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quotidiano socialista

14 agosto 2008 pagina 1

Rischio terrorismo se la linea della non violenza non porterà vantaggi alla causa
tibetana

Dalai Lama e Cina: Partita a scacchi


Anthony M. Quattrone

E’ iniziata lunedì la visita di dodici giorni in Francia da parte di Sua Santità il 14mo
Dalai Lama. Durante la sua permanenza Oltralpe, il leader spirituale tibetano terrà
una serie d’incontri a carattere religioso, ed in particolare condurrà degli insegnamenti
nella cittadina di Nantes. Il Dalai Lama ha manifestato l’intenzione di evitare che il
suo viaggio, che coincide con lo svolgimento dei Giochi Olimpici a Pechino, potesse
creare tensioni fra Francia e Cina, o essere strumentalizzato per ostacolare gli incontri
che gli emissari del leader buddista avranno con i cinesi in autunno.

Dopo la violenta repressione delle manifestazioni che i tibetani hanno tenuto in Tibet
lo scorso marzo in occasione dell’anniversario dell’insurrezione del 1959 contro
l’occupazione da parte dell’esercito comunista di Mao, e dopo le vistose proteste che
hanno accompagnato la fiaccola olimpica durante il suo tormentoso viaggio in alcune
città occidentali, come Parigi, Londra e San Francisco, la dirigenza tibetana ha dovuto
faticare non poco per ribadire la propria ferma convinzione nel Satyagraha, la lotta
non violenta, sia all’interno delle comunità tibetana della diaspora, sia in quella che
vive sotto l’occupazione cinese. Il Dalai Lama, di fronte a manifestazioni di violenza
ed intolleranza da parte di alcuni tibetani, ha minacciato di dimettersi dal ruolo di
leader temporale del suo popolo, abbandonando così qualsiasi funzione nel governo
tibetano in esilio. Il leader buddista, rispettando in pieno il metodo della lotta non
violenta, non solo ha ribadito con forza il suo appoggio all’assegnazione delle
Olimpiadi alla Cina, ma, in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi lo scorso
venerdì, ha inviato al governo e al popolo cinese le sue felicitazioni e le sue preghiere
per la buona riuscita della manifestazione.

E’ difficile comprendere, invece, perché la dirigenza cinese continua a tenere a


distanza il Dalai Lama, non cogliendo l’importanza sia da un punto di vista politico,
sia da quello puramente pragmatico e realista, di una rappacificazione con il premio
Nobel per la pace, prima che sia troppo tardi. Secondo molti osservatori occidentali,
il Dalai Lama, con la sua politica non violenta, è la più grossa muraglia cinese contro
lo sviluppo di un terrorismo nazionalista tibetano. Aspettare la morte del Dalai Lama,
o continuare ad umiliarlo attraverso campagne di propaganda degni di un regime
totalitario vecchio stile, non promette niente di buono per la Cina. L’attuale
intensificazione delle attività terroristiche di gruppi islamici nella zona Nord ovest
della Cina, che ha portato, nel corso di due attentati agli inizi di agosto, a decine di
morti fra poliziotti e civili cinesi, dovrebbe far riflettere la dirigenza cinese su quello
che potrebbe succedere in Tibet se la visione non violenta del Dalai Lama fosse
totalmente sconfitta e sotterrata.

I cinesi chiedono al Dalai Lama di non reclamare l’indipendenza del Tibet, lui
abbandona posizioni indipendentiste, chiede l’autonomia della regione all’interno
della Repubblica Popolare Cinese, e allora i cinesi lo chiamano bugiardo, ma non
dicono esattamente cosa vogliono da lui. Gli chiedono di essere sincero e di smetterla
di fare il lupo vestito da monaco, e così via. La posizione dei dirigenti cinesi sul Tibet
rasenta una specie di follia, caratterizzata da una paranoia non mutevole nel tempo,
che porta a comportamenti illogici. E così, il Dalai Lama, in Francia, non vuole
provocare reazioni folli dei cinesi, sia nei confronti del governo di Nicolas Sarkozy,
sia nei confronti dei tibetani che vivono nei territori occupati.

