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I 150 anni delle tante Italia. Può vincere, finalmente, l'Italia onesta, civile e solidale?

Tra retorica patriottica, a volte francamente fuori luogo, e ostruzionismo padano, si festeggia nel
2011 il 150° anniversario dell'unità d'Italia. La Lega ha tentato di impedire l'istituzione, solo per
quest'anno, della festa nazionale del 17 marzo, sulla base di ragioni economiche e di bilancio dello
Stato. Motivazioni davvero improbabili e strumentali perché quella festa verrà pagata di tasca
propria dai lavoratori, visto che andrà a sostituire una delle giornate di permesso retribuito (festività
soppresse) a cui avrebbero avuto diritto, ma soprattutto in considerazione dello sperpero di denaro
pubblico che la Lega stessa impone, solo per citare alcuni esempi, opponendosi all'abolizione delle
inutili provincie, impedendo l'accorpamento in un'unica giornata dei referendum (sull'acqua
pubblica, il nucleare e il legittimo impedimento) alle elezioni amministrative (causando un aggravio
di spesa di 3 o 400 milioni di euro) con il chiaro intento di boicottare il raggiungimento del quorum,
ponendo a carico dell'erario pubblico le multe che l'Unione Europea esige dai produttori di latte che
hanno violato le quote di produzione stabilite.
La mia personale idea è che il modo migliore di celebrare questa ricorrenza, sfruttando l'occasione
per ripensare alla storia della nostra nazione, sarebbe quello di riconoscere e ricordare le tante Italie
che convivono e e si contrappongono tra loro da un secolo e mezzo.
L'Italia del Nord e quella del Sud. L'Italia clericale e quella laica.
L'Italia del lavoro dipendente, quella dell'imprenditoria e quella del capitale.
L'Italia dei lavoratori pubblici e dei lavoratori privati.
Soprattutto l'Italia che persegue giustizia, legalità, diritti che si contrappone all'Italia del familismo,
delle raccomandazioni, dei favori, dei privilegi, delle clientele, del voto di scambio, della
corruzione, delle mafie, dell'evasione fiscale, dell'economia in nero, dell'abusivismo edilizio.
L'Italia di Mazzini contro l'Italia di Cavour.
L'Italia delle leghe e dei sindacati socialisti contro l'Italia del fascismo.
L'Italia della resistenza contro l'Italia della restaurazione democristiana.
L'Italia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino contro l'Italia delle mafie e dei loro complici.
L'Italia di Don Minzoni e Don Milani contro l'Italia vaticana di Ruini e Marcinkus.
L'Italia di Giorgio Ambrosoli contro l'Italia di Sindona, di Calvi, di Andreotti.
L'Italia che vuole difendere e attuare la Costituzione contro l'Italia di Berlusconi.
L'Italia della solidarietà e dell'accoglienza contro l'Italia della Lega di Bossi.

Amaramente si deve riconoscere che è l'Italia peggiore quella che ha fin qui sempre vinto. Quella
grande palude, stagnante e melmosa, del 'tengo famiglia' e la cui parola d'ordine è 'Franza o Spagna,
basta che se magna', che deriva la propria natura e le proprie intime convinzioni da secoli di
dominazioni straniere e dall'influenza deleteria del Vaticano e che di volta in volta ha preferito
affidare il proprio destino al fascismo, alla DC, al berlusconismo, al potere temporale delle
gerarchie ecclesiastiche piuttosto che accettare la sfida di rendere questo Paese migliore.
Sono due Italie che non si identificano con destra e sinistra ma piuttosto le attraversano
trasversalmente. Ciò che è certo è che nessuna componente dell'Italia migliore sta oggi con
Berlusconi e lo dimostrano i tanti personaggi moderati o di destra (Travaglio, Di Pietro, Saviano,
Biagi, Montanelli per citarne alcuni) spinti, dalla propria coerenza e dalla propria onestà,
all'opposizione e di questa diventati (a torto o a ragione ....) dei simboli.
Forse sono Italie (intese come atteggiamenti mentali e comportamentali) che convivono in ciascuno
di noi o in molti di noi.
Ma è proprio l'Italia peggiore quella maggioritaria. Fini che, in buona o cattiva fede, prova a
proporre una destra 'moderna ed europea' si ritrova alla guida di un piccolo partito.
Così afferma Scarpinato:
"A questo proposito si è soliti ripetere che tutti i cittadini aspirano a una giustizia rapida ed
efficiente, ma a mio parere si tratta di una favola retorica, che purtroppo non trova riscontro nella
realtà del Paese. L’analisi della realtà ci pone dinanzi a un quadro affatto diverso: questo è un Paese
nel quale, come diagnosticato dalla Corte dei conti, la corruzione ha un fatturato annuo di 60
miliardi di euro; nel 2010 l’evasione fiscale certificata dalla Guardia di Finanza ha raggiunto la
quota di 49,245 miliardi di euro. Si tratta di un Paese in cui, nonostante gli arresti e i sequestri, le
mafie continuano a signoreggiare in quasi tutto il sud e a investire nel nord, di un Paese nel quale
l'abusivismo edilizio e i reati contro l'ambiente sono fenomeni di massa in vaste aree del territorio.
I soggetti coinvolti nei circuiti illegali non sono soltanto quelli che commettono reati in prima
persona, ma anche migliaia di altri soggetti che vivono nell'indotto e grazie all'indotto dell'economia
criminale, della corruzione,dell’evasione fiscale, delle mafie, dell'abusivismo edilizio (…)
Esiste dunque un’ampia parte del Paese trasversale ai ceti sociali che non nutre alcun interesse per
una giustizia rapida ed efficiente, ma al contrario ha interesse a una giustizia inefficiente. Questo
dato criminologico e sociologico deve costituire un’imprescindibile piattaforma di riflessione per il
legislatore, per comprendere, muovendo dalla realtà, che talune patologie del processo come la sua
irragionevole durata sono anche un riflesso di gravi patologie socioculturali e non soltanto effetti di
deficit organizzativi o di improvvide architetture normative.
L’impatto dell’illegalità di massa, nel sommarsi al già esorbitante numero di reati che sono frutto di
una legislazione penale italiana inutilmente ipertrofica, si abbatte infatti con un peso schiacciante
sul processo penale, un peso che non ha paragoni in nessun altro Paese europeo.
Le culture dell’impunità, espressione di questa illegalità di massa, si declinano poi all'interno del
processo mediante l'abuso sistematico delle garanzie processuali per fini dilatori..."

