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NEWS Kleiber, il personaggio CORRIERE.IT

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Eroe moderno del podio, in fuga dal mondo E' morto Kleiber,
grande direttore
Esteri Troppo bravo: amava a tal punto la musica da odiarla. Poteva d'orchestra (19
Economia trionfare, volle negarsi luglio 2004)
Spettacoli e cultura
Cinema Uno sconfitto: un eroe, IN RETE
Sport gloriosissimamente sconfitto Discografia ed
Scienze ma sconfitto. Un eroe moderno elenco dei
ViviMilano per definizione... Il mistero concerti (in
inglese)
Italian Life della riluttanza, fosse un
perfezionismo ai confini del Biografia (in
patologico, fosse nascosta inglese)
OPINIONI
insicurezza, fosse tedio, non
Editoriali e commenti
faceva che accrescere
Forum&Blog
un'attesa spasmodica.
Italians
Pubblico & Privato
Bellissimo uomo, ma più
Lettere al Corriere
Carlos Kleiber (Mencarini) affascinante ancora che
CORRIERE TV bello per il gran tratto
Videonews signorile e i lampi indecifrabili, inquietanti, degli occhi, era stato per
Online TG tutta la vita dominato dall’eros. Aveva bisogno di donne; invecchiando,
Video Meteo di ragazze. Però s’era tenuto sempre la così ordinaria e modesta
SALUTE mogliettuccia slovena; da lei s’era rifugiato, lasciandosi andare in
Corriere Salute pantofole davanti alla televisione, i denti che gli cadevano, una sorta
I video di Salute di acre voluttà oblomoviana entro di Lui: l’ultima ragazza l’aveva
Dizionario medico abbandonato. Pochi mesi fa, e non l’avrebbe creduto, l’aveva
Sportello Cancro accompagnata, la mogliettuccia, all’ultimo soggiorno, in un
OK modestissimo cimitero sloveno. «Qui nessuno riuscirà a trovarmi»,
DIZIONARI disse dopo aver acquistato un loculo accanto alla brava donna,
«neanche quei pochi ammiratori giapponesi che mi restano». Come
Italiano
tutte le anime intimamente tragiche, era un formidabile battutista e
Inglese
calembourista. Da quel giorno, Carlos Kleiber era rimasto
Tedesco
completamente solo; non sapremo se in realtà tale non sia stato per
Francese
l’intera vita.
Tutti
Enciclopedia
E’ inutile adoperare qui concezioni cristiane. Quando si
RUBRICHE posseggono tutte le doti per trionfare, ma la moira , in latino moera ,
Animali la parte di destino che il Destino ti assegna, è cattiva, si può avere il
Giochi e pronostici dovere di lottare secondo l’eroico modo che di sentire il mondo,
Quiz perfettamente conoscendone l’inutilità, aveva l’Antico, ma è inutile.
SERVIZI Pensiamo a Filottete. Perciò stiamo raccontando la storia di uno
Corriere Store sconfitto: di un eroe, gloriosissimamente sconfitto ma sconfitto. E di
Newsletter un eroe moderno per definizione; non tutto d’un pezzo, non di statura
Meteo titanica. Troppo complesso l’animo Suo, troppo morboso, a volte, il
Mappe Suo pathos, troppo profonda la ferita misteriosa aperta e stillante ogni
Traffic News giorno sangue entro di Lui. «Le secret douloureux qui me faisait
Trovocinema languir» del Sonetto di Baudelaire.
Noidue
Pagine Bianche Si disse di Forster che il suo prestigio cresceva per ogni
Pagine Gialle Romanzo che non scriveva. Non è una battuta affermare che quello di
Cataloghi Carlos Kleiber cresceva quanto meno Egli montava sul podio. Il
Rassegna stampa mistero della riluttanza, fosse un perfezionismo ai confini del
patologico, fosse nascosta insicurezza, fosse tedio, non faceva che
IL QUOTIDIANO
accrescere un’attesa spasmodica. Sicché, superato il solo periodo della
Prima pagina
Sua vita, diciamo dalla metà degli anni Settanta, nel quale Egli ebbe,
E-dicola
quantitativamente parlando, una vita d’interprete quasi normale, ogni
Archivio storico
suo concerto, ogni Sua recita operistica rappresentavano un tale sfogo
Edizioni locali
di quest’attesa spasmodica che l’esito ne sarebbe stato comunque
Iniziative in edicola
trionfale, a prescindere dalla qualità. Va detto che, almeno a quanto io
Abbonamenti / Ore7
ne sappia, Kleiber è montato sul podio con esiti o altissimi o alti: mai
Fondazione
diversi da questi. Poi incomincia il periodo del negarsi, del volere e
Premio Cutuli
disvolere, insieme col bisogno del «late biòsas», del «vivi nascosto».
Via Solferino
Nulla ciò ha da fare con l’imperativo filosofico. Qualcosa di morboso e
misterioso insieme è nel di Lui sottrarsi alla curiosità altrui col
rifugiarsi nella casetta popolare nella periferia di Monaco. O è sublime
indifferenza? O è bisogno di punirsi? Di certo, Egli avrebbe potuto
guadagnare somme incommensurabili e nascondersi dietro mura
recintanti parchi, ville e piscine.

