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Gabriel Fauré e l’esperienza religiosa nella musica francese dell’ultimo Ottocento

L’aspro scisma religioso che, durante gli anni più tumultuosi della rivoluzione francese, era venuto
a determinarsi dal momento in cui era stato effettuato il tentativo di rimodellare l’organizzazione
della chiesa gallicana mediante la costituzione civile del clero con cui veniva a ridefinirsi la
posizione della chiesa cattolica romana di Francia nei confronti dell’’autorità secolare e del papato,
era in realtà il risultato di un precedente tentativo di riforme avanzate nei cahiers ecclesiastici sin
dall’agosto del 1789. Con tali riforme che avevano portato inizialmente alla progressiva
disgregazione dell’organizzazione corporativa della chiesa e in seguito alla nazionalizzazione delle
proprietà ecclesiastiche, era venuto a definirsi l’obiettivo di creare una chiesa nazionale non più
sottomessa alle pressioni e agli abusi dell’ancien règime. In questo clima il declino della musica
sacra, era iniziato già molto tempo prima della rivoluzione, se consideriamo che François André
Philidor già nel 1779 aveva composto un oratorio profano, il Carmen speculare dedicato a Caterina
II di Russia su testo di Orazio tradotto dal gesuita Noël-Étienne Sanadon, in cui il compositore
allontanandosi dai canoni della tradizione sacra aveva realizzato un connubio tra sacro e profano,
accostandosi in maniera ben definita alle tecniche della musica strumentale contemporanea, con
precisi riferimenti a quelli della forma sonata. In realtà il movimento antireligioso che si era
gradualmente manifestato già prima della rivoluzione, si affermò poi nel periodo rivoluzionario in
maniera quanto mai aspra e accesa. Come fu osservato dal Tocqueville “la Rivoluzione anzitutto
colpì la Chiesa, e , fra le passioni nate da essa, la prima ad avvivarsi e l’ultima a spegnersi fu la
passione irreligiosa. Anche quando era svanito l’entusiasmo per la libertà, dopo che si era
comprata a prezzo della servitù la tranquillità, si restava ribelli all’autorità religiosa” A. De
Tocqueville, L’antico Regime e la Rivoluzione, Città di Castello, 1921, p.15). In realtà l’ostilità nei
confronti della religione era nata dall’ostilità contro la Chiesa, considerata istituzione privilegiata
non disgiunta dalla nobiltà. In particolare la Chiesa appariva strettamente legata ai ceti privilegiati, i
quali benché increduli mantenevano con essa rapporti di rispetto in quanto la consideravano
strumento di governo in grado di mantenere il potere acquisito. In un certo senso la religione era
utilizzata strumentalmente pur senza una reale convinzione confessionale e in particolare la Chiesa
di Francia dovette pagare lo scotto per essersi unita allo Stato al tempo di Luigi XIV allorché con
l’affermazione del gallicanesimo fu realizzato il pieno distacco dalla Chiesa di Roma.. La Chiesa
venne pertanto identificata con l’ancien régime e come tale destinata a subire l’aggressione violenta
della rivoluzione in quanto elemento autoritario da abbattere ; la rivoluzione vide nella chiesa

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soprattutto un’istituzione da rovesciare, ma in realtà più che alla religione in quanto tale
l’opposizione era rivolta al potere costituito.
Fu in questo clima che nella Parigi repubblicana, con la soppressione del clero e di conseguenza
del rito cattolico venne a determinarsi una graduale riduzione della musica sacra che aveva
conosciuto con l’ancien régime un periodo di grande splendore, grazie alla committenza da parte
della nobiltà e della corte che pur non essendo in grado di mantenere il rispetto di uno stile
religioso, contaminato da una sempre maggiore presenza di influssi melodrammatici, garantiva
tuttavia una ricca fioritura del genere.
Nel passaggio dalla Rivoluzione all’epoca Napoleonica, la musica sacra conobbe una fase di
transizione che sotto vari aspetti può riassumersi nella singolare figura di François-Joseph Gossec
(1734-1829), un musicista che dopo essere stato protagonista di musiche rivoluzionarie, (fu infatti
autore di oltre 35 inni per la Rivoluzione, tra cui la versione definitiva della Marseillaise) , si dedicò
alla musica sacra. Dopo aver composto una Messe des morts (1760), in cui la ricchezza della
strumentazione e la grande massa di cantori manifestano una concezione ben lontana dalla
tradizione tipica delle messe da Requiem, rivelando una evidente tendenza ad una commistione tra
sacro e profano che gli derivavano dall’esperienza in campo strumentale maturata nell’orchestra
della Pouplinière e nei Concerts Spirituels, compose nel 1813 una Messe des vivants in
contrapposizione a quella des morts,anch’essa per soli coro e orchestra, oltre a due Te Deum, il
primo per 5 voci soliste, coro e orchestra, quindi ben lontano dai canoni della tradizione liturgica, il
secondo dal titolo Te Deum pour la Fête de la Fédération per coro maschile a 3 voci e strumenti a
fiato, eseguito con un organico mastodontico (di oltre 300 tamburi e altrettanti strumenti a fiato) il
14 luglio 1790 insieme con un Domine salvum fac regem nel primo anniversario della presa della
Bastiglia.
Non meno interessante la produzione sacra di Étienne-Nicolas Méhul (1763-1817), la cui attività di
compositore si svolse tra la Rivoluzione e l’Impero negli anni in cui Parigi era dominata dalla figura
di Cherubini. Prediletto da Napoleone che lo volle nominare maestro della cappella imperiale,
Méhul legò il suo nome a composizioni di carattere celebrativo, tra cui il celebre inno
rivoluzionario Le chant du Depart (1795), cui dopo la nomina dopo la nomina a ispettore del
Conservatoire e il passaggio al regime napoleonico, fecero seguito nel 1802 un Domine salvam fac
republicam, salvos fac Consules per 2 cori e 2 orchestre eseguito in Notre-Dame sotto la direzione
dello stesso Méhul e di Cherubini insieme con un Te Deum di Paisiello con cui veniva ad essere
sancita la firma del Concordato con la Chiesa di Roma e alla conseguente proclamazione del
Cattolicesimo come religione dello Stato francese, quindi una Cantata per le nozze di Napoleone
(1810) e un Chant Lyrique pour l’inauguration de la statue de Napoléon per soli coro e orchestra

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(1811).In ambito strettamente sacro,fu autore nel 1804 di una Messe solennelle per soli coro e
orchestra, composta per l’incoronazione di Napoleone, ma che non fu eseguita, essendo stato
preferito il Te Deum di Paisiello. L’opera, peraltro di vaste dimensioni che ben corrispondevano alle
istanze celebrative del momento in un certo senso segnò l’inizio di una ricca produzione di
composizioni sacre, cui si dedicarono pressoché tutti i compositori francesi.
In particolare va ricordato Jean François Le Sueur(1760-1837), un compositore che visse in un certo
senso all’ombra di Cherubini, Paisiello e Spontini. Dopo aver esordito come compositore di musica
da chiesa e aver svolto gran parte della sua carriera in varie cappelle musicali di Francia, prima
della Rivoluzione aveva tra l’altro pensato ad una riforma della musica sacra per approdare infine
nella cappella di Notre-Dame a Parigi. (1786-87) e dedicarsi poi ad una breve carriera teatrale
durante e dopo la Rivoluzione, in cui si distinse anche nella composizione di inni, odi e in genere in
grandiosi lavori di carattere celebrativo che gli procurarono l’ammirazione di Napoleone il quale lo
nominò direttore della musica della cappella imperiale, incarico che conservò anche dopo la
restaurazione. Autore di tre messe per coro e orchestra e di altre 30 messe cantate, mottetti, salmi, 3
oratori, 3 Te Deum, tutte composizioni che rivelano il tentativo di dar vita ad una produzione sacra
di carattere drammatico- spettacolare che potesse coinvolgere il pubblico in una diretta
partecipazione al rito. In realtà, pur nel recupero del canto gregoriano, rivissuto in chiave moderna e
della grande tradizione polifonica, Le Sueur creò in realtà una sorta di messa-oratorio in cui
l’elemento drammatico era più vicino a quello dell’espressione profana che di quella religiosa. Va
ascritto comunque a suo merito aver ricostituito le maitrises soppresse durante la Rivoluzione e di
aver reintegrato lo studio della musica nel clero. Ciò nonostante le sue idee non furono accettate dal
capitolo di Notre-Dame che lo aveva licenziato nel 1786 dopo la pubblicazione di un suo saggio dal
titolo, Essai de musique sacre ou musique motive et méthodique pour la fête de Noël, à la messe du
jour relativo ad una messa, poi rielaborata nel 1813 come Oratorio de Noël diviso in quattro parti in
cui tra l’altro venivano inseriti antichi canti francesi, inni natalizi di varia provenienza, tra cui anche
il ranz de vaches svizzero. Allo stesso modo nelle 3 messe solenni, pubblicate rispettivamente nel
1827, 1831 e 1838, venivano inseriti brani estranei alla liturgia realizzando una sorta di piccolo
oratorio e di cantata in cui trovavano posto, sotto il profilo musicale , fughe, grandi cori e scene
drammatiche ben lontane dalla liturgia dell’Ufficio, sottolineate peraltro da particolari annotazioni
preposte alle partiture, rivelatrici di taluni effetti descrittivi estranei ad una coerente espressione di
carattere sacro.
Sempre nello stesso periodo grande fortuna ebbe la produzione sacra di Paisiello e di Cherubini che,
attivi a Parigi per molti anni, furono autori di una copiosa produzione sacra composta per le
esigenze della corte imperiale. In particolare Paisiello nella sua posizione di compositore di corte,

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nelle sue numerose messe volle seguire una linea decisamente francofila di rito gallicano
adeguandosi a quelle che erano le esigenze della chiesa di Francia piuttosto che a quella di Roma.
Anche le sue messe, in un certo senso sulla linea di quelle di Le Sueur furono concepite in una
dimensione liturgica molto particolare, ove la grandiosità e la contaminazione con il profano furono
chiaramente espresse in occasione di manifestazioni solenni di carattere celebrativo, come la Messe
du Sacre, composta nel 1804 per l’incoronazione di Napoleone e di Giuseppina, con un organico di
oltre 500 esecutori, con due cori e due orchestre, che ben corrispondeva alle particolari esigenze
della corte imperiale. Diversa fu la posizione di Cherubini che, malvisto da Napoleone, manifestò
sempre di aderire pienamente alle disposizioni della Chiesa di Roma con una produzione sacra
quanto mai vasta in cui veniva a riflettersi anche la sua profonda maestria contrappuntistica come
rivelano le cinque messe solenni che pur nella loro grandiosità - concepite come sono per grandi
organici, con voci, soliste, cori e grande orchestra - e il celebre Credo per coro a 8 voci,
contengono pagine di grandi intimismo e fede religiosa e ben corrispondono alle esigenze della
liturgia cattolica oltre che al recupero della grande tradizione del più autentico stile religioso che
alla caduta dell’Impero si manifesterà come definitiva riconquista del Cattolicesimo in Francia,
nonostante i tentativi realizzati da vari movimenti neo-gallicani promossi nell’intento di contrastare
la Chiesa di Roma.
Tuttavia la situazione in campo religioso era tutt’altro che tranquilla, poiché andò affermandosi un
movimento di riforma propugnato da Claude Henry de Rouvroy, conte di Saint-Simon, come
nouveau christianisme che avrebbe dovuto dare origine ad una nuova società giusta governata da
sacerdoti e scienziati e che poi si riunì attorno ad un “chiesa”, con sede in un convento di
Ménilmontant, dotata di tutti i mezzi in grado di garantire lo sviluppo di ogni tipo di attività.
(Storia della musica. Dal 1830 alla fine dell’Ottocento, a cura di A.Basso, III, Torino 2005, p.1153).
A questo utopistico movimento di riforma aderirono vari personaggi della cultura, ma il contributo
più significativo fu recato da Félicien David (1810-1876) un compositore formatosi a Parigi con
Fétis, Maillot e Benoist che, dopo essersi dedicato con successo al teatro riscuotendo
l’ammirazione di Berlioz per la raffinatezza della sua scrittura orchestrale, si ritirò a Ménilmontant
ove intraprese la composizione di chants religieux per coro maschile e pianoforte pubblicati
dapprima nel 1832-33 e successivamente nella raccolta La Ruche harmonieuse (1854).
Tutt’altro che trascurabile la produzione sacra di Hector Berlioz , il quale dopo aver composto il
mottetto Veni creator e un Tantum ergo per soli coro e organo, nel 1837 fece eseguire nella
Cappella degli Invalides la prima delle sue composizioni d’ispirazione sacra, la Grande Messe des
Morts, composizione particolarmente importante che talora si distacca dalla concezione
magniloquente, tipica del linguaggio del compositore francese. Opera particolarmente ispirata, in

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cui domina un profondo sentimento religioso, si distingue per un’atmosfera a tratti raccolta e
intimistica, d’intonazione lirica, che dopo immagini di grandioso effetto, come nel Dies irae, in cui
il compositore mette a frutto tutta la sua esperienza contrappuntistica, pagine caratterizzate da
sapienti incursioni nella modalità con evidenti richiami al gregoriano, riconducono ad atmosfere di
sereno raccoglimento. Tutta la composizione è pervasa da una ispirazione commossa che trova nel
grandioso e nel monumentale il suo più efficace mezzo d’espressione e ciò che più sorprende è il
fatto che il compositore, pur non essendo credente, ha percepito il mistero del sacro e della morte
con spiritualità profonda, creando un modello stilistico che avrebbe esercitato poi un influsso sui
compositori che sarebbero venuti dopo di lui. Composizione di ben più complesso è il Te Deum,
scritto nel 1849 per celebrare l’ascesa al potere di Luigi Napoleone in cui il monumentale organico
( 3 cori, orchestra e organo) doveva opportunamente convenire ad una cerimonia d’incoronazione.
In realtà l’opera si rivelò come un elaborato meccanismo contrappuntistico destinato ad un grande
spazio in cui le varie sorgenti sonore potessero librarsi liberamente senza sovrapporsi l’una all’altra,
affinché le varie sezioni d’una scrittura quanto mai complessa si manifestassero in tutta la loro
limpidezza. Il lavoro, tuttavia, dovette aspettare il 1856 per essere eseguito nella chiesa di Saint-
Eustache in occasione dell’Esposizione Universale, destando grande impressione nel pubblico
presente.
Frattanto, superato il periodo di decadenza e impoverimento della produzione sacra che aveva
ridotto il repertorio a composizioni attinte a composizioni di Mozart e di Haydn, oltre che di
Paisiello, la situazione andò gradualmente cambiando e si manifestò anche con un ritorno al passato
inteso quale rinascita della grande tradizione sacra di un passato rivissuto in una nuova dimensione
creativa. Tale situazione fu peraltro stigmatizzata dea Franz Liszt che in una lettera del 10
settembre 1856, cos’ si era espresso sulla musica religiosa del suo tempo : “Il fatto è che, e credo di
poterlo dire in coscienza e in piena modestia, che tra i compositori da me conosciuti non ce n’è
nessuno che abbia un sentimento così intenso e profondo della musica religiosa del vostro umile
servitore. Inoltre, i miei vecchi e nuovi studi di Palestrina, Lasso sino a Bach e Beethoven che sono
le cime dell’arte cattolica, mi danno un grande sostegno e ho piena fiducia che, in tre o quattro
anni, avrò preso interamente possesso del regno spirituale della musica di chiesa che da una
ventina d’anni non è occupata che da mediocrità a dozzine ; essi non mancheranno di
rimproverarmi di non fare musica religiosa. Ciò che sarebbe vero se le loro opere di paccottiglia e
di fronzoli potessero contare come tale. Là come altrove si tratta di “risalire alle “fondamenta”
come dice Lacordaire, e di penetrare in quelle vive fonti che rimbalzano sino alla vita eterna”.
(B.Champigneulle, Les plus beaux écrits des grands musiciens, Paris s.a , p.235).

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Alle « fondamenta » si risalì con un graduale ritorno alla tradizione palestriniana e alla grande
polifonia classica che interessò non soltanto la Francia, ma anche l’Italia e la Germania, ove lo
studio del Gregoriano ricondusse alle fonti stesse del canto cristiano. Promotori del ritorno al
Gregoriano e alle fonti più genuine della musica sacra furono Alexandre Choron e Louis
Niedermeyer, ambedue fondatori di due scuole di musica religiosa. In particolare Alexandre
Choron, (1771-1834) aveva fondato nel 1824 l’Institut Royale de Musique Religieuse de France
con cui si manifestava l’intento di restituire dignità alla tradizione musicale sacra da eseguire nelle
chiese di Francia, definendone il carattere secondo una suddivisione in due generi così definiti : “La
musique sévère qui derive du plaint-chant et la musique idéale qui derive du chant moderne”. A
dimostrazione delle sue teorie Choron nel 1829 aveva dato alle stampe una pubblicazione dal
titolo: Cours complet de musique d’église à deux choeurs, avec orgue ad libitum, sans orchestre,
choisi parmi les chef d’oeuvre des plus grands maîtres, con cui veniva chiaramente definito il
carattere della raccolta che doveva comprendere messe, “dette dei viventi”, tanto brevi che solenni,
salmi, inni mottetti, Uffici della Settimana Santa e dei Morti. Il sopraggiungere di difficoltà di
carattere politico che non consentirono il sostegno dello Stato, l’iniziativa fallì e Choron fu costretto
a sciogliere la sua istituzione che poté tuttavia risorgere grazie ad un musicista svizzero, Louis
Niedermeyer che, affiancato da un compositore dilettante e uomo politico Joseph-Napoléon Ney,
principe della Moskova, nel 1840 aveva fondato una società di concerti finalizzata in particolare
alla riscoperta della musica rinascimentale e successivamente aveva fondato l’École de Musique
Classique et Religieuse, che poi si sarebbe chiamata semplicemente École Niedermeyer e di cui, tra
gli altri, diverranno allievi Gabriel Fauré e André Messager. L’iniziativa di Niedermeyer fu di
fondamentale importanza per la rinascita della musica religiosa in Francia ed esercitò un notevole
influsso sui musicisti francesi che furono iniziati alla conoscenza del canto gregoriano e della
grande tradizione polifonica dei secoli XVI-XVIII. in collaborazione con il critico Jean d’Ortigue.
Il culto per il gregoriano indusse poi il Niedermeyer alla pubblicazione di un Traité historique et
pratique de l’accompagnament du plain-chant in collaborazione con il critico Jean d’Ortigue (Paris,
1857) e nello stesso anno fondò la rivista La Maîtrise, poi diretta dal 1858 dal d’Ortigue. Postumi
uscirono due volumi di Accompagnement pour orgue des offices de l’Église (Paris, 1861) La sua
Grande Messe en si bémol, eseguita con un grande organico nella chiesa di Saint.Eustache fu
particolarmente lodata da Berlioz e particolarmente apprezzate furono le sue teorie dell’armonia in
cui domina una visione assai moderna, la cui originalità era in contrasto con il dogmatismo degli
insegnamenti impartiti nel Conservatorio parigino, teorie che eserciteranno poi un considerevole
influsso sulla formazione di Gabriel Fauré, suo allievo prediletto.

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Non trascurabile fu peraltro la produzione religiosa di Luigi Cherubini, sebbene priva di sensibili
influssi sui compositori francesi che ad essa guardarono con reverenziale rispetto ma se ne tennero
lontani, consapevoli di essere di fronte ad una concezione troppo profondamente austera, seppur
caratterizzata da una concezione altissima che riconduceva alle fonti più nobili della tradizione
sacra italiana.. Tale produzione, tra cui un celebre Credo a 8 voci, iniziato duranti gli anni di
apprendistato tra Bologna, Londra e Parigi e poi completato a Parigi nel 1806, considerato una vera
summa di sapienza contrappuntistica ancor prima che il compositore fosse nominato da Luigi
XVIII. sovrintendente della musica, accanto a Le Sueur, proseguì poi negli anni della sua
esperienza parigina .
Nel 1808, allorché il compositore, ospite di François-Joseph-Philippe Riquet de Caraman, principe
di Chimay, scrisse per la festa di S.Cecilia la sua prima messa solenne, la Messa di Chimay che,
insieme con la Messa in re minore, composta per il principe Esterházy, costituisce il primo
importante impegno creativo nel genere sacro. Scritta in un linguaggio quanto mai semplice e
immediato,la Messa di Chimay è commossa espressione d’una religiosità profonda, concepita in
maniera originale lontana dalle magniloquenze barocche d’ascendenza haydniana quanto da
complicazioni contrappuntistiche di stampo palestriniano, che vengono comunque rivissute alla luce
d’un linguaggio melodico e armonico assolutamente moderno, debitore del sistema sonatistico.
Ad essa fece seguito la Deuxième Messe Solennelle a 4 voci e coro, composta nel 1811 che segnò
l’inizio d’una produzione pressoché esclusivamente sacra, comprendente 6 messe solenni e una
prima Messa di requiem, commissionata nel 1816 da Luigi XVIII ed eseguita nell’Abbazia di Saint-
Denis, per commemorare il fratello Luigi XVI, ghigliottinato insieme a tante altre vittime della
Rivoluzione. Si tratta di opere grandiose, per soli coro e orchestra, in cui alla sapienza
contrappuntistica si affianca una ricca strumentazione di stampo sinfonico e un’altrettanto mirabile
scrittura corale che trovò la massima realizzazione nel Requiem in re minore per coro maschile a 3
voci e orchestra, opera rappresentativa non soltanto del movimento di restaurazione della musica
sacra, ma allo stesso tempo esempio di un stile chiesastico autentico che, nella sua austerità di
scrittura si riallacciava alla grande tradizione del passato, rivissuta tuttavia in una dimensione ricca
di soluzioni originali in cui l’azione sacra era frutto d’una partecipazione sofferta e meditata e che
oltre ad essere un inimitabile esempio di nobile arte religiosa, era anche il testamento spirituale di
un uomo giunto al termine della sua parabola creativa e umana. A quest’arte il mondo musicale
francese guardò con ammirazione pur tenendosi da essa lontano, e ne fu testimonianza il giudizio di
Berlioz, che da sempre nemico giurato di Cherubini, così scrisse sul Journal des Débats a proposito
del Requiem in do minore : “Il Requiem in do minore è la più grande opera di Cherubini. Nessun
altro lavoro di questo grande artista può venirgli paragonato per l’abbondanza di idee, per la

