fanno che a poco a poco fanno aprire al
pubblico i musei. Il discorso si sposta su un altro piano con la rivoluzione francese, c’era già al
dibattito anche in Francia dalla metà del secolo, scrittore La Font de Saint-Yenne che nel 1747
pubblica un libro con le sue riflessioni dello stato della pittura contemporanea in Francia, e la sue
riflessione parte dal presupposto che per rinnovare il gusto dell’arte contemporanea è necessario
che gli artisti vedano le opere, inizia a sollevarsi l’idea che queste collezioni, se si vuole una riforma
del gusto, siano accessibili, quindi stranieri, intellettuali e filosofi devono poterli vedere, e questo
si lega al fatto dei Salon, esposizioni di arte contemporanea, esposizioni pubbliche, avevano anche
numeri consistenti di accesso, visitate anche dalla popolazione di Parigi, idea che guardare l’arte
avrebbe educato il gusto e il cittadino. Una parte delle collezioni reali viene allestita al palazzo di
Lussemburgo e aperta due volte a settimana, ci dice che il tema era all’avanguardia, sappiamo che
circolavano dei progetti, D’Angiviller voleva spostare delle parti al Louvre per renderlo accessibile.
Situazione prende un’accelerazione notevole in conseguenza ai fatti politici, presa della Bastiglia,
1789, importante perché con la rivoluzione francese cade la monarchia, e viene proclamata
assemblea costituente nel 1792, e i beni della corona passano di proprietà del popolo, assemblea
costituente deve gestire anche il patrimonio storico artistico, è vero che c’era già un dibattito
sull’apertura dei musei al pubblico e sull’educazione, ma questi beni diventano in quel momento
di proprietà pubblica, inizia un dibattito di cosa farne, come esporli, e si individua nel palazzo del
Louvre il luogo più adatto per costruire questo museo, palazzo che viene modificato per accogliere
il pubblico ed esporre la collezione reale, che si era accumulata in Francia grazie a una dinastia che
era stata di committenti e che aveva comprato. Dalle residenze reali vengono fatti trasportare
alcuni capolavori, Roland che si occupa di questo, sua citazione importante, temi che erano già
circolati, idea di aumentare il gusto, servire a artisti e amatori, idea è quella, ma dà una
dimensiona amplificata, non ci deve essere nessuno che non abbia il diritto, si porta dietro
ideologia della rivoluzione francese, che viene rappresentata nel museo, che deve essere di tutti,
un salto rispetto ai regolamenti del ‘700. Il museo viene aperto per la prima volta il 10 agosto del
’93, anche se in una fase di lavori intermedia, a un anno esatto dalla caduta della monarchia,
museo centrale delle arti, e anche della repubblica. A quest’epoca era ancora poca la parte
ordinata e allestita, si stava lavorando sulla Grand Galerie, rappresentazioni di Hubert Robert non
sono totalmente attendibili, ma ci danno un’idea, ordinamento in questa fase, vengono selezionati
alcuni capolavori, un po’ tutti messi sullo stesso piano, fino ad adesso non si è capito quale sia
l’ordinamento di questi anni particolari, dipinti di Robert ci fanno capire quale è l’uso che si voleva
venisse fatto del museo. Nel frattempo ci sono le campagne napoleoniche, di espansione politica,
e a ridosso delle truppe francesi viene costituita una commissione delle ricerche di scienze e arti,
presieduta da un matematico, con degli esperti di tutte le scienze, e l’obiettivo di questa
commissione è seguire le truppe nei paesi liberati, in cui veniva prelevato il meglio della cultura di
quel luogo per portarli nel grande museo centrale della cultura di Parigi. Quando lo si legge dal
lato dei paesi conquistati si parla di razzie e furti napoleonici, se li guardiamo con la cultura
dell’epoca operazione interessante, fatta con i limiti delle leggi di allora, quando Napoleone
conquista Roma il trattato di Tolentino prevedeva che il papa cedesse alla Francia 100 capolavori,
non è un furto, motivo per cui la commissione va ai musei vaticani, alla biblioteca, e ad esempio la
sala delle muse viene portata a Parigi, come il Laocoonte, ma anche spartiti musicali antichi,
manoscritti, oreficerie, si voleva prendere il meglio dell’arte. Monge racconta questo, ideologia
dell’epoca è di liberare queste cose da dove non potevano essere viste, e portare in un museo
universale che permetteva fossero viste da tutti. Visconti alla fine aderisce all’ideologia
rivoluzionaria e va a Parigi a curare la parte di antichità del Louvre. Dal punto di vista del museo
sono fondamentali due punti: uno non li possiamo chiamare furti, non violano una legislazione,
vengono presi tramite accordi, dobbiamo fare uno sforzo di applicare lo spirito dell’epoca, idea era
di creare uno spazio di museo aperto a tutti in Francia, e due il modello del Louvre come verrà
ordinato e allestito, idea di museo nazionale che riunisce il meglio e racconta tutte le storie
dell’arte, sarà da modello per tutti i musei dell’800, da un lato quindi chiude un percorso, cioè
dell’apertura al pubblico, e anche avvio di una stagione di musei. Idea di spiegare quale fosse
ideale rivoluzionario del museo, le clausole del trattato non sono una scusa, se guardiamo allo
spirito con cui questa iniziativa viene fatta possiamo trovarci una forte impronta ideologica, ma
non possiamo parlare di malafede. Quando arriva al Restaurazione, quando il papa torna a Roma e
negli stati nazionali in cui era arrivato Napoleone tornano le monarchie, con la Restaurazione di
Vienna, questo museo viene smontato, tutte le grandi monarchie mandano gli inviati a recuperare
le opere, e il papa manda Canova, che farà molta fatica, ma anche quella è una operazione
ideologica al contrario, parola più neutra per descrivere queste operazioni è requisizioni.
02/10
Requisizioni napoleoniche, prelievo da parte di Napoleone delle opere nei territori conquistati per
portarle al Louvre, si vuole costruire un grande museo nazionale ispirato agli ideali della
rivoluzione, di uguaglianza libertà e fraternità, visione che le collezioni reali, così come i re che
sono illegittimamente al governo, sono state liberate, erano ingiustamente proposte alla servitù.
Tipo di dichiarazione che ci fa capire qual era l’obiettivo ideologico. Capolavori arrivano da tutte le
nazioni che Napoleone progressivamente conquista, il direttore della sezione delle antichità è
Visconti, già curatore e realizzatore del museo Pio-Clementino, e poi nel 1798 i francesi se ne
vanno da Roma lui si trasferisce a Parigi, e diventa curatore della sezione di antichità, con tutte le
opere che arrivano da Roma principalmente, e manterrà l’ordinamento tematico che c’era al
museo Clementino, coerenza iconografica non sempre rigorosissima, una delle prime piante,
contemporaneamente all’allestimento delle opere vengono pubblicati piccoli cataloghini (a Roma
nella sala delle muse vengono messi dei calchi, resta vuota), sul modello dei musei romani. Ci sono
molti dipinti, disegni dell’interno del Louvre, dal punto di vista museografico era la residenza del
‘700. Avvenimento politico, nel novembre del 1799 Napoleone assume il potere, da essere un
condottiero delle truppe francesi diventa imperatore, e questo ha influenze sul museo, non è più il
museo della repubblica, ma diventa Musée Napoléon, e come curatore sceglie Dominique Vivant
Denon, non un artista, che lo aveva accompagnato nella campagna d’Egitto, lo aveva seguito per
scriverne una cronaca e per fare alcuni schizzi, era un uomo dell’alta società, e alcuni all’epoca
contestarono la sua elezione a direttore, siamo in un’epoca in cui si discute già delle competenze,
resta importante il tema di chi può dirigere, di chi ha l’autorità, e lui si rivela un grande conoscitore
d’arte, e il museo diventa grazie all’afflusso di tutte queste opere e acquisti che fa fare tra il 1812-
1813, diventerà per pochi anni il posto in cui si può vedere il meglio della cultura europea. Denon
si occupa anche di strutturare il personale del museo, che ha una struttura amministrativa corposa
e organizzata, con compiti precisi e salari stabiliti, ampia strutturazione del laboratorio di restauro,
interno al museo, che ha una lunghissima tradizione, una struttura amministrativa per la custodia,
interessante il fatto che David fa un ritratto di uno dei più anziani guardiani del museo del Louvre,
si inizia a discutere su come dovevano essere descritti i guardiani, idea di un personaggio che deve
essere identificabile. Il museo era aperto a tutti con orari differenziati tra artisti e gente comune,
avevano i cartellini, ma non è stato il primo, raccoglieva eredità di un dibattitto che inizia a
svilupparsi nel ‘700, e anche per quanto riguarda allestimento e ordinamento del dipinti, Denon
applica il metodo di von Mechel, ossia una divisione per scuole e cronologie, lo si evince dalle
piccole guide che dalla restituzione grafica che è un progetto realizzato da Maria Cosway, artista
che vive a cavallo tra ‘700 e ‘800, moglie di un incisore inglese, che viaggia moltissimo, conosce il
meglio degli artisti di fine ‘700, e nel 1802 propone di realizzare un album di incisioni con la
restituzione di tutte le opere precedenti al Louvre, non è stato stampato, lei era anche una
pedagogista, e aveva fatto progetti di scuole innovative, in cui si sono conservati degli schizzi in
preparazione dell’edizione delle sue opere, restituiscono un’idea efficace dell’ordinamento, anche
se poi Denon lo cambierà, continuano ad arrivare opere, ci fa capire che tipo di impaginato si stava
costruendo, idea di costruire sulla parete il rapporto tra maestri e allievi, non solo ad esempio per
scuole pittoriche, per dare la possibilità di leggere i legami stilistici tra gli artisti. Denon oltre a
raccogliere allestire e ordinare i dipinti che arrivano fa anche acquisti mirati, lui era appassionato
di disegni, compra delle collezioni della famiglia Borghese, e anche a Firenze, e compra anche i
primitivi, idea di Mechel, non si deve mettere solo artisti apprezzati, ma anche i dipinti dei periodi
bui, per capire bene la storia. Altra iniziativa interessante, pubblicazione di piccole guide che sono
divise o per scuole pittoriche o per dipinti, che escono a un prezzo economico, vengono venduti
dalle mogli dei custodi, come arrotondamento, erano acquistabili nelle sale, senza rilegatura e
molto piccole, e spiegavano le opere con le informazioni base, catalogo che riprende quelli
tascabili di inizio ‘700. Il museo era anche comunque un luogo di rappresentanza, quindi ad
esempio si facevano le visite notturne alla luce di torcia, visite di alti dignitari stranieri, e molte
immagini che ritraggono il corteo iniziale di Napoleone, anche spazio di rappresentanza. La più
autorevole obiezione è la voce di Quatremere de Quincy, che nel 1796 pubblica 7 lettere
indirizzate a Miranda, sullo spostamento dei monumenti di arte dall’Italia, è un testo fuori dal coro
in questo momento, lui era un ricco aristocratico francese, contrario alla rivoluzione, preferiva la
monarchia illuminata, e quando il re viene decapitato scappa e ripara in Germania, lettere scritte
dall’esilio, e le scrive come una forma di critica a quello che facevano i francesi, Miranda era un
generale conservatore, a cui indirizza la critica sulle truppe francesi, ci sono pagine molto
interessanti su quello che era successo a Roma, e critica del museo, in una difesa di un’idea di
contesto, posizione forte indotta da un motivo politico, tema che si porta lungo la storia, tema che
torna, luogo di decontestualizzazione delle opere, non realizzate per stare in una vetrina o
attaccate alle pareti. Prima consapevolezza di questo aspetto, idea che Roma è un contesto,
rispetto a cui il museo è una separazione, critica l’idea della costruzione delle scuole della storia
dell’arte sulle pareti di un museo, idea di portare via i capolavori ed esporli nel museo è un modo
di distruggere la conoscenza e non ampliarla, scrive qualcosa di inaspettato per l’epoca, amplia lo
spettro delle cose che lui considera arte, degne di attenzione, mobili, stucchi, iscrizioni, anche
utensili, in quel senso di ampliamento di idea delle belle arti, e aggiunge che secondo lui ciò che fa
l’arte sono montagne, siti, strade, luoghi geografici, tradizioni locali come qualcosa che fa l’arte, gli
usi ancora esistenti, apertura culturale interessante, da un lato ha una visione d’insieme
interessante, ma dall’altro questo è un testo con uno scopo politico, demolire quello che avevano
fatto i rivoluzionari, ma poi quando parlerà del marmi del Partenone portati al British è d’accordo.
British Museum, inizia alla metà del ‘700, nucleo originario collezione di Sloane, aristocratico
inglese studioso di botanica e storia naturale, viaggiatore, interessato a tutte le rarità naturali che
nella sua casa inizia a accumulare una notevole collezione, raccolta di libri e oggetti che vengono
dai viaggi, acquisti sul mercato, scambi, che rispecchiano il mondo del collezionismo naturalistico
limitrofo alla wunderkammern, parti di animali, con raccolta di piante rare, essiccate, il fatto che il
nucleo originale avesse questo approccio sul mondo noto lo ha condizionato nei secoli successivi.
