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Stati Uniti e Messico contro i narcos

Anthony M. Quattrone

Con la canzone “South of the Border” (A sud della frontiera) del 1939, resa famosa nella versione di
Frank Sinatra nel 1953, e con cartoni animati come Speedy Gonzales (il “topo più veloce del
Messico”), due o tre generazioni di americani sono cresciute con un’immagine molto romanzata, e
poco veritiera del Messico. La città di Tijuana, oltre il confine fra la California e il Messico, era
famosa già negli anni venti, in pieno proibizionismo, ed erano tantissimi gli americani che
passavano weekend edonistici “south of the border”, dove si poteva bere alcol e giocare nei famosi
casinò come l’Agua Caliente. Nell’immaginario collettivo americano, il Messico ha rappresentato,
o forse rappresenta ancora per alcuni, una dimensione più umana e “lenta” del vivere quotidiano,
dove pane, amore, e fantasia regnano, e la frenesia della vita moderna passa in secondo ordine.

La notizia, riportata con grande risalto dalla stampa Usa, che circa 11 mila persone sono state uccise
in Messico dal dicembre 2006 ad oggi a causa della guerra fra bande di trafficanti di droga per il
controllo del mercato Usa, e fra queste bande e le forze di sicurezza messicane, sta portando alla
luce la dura realtà a sud della frontiera. Il presidente Barack Obama si è fermato ieri a Mexico City,
in occasione del viaggio verso Trinidad e Tobago, dove si svolgerà oggi il quinto Summit delle
Americhe, per incontrare il presidente messicano Calderón, e manifestargli il suo appoggio nella
lotta contro i cartelli della droga. Prima di partire, Obama ha preso diverse iniziative per mostrare il
suo sostegno a Calderón. Il presidente ha nominato Alan Bersin, un ex procuratore federale, al
ruolo di “zar” della frontiera, dove avrà il compito di lavorare con le autorità messicane per
controllare meglio la lunga e porosa frontiera fra i due paesi. L’amministrazione Obama ha
aggiunto i cartelli di Sinaloa, Los Zetas, e La Famiglia Michoacana, alla lista di pericolose
organizzazioni criminali internazionali coinvolte nel traffico di narcotici. Con quest’atto formale, il
governo americano potrà sequestrare conti bancari e proprietà di questi cartelli negli Usa, o delle
persone a loro legati.

E’ interessante notare che, mentre fino a qualche tempo fa, erano gli americani che chiedevano di
rendere la frontiera meno permeabile, cercando di impedire l’arrivo di milioni di immigranti illegali
dal Messico e fiumi di droga provenienti dall’America Latina, ora sono le autorità messicane che
chiedono più controlli per impedire l’afflusso di armi americane, che finiscono per rinforzare gli
apparati paramilitari dei cartelli della droga.

Secondo un articolo dell’International Herald Tribune del 15 aprile, che cita fonti del ministero
della giustizia Usa, novanta percento delle 10 mila armi che sono state sequestrate in Messico
l’anno scorso, proviene dagli Stati Uniti, particolarmente dall’Arizona, dal Texas, e dalla California.
In molti casi, le armi sequestrate sono di qualità superiore a quelle in dotazione alle stesse forze
armate messicane, e sono, ovviamente, impiegate dai cartelli della droga.

La questione della frontiera fra Stati Uniti e Messico è particolarmente sensibile perché tocca
questioni legate all’economia, la sicurezza, i narcotici, ed anche il tema della potenziale e latente
discriminazione nei confronti degli ispano americani. Sono 11 milioni i cittadini messicani che
attualmente vivono e lavorano negli Stati Uniti, e questi mandano oltre 20 miliardi di dollari ogni
anno a sud della frontiera, una cifra seconda solo a quanto il Messico riceve attraverso le
esportazioni di petrolio e gas. Ottanta percento dell’export messicano si dirige a nord della
frontiera, come conseguenza degli accordi commerciali a seguito della creazione dell’area
economica del NAFTA nel 1994.
Negli ultimi anni della presidenza di George W. Bush, erano partite diverse iniziative per rendere
meno porosa la frontiera fra i due paesi. Aveva destato molto scalpore la decisione del 2006 di
costruire un alto muro fatto di diversi strati di reti metalliche, per oltre mille dei tre mila chilometri
di frontiera, e di aumentare le pattuglie armate. Secondo notizie ufficiali, l’anno scorso sono stati
fermati circa 800 mila clandestini che tentavano di valicare la frontiera, mentre sono circa 360 mila
quelli che sono stati identificati dopo che erano già riusciti ad arrivare in diverse città americane.

Durante la campagna presidenziale americana del 2008, alcuni candidati avevano cercato di portare
al centro della loro iniziativa politica proprio la battaglia contro l’immigrazione illegale,
accentuando, alle volte, toni che rasentavano il razzismo nei confronti dei messicani, associando la
questione degli immigrati anche al traffico della droga. Con la vittoria di Obama, il primo
presidente nero, l’America è ora in posizione di discutere con il Messico sia la questione
dell’immigrazione illegale, sia il controllo della frontiera, senza doversi preoccupare dell’accusa di
razzismo, cercando di stabilire con le autorità messicane una fattiva collaborazione. Nel frattempo,
la conclusione da parte messicana che la porosità della frontiera forse danneggia primariamente il
Messico ha cambiato in modo rilevante le carte in tavola. E’ il Messico che vuole che l’America
importi meno droga ed esporti meno armi nello scambio illegale fra i due paesi. Obama è pronto a
collaborare con Calderón. Ora si dovrà vedere come reagirà la potente lobby della vendita di armi
negli Stati Uniti.

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