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Verità, Democrazia, Giustizia e Libertà: altri testi

a cura di Mario Armellini

1) Elogio della mitezza e altri scritti morali


Norberto Bobbio
Net, 2006
"Chi non crede nella verità sarà sempre tentato, soprattutto in politica, di
rimettere ogni decisione alla forza" (N. Bobbio, Verità e libertà, in Id., Elogio
della mitezza e altri scritti morali). Anche la democrazia, se si fonda sull’idea di
una verità inconoscibile, può degenerare in totalitarismo. La verità costituisce
l’essenza irriducibile della politicità, il cui carattere plurale e molteplice ne
garantisce l’accesso.

2) La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica


Kant Immanuel; Constant Benjamin ( a cura di Tagliapietra A.)
Bruno Mondadori 1996 La sincerità è un dovere incondizionato anche quando
mette a repentaglio la vita di un amico? è ammissibile la menzogna nei
confronti di chi non ha "diritto alla verità"? La politica deve sempre essere
regolata sulla legalità, oppure vi possono essere delle fondate eccezioni in cui i
principi giuridici risultano inapplicabili? Ai margini della Rivoluzione francese un
giovane e brillante intellettuale e un grande maestro della filosofia europea si
interrogano sui fondamenti filosofici del vivere comune.

3) Verità e politica
Hannah Arendt,
Bollati Boringhieri, Torino 2004,
Hannah Arendt distingue "verità di fatto" e "verità razionale" anche per
accentuare la politicità della prima (tale perché se ne discute, e perché
concerne molti), a fronte dell'impolicità della seconda, che è la verità
perseguita dai filosofi nella solitudine della riflessione.
Ora, caratteristico di ogni tipo di verità è l'elemento coercitivo contenuto nella
sua asserzione di validità (pp. 46-7), che intende sottrarsi al variare
dell'opinione, cosa che la rende ostile a ogni detentore del potere, tirannico o
democratico che sia. La verità di fatto è non a caso opaca, mentre il pensiero
politico è più trasparente perché rappresentativo, nel senso che tiene presente
le idee degli assenti, e rende le proprie visibili da ogni lato.
Tipico della verità di fatto è però di informare l'ambito politico senza disporre di
un apparato metafisico dietro di sé, ciò che la rende più vulnerabile. Inoltre, la
verità di fatto è fragile ma irreversibile, ostinata, resistente agli urti (p. 71).
Come disse Clemenceau, la storia è certamente interpretabile, ma nessuno
potrà dire che nel 1914 sia stato il Belgio a invadere la Germania. Contrario
della verità di fatto non è l'errore, ma la menzogna, e la menzogna dispone di
una grande vantaggio nella sfera politica: è filosoficamente affine all'agire, e si
sa come l'azione sia un concetto cruciale della teoria politica arendtiana,
perché qualifica l'uomo al di fuori della sfera privata, e lo inserisce in quella più
elevata della politica. Anche la bugia mostra la libertà dell'uomo, che sa
trascendere la necessità e si dimostra capace di cambiare il mondo.
Quel che la menzogna fa, è l'abusare della libertà di non dire la verità, e da qui
alla costituzione dei regimi totalitari, dove tutti mentono o devono mentire
sistematicamente, il passo è breve. Caratteristiche della menzogna organizzata
sono la violenza e l'autoinganno del quale si nutrono i potenti per ingannare i
dominati (mentre in regime di arcana imperii il governante era segretamente
consapevole di mentire).
Qui, tuttavia, si produce un paradossale rovesciamento: "Dove tutti mentono
riguardo a ogni cosa importante, colui che dice la verità, lo sappia o no, ha
iniziato ad agire" (p. 61), nel senso che ha fatto un primo passo nel cambiare il
mondo, preservando appunto la verità dei fatti. Mentre con la menzogna totale
è la realtà stessa che si dissolve, con la difesa della verità di fatto si difendono
le condizioni in cui si può esprimere la grandezza della politica.
Salvare la verità non è però ancora salvare la realtà comune agli uomini:
affinché ciò avvenga è richiesto qualcosa di diverso dalla puntualità dei singoli
fatti, vale a dire una storia, una narrazione. Anche per questo il saggio si chiude
con un rinvio a Omero ed Erodoto: nel primo si coglie la capacità di
«considerare alla stessa stregua amico e nemico», con imparzialità; nel
secondo, "la radice della cosiddetta oggettività, questa curiosa passione,
sconosciuta al di fuori della civiltà occidentale" (p. 76).

