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Capitolo Terzo:

Il grafico

Che c’entrano gli ideogrammi con i grafici?

Ideogrammi

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Le analogie tra gli ideogrammi e un normale grafico, almeno in
apparenza, non ci sono.
In realtà, così come accade per l’analisi tecnica, c’è una cosa
molto importante che li accomuna, così importante e così
lampante che difficilmente riusciamo a vederla.
Sia gli ideogrammi che il grafico altro non sono che dei metodi
di scrittura, tutto quello che dobbiamo fare è imparare a
leggere e non è assolutamente una cosa difficile.
Alcune teorie affermano che l’uomo è l’animale più
intelligente della terra;1 il giapponese può essere considerato
una lingua difficile da apprendere però, se solo lo volessimo
fare, ne avessimo il tempo e la voglia, sono certo che sarebbe
alla nostra portata.
Ovviamente non è un qualcosa che si può imparare dall'oggi al
domani, il percorso da fare è lungo e irto di ostacoli ma non per
questo dobbiamo scoraggiarci, una volta imparati i rudimenti la
strada si fa sempre più facile e l’apprendimento più scorrevole
e gratificante.
Allo stato attuale, tutti noi2 ci rendiamo conto che gli
ideogrammi sono qualcosa di assolutamente incomprensibile e,
con ogni probabilità, tali rimarranno.
Purtroppo non sono in grado di scrivere un pentagramma, ne
fossi capace, potrei traslare gli ideogrammi in note musicali e,
con ogni probabilità, chi mastica qualcosa di musica, se non è
troppo giovane, da poche note riuscirebbe ad identificare la
canzone e magari anche a cantarne le parole…
Non basterebbe questo però per poter dire di conoscere il
giapponese…

1
…non ci sono però prove certe in merito, anzi, la borsa sembra essere
messa lì apposta per dimostrare il contrario…
2
tranne chi già conosce il giapponese…

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La differenza sostanziale fra gli ideogrammi e i grafici è che
questi ultimi sono molto più presenti nella nostra vita: qualsiasi
giornale finanziario che si rispetti è infarcito di grafici e lo
stesso lo possiamo dire riferendoci a tutti i mass media che
operano nel campo della finanza.
La stragrande maggioranza dei grafici che possiamo trovare in
giro hanno una caratteristica: il commento dell’analista di turno
che, se è particolarmente bravo, ti dice in che tendenza è
inserito il titolo. Se è meno bravo inizia un pistolotto che
spesso e volentieri passa dalle onde i Elliott3 per girare poi su
MACD, RSI4, le immancabili Medie Mobili….
Purtroppo, il fatto che a fianco del grafico (sotto o sopra…) ci
sia questa traduzione, ci ha portato a pensare di essere capaci di
leggere un grafico, un’arte che si può imparare dall'oggi al
domani, un percorso breve, senza ostacoli di sorta e pieno di
soddisfazioni… peccato però che non riesca a reggere alla
prima caduta dei mercati.
O meglio, per dirla con le parole di John Kenneth Galbraith5
“si è maghi della finanza solo prima della caduta”.

3
Ralph Nelson Elliott – nato nel 1871, morto in miseria nel 1948 - pace
all’anima sua. Uno splendido esempio di come l’applicazione pratica di una
teoria dimostri l’infondatezza della teoria stessa…. Non credo valga la pena
approfondire oltre.
4
MACD, RSI, Medie Mobili – indicatori di analisi tecnica – vedi oltre.
5
John Kenneth Galbraith – Breve storia dell’euforia finanziaria

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Le basi…
Il grafico è lo strumento principe dell'analista tecnico: tutti gli
studi tecnici hanno come base un grafico.
Su un piano cartesiano viene riportato l'andamento dei prezzi:
sull'asse delle ascisse (x) viene evidenziata la scala temporale,
su quella delle ordinate (y) i relativi livelli di prezzo.
Generalmente, sull’asse delle ascisse viene riportato
l’istogramma con i volumi scambiati sul titolo.

Il piano cartesiano

Visto che dobbiamo parlare di analisi tecnica, è d’obbligo una


breve panoramica sulle varie tipologie di grafico che l’analista
tecnico può utilizzare.

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In questa trattazione andremo ad analizzare quasi
esclusivamente dei grafici giornalieri: in pratica, il periodo
considerato per disegnare il punto (la barra, la candela) sul
grafico è la giornata borsistica.
Ovviamente possiamo trovare dei grafici con delle
compressioni inferiori al giorno, in tal caso, il periodo
considerato non sarà più il giorno ma sarà possibile avere dei
grafici con delle compressioni orarie (una barra ogni ora di
mercato aperto), grafici con delle compressioni di qualche
minuto (una barra ogni 5 minuti, una barra ogni 15 minuti)
ecc..
Possiamo arrivare a dei grafici tick by tick (sul grafico vengono
riportati tutti i singoli scambi sul titolo.
Alle compressioni temporali inferiori al giorno si
contrappongono quelle di durata superiore, possiamo così avere
dei grafici settimanali, mensili, addirittura annuali…
Il trader spesso e volentieri cade nell’errore di andare a cercare
il grafico intraday con la compressione più breve possibile
perdendo di vista l’importanza che hanno i grafici giornalieri e
quelli settimanali dove, all’atto pratico dovrebbe essere fatto il
grosso del lavoro…

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Tipologie di grafico
Grafico lineare
Il grafico più semplice di tutti è il grafico lineare per la cui
costruzione viene preso in considerazione il solo dato di
chiusura del titolo.
Con questa tipologia di grafico l’analisi viene ridotta
all’essenziale, non si riesce quindi ad avere alcuna percezione
di quello che è stato lo sviluppo dei prezzi nel periodo preso in
considerazione.
All’atto pratico, è una linea spezzata che unisce le varie
chiusure dei periodi considerati.
Spesso viene preferito dai neofiti per la più semplice
interpretazione.
Alcuni analisti, in mercati molto sottili, preferiscono impiegare
il grafico sulle chiusure, quando queste coincidono con il
prezzo ufficiale e non con il prezzo di riferimento in quanto i
bassi volumi potrebbero rendere facili manipolazioni di prezzi
nella fase finale della seduta, cosa che andrebbe ad inficiare le
conclusioni operative.

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Grafico a barre
Nella costruzione del grafico a barre entrano in gioco altre
informazioni: al prezzo di chiusura si aggiungono il prezzo di
apertura, il valore massimo e quello minimo fatti segnare dal
prezzo nel periodo preso in considerazione. Tutto questo
comporta che sul grafico possiamo notare un livello di
dettaglio decisamente superiore a quanto offerto dal grafico
lineare.

Per ogni periodo preso in considerazione si segnano sul grafico


le quotazioni del titolo per mezzo di una barretta verticale. Gli
estremi della barra saranno riferiti al prezzo minimo e
massimo; un segno orizzontale, posto sulla sinistra della barra,
indica quello che è stato il prezzo di apertura; posto a destra
della barra, indica il prezzo di chiusura.
Il grafico a barre è diverso da quello lineare anche per la
presenza di zone senza contrattazioni: i “Gap” dei prezzi,

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segnali importanti per valutare la qualità di un movimento in
atto.
La barra evidenzia sul grafico tutto il range entro il quale i
prezzi si sono mossi e premette quindi di ‘capire’ l’umore della
giornata.
Se, ad esempio, un titolo ha chiuso con un +0,5% rispetto al
giorno precedente, appare evidente come a questa chiusura si
possa essere arrivati da varie strade:
• il titolo ha aperto a –3% per poi andare a chiudere a
ridosso dei massimi di giornata (la giornata si è aperta
sotto i peggiori auspici per poi migliorare sempre più
col passare del tempo;
• il titolo ha aperto a + 3% per poi andare a chiudere la a
ridosso dei minimi (l’euforia iniziale si è pian piano
spenta e il titolo ha chiuso la giornata senza infamia e
senza lode);
• il titolo ha aperto e chiuso la giornata pressappoco allo
stesso livello segnando un minimo a –2% e un massimo
a +2% (grande volatilità, forte indecisione sul mercato);
• il titolo ha aperto e chiuso la giornata pressappoco allo
stesso livello, con delle escursioni minime sia al rialzo
che al ribasso (il titolo è in una fase di compressione)…
Il panorama del ‘come’ il titolo è arrivato a far segnare il
+0,5% in chiusura non si esaurisce di certo con questi pochi
esempi.
Quello che appare chiaro a tutti è che su di un grafico lineare
tutte queste informazioni non sono disponibili mentre vengono
evidenziate molto bene su di un grafico a barre.

