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25 aprile 2021

Autorità, gentili ospiti, signore e signori,

Oggi festeggiamo il settantaseiesimo anniversario della liberazione dell'Italia


dal nazifascismo. È con convinzione, è con ostinazione che, nonostante le
limitazioni imposte dalla pandemia, riteniamo non solo giusto, ma necessario,
fermarci a ricordare le origini della nostra democrazia. Negli ultimi anni non di
rado si sente dire che alla fatica della memoria sia preferibile la leggerezza
dell'oblio: per non dividere, per convenienza, sarebbe più saggio dimenticare,
rimuovere tutto quello che può evocare divisioni e rancori. Noi siamo qui per
fare esattamente il contrario: contro le tentazioni, oggi in voga, di ridurre la
complessità del passato, sentiamo il dovere di rievocare l'impresa eccezionale
delle donne e degli uomini della Resistenza. Non è un ricordo fine a se stesso
quello di oggi: è un ricordare per attingere, in questo tempo difficile, a un tesoro
di valori di cui abbiamo più che mai bisogno. La libertà, la giustizia sociale, la
fratellanza, la pace, l'internazionalismo sono l'eredità irrinunciabile del 25 aprile
e insieme rappresentano l'orizzonte dell'Italia repubblicana.

Il rischio è che queste parole risuonino vuote e non sappiano più parlare al
nostro mondo. Morti molti protagonisti di quel periodo tragico, la Resistenza
corre il pericolo di diventare passato remoto senza punti di tangenza con l'oggi.
È doveroso allora impegnarci a conoscere e a raccontare meglio quegli anni,
studiare, adottare nomi e storie, anche quelle meno conosciute, per sottrarle
all'usura del tempo e farle diventare condivise. Giorni fa, leggendo della
liberazione tardiva di Trento nei primi giorni di maggio, mi sono imbattuto
nella vicenda di quei partigiani che nelle ultime ore di guerra, dopo la resa delle
forze nazifasciste in Italia, hanno continuato a presidiare la città per impedire
saccheggi, distruzioni e ritorsioni. Tra loro Ivo Maccani, studente universitario
e comandante partigiano di soli 26 anni, ucciso da un soldato delle Ss il 2
maggio del 1945. Quella stessa sera, mentre si trovava di guardia a un ponte sul
Fersina, Renzo Nardon muore a 17 anni durante una sparatoria con la
retroguardia tedesca. E il partigiano Desiderio Andreatta, 39 anni, sposato con
tre figli, viene falciato a Gabbiolo da soldati tedeschi sbandati. Alla fine, nelle
strade di Trento, quel 2 maggio in cui la guerra sembrava già finita hanno perso
la vita otto partigiani, che hanno solo intravvisto la Liberazione, ma non sono
riusciti a viverla e ce l'hanno lasciata in custodia. Oggi siamo qui anche per loro
e grazie a loro.

In verità la Liberazione è un processo che non finisce mai e che richiede tuttora
il nostro vigile impegno. Tanto più oggi che la pandemia ci ha reso più deboli
colpendo la nostra economia e aprendo profonde ferite anche a livello sociale e
politico. L'assalto al Campidoglio a Washington dello scorso 6 gennaio ci
dimostra che anche una delle prime democrazie dell'epoca moderna può finire
sotto attacco quando qualcuno soffia sul fuoco invece di dare risposte al
disagio e alla sofferenza. Se c'è una lezione che abbiamo imparato dal fascismo,
è che il vuoto lasciato dalla rappresentanza viene riempito da sciamani e
apprendisti stregoni. Allora, è bene rammentare che ogni generazione ha la sua
resistenza da fare: e lo dico innanzitutto per noi, rappresentanti delle istituzioni,
per noi generazione adulta che forse non sempre ha saputo essere all'altezza
delle sfide della nostra democrazia, e per i giovani, chiamati a rifare l'Europa, a
combattere in difesa dell'ambiente, a reclamare il diritto al futuro.

Il 25 aprile non è una festa rivolta al passato, non è un anniversario polveroso.


Il 25 aprile è il giorno in cui si rinnova il patto su cui si regge la nostra
democrazia. Il 25 aprile è per il presente e per il mondo che verrà. Come ha
scritto Vittorio Foa, dobbiamo coltivare la nostalgia del futuro: un futuro che
dipende dall'eredità di cui ci sentiamo portatori e dalle nostre scelte.
A tutti voi buona festa della Liberazione

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