Sloane lascia un testamento che chiede che la raccolta resti unita, e il parlamento la acquista per
20.000 sterline e la consegni a una commissione, è interessante che se ne interessi il parlamento, e
già nell’atto di acquisizione si immagina già di aprirlo al pubblico, con il nome di British Museum
nel 1753. All’inizio si sceglie la Montague House, era gratuito su prenotazione, alcuni giorni prima
si va dal custode e ci si prenota, la visita è organizzata nelle sale, piano piano le richieste
aumentano, e poi ci saranno dei campanelli che scandiscono il tempo nelle sale, c’era un percorso
obbligato, lo spazio era insufficiente, non erano esposti in modo appropriato, rimane una
collezione con molti libri. Negli ultimi decenni del ‘700 la struttura amministrativa si sviluppa con
incarichi precisi, ciascuno con uno stipendio differenziato, è il parallelo di quello che succede in
altri musei europei. Quello che modifica le esigenze del museo è che nei primi anni dell’800
acquisisce altre donazioni, tra cui la biblioteca del re, e poi anche altri collezionisti che donano al
British alcune cose, e poi l’arrivo delle antichità egizie, tra cui la stele di Rosetta, tanto che iniziano
le discussioni sullo spazio del museo, e sulle entrate, che però poi si decide restino gratuite,
cambiano più volte le preclusioni, anche se dopo questa data è sempre meno un problema. Poi si
acquisisce la collezione Townley nel 1808. La cosa che condiziona fama e politica è l’arrivo dei
marmi di Elgin, è un tema che periodicamente ritorna nei giornali, devono stare in Grecia o a
Londra? Sono i marmi del Partenone, che di per sé un monumento antico, rappresentativo
dell’arte greca, con tutti e tre gli stili, ionico, dorico e corinzio, è stato un monumento che ha un
forte valore simbolico per quella cultura, che è stato trasformato tante volte, prima in una
residenza, e poi in una moschea quando arrivano i turchi, e poi viene colpito da una bomba dei
veneziani, generale Morosini, che la lancia per liberare la città, i turchi lo avevano usato come
magazzino per polvere da sparo, che provoca uno squarcio, attenzione collettiva che causa un
danno al patrimonio. Dopo questo episodio, 1687, Atene e le sue rimanenze architettoniche, che
non erano ancora state particolarmente studiate, c’è Elgin, un signore inglese di buona famiglia,
avviato alla carriera militare, ma interessato ad aspetti di arte e architettura, anche architetti
classicisti inglesi, amico ad esempio di Adam, membro della Royal Academy, interessato alle
antichità come modello dell’arte contemporanea. Viene nominato governatore inglese a
Costantinopoli, e decide di finanziare una spedizione, che inizialmente è di conoscenza dei
monumenti dell’acropoli, si porta dietro due formatori, che servivano a fare i calchi, dei
disegnatori, due architetti, e parte dall’Inghilterra, fa una tappa in Italia e poi va ad Atene, in cui
ottiene il 6 luglio del 1801, in cui ottiene un documento, “Firmano”, scritto in italiano, in cui si
ottiene il permesso di montare impalcature, trarre disegni, rilievi e calchi, e anche asportare
qualche pezzi di pietra. Su questo Elgin fa una mega campagna di recupero, all’epoca era una città
costruita, con case in mezzo ai monumenti, in parte stacca metope dal Partenone, ma in parte
recupera anche scavando attorno ai movimenti, poi lui torna a Londra nel 1806, ma lascia lì un
aiutante che dopo un lavoro di 10 anni, fino al 1811, manderà dei pezzi a Londra via mare, e
quando arrivano vengono allestite in un padiglione che era nel giardino della casa della mamma di
Elgin, lui voleva farli restaurare, ma succede qualcosa di inaspettato, questi reperti un po’ perché
erano i primi originali greci monumentali che arrivavano in Europa, prima si studiava quello che
arrivava da Roma, crea un clamore internazionale, reazione duplice, gli artisti per primi colgono la
novità e la potenza estetica e mimetica del naturalismo di questi marmi, molto diversa dalle opere
romane, li impressiona l’aspetto vero e naturalistico, disegno di Haydon, e sue parole, bello ideale
costruito fino a quel momento viene percepito come non funzionante, il naturalismo di Fidia
diventa un modello. Dall’altro lato i collezionisti inglesi, che avevano formato il loro gusto sulle
opere romane, fanno fatica, dicevano che non erano vere, ma pochi li avevano visti dal vivo prima,
diffidenza, e il dibattito si anima così tanto che Elgin fa fatica a venderli, e il British fa una
commissione che deve capire se vale la pena prenderli e a che prezzo. Si crea un dibattito
internazionale che coinvolge anche Canova e de Quincy, il primo era stato mandato a Parigi per
recuperare i capolavori dopo la Restaurazione, ed Elgin lo chiama a Londra per dire la sua, la sua
opinione è entusiasta, tanto che si rifiuta di restaurarli, dicendo che nessuno riesce a imitare
questo stile, riconosce la grandezza stilistica di Fidia, sconvolgeva un po’ il sentire i criteri di
valutazione delle antichità, e contemporaneamente viene chiesto a Visconti di studiarli, e lui scrive
a Hamilton, in cui stabilisce la sicura paternità dei marmi, e dice che lo studio di questo antico sarà
importante per il risorgere dell’arte contemporanea. Assieme a Visconti vengono ripubblicate
delle lettere che Quatremere scrive, in cui dice che le opere sono state acquisite con un regolare
permesso, ad Atene non sono curate, nel museo sono apprezzabili in un modo migliore, e
rischiavano di essere fatte sparire se fossero rimaste nel Partenone, forte intento ideologico nel
demolire la rivoluzione nelle prime lettere, in questo interessato ai marmi. L’8 agosto del 1816
vengono trasportate al British a un prezzo inferiore a quello pensato da Elgin. C’è quindi la
necessità di un nuovo spazio, nuove modalità di accesso, e dagli anni ’20 inizia la progettazione e
realizzazione di uno spazio molto più ampio. Per la presenza di tutte queste opere che arrivavano
si decide a Londra la costruzione di un nuovo edificio, l’architetto è Robert Smirke, classicista, idea
di riutilizzo delle forme classiche, ispirate da rinascimento e antichità classica, edificio immaginato
come un quadrilatero, con la parte frontale con un enorme portico, inizia ad essere consueta l’idea
di dare la forma di un tempio alla facciata. Poi il museo si sviluppa attorno alla pianta rettangolare
con al centro una corte centrale, che al tempo era aperta, museografia ispirata al riuso anche
libero delle forme antiche, arredamento interno del museo, tutto è all’antica, lui studia tutto,
anche le vetrine in cui esporre le cose minute, le panche, una grandissima biblioteca, museo che
oggi è stato rimodernato. Durante l’800 si espande, con intere raccolte che arrivano da est del
Mediterraneo e dall’Asia, restano molto a lungo nel museo l’area zoologica, fino a che una parte
delle rarità etnografiche verrà trasportata al South Kensington Museum, e la parte di animali
impagliati al museo di Scienze Naturali. Museo con caratteristiche tipiche dei musei ottocenteschi,
viene esposto tutto quello che si aveva, in questo momento l’abbondanza è una qualità, in cui c’è
anche un’influenza nei metodi di studio, idea che si devono studiare tutti le varianti di un singolo
pezzo, e il museo le espone tutte, abbondanza che per l’epoca è positivo, è quello che viene
chiesto, importantissima anche la sezione egizia, e interessante che tra anni ’60 e ’80 è uno dei
musei più avanzati tecnologicamente, mette un riscaldamento a carbone, delle sale di riposo e
accoglienza del pubblico, un sistema di allarme, e anche l’illuminazione a gas, museo molto
avanzato, anche dal punto di vista di esposizione al pubblico. Marmi Elgin hanno un destino
parallelo al museo, dopo la sala provvisoria in cui erano visti come singoli pezzi, e nell’800 viene
costruito un padiglione temporaneo, tra ’37 e ’53, si inizia a ragionare su come allestire le strutture
frontonali, e poi si costruisce il rilievo tutto di seguito, poi verranno ricollocate nel loro andamento
frontonale. L’ala dedicata a Elgin rimane uguale, dalla metà dell’800 fino alla fine della 2GM, anche
se si inizia a discutere già della possibilità di un nuovo allestimento, da una parte perché era
diventato desueto, ma poi anche perché i riscaldamento a carbone aveva comportato un deposito
di polveri sui marmi che non erano mai stati restaurati, e che si erano inscuriti. Lo stile del museo
era ancora ottocentesco anche negli anni ’20, colorazioni cariche delle pareti. Vicenda dei marmi
cambia quando si decide di costruire un’ala apposita per i marmi, finanziata da un americano,
Duveen, viene coinvolto l’architetto John Russell Pope, e si iniziano i lavori della sala, che verrà
aperta nel 1962, caratteristiche che ha ancora oggi, con marmo chiarissimo, e dopo la 2GM le sale
avranno queste caratteristiche, e i marmi vengono restaurati pesantemente. Durante la 2GM le
opere vengono spostate, nascoste in parte nella metropolitana e in alcuni monasteri, ma finita la
guerra riapre, anche se era stato bombardato, e l’ultimo intervento importante è l’intervento di
Foster nel 2000, che trasforma la corte aperta in chiusa, anche per sfruttare lo spazio. Dopo il 2000
ad Atene inizia il progetto di costruzione del museo dell’Acropoli, con obiettivo ideologico il
suscitare dibattito internazionale sul fatto che i marmi tornino ad Atene, e il British risponde
creando due stanzette dedicate a Elgin, da un lato la sala 18, con la spiegazione di chi era lui, con
un pannello che riproduce il Firmano, e dall’altro un’altra saletta che riporta i calchi in gesso che
fece Elgin all’inizio dell’800, che ci restituiscono le opere nello stato di allora, e che ora sono
conservate ad Atene in condizioni molto peggiori.
14/10
Allestimento e ordinamento dei musei dell’800, musei che presentano le caratteristiche di
presentazione del patrimonio posseduto da un museo, l’idea è quella di esporre tutte le varianti,
l’archeologia stava diventando filologica, attraverso il confronto con i pezzi, i musei rispecchiano il
modo in cui gli oggetti si studiano, hanno molto a che fare con la critica d’arte, abitudine è quella
di esporre il più possibile, con anche spesso una forte decorazione. I marmi non vengono mai
restaurati, se non piccoli interventi di pulitura, e restano nel salone provvisorio fino alla 2GM, il
museo era di un colore scuro, ma poi negli anni ’30, si progetta costruzione di una nuova sala, con
una museografia che ha a che fare con il gusto museografico dopo la 2GM, con pareti bianche e
spoglie, allestimento che condizionerà anche il restauro, e che dopo la guerra torna ad essere uno
dei grandi musei. Intanto la Grecia diventa indipendente dai Turchi, e si restaura il museo
dell’Acropoli, dagli scavi continuano ad emergere dei reperti, fino a che con i soldi delle olimpiadi
del 2004 si comincia a progettare un grande nuovo museo per la città di Atene, perché quello
dell’800 che è sopra la rocca non è più funzionale. Viene indetto un concorso internazionale, vinto
da Bernard Tschumi, che decide di fare l’edificio ai piedi dell’acropoli, progetto di riqualificazione
della città, museo che nei suoi proponimenti e dichiarazioni del governo greco, ha l’obiettivo di
sollevare l’opinione pubblica per fare sì che i marmi tornino ad Atene. L’ingresso del museo lascia
perplessi, ma è interessante perché l’ultimo piano è orientato come la cella del Partenone che gli è
di fronte, e si vede dal fianco del museo, che è tutto di vetro, effetto notevole. I pochi marmi
rimasti ad Atene vengono riallestiti dentro al museo, perché l’inquinamento molto forte li stava
deteriorando, e viene riallestito in questo modo, una parte di calchi e una di marmi veri. In tutta
risposta negli stessi anni il British accanto alla grande sala lussuosa del marmi Elgin ha allestito due
stanzette, una in cui c’è il trattato di Firmano in italiano riprodotto gigantesco, che ha una valenza
di restituire l’aspetto documentario di questa prova, e specularmente i calchi dei formatori di
Elgin, che sono i calchi anche delle cose rimaste ad Atene, interessante, non è un caso, guardate
che intellettuali c’erano all’epoca. Dal punto di vista legislativo la questione internazionale è
chiusa, se no sarebbe per tutti i musei del mondo, ma continua ad essere una questione attuale,
ma i marmi non torneranno mai, per i greci è una battaglia percorribile. Due fattori importanti da
considerare in un fatto ideale, tralasciando l’aspetto legislativo, la conoscenza e l’arrivo di questi
marmi in Europa ha cambiato la storia, nuovo contesto di appartenenza, e poi dal lato greco
questo grande museo dell’Acropoli, e vedendo i marmi che sono ora in Grecia sono rovinatissimi,
per fortuna che sono stati portati a Londra, va benissimo che il museo sia stato fatto, ma non con
l’obiettivo di far sollevare il mondo e far portare i marmi lì. Sito del museo, tiene assieme sia il
merchandising che la parte scientifica, ha digitalizzato tantissima parte del suo patrimonio.
Congresso di Vienna, caduta di Napoleone, le nazioni europee sono di nuovo monarchie,
restituzione delle opere. Vediamo che l’eredità del Louvre rimane in tutta Europa, anche opere che
venivano da contesti altri vengono riallestite, e gli stati investono per allestire dei musei nuovi, a
partire da subito dopo del congresso di Vienna, e anche per il progetto ideale che era stato il
museo francese. Due città tedesche in cui vengono nella prima metà dell’800 vengono allestiti
importanti musei nazionali che rappresentano dal punto di vista museografico dei modelli che
verranno ripresi. A Monaco l’epoca della Restaurazione vede al trono Ludovico I di Baviera,
interessato al mondo classico, eredita una importante collezione familiare, viene educato come
aristocratico dell’epoca, aveva fatto il viaggio in Italia, e ha acquistato anche qui, e già da giovane
accumula una notevole raccolta d’arte, sia di dipinti che di antichità, dai vasi greci alle sculture.
Nella sua idea di riforma, di rinascita dello stato di Prussia c’era il progetto di trasformare la città di
Monaco in una nuova Atene, sarebbe dovuta risorgere una cultura rinnovata ispirata all’antichità
classica, architetto von Kleanze, che aveva fatto anche il primo progetto di restauro dell’Acropoli,
eliminazione di sovrastrutture e emersione dei monumenti classici. Collezione che raccoglie sia
sculture antiche che dipinti, Ludovico compra intere collezioni a Roma, aveva un emissario, Muller,
che era un conoscitore, e Ludovico ci spendeva molti soldi, e compra molte collezioni, come
Bevilacqua, acquisisce il Fauno Barberini, che resta in mezzo a questioni di legislazione, che lo
stato pontificio aveva dal 1802. Altra operazione molto riuscita, che assomiglia a quella di Elgin, è
quella del tempio di Athena Aphaia, a Egina, alla cui sommità c’era un tempio con decorazioni
frontonali, tempio che viene scavato, a partire dal 1808, in pochissimo tempo da due architetti
tedeschi che poi mettono in vendita le opere, e Ludovico le compra e le fa portare a Monaco.
Inviato di Ludovico, che è Wagner, fa acquistare i marmi, che erano stati messi in vendita, li porta a
Roma e li affida al restauratore Thorwaldsen, li studia e li restaura per Ludovico, è integrativo, e
riesce, nonostante siano i primi originali che arrivano in Europa, scultura arcaica non molto
conosciuta al tempo, a studiarle e a guardarle bene, imitandone lo stile, tanto che anche Canova
sarà favorevole a questo. Vengono restaurati anche per andare a finire nel nuovo museo che
Ludovico sta costruendo, nell’ambito di un progetto di modifica della città, indice un concorso nel
1814, partecipano molti architetti, e vince von Kleanze, che poi diventerà architetti di corte, idea di
costruire un edificio in cui la popolazione possa educare il gusto, guardare le sculture e in questo
modo l’arte antica avrebbe educato arte e artisti dell’epoca, idea che attraverso l’esempio dei
grandi maestri del passato, la scultura rinascimentale, il gusto di una nazione avrebbe potuto
rinnovarsi. Il progetto che prevale è quello attuale, con una facciata che riprende il pronao di un
tempio, idea che affonda le sue radici nel ‘700, in Germania esisteva il museo di Federico II che
aveva un ingresso simile. Viene chiamata la Glyptothek di Monaco, museo come contenitore di
cose di pietra, dedicato interamente alla scultura, e per questo nel rilievo frontonale viene
rappresentata Atena che protegge le arti della scultura, con le varie arti, mentre nelle nicchie della
facciata sono rappresentati i ritratti dei più grandi scultori del passato, fino al presente, idea di
rappresentare i grandi modelli del passato fino al presente, rappresentare evoluzione fino ad
artisti che alla cultura classica si ispirano. Interessante dal punto di vista museografico, forma che
verrà considerata una delle più funzionali, e anche dal punto di vista museologico. Il percorso si
articola per sale attorno a un cortile aperto, nei due snodi di ingresso ci sono due sale rotonde,
criterio di ordinamento del museo riprende l’evoluzione dell’arte antica di Winckelmann, partendo
dall’Egitto, poi opere greche arcaiche, poi una sala della Grecia classica, una romana e poi una dei
moderni ispirati all’arte antica. È uno dei primi musei che mettono in ordine cronologico l’arte
antica, e lui fin dall’inizio lui mette a punto un sistema di colorazione delle pareti, espediente
museografico che riesce a scandire l’ordine cronologico, varia a seconda del variare delle macro
cronologie in cui è diviso il museo, espediente che si usa anche oggi. Studio della forma del museo
che richiama nelle forme classiche il contesto di provenienza delle opere, anche se possiamo
notare un ampliamento degli aspetti decorativi, tutti gli spazi erano decorati, con storie e immagini
allegoriche, tutto ampiamente decorato, aperto al pubblico e alla cittadinanza, ma aveva delle sale
esclusive per il sovrano, per i ricevimenti e feste, decorate da Peter Cornelius. Sala dei busti,
tornano spesso nei musei dell’800, decorazioni in stucco. Museo durante l’800 si espande
leggermente, aggiunta di padiglioni con ritrovamenti che la scuola di Monaco fa in Asia. Le opere
durante la guerra vengono portate nei monasteri, per fortuna perché il museo viene distrutto.
Subito si crea un dibattito se ricostruire il museo o farne uno nuovo, ma negli anni ’60 si trova una
soluzione intermedia, viene riconosciuto come l’aspetto museografico della forma delle sale fosse
ancora importante, interessante dal punto di vista prototipale, si decide di riprodurre i volumi
originali ma non la decorazione, venne lasciato neutro con una muratura a vista. Sala dei busti oggi
si presenta diversa, anche per il modo in cui si studiano le opere, attorno a cui si deve ruotare per
vederli, su dei piedistalli in mezzo allo spazio, restauri dell’800 sono stati tutti eliminati, in base a
un criterio filologico. Altro edificio che Ludovico fa costruire, Alte Pinakothek di Monaco, von
Kleanze dichiara apertamente di ispirarsi ai modelli del passato, ma con riguardo per alcuni palazzi
di Roma, mentre per l’ingresso ripete l’idea dei propilei, galleria che serve a educare il gusto,
anche qua si tratta di una raccolta familiare, c’erano anche delle opere di Düsseldorf, e lui
immagina un edificio esteso che consenta di esporre la collezione divisa per scuole pittoriche, e
decide di articolare la pianta, che diventerà importante per come immaginare le pinacoteche,
prevede nelle due ali leggermente avanzate le scale e poi una sequenza di sale principali con
illuminazione zenitale, che era riconosciuta come migliore per i dipinti, diffusione della luce
dall’alto, senza riverbero delle finestre, e poi una serie di salette minori dedicate alle opere di
piccolo formato. Sarà il metodo con cui si allestiranno tutte le pinacoteche, e von Kleanze ha un
problema, c’erano degli importantissimi quadri di Rubens, sappiamo che uno dei problemi che
deve risolvere e su cui dimensiona le sale è uno di questi quadri enormi. Dal punto di vista di
caratteristiche museografiche, dipinti disposti su più registri, colorazione delle pareti che si alterna
ma che resta sempre molto forte, si usavano anche delle stoffe, si iniziano anche ad immaginare
delle sale di sosta per i visitatori, come appoggi o divani. Dopo i danni della 2GM si decide di
ricostruire riproponendo le forme, viene ripetuta ma senza ripeterne la decorazione, serve anche
da monito, come ricordo della guerra, ma riprende la forma originaria, e ancora oggi, seppur nello
sfoltimento delle sale, resta quella.
15/10
L’800 è il secolo dei grandi musei nazionali, Berlino è stata oggetto di grande ripensamento negli
ultimi 15 anni, per i percorsi museali, e di ristrutturazione, interessante per ragionare su alcune
cose della contemporaneità, è una città che ha avuto vicende politiche particolari, la città è stata
bombardata durante la 2GM, e viene divisa a metà in una notte, nel 1961, rilevante anche per i
musei, i grandi musei nazionali finiscono nell’est, area con meno risorse, e quindi parte ne viene
portata a ovest, e da quando è caduto il muro si è deciso di reinvestire nella vecchia area est, che
si è concluso per tappe. Casata di Prussia era di lunga tradizione, durante il ‘700 Napoleone porta
alcune opere al Louvre, che poi con il Congresso di Vienna tornano il Germania e vanno a
ripristinare la casata reale, influenza dell’idea nazionale nell’Europa della Restaurazione, tutte le
grandi casate intendono costruire dei musei che esaltino l’idea del popolo, per questo Federico
Guglielmo III decide di costituire una commissione consultiva, nel 1829, con obiettivo di proporre
come costruire questo museo nazionale, che poi diventerà l’insieme dei musei. Come area si
sceglie l’isola naturale, al centro del fiume, in centro città, all’epoca c’era il palazzo reale, poi
distrutto, poi sostituito in epoca sovietica, poi smontato negli anni ’90, e poi ripristino, ma
comunque era un’area centrale già all’epoca, inizialmente doveva essere uno solo museo, e il
primo museo ad essere costruito è l’Altes Museum, e poi il Neues Museum. Come architetto per il
primo museo viene scelto Schinkel, era tedesco, aveva una tendenza classicista, aveva costruito
edifici importanti nella via principale di Berlino, caratteristica di riusare elementi dell’architettura
classica, e la stessa idea la applica nell’Altes Museum, aperto nel 1830, serviva alla collezione di
antichità greche e romane, e a quella degli antichi maestri, il portico della facciata copre due piani
dell’edificio, e Schinkel ha lasciato tantissimi progetti di questa idea, il portico è ispirato alla Stoà di
Atene, la pianta prevede il portico di ingresso, al centro una sala, che lui dice essere ispirata alla
sala rotonda del museo Pio-Clementino, giro di colonne attorno alla sala invece delle nicchie, poi si
sviluppa in gallerie, che si articolano su una pianta rettangolare attorno a quella centrale.
Collocazione delle statue per permettere la visione a tutto tondo, all’interno ci sono due ordini
architettonici, il primo piano destinato ai dipinti, quello a terra alle sculture, richiamo al Pantheon,
nella parte della pinacoteca l’ordinamento è per scuole pittoriche e per cronologie, vengono
sperimentati dei tramezzi, dei pannelli che frammentano lo spazio delle sale, in modo da
moltiplicare lo spazio espositivo, e l’obiettivo era di illustrare la storia dell’arte, come era stato
prefigurato da von Mechel, per tutto l’800 è ancora in uso l’idea di usare le copie se non si hanno
gli originali, è più importante illustrare la sequenza, si potevano mischiare anche copie in gesso
che rappresentassero quelle più famose, c’è un ampio dibattito, obiettivo è quello di educare i
visitatori, non solo artisti o piacere estetico. Molto presto la collezione risulta insufficiente, e
durante gli anni ’40 e ’50, si stabilisce di costruire un nuovo museo, il cui progetto è affidato a un
allievo di Schinkel, Stüler, il generale è accettabile ancor a quest’epoca affiancare originali e copie,
sia nei dipinti che per le sculture, che erano ancora restaurate. Il Neues riprende elementi classici,
con il portico della facciata, siamo verso anni dell’eclettismo, no filologia attenta al riuso
dell’antichità classica, interno riccamente decorato. I due musei erano collegati da un ponte, nel
Neues c’era la collezione egizia, e una collezione di calchi di grandi capolavori di arte greca e
romana, anni in cui anche il British si sta definendo, e anche quello rappresentava un riferimento.
