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Zbigniew Herbert, nato nel 1924 a Leopoli, ha vissuto, specialmente durante la sua
giovinezza, una vita piena di avventure, ma in fin dei conti si potrebbe dire che fosse stato
creato più per una tranquilla esistenza divisa tra il museo e la biblioteca. Ci sono ancora
molte cose che non sappiamo bene della sua esistenza durante la guerra: fino a che punto
era coinvolto nella resistenza, e cosa ha passato durante l’occupazione. Sappiamo che veniva
dalla classe media, da una famiglia dell’intellighenzia, come si direbbe in Polonia. L’ordine
della sua giovane vita venne distrutto, per sempre, allo scoppio della guerra nel settembre
del 1939. Quando la guerra finì e Leopoli venne annessa al territorio dell’Unione Sovietica,
Herbert era fra le migliaia di giovani che vivevano sospesi, tentando di imparare, di studiare,
nascondendo la loro attività nella cospirazione, attuale o passata. Si può dire senza dubbio
che Herbert quelli anni li ha sfruttati bene, acquisendo una profonda educazione classica.
Il suo rapporto privilegiato con il mondo classico non è certo un'eccezione nel
panorama letterario del XX secolo. Sono numerosissimi gli scrittori che ne condividono
l’amore per l’antichità, anche come reazione all’esperienza della seconda guerra mondiale,
che aveva distrutto ogni certezza, spingendo gli artisti a cercare rifugio nell’antico, un
passato imprescindibile dal presente e non concluso in se stesso, ma ancora in grado di
produrre idee e nuovo pensiero.
Non potevo decidermi quale poesia di Zbigniew Herbert scegliere come esempio dei
suoi discorsi sulla fede e metafisica. Raramente utilizza tante figure retoriche, quindi
individuarne un paio non sarebbe il lavoro sufficiente. Mentre analizzare profondamente il
suo pensiero, il mischiarsi dei mondi classico e cristiano, ci porterebbe a ben oltre cinque
pagine. Alla fine ho deciso di scegliere il poema Tommaso, raccolto nel volume L’epilogo
della tempesta.
Tommaso
Il viso concentrato
i solchi sulla fronte
la luce bluastra del mattino
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fredda e avversa
È interessante vedere, come Herbert utilizza il motivo del dubbio di San Tommaso.
Non si riferisce direttamente al Vangelo, ma comincia con guardare il famoso quadro di
Caravaggio (che oggi si trova a Sanssoussi vicino a Berlino). Da questo fatto si può trarre due
conclusioni che sono molto significative per tutto lo stile di Herbert.
Per primo, il poeta sempre “guarda”, e poi “vede” il mondo che non è lineare o
armonico. Nelle sue poesie Herbert usa le antinomie spessissimo. Il suo viso taglia la realtà
per mettere alla luce cose che normalmente non si sarebbero viste. Per chi conosce un po’ le
opere di Herbert, l’accuratezza (“qui”, “proprio qui”) con la quale comincia il poema
Tommaso, e già un segnale che la vivisezione della realtà sta per cominciare. Questo
atteggiamento, questo stile di pensare è molto “digeribile” per le perone che stanno
cercando le risposte su Dio e sulla fede. Herbert è molto “onesto” nel suo sguardo. Non
presume mai a priori, e quando si legge qualche sua poesia per la prima volta, non si sa mai,
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se le sue osservazioni saranno contro o a favore delle nostre convinzioni. Ecco perché
Herbert è così persuasivo.
Per secondo, Zbigniew Herbert raramente tocca il tema di fede in modo diretto.
Molto più spesso la sua riflessione religiosa va a pari passo con il pensiero classico. Il
personaggio biblico spesso si incontra con i protagonisti dei miti greci e romani. La fede è
preceduta, è annunciata dall’arte. Grazie a questo modus operandi le poesie di Herbert
possono essere comprese da tante persone fuori della Chiesa. Leggendo Herbert, ognuno si
sente come se fosse “a casa”, basta che conosca il mondo occidentale, basta che sia
familiare con l’eredità di Atene, Roma o Gerusalemme.
Torniamo al testo del Tommaso. Herbert guarda attentamente “il ricordo”, cioè “la
ferita” inflitta a Gesù crocifisso. Utilizza qua una metafora bizzarra: la ferita “urla in tutte le
lingue del pesce”. Essa può essere classificata come realizzazione della barocca coincidentia
oppositum, la figura spesso utilizzata nei contesti mitici. Di nuovo, il mondo cristiano si
mischia con quello classico.
