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Sezione di Catania
Non prestigiosi palazzi, non chiese barocche, non conventi, ma vicoli stretti, tortuosi, non sempre
illuminati ma curiosi e talvolta affascinanti. Qualcuno ben recuperato con la creazione di piccole
strutture ricettive. Sono la testimonianza dell’imperfetta ricostruzione urbana dopo il terribile
Terremoto del 1693. Il Duca di Camastra aveva previsto una città moderna, con strade dritte e
larghe, quartieri a scacchiera, ma poi se ne tornò al suo paesello e i catanesi, anche per
comprensibili motivi economici, fecero di testa loro.
La passeggiata, che prende il nome da una casella del mitico gioco del “Monopoli” ha avuto inizio
emblematicamente da Piazza Duomo, cuore settecentesco della Città di Catania, subito lasciata per
imboccare la Via Garibaldi e quindi la Via Pardo, prima traversa a sinistra.
1 - Cortile Ninfo
Un vicolo appena visibile sul lato destro di Via Pardo, porta nel piccolo Cortile Ninfo sul quale si
affaccia una palazzina che ha avuto una curiosa vicenda, certamente unica fra quelle del nostro
Centro Storico. Si direbbe, infatti, che la facciata sul cortile, non essendo crollata, sia stata lasciata
così com’era prima del terremoto del 1693, mentre quella prospiciente Via Garibaldi, sia stata invece
ricostruita successivamente, in uno ad una ampia porzione dell’edificio.
Un antico e robusto portale, parte in pietra lavica e parte in pietra bianca di Siracusa, sormontato da
uno stemma da cavaliere raffigurante due felini sovrapposti uno sull’altro, costituisce il primo dei
quattro livelli puntualmente registrati da Francesco Fichera nel suo Catania nel Settecento: “strano
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campione, scampato alle tristi vicende sismiche e posto ancora sul livello della città cinquecentesca,
dove vediamo ben quattro luci: il portone, la finestra del primo mezzanino, il balcone, la finestra del
secondo mezzanino, addensarsi su una verticale di quasi otto metri”.
La sopravvenuta curiosità spinge il gruppo a indietreggiare su Via Garibaldi, per osservare il retro
della palazzina che oggi costituisce la facciata principale dell’edificio, scoprendo che essa è stata
ricostruita, rispettando solo per i primi due livelli le quote osservate nel cortile, mentre i due livelli
superiori sono stati ampliati in altezza, per assicurare una corretta abitabilità. Il tutto per la profondità
di un solo ambiente. In sostanza siamo al cospetto di un palazzo double face, con non meno di
quattro secoli di distanza temporale tra una facciata e l’altra, come confermato anche dal rilievo
catastale. La palazzina, con ingresso su Via Garibaldi, che – ricordiamoci – non esisteva prima del
terremoto, è diventata nel frattempo un edificio di pregio, dotato anche di ascensore.
Qualcun dei partecipanti fa presente che l’esistenza di un brano della città cinquecentesca andrebbe
valorizzato e segnalato.
Usciti dal Cortile Ninfo dalla parte di Via Gisira e imboccata Via Auteri, procedendo in direzione sud,
si incontra una graziosa palazzina avvolta in gran parte da vistosi rampicanti tra cui una bouganvillea
dalla splendida fioritura color viola. A destra della palazzina si svolge un vicolo che rappresenta
degnamente uno degli obbiettivi del presente testo, come rilevato a gran voce dai partecipanti. Il
vicolo, infatti, è mantenuto ben pulito, le facciate degli edifici che vi prospettano sono state
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recentemente rigenerate ed è anche abbellito con piante ed oggetti vintage recuperati da qualche
soffitta. Sul vicolo si affaccia un B&B e qualche abitazione.
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Aggirando l’isolato e imboccando Via S. Sebastiano, si raggiunge Via Transito e si piega a sinistra.
Compare subito, sul lato destro, con ingresso al civico 30, una lunga palazzina a due soli livelli. La
facciata è perfettamente simmetrica, con sette luci, di cui quella centrale comprende l’ingresso.
Il disegno del portale con cui si accede alla palazzina, che si raccorda “a candela” con la finestra del
piano primo ci consente di attribuirla al Settecento, ma ciò che risulta più intrigante è osservare che
sotto il primo dei cinque balconi esistenti (uno crollò o fu demolito), furono collocati tre mensole, che
chiamiamo cagnoli con termine gergale, raffiguranti tre suggestive teste di personaggi caratterizzati
da folti baffoni o agghindati con vistose bandane.
Non così sotto gli altri balconi, sorretti da mensole molto più comuni. Se guardati attentamente, non
sfugge che i cagnoli più belli non sono perfettamente integri ma hanno sofferto qualche frattura da
caduta; è quindi facile immaginare che essi furono recuperati dalle macerie di qualche edificio
preesistente al già citato terremoto.
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Ma è un altro il messaggio che deriva dalla visione di questa palazzina. Sarebbe infatti opportuno
che gli organi pubblici deputati al mantenimento del decoro urbano, impediscano che venga rifatto
o semplicemente ridipinto l’intonaco solo di una parte della facciata di una costruzione quale quella
di Via Transito 30.
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4 - Cortile Fuochisti
5 - Cortile Pace
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potrebbe invogliare chi vi abita, con adeguate facilitazioni economiche, ad intraprendere delle attività
artigianali che attirino il pubblico cittadino e forestiero. E’ ben noto che esiste un effetto di contagio
per questo genere di attività e che il recupero dei quartieri più popolari può diffondersi a macchia
d’olio proprio in questa maniera.
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8 - Vicolo Alfieri
Risale al 1870 il Teatro Alfieri i cui resti sono, a differenza del Teatro Mercadante, del tutto
irriconoscibili. Occorre imboccare Via Pozzo Mulino ed infilarsi nell’omonimo vicolo posto sul lato
destro. Nel primo slargo che si trova, si affaccia, soffocata, una palazzina che offre delle belle
decorazioni di stile vagamente Liberty, ma, pur osservandola con attenzione, non si riesce a
distinguere qual era lo spazio dove si svolgeva l’attività teatrale.
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Riportatici su Via Pozzo Mulino, non si deve tralasciare di dare un’occhiata ad un ampio finestrone
ad arco, che qualcuno incassò nella palazzina con ingresso al civico 21. Facile constatare che esso
è del tutto avulso dal ritmo e dalla forma delle altre luci della facciata. Si dice che appartenesse alla
Chiesa di S. Marina, una volta importante luogo di culto per il quartiere, distrutta col terremoto del
1693 e non più ricostruita.
9 - Vicolo Labirinto
Con i suoi 85 metri è il vicolo più lungo che si incontra durante la passeggiata e probabilmente
mantiene questo primato per tutta la nostra città.
Vi si accede risalendo ancora lungo Via Pozzo Mulino, da una traversa denominata Via della Palma,
tra i civici 25 e 27. Anch’esso libero per forza di cose dalle autovetture di ogni dimensione, si può
risalire nel più assoluto silenzio, incontrandone, nella parte mezzana, un segmento abbellito da
numerose piante, grazie alla vocazione per il verde di un suo abitante.
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Le osservazioni dei partecipanti sono dello stesso tenore di quelle già espresse. Meraviglia e invito
a cogliere l’opportunità che deriva da siti così strani.
Il vicolo sfocia su Via Recupero. Proseguendo su di essa verso nord, si raggiunge Via Vittorio
Emanuele, lungo la quale si deve scendere fino a Via Verginelle, che si imbocca e si percorre fin
dove essa termina, in ripida salita, su Via Teatro Greco.
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10 - Vicolo Maura
Queste disposizioni furono rispettate nelle edificazioni prospicienti le nuove grandi strade cittadine
(odierne vie Etnea, Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Antonino di San Giuliano), anche perché i
costruttori erano i personaggi facoltosi superstiti della città e i non meno ricchi ordini religiosi, che
potevano permettersi la spesa occorrente per la definitiva demolizione dei residui dei palazzi
preesistenti al terremoto e per la costruzione di fondazioni lungo i nuovi allineamenti.
Ma, andato via il Duca ed i suoi collaboratori, per la gente di modeste possibilità economiche, che
ricostruiva la propria abitazione nella periferia della città di allora, era un peccato non riutilizzare quei
tratti di muri e soprattutto quei pezzi di cantoniere rimaste in piedi, già poggianti su fondazioni
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11 - Quartiere Lumacari
In stretta prossimità con l’ex Monastero dei Benedettini, un edificio grandioso per dimensioni e per
ridondanza delle decorazioni, che sarebbe potuto tranquillamente essere un Palazzo Reale, si
sviluppa invece un quartiere di aspetto molto più dimesso. A separarlo dal monastero c’è solo la Via
Teatro Greco.
Plausibile quindi quanto si afferma e cioè che il Quartiere Lumacari fu costruito e poi abitato dalle
maestranze che per decenni furono impiegate per la costruzione del Monastero. Ultimato il cantiere,
i muratori ormai disoccupati e le loro famiglie dovettero ricorrere, come nutrimento, alla raccolta delle
lumache e da qui il nome del quartiere. Ma questo non è scritto da nessuna parte ed è solo una
volenterosa ipotesi.
A questa curiosità se ne aggiunge però un’altra ben più solida nella sua origine. Il nome di due
strade, Via Ospedale Vecchio e Via Ospedaletto, riecheggiano un nosocomio che non poteva essere
certamente il vecchio Ospedale San Marco, attivo nel Medioevo, del quale ben si conosce l’originale
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ubicazione. Unica ipotesi sostenibile è che si trattasse della struttura sanitaria propria della Giudecca
soprana che, con ragionevole certezza, trovava qui il suo limite occidentale.
Suggestive sono le due stradine, in decisa salita, che consentono di raggiungere uno slargo privo di
nome, cieco da tre lati su quattro, frequentato solo da chi vi abita nei pressi, e che nel tempo si è
convinto di esserne proprietario dello slargo, mentre si tratta di suolo comunale. Anche in questo
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caso alcuni partecipanti alla passeggiata hanno osservato che ben altra, e più attraente, potrebbe
essere la destinazione d’uso di questo spazio. Per esempio, perché non organizzarvi un’area con
giochi e strutture di svago per bambini, al sicuro dal traffico delle auto, una volta messo in sicurezza
il rudere, peraltro suggestivo, che ne occupa la parte terminale?
Si precisa, con l’occasione, che solo la foto in notturna dello slargo di Via Ospedaletto è stata scattata
durante il giro che, iniziando alle 20.00, si è svolto tutto dopo il tramonto e pertanto non ha consentito
di avere una documentazione fotografica sufficientemente chiara. Le rimanenti foto si riferiscono
quindi ai mesi di aprile e maggio 2019.
Via della Palma e Via S. Barbara sono congiunte tra loro da un lungo vicolo il cui nome ricorda la
Chiesa di S. Barnaba, che prospettava su Via Vittorio Emanuele e che non esiste più. Le case
prospicienti sono tutte rigorosamente terrane ed abitate da famiglie di limitate possibilità
economiche. Nella parte più vicina a Via Teatro Greco, un privato ha acquistato alcune di queste
case e con esse ha realizzato una struttura ricettiva, mentre in una abitazione più pregevole ha
ubicato un ricercato ristorante. La rimanente parte del vicolo non è stata oggetto di alcun recupero,
né abbellimento.
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In via Auteri, angolo Zappalà Gemelli, l’edificio che ospita l’Istituto “Amerigo Vespucci”, presenta, al
secondo e ultimo piano, una loggia angolare a servizio del salone principale, che Francesco Fichera
definì il “Monocolo del Ciclope”, un gioiello architettonico più unico che raro, nel panorama cittadino.
L’intero elemento architettonico, compreso il grazioso ballatoio ad angolo, con ringhiere a petto
d’oca, fu recuperato durante la demolizione dell’edificio, di forma non dissimile da quello attuale, che
ospitò, dalla metà del Settecento al 1866 il Convento dei Carmelitani, titolari anche dell’adiacente
Chiesa di S. Maria dell’Indirizzo. Questo gioiello è dovuto a Stefano Ittar o, tutt’al più, al suocero
Francesco Battaglia, visto che entrambi risultano essere stati i progettisti dell’edificio.
Quando, negli anni ’30 del Novecento il convento settecentesco fu demolito per realizzare un edificio
scolastico, si ebbe cura di salvarlo e collocarlo nella medesima posizione.
In Via Pozzo Mulino, qualche ignoto costruttore amante delle reminiscenze antiche, raccolse, come
già scritto, i pezzi di un finestrone ad arco e lo montò nella propria palazzina. Si dice che esso
appartenesse alla Chiesa di S. Marina, non più ricostruita dopo il terremoto del 1693.
Considerazioni finali
Durante la passeggiata sono stati attraversati una dozzina tra vicoli e cortili, tutti di larghezza tale da
rendere impossibile il transito di autovetture e, in alcuni casi, anche di motocicli. Si è osservato per
un paio di essi (Vicolo della Lanterna e Vico S. Barnaba) che è già in essere un loro impiego in grado
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di esaltarne la specificità, con l’affaccio su di essi di locali per ristorazione e di B&B. Nel caso di
Vicolo Labirinto, pur non essendovi svolta alcuna attività commerciale, i proprietari prospicienti
hanno collocato numerose piante che rendono gradevole il transito lungo di esso. Infine, per tutti
indistintamente, è stata riscontrata un’attenta e scrupolosa pulizia, che contrasta con lo stato in cui
versano alcune strade ben più ampie della città. Ciò è dovuto, probabilmente, alla sensazione che
ogni tratto di vicolo, viene considerato di fatto, da chi ci abita, un’appendice della propria abitazione.
I partecipanti alla passeggiata hanno osservato che andrebbe stimolato l’insediamento in questi
vicoli, ma meglio ancora in alcuni cortili, quali il Cortile Pace, di piccole attività commerciali in sintonia
con le sensazioni trasmesse dal luogo, quali restauratori di cornici o di piccole opere d’arte, ritrattisti,
commercianti di fotografie, pitture, stampe antiche, piccole sculture, tessuti artistici e attività di
tipologia similare.
Chi ha visitato il quartiere dei Navigli, a Milano, sa bene che il fenomeno del recupero di brani antichi
della città è contagioso e può portare ad effetti sorprendenti. Proviamo a farlo anche a Catania.
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