Il Partito Comunista Italiano ha rappresentato per decenni la speranza di un'Italia giusta e onesta,
ma ha disperso la propria forza e le proprie idealità nell'imperdonabile adesione alla dittatura
sovietica che significava, stante i vincoli imposti dalla guerra fredda, l’autoesclusione (per una
causa sbagliata!) dalla possibilità di accedere alla guida del governo e dunque contribuire, con la
realizzazione delle istanze sociali sancite dalla Costituzione, ad una evoluzione positiva della
democrazia e ad una crescita civile della comunità nazionale.
Il suo erede, il PD, che pure rappresenta ancora la più importante forza della sinistra, è stato esso
stesso risucchiato nella palude: per un malinteso realismo politico che lo ha portato a voler
rappresentare l'Italia profonda o più probabilmente perché i suoi leader sono stati 'comprati' e
'conquistati' dai soldi dei potenti e dal desiderio di difendere i privilegi della propria casta.

Ma potrà mai vincere l'Italia onesta, civile, solidale se i mezzi di comunicazione di massa sono in
massima parte in mano agli 'altri', se la scuola pubblica, la più importante fonte di educazione civile
dei cittadini, è in via di distruzione e smantellamento, se anche i partiti di opposizione perpetuano
comportamenti e pratiche di casta quasi allo stesso livello delle forze politiche berlusconiane?
Non c'è altra strada, forse, che un paziente e lento lavoro di costruzione e ricostruzione del tessuto
civile che riesca ad unire e far dialogare tra di loro – senza egoismi, particolarismi, artificiose
divisioni - le tante istanze virtuose che ancora esistono e di continuo nascono in questo Paese.
Creando una rete alternativa che dal basso, sul territorio, fra la gente, sappia essere un punto di
riferimento per i cittadini, offrendo loro un'alternativa alle scorciatoie dell'illegalità e dei favori
garantendo solidarietà, aiuto, occasioni di lavoro e di risparmio attraverso imprese cooperative e
gruppi di acquisto, indicazioni e supporto per l'accesso ai servizi pubblici e per ottenere il
soddisfacimento dei propri diritti, utilizzo collettivo dei beni, socialità, pratiche sostenibili dal punto
di vista ambientale e dei consumi, diffusione della cultura.
Un movimento di opinione ma anche una concreta realtà economica che sappia proporre un modello
alternativo e che sappia trasmettere il messaggio, anzitutto con la testimonianza dell'impegno e la
coerenza dei valori di chi vi aderisce, che l'unico modo per essere certi di poter sempre soddisfare i
nostri bisogni fondamentali e affrontare le disavventure che ciascuno di noi o dei nostri congiunti
potrà incontrare nella propria vita – si tratti di salute, lavoro, la casa, una scuola e una università di
qualità per i nostri figli, la possibilità di consentire loro di esprimere a pieno il proprio talento,
l'ambiente, la gestione dei rifiuti, ottenere un giudizio equo ed in tempi ragionevoli se dovessimo
presentarci come imputati o vittime di fronte alla giustizia - non è la furbizia o la capacità di
cavarcela da soli fidando sull'aiuto del potente di turno ma poter contare su di un’amministrazione e
strutture pubbliche efficienti e trasparenti e su di una giusta legislazione.
Una rete di movimenti che sia unita da una forte consapevolezza politica e attraverso di questa
possa promuovere un dialogo e un confronto, rispettoso ma fermo, con la rappresentanza politica
esistente, smuovere dal torpore e dalla deriva castale sindacati e partiti di sinistra, costituire il
pungolo e la leva attraverso cui farne emergere le posizioni e le personalità migliori e contribuire a
travolgerne la parte che si è arresa al regime.

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