Il tedio. A questo non si pensa forse abbastanza. Kleiber era una


fascio di contraddizioni. Non poteva non amare la musica in una
maniera intensa e dolorosa, alla Tonio Kröger, ma ben poteva a volte
odiarla, e capiremo il perché, a volte provare per lei un tedio infinito.
Non solo per la patologica ristrettezza del Suo repertorio, che
rappresenta una delle Sue oggettive sconfitte.

Altro è studiare nuovi capolavori, abbandonarsi


all’emozionante gioia della scoperta, come accade per esempio a noi
disgraziati critici a causa dello spropositato numero di partiture di che
ci dobbiamo occupare in un ristrettissimo lasso di tempo. Altro è
ripetere quelle sette, otto Sinfonie, quei cinque, sei titoli di teatro
musicale. Da un lato tu sai di essere troppo bravo, sai che non ti si
richiede alcuno sforzo per ottenere un risultato che va già ultra petita.
Rovesci concezione e pensi che hai un tuo, personalissimo rapporto
con ciascuno di questi pezzi musicali: e li valuti collocandoli così in alto
da sapere che per quanti sforzi tu possa fare per una vita intera non
arriverai ad accostarti nemmeno lontanamente a ciò che tu ritieni
l’ideale esecutivo di ciascuno di loro. Ed ecco la radice dell’odio.

Sembra un mio elegante paradosso: in realtà i due sentimenti


coesistono spessissimo in ciascun artista, in Lui dovevano a un grado
estremo, distruttivo. E allora Egli pensava al secondo aspetto: alle
notti insonni, campeggiando in Lui l’angoscia, nelle quali il tempo si
divideva in frazioni sempre più lunghe mentr’Egli si interrogava sul
come e sul perché di una cellula tematica, di una battuta: trovava
dieci soluzioni ciascuna valida quanto le altre, ma a Lui era commessa,
quel momento fatale, la scelta . Poi vedeva gli altri, vedeva ch’erano
proseguiti imperturbabili sul terreno della routine, impermeabili a
interrogativi e dubbi. Vedeva che le reazioni del pubblico e della critica
erano le medesime; peggio, si convinceva ch’era giusto fosse così .
Allora il tedio apriva in Lui le sue grigie ali immense: tanto, è lo
stesso...

Poi, entro di Lui continuava a vivere il vecchio Laio. Si chiamava


Erich Kleiber. Era stato uno dei più celebrati direttori d’orchestra dei
suoi tempi. Alla sua gloria nulla era mancato. L’immensità del
repertorio. La sicurezza in se stesso.