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pienezza della forma, per l’ininterrotta sublimità dello stile e per la costante verità di
espressione.L’Agnus Dei in “decrescendo” supera tutto quello che s’è mai tentato in tal genere.
Anche la tecnica, originale ed energica, presenta un valore inestimabile ; la scrittura vocale è
acuta e chiara, l’istrumentazione colorita e potente, veramente degna di così alto soggetto”. In
G.Confalonieri, Cherubini. Prigionia d’un artista Milano 1978, p.604).
In realtà l’austerità del linguaggio cherubiniano non poteva essere guardato come modello dai
compositori francesi poiché espressione d’una visione troppo personale del dramma della morte
che,come nel caso del Requiem in do minore, scritto in memoria di Luigi XVI e delle vittime della
Rivoluzione, era la drammatica rievocazione d’una esperienza vissuta e rievocata con la
partecipazione sofferta d’una realtà vissuta e meditata che assurgeva a simbolo delle sofferenze di
tutta l’umanità. L’etichetta di compositore accademico, sapiente più che ispirato, attribuitagli da
gran parte critica del XIX secolo contribuì a far dimenticare la sua produzione religiosa che sarebbe
stata oggetto di un recupero e di una rivalutazione critica soltanto nella seconda metà del
Novecento, tuttavia è ipotizzabile che non tutti i compositori francesi dell’ultimo Ottocento abbiano
ignorato il suo messaggio rivolto al recupero d’una religiosità profonda che, sotto il profilo
stilistico, affondava le sue origini nelle fonti più autentiche della tradizione sacra.
La difficoltà di recepire il messaggio di Cherubini era comunque legato alla situazione generale
della musica religiosa nella Francia nel periodo in cui Luigi XVIII, divenuto re di Francia dopo il
tempestoso periodo rivoluzionario e napoleonico, aveva chiamato il compositore a dirigere la
cappella reale, in quanto gran parte della produzione sacra francese, creata prevalentemente per
complessi corali, sorti in seno a varie organizzazioni di canto corale,come la Société de l’Orphéon
creata da Guillaume-Louis Bouquillon,, era di qualità modesta, anche se ebbe il merito di
contribuire in qualche modo ad una ripresa della produzione di carattere sacro e soprattutto ad una
riscoperta della grande tradizione polifonica. Fondamentale per la rinascita del repertorio di
carattere sacro fu comunque l’istituzione dell’Association des Chanteurs de Saint-Gervais creata da
Charles Bordes, destinata all’esecuzione dei capolavori della polifonia rinascimentale. Sempre
Bordes, affiancato da Vincent d’Indy e Alexandre Guilmant, nel 1896 istituirà poi l’Ecole de
Chant Liturgique et de Musique Religieuse, conosciuta come Schola Cantorum, che avrà il merito
di contribuire alla riscoperta della polifonia palestrinana e del gregoriano.
A partire dal secondo Impero il rinnovamento della musica sacra fu legato in particolare a tre
musicisti Charles Gounod, César Franck e Camille Saint-Saëns, tutti allievi direttamente o
indirettamente di Reicha e attivi come organisti in chiese parigine : Gounod nell’Église des
Missions étrangeres, Franck a Notre-Dame de Lorette, quindi a Saint-Jena-Saint.François 1858 a
Sainte Clotilde, Saint-Marri e infine alla Madeleine dal 1858 al 1877.

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Gounod (1818-1893) , che pur dedicatosi prevalentemente al teatro, aveva rivelato una particolare
attitudine alla composizione sacra, tanto che aveva pensato di dedicarsi alla carriera ecclesiastica,,
contribuì ad arricchire il repertorio sacro ed ebbe a dichiarare a Charles Bordes in una lettera del
gennaio 1887 : “Palestrina e Bach sono per noi i Padri della Chiesa, bisogna che restiamo loro
figli”. Conquistato dalla polifonia palestriniana che aveva conosciuto nel corso di esecuzioni nella
Cappella Sistina durante il soggiorno romano a Villa Medici , aveva composto una Messa a tre
voci, eseguita nel 1839 a San Luigi de’ Francesi e un Te Deum con doppio coro a dieci voci. Allievo
di Reicha e di Lesueur, aveva composto nel 1838 un Agnus Dei a tre voci soliste, particolarmente
lodato da Berlioz e e nel 1839 una Messe à grande orchestre. La produzione religiosa, congeniale
al suo temperamento mistico si tradurrà composizione di 21 messe, tra cui quattro funebri, 60
Chants sacrés (1876-78), Motets Sollennels, il Requiem in do minore, salmi, graduali, inni,
oratori,mottetti. Tra le messe meritano di essere ricordate la Messe aux Orphéonistes per coro
maschile a tre voci (1853), la Messe solennelle de Sainte-Cécile per soli, coro e orchestra (1858),
del Sacro Cuore ( (1867),la Messa in do minore ( 1867) e la Messe à la Mémoire de Jeanne d’Arc
(1887). Particolarmente affascinato dal Gregoriano e dalla modalità, tra tutte le messe emerge La
Messe solennelle de Sainte-Cecile. Eseguita nella chiesa di Saint-Eustache nel 1855 è suddivisa in
otto sezioni comprendente, oltre all’ordinarium, un offertorio, un mottetto e l’invocazione
conclusiva Dominum salvum fac imperatorem nostrum Napoleonem. In essa domina una
particolare visione mistica e la tendenza alla particolare morbidezza melodica che spesso suscitò
severe critiche ma che in definitiva si rivela non privo di fascino anche se rivela il compositore
teatrale. Va comunque sottolineato come Gounod abbia rivolto il suo sguardo al passato non
soltanto per i costanti riferimenti alla polifonia palestriniana, ma soprattutto per l’uso di temi
gregoriani quali si ritrovano nell’oratorio Redemption eseguito a Birmingham nel 1882 in una veste
quanto mai grandiosa, costituita da 24 cori e 33 brani solistici. Con questo oratorio, composizione
complessa e particolarmente elaborata e con l’ultimo lavoro di carattere sacro, Morse et vita, che
costituiscono allo stesso tempo la testimonianza più alta della sua arte e della sua religiosità, pur
mediante un linguaggio in cui si scorge a tratti l’operista, Gounod rivela uno spontaneo misticismo
non disgiunto da atteggiamenti estetizzanti derivatigli dalla sua natura sensibile, che si riflette nel
morbido fluire del suo linguaggio melodico, vocale e strumentale tanto che talora sarebbe possibile,
secondo quanto affermato da l’Hout- Pleroux, attribuire a Gounod il giudizio espresso nei confronti
del Requiem di Mozart : “…. Ho ascoltato il Requiem di Mozart che trovo bello in fatto di
musica,ma molto meno in fatto di musica sacra, cioè per il buon Dio ; egli parla come a noi ; ciò in
coscienza non è possibile. Vi sono delle Frasi che hanno più di un cappello in testa e non è così che
si entra in chiesa”. (citati in LRohozinski, Cinquanta ans de musique française (1874-1925), II,

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p.141). Resta comunque il fatto che le sue opere religiose costituirono un modello per i compositori
che sarebbe venuti dopo, contribuendo sensibilmente al rinnovamento della musica liturgica in
Francia che si manifestò intorno alla metà del secolo XIX.
In questa prospettiva viene a porsi anche César Franck , autore di mottetti, della scena biblica Ruth
per soli ,coro e orchestra (1843-46), del “petit oratoire” La tour de Babel (1865), offertori e altre
pagine di carattere sacro, tra cui una Messe solennelle per basso e organo del 1858 e la Messa a tre
voci con arpa, organo, violoncello e contrabbasso op.12, composta quando il compositore era
organista nella chiesa parigina di Sainte-Clotilde e che si rivela espressione tipica della produzione
musicale in uso nelle chiese parigine a quell’epoca. Peraltro il modesto organico, è giustificato dalle
ridotte risorse musicali di cui il compositore disponeva. Particolarmente apprezzabile è il Kyrie per
la fluidità melodica del sapiente contrappunto e pagine di grande intensità si ritrovano nella
sequenza a cappella Jesu Christe Domine Deus e nell’assolo (Qui tollis)del tenore del Gloria ,
mentre singolare è l’Agnus Dei per le geniali soluzioni armoniche che preannunciano le conquiste
degli anni a venire.
Nonostante alcune riserve della critica, questa composizione fu particolarmente amata da Franck,
tanto che a distanza di 12 anni vi inserì il celebre mottetto Panis angelicus , collocato tra il Sanctus
e l’Agnus Dei, pagina celeberrima dalla melodia carezzevole che tuttavia, come altre pagine famose
di altri compositori (si pensi all’Ave Maria di Gounod o Per Elisa di Beethoven) dovette pagare lo
scotto d’una popolarità che condusse ad esecuzioni d’intonazione languorosa che finirono col
falsarne il carattere originario. La produzione sacra di Franck, sebbene quantitativamente limitata,
non è priva di interesse e particolare attenzione meritano gli offertori per coro a tre voci con organo
e contrabbasso e arpa, destinati alle feste della Vergine (Quae est ista), di Pasqua (Dextera
Domini), di Santa Clotilde (Quae fremuerunt), e della Quaresima (Domine non secundum peccata
nostra). Con il Salmo CL, per coro, organo e orchestra, composto per l’inaugurazione del grande
organo Cavaillé-Coll dell’Istituto Nazionale dei Giovani Ciechi e giudicato dalla critica
contemporanea eccessivamente caratterizzato da un’intonazione drammatica di stampo romantico,
si concluse praticamente la produzione religiosa di Franck, la cui spiritualità troverà un’ultima
espressione nei grandi corali organistici e nella produzione oratoriale che, iniziata con Ruth , seguita
dal piccolo oratorio La Tour de Babel, raggiungerà il suo vertice in Rédemption e soprattutto ne Les
Béatitudes, ove Franck esprimerà la sua propensione alla composizione sinfonico-corale in cui è
possibile individuare un’ affinità con gli oratori di Liszt e con tradizione francese di stampo
berlioziano. Va peraltro osservato come Franck abbia dedicato poco spazio alle voci, forse per la
sua formazione strumentale rivelatrice delle sue origini germaniche ; possiamo comunque affermare
con Norbert Dufourq che Franck espresse in tutta la sua musica quel quid di serio che in realtà

