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«COMPETENZA E ATTIVITÀ DELLA PENITENZIERIA

APOSTOLICA»

Eccellenze Reverendissime, Ill.mi Magistrati.


Gentili Autorità civili e militari ed accademiche
Rev.mi e Ill.mi Ministri e Operatori di questo Tribunale
Ill.mi Avvocati e Periti, Signore e Signori,

Lo scopo di questa mia breve prolusione è quello di offrire una


sintetica informazione sulla funzione e sui compiti della Penitenzieria
Apostolica. Già Sua Eminenza il Penitenziere Maggiore ha provveduto
ad una rapida informazione sulle origini della Penitenzieria
Apostolica. Aggiungo solo che nel complesso della curia pontificia
tardomedievale, la sacra penitenzieria apostolica rappresentava uno
dei più importanti organi, sia per il significato delle competenze che
le erano attribuite, sia per il numero di persone che vi svolgevano la
loro opera. Decine e decine di chierici e laici, nel Quattrocento e nel
Cinquecento, si riferivano in vari modi all'ufficio, che Papa Leone X
nel 1513 definì l’istituzione in qua morum censura et animarum
precipue salus vertitur per i fedeli di tutta la cristianità occidentale,
concentrando così in poche parole la molteplicità di atti che vi si
disponevano in nome e per conto del capo stesso della Chiesa (ASV,
Reg. Vat. 1200, c. 428/-, cit. in SCHMUGGE, Kirche, p. 83 e nota 4:
ID., Verwaltung, p. 49 ID., centro e periferia, p. 35 SCHMUGGE-
HESTERGER-WIGGENHUSER, Die Supplikenregister, p. 9; per il testo
del documento v. Bullarium Romanum V, p. 576 (bolla Pastoralis
officii).
Le origini della Penitenzieria si riallacciano all’attività svolta
inizialmente da una singola persona. Come già ci ha ricordato Sua
Eminenza il Cardinale Baldelli, tra il XII e il XIII secolo lo sviluppo del
diritto canonico, il rafforzamento dottrinale della plenitudo
potestatis del Pontefice e quindi il riconoscimento sempre più ampio
a quest'ultimo della facultas ligandi e della facultas absolvendi, così
come la parallela definizione di una lunga serie di casi riservati per
legge dal Papa in relazione alle infrazioni delle norme canoniche e la
conseguente sottrazione dell'autorità di liberare da pene e censure al
clero diocesano e agli stessi vescovi, comportarono certamente un
massiccio aumento dei pellegrinaggi penitenziali verso la sede
apostolica e delle richieste dirette in altre forme da ogni parte
dell'Europa verso Roma. Per far fronte alle sempre più intense
sollecitazioni, motivate da esigenze immediate e da un diffuso
bisogno di risposte univoche e di regole giuridiche certe, i Papi
delegarono quindi la facoltà di trattare determinate materie ad un
Cardinale, designato nel linguaggio delle fonti come penitentiarius
pape, poi come penitentiarius generalis e dai decenni conclusivi del
XIII secolo come Maior Penitentiarius (La più recente sintesi delle
ipotesi formulate in merito alle origini della penitenzieria è
pubblicata in SALONEN, The Penitentiary, pp. 40- 42 fondamentali
rimangono le considerazioni elaborate all’inizio del XX secolo da
GÖLLER, Die päpstliche Pönitentiarie 1/1, pp. 75-85 e passim, nonché
le relative segnalazioni e trascrizioni di fonti nel voi. 1/2 della stessa
opera. Sull'argomento v. anche TAMBURINI, Sacra Penitenzieria
Apostolica, coli. 170-171; SCHMUGGE, Kirche, pp. 82-83; PRODI, Una
storia, pp. 99-105 ).