La pianta, piccola saletta rotonda, pianta rettangolare divisa anche qui su due piani, in cui quello
superiore dedicato ai dipinti, e la caratteristica principale che manifesta questo museo è la
decorazione, importante decorazione interna del museo, museografia importante dal punto di
vista delle opere, e molto ricca, e amore per le arti applicate, decorazione quindi in ferro battuto,
in tanti altri materiali, e anche per arti applicate dell’antichità. Collezionismo di maioliche e vetri,
museo che ci mostra decorativismo e passione per tutti i materiali, sale affrescate, con affreschi
allegorici, antichi miti germanici, con scene di paesaggio che fanno riferimento a opere conservate
nel museo, grande scalone che finisce con 4 cariatidi montate su un finto arco, idea di museo in cui
anche il contenitore è una parte dell’opera d’arte, da ammirare. Altre sale, sala egizia, idea di
ambientare in un finto templio egizio le opere da lì provenienti, riambientare in un ambiente non
strettamente filologico. Caratteristiche museologiche di grande quantità di opere, museografiche
colori e in alcuni casi anche decorazioni importanti, o allegoriche o che servono a riambientare le
opere. Museo molto bombardato durante la 2GM, tutto un lato del Neues viene distrutto, e dopo
la guerra quest’area rimane così, e poi finisce nella parte est, con meno risorse economiche, e
resta così fino agli anni ’90, quando in un’idea di nuovo sviluppo e unione culturale si decide di
pensare tutta l’area, e viene indetto un concorso internazionale nel ’97, vinto da Chipperfield, un
architetto inglese, la costruzione è iniziata nel 2003, e l’inaugurazione nel 2009, interessante il
fatto che è stata fatta una prima inaugurazione per gli abitanti di Berlino a museo vuoto, per
raccontare i principi con cui si era svolto il restauro, si potevano fare due scelte diverse, da un lato
ricostruirlo come e dove era, e dall’altro una cosa completamente moderna, e lui trova una
soluzione intermedia molto interessante, ha voluto mantenere in equilibrio la possibilità che
l’edificio ancora oggi racconti la guerra, paese interessante per la capacità di rielaborazione storica
del passato, ma in questa memoria storica ha costruito una grande rielaborazione che comprende
tutto l’ambito culturale, ci sono molti musei dedicati alla rielaborazione della loro storia, quando
ancora c’era il muro esisteva un piccolo museo dove c’era l’unico passaggio tra est e ovest,
minuscolo museo che raccontava la storia delle persone che volevano attraversare, e in una delle
aree vuote fecero un museo del terrore, raccontando quello che era stato il nazismo a Berlino, con
nomi e cognomi, oppure c’è anche il museo su Berlino est, nazione che sul ruolo dei musei come
luogo in cui elaborare la storia. Chipperfield fa un intervento duplice, da un lato usando un
materiale molto nuovo, e anche per l’estetica, per le parti completamente demolite, e poi avvia un
restauro per le parti semi distrutte, che non cancella in alcun modo i segni della guerra, ma anzi
musealizza anche quelli e li rende parte del museo stesso. L’esterno viene ricostruito, anche se nei
mattoni si distingue la parte nuova da quella antica, effetto di congelamento della rovina, e nella
parte interna tutte le decorazioni non sono restaurate integrando le lacune, ma mantenendo le
rovine, esempio del soffitto dello scoppio della granata, Chipperfield lascia a vista questi segni
perché ricordino l’evento della guerra, idea di un insieme a cui lasciare la memoria, mentre nelle
parti completamente crollate museografia contemporanea, sala egizia oggi, nella sala c’era il
peristilio con tutte le colonne, ripristinato con materiali completamente nuovi, mentre sulle pareti
decorazione a paesaggi, non ha ripristinato neanche l’intonaco, desiderio di lasciare il rudere. Lo
stesso discorso è applicato a tutto il museo, come risolvere il problema dello scalone
monumentale, lui decide di ripristinarne i volumi per mantenere questo effetto, ma con linee
diverse, gli affreschi non si erano mantenuti, e anche sulle pareti lasciati e musealizzati i segni delle
granate, della guerra, interessante innesto tra antico e moderno, che non hanno paura di
dialogare. È una diretta conseguenza del riconoscimento dei musei come spazi significanti, idea
forte della musealizzazione e restaurazione drammatica. Nel caso di una sala si è deciso di
ripristinare l’aspetto settecentesco, anche in riconoscimento del ruolo che hanno avuto nella storia
dei musei, ferro battuto, colore rosso scuro, sala che racconta la storia del museo, primi
osservatori, raccoglitori tedeschi, racconto dei primi personaggi che hanno scoperto terre e
portato opere in Germania. Per il resto il museo è molto interessante, al di là di questa sala buona
parte del museo è stata curata da Lucchi, che ha disegnato le vetrine e i plinti con uno stile
moderno. Idea dello spot sull’opera non è tanto moderna, già all’inizio del ‘900 si provava alla
National Gallery, proteggere le sculture ma dare la possibilità di vederle da tutti i punti di vista.
Edificio successivo a essere costruito è la Nationalgalerie (ora Alte Nationalgalerie), costruita tra il
1866 e 1876, progetto sempre dello stesso del Neues, la commissione e una parte delle scelte si
attribuiscono a Federico Guglielmo IV, si ritorna all’uso e ai modi dell’architettura classica, tempio
con un alto basamento e una doppia scalinata, con in cima la statua del re, e come facciata il
pronao di un tempio, con capitelli e colonne, e nel timpano è rappresentata la Germania che
protegge le arti, e poi dedica all’arte tedesca, il museo è dedicato a raccogliere i lavori degli artisti
accademici tedeschi, di cui si voleva raccogliere l’opera, con donazioni e acquisti anche gli artisti
tedeschi di tutto l’800. La pianta è rettangolare, con abside retrostante, progressivamente durante
i primi decenni del ‘900 l’iniziale vocazione verso l’arte tedesca contemporanea si allarga, i curatori
acquistano opere degli impressionisti, degli espressionisti, dopo nel ripensamento dell’isola dei
musei si decide di raccontare l’arte tedesca dell’800, c’è una collezione dei dipinti romantici
tedeschi, ma anche di scultori accademici, e anche all’interno si vede il riutilizzo degli elementi
dell’architettura classica, questione che torna spesso, anche gli USA riprenderanno spesso questa
idea, ci sono elementi di continuità tra i musei, di citazioni. Il quarto edificio a essere costruito
occupa la punta più avanzata dell’isola, il Bode Museum, chiamato così dopo che il suo curatore
muore, è stato uno degli storici dell’arte più famosi dell’800 tedesco, un esperto di arte
rinascimentale, e anche grande conoscitore. Il museo si distacca dallo stile di tutti i musei
precedenti dell’isola, segue la forma curva che asseconda la forma naturale, ed è pensato, allestito
e curato da Wilhelm von Bode, curatore inizialmente della sezione di scultura, poi dal 1905 sarà
direttore generale dei musei di Berlino, storico dell’arte che lavorava tra università e musei, fin da
giovane si era interessato sia all’arte tedesca e i suoi rapporti con l’arte italiana, con attenzione a
tutte le arti applicate, siamo negli anni in cui in tutta Europa nascono questi musei, anche se il
Bode non è inteso in questo senso, ma leggiamo che la tipologia di oggetti che venivano studiati ed
esposti si sta ampliando notevolmente. Divisione cronologica e per aree geografiche, lo distingue
dagli altri musei, non è un museo di ambientazione, ma mette assieme manifatture e opere di tipo
diverso, la più ampia tipologia, non solo sculture e dipinti, dalla seconda metà dell’800 si sviluppa
la passione per le arti applicate, e modo di studiare di Bode, mettere assieme tutto, mantiene
illuminazione zenitale e colore delle pareti, ma per illustrare un periodo storico o situazione
culturale c’è un insieme di oggetti che va a coinvolgere l’arredamento, e ricostruzione di strumenti
per il pubblico, panche di appoggio. Sala allestita nel 1919 dedicata alla collezione di James Simon,
un grande conoscitore tedesco appassionato di rinascimento italiano, girava l’Europa e comprava
moltissimo, erano i primi che apprezzavano una certa tipologia di oggetti. I musei archeologici si
costruiscono grazie alle campagne di scavi che si facevano in Grecia, e portando via una parte del
patrimonio, e si può dire anche per i dipinti. James Simon era amico di Bode, e dona la sua
collezione al museo nel 1918, e Bode la allestisce come una collezione unica. Tra il ’38 e il ’39
questa parte della collezione viene smontata, e non si voleva l’omaggio alla figura, Simon era
ebreo, gli oggetti vengono distribuiti in altri musei, recentissimamente si è deciso di ripristinare
questo gabinetto, e negare quello che era stato fatto dai nazisti. Allestimento del Bode degli ultimi
anni richiama da un lato la museologia dell’800, originaria nel colore delle pareti e esposizione
simultanea di dipinti e oggetti di arti applicate, e dall’altro uno sguardo alla contemporaneità,
come la selezione più forte dei dipinti. Sono musei costruiti molto sul mercato, comprando le
opere in vendita, camerino affrescato da Tiepolo, smontato e ricostruito nel museo, come un
interno mosaico di una chiesa ravennate distrutta, acquistato da Bode, specialisti estrattisti,
specializzati nell’estrarre grandi brani di mosaico dalle pareti. Ultimo museo costruito in ordine di
tempo è il Pergamon Museum, museo che ha una lunga gestazione, che nasce dagli scavi della
scuola tedesca nella città di Pergamo, condotti da un ingegnere, Carl Hummann, che viveva in
Turchia, e quando diventa direttore dei musei tedeschi Conze, erano anche città antiche su cui poi
c’erano altre sovrastrutture, lui dice che c’erano dei pezzi dell’altare inseriti nelle mura di cinta
della città, inizialmente le parti di fregio che arrivano in Germania vengono allestite nella sala
rotonda dell’Altes, poi nelle successive campagne emergono 97 lastre di fregio, quindi un terzo, un
enorme quantità di busti, compreso una parte del tempio dedicata ad Atena, si inizia a pensare a
un museo dedicato a questo scavo e a questi ritrovamenti. Primo progetto del Pergamon, c’era
poco spazio nell’isola, di Wolf, si pensava di ricostruire l’altare com’era e di metterci attorno un
edificio, e si capisce che lo spazio di osservazione dell’altare è poco, altare è molto grande e lungo,
non c’era una buona visione, il progetto viene molto criticato, e l’edificio ha anche problemi statici
per una falda nella parte sottostante dell’isola, motivo per cui si inizia a ragionare su un nuovo
progetto, inaugurato nel 1930, museo diverso in cui l’altare non sia ricostruito a grandezza
originale, che venga costruita solo la scalinata, e poi il fregio distribuito sulle pareti della sala, che
così consente la distanza. Vengono poi creati nelle due ali laterali delle sale in parte dedicate ad
ospitare sculture provenienti dallo scavo di Pergamo, ma poi anche da altri scavi. Museo
inaugurato nel 1930, caratteristica principale del museo, idea di presentare elementi architettonici
alla distanza reale in cui erano collocati, dare immagine realistica del punto di osservazione,
ripristinare le dimensioni dell’architettura antica, utilizzo di parti antiche e di ricostruzione, usate
con una scelta curata dei materiali di integrazione, volutamente non differenziati dai materiali
originali. La porta di Mileto ha una percentuale di parte ricostruita è superiore all’80%, grande
quantità di materiale che è di integrazione. Operazione più evidente che riguarda parti dell’Europa
orientale, come ad esempio i frammenti della porta di Ischtar, puliti, lavati e restaurati, idea di
riusarli, le parti vengono ritrovate smembrate, prevale la ricostruzione della dimensione
architettonica, originalità nel restituire la dimensione architettonica per questo punto di opere
antiche. Inaugurazione del Pergamon, ultimo a riaprire, c’è un percorso unico nei musei, viene
ampliata l’ala della parte che rimaneva tra il Pergamon e il Neues, museografia contemporanea
tedesca si accosta a musei recuperati in modo filologico nel loro aspetto antico.