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mancava alla musica francese (N.Dufourq, La musique française, Paris 1949, p.272). Peraltro va
ricordato che dal suo maestro Anton Reicha, che aveva bandito dal suo linguaggio la semplicità e
l’italianismo di moda in favore di un severo contrappunto e di una rinnovata coscienza polifonica,
Franck derivò anche il suo spirito modale che, peraltro, già a quel tempo Fauré aveva iniziato a
praticare.
Tipicamente francese è invece Camille Saint-Saëns, il quale essendo stato per oltre 20 anni titolare
del grande organo de la Madeleine, fu in un certo senso obbligato a scrivere per la liturgia della più
mondana tra le parrocchie parigine. La sua produzione sacra comprende una Messe solennelle en
sol mineur op.4 (1856), 40 mottetti, il Salmo XVIII per soli coro e orchestra, op.42 (1865) , una
Messe de morts op.54 (1878) , un Oratorio de Noël a 5 voci,, coro, quintetto, arpa e organo op.12
(1869), due cantiques “à l’Immaculée Vierge” (parole di R.P.Lefèvre) e “Saint-Josef” per voci
femminili e coro, oltre a diciotto cantici francesi e latini (1858). È stato rimproverato a Saint-Saëns
di aver composto musica religiosa ben poco adatta alla chiesa, troppo mondana anche se scritta
impeccabilmente ed invero il suo Requiem ad esempio ricorda in taluni passaggi il Sansone Dalila,
ma va comunque ricordato che la sua e in genere la musica francese del periodo riflette la sensibilità
religiosa della classe borghese, che voleva ritrovare nella musica sacra le stesse emozioni e i
caratteri di quella teatrale. Tuttavia, secondo quanto riferito da Jean Bonnerot, durante gli anni di
attività alla Madeleine che procurarono al compositore “le più grandi gioie della sua esistenza”
(J.Bonnerot, C.Saint-Saens, sa vie et son oeuvre, Paris, 1922, p.3) : gioie tuttavia non condivise
dai parrocchiani che gli rimproveravano dei gusti musicali troppo austeri che gli derivavano
dall’esperienza maturata negli anni di insegnamento nell’École Niedermeyer ove aveva tratto buon
profitto dallo studio del Gregoriano e della polifonia classica., anche se il suo rifiuto di certi
atteggiamenti romantici rivelavano in realtà la sua propensione per il classico secondo una
manifestazione tipica dell’arte francese del periodo, ormai alla vigilia di radicali rinnovamenti che
avrebbero portato alle più importanti esperienze del secolo XX.
Un vero ritorno alla musica religiosa propriamente detta si avrà con Vincent d’Indy, Florent
Schmitt e Gabriel Fauré che, attivi in vari campi, dedicarono alla musica sacra una considerevole
parte della loro produzione. La nascita di società corali, congressi e festival internazionali, edizioni
di opere del passato, manifestano il nuovo interesse per l’arte musicale sacra e per un ritorno al
classicismo. Si potrà così “liberer la musique française de l’atreinte qui, depuis plusieurs lustres,
l’empéchait de respirer » (D.Doufourq, op.cit. p.227).
In realtà lo stile del XIX secolo non ha più caratteri comuni ; ogni musicista si esprime secondo un
proprio linguaggio e mentre Fauré va alla ricerca dell’espressione, nella convinzione che la musica

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debba comunicare dei sentimenti, altri si rivolgono a ricerche ed effetti inediti. Le forme peraltro
non subiscono molte modifiche, cambiano i mezzi d’espressione.
Nel campo della musica religiosa si possono individuare tre generazioni di musicisti . la prima tra il
1845 e il 1890 con Fauré e Schmitt, la seconda dal 1900 al 1914 con d’Indy e la Schola Cantorum,
la terza,che si apre verso il Novecento, con Caplet, Milhaud, Honegger, Poulenc,Langlais, Duruflé e
Roger-Ducasse.
Soprattutto nel periodo che va dal 1850 alla fine del secolo XIX i compositori hanno recato tanti
contributi alla rinascita della musica religiosa in Francia ; dopo esperienze tra le più varie che vanno
dal wagnerismo, alla musica russa, al bel canto italiano, i musicisti francesi si rivolgono ai classici
del XVI e del XVII secolo, realizzando spesso una contaminazione di forme e generi.
Tra i compositori che precedono Fauré, va ricordato Théodore Dubois (1837-1924), organista nella
chiesa di Sainte-Clotilde e poi alla Madeleine dal 1877 al 1896, direttore del Conservatorio di
Parigi, autore di due celebri trattati di armonia,contrappunto e fuga e di 72 mottetti, 9 messe (tra cui
una Messe solennelle de Saint-Remy) e dell’oratorio Les Sept paroles de Christ en croix. Grande
didatta, in possesso di una tecnica eccellente ma con poco respiro, le sue opere manifestano infatti
una “indifferente serenità” (F.Raugel, La musique française de la Révolution à la mort de Franck, in
La Revue Musicale, n.222, p.217 ).
Di ben altro significato è la posizione di Gabriel Fauré che, tra l’altro, per ben quarant’anni, dal
1865 al 1905, quale organista della Madeleine dovette occuparsi di funzioni religiose. La sua
produzione di genere sacro riflette la sua particolare concezione della musica religiosa derivatagli
dalla sua particolare formazione musicale. Allievo dell’École Niedermeyer, fondamentale per la sua
concezione creativa, in bilico tra modalità e tonalità, formatasi nello studio approfondito del
Gregoriano e della polifonia classica che lo aveva indirizzato verso la conoscenza e la pratica della
musica sacra, Fauré riteneva che la natura e lo stile della musica religiosa fosse un falso problema
allorché veniva ad essere abbandonato il repertorio autentico della chiesa romana, che è il canto
gregoriano, per adottare la musica di tale o talaltro musicista. E a questo proposito ebbe modo di
esprimere le sue idee quando PioX il 22 novembre 1903 pubblicò un’istruzione che rammentava ai
compositori di chiesa e al clero la necessità di sopprimere dal loro repertorio ogni ispirazione
profana, in particolare, teatrale, ripristinando un ritorno alla tradizione gregoriana e alla polifonia
del Rinascimento. In risposta a un’inchiesta realizzata da Le Monde Musical del 15 febbraio 1904,
Fauré così ebbe dichiarare : “Le istruzioni di cui mi parlate non modificheranno in nulla le
abitudini prese, almeno per quanto riguarda le chiese di Parigi. Innanzi tutto perché, con la
migliore fede e il più cattivo gusto del mondo, il clero è convinto di essere nel giusto, anche prima
della pubblicazione delle suddette istruzioni. In secondo luogo, perché esiste una incosciente

