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3) Verità e politica
Hannah Arendt,
Bollati Boringhieri, Torino 2004,
Hannah Arendt distingue "verità di fatto" e "verità razionale" anche per
accentuare la politicità della prima (tale perché se ne discute, e perché
concerne molti), a fronte dell'impolicità della seconda, che è la verità
perseguita dai filosofi nella solitudine della riflessione.
Ora, caratteristico di ogni tipo di verità è l'elemento coercitivo contenuto nella
sua asserzione di validità (pp. 46-7), che intende sottrarsi al variare
dell'opinione, cosa che la rende ostile a ogni detentore del potere, tirannico o
democratico che sia. La verità di fatto è non a caso opaca, mentre il pensiero
politico è più trasparente perché rappresentativo, nel senso che tiene presente
le idee degli assenti, e rende le proprie visibili da ogni lato.
Tipico della verità di fatto è però di informare l'ambito politico senza disporre di
un apparato metafisico dietro di sé, ciò che la rende più vulnerabile. Inoltre, la
verità di fatto è fragile ma irreversibile, ostinata, resistente agli urti (p. 71).
Come disse Clemenceau, la storia è certamente interpretabile, ma nessuno
potrà dire che nel 1914 sia stato il Belgio a invadere la Germania. Contrario
della verità di fatto non è l'errore, ma la menzogna, e la menzogna dispone di
una grande vantaggio nella sfera politica: è filosoficamente affine all'agire, e si
sa come l'azione sia un concetto cruciale della teoria politica arendtiana,
perché qualifica l'uomo al di fuori della sfera privata, e lo inserisce in quella più
elevata della politica. Anche la bugia mostra la libertà dell'uomo, che sa
trascendere la necessità e si dimostra capace di cambiare il mondo.
Quel che la menzogna fa, è l'abusare della libertà di non dire la verità, e da qui
alla costituzione dei regimi totalitari, dove tutti mentono o devono mentire
sistematicamente, il passo è breve. Caratteristiche della menzogna organizzata
sono la violenza e l'autoinganno del quale si nutrono i potenti per ingannare i
dominati (mentre in regime di arcana imperii il governante era segretamente
consapevole di mentire).
Qui, tuttavia, si produce un paradossale rovesciamento: "Dove tutti mentono
riguardo a ogni cosa importante, colui che dice la verità, lo sappia o no, ha
iniziato ad agire" (p. 61), nel senso che ha fatto un primo passo nel cambiare il
mondo, preservando appunto la verità dei fatti. Mentre con la menzogna totale
è la realtà stessa che si dissolve, con la difesa della verità di fatto si difendono
le condizioni in cui si può esprimere la grandezza della politica.
Salvare la verità non è però ancora salvare la realtà comune agli uomini:
affinché ciò avvenga è richiesto qualcosa di diverso dalla puntualità dei singoli
fatti, vale a dire una storia, una narrazione. Anche per questo il saggio si chiude
con un rinvio a Omero ed Erodoto: nel primo si coglie la capacità di
«considerare alla stessa stregua amico e nemico», con imparzialità; nel
secondo, "la radice della cosiddetta oggettività, questa curiosa passione,
sconosciuta al di fuori della civiltà occidentale" (p. 76).