Secondo l Agence France Press del 12 agosto 2008, Pechino avrebbe minacciato
Parigi di serie ripercussioni nei rapporti bilaterali se Sarkozy avesse deciso di
incontrare il Dalai Lama durante l’attuale viaggio. Sarkozy e il Dalai Lama
avrebbero, pertanto, deciso di tenere un incontro, prima della fine dell’anno, durante
una nuova visita in Europa del leader tibetano.

L’incontro che il Dalai Lama e una delegazione di 250 parlamentari francesi hanno
tenuto ieri in una seduta a porte chiuse per non urtare la suscettibilità dei cinesi, ha
fatto gridare allo scandalo alcuni parlamentari. Il deputato Lionnel Luca, del partito
di Sarkozy, l’Union pour un Mouvement Populaire, si chiede, in un’intervista con la
radio France Inter, se “il nostro paese è stato forse occupato dalle truppe cinesi visto
che siamo così impauriti di fare qualsiasi cosa che possa fare dispiace ai cinesi”.

L’attento comportamento del Dalai Lama e della dirigenza tibetana nell’evitare di


provocare i cinesi durante le Olimpiadi potrebbe indicare che qualcosa bolle in
pentola nei rapporti con i cinesi. Il deputato europeo francese Daniel Cohn-Bendit ha
riferito all’Agence France Presse che Sarkozy gli avrebbe riferito che il Dalai Lama e
il presidente francese “hanno negoziato una strategia per non provocare i cinesi
durante i Giochi Olimpici.”

Il giornalista del New York Times, Nicholas D. Kristoff, ha pubblicato alla vigilia
dell’apertura dei giochi, un lungo articolo in cui descrive un possibile scenario che
potrebbe portare al riavvicinamento fra la Cina e il Dalai Lama. Kristoff scrive che
durante una sua recente intervista al Dalai Lama, il leader tibetano ha dichiarato di
accettare il ruolo del Partito comunista cinese in Tibet e l’attuale sistema “socialista”,
cogliendo in pieno, pertanto, una richiesta specifica degli occupanti cinesi. Per il
Dalai Lama “è necessario preservare la nostra cultura, preservare il carattere del Tibet.
Questo è la cosa più importante, non la politica”. Secondo Kristoff, alcuni dirigenti
cinesi starebbero prendendo seriamente in considerazione la possibilità di lasciare che
il Dalai Lama visiti il prossimo novembre le zone colpite dal terremoto dello scorso
maggio, per partecipare ad una funzione di commemorazione delle vittime, a sei mesi
dal cataclisma. Questo sarebbe la prima visita in Cina del Dalai Lama dal 1959.
Secondo Kristoff, se la Cina decidesse di togliere ai dirigenti settari e incapaci
dell'Ufficio per il Fronte Unito (l'organismo responsabile dei rapporti con i gruppi non
comunisti), la responsabilità di dialogare con gli emissari del Dalai Lama, l’affidasse
al presidente Hu Jintao o al primo ministro Wen Jiabao, la questione tibetana
prenderebbe una piega diversa.
Kristoff è un giornalista di solito ben informato, e il suo articolo è stato rilanciato
dall’International Herald Tribune, sicuramente letto dai dirigenti di Pechino. Per il
momento, non c’è stata alcuna risposta da parte cinese, né di conferma, né di smentita.
Cosa pensare? Se la posizione non violenta del Dalai Lama vince, il terrorismo nel
Tibet buddista non troverà alcun terreno fertile. Se il Dalai Lama perde, allora i cinesi
potranno sì aspettare la sua morte, e chiudere la partita con la vecchia dirigenza
tibetana in esilio dal 1959, ma dovranno fare i conti con chi rimarrà completamente
disilluso dai risultati della lotta non violenta.

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