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complicità tra i fedeli e il clero per trovare che tutto va per il meglio. E anche perché è assai
difficile stabilire una demarcazione tra ciò che appartiene allo stile veramente religioso e quello
che non lo è. Ciò può differire seguendo il giudizio di ciascuno. La fede religiosa d’un Gounod è
completamente differente da quella d’un Franck o di un Bach. Gounod è tutto cuore e Franck tutto
spirito. La Fede di Santa Teresa non si esprime forse in parole così ardenti, così appassionate da
essere talvolta licenziose? E tuttavia, era una santa e non pensereste di cacciarla dalla Chiesa.
La verità è che la misura non è sufficientemente radicale. Non si dovrebbe cantare nelle chiese che
il canto piano e cantarlo all’unisono, dato che esso data da un’epoca in cui la polifonia non era
prevista. Dare la musica religiosa del XVI secolo come tipo immutabile è cosa impossibile.
All’epoca in cui fu composta, questa musica rappresentava un’arte assolutamente lussuosa che
attualmente ci sembra un’arte semplice in rapporto a tutto quello che la musica ha conquistato
poi.” (J.-M-Nectoux, op.cit.)
Queste dichiarazioni corrispondono esattamente alle idee sulla musica di Fauré,il quale quando
compose le sue opere religiose si espresse nello stile che gli conveniva e rifletteva la sua personalità
umana ed artistica. A quelli che si stupivano di trovare nel suo Requiem molta più dolcezza e
tenerezza piuttosto che terrore rispondeva : “Si è rimproverato anche alla musica di Gounod
d’inclinare troppo vero la tenerezza umana, ma la sua natura lo predisponeva a sentire così :
l’emozione religiosa prendeva in lui questa forma. Non bisogna forse accettare la natura d’un
artista?” (J.-M-Nectoux, op.cit.).
Tali rivendicazioni ponevano Fauré in margine al gusto dominante del clero e dei fedeli che
confondevano con fervore le ispirazioni musicali più compiacenti, più ingenuamente sentimentali
con la vera espressione del sentimento religioso. Di conseguenza Fauré si teneva lontano dalla
corrente dei “neo-palestrinaini”, rappresentata da Bordes, d’Indy e Guilmant, i tre apostoli della
Schola Cantorum, fondata il 15 ottobre 1896. In particolare Bordes, autore di una Anthologie de
Maîtres religieux primitif che comprendeva messe mottetti di Palestrina, Victoria, Allegri e Bach,
così aveva pubblicato su La tribune di Saint-Gervais e poi su La Maîtrise il seguente programma
della Schola cantorum : 1) ritorno al Gregoriano per l’esecuzione del canto sacro.
2) restituire importanza alla musica di stile palestriniano come modello di musica figurata associata
al canto gregoriano per le feste solenni
3) creazione d’una musica religiosa moderna, rispettosa dei testi e delle leggi della liturgia, ispirata
alle tradizioni gregoriane e palestriniane.
4) miglioramento del repertorio degli organisti dal punto di vista della sua unione con le melodie
gregoriane e della sua improvvisazione ai diversi uffici..

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Con queste disposizioni la Schola Cantorum, nel rinnovare i tentativi fatti da Choron e
Niedermeyer, diveniva di fatto uno dei centri essenziali per lo studio e la diffusione dell’arte sacra.
Di ben altra natura si profilava la posizione di Fauré che, rivendicando la sua libertà d’espressione,
in risposta alle disposizioni vaticane e alla Schola Cantorum, così scrivva nel 1984 ; “Ho
composto anche quattro piccoli pezzi di musica religiosa, ma (sono desolato) non nello spirito
della nuova Società di musica sacra! Vi ho messo, per quanto poco importanti che siano,
l’espressione umana che mi è piaciuto di mettervi!” J.-M.,.Nectoux, op.cit., p.119). A
dimostrazione della sue coerenza in materia di musica di genere sacro, Fauré seguì la sua personale
concezione e possiamo affermare che in tutta la sua non copiosa produzione religiosa ben poche
siano le pagine convenzionali e comunque sempre vi domina “compassione e tenerezza”, sentimenti
che esprimono la sua personale filosofia fondata “sulla possibile se non probabile esistenza d’un
mondo migliore”. Molto si è discusso sulla posizione di non credente o comunque sull’abbandono
della pratica religiosa da parte di Fauré che in ogni caso non è detto che sia stato ateo, ma piuttosto
è possibile scorgere in lui una sorta di panteismo e l’espressione d’un pessimismo temperato da
rassegnazione che lo allontanava dalla posa di quelli che lui definiva “disperati romantici”. Egli
considerò l’uomo meritevole di compassione e indulgenza per essere stato inviato sulla terra in cui
tutto appare armonioso e dove l’universo è ordine e l’uomo disordine. L’uomo dal giorno della
nascita alla morte era spaventato e timoroso, carico di pesi d’infermità fisiche e morali, tanto che si
è dovuto inventare il peccato originale per spiegare questo fenomeno. La migliore promessa che gli
è stata fatta è l’oblio di tutto, il Nirvana degli Indù o meglio la nostra Requiem aeternam. Come
disse il figlio Philippe : “numerose pagine di Bach o Franck irradiano un ottimismo più
rassicurante.Per Bach, per Franck, il regno dei Cieli è certo ; a noi solo spetta meritarlo o
perderlo. Per Fauré,l’apparizione dei cori angelici davanti all’anima desolata è soltanto
probabile” (J.-M. Nectoux, op.cit). Tuttavia, secondo una testimonianza di Eugène Berteaux, per
Fauré “..la parola “Dio” non era che il gigantesco sinonimo della parola “Amore” , convinzione
che, nella sua grandezza ..doveva presto o tardi annullare le accuse di indifferenza epicurea e
d’irreligiosità che diversi clan musicali non rinunciarono a muovergli per spirito di parte e come
giustamente osservato da Jean-Michel Nectoux : per Fauré “amore divino e amore umano non sono
che diverse sfaccettature di una sola realtà ; o meglio, l’essere finito non sarà mai più vicino
all’infinito, di quando si realizza sul piano umano”. (op.cit.). A chi gli rimproverava il fatto che il
suo Requiem fosse giudicato più pagano che religioso. Fauré rispondeva :”Ma pagano non significa
necessariamente irreligioso! D’altronde, non posso negare che l’antichità pagana abbia sempre
esercitato sulla mia immaginazione una forte attrazione”. Sulla base di queste affermazioni Fauré

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si dichiarava in favore delle concezioni religiose di Gounod, così come citava i trasporti mistici di
Santa Teresa d’Avila, giudicando “l’ascetismo religioso un’aberrazione”.
L’opera religiosa di Fauré si compone di due messe e sedici mottetti e, ad eccezione della Messe
basse, fu tutta scritta per la Madeleine. Essa apparve per la prima volta nel 1911 con il Cantique de
Jean Racine e gran parte dei mottetti, i quali recano spesso indicazioni diverse da quelle originali
pubblicati anteriormente in fascicoli separati.
In particolare i mottetti op.65, Ave verum e Tantum ergo, a tre voci e per coro femminile, furono in
realtà concepiti per il coro dei fanciulli della cantoria.
Es.mus.n.1 Ave verum opus 65 n.1
Es.mus.n.2 Tantum ergo opus 65 n.2