4) Hannah Arendt,Verità e politica


a cura di Diego Fusaro
http://www.filosofico.net/arendt9.htm
La fiducia di Arendt nella capacità di agire si basa su una visione realistica degli
uomini e dei fatti. La sfera politica presuppone il riconoscimento della verità, di
ciò che è dato e non può essere cambiato a proprio piacimento. La verità
costituisce il principale fattore di stabilità nelle vicende umane e l'ambito
politico ha bisogno e dello spirito di iniziativa e della salvaguardia della
stabilità. La menzogna allora va combattuta, oltre che per la sua immoralità,
per il suo potenziale impatto distruttivo sullo spazio della politica. La menzogna
politica moderna ha effetti di destabilizzazione e disorientamento collettivo. Per
esempio la menzogna moderna si occupa di cose note a tutti (campi di
sterminio) e invece di nascondere distrugge (ad esempio Arendt cita la politica
d'immagine degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam).

5) La parola e la menzogna - 1. La politica


http://ethocracy.net/2010/06/16/la-parola-e-la-menzogna-1-la-politica/
Orbene, viene da chiedersi come sia accaduto che la democrazia (termine che
starebbe ad indicare che è il popolo che detiene il potere e che appare, invece,
come la subdola invenzione di un astuto demago), sia un sistema nel quale il
popolo delega, ad un’estesa combriccola di spudorati mentitori, le scelte e le
azioni che determinano la retta o fallace conduzione della propria vita.
Checché ne dicano Kant, Montaigne, Arendt, Koyré, Derrida, Nietsche,
Rousseau ed altre menti profondissime, il livello di menzogna a cui dobbiamo
assistere, l’intensità e la diffusione della falsità che siamo costretti ad ascoltare
oggigiorno in Italia, non ha eguali in alcun tempo, né in alcun luogo.

6) Verità o menzogna: cosa conta di più in politica?


Stefano Gatto
http://www.lospaziodellapolitica.com/2010/06/verita-o-menzogna-cosa-conta-di-
piu-in-politica/
Non sarebbe davvero il caso di dirsi un pò più la verità, anche se scomoda?

7) La menzogna in politica e il diritto alla verità


Stefano Rodotà, 2009
http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1243322786.htm
La democrazia, ricordiamolo, non è solo governo del popolo, ma governo "in
pubblico". Qui, in questa semplice e profonda verità, sta l´inammissibilità della
menzogna in politica, che si trasforma proprio nella pretesa di non rendere
conto dei propri comportamenti da parte di chi ha liberamente scelto di uscire
dal rassicurante spazio privato per essere protagonista nello spazio pubblico.

8) Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell'epoca delle reti.