16/10
In Italia esistevano importantissime collezioni dinastiche che si erano accumulate nel tempo, e
quando Napoleone cade le opere d’arte tornano, e quelle che non venivano date ai musei spesso
vengono musealizzate, ma la differenza principale è la frammentazione del territorio, fino all’Unità
d’Italia, che rallenta quindi il processo di creazione di musei nazionali, a Roma ad esempio il
grande museo è quello vaticano, e poi la città ne sarà sprovvista. Per tutto l’800 non ci sarà
l’insegnamento della storia dell’arte nelle università, esisteva un’editoria specializzata. Per lo stato
italiano, dopo l’unità, diventa importante informarsi sulla legislazione, e anche pensieri per fare in
modo che anche in Italia ci fossero dei musei ampi. Da un lato quindi c’è la ricerca di modernizzare
e ampliare i grandi musei nazionali, che vedono attive due personalità, Cavalcaselle e Adolfo
Venturi, e dall’altro la creazione dei musei civici, fenomeno tipicamente italiano, deriva dalla
soppressione dell’asse ecclesiastico, con il trasferimento in proprietà pubblica un patrimonio
prezioso, che poi è diventato dei musei civici, che poi si sono arricchiti anche con la donazione di
collezioni private. Giovanni Battista Cavalcaselle, è stata una delle prime figure che si è posto a
livello nazionale, di come promuovere musei e conservazione in una dimensione unitaria. Ha avuto
una vita avventurosa, si forma all’accademia di belle arti di Venezia, poi studia anche ingegneria a
Padova, conosce le collezioni romane, fiorentine e europee, poi nel ’48 partecipa ai moti
rivoluzionari, con la repressione viene arrestato e condannato a morte, ma riesce a fuggire in
modo rocambolesco, nel ’49 va esule a Parigi, dove incontra Crowe, un giornalista di un periodico
inglese all’avanguardia, una figura di giornalisti appassionato ed esperto d’arte e della sua
diffusione, con cui fa un viaggio verso Berlino, che era nel pieno della costruzione dell’isola dei
musei, e con cui inizierà un rapporto intellettuale, che li porteranno a firmare una serie di opere
dedicate allo studio dell’arte italiana, scritte in inglese. Anni in cui Cavalcaselle fa un lungo
soggiorno a Londra, negli anni ’50, e quando tornerà in Italia questa esperienza sarà fondamentale
per i musei italiani in confronto a quello che sta succedendo in Europa. Come esperto d’arte viene
interpellato dal comitato scientifico della National Gallery per discutere degli allestimenti, scelte di
acquisti, interpellato per questioni di restauri e puliture dei dipinti, fondamentale la
partecipazione alla mostra Art and Treasures di Manchester del 1857, esposizione che intendeva
presentare a un vasto pubblico tutti i migliori capolavori delle collezioni private inglese, viene
costruito un padiglione apposito, e Cavalcaselle faceva parte del comitato scientifico. Questa
mostra è considerata uno dei primi grandi eventi, occasioni in cui si organizza attorno a una grande
esposizione d’arte degli accorgimenti per accogliere il grande pubblico, anche quello più comune,
una delle prime esposizioni in cui si iniziano a ragionare i sistemi delle comunicazioni, quindi ad
esempio accordi con le ferrovie, oppure attenzione agli strumenti didattici, attenzione al tema del
pubblico, e altro motivo per cui attira attenzione internazionale dei conoscitori è perché è
un’occasione in cui discutere le questioni attributive, secolo dei conoscitori, si sviluppa il metodo
archeologico, e poi anche quello morelliano. Confronto fisico tra due dipinti di discussa
attribuzione, quelli dell’Orazione dell’Orto, poi attribuiti a Mantegna e Bellini, e poi comprati dalla
National Gallery. Per tutta la vita prosegue la sua carriera da storico dell’arte conoscitore, e
contemporaneamente quando torna in Italia inizia a viaggiare e vedere molte gallerie private,
prendeva appunti grafici sulle opere, si sono conservati molti taccuini interessanti, in cui prendeva
annotazioni delle opere che vedeva, disegnava uno schizzo con appunti di carattere materiale e
stilistico, e in questo senso è considerato pioniere del metodo del conoscitore, confronto stilistico
tra le opere. Sulla base di questa sua esperienza, nel 1861, viene indicato dal ministro della
pubblica istruzione assieme a Morelli, di fare una prima ricognizione in giro per le Marche e
Umbria, con lo scopo di redigere inventari delle opere che ci sono sul luogo, con l’obiettivo di
redigere un catalogo, perché lo stato appena nato potesse garantire una buona conservazione e
tutela del proprio patrimonio, era necessario che lo stato conoscesse quello che possedeva per
poterlo monitorare, tema fondamentale, unificare una tradizione frammentaria e diversa sotto
uniche leggi, idea del catalogo impedire la dispersione, idea del patrimonio italiano è che è diffuso,
non ci sono solo centri importanti, è molto capillarmente diffuso, controllo di questo tipo di opere,
nelle chiese, nei territori meno conosciuti. Cavalcaselle con questa ricognizione si rende conto che
lo stato della tutela in Italia è precario, e nel 1863 pubblica sulla rivista dei comuni italiani,
organismo che rappresentava tutto il territorio italiano, pubblica una lettera indirizzata al ministro,
intitolata Sulla conservazione dei Monumenti e degli Oggetti d’arte e sulla riforma
dell’insegnamento accademico, 1863, poi tutta la seconda parte è dedicata al restauro, a direttive
sul restauro, e lui osserva di come in Italia si operava in modi diversi, ad esempio a restauratori
locali, ma lui fa riferimento a un restauro più scientifico. È un appello al ministro, lui dice che
girando per l’Italia, lui fa riferimento al patrimonio come a una risorsa, dopo il richiamo al ministro
dell’importanza del patrimonio e della necessità di riformare la tutela, poi propone una struttura
burocratica, una nomina di commissioni d’arte, fatte anche da funzionari locali e persone
appassionate che nelle realtà locali si occupino di conservare il patrimonio, e poi cultori di belle
arti, e poi necessità che lo stato abbia un inventario e catalogo di oggetti d’arte, che lui considera
come primo strumento di tutela, altra cosa frequente era che i dipinti potessero essere tagliati,
importanza che nel catalogo sia ben definito il soggetto e altezza e larghezza, poi la materia con cui
è realizzato e il nome dell’autore, immagina come deve costruirsi una scheda di catalogo. Obiettivo
di Cavalcaselle è che anche in Italia le pinacoteche siano ordinate in ordine cronologico per scuole,
idea che anche i musei fossero luoghi di educazione e formazione, lui ha come esempio i grandi
musei europei, e dice che in Italia spesso i musei non hanno ordine scientifico. Poi invita a una
maggiore conservazione e scientificità, poi parla di come devono essere formate le gallerie degli
antichi, correggere errore di attribuzione, e presenza di un catalogo scientifico, lui vorrebbe che
fosse applicato a tutta la miriade, poi altro capitolo dedicato al disordine nelle gallerie regie, poi
parla della mancanza di locali idonei per le gallerie, importante invito a riordinare scientificamente
le gallerie italiane, e mettere a punto un sistema di protezione del patrimonio. Poi dal capitolo 14
ci sono indicazioni sul restauro. Nel ’67 diventerà direttore del museo del Bargello, e dal 1871 sarà
ispettore al ministero per le antichità e belle arti, e nel ruolo di ispettore si occuperà di restauri,
farà interventi fisici, a controllare i cantieri, come ad esempio ad Assisi, e sarà l’estensore di una
serie di norme sui restauri, come restaurare i dipinti limitando l’attività di ridipintura,
conservazione delle parti antiche, obiettivo che ci fosse un unico modo di operare in tutta Italia. In
Italia poco dopo l’unità succede la liquidazione dell’asse ecclesiastico, cioè due decreti che tolgono
il riconoscimento patrimoniale all’ordine religioso, e quindi tutto il patrimonio artistico finisce di
proprietà dello stato, era molto vario, che finisce in dotazione dei comuni, e vanno a fondare la
base dei musei civici, di proprietà pubblica comunale, ed è una delle caratteristiche del territorio
ancora oggi, i musei sono molto diversi nel nostro paese amministrativamente, anche le risorse
sono diverse, è dall’800 che c’è questa varietà, da un lato è positivo, ma dall’altro è complicato, i
musei civici raccolgono un patrimonio strettamente legato al territorio, tra le loro potenzialità
hanno quella di raccontarne la storia, quando si crea un nucleo originario arrivano altre opere,
particolarità di raccontare la storia del territorio, di piccoli e grandi mecenati. Altra personalità
importante è Adolfo Venturi, importante, ha unito assieme alla sua biografia due ruoli che lo
storico dell’arte assume rispetto alla tutela, ha fatto parte sia del ministero della pubblica
istruzione che docente universitario, prima cattedra di storia dell’arte in Italia, e fino al 1900 non si
studiava all’università, non c’erano specialisti, insegnamento in cui si sono formati moltissimi
direttori di museo di inizio ‘900. Venturi cresce a Modena, formazione all’accademia di belle arti,
primo incarico che riceve è quello di ispettore alla galleria Estense, dopo aver vinto un concorso
nel 1878, il suo studio risulta particolarmente interessante alla commissione, nell’analizzare le
belle arti a Modena fa un’analisi di come la galleria Estense fosse cresciuta nel tempo. A dirigere la
galleria al tempo era un pittore. Venturi nella galleria di Modena si occuperà per i decenni
successivi, lungo lavoro che si concluderà alla fine del secolo, da un lato fatto perché doveva
cambiare sede, e dall’altro si voleva riordinare scientificamente i musei, e il suo lavoro parte da
uno studio della storia della galleria, inizia a vedere la formazione, gli acquisti, le vendite, le
requisizioni, la storia fisica della galleria come elemento fondamentale per capirne le collezioni, e
successivamente pubblica un catalogo in cui racconta il suo lavoro, che si fonda sulla ricerca
d’archivio, studiare i documenti che riguardano le opere e una revisione critica del catalogo. Si
cominciava a privilegiare una selezione delle opere, la galleria cronologica e per scuole era
acquisita al tempo, ma Venturi inserisce il principio di critica stilistica, iniziare a selezionare le
opere, erano presenti copie o opere coeve, si inizia a inserire un criterio di selezione critica delle
opere migliori, che si basa sul giudizio del curatore. Dal punto di vista museografico lui si prodiga
affinché vengano migliorati i lucernai, non è un museo particolarmente lussuoso, ma aveva
pavimenti in terracotta, uno zoccolo di stucco, idea di tinteggiature dai colori più neutri, uso di
tessuti a volte, e a volte tinteggiature più naturali, anni in cui anche in Italia iniziano a diffondersi
strumenti per la misurazione di temperatura e umidità nelle gallerie. Dopo Modena si occupa della
Galleria Borghese, poi delle Gallerie dell’Accademia e poi per la galleria di palazzo Barberini,
personaggio cruciale per un aggiornamento della situazione dei musei italiani alla fine dell’800,
proposte importanti, come compilare le schede di catalogo e come occuparsi di restauro, si
iniziava a pensare a degli allestimenti su due registri e non su cinque. Aveva interesse anche verso
le arti minori, non solo pittura e scultura. Nel 1901 inizia ad occuparsi di università, poi farà 30 anni
a formare generazioni di studiosi che saranno curatori di musei in Italia.
Musei di arti applicate, da un lato a sviluppare e incentivare questo interesse contribuiscono le
esposizioni universali, eventi dal 1851, che annualmente presentavano al pubblico tutto il meglio
delle arti e industria, sentimento positivo in UK verso l’industria, anche nel senso di attività
industriali dedicate all’arte, con un uso di materiali nuovi, e parallelamente questa attenzione sul
contemporaneo fa sì che vengano rivalutate le arti applicate del passato, si iniziano a studiare i
bronzisti, le maioliche, i vetri, non solo pittura e scultura del passato, e nel fenomeno che riguarda
la critica d’arte si legge l’influenza della disposizione universale, che andava avanti di anno in anno.
Da un lato lo sviluppo della forma speciale di ordinamento e allestimento chiamata casa-museo,
dall’altro lo sviluppo di musei specifici per l’arte industria, che prendono avvio attorno alla metà
del secolo, come il South Kensington Museum di Londra, allestito dal 1856, e da un terzo lato una
ricaduta nel modo di ordinare ed esporre le collezioni pubbliche che viene definito museo di
ambientazione, e in tutti i casi si vede un allargarsi dell’interesse verso le arti applicate. Quando
nella storia dei musei si parla di casa-museo si parla di una specifica tipologia di ordinamento e
allestimento che si sviluppa a partire da metà ‘800, che ha una buona fortuna durante l’800, non si
intende la musealizzazione di una casa, ma facciamo riferimento a un modello che ha come
caratteristica comune le period rooms, un allestimento che punta alla suggestione, al racconto di
un periodo storico attraverso la finzione di personaggi ma con fatti veri, raccontare fatti veramente
accaduti ma messi in una finzione. Museo Poldi Pezzoli, collezione promossa da Gian Giacomo
Poldi Pezzoli, erede di un’importante famiglia di collezionisti, e anche la madre era collezionista,
aveva comprato da restauratori diverse opere, che si muovevano con liberà dopo la soppressione
dell’asse ecclesiastico, lui inizia ad acquisire diverse cose, appassionato di armi antiche, e a partire
dalla metà dell’800 allestisce questa sua casa secondo un principio che può essere ricondotto alla
casa museo che si stava diffondendo. La period room, moda di allestire diversi ambienti della casa
che restavano funzionali, secondo un macro periodo, una cronologia ampia, c’era la camera da
letto barocca, lo studiolo neoromanico, il salotto rinascimentale, ogni sala mantenendo la sua
funzione veniva ricondotta a un periodo storico, opposto dei grandi musei nazionali scientifici, qua
senso di uniformità e suggestione, convivevano cose diverse, grandi capolavori, cose originali,
copie, costruiti moderni in stile di, tutto l’ambiente doveva contribuire a ricreare un periodo, le
vetrate potevano richiamare l’epoca, e potevano essere arredi d’uso, non c’erano cartellini, non
erano luoghi per educare il pubblico, anche se poi erano visitate. Idea delle sale era di costruire il
sentire dell’epoca, dell’ambientazione. Museo Jacquemart André, viene inaugurato nel 1913,
anche se la collezione viene messa assieme alla fine dell’800, si deve a due ricchi appassionati
d’arte e collezionisti, marito e moglie, lei artista appassionata di ‘700, lui proveniente da una ricca
famiglia di banchieri parigini appassionati di arte, comprano questo hotel parigino e lo allestiscono
secondo il modello della casa museo, il salone da ballo è una vera sala di ricevimenti, ma che viene
ricondotta al ‘700, principio di richiamo, lo studiolo era più rococò, ma venivano usati, là ci
studiavano, la porta è vera ma ricostruita come una rinascimentale.