Allo stesso modo il duo Maria Mater gratiae op.47 n.2 e il trio Ecce fidelis servus op.54 , destinati
alle voci maschili de la Madeleine furono modificati per ragioni commerciali, in quanto dai primi
anni del secolo, l’anticlericalismo che aveva portato alla separazione della Chiesa dallo Stato aveva
reso difficile la vendita di musica religiosa e pertanto gran parte di essa veniva adattata alle esigenze
di un pubblico salottiero. ;
Es.mus. n.3 Maria , Mater Gratiae op.47 n.2
ne fa testimonianza l’Ave Maria per due soprani e organo che pubblicata dall’editore Heugel al
quale Fauré la presentò in questi termini : “ Questa Ave Maria è destinata per il suo carattere, più
alla cappella o al salotto che a una grande chiesa. Penso che si farà strada soprattutto nelle
riunioni mondane delle giovani donne e delle fanciulle, e conto sulle belle allieve di Madame Trélat
per lanciarla”. (J.-M. Nectoux, op.cit.p.122). Del resto un esempio autorevole di musica religiosa
destinata ad un ambito più raccolto, più o meno salottiero, aveva dei precedenti illustri : basti
pensare al Petite Messe Solennelle di Rossini, capolavoro cameristico di profonda e meditata
religiosità.
Es.mus.n.4 Ave Maria op.67 n.2

La maggior parte della produzione religiosa di Fauré, concepita per piccoli organici, testimonia
della sua particolare concezione del fatto creativo in ambito sacro e ne sono un esempio gran parte
dei mottetti scritti tra il 1867 e il 1895, piccoli capolavori di raffinatezza armonica, immersi in un
clima sereno e delicatamente raccolto in cui si nasconde l’espressione di sentimenti umani come
nel SalveRegina op.67,composto per Emma Bardac, cui il compositore si rivolge celandosi sotto
una preghiera alla Vergine.

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Anche per quanto si riferisce al rapporto con la parola del testo sacro Fauré guarda più al senso
generale di esso che alla prosodia latina che appare spesso approssimativa.
Composizione di grande interesse è la Messe basse, composta a Villerville per un piccolo insieme di
musicisti dilettanti e buone voci, cui si aggiunse una piccola orchestra. La messa, scritta in
collaborazione con André Messager, fu poi destinata a beneficio della Société de secours mutuel des
pecheurs del luogo. La messa, nota anche come Messe des pecheurs de Villerville, fu eseguita nel
1881 da un coro di tredici voci femminili con accompagnamento d’harmonium e un assolo di
violino per l’O Salutaris e poi nel 1882 nella chiesa di Villerville. Successivamente fu orchestrata
per una piccola formazione composta da flauto, oboe, clarinetto, doppio quintetto per archi e
harmonium e subì vistosi rimaneggiamenti. Eliminati i pezzi di Messager (Kyrie e O Salutaris),
venne introdotto un nuovo Kyrie in stile antifonico, in alternanza solo/coro, venne abolito il Gloria
che fu adattato in parte alle parole del Benedictus. Venne poi anche modificato il rapporto tra il
testo e la musica nel Sanctus e nell’Agnus Dei in versione polifonica a tre voci, che fu orchestrato
con grande cura. Rispetto alla Messe des Pecheurs orchestrata da Messager, la versione di Fauré,
espressione tipica di musica religiosa fin de siècle, è opera di grande semplicità e di una purezza
stilistica che corrisponde all’intimo sentire del compositore.

Es.mus n.5 Messe basse,Kyrie

Es.mus n.6 Messe basse, Sanctus

Es.mus n.7 Messe basse, Agnus Dei

Il nome di Fauré è legato soprattutto al suo Requiem op.48, che, erroneamente, secondo alcuni
biografi sarebbe stato composto tra la morte del padre (1885) e quella della madre (1887), ma
sappiamo dallo stesso compositore che il lavoro non fu scritto per motivi di natura biografica, ma
“pour rien, pour plaisir, si j’ose dire!”
Iniziato nel 1887, fu pensato dapprima nella tonalità di do minore, ma fu scritto poi in re minore ;
eseguito nel gennaio dell’anno successivo alla Madeleine per delle esequie “di prima classe”, con
coro e orchestra per un famoso architetto dell’epoca, fu duramente criticato dal parroco della chiesa
che chiamatolo in sacrestia, gli si rivolse in questi termini : “Andiamo, signor Fauré, non abbiamo

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bisogno di tutte queste novità, il repertorio della Madeleine è abbastanza ricco : Accontentatevi”:
(La musique sacrée depuis la Révolution, in Congrès international de musique sacrée, Paris 1937).
L’opera comportava allora 5 dei sette pezzi di cui si compone oggi nell’ordine seguente :1. Introito
e Kyrie, 3. Sanctus, 4. Pie Jesu, 5. Agnus Dei, 7. In Paradisum con una orchestrazione provvisoria
che comprendeva un violino, viole e violoncelli,contrabbassi, arpa, timpani e organo.. In seguito
Fauré avrebbe aggiunto l’Offertorio al n.2 e il Libera me al n.6, due pezzi per baritono solo che gli
furono ispirati forse da Louis Ballard, un cantante dell’Opéra di Parigi. Il lavoro fu pubblicato nel
1901 in una orchestrazione diversa dall’originale poiché, onde consentirne la diffusione presso
grandi complessi sinfonici, risulta allargata alle dimensioni di una grande orchestra che risultò così
definita : due flauti, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due trombe, tre tromboni, timpani,
arpe, quintetto d’archi e organo : immutati rimasero i solisti e il coro. In tal modo l’orchestrazione
originale apparve notevolmente appesantita, anche se venne accentuato considerevolmente il colore
orchestrale. La versione originale del 1893 è la più autentica, mentre la seconda versione, risalente
agli anni 1898-98 non è stata ritrovata e si ignora se la nuova orchestrazione del Requiem sia stata
realizzata dallo stesso Fauré, o affidata forse a Roger Ducasse. E’ comunque interessante sapere che
il materiale d’orchestra originale di mano di Fauré è stato ritrovato da J.-M.Nectoux nel 1969 negli
archivi de La Madeleine.

Il Pie Jesu, al centro di tre pezzi in cui si alternano il coro misto e il coro con assolo di baritono, è il
brano intorno al quale ruota la struttura dell’intero Requiem ; essa è così suddivisa :1. Introito e
Kyrie (re minore); 2. Offertorio (si minore) con baritono solo :. Hostias ; 3. Sanctus (mi bemolle) ;
4. Pie Jesu ; 5. Agnus Dei (fa maggiore e re minore) ; 6. Libera me (re minore) con baritono solo ;
7. In Paradisum (re maggiore) con abile gioco di modulazioni che sottolinea i momenti più salienti
del testo. Grande cura Fauré dedicò alla scrittura corale al fine di rendere comprensibili le parole del
testo e in particolare gli interventi del coro a 4, 5 e 6 voci sono impiegati nei momenti di maggiore
intensità drammatica, così come alcune parole di particolare significato espressivo sono evidenziate
mediante un’accurata chiarezza prosodica. Non dimentico degli insegnamenti di Niedermeyer,
Fauré si rifà spesso al Gregoriano nel tratteggiare la linea vocale, resa sempre con grande ampiezza
di linee, come si ritrova nell’Hostias del Sanctus trattato salmodicamente, nell’Agnus Dei e nell’In
Paradisum , in cui il riferimento agli insegnamenti della scuola di Solesmes è evidente. Come nella
Messe basse molti sono gli esempi di canto antifonico (tenori/soprani nell’Introito e tenori/coro
misto nel Sanctus e nell’Agnus Dei), e non minore cura è prestata alla polifonia ed emerge tra tutte

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le pagine il vocalizzo ascendente finale dell’Offertorio, considerato uno dei momenti più luminosi
di tutto il Requiem.