Sicuramente “la ferita” non si riferisce solo a Gesù. Herbert guarda anche la sua
propria ferita, dialoga con Signore e gli racconta la sua sofferenza. Gli ultimi anni della sua
vita erano segnate della grande malattia. Herbert patisce e guarda la ferita come Narcisio
guardava l’acqua calma in un altro famoso quadro di Caravaggio. Il pesce urlante può anche
condurci sul sentiero dell’esperienza cristiana universale – tutti i pesci catturati nella rete del
Cristianesimo condividono le stesse sofferenze. Il pezzo suddetto è una vera fenomenologia
della ferita.
La parte seguente descrive San Tommaso: “viso concentrato” (di nuovo: il senso della
vista!), “i solchi sulla fronte”… Queste descrizioni introducono il tema del dubbio. La faccia di
San Tommaso non è la faccia di un uomo prevenuto, di un uomo strafottente o arrogante,
che ancora prima di sperimentare qualcosa, già sa la risposta. Il dubbio di San Tommaso è
vero, e onesto, e il dubbio di tantissime persone nel mondo che non conoscono bene il Cristo
e vorrebbero onestamente conoscerlo, anche se l’inizio della loro ricerca (“la luce del
mattino”) può essere “fredda e avversa”. Questa freddezza e avversità possono essere segni
del metodo empirico. Herbert spesso descriveva gli apostoli come gente comune, senza
capacità di comprensione astrattiva, che ogni giorno si sforza di comprendere la Parola
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La mano del Maestro che guida le dita di San Tommaso è un gesto di approvazione, è
un invito al dialogo, un segno di accoglienza. Sembra che questo gesto qua sia per Herbert
molto importante. Nelle sue poesie precedenti scriveva sul “Logos silenzioso”, su Dio che
non vuole mischiarsi nel mondo degli uomini. Il poeta non era certo se il suo atteggiamento,
le sue esplorazioni del tema della fede venissero accettati. Adesso ne è convinto, il che si
spiega nell’acclamazione centrale: quasi sentiamo con proprie orecchie il sospiro di sollievo
con il quale io lirico dice: “dunque è permesso il dubbio!” “Consentita la domanda!” Dopo
tanti anni l’arcivescovo Życiński scriverà, riportando ancora una volta il testo del Tommaso:
“Non solo è permesso il dubbio, ma il dubbio è benedetto. A volte si deve toccare la ferita
per essere più vicini al senso di vita” (Klich, 74).
Alla fine del poema Herbert torna nel mondo dell’arte. Leonardo da Vinci compare
nelle tante sue opere. È un sinonimo della ricerca continua che non si soddisfa mai. Anche la
sue fronte è solcata (sembra che sia un’allusione al famoso autoritratto di Torino), come la
fronte di Tommaso. Entrambi dubitano, entrambi vogliono con la massima diligenza empirica
arrivare alla verità – è vero questo Gesù? La ferita veramente appartiene al Risorto? Dubium
scientiae initium, come dice la regola cartesiana.
“Le mani impazienti”, senza sosta “invocate in aiuto”, chiudono il poema. Come se i
dubbi prendessero ancora il sopravvento. In una versione di Tommaso (ne ha scritto tre)
Herbert aggiunge alla fine: “Vinci”. Sicuramente fa un riferimento al paese dove nacque
Leonardo, ma anche sembra di voler dire: ho vinto dei dubbi!
Con questi cambiamenti leggeri – una volta i dubbi ci sono, l’altra volta sono dissipati
– Herbert trasmette una verità universale: i dubbi sempre ci saranno, fino alla fine. E quindi
quelli, che non vedono, ma credono, sono davvero beati.
Il poema Tommaso è un buon esempio del “metodo herbertiano”: nella sua poesia
più che affermazioni esplicite, si può trovare i semina verbi, le modeste indicazioni che
invitano il lettore a confrontarsi con il mistero di Dio. Herbert è sicuramente uno dei poeti
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polacchi moderni più celebri. Le sue opere sono state tradotte in varie lingue. Ho controllato
alcuni commenti sulle pagine delle librerie italiane che offrono la vendita dei volumi con la
sua poesia. I commenti sono sempre positivi. La gente apprezza il milieu classico di Herbert,
intrecciato con la tradizione judeo-cristiana. Penso che in questa “accessibilità” si trova la
forza persuasiva e apologetica di lui.
Bibliografia: