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E SPE R I E NZ E

L E TT E R AR IE
Rivista trimestrale di critica e di cultura,
fondata da Mario Santoro,
diretta da Marco Santoro
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Con s ig lio d i r ett i vo


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LE TTE RA R I E
Rivista trimestrale di critica e di cultura,
fondata da Mario Santoro,
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xl · 2015

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SOMMARIO

Luisa Avellini, Per un profilo intellettuale di Agostino Michele curatore


delle Lettere di Battista Guarini presso Ciotti (1593) 3
Andrea Manganaro, De Sanctis e il « metodo » del Puoti 21
   

Antonello Perli, Une poésie du prosaïque. Il « frammento » di Sbarbaro


   

tra Baudelaire e Soffici 33

contributi
Stefano Giazzon, Il Sacripante di Lodovico Dolce : un poema manierista 47

Clara Cardolini Rizzo, Realismo alias populismo. La letteratura ita-


liana nella storia d’Italia 81
Paola Ponti, «È una vita che la farei volentieri anch’io ! ». Pinocchio e il
   

Paese dei balocchi 99

note
Luigi Peirone, Berze nell’Inferno dantesco 115
Marialuigia Sipione, L’album inedito di Clara Maffei : Manzoni, Bal-

zac, George Sand e altri 119


Simona Abis, Parole come silenzi. La grazia della ‘semplicità’ nella poesia
di Margherita Guidacci 127

recensioni
Luana Rizzo, Il pensiero di Matteo Tafuri nella tradizione del Rinasci-
mento meridionale, Roma, Aracne, 2014 (Alfonso Paolella) 139
Eleonora Cavallini, La ‘Nekyia’ omerica (« Odissea » xi) nella tradu-
   

zione di Cesare Pavese, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2015 (Alberto


Comparini) 140
Ennio Tatasciore, Di ombre e cose salde. Studi su Montale, Milano-
Udine, Mimesis, 2014 (Alberto Comparini) 142
Fabrizio Scrivano, Diario e narrazione, Macerata, Quodlibet, 2014
(Laura Diafani) 145

Schede bibliografiche (a cura di Manuel De Carli, Milena Giuffri-


da, Alfonso Ricca, Giovanna Maria Pia Vincelli, Paola Zito) 149

Indice dell’annata 155


DE SANCTIS E IL « METODO » DEL PUOTI    

Andrea Manganaro

« 

R icordati ! come allora, così ora e così sempre si ha a scrivere e pen-



sare ». È il monito, riferito con pungente ironia, che a Francesco De


Sanctis sembrava di sentire leggendo un libro di Ferdinando Ranalli, Lezioni
di storia, pubblicato a Firenze nel 1867. Con quel perentorio ammonimento,
che fingeva pronunciato dallo stesso volume che gli stava davanti, De San-
ctis sintetizzava efficacemente le idee « esagerate, assolute, dommatiche,

infallibili » di Ranalli, professore di storia e letteratura italiana a Firenze e


a Pisa, ancora fermamente purista, come al tempo della sua prima forma-
zione. L’idea di Ranalli che la lingua italiana dovesse cristallizzarsi, replican-
do perpetuamente modelli del passato, era definitivamente confutata da
De Sanctis con la semplice osservazione del necessario, inarrestabile fluire
della storia : « il mondo cammina e gli volge le spalle, e se pur taluno guar-
   

da indietro, è per battezzarlo l’ultimo de’ puristi ». Così, lapidariamente, si


concludeva il saggio pubblicato, nel 1868, nella « Nuova Antologia », e inti-    

tolato, per antonomasia, L’ultimo dei puristi. Un titolo tanto celebre quanto
fuorviante, perché solo apparentemente lo scritto è dedicato all’anacroni-
stico professore purista. 1  

E infatti Ranalli, con sua la « voce solitaria, dispettosa », non era il vero og-
   

getto del saggio di De Sanctis. Quell’attardato professore, « per la forma del-  

lo scrivere e per le dottrine » forniva piuttosto a De Sanctis l’occasione per


ripensare, dopo un lungo periodo di « dimenticanza » (e nello stesso anno in


   

cui iniziava a lavorare alla Storia della letteratura italiana), a quella « scuola  

del marchese Basilio Puoti » dove lui stesso, come Ranalli, e tanti altri in-

tellettuali meridionali, si era formato. Ranalli (nei cui « grossi volumi » De    

Sanctis trovava « redivivi » « quel pensiero, quello stile e quella lingua » che
       

caratterizzavano il purismo della sua giovinezza) serviva a mettere in moto


un’ipotiposi. Tramite essa De Sanctis spingeva i lettori a immedesimarsi in

1
 Cfr. Francesco De Sanctis, L’ultimo dei puristi, in La giovinezza. Memorie postume seguite da
testimonianze biografiche di amici e discepoli, a cura di Nino Borsellino, Torino, Einaudi, 1961 (Opere a
cura di Carlo Muscetta, v. I), pp. (221-246), 221, 245-246. Cfr. ivi, la nota a p. 221 : il saggio apparve per

la prima volta nella « Nuova Antologia », nel novembre 1868, poi nella seconda edizione dei Saggi
   

critici, Napoli, Morano, 1869, e fu ristampato nella terza edizione, « riveduta dall’autore », dei Saggi
   

critici, Napoli, Morano, 1874. Cfr. Benedetto Croce, Gli scritti di Francesco De Sanctis e la loro varia
fortuna. Saggio bibliografico (1917), in Scritti su Francesco De Sanctis, a cura di Teodoro Tagliaferri e
Fulvio Tessitore, Napoli, Giannini, 2007, pp. (309-391), 315.
22 andrea manganaro
un momento del passato, rendendolo vivo e concreto « con un’azione visio-  

naria » avvalorata dalla memoria personale : 2


     

Dicono sia un libro noioso e che non si possa andare innanzi senza sbadigli. Io l’ho
trovato gustosissimo, perché, dotato di una viva immaginazione, mi son figurato il
signor Ranalli insieme con me, giovani tutti e due, alla scuola del marchese Basilio
Puoti, e come davamo opera a riempire i nostri quaderni di bei modi di dire, a roton-
dare i nostri periodi, a studiare con atteso animo grammatiche e rettoriche, trecentisti
e cinquecentisti, pieno il petto di sacro orrore verso il forestierume, e ben risoluti a non
essere mai altro che italiani di lingua, di stile e di pensiero, stando come torre fermi e
lasciando pur dire gli sciocchi che ci davano la baia e ci chiamavano per istrazio puristi. 3  

L’« ultimo dei puristi » si rivela, nell’omonimo saggio, pressoché immedia-


   

tamente, come una funzione pretestuosa, e per ammissione dello stesso


De Sanctis : 4 « Questo ritorno alla mia prima giovinezza mi ha procacciato
     

grande diletto, e ne riferisco al signor Ranalli quelle grazie che per me si


possono maggiori ». E poiché « l’immagine » della scuola del Puoti non vole-
     

va « andar via », affermava ironicamente : « il meglio è mandar via il libro ed


       

ubbidire a quella, e fare il voler suo. Per la qual cosa prendo per ora com-
miato da voi, signor Ranalli, con tante scuse, e corro là dov’ella mi grida e
mi accenna ».  

Oggetto della rievocazione desanctisiana non è solo la propria individua-


le « giovinezza » (alla quale avrebbe dedicato, anni dopo, ormai prossimo
   

alla fine, la propria incompiuta autobiografia), ma anche la formazione di


coloro che, nel terzo decennio dell’Ottocento, costituivano la « nuova gene-  

razione » protagonista del Risorgimento (i « predestinati del ’48 e del ’60 »).
     

Dalle provincie meridionali allora una moltitudine di giovani (« da quindici  

a ventimila ») si riversava a Napoli (« eran chiamati dal popolo gli “studenti”,


   

ed anche i “calabresi” »). 5 Per questi giovani, in una Napoli capitale in cui le
   

scuole pubbliche erano inesistenti (« la divisa del governo in fatto d’istruzio-  

ne era questa : “non incaricarsene” ») 6 e « l’Università era deserta », il « pro-


           

gresso » appariva « incarnato in un uomo », il marchese Puoti, l’alfiere del


     

purismo. La sua « scuola » rappresentava infatti l’antitesi del « seminario » e


       

dell’« istruzione provinciale », il suo « santo nome » era « la bandiera intorno


         

a cui si raccoglieva la gioventù », con le sue « aspirazioni ancora indistinte a    

nuove idee, nuova civiltà ».  

Per De Sanctis il purismo di Puoti viene a configurarsi pertanto come il


« primo atto » del « gran dramma » che avrebbe trovato il suo compimento
       

2
 Cfr. Heinrich Lausberg, Elementi di retorica, trad. ital. di Lea Ritter Santini, Bologna, il Muli-
no, 1983, pp. 197-198.
3
 F. De Sanctis, L’ultimo dei puristi, cit., pp. 221-222. Cfr. Luigi Russo, Francesco De Sanctis e la
cultura napoletana, intr. di Umberto Carpi, Roma, Editori Riuniti, 1983, pp. 37-41.
4
 F. De Sanctis, L’ultimo dei puristi, cit., pp. 222-223.
5 6
  Ivi, pp. 223 e 225.   Ivi, p. 225.
de sanctis e il «metodo» del puoti 23
nel 1860. Era « il primo segno di vita che dava di sé la nuova generazione

volgendo le spalle al seminario ». 7 La « scuola » di Puoti è pertanto collocata        

in una posizione avanzata sulla linea dello sviluppo della storia (« il pro-  

gresso erasi andato a rifuggire sotto quest’umile insegna : “Scuola di lingua  

italiana del marchese Puoti” »). 8 L’ultimo dei puristi, muovendo da un recu-    

pero memoriale apparentemente individuale, amplia la prospettiva in una


più propriamente storiografica. De Sanctis, « storico di se stesso », ma anche    

della cultura napoletana, 9 non può però non precisare che tutti gli « attori »
     

del passato (sia Puoti, sia la gioventù, sia la polizia borbonica), erano na-
turalmente inconsapevoli « di tutte queste grandi conseguenze e di questi  

profondi significati » che egli ora viene delineando, e quindi della posizione

storica in cui li colloca. È la premessa a un giudizio storico nettissimo che


assegna un ruolo di svolta alla « scuola del Puoti » ancor più che al purismo    

(« Vi era lì tutta una rivoluzione ignorata e dagli attori e dagli spettatori e


dalle vittime »). 10    

Per fare emergere il ruolo di rinnovamento svolto da quella scuola, per


buona parte del saggio De Sanctis tende a interpretare il passato assumen-
do un atteggiamento comune ad altri suoi scritti dichiaratamente autobio-
grafici, e cioè « sfumando certi giudizi, sopravvalutando certi episodi, ta-

cendo certi particolari ». 11 Nella sua ricostruzione il Puoti emerge non come
   

un esponente provinciale, ma come organicamente situato all’interno di


un orientamento diffuso nella cultura letteraria italiana dei primi decenni
dell’Ottocento, affiancato « al Cesari, al Montrone, al Giordani, al Perticari,

(al Fornaciari), al Paravia, e a tutti quei benemeriti cittadini che si affaticava-


no a restituire la lingua nella sua purità e a ristorare gli studi delle cose no-
stre ». 12 Né il ruolo del Puoti è rappresentato come marginale all’interno del
   

coevo contesto culturale napoletano (« divenne il papà, il centro della cultu-  

ra letteraria »), all’interno del quale la sua scuola viene presentata come un

7 8
  Ivi, p. 224.   Ivi, p. 223.
9
 Cfr. F. Tessitore, La filosofia di De Sanctis, in Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, v.
iii, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. (31-69), 36-37.
10
 F. De Sanctis, L’ultimo dei puristi, cit., p. 224. Sulla « funzione patriottica del purismo », e della    

scuola di Puoti, diverso, anche opposto rispetto al giudizio desanctisiano, sarà quello di Sebastiano
Timpanaro, che inviterà a distinguere tra un « patriottismo progressista, antiassolutista e antiau-

striaco » e un « patriottismo reazionario tradizionalista e antifrancese » (il « patriottismo de’ retro-


       

gadi », secondo la definizione di Giuseppe Ferrari) : « il “patriottismo” del movimento purista era
     

appunto il patriottismo dei retrogadi, tant’è vero che agiva in direzione antifrancese e difendeva
un’arcaica italianità contro l’illuminismo e contro il romanticismo nello stesso tempo ». Cfr. Seba-  

stiano Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri-Lischi, 19692, pp. 65-
66 ; Sergio Landucci, Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 33-38 ;
   

Fulvio Tessitore, La filosofia di De Sanctis, cit., pp. 33-37.


11
  Carlo Muscetta, Francesco De Sanctis, Roma-Bari, Laterza, 1981 (Letteratura Italiana Laterza
diretta da Carlo Muscetta, vol. 51), p. 8.
12
 F. De Sanctis, L’ultimo dei puristi, cit., p. 224. Cfr. ivi, nota 2 : il nome del Fornaciari, che appare  

nel testo pubblicato nel 1868 sulla « Nuova Antologia », fu eliminato nelle successive edizioni.
   
24 andrea manganaro
fenomeno anche quantitativamente rilevante (« tenea scuola in una vasta  

sala del suo palazzo, dove convenivano meglio che duecento giovani, la più
parte studenti che venivano freschi freschi dai seminari »). 13    

A caratterizzare la qualità dell’insegnamento nella Napoli preunitaria, e


la sua relazione con l’educazione delle giovani generazioni, è per De San-
ctis la totale assenza di funzionalizzazione pratica. Erano la stessa inconsi-
stenza dell’istruzione pubblica, l’inutilità del titolo di studio (« essendo la  

laurea non necessaria e non difficile ad ottenere ») a favorire « il desiderio    

disinteressato della coltura, l’amore della scienza per la scienza ». 14 Non si    

trattava tanto di una liberistica difesa dell’istruzione privata in opposizio-


ne a quella pubblica, ma di un netto riconoscimento della funzione stori-
camente progressiva delle scuole napoletane. Le « scuole private », intese    

« come succursali o appendici delle scuole pubbliche, o come oggi si dice,


pareggiate », finalizzate alle « ripetizioni » e alla « preparazione agli esami », –


         

affermava senza equivoci – inevitabilmente « si corrompono ». Nelle scuole    

private della Napoli borbonica si era invece rifugiato « tutto ciò che ci era di  

vivo e di nuovo nella cultura nazionale ». I giovani infatti « accorrevano dove


   

il livello degli studi era più alto e i principii più larghi ». L’emulazione tra gli  

insegnanti e la concorrenza tra le scuole comportavano benefici effetti : a  

coloro che insegnavano « non era lecito addormentarsi sul loro passato e

ripetersi », di fronte a « mobile gioventù, loro stipendiatrice e di non facile


   

contentatura ». 15 Il valore connesso a quelle scuole consisteva per De Sanctis


   

nell’« amore disinteressato della coltura », nell’affrancamento da ogni logica


   

eteronoma. Era questo « il maggior titolo di gloria » di quella generazione.


   

La cultura diveniva « arma politica, strumento di opposizione » poiché la


   

gioventù diventava consapevole della sua separazione « da un governo “in-  

civile” e “oscurantista” ».  

La valenza politica indicata da De Sanctis non era però correlata alle


idee manifestate dei maestri. Di Puoti, uomo dedito esclusivamente alle
lettere e all’insegnamento, e di famiglia devota ai Borboni, il governo non
sospettava affatto e la sua scuola era « considerata passatempo innocentissi-

mo ». Eppure Puoti, non « uomo politico, non cospiratore » assolse, secondo


     

De Sanctis, a un compito di emancipazione anche politica della gioventù.


La funzione positiva, etico-politica, del suo insegnamento non consisteva
tanto nelle “cose” (nel purismo), ma nel “come”, nel suo « metodo » di inse-    

gnamento. Sostenevano tale giudizio « gli effetti » prodotti sulla gioventù da


   

tale scuola, attestati dalla individuale esperienza di De Sanctis. 16  

Quasi un secolo dopo, Luigi Einaudi, nella sua celebre “predica inutile”
contro il « mito del valore legale del titolo di studio » avrebbe citato l’esem-
   

13 14
  Ivi, p. 225.   Ibidem.
15 16
  Ivi, pp. 225-226.   Ivi, pp. 227-228.
de sanctis e il «metodo» del puoti 25
pio positivo delle « scuole private » della Napoli precedente l’Unità, che non
   

rilasciavano alcun titolo. E avrebbe rilevato, pro domo sua, come i giovani
desiderosi di apprendere evitavano allora una Università pubblica scredita-
ta, accorrendo numerosi da chi si era « acquistato reputazione di capace e  

valoroso insegnante in questo o quel ramo dello scibile ». 17 Era certamente    

memore delle pagine desanctisiane, Einaudi, che però taceva un fatto per
nulla secondario : lo stesso De Sanctis, una volta divenuto ministro della

Pubblica Istruzione della nuova Italia, aveva sì promosso il « riconoscimen-  

to ufficiale della scuola privata », e aveva commemorato « con parole di al-


   

tissima lode la tradizione degli studi privati », ma aveva, al tempo stesso,  

inaugurato un « processo di nazionalizzazione dell’insegnamento privato »,


   

determinando il suo « assorbimento e dissoluzione nella scuola di Stato ». 18


     

Ed era da tale prospettiva storica che nel 1868, in L’ultimo dei puristi, De
Sanctis guardava al passato e a quelle scuole private di Napoli che avevano
segnato la sua stessa giovinezza, da quella dello zio Carlo Maria De Sanctis,
a quella dell’abate Lorenzo Fazzini, a quella del Puoti. 19 Il ricordo è viva-  

cissimo, come poi nella Giovinezza. Tra i sedici e i diciassette anni stava in-
traprendendo gli studi legali, si riteneva « seriamente il più istrutto uomo di  

Napoli », allorché un compagno di studi gli propose di andare alla scuola del

marchese : « “A che fare ?” diss’io. E lui : “Ad impararvi l’italiano”. Mi parve


       

un’offesa. Ma molti miei amici ci andavano, e tutti ne cantavano meraviglie,


e ci andai pur io ». 20    

Nella rappresentazione che De Sanctis dà della fisionomia di Puoti, è co-


stante la distinzione tra le idee del marchese e l’azione da lui esercitata. Se
a fronte del suo orientamento apolitico rilevava gli effetti “politici” del suo
insegnamento, così pure, raffigurandone il carattere, faceva risaltare la di-
versità tra il suo « modo di scrivere » (che avrebbe fatto pensare a « un uomo
     

grave e compassato ») e il suo temperamento, che invece « era tutt’altro » :


       

« amenissimo, vivacissimo, pieno di motti e di lazzi alla napoletana ». Il pro-


   

fessore della più celebre delle scuole private napoletane viene rappresenta-
to da De Sanctis come la negazione stessa dell’insegnamento tradizionale :  

« non insegnava, non si metteva in cattedra, conversava, raccontava spesso,


si divertiva e divertiva : non ci era aria lì né di scuola, né di maestro : parea


   

piuttosto un convegno di amici, un’accademia sciolta da regole e da forma-


lità ».

17
  Luigi Einaudi, Scuola e libertà, da Prediche inutili, in Gianfranco Contini, Letteratura dell’Ita-
lia unita (1861-1968), Firenze, Sansoni, 1968, pp. (541-547), 546.
18
 Cfr. Luigi Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, cit., pp. 57-60.
19
  F. De Sanctis, La giovinezza, in La giovinezza …, cit., pp. (3-218), 7-14, 22-30.
20
  Id., L’ultimo dei puristi, cit., p. 229. Cfr. Id., La giovinezza, cit., p. 42, dove è accentuato il tono
autoironico : « “Chi è il marchese Puoti ?” diss’io a Costabile. “Insegna l’italiano”, disse lui. “E credi
     

tu ch’io debba ancora imparare l’italiano ?” “Sicuro ; quell’italiano lì l’è un’altra cosa ; vieni” ».
       
26 andrea manganaro
La scuola del Puoti è presentata quasi come una “non-scuola” (« Non vo-  

lea si dicesse la “scuola”, ma lo “studio” di Basilio Puoti »), 21 alternativa cioè


   

al modello, allora come oggi, convenzionale di insegnamento : unidirezio-  

nale, monologico, con lezione frontale ed ex cathedra, fondato sul metodo


passivo e acritico della ripetizione-restituzione di ciò che si è letto e ascol-
tato. Il modello d’insegnamento messo in atto da Puoti e recuperato da De
Sanctis era l’antitesi di quello dei seminari da cui provenivano gli studenti
di allora, caratterizzato da « disciplina pedantesca e servile, monotona, mec-

canica ». 22
   

Nella “scena didattica” che De Sanctis raffigura rievocando la scuola di


Puoti, il fuoco non è sull’autore, ma sul testo letterario. Non appaiono da
una parte un professore che espone e dall’altra studenti che ascoltano e
ripetono. La situazione di insegnamento/apprendimento è laboratoriale,
dialogica, comunitaria. Il testo viene discusso, esaminato, esposto, e non
dal professore, ma dalla comunità-classe, disciplinata perché fortemen-
te gerarchizzata, benché esclusivamente sulla base dell’esperienza e delle
competenze (i « veterani », studenti del Puoti da cinque o sei anni, chiama-
   

ti gli « Anziani di Santa Zita » ; gli « Eletti », nominati per consenso di tutti,
         

avendo presentato un lavoro “indovinato”). L’operazione centrale consiste


nell’analisi di un testo, e nel suo commento, con l’attenzione posta quasi
esclusivamente sugli aspetti linguistici e testuali, e non sull’interpretazione
dei significati : 23   

né le sue voleva si chiamassero “lezioni”, ma “esercitazioni”. In effetti proprie e vere


lezioni non erano, o spiegazioni, o teorie, ma esercitazioni nell’arte dello scrivere, tra-
duzioni, componimenti, letture mescolate di aneddoti, di riflessioni, di giudizii, d’im-
peti di collera, di scuse amabili, sì che era un piacere a vederlo e a sentirlo : tutto ciò  

che scuola o maestro o studente ha di convenzionale era scomparso […]. Il marchese


non solo sdegnava di esser detto maestro, ma non ne aveva l’aria e le maniere : pareva  

piuttosto un amico, maggiore di età e di esperienza e di studi, che stava lì compagno


e guida ne’ nostri lavori, e sentiva il parer nostro e ci diceva il suo, e poneva tutto in
discussione, quello che diceva lui e quello che dicevamo noi. 24  

Quello che De Sanctis fa rivivere è un modello didattico in cui « i principali  

attori erano i giovani » (« il lavoro era tutto nostro, e serio e assiduo »), e
     

in cui Puoti « non faceva discorsi o lezioni, non insegnava grammatica o


rettorica », ma faceva « notare più per esempli che per teoriche i pregi e i
   

difetti degli scrittori ». Un metodo dialogico, di confronto comunitario, con


21
  Id., L’ultimo dei puristi, cit., p. 230.
22
  Ivi, p. 234, dove ricorda che della formazione nei seminari aveva dato un’eloquente descrizione
Simonde de Sismondi negli ultimi capitoli della Histoire des républiques italiennes.
23
 Cfr. Remo Ceserani, L’educazione letteraria nella scuola, in Guida allo studio della letteratura,
Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. (392-433), 402-408.
24
 F. De Sanctis, L’ultimo dei puristi, cit., p. 230.
de sanctis e il «metodo» del puoti 27
assoluta centralità del discente. Un continuo chiamare gli allievi a confron-
tarsi con i testi, con assidui esercizi di scrittura e di esposizione orale, dis-
simulando la funzione autoriale del maestro, apparentemente “regredito”
allo stesso livello degli alunni, sebbene sempre regista dell’azione. In questo
« metodo », e non tanto nelle “cose” trattate nella scuola, De Sanctis indivi-
   

duava il valore esemplare della scuola del Puoti. E al “come” si realizzava


quel processo di insegnamento-apprendimento attribuiva l’effetto di un’au-
tentica « rivoluzione morale ». 25
     

Il « lavoro » non consisteva solo nella discussione e nel commento orale,


   

ma in una continua produzione scritta. Uno dei tre incontri settimanali era
dedicato alla pubblica lettura dei componimenti degli allievi (« favole, let-  

tere, dialoghi, sogni, dissertazioni, diceríe, racconti storici, novelle, di rado


qualche poesia »), a cui seguiva la discussione sollecitata da Puoti (« doman-
   

dava a due o tre il loro parere, i quali ragionavano prima del concetto, poi
dello stile e della lingua »). Confronto pubblico, ma non ovviamente parita-

rio : la discussione, chiusa sempre da uno degli « Eletti » o degli « Anziani »,


         

era sempre seguita dal « giudizio terminativo » del marchese. 26 Gli altri due
     

giorni erano dedicati alla traduzione e alla lettura dei classici. Un esercizio
di traduzione (« non più che due periodi di Cornelio Nepote ») evidente-
   

mente finalizzato alla cura della lingua di destinazione, e valutato ancora


da De Sanctis come il più adatto « ad addestrare in tutte le finezze della lin-

gua e nell’organamento del periodo ». 27 Alla traduzione seguiva la lettura di


   

qualche brano degli autori considerati classici, e quindi esclusivamente del


Trecento o del Cinquecento. I giovani erano pertanto « in continuo lavoro »,    

protratto a casa con un ininterrotto esercizio di scrittura e con lo studio dei


classici, secondo un preciso ordine, e secondo un canone ristretto esclusiva-
mente al Trecento e al Cinquecento.
Il « metodo » del Puoti era per De Sanctis il più adatto non tanto a tra-
   

smettere conoscenze da parte del docente, ma a far sviluppare nei discenti


una competenza letteraria : non tanto e non solo una restituzione o ripe-

tizione di nozioni, ma soprattutto la capacità, da parte dell’alunno, di ri-


appropriarsi delle conoscenze e di saperle riutilizzare. Quel « metodo » era    

suggerito da De Sanctis, nel contesto della nuova Italia, come un modello


esemplare per l’educazione letteraria : « Sono convinto che niente giovi più
   

a rilevare gli studi letterari ed a educare la mente che questo assiduo lavo-
rare del giovane, questo leggere, tradurre, comporre, notare, più utile che
non il mandare a memoria grammatiche, rettoriche e arti dello scrivere ». 28    

Il ruolo del docente di letteratura indicato da De Sanctis è quello, maieu-


tico, di un mediatore e sollecitatore di competenze ; il suo spazio è quello,  

25 26
  Ivi, p. 231.   Ibidem.
27 28
  Ivi, pp. 231-232.   Ivi, p. 233.
28 andrea manganaro
“impersonale”, dell’autore che quasi scompare collocandosi a fianco dei suoi
personaggi ; il suo atteggiamento quello di un « magister » che sappia rinun-
     

ciare in parte al ruolo tradizionale di emittente esclusivo del « discorso » : 29        

Il marchese solea dire, citando un detto di Socrate, che il maestro dee essere come la
levatrice che aiuti a partorire. Il miglior maestro è quello che pensi meno a comparir
lui, e lasci fare i giovani, dissimulando la sua opera e creando in loro questa illusione
che quello che imparano sono loro stessi che l’hanno trovato. Quello teniamo a mente
che abbiamo acquistato col sudore della fronte : tutto l’altro facilmente entra e più

facilmente esce dalla memoria. 30  

Simili « pratiche esercitazioni » in quello stesso 1868 erano raccomandate an-


   

che da Pasquale Villari, allora membro del Consiglio superiore della Pubbli-
ca istruzione. E però il Villari le proponeva facendo riferimento all’« esem-  

pio dell’Inghilterra », dimentico – De Sanctis non manca di rilevarlo, con


sostanziale rimprovero all’antico allievo – che quei « metodi » e quelle « tra-      

dizioni » d’insegnamento appartenevano alla sua stessa formazione napole-


tana, alla stessa « scuola » dalla quale era pure lui « uscito ». 31
         

Basandosi sulla sua stessa concreta esperienza didattica, quella della sua
“prima scuola napoletana”, De Sanctis individuava il complesso, duplice
ruolo, di mediatore e di educatore al tempo stesso, che spetta all’insegnante
di letteratura. La scuola del Puoti era da lui elevata a modello anche per il
presente, in ragione del « metodo » di insegnamento/apprendimento realiz-
   

zato : il marchese non « spiegava dalla cattedra ; collaborava con noi ». Era
       

però lui, il maestro, a condurre l’azione : a imporre « l’esercizio del tradurre


   

e del comporre, la lettura assidua degli scrittori, e soprattutto la libertà del-


la discussione e l’attrito delle opinioni ». Nella « comunità ermeneutica » 32
       

messa in atto da Puoti nella sua scuola, lo studente, non più semplice e
passivo destinatario del messaggio educativo, era chiamato a una nuova,
inconsueta assunzione di responsabilità, che non poteva non avere benefici
riflessi etici e civili :  

quel fare del giovine il maestro di se stesso lasciava intatte le nostre facoltà più prezio-
se, l’iniziativa, la libertà dell’opinione, la spontaneità della produzione, l’emancipazio-
ne da ogni regola e da ogni preconcetto, e il vivere fra’ vivi e la partecipazione nella
misura delle forze ad ogni progresso. 33  

29
  Nell’odierna didattica per competenze è il problema a organizzare le conoscenze, non il di-
scorso ; e « una parte della scienza del magister è quindi ignorata » ; all’insegnante non « resta che
         

ricostruire altre soddisfazioni personali, quelle dell’allenatore » : Philippe Perrenoud, Costruire


   

competenze a partire dalla scuola, Roma, Anicia, 2010, pp. 95-96.


30
 F. De Sanctis, L’ultimo dei puristi, cit., pp. 233-234.
31
  Ivi, p. 234. Il riferimento è a P. Villari, Scritti pedagogici, Torino, Paravia, 1868 e a una Circolare
inviata ai Licei del Regno, pubblicata in « La Nazione » di Firenze il 20 luglio 1868 ; cfr. Luigi Russo,
     

Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, cit., p. 212, anche sull’« anglicizzarsi » di Villari.    

32
 Cfr. R. Luperini, Insegnare la letteratura oggi, Lecce, Manni, 20022, pp. 80-82.
33
 F. De Sanctis, L’ultimo dei puristi, cit., p. 242.
de sanctis e il «metodo» del puoti 29

È un metodo ben definito, quello che emerge. E nel raffigurarlo De Sanctis


non può non omettere particolari, che sarebbero invece affiorati dalla me-
moria nella narrazione autobiografica della Giovinezza. Nel celebre epi-
sodio della visita di Leopardi alla scuola del Puoti il marchese appare ad
esempio molto meno aperto al confronto di quanto risultasse dalle pagine
del saggio del 1868 (« Il marchese era affermativo, imperatorio, non pativa  

contraddizioni »). 34    

Il « difetto capitale », 35 il limite sostanziale del Puoti risiedeva per De


     

Sanctis nella « materia » della sua scuola, nelle stesse fondamentali carat-
   

teristiche del purismo : 36 nell’eccessiva importanza data alla « parola come      

parola », nel segregare lo studio « dal presente e dal vivo », nel fondarlo esclu-
     

sivamente « sugli scrittori e di parecchi secoli indietro, come si fa di una


lingua morta », 37 per cui lo « scrivere non era più una produzione, ma una
     

imitazione secondo certi preconcetti ». Sebbene come principali qualità fos-  

sero indicate la « chiarezza » e l’« efficacia », e fossero aborriti « il rettorico,


         

il declamatorio, il gonfio, il convulso », lo scrivere per i molti « degenerava    

nella maniera o nel convenzionale ». 38    

Era però il “come”, il « modo d’insegnamento » del Puoti a divenire « istru-      

mento efficacissimo di educazione e di progresso ». 39 E di questo “come”    

una qualità del Puoti era certamente non secondaria per la formazione del-
la gioventù : l’avere « cuore », che compensava in parte i limiti d’ingegno del
     

marchese. 40  

Il purismo del Puoti non era definito da De Sanctis « una dottrina », ma    

originariamente come un allargamento del campo tradizionale degli studi,


da quello del greco e del latino a quello delle «cose italiane», usando gli
stessi « criterii ». 41 E il superamento del purismo (la « ribellione ») è presen-
         

tato come il fruttuoso esito dello stesso « metodo » attuato nella scuola e    

promosso dagli stessi allievi. Se da tale metodo gli studenti di minore in-
gegno traevano principalmente sicurezza nell’analisi linguistica e testuale,
era sempre quel « metodo » a sospingere i giovani più brillanti verso « più
     

larghi spazii », allargando la « materia ». 42 Furono infatti gli stessi discepoli


       

di quella scuola i protagonisti del rinnovamento : si allargò il canone degli  

scrittori italiani (aprendosi anche ai contemporanei, tutti letti anche « per le  

34 35
  Id., La giovinezza, cit., p. 75.   Id., L’ultimo dei puristi, cit., p. 240.
36 37
  Ivi, p. 242.   Ivi, p. 240.
38 39
  Ivi, pp. 237-238.   Ivi, p. 234.
40
  Cfr. F. De Sanctis, Poche parole a’ giovani dette innanzi al feretro di Basilio Puoti (1847), in Purismo
illuminismo storicismo, v. i (Scritti giovanili e frammenti di scuola), a cura di Attilio Marinari, Torino,
Einaudi, 1975 (Opere, v. ii) pp. (87-90), 88 : « Giovani, noi eravamo avvezzi a starci nelle scuole tre-    

manti innanzi al maestro : […] ci s’insegnava senza amore, imparavamo senza piacere. […] Lui la

prima volta abbiamo veduto insegnare amando, e render la scuola una gara di amicizia e di affetto ».  

41 42
  Id., L’ultimo dei puristi, cit., p. 241.   Ivi, p. 242.
30 andrea manganaro
cose » e non solo « per la lingua ») ; si aggiunse quello delle letterature stra-
       

niere ; mutarono radicalmente gli orientamenti critici, grazie alla lettura di


Schlegel, di Hegel, di Vico. Scrive De Sanctis : « Qual parte ebbe in questo    

rinnovamento la mia scuola, non tocca a me il dirlo ». E la preterizione (con  

l’allegato auspicio di una futura storicizzazione simile a quella che, grazie


al Ranalli, aveva fatto del Puoti) mostra chiaramente la coscienza che De
Sanctis aveva del ruolo da lui stesso esercitato in quel rinnovamento. 43  

Pochi anni dopo, nel 1872 (lo stesso della prolusione La scienza e la vita), il
« metodo » e il modello delineati nell’Ultimo dei puristi venivano ripresentati
   

da De Sanctis in un altro saggio, anch’esso apparso sulla « Nuova Antologia ».    

Il nuovo saggio era però intitolato, senza alcuna ambiguità, La scuola. De


Sanctis aveva già iniziato la sua “seconda scuola napoletana”. Aprendo, all’U-
niversità di Napoli, il primo corso di lezioni sulla letteratura del secolo xix,
dedicato a Manzoni, aveva dichiarato di non concepire lo studio e l’insegna-
mento come un « soliloquio », ma, al contrario, come un continuo « dialogo »
       

con le nuove generazioni. 44 E dedicando esplicitamente, anche nel titolo, un


saggio alla scuola, riproponeva ancora una volta i caratteri essenziali di quel-
lo che aveva descritto come « metodo » del Puoti e che lui stesso aveva svilup-
   

pato sostenendo il nesso indissolubile tra scienza, scuola e vita : 45    

Una scuola non mi par cosa viva, se non a questo patto, che accanto all’insegnamento
ci stia la parte educativa, una ginnastica intellettuale e morale, che stimoli e metta
in moto tutte le forze latenti dello spirito. Il meno che un giovane possa domandare
alla scuola è lo scibile, anzi lo scibile è lui che dee trovarlo e conquistarlo, se vuole sia
davvero cosa sua. La scuola gli può dare gli ultimi risultati della scienza, e se non fosse
che questo, in verità una scuola è di troppo ; tanto vale pigliarli in un libro quei risultati.

Ciò che un giovane dee domandare alla scuola è di esser messo in grado che la scienza
la cerchi e la trovi lui. Perciò la scuola è un laboratorio, dove tutti sieno compagni nel
lavoro, maestro e discepoli e il maestro non esponga solo e dimostri, ma cerchi e osser-
vi con loro, sí che attori sieno tutti […]. Una scuola così fatta non vale solo a educare
l’intelligenza, ma, ciò che è di più, ti forma la volontà. Vi si apprende la serietà dello
scopo, la tenacità de’ mezzi, la risolutezza accompagnata con la disciplina e con la pa-
zienza, vi si apprende innanzi tutto ad essere un uomo. 46  

È preso in esame il saggio L’ultimo dei puristi, rilevando la rappresentazione che Francesco De San-
ctis dà del « metodo » di insegnamento/apprendimento attuato nella « scuola » privata napoletana
       

43
  Ivi, p. 243.
44
  F. De Sanctis, Manzoni, a cura di Carlo Muscetta e Dario Puccini, Torino, Einaudi, 1955 (Ope-
re, v. x), pp. 109-110 : « ho bisogno di uditori benevoli non solo ; ma di giovani che mi sieno intorno
     

come il “mio due”, il mio opposto, il mio controllo ».  

45
 Cfr. Id., La giovinezza, cit., pp. 180-181 : a proposito della prima scuola napoletana : « “Cosa mi
     

fanno i vostri applausi, quando, usciti di qua, non resta che un vaniloquio ? No, la scuola dee essere  

la vita ; e quella lezione è bella, che vi avrà resi migliori” ».


   

46
  Id., La scuola, in L’arte, la scienza e la vita, a cura di Maria Teresa Lanza, Torino, Einaudi, 1972
(Opere, v. xiv), pp. (305-315), 305-306.
de sanctis e il «metodo» del puoti 31
di Basilio Puoti. È un modello di insegnamento che nella sua essenza (centralità del lavoro dello
studente, attività laboratoriale, confronto dialogico nella comunità della classe, continuo esercizio
di scrittura e lettura) viene riproposto da De Sanctis nella nuova Italia come modello positivo di
formazione dei giovani e di sviluppo della competenza letteraria.
This article deals with L’ultimo dei puristi, dwelling on the way Francesco De Sanctis describes the
teaching/learning «method» used in Basilio Puoti’s private «school» in Naples. It is a kind of teach-
ing method the essence of which (student’s work at the centre, workshops, dialogue within the
class as a community, lifelong writing and reading) is revived by De Sanctis in the New Italy as a
positive method for educating and cultivate a love of reading in young people.
On considère l’essai L’ultimo dei puristi, en reprenant la représentation que Francesco De Sanctis
livre de la «méthode» d’enseignement/apprentissage mis en pratique dans l’« école » privée napo-
litaine de Basilio Puoti. Il s’agit d’un modèle d’enseignement qui dans son essence (centralité du
travail de l’étudiant, activité de laboratoire, rapport dialogique au sein de la classe, exercice continu
d’écriture et de lecture) est reproposé par De Sanctis dans la nouvelle Italie comme modèle positif
de formation des jeunes et de développement des capacités littéraires.
Se analiza el ensayo L’ultimo dei puristi, destacando la representación que Francesco De Sanctis da
al «método» de enseñanza/aprendizaje aplicado en la «escuela» privada napolitana de Basilio Puoti.
Es un modelo de enseñanza que De Sanctis vuelve a proponer en su esencia (centralidad del tra-
bajo del estudiante, actividad de laboratorio, confrontación dialógica en la comunidad de la clase,
permanente ejercicio de escritura y lectura) en la nueva Italia como modelo positivo de formación
de los jóvenes y de desarrollo de la competencia literaria.
Zur Ermittlung der Bedeutung und der Funktion der editio princeps der Lettere von Battista Guarini
im Jahr 1593 wird in diesem Artikel das Profil des venezianischen Juristen und Literaten Agostino
Michele ausgeleuchtet, dem der Autor des Pastor fido die Aufgabe zuwies, Kurator der Publikation
und Unterzeichner des Dedikationsbriefs an den Herzog von Urbino zu sein.
F ABRIZIO S ERRA EDITORE
Pisa · Roma
www.libraweb.net

Marco Santoro
I Giunta a Madrid. Vicende e documenti
Biblioteca di «Paratesto», 9
Collana diretta da Marco Santoro

A ll’interno del panorama tipo-


grafico-editoriale italiano rinasci-
mentale non c’è dubbio che un ruo-
lo di spicco sia stato rivestito dalla
famiglia dei Giunta. In origine
mercanti fiorentini, probabilmente
attivi sul versante del commercio
della lana e iscritti all’arte dei “me-
dici e speziali”, dalla metà del xv se-
colo compresero le interessanti po-
tenzialità di guadagno offerte dal
comparto librario, vistosamente
rinvigorito dalla recente, straordi-
naria invenzione della stampa. Già
dalla fine del xv secolo la famiglia
era riuscita ad avviare un’attività
commerciale a Firenze e a Venezia,
a cui presto si aggiunsero Lione,
Burgos, Salamanca e altre piazze
importanti dal punto di vista del nella loro interezza, sulla storia e le
commercio librario. Il volume che varie vicende dei Giunta madrileni;
qui si presenta si occupa del ramo documenti che possono essere utili
dei Giunta trasferitosi a Madrid e anche e soprattutto per conoscere
qui divenuto operativo dalla fine del procedure, logiche, costumi del
Cinquecento fino alla metà del se- complesso microcosmo librario
colo successivo. Ed è su Giulio dell’epoca.
Giunta de’ Modesti e su Tommaso
suo nipote che si incentra questo
studio, basato sostanzialmente sulla
documentazione rinvenuta presso 2013, cm 17,5 × 25, 298 pp.
l’Archivio Historico de Protocolos € 124,00 (brossura/paperback)
di Madrid: una ricca serie di docu- isbn 978-88-6227-634-4
menti, che vengono qui pubblicati issn 1828-8693
co m p o sto in ca r atte re da n t e monotype dalla
fa b rizio se rr a e ditore, pisa · roma.
sta m pato e ril e gato nella
t i p o g r a fia di ag na n o, ag nano pisano (pisa).

*
Dicembre 2015
(c z 2 · f g 1 3 )

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