Es.mus n.8 Requiem, Offertorio

Altrettanto interessante si presenta il Libera me in cui il compositore ha sottolineato i vari passaggi


del testo mediante preziosi contrasti ritmici e accurate sfumature sonore che vanno dal pianissimo al
fortissimo, mentre la scrittura vocale è assai varia nei repentini passaggi dal coro all’unisono delle
voci.
Es.mus. n.9 Requiem, Libera me

La pagina più famosa del lavoro è comunque il Pie Jesu, intorno alla quale si può dire che ruotino
tutte le altre parti. Scritta per voce di fanciullo, anche nella prima esecuzione alla Madeleine fu
interpretata da Louis Aubert “un signore dai grandi baffi”,ma viene oggi affidata a voci femminili
in tutte le esecuzioni in concerto, anche perché la tessitura vocale presenta non poche difficoltà che
vanno oltre le possibilità vocali di un fanciullo.
Profondamente ispirato il Pie Jesu è considerata un vera preghiera in cui domina una espressione di
particolare candore e dolcezza. Per quanto riguarda la struttura esso alterna la voce solista con un
motivo dell’orchestra che, ripreso ad ogni inciso, crea effetti d’eco di grande suggestione. Nel Pie
Jesu, Fauré espresse il suo particolare modo di sentire, tanto che apportò spesso delle modifiche
anche al testo sacro. Grande ammiratore di questa pagina fu Camille Saint-Saëns, che così in una
lettera del 2 novembre 1916 così scriveva al suo allievo : “Il tuo Pie Jesu è il solo Pie Jesu, come
l’Ave Verum di Mozart è il solo Ave Verum.”

Es.mus. n.10 Requiem, Pie Jesu

La dimostrazione di come Fauré, nel comporre il Requiem, abbia operato delle scelte molto
personali, è offerta dalle numerose modifiche apportate al testo liturgico, sopprimendo alcune
ripetizioni ed eliminando alcune parole per assecondare il verso musicale ; tra l’altro abolì il Dies
irae e il Benedictus e aggiunse il Libera me e l’In Paradisum che fanno parte dell’Ufficio dei
Morti e non della Messa di Requiem. Peraltro è significativo il fatto che Fauré abbia abolito il Dies
irae, in quanto esso contrastava con il suo particolare modo di sentire e della sua rasserenata visione
dell’idea della morte, anche se poi l’imprecazione del Libera me non è meno drammatica del Dies
irae. Ad ulteriore dimostrazione della sua particolare concezione religiosa e delle sue scelte

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estetico-filosofiche, oltre che desiderio di uscire dal convenzionale, Fauré inserì nel Requiem la
bella pagina dell’In Paradisum, una preghiera intesa come espressione d’una “liberazione felice”,
dell’aspirazione alla felicità dell’aldilà che per il compositore era la morte. Per questa pagina Fauré
adottò uno stile vicino alla litania e vi inserì delle cadenze armoniche di grande raffinatezza che nel
loro sviluppo, giocando sulle note tenute degli archi e sulla regolarità dei ritmi, “ha creato una
musica fuori del tempo, come priva di peso” (J.-M.Nectoux, op.cit.,p.135).

Es.mus. n.11 Requiem, In Paradisum


Nel suo Requiem Fauré espresse la speranza di una vita migliore, assai lontana dalla roboante
concezione sinfonica di Berlioz, che manifestò nella discrezione della sua orchestra, cui viene
sottratta ogni asprezza e abolita ogni sensazione di disperata tristezza, creando un clima di dolce
serenità, nella certezza di una felicità futura. Ciò spiega l’adozione di unisoni discreti, di una ritmica
che ricorda spesso il canto gregoriano, con un costante rispetto del sillabiamo. E’ stato osservato
come in certe pagine si avverta un’intonazione profana (come nel caso del violino che accompagna
l’Agnus Dei), ma tutto è espresso con grande raffinatezza, con il gusto tipico della sua sensibilità di
compositore da camera. Molto si è discusso sulla sua scarsa osservanza religiosa, ma questo
Requiem è comunque l’espressione d’una fede profonda, di una fede nella vita e nel futuro
dell’uomo, sereno e fiducioso anche di fronte alla morte, cui il compositore guarda come speranza
di felicità futura.
Pagina interessante ricca di grande suggestione e profondo lirismo religioso è il Cantique di Jean
Racine op.11 che , composto nel 1865, valse a Fauré un primo premio di composizione nell’École
Niedermeyer.. Dedicata a César Franck, che la diresse a Rennes nel 1875 in una prima
orchestrazione per quintetto d’archi e organo (o harmonium), oggi perduta, nel 1905 ne fu realizzata
dallo stesso Fauré un’orchestrazione più ricca per legni, due corni e quintetto d’archi. In questa
partitura si manifestano forse per la prima volta i segni d’una personalità già pienamente formata
che si manifesta nella originale scrittura melodica di grande respiro che, secondo Nectoux, ricorda
pagine tra le più originale e melodiose di Mendelssohn o di Gounod.

Es.mus.n.12 Cantique de Jean Racine op.11

Nella sua ricca e varia produzione Fauré poté realizzare un felice connubio tra Classicismo e
Romanticismo, che si manifestò tuttavia al di fuori di ogni corrente precostituita e sulla base di un
linguaggio personalissimo che nella sua evoluzione passò attraverso le esperienze più varie che

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nell’ambito anche di una continua sperimentazione stilistica anticipò le correnti forse più originali
della musica contemporanea.
Questa la situazione della musica sacra in Francia, ma anche se in forma meno radicale, un tentativo
di restaurazione si manifestò in Italia sulla fine del secolo XIX, legata al nome di vari personaggi
che collaborarono ad un rinnovamento generale della tradizione religiosa in campo musicale. Tra i
primi emerge la figura del gesuita Angelo De Santi, fondatore del Pontificio Istituto di Musica
Sacra, che con Carlo Respighi e Lorenzo Perosi contribuì alla redazione del motu proprio di Pio X
(1903) con il quale veniva attuato un efficace tentativo di restaurazione della musica sacra e allo
stesso tempo dello stesso Cattolicesimo dopo la caduta dello Stato Pontificio (Basso). Se Perosi,
con i suoi oratori - in cui veniva a riflettersi l’apporto di nuove conquiste sinfonico-corali,
suggerite anche dal particolare contributo della “Giovane Scuola” - riuscì a rendere nuovamente
attuale un genere che si riteneva ormai superato, fu Licinio Refice che con la sua produzione mostrò
di aderire alla missione di realizzare una vera restaurazione della musica sacra sia nella produzione
teatrale, in cui si ravvisa peraltro l’eco del linguaggio di Respighi e di Zandonai, sia nelle
composizioni di carattere strettamente liturgico come le messe, i salmi e i mottetti, ove pur nel
procedere eloquente e colorito di una sensibilità incline alla spettacolarità, si avvertono i segni
d’una spiritualità semplice e commossa. cui il particolare idioma del compositore ha conferito un
carattere di efficace e umanissima partecipazione emotiva.

Bibliografia : A.De Tocqueville, L’antico Regime e la Rivoluzione, Città di Castello, 1921, p.15 ;
J.Bonnerot. C.Saint-Saëns, sa vie et son oeuvre, Paris 1922 ; V.d’Indy, La Schola Cantorum en
1925, Paris 1925 ; A.Coeuroy, Les formes de la musique religieuse, in La Revue Musicale, IV,
1925 ; B.Champigneulle, Les plus beaux écrits des grands musiciens, Paris s.a., p.235 ; L.
Rohozinski, Cinquante ans de musique française (1874-1925), Paris 1925 ; F.Raugel, La musique
française de la Révolution à la mort de Franck, in La Revue Musicale, n.222 (1932), p.217 ss. ;
R.Dumesnil, Portraits de musiciens français, ibid. 1938 ; P.Landormy, La musique française après
Debussy, ibid.1943 ; N.Dufourq, La musique française, Paris 1949, p.272 ;AA.VV, La musique
religieuse française de ses origines à nos jours, a cura di A.Machabey, in La Revue Musicale,
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Rivoluzione francese, in Memorie storiche della Diocesi di Milano, 5 (1958), pp.7-38 ; J.Roy,
Prèsences contemporaines :musique française, Paris 1962 ; G.Confalonieri, Cherubini.Prigionia
d’un artista, Milano 1978 ; J.-M.Nectoux, Gabriel Fauré. Les voix du clair obscur, Paris 1990

20
(Gabriel Fauré. Le voci del chiaroscuro, traduzione italiana di Raoul Meloncelli, Torino 2004) ;
Storia della Musica. Dal 1830 alla fine dell’Ottocento, a cura di A.Basso, Torino 2005, p.1553 .

Raoul Meloncelli

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