Derrick de Kerckhove et al. (a cura di Antonio Tursi)
Milano, Apogeo, 2006, pp. 214
Contro tesi apologetiche sostenute dai fanatici della tecnologia che nascondono
i risvolti negativi del paradigma digitale, si leva la voce di Michele Prospero con
il suo incisivo "La solitudine del cittadino virtuale". In questo titolo c’è un
ossimoro nascente dal fatto che nonostante l’era della connettività, della
relazione uno-a-tutti, si è perso il senso sia dell’individualità e sia della
collettività perché “il contatto online non può surrogare la vicinanza fisica e il
rapporto tangibile tra i corpi” e quindi “le interazioni anonime, che passano da
schermo a schermo, hanno l'inconveniente di lasciare un desiderio
incancellabile di confronto reale, di visibilità” (p. 182).
La connettività ha indotto molti a parlare di nuova partecipazione alle istituzioni
democratiche come risultato dell’equazione internet uguale qualità superiore
della democrazia. Prospero, correttamente, mette in guardia da coloro che
semplicisticamente predicano le dottrine del rimpiazzo di obsolete forme di
partecipazione politica con le nuove tecnologie. Accodati ai teorici, i pratici si
sono buttati sul mercato predicando l’alfabetizzazione informatica che non
basta perché è necessario risolvere il problema della formazione del cittadino,
del senso di appartenenza.
La “cosiddetta democrazia della tastiera” è una illusione perché “Nei partiti
postpolitici di oggi la velocità dei nuovi media è un incentivo alla separatezza,
alle pratiche poco trasparenti, alla sterilizzazione di ogni velleità di
partecipazione”(p. 192). Senza un’adeguata formazione culturale del
cibercittadino ho l’impressione che si continuerà nel vecchio modo di fare
politica e la formazione del consenso si realizzerà, mutatis mutandis, ri-
proponendo in modo becero l’invito ad apporre “una croce sopra una croce”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, benché collocato nel punto di surplace del
discorso snodantesi nel libro, troviamo il saggio di Franco Berardi
Bifo Democrazia e mutazione in cui, come controaltare dell’esaltazione
dell’influsso innovativo delle tecnologie reticolari sul paradigma democratico,
l’autore pone un quesito allarmante:“La prima generazione videoelettronica è
da considerarsi emotivamente mutante?”(p. 85) I primi sintomi di questa
mutazione sono stati classificati come attention deficit disorders perché “la
mente tende subito a spostarsi, a cercare un altro oggetto. Il trasferimento
rapido procede per associazioni e sostituisce la discriminazione critica.”(p. 84)
Con queste premesse l’autore conclude che un uso incontrollato e livellante
delle tecnologie mediatiche stravolge le stesse “condizioni antropologiche in
cui la democrazia aveva potuto nascere.”(p. 86)
Antonio Tursi, nel saggio, "Proliferazione della discussione, necessità della
decisione", riesce con preciso ed esperto argomentare a porre in evidenza i
punti deboli di ciberdemocrazia e postdemocrazia che rappresentano oggi le
varianti di quello che è “almeno in linea di principio, il più giusto, anche se non
sempre il più efficiente, dei sistemi politici da noi conosciuti”(p. vii). Quel
prefissociber esaminato da Tursi con lente heideggeriana ci rinvia al
vocabolo cybernetics che Wiener nel 1948 decise di utilizzare per indicare il
“controllo e la comunicazione nell’animale e nella macchina”. Se è vera, come
è vera, l’affermazione nomen omen, c’è ben poco da inneggiare alla infinita
libertà di navigazione nel mare di internet. Infatti, Tursi ci ricorda
che cibernetica deriva dal vocabolo greco che significa timoniere (kybernetes)
e per questo ci invita a porre “attenzione agli aspetti del controllo, del
comando, della conduzione (il “timoniere”) che hanno destato e continuano a
destare preoccupazioni”(p. 128). Forse mai come con questa tecnologia si
presenta viva la co-esistenza nella tecnica di pericolo e salvezza per l’uomo.
Sempre nel prefisso ciber è da ravvisare “la fine della rappresentazione-
rappresentanza” quale cardine della democrazia e “l’evoluzione prossima
ventura della forma di governo”, come auspicato da Lévy, forma fondata, da un
lato, sulla sostituzione della burocrazia con una specie di tecnocrazia mediatica
che garantisce una “trasparenza simmetrica” e, dall’altro lato, basata sullo
sviluppo di quello che oggi il filosofo francese chiama “protogoverno
planetario” formato da organizzazioni sovranazionali oggi operanti (WTO, FMI,
Banca Mondiale). Tuttavia, pur con tutta la buona volontà, le istituzioni
suddette – assennatamente fa notare Tursi – “non sono affatto creatrici di
società e non sono inserite in meccanismi democratici di circolazione del potere
– meccanismi che soli generano legittimità –, in definitiva non sono
politiche.”(p. 133)

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