Questo personaggio, che dovette imporsi per la sua influenza nella
Curia Romana, secondo le più remote attestazioni fungeva da
confessore nei casi riservati, e almeno dall'inizio del Duecento poté
anche rilasciare mandati, in forma di littere, per la concessione di
assoluzioni e dispense. Il materiale documentato pervenuto
suggerisce come le questioni trattate con maggior frequenza
rientrassero nell'ambito dell'irregolarità nell'accesso all'ordine
clericale e degli impedimenti matrimoniali, ma certamente le
possibilità di intervento del Penitenziere si estendevano già in quel
periodo anche a molti altri casi di reati e colpe, che però non
lasciarono tracce scritte (GÖLLER, Die päpstliche Pönitentiarie, 1/1,
p. 77 nota 1). La formazione di un officium curiale con il compito
precipuo di occuparsi di tale materie si ebbe poi allorché al
Penitenziere Maggiore vennero sottoposte altre persone con funzioni
specifiche, e soprattutto quando egli estese la sua autorità ai
penitentiarii minores, che sin da epoche più remote avevano avuto
l’incarico di ascoltare le confessioni dei penitenti (TAMBURINI, Sacra
Penitenzieria Apostolica, col. 171; ID, La Sacrée Pénitencerie
apostolique, pp. 452-459).
Tralascio di soffermarmi nel descrivere lo sviluppo della struttura
organica della Penitenzieria, come fosse divenuta parte a pieno titolo
del sistema della Curia Pontificia, nel quale anzi il suo peso specifico
era divenuto ragguardevole. Desidero solo far notare che la carica di
Penitenziere Maggiore era assegnata tradizionalmente ad un
Cardinale e conferiva al titolare un indiscusso prestigio, non da
ultimo per il fatto che la sua autorità - come abbiamo già ascoltato -
non si estingueva con la morte del pontefice, come avveniva tutti gli
altri Dicasteri del sistema curiale, bensì solo con il decesso o con il
trasferimento ad altro n carico del Penitenziere stesso (Questa
particolarità fu resa esplicita nella costituzione Ne Romani di
Clemente V (Clem.1.3.2, in Corpus Iuris Canonici II, coli. 1135-1336);
v. GÖLLER, Die päpstliche Pönitentiarie 1/1, p. 127, II/1, pp. 31-34
SCHMUGGE-HERSPERGER- WIGGENHAUSER, Die Supplikenregister, p.
12).
Fatta questa rapida e necessaria nota storica, dico subito che la
Penitenzieria a tutt'oggi svolge, in maniera sempre diretta, un'attività
propriamente spirituale, la più consona con la missione fondamentale
della Chiesa, che consiste nella “salus animarum”.
Essa è la “longa manus” del Papa nell'esercizio della “potestas
clavium". Infatti, l'attuale Sommo Pontefice, Benedetto XVI, per dare
sicurezza e certezza giuridica all'insieme di facoltà di cui fa uso il
Dicastero nelle sue diverse istanze e che il Cardinale Penitenziere
assume personalmente e che attua, secondo le modalità indicate nel
Regolamento stesso, ha confermato in forma specifica e disposto che
la “Penitenzieria Apostolica, per realizzare le funzioni che tiene
assegnate nel foro interno, possiede tutte le facoltà necessarie, con
la sola eccezione di quelle che il Sommo Pontefice abbia dichiarato
espressamente al Cardinale Penitenziere di voler riservare a Sé. Può,
di conseguenza, compiere, nell'ambito del foro interno, tutti gli atti
di competenza dei restanti Dicasteri della Curia Romana”. Nel caso in
cui i problemi eccedano le sue facoltà abituali, essa agisce ex
Audientia SS.mi e cioè dopo aver riferito i casi al Sommo Pontefice e
aver ricevuto per i casi stessi in esame gli opportuni poteri.
E' l'Organo universale ed esclusivo del Sommo Pontefice in materia di
Foro interno. Il è un Dicastero di grazia e di misericordia. Non svolge
funzioni giudiziarie di Foro esterno. Tra i Dicasteri della Curia
Romana è il solo a svolgere, in modo diretto, un'attività non
burocratica. Normalmente esercita una giurisdizione graziosa. La sua
competenza specifica, perciò, si estende - come già è stato detto - a
tutto ciò che riguarda il Foro interno, anche non sacramentale, nel
Foro interno, infatti, elargisce grazie, assoluzioni, dispense,
commutazioni, sanazioni e condonazioni.