21/10
Casa-museo, idea della period room, uso di parti architettoniche con la loro funzione, nella casa
francese scalone monumentale in cui viene ricollocato un affresco di Tiepolo, staccato da una villa
veneta da artisti specialisti in questa attività, e attraverso un intermediario che era un mercante
legato al mondo dei restauratori viene arrotolato e trasportato in Francia, ancora fino ai primi
decenni del ‘900 questo tipo di operazioni fossero possibili, e come Cavalcaselle e gli altri
cercassero di combatterle. Si diffonde questo gusto anche in alcuni musei, che vengono definiti di
ambientazione, con cui si intende questo gusto che riprende dentro dei musei pubblici l’idea di
commistione di tutte le arti, e di un ordinamento e allestimento che ripropone degli ambienti,
come se fosse una cappella, o degli ambienti di casa, o delle epoche, un po’ sul modello della
period room. Museo di Castelvecchio di Verona, oggi si vede nell’allestimento di Scarpa, che è del
secondo dopoguerra, ma prima di questo ha avuto una fase che è un esempio emblematico di
museo di ambientazione, con un’idea di ricostruzione, che non è filologica, ma è ricreare un clima,
un’epoca del passato, per Verona riguarda tutta la città, idea della riscoperta del passato
medievale, che aveva coinvolto anche il castello, in cui vengono allestite le collezioni civiche, con
un allestimento che viene concluso nel 1923. Era un edificio che aveva subito una serie di
modifiche nei secoli, con decorazioni di ‘600 e ‘700, e nei primi secoli del ‘900 diventa oggetto di
un pesante restauro, che da un lato elimina le aggiunte di ‘600 e ‘700, e ricostruisce le
caratteristiche medievali, come ad esempio i merli. Museo di ambientazione, Avena mette assieme
una scenografia, in cui l’ambientazione e buona parte del mobilio non è originale, ma le opere
sono antiche e originali, allestimento di ambientazione è la trasposizione delle period rooms in una
situazione di museo, non di casa abitata, e il caso dell’allestimento di Avena del 1923 è uno dei casi
più emblematici. Ricreare un’atmosfera, non contesto storico preciso, arti applicate che sono
esposte spesso assieme alle altre arti, non è classificazione scientifica, ma creare un’atmosfera di
un’epoca, con oggetti originali, restaurati, o di invenzione, non è ricollocare gli oggetti nel contesto
originario, ma creare una scatola nuova, il sentimento di un’epoca, moda che si diffonde, negli
anni ’20 inoltrati. Gusto e ripensamento su cosa stava succedendo nei musei lo possiamo leggere
all’inizio degli anni ’30, nel 1934 viene indetta a Madrid una conferenza proposta dall’Office
International des Musées, i musei internazionali erano riuniti in questo, e questa organizzazione
promuove questa conferenza, che intendeva riflettere sullo stato dei musei, e di come indirizzare il
lavoro dei musei in buona parte della museografia, vengono invitati direttori di musei, funzionari e
architetti, con l’idea di fare il punto della situazione, e anche di dare delle indicazioni nel senso
della modernità. L’anno successivo gli atti della conferenza vengono pubblicati. Tre erano le
questioni che venivano messe all’attenzione, come trattare le collezioni, con questioni di
ordinamento, gli edifici, con una parte consistente di questioni museografiche, e il pubblico, viene
riconosciuta a livello internazionale la necessità di riflettere sull’esigenza del pubblico. A leggere
oggi gli atti si capisce come una serie di indicazioni vennero elaborate in quella situazione e poi
riviste, situazione internazionale di musei che riflettono su loro stessi. Gli atti sono divisi in capitoli,
ogni sessione viene presieduta da personaggi importanti, sessione che viene coordinata dal
conservatore dei musei nazionali di Francia, parte dei principi generali, in cui afferma che per i
musei, vista la loro qualità, non si possono stabilire regole universali, ma che ognuno deve
ragionare sulle soluzioni migliori partendo da quello che possiede. Tema importante anche quello
delle professioni, anche per consentire una migliore collaborazione, e vengono affrontati anche
interventi condotti da architetti francesi, in cui si parla delle planimetrie più frequenti usate nei
musei, esempio della planimetria allungata buono per la galleria di dipinti, alternanza di sale più
ampie e gabinetti con opere minori, o ancora museo con corte centrale per l’esposizione di
sculture. Si ragiona anche su come variare le forme architettoniche, Perret, anche di differenziare il
percorso, per la gente comune, importante il fatto che si comincia a riflettere che la forma del
museo può condizionare l’atteggiamento del pubblico. Sale di esposizione e locali accessibili al
pubblico, momento in cui si evidenzia che tutti i musei devono avere spazi di accoglienza per il
pubblico, giardini o luoghi che siano spazi di riposo, sale conferenze, immaginato come luogo di
studio e ricerca, biblioteche, sale di consultazione, e gabinetti scientifici, parte di luoghi e
strumentazione in cui il museo può fare indagini scientifiche sulle proprie opere, realizzazione di
indagini per studiare le opere, anni in cui i primi grandi musei iniziano ad attrezzarsi di gabinetti
scientifici. Assieme a questo un capitolo intero è dedicato all’illuminazione, tema centrale, a
questo punto i musei e la conferenza di Madrid raccoglie tantissimi casi, idea della luce zenitale
come luce privilegiata, ma sono anni in cui si inizia a sperimentare la combinazione di luce naturale
e artificiale, con lucernai, finti o veri, vengono presentati diversi sistemi di illuminazione diverse,
mettendo in chiaro che da un lato questo aspetto è fondamentale, ma bisogna considerare i
riflessi, la riflessione, stare attenti alla direzione della luce, si presentano una serie di soluzioni
tecnologiche per l’epoca, come dei sistemi di lampade. Altra cosa interessante è che viene
presentato un esperimento messo in campo dalla National Gallery, che voleva illuminare solo le
opere, lasciando il pubblico al buio, con lampade sfaccettate, di cui tre facce erano oscurate, quale
illuminazione è migliore per il pubblico e come illuminare le opere. Altro tema è l’adattamento dei
monumenti antichi e di altri edifici all’uso di musei, coordinata da Roberto Paribeni, viene detto
che questa è una questione che in Italia è particolarmente viva, per la storia del collezionismo e
del paese, gli edifici in cui i musei si trovano non sono nati per essere museo, ma sono antichi e
storici che poi vengono trasformati, e questo comporta una serie di riflessioni su come essere
compatibili, modernizzazione dei musei, anche con i posti per il pubblico, che iniziano ad essere
considerati necessari. Altro tema, principi generali della messa in valore delle opere d’arte, tema
che aveva già circolato negli ultimi anni dell’800, la necessità di ragionare su come selezionare le
opere, superamento del museo dell’800 che esponeva tutto, nel senso di una scelta, selezione di
valore, e vengono presentati dei casi, come quello della Galleria d’arte moderna di Torino, che era
da poco stata ordinata e allestita con un unico registro, e idea della messa in valore inizia a essere
considerata un fatto da incentivare, prevedeva una selezione delle opere e spostamento di quelle
non inserite nei magazzini, che devono essere spazi appositi, adeguati per collocarle. Iniziano ad
essere privilegiati allestimenti con pochi dipinti, anche il colore delle pareti si sta schiarendo,
attorno agli anni ’30, e dopo la conferenza sarà quasi un dovere, o anche tendaggi di colore chiaro,
si racconta anche della messa in valore delle scelte, per l’isolamento dei capolavori, attraverso
tende e collocazione delle pareti. Tendenza che viene incentivata nella conferenza di Madrid come
uno dei modi di valorizzare le opere, vale anche per le collezioni di scultura e di antichità. Uno dei
musei più vicini, che recepisce presto le tendenze, invito alla costruzione e modernizzazione dei
musei, con attenzione al pubblico, e questo è il Kroller-Muller Museum vicino a Utrecht, è uno dei
musei degli anni trenta voluto da marito e moglie, che recepisce la novità del museo, in cui il
motivo di ispirazione è il rapporto tra interno ed esterno, e buona parte della collezione è visibile
sia dall’esterno che dall’interno, museo che si apre al pubblico, inaugurato nel 1938, molto
innovativo nel rapporto tra interno e esterno, nel parco ci sono anche istallazioni di artisti allora
contemporanee, iniziative che vogliono superare l’idea di un museo faticoso, che già circolava
all’epoca. Conseguenze sul fronte italiano della conferenza di Madrid, questa cosa non riguarda
solo Carlo Scarpa, ma negli anni ’50 in Italia le riflessioni della conferenza di Madrid vengono
recepite, importanza della qualità dell’edificio, rapporto con l’ambiente, necessità di sfoltire le
opere e depositi organizzati, e buone strutture per il pubblico, così come dal punto di vista del
gusto della necessità di un aspetto differente, più moderno dell’allestimento, anni in cui gli
architetti entrano in modo importante nella gestione dei musei, e anni in cui gli allestimenti
diventano all’ordine del giorno. Carlo Scarpa ha lavorato in Italia dalla fine degli anni ’40 fino alla
morte nel 1978, si occupa del problema di trasformare un edificio storico in un museo moderno,
ha costruito padiglioni nuovi, o ampliamenti in musei, ha lavorato su tutti gli aspetti. Nasce a
Venezia nel 1906, non ha una formazione accademica, ma poi nella vita diventerà punto di
riferimento per architetti e artisti, e anche un intellettuale controverso, inizia la sua attività come
consulente, designer per le vetrerie di Venezia, è significativo perché per tutta la vita avrà
l’attenzione agli aspetti di design del museo, anche del più piccolo dettaglio, disegnerà allestimenti
di mostre contemporanee, collaborerà con la biennale, progressivamente acquisirà fama
internazionale, è anche architetto, disegnava mobili e interni di case. Interessante come
museografo ha lavorato in collaborazione con gli storici dell’arte dei musei in cui è intervenuto,
legato a questo ragionamento sull’opera d’arte. I suoi allestimenti sono molto personali,
nell’ultima parte della sua vita insegna anche allo IUAV come architetto e allestitore. Si può
riassumere le procedure con cui lui stesso diceva di costruire i suoi allestimenti, in 4 principi:
guardare le opere d’arte, attenzione a studiare spazi che siano pensati per quelle opere, e per
quelle soltanto, non solo lo spazio che Scarpa immagina è pensato per le sue opere, ma anche lui
favorisce l’osservazione, soprattutto delle tavole, da tutti i lati del dipinto, compreso il dietro,
attenzione all’opera nella sua materialità. Altra cosa che lui considera è l’architettura dell’edificio
in cui si collocava, si occupò spesso di edifici preesistenti, in cui intervenne in modo molto
caratteristico, lascia un segno importante, che parte dallo studio e analisi dell’edificio. Altro
obiettivo mettere in rapporto arte con architettura, in cui anche gli aspetti più funzionali (griglie
delle finestre, corrimani, piedistalli delle sculture), sono pensati in rapporto alle opere, e per
quarto la capacità di lavorare sugli elementi dello spazio museale, tutti gli elementi, minuscoli
dettagli, come vetrine e incastri, che sono oggetto di studio e progettazione molto dettagliata,
lavoro grosso. La sua formazione come designer si vede nell’uso di materiali moderni
dell’industria, con attenzione sempre ai colori e dettagli. Dal punto di vista dei musei lavora su tre
tipi, risistemare e fare risoluzioni solo su alcune parti, ristrutturare completamente esercizi antichi,
oppure lavorare su alcuni spazi. Un intervento famoso è quello che fa alle Gallerie dell’Accademia,
lavora a stretto contatto con il nuovo sovrintendente, Moschini, con cui progetta un riallestimento
che con l’occasione vuole ripensare il percorso espositivo, e l’intero progetto non viene realizzato,
vengono fatte solo alcune scale. Uno degli interventi più famosi è l’ingresso, che serve a creare una
camera di compensazione, tra temperatura esterna ed interna, doppia porta con spazio
intermedio di compensazione. Altro lavoro che fa è sul progetto dei distanziatori, e delle sale di
Sant’Orsola e Carpaccio, e anche sistema dei pannelli per esporre i polittici è studiato nel dettaglio,
il piedino richiama nella forma la forma del pavimento, si vede il lavoro sui supporti, elemento
importante per lui, è un lavoro duplice, supportare le opere ma che abbiano un design. Farà un
grosso lavoro sulle cornici, e ad esempio a Museo Correr la croce non è appesa, ma neanche in
centro alla stanza, e lui disegna il supporto, la sua museografia è eccentrica, nel senso di fuori dal
centro, il suo tentativo è quello di collocare le opere in modo differenziato, spesso anche rispetto
alla parete l’opera non è collocata al centro, ma c’è uno studio del rapporto con luce e spazio fisico
della parete. Ci sono alcune opere di Museo Correr che sono attaccate a una cerniera che
potessero essere girate e guardate da entrambi i lati. Gipsoteca Canoviana a Possagno, Canova
usava la tecnica dei modelli in gesso, e poi con la presa dei punti li trasportava al marmo, e per
questa tecnica erano rimasti i modelli di molte delle opere famose che poi avevano i suoi
committenti. Lo spazio della Gipsoteca era sempre stato molto affollato, e a Scarpa viene
commissionato l’ampliamento di questo spazio, per festeggiare i 200 anni della nascita di Canova,
e lui progetta un’ala, un volume intero cubico, che si conclude con il gesso della Paolina Borghese,
cosa interessante è il sistema da un lato di ostensione delle sculture, scelta di non collocarle tutte
in fila su una mensola, ma di fare una selezione e collocarle in posizioni diverse, in rapporto con lo
spazio, lui studia rapporti matematici tra gli oggetti e la parete, idea dell’eccentricità è che non
sono dove uno se lo aspetta, la Gipsoteca si distingue anche per l’uso della luce e del rapporto
della luce nello spazio, qui le finestre sono angolari, lui si diceva favorevole alla luce diretta sulle
sculture, lui non è una museografia neutrale, è molto caratterizzata. Castelvecchio, palazzo
medievale poi trasformato, quando Scarpa lo prende c’è l’allestimento voluto da Antonio Avena,
che si inaugura tra il 1918 e 1925, e c’era l’allestimento di ambientazione, per rivalutare l’epoca
medievale, con finti saloni medievali ricostruiti. Scarpa fa strage dell’allestimento di Avena, che per
lui era fuori da ogni possibilità, il museo era stato pesantemente bombardato durante la 2GM, lui
parte dallo studio dell’edificio, di cui scopre le antiche fondazioni, analizza le diverse stratificazioni,
e poi tra fine anni ’50 e metà anni ’60 progetta a realizza l’attuale allestimento, elimina dal
prospetto tutte le decorazioni, ma l’esterno lo lascia così come lo aveva ricevuto, mentre
all’interno elimina tutto per dare alle sale un aspetto rinnovato. Vediamo scelta della posizione
delle opere, attenzione agli strumenti di ostensione, posizionamento delle opere all’interno delle
sale, uso dei materiali industriali in chiave moderna ma di grande raffinatezza, i supporti studiati
appositamente, studio di tutti i dettagli architettonici del museo, di ogni minuscolo dettaglio.
22/10
Cura dell’illuminazione da un lato, non imposizione scontata, e studio dell’illuminazione artificiale
con luci spesse, schermate, tutto costruito attorno alle opere e appositamente per esse, questione
che riguarda anche la contemporaneità, in più situazioni ci si è posti il problema, non è una
museografia neutra, motivo per cui si discute spesso di cosa fare, da un lato la tentazione è quella
di musealizzare Scarpa, ad esempio a Castelvecchio per il momento non vogliono toccare niente,
non è un museo duttile, tipo di allestimento e ordinamento che risulta congelato, e da un lato è un
valore, dall’altro può essere un problema, se ad esempio la collezione aumenta e le opere
vengono ristudiate, e molto difficile intervenire, tipo di museografia molto caratterizzata. Tra gli
altri interventi che Scarpa fa, c’è la fondazione Querini Stampalia, chiamato a lavorare lì da
Giuseppe Mazzariol, grande storico dell’arte, veneziano, che lo chiama all’epoca a fare un
intervento nelle sale del piano terra. C’era un problema di accesso, di acqua alta, e risistemare
giardino retrostante. Scarpa fa un intervento su tutti e tre questi fronti, da un lato disegna un
nuovo ponte sul campo, poi immagina un ingresso sul canale, sa che l’acqua alta non si blocca, la
canalizza, e crea un sistema di scale e un sistema di canalizzazione per cui l’acqua entra e viene
canalizzata ai lati, crea uno spazio espositivo estremamente duttile, con un sistema di rondaie di
ferro, che si muovono da una sala di controllo nascosta dietro le pannellature, e consentono di
modellare lo spazio a seconda delle mostre, e progetta il giardino, in cui vediamo realizzata la sua
passione per il Giappone, da cui viene affascinato dalla semplicità dell’architettura. Altro
intervento importante di sistemazione totale di un museo riguarda palazzo Abatellis, lui aveva già
lavorato a Palermo per un allestimento di una mostra su Antonello da Messina, che mette assieme
le sue opere, e l’allestimento della mostra è un primo esperimento per ragionare sul palazzo, che
originariamente era un convento, poi più volte modificato, spesso i suoi allestimenti prevedevano
la neutralizzazione degli ambienti storici, con dei grandi teli che lasciano passare solo la luce delle
finestre, e anche con dei sistemi di ancoraggio, che puntano all’isolamento del dipinto,
annullandone la cornice. Scarpa inizia a studiare il palazzo e la collezione, la sfida era di come
adattare edificio che non nasce come museo a scopo museale, e per questo viene modificato, e
vengono contemporaneamente eliminate le decorazioni aggiunte, e lasciata la parte del portico,
viene eliminata la quantità di sculture, compresa la fontana al centro, per creare un giardino
geometrico, che ricorda quelli giapponesi. Il lavoro più importante lo fa all’interno, opere poste
spesso in modo che gli si possa girare intorno, uso dei materiali, attenzione agli elementi
architettonici del museo, elementi di sostegno delle opere che vengono studiati appositamente, la
posizione delle opere nello spazio, e la sala più emblematica è quella del busto di Elena d’Aragona,
di Laurana, in cui Scarpa rompe la neutralità delle pareti, gioca con i colori, inserendo dei pannelli
colorati, sala che non può essere modificata con questo allestimento, idea di Scarpa è di creare
contrasti, e le sculture non sono poste dove ce le aspetteremo, c’è uno studio matematico delle
distanze, anche il busto non è messo in orizzontale, ma leggermente inclinato, museografia
personale, uno dei primi casi di desiderio di aggiornare gli orientamenti dei musei italiani. Sempre
nello stesso palazzo allestimento dell’affresco staccato del Trionfo della Morte, affresco che si
stava studiando e discusso, gli viene costruita una scatola prospettica, resecando i lati della sala
per dargli più spazio, viene isolato e dato in uno spazio bianco, anche se il colore è neutro la
museografia non è neutrale.
Evoluzione dei musei negli USA, si deve considerare come nascono, per evitare la sovrapposizione,
Metropolitan Museum di NY, se lo guardiamo in chiave storica possiamo capire come nella
seconda metà dell’800 erano gli Stati Uniti a guardare l’Europa, lì non c’erano casate nobiliari che
per secoli avevano accumulato collezioni, il Metropolitan nasce a Parigi come idea, da un gruppo
di americani, che nel 1866, ricchi e intellettuali, che pensano di far nascere a NY un museo
nazionale, c’era qualche piccola collezione privata, ma non un patrimonio accumulato nei secoli,
idea di far nascere un luogo di conservazione ed educazione del gusto, e in particolare John Jay,
che invita a donazioni, sia economiche che di opere, che è ancora il loro modo di funzionare,
spesso i musei negli USA sono privati, possono vendere e comprare opere. Creare collezione che
possa influenzare ed essere studiata, sia la conoscenza generale che la istruzione della
popolazione. Inizialmente il museo esiste ma non ha una collezione, prima viene istituito e
inaugurato nel 1872, ha una gestione sul modello britannico, ma anche avvocati, ricchi banchieri e
dirigenti, oltre che artisti e pittori. Il primo oggetto della collezione arriva nell’anno successivo, è
un sarcofago trovato da un console a distanza a Cipro e donato al museo, sistema con cui si
accresceranno i musei americani, cioè con iniziative private e donazioni. Poi si decide di modificare
la sede, viene scelta la Douglas Mansion, vuole riecheggiare l’aria del museo dell’800, le collezioni
crescono in base a singole donazioni e personaggi che partecipano a questa iniziativa,
mantenendo un aspetto privato, e dai report annuali si vede come l’obiettivo fosse la creazione di
un nucleo nazionale che aiutasse allo sviluppo del gusto generale. All’inizio del ‘900 si rende
necessaria la progettazione di una struttura apposita, viene individuato Richard Morris Hunt,
architetto con stile eclettico, aveva lavorato per le ricche università, mette assieme tanti stili,
l’edificio è stato molto ingrandito, si sceglie un lato di Central Park, edificio rettangolare, con la
pianta come molte di quelle dell’800 in Europa, e anche la facciata richiama molto attardata l’idea
del museo tempio, reinterpretata, ordine gigante delle colonne, sculture su architravi, uso degli
elementi dell’architettura classica totalmente reinterpretati, idea è di individuare in questo tipo di
forma la museografia adatta al riconoscimento di questo edificio come museo. Poi la collezione
continua a ingrandirsi, fino ad arrivare a oggi, dall’edificio iniziale si arriva a oggi, con molti
ampliamenti, e in alcune parti del museo si ricostruisce a dimensione reale le architetture e le
sculture. Cloister, costruiti alla fine degli anni ’30 nella parte nord di Manhattan, vengono costruiti
con i soldi di Rockefeller, un grande banchiere americano, smontando parte di monasteri
medievali, soprattutto in Francia e Spagna, prendendo pezzi diversi anche per epoche, prendendo
sculture e elementi interi, e ricostruiti in questo ambiente, li possiamo ricondurre alla moda dei
musei di ambientazione, modello del museo tempio dell’800 ha fortuna di lunga durata, e dopo il
Metropolitan in tante città americane acquisiscono collezioni d’arte e creano musei della città.
Modello della casa museo ha esempi interessanti, sul modello europeo Isabella Stewart Gardner a
Boston allestisce la propria casa museo, ha come consulente per gli artisti Bernard Berenson, che
la consiglia e le compra molto, che finiscono sul mercato e vengono vendute da antiquari, palazzo
di cemento che poco fa vedere quello che il museo ha all’interno, c’è una commistione di elementi
preziosissimi e parti di restauro e create ad hoc, e stanno ora cercando di recuperare la
provenienza, e anche le sale interne ripropongono l’idea di un salotto del ‘500 o una cappella neo
medievale, una sala dedicata a Raffaello, ci sono condizioni di riambientazione nell’uso degli
arredi. Solomon Guggenheim stava accumulando una grande collezione di arte contemporanea, di
artisti emergenti della realtà americana, e chiede a Wright di progettargli un edificio per esporre i
quadri, caratteristica dirompente è di costruire l’edificio museale che non ha nulla in comune con
la tradizione, l’edificio in sé diventa un oggetto da apprezzare, soprattutto nello skyline di NY,
questo è fatto a cono rovesciato e una spirale dal basso, rottura visiva di come è fatta la città, con
una cosa tonda, disegno del museo che punta a caratterizzare lo spazio in modo marcato, da qua
vediamo il via di una stagione di musei che seguono questa idea, oggi spesso sono un oggetto
d’arte loro stessi, inserimento nell’architettura della città che vuole essere dirompente. Questa
cosa riguarda anche l’interno, è qualcosa di mai visto, percorso inizia dall’alto, poi a scendere, e le
sale principali sono le pareti della scala che scende, sempre con la luce zenitale. Questa cosa crea
entusiasmo ma anche perplessità, critiche sul fatto che le sale sono curve, non si addicono molto a
livello pratico alle opere (ad esempio enormi tele di Pollock), e poi anche questo tipo di musei
sono pensati indipendentemente dalle opere che devono contenere, problema del rapporto tra
contenitore e contenuto. Esempio dell’idea di ricostruzione e di ambientazione, villa Papiri di Paul
Getty, uno degli uomini più ricchi del mondo grazie al petrolio, appassionato di arte, fa un viaggio
in Italia nel 1912, a Pompei e Ercolano, resta affascinato, diventa collezionista compra tutto quello
che trova di antichità, e decide di allestire a Malibu un museo, che viene costruito studiando la
pianta della villa dei Papiri di Ercolano, per poi riprodurla, con una ricostruzione che si reinventa gli
spazi, villa che diventa la sede per collocare la collezione, certi modelli europei vengono percepiti e
recuperati, poi alcuni disegni presi filologicamente e poi reinterpretati. Alcune opere sono state
acquisite in modo regolare, ma lo stato italiano è riuscito a provare recentemente che la Venere di
Morgantina e il vaso di Eufronio sono ritornati, era stato acquistato illegalmente.
Convegno recente curato da Marisa Dalai Emiliani, fatto nel 2007, che ha messo in evidenza da un
lato il grande spazio acquisito progressivamente nella costruzione dei musei dagli architetti, e
dall’altro uno spazio dato agli antropologi, e c’è anche un arretramento del ruolo degli specialisti.
Caso emblematico del Guggenheim di Bilbao, che alla fine del ‘900 ha deciso di far costruire a
Gehry un grande museo in una piccola cittadina del nord della Spagna, in quel momento in un
periodo di crisi, e questo viene istallato come grande oggetto di interesse per rilanciare la città e il
tessuto urbano, grande rilancio di turismo e città, completamente diverso, nuovo modo di
disegnare con il computer, spazi in cui l’ortogonale è la rarità, e gioco di materiali affascinante. Il
museo di per sé è un oggetto di attrazione, ma nel tempo anche questo tipo di operazione crea
problemi, alcuni artisti reggono il contesto, museo fatto per mostre temporanee, non adatto a
tutte le opere, museo in cui il contenitore prevale sul contenuto. Altro caso interessante è la Tate
Modern a Londra, influenza sui musei contemporanei è stata duplice, da un lato viene recuperato
il riuso della architettura industriale dismessa e usata a scopo museale, è una cosa che riguarda
tanti musei in Europa, e in questo caso si inserisce in un sistema di musei più antico e ampio, fa
parte di quella che era la Tate Gallery, istituzione dell’800, la collezione era preesistente.
Intervento su una ex centrale elettrica, in una zona industriale riqualificata di Londra, ha coinvolto
edifici privati e pubblici, scelta del museo ha riguardato la riqualificazione di un intero quartiere,
era stata chiusa all’inizio degli anni ’80, poi si è deciso di acquisirla come spazio museale, e negli
anni ’90 è stata trasformata in museo da uno studio di architetti svizzeri. Spazi industriali si
prestano abbastanza alla riconversione, poi è stato costruito il ponte. Dal punto di vista
museografico svuotarla dai macchinari, ma lasciare la sala delle turbine vuota, da usare per le
mostre temporanee, mentre gli spazi laterali ha la collezione permanente, con anche spazi per
quelle temporanee. Interessante perché quando viene aperta la collezione di arte contemporanea
non viene allestita cronologicamente, ma per gruppi tematici, si trovano accostate opere di artisti
molto lontani tra loro, temi che sono ampi, e la cosa interessante è che mentre alla Tate Modern ci
stanno ripensando, hanno messo in atto una serie di sistemi di monitoraggio dell’apprezzamento
del pubblico, e stanno rivalutando la possibilità di tornare a un ordine cronologico, ma in questo
ha fatto scuola, sono state diverse le sperimentazioni di destrutturazione dell’ordine cronologico, e
dopo l’operazione di riflessione e monitoraggio il nuovo ordinamento e allestimento intende
recuperare dei nessi cronologici.
23/10
Tate Modern, assolve a tutte le richieste dal punto di vista degli strumenti digitali e del pubblico.
Discorso sui criteri di ordinamento, che dal 2016 il nuovo direttore, dopo una serie di verifiche di
monitoraggio del pubblico, ha deciso di tornare a un po’ cronologico, e poi ora con il Covid il
percorso è obbligato, da questo punto di vista è da tenere presente di come l’idea di scardinare
l’ordinamento cronologico negli ultimi anni è andata molto di moda, e il pericolo di questo tipo di
operazioni, se non si trova una chiave di lettura alternativa, è di creare dei musei che sono più
elitari e complicati per il pubblico, rispetto a un ordinamento di tipo cronologico, abbinare arte
contemporanea in base a categorie è una cosa che rischia di far diventare le opere incomprensibili,
a meno che uno non conosca già un artista, rischio di rendere il museo più elitario, perdendo il
legame con la storia, che era stato inserito dal ‘700 quando si voleva rendere il museo accessibile a
tutto, rischia di diventare incomprensibile al grande pubblico. Altra tendenza del convegno del
2007, propensione a dare un grande spazio agli antropologi, che hanno una tradizione anche nella
capacità di costruzione dei musei, hanno sviluppato una capacità di mostrare i materiali
coinvolgendo il pubblico e legandolo all’ambiente, esempio particolare, il museo del Silenzio, di
Fara Sabina, che vuole raccontare la vita delle monache, con delle proiezioni di oggetti che non
vengono spiegati ma evocati attraverso pochi suoni, luci e immagini, ha una diffusione molto
ampia, non è facile fare qualcosa di nuovo. Tipo di allestimento che funziona bene per certi tipi di
materiali, ma non per tutti, e poi anche invecchiamento velocissimo di queste tecnologie, musei
che funzionano per raccontare storia e antropologia. Museo dell’Acropoli, con i soldi delle
olimpiadi a partire dal 2000 si era iniziato a progettare il nuovo museo, assieme alla città
circostante, interessante orientamento dell’ultimo piano, sala dedicata ai marmi del Partenone,
che ha lo stesso orientamento, interessante anche perché si trovano sempre reperti archeologici
scavando, si è cercato di distruggere il meno possibile. Il design che ha condotto la progettazione
dell’architetto sono dei piccoli bolli, che riproduce in pianta come si disegna un tempio, tutte le
colonne si disegnano come pallini, e torna in tutto il museo, e l’idea dell’architetto è di costruirlo
come una progressiva scalata verso l’alto, come per l’Acropoli, e durante questa salita le opere
provengono solo da lì, costruite in ordine cronologico, prima epoca arcaica e poi classica, e alla
fine i marmi, esposti in uno spazio adeguato, il museo dal punto di vista dell’allestimento delle
sculture antiche ripropone quello che viene fatto anche in Germania, possibilità di ruotare attorno
a tutte le sculture, pur essendo un allestimento piacevole, non essendoci un percorso faccia fatica
a collocare, si perde effetto didattico della costruzione della scultura, ci passeggi dentro, ma non
comprendi i cambiamenti di stile, ci sono svantaggi e vantaggi. Ultima sala, dedicata alle sculture,
rilievo continuo e metope, parte che alterna marmi antichi e calchi era la parte che nelle intenzioni
del ministero greco doveva suscitare il moto internazionale, ma no, confronto tra rilievo rischia di
dare ragione a Quatremere, inquinamento sui marmi, e ugualmente per le sculture frontonali.
Caso della Galleria Nazionale di Arte moderna e contemporanea, museo dedicato a artisti
contemporanei, che viene istituito a Roma nel 1883, con l’idea di avere un museo che raccogliesse
arte contemporanea nazionale, acquisto e raccolta. La prima sede di questo progetto è quello che
oggi è il palazzo delle esposizioni, sede dedicata a mostre temporanee. Nel 1911 si decide di
costruire un nuovo edificio, viene scelta un’altra area più periferica, in cui dare spazio a una vero
museo nazionale per l’arte contemporanea, la struttura richiama idea dell’uso delle colonne, il
portico e statue sull’attico, che rappresentano figure allegoriche, e delle arti applicate, museo che
si richiama pienamente ai grandi musei dell’800. Viene inaugurato nel 1915, e viene trasportata la
collezione di arte contemporanea, la museografia è dell’800, e nel tempo dopo il 1915 la
collezione è dello stato, continua ad ampliarsi con acquisti e donazioni, e poi direzione di Palma
Bucarelli, grande storica dell’arte e curatrice, fino al ’75, e ha portato nell’idea della Galleria
Nazionale idea di portare in Italia a confronto i grandi artisti del dopoguerra e anche internazionali,
creando anche mostre epocali. Ci sono stati diversi direttori, gli ultimi 25 anni sono stati
un’alternanza significativa di molti ordinamenti, lo stesso museo può essere raccontato ed esposto
in modo molto diverso in base a come le opere vengono viste, spazio in cui si esplica la lettura di
esse. Dagli ultimi anni ’90 fino a oggi si sono alternate tre direttrici donne, dal ‘95 Sandra Pinto ha
iniziato lavori di restaurazione, partito da uno studio attento della storia delle collezioni, della
storia delle raccolte del palazzo, e da una scelta, che cosa è contemporaneo cambia, si è deciso di
bloccare al 2000 la collezione della Galleria Nazionale, in favore del fatto che verrà creato il Maxi, il
museo del XXI secolo, che deve continuare a comprare. Lei aveva deciso di allestire e ordinare il
museo con uno stretto racconto cronologico, che rimettesse in valore tutto l’800, da Canova
metteva in sequenza gli artisti, per scuole e aree geografiche, e poi nel piano di sopra il ‘900, con
idea che stretta contemporaneità sarebbe andata al Maxi. Dopo pochi anni è diventata direttrice
Vittoria Marini Carelli, che dice di aver fatto un lavoro sul colore del museo, troppo legato all’800,
dice che serviva per dare maggior valore alle opere, la sensazione è che questo stile non le
piacesse, e viene eliminato questo colore pompeiano a favore di una tinteggiatura
bianco/nero/grigio. Ultimo ordinamento è quello conseguente alla riforma Franceschini, che ha
creato una serie di grandi musei, a statuto autonomo rispetto ad altri musei, che hanno
finanziamenti ad hoc, con rettori appositamente selezionati con concorsi a parte, ed è stata scelta
Cristina Collu, che ha deciso di ripensare completamente la Galleria Nazionale, trattando la
collezione come se fosse una mostra, nuovo allestimento ha un titolo che cambia ogni 3 anni, idea
di rinnovare il museo trattandolo come se fosse una mostra temporanea, e questo ha scardinato
l’ordinamento cronologico, per uno i cui criteri non sono esplicitati, creare associazioni tra le
opere, anche tra sculture e dipinti, creare spazi aperti, anche senza pagare il biglietto, e poi nelle
sale volutamente accostare opere di cronologie lontanissime con opere di associazione di diversa
natura, scardinamento, la Tate ha fatto scuola. Questioni che riguardano la museografia, si deve
ricordare una cosa che ha detto Baxandall, non si può esporre un oggetto senza intervenire sula
sua presentazione, come lo espongo fa vede come lo interpreto, ci sono alcuni terreni di
elaborazione, e ciascuno di questi aspetti si porta dietro delle scelte museologiche. Uno dei temi
importanti che si risolve a livello museografico è quello del percorso, esistono diverse scelte, o
unidirezionali obbligati, o con due o tre o quattro possibilità di scelta, oppure anche percorsi senza
direzione, ma in generale il percorso andrebbe sempre chiaramente indicato, con sistemi di
indirizzo dello sguardo e posizione del visitatore, e dovrebbe prevedere una visione privilegiata
delle opere, ma anche alternative. Ciascuna delle scelte museografiche si porta dietro scelte
museologiche, e altro tema è questione di vetrine, piedistalli e sistemi di ostensione dei quadri,
temi che hanno sempre attraversato i musei, come ad esempio la forma delle cornici nel ‘600, o
scelta di piedistalli antichi nel museo Pio-Clementino, non dovrebbero essere esteticamente
significativi tanto da distrarre l’attenzione dall’oggetto, che non prevalgano esteticamente, e poi
anche regole su altezza ideale a cui porre un dipinto, ma che dipendono dallo spazio, e poi anche
sui pannelli divisori, che consentono di frammentare lo spazio, e anche Scarpa fa un lavoro
raffinato su questo tema, e poi anche importante colore delle pareti. Anche illuminazione è
sempre un fatto interpretativo, un’opera è ben illuminata quando si può valutare la tecnica di
esecuzione, terreno più ricco, illuminotecnica, rimane il fatto che si ricollega anche a problemi di
conservazione, ma anche per i materiali diversi, che devono avere un grado di illuminazione tenue,
e poi luce zenitale è la migliore, evita luce di rifrazione, e lo stesso si può dire anche per le
sculture, una buona illuminazione rende leggibile la materia, attenzione a non stravolgere la
forma. Il museo ha una serie di problemi e doveri tecnici che riguarda la conservazione delle
opere, umidità è la causa principale di degrado, e anche poi inquinanti chimici. Didascalie e
pannelli esplicativi, sono il luogo in cui si incontrano le competenze del museologo e museografo,
il primo decide cosa scrivere, il secondo deve decidere come, devono rientrare in un progetto
complessivo, da un lato c’è desiderio di arricchire le informazioni, e attraverso didascalie fornire
elementi interpretativi, ma possono diventare oggetti grandi, anche in rapporto alle opere. Ci sono
delle linee guida del ministero, ci sono principi generali sull’aspetto fisico, scritta scura su sfondo
chiaro, devono contenere le informazioni principali dell’opera, che vanno selezionate in modo
significativo a seconda del tipo di oggetti che illustrano. Esperimento interessante del direttore di
Brera, James Bradburne, che ha creato didascalie nuove, differenziandole, accostando a didascalie
tradizionali alcune personalizzate, ha chiesto di fare osservazioni sui dipinti a scrittori, e poi anche
per chi ha esigenze speciali. La sua scelta è quella di potenziare l’aspetto didattico, contrasta un
po’ a livello estetico. Applicazione della psicologia della percezione alla museografia, cose che
andrebbero evitate, effetto di raggruppamento e saturazione, oppure anche effetti di
mascheramento, quando l’allestimento diventa preponderante, come all’arte cicladica di Atene,
pareti del museo con foto. (Linee guida per la comunicazione nei musei)

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