L’appartenere alla parte giusta, sempre, sia nelle prese di


posizione artistiche che politiche. Aveva diretto innumerevoli prime
esecuzioni assolute mentr’Egli, Carlos, credo, nessuna. Era la
precisione, la perfezione, appena lievemente burocratiche.
Era Suo padre. Nelle Sue terribili notti, Carlos non riusciva più a
ricordare se una volta, a quel quadrivio, l’aveva davvero ucciso,
ovvero se dal cocchio Laio gli aveva riso in faccia con quella così
tedesca e secca risata ritmata, quella del Capitano del Wozzeck ,
dicendogli che mai Carlos riuscirebbe a provocargli nemmeno una
scalfittura. Quando ricordava di averlo ucciso, il ricordo si scindeva a
sua volta in due corni terribili: uno portava un immenso senso di
liberazione al quale sarebbe dovuta seguire la coscienza che ormai a
Lui, Carlos, nulla era più vietato, nulla impossibile, nella direzione
d’orchestra; l’altro era segnato da un rimorso che si tramutava in
paralisi.

La congerie di paralisi vinse. Carlos sul podio era più grande del
vecchio, cattivo, Laio, questo l’hanno compreso tutti: ma girava
sempre in un circolo destinato a diventare vizioso. Qualità d’intuizione,
di sensibilità, di analisi, di gestualità, di fraseggio, di scoperta del quid
rivelatore, insomma di genio potenzialmente superiore a tutti gli altri,
apparivano come un miracolo a chiunque, dirigesse Egli il Tristano o Il
cavaliere della rosa o La Bohème o l’ Otello , le Sinfonie di Beethoven,
nemmeno tutte, o quelle di Brahms.

V’era tuttavia un che di febbrile a fianco di quel sublime


autodominio che sul podio sapeva trovare. Questo che di febbrile
t’infondeva una leggera angoscia, quasi tu comprendessi che il
Maestro avesse l’incubo di non portare a termine l’esecuzione, magari
perché Laio si sarebbe materializzato prendendoGli di mano la
bacchetta e continuando lui. Perciò dico che nel Suo pathos v’era
talvolta un quid di morboso. Aggiungo: non sempre la qualità suprema
dell’esecuzione, l’equilibrio assoluto dei rapporti era da Lui attinta.
Aggiungo ancora: in Beethoven pochi hanno inteso dalla Sua
bacchetta scaturire una maggiore energia, una maggior potenza
esplosiva. Ma non v’è, se si pensa all’Introduzione della Quarta e della
Settima , quel «senso del vasto spazio» che le fa essere ciò che sono.
E a volte esecuzioni curatissime vedevano sovrapporsi come un
geniale elemento improvvisatorio al piano sintetico.

L’immagine Sua che più mi ossessiona con una sorta di


liberatorio gaudio, sebbene misto a un’indefinibile e lieve melancolia,
è quella del direttore dei Valzer, delle Polche, dei Galops e delle Marce
degli Strauss nel miracolo del Concerto di Capodanno. Dirigeva questi
pezzi come ciò che sono, grandissima musica, ma insieme con una
sprezzatura del gesto fatta di anticipi, «rubati» strepitosi, di cessazioni
della battuta, e soprattutto d’una tale compenetrazione fisica con quei
ritmi che sembrava vederlo librarsi a un metro da terra. Le
registrazioni che ne restano di per sé sanciscono il loro scaturire da un
genio della bacchetta: da un genio che, forse, per una volta, provò
una strana gioia a farsi tutt’uno coi ritmi e le melodie.

Seppellita la mogliettuccia, Carlos preparò meticolosamente il


riserbo della Propria morte e del Proprio interro. Non si uccise, ché chi
lo ha conosciuto come un fratello mi dice che non ne avrebbe avuto il
coraggio fisico. Ma si lasciò giorno per giorno morire. Riuscirci, e in
così poco tempo, è dato a pochi. Forse una delle poche grazie
elargiteGli dalla Sua cattiva moira.
Paolo Isotta

20 luglio 2004

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