Da tenere presente che la Penitenzieria Apostolica ha facoltà di
concedere, nel Foro interno, pressoché tutto ciò che in Foro esterno
concedono gli altri Dicasteri della Santa Sede, purché l'oggetto della
richiesta sia suscettibile di soluzione in Foro interno. A titolo di
esempio: si può concedere in Foro interno la sanazione in radice di
matrimoni invalidi per impedimenti occulti; similmente si deve
inviare il ricorso alla Penitenzieria in quei casi nei quali vi è un
dubbio, fondato sopra cause occulte, relativamente alla validità dei
Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell'Ordine dubbio.
Esamina, inoltre, e risolve i casi di coscienza che le vengono proposti.
L'espressione “casi di coscienza” abbraccia una varietà difficilmente
definibili di problemi. Risolve dubbi in materia morale o giuridica,
quando si tratta di circostanze occulte e di fatti concreti individuali:
per esempio se un determinato soggetto è idoneo o non idoneo al
matrimonio, se un determinato procedimento biologico è
semplicemente terapeutico o contraccettivo o abortivo, se una
determinata cooperazione al male sia diretta o non diretta,
necessaria o non necessaria, e così via; quando, invece, i problemi
sono di massima o vertono su casi pubblici, il ricorso deve essere
fatto in Foro esterno, in concreto non alla Penitenzieria ma ad altro
Organo della Santa Sede. Questo criterio si può illustrare col
seguente esempio: la questione, puramente teorica, se sia lecito
contrarre matrimonio ad una persona portatrice di malattia
ereditaria, deve essere presentata alla Congregazione per la Dottrina
della Fede; la questione circa il caso concreto, se sia lecito contrarre
matrimonio a Tizio, che è attualmente colpito dalla tale malattia, se
il caso stesso è notorio, deve essere proposto alla medesima
Congregazione, se invece è occulto, deve essere proposto alla
Penitenzieria.
Tipica occasione in cui conviene il ricorso in Foro interno per dubbi di
questo genere è quella data da problemi posti a un sacerdote
confessore dal penitente, quando o per mancanza di persone esperte
nel luogo o per esigenza di cautela per il rispetto del sigillo
sacramentale, non è possibile proporre i quesiti a persona
dell'ambiente
Possono, perciò, ricorrere liberamente alla Penitenzieria i sacerdoti i
quali, nell'esercizio del loro ministero, trovano casi di difficile
soluzione; tale ricorso è tanto più conveniente in quanto con la
grande diffusione degli scritti teologici, e mentre perdura presso non
pochi autori una dolorosa obnubilazione delle idee, non è ipotetico il
pericolo che si accetti come vera dottrina, e come lecita una prassi,
proposta da autori che si allontanano dal Magistero della Chiesa.
A proposito delle risposte ("responsa") date dalla Penitenzieria nella
soluzione dei casi di coscienza, desidero far osservare che esse hanno
valore autoritativo - a seconda dei casi, precettivo o liberatorio - solo
per le circostanze reali e singolari che vengono proposte e non invece
per gli altri casi, ma che agli altri quelle risposte possono estendersi
come criterio prudenziale. Cioè gli orientamenti dottrinali e
disciplinari inclusi nelle soluzioni stesse possono essere con prudenza
applicati dal sacerdote che si è prestato a fare il ricorso, per
analogia, in un ambito più largo, in nessun caso però è permesso di
divulgare quelle risposte.
Ovviamente quando parliamo di Foro interno sacramentale, vogliamo
riferirci a tutto ciò che attiene all'interno del Sacramento della
Penitenza, quando invece parliamo di Foro interno non sacramentale,
intendiamo riferirci a tutto ciò che non ha alcuna connessione,
almeno immediata, con il Sacramento della penitenza: si pensi alla
direzione spirituale svolta in atti, in colloqui, ecc. distinti
dall'amministrazione del Sacramento della penitenza, alla
manifestazione di coscienza fatta dai religiosi ai loro Superiori
disciplinari, fuori della confessione; al ricorso alla S. Sede per
materie che direttamente riguardano Enti Morali - Curia diocesana,
Seminari,ecc. ma che per evitare scandali si ritiene opportuno
sottrarre alle comuni procedure giudiziarie e amministrative (es.
oneri di SS. Messe).