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Il grafico a candele (japanese candlestick)
Altro non è che una derivazione del grafico a barre… In
pratica, come nel grafico a barre, gli estremi stanno ad indicare
i valori minimi e massimi fatti segnare dalle quotazioni nel
periodo preso in considerazione; le tacche che nel grafico a
barre indicavano l’apertura e la chiusura vengono unite e vanno
a formare il corpo (real body) della candela. La candela bianca
indica che la chiusura è superiore all’apertura; se viceversa la
chiusura è inferiore all’apertura, la candela è nera. Gli
‘stoppini’ delle candele – sono chiamati shadows (ombre).

Appare evidente che le varie combinazioni fra i valori che


concorrono a formarle, possono far nascere candele molto
diverse fra loro, valgono le stesse considerazioni fatte per i
grafici a barre…

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Esistono svariate pubblicazioni dedicate ai grafici candlestick
che vanno a definire le varie candele (doji, marubozu, ecc..) e
illustrano come sia possibile, combinando fra loro varie
candele, dare origine a svariate figure (pattern) che possono
fornire indicazioni operative.
Il grafico a candele ha da sempre un grande appeal ed è uno dei
più usati. Personalmente uso tale tipologia di grafico perché,
innanzitutto, è quello che offre una migliore visibilità a
video… candela bianca.. rialzo; candela nera… ribasso…

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Altri grafici
Esistono molte altre tipologie di grafico (e non si tratta di un
elenco esaustivo):

• point & figure


• kagi
• renko
• equivolume
• candlevolume
• three line break
• market profile

non andiamo a trattarli in questa sede, lasciamo un po’ di


materiale per la prossima volta in modo di poter concentrarci
ad imparare per bene quelli che sono i grafici più usati.
Una volta arrivati a ‘leggere’ correttamente un grafico a barre o
a candele probabilmente verrà meno anche l’esigenza di voler
per forza di cose saper tutto di tutti i grafici e ci si potrà
limitare all’operatività…

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La scala dei prezzi
Il grafico può essere visualizzato usando una scala lineare o
una scala semi-logaritmica6
• La scala dei prezzi lineare prende in considerazione le
variazioni assolute dei prezzi; a variazioni assolute
uguali corrispondono, sul piano cartesiano, segmenti
uguali.
• Nella scala semi-logaritmica vengono prese in
considerazioni le variazioni percentuali dei prezzi; a
variazioni percentuali uguali corrispondono, sul piano
cartesiano, segmenti uguali.

A fronte di grosse escursioni dei prezzi, i valori assoluti


assumono sempre meno significatività: se prendiamo ad
esempio un titolo che passa da 1.000 a 10.000 punti, notiamo
immediatamente che 1.000 punti di aumento quando il titolo
quota 1.000 corrispondono ad un incremento del 100%; sempre
1.000 punti di aumento quando il titolo quota 10.000
corrispondono ad un incremento del 10%.
I sacri testi di analisi tecnica riportano che la scala semi-
logaritmica si utilizza per analisi di medio-lungo periodo,
mentre quella lineare per analisi di breve.
E' vero che sul medio lungo periodo le differenze si notano
maggiormente ma è altresì vero che su mercati caratterizzati da
grosse escursioni di prezzo anche in periodi relativamente
brevi, la differenza fra l'uso di una scala lineare o
semilogaritmica risulta evidente.
In questi casi risulta quindi corretto l'uso di una scala
semilogaritmica anche per analisi di breve periodo.

6
il logaritmo viene applicato solamente alla scala dei prezzi, non a quella
del tempo.

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Personalmente uso sempre e comunque una scala dei prezzi
semi-logaritmica: se le escursioni dei prezzi sono poco marcate
la differenza rispetto ad una scala lineare sarà insignificante;
viceversa, a fronte di elevate escursioni di prezzo, anche nel
breve periodo la scala semi-logaritmica fornirà una visione più
chiara dell'andamento del titolo.

Un esempio grafico, meglio di tante parole, riuscirà a chiarire


bene le differenze fra le due scale dei prezzi:

Indice Dow Jones Industrial – dal 1897 al 2011 – scala


lineare.
Nei 114 anni presi in considerazione, l’indice si è mosso
passando da dei minimi a verso i 40 punti (visti nel 1897 e nel
1932) per arrivare ai massimi del 2007 superiori ai 14.000
punti. La scala lineare adottata per questo grafico appiattisce

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buona parte del grafico e non rende assolutamente giustizia a
quello che è stato il reale andamento dell’indice. Da questo
grafico si vede molto bene la crisi dovuta alla bolla speculativa
della new economy degli anni 2000 e la crisi dei sub-prime del
2008 ma non traspare minimamente quello che, nella memoria
storica collettiva, è stato il più grosso crollo mai verificatesi sui
mercati finanziari. Il crollo di borsa del 1929 che ha dato inizio
alla grande depressione in pratica non viene registrato su
questo grafico. Allora l’indice passò da 380 a 41 punti
perdendo quasi il 90% del proprio valore. Tale escursione, se
registrata su una scala lineare che arriva a 14.000 punti
chiaramente sparisce. Per portare le cose nella giusta
prospettiva basta applicare allo stesso grafico una scala semi-
logaritmica:

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Indice Dow Jones Industrial – dal 1897 al 2011 – scala semi-
logaritmica
Il grafico è esattamente lo stesso; le variazioni percentuali però
rendono giustizia e danno l’esatta dimensione di quello che è
successo nei primi anni ’30…
Sarà anche vero che nel lungo periodo l’investimento azionario
paga sempre però una piccola riflessione è d’obbligo: solo nel
1954, 25 anni dopo quel tristemente famoso ’29, i corsi
dell’indice Dow Jones riuscirono a ritornare a dei valori
superiori…
Purtroppo, nel ’54, moltissimi dei titoli quotati nel ’29 non
esisteva più….

La rivincita dei tagliatori di cedole sugli azionisti.


L’asset allocation del fondo pensione Boots mette in crisi
convinzioni consolidate.
Circa un anno fa, il fondo pensione di Boots, la grande catena
distributiva inglese, decise di rivoluzionare la propria asset
allocation strategica e di passare da un esemplare portafoglio di
lungo periodo con una larga quota di azioni (75%), a un
portafoglio tutto obbligazionario, con titoli a tasso fisso
governativi a lunghissima scadenza (30 e più anni), senza
rischio di credito (tripla A) e in parte (25%) indicizzati
all’inflazione (inflation-linked bonds). La decisione è stata
messa in pratica gradualmente e portata a termine solo di
recente, suscitando grande scalpore non solo perché il fondo
pensione di Boots è uno dei più grandi d’Europa ma anche
perché i responsabili del fondo hanno chiaramente detto (per
esempio John Raffe, sul “Financial Times” del 27 novembre
scorso) che non si è trattato di una scelta tattica, dettata dalla
fase negativa delle Borse internazionali, ma di una vera e
propria inversione a U nelle credenze finanziarie.

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Il mito messo in discussione e rinnegato è quello dell’equity
premium: nel lungo periodo l’investimento azionario darebbe
un tale extra-rendimento rispetto all’investimento
obbligazionario da più che compensare il rischio assunto e
rendere le azioni il migliore investimento a lungo termine. Per
esempio, questa è la motivazione più spesso utilizzata per
indurre i giovani, in quanto investitori con un lungo orizzonte
davanti, ad aderire ad una linea con maggiore contenuto
azionario di un fondo pensione multicomparto. Le motivazioni
fondamentali, rintracciabili sulla base dello scetticismo di
Boots e dei suoi advisor verso l’equiti premium, si possono
raggruppare in tre punti:

negli ultimi 50 anni c’è stato un unico grande episodio


inflazionistico, la stagflazione degli anni ’70, e le azioni come
strumento di protezione del potere d’acquisto dei risparmi
accumulati hanno miseramente fallito al pari delle
obbligazioni. Oggi, tuttavia, a differenza delle azioni, le
obbligazioni indicizzate (inflaction-linked) consentono
un’efficace copertura del rischio d’inflazione.
L’equity premium è sensibilmente sovrastimato a causa di
una distorsione negli attuali indici di capitalizzazione di Borsa.
Questi non tengono conto delle fuoriuscite dai listini per
difficoltà finanziarie e fallimenti. Per fare un semplice
esempio, in un mercato con due sole imprese, una fiorente che
quota negli anni 100, 120, 140, l’altra problematica che quota
100, 110, 0 (fallimento) un indice corretto darebbe 100, 115, 70
(con una perdita del –30% a fine periodo), mentre un indice di
tipo usuale viene calcolato come 100, 115, 140 (con un fittizio
+40%) a causa dell’uscita della seconda impresa dal mercato e
dall’indice. Naturalmente l’esempio è esagerato ma il problema
(noto come survivorship bias, errore di sopravvivenza) è stato
valutato empiricamente in varie centinaia di punti base.

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L’argomentazione “della radice quadrata” attribuisce alle
azioni una volatilità che cresce in misura meno che
proporzionale al crescere dell’orizzonte temporale T di
investimento. E’ la cosiddetta “diversificazione temporale”
degli investimenti, per cui le azioni diventano meno rischiose
sul lungo termine. Ma in tale ragionamento non si tiene conto
del fatto che la volatilità suddetta è quella del rendimento
annualizzato mentre ogni lavoratore, futuro pensionato, è
interessato alla volatilità del patrimonio accumulato, che invece
cresce più che proporzionalmente nel tempo essendo le cifre a
rischio sempre più consistenti.

Boots ha fatto, così, la sua scelta, non senza trascurare due


considerazioni aggiuntive, di carattere più pratico ma non
meno pregnante: in primo luogo le obbligazioni consentono, a
differenza delle azioni, un buon matching tra attività e passività
del fondo (le erogazioni previdenziali) e quindi da una lato
proteggono le future pensioni dei lavoratori e dall’altro
riducono il rischio (tipico degli schemi a prestazione definita)
che le imprese debbano fare fronte a disavanzi previdenziali
con versamenti straordinari. In secondo luogo, last but not least
grazie da un lato alla semplicità della gestione amministrativa e
dall’altro allo stile buy and hold tipico dei “tagliatori di cedole”
che rinunciano al trading e vogliono solo portare a scadenza
l’obbligazione. C’è dunque materia su cui meditare: dopo la
new economy si torna alla old finance?
Il Sole 24 Ore 18 gennaio 2002 – Riccardo Cesari – Università
di Bologna

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I Volumi
I volumi rappresentano l'insieme delle operazioni di
compravendita effettuate su un titolo in una determinata unità
di tempo.
In altre parole l'interesse che gli investitori ripongono in un
titolo o in un mercato.
Per identificare la qualità della tendenza di un mercato, i
volumi sono il secondo elemento che deve essere considerato,
insieme all'analisi dei prezzi.
Studiare i volumi, infatti, rende intuibile il maggiore o minore
dinamismo con cui avvengono le contrattazioni sul mercato, e
fornisce importanti informazioni sull'interesse di un
determinato movimento da parte degli operatori e sulla
correlazione esistente tra la domanda e l'offerta.
Normalmente il volume delle contrattazioni è raffigurato sul
grafico dei prezzi tramite un istogramma che si sviluppa lungo
l'asse delle ascisse: una barra verticale disegnata esattamente al
di sotto della barra del prezzo.

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Per finire il capitolo facciamo due passi indietro…
… e andiamo a rileggere tutto quello che abbiamo detto in
merito al prezzo del titolo…

… e un passo avanti…
… per capire la vera anima del grafico bisogna siano molto
chiari i concetti che abbiamo espresso sul prezzo…
Solo così risulta facile capire che sul grafico troviamo
rappresentate solo le valutazioni che la gente da del titolo.
Questa è la vera essenza del grafico, quello che troppo spesso
la gente non riesce a vedere perché si limita a guardare il
titolo…
In borsa, non dobbiamo mai scordarlo, non si scambiano titoli,
si scambiano solo le valutazioni dei titoli… e sul grafico
troviamo la rappresentazione dell’emotività di tutti i
partecipanti al mercato.

… poi, un altro passo indietro…


… per chiarirci per bene quest’ultimo concetto che è di
fondamentale importanza per imparare a leggere correttamente
il grafico.

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