Propriamente appartengono al foro interno:
a) tutte le azioni in quanto siano considerate sotto l'aspetto del
peccato, quindi anche i delitti, non in quanto turbano la società, ma
in quanto turbano la coscienza. E più in concreto:
b) le censure incorse, a motivo del peccato, ma rimaste allo stato di
pena ‘latae sententiae', perché gli atti, da cui esse sono derivate,
sono occulti.
c) gli impedimenti all'Ordine sacro e al matrimonio derivanti da
circostanze occulte; ecc.
In breve appartengono al Foro interno tutte le azioni occulte, finché
restano occulte, quando diventano pubbliche passano al Foro
esterno. Il modo di procedere è in questo caso ‘in segreto’ e ‘coram
Deo’.
MODO DI FARE I RICORSI ALLA PENITENZIERIA
Qualunque fedele ha diritto per sé, di rivolgersi, o di persona o in
scritto, alla Penitenzieria Apostolica. Tuttavia, motivi di vario ordine,
di prudenza, di tutela dell'anonimato, rendono sconsigliabile il ricorso
diretto (la persona interessata è portata facilmente ad esagerare o a
minimizzare colpe e circostanze). La prassi plurisecolare della
Penitenzieria preferisce che il caso di coscienza le sia esposto da un
Confessore o, comunque, in Foro interno non sacramentale, da un
sacerdote, il quale dovrà omettere il nome del penitente, a meno
che il penitente stesso non l'abbia autorizzato ad usarlo; ma anche
allora conviene che il nome non si faccia. Ciò garantisce da una parte
una maggiore chiarezza ed esattezza dottrinale, da un'altra la
obiettività e imparzialità del giudizio, e infine la possibilità di fornire
dati psicologici, caratteriali, di condizione sociale, di fama, e così
via, sul conto dell'interessato, che ben difficilmente potrebbe far ciò
su se stesso. I ricorsi debbono contenere i dati essenziali del
problema, con indicazione chiara ma non troppo estesa di tutti gli
elementi necessari per il giudizio in proposito. Per esempio, nel caso
di censura per l'assoluzione del complice, si dovrà indicare quante
volte essa è stata impartita, il sesso del complice, il suo stato
(celibe, sposato, religioso, sacerdote, ecc.), il permanere o meno di
relazioni peccaminose tra l'assolutore e il complice; nel caso di
irregolarità per aborto, quante volte esso è avvenuto, se il concepito
era stato generato dal reo dell'aborto, se le relazioni peccaminose
perdurano, se la cooperazione è stata fisica, oppure solo con il
pagamento delle spese, solo con il consiglio, e così via; Nel caso di
oneri di Messe, di cui parlerò subito dopo, quante non sono state
celebrate, per quale motivo non sono state celebrate, quali sono le
condizioni economiche del sacerdote che non le ha celebrate, e così
via.
La Penitenzieria per legge risponde nel più breve tempo possibile,
addirittura nei casi semplici entro 24 ore da quando ha ricevuto il
ricorso. Se il ricorrente si trova in Roma, può venire liberamente di
persona.
Per tranquillità di coloro che inviano i ricorsi, possiamo affermare
che le decisioni della Penitenzieria non sono mai frutto della
decisione individuale dei suoi membri, nemmeno dello stesso
Cardinale Penitenziere Maggiore, ma derivano da un esame
collegiale. I casi più difficili o insoliti, vengono trattati nelle riunioni
della cosiddetta ‘Segnatura’ della Penitenzieria Apostolica, alla quale
intervengono, oltre al Cardinale e il Reggente, il Prelato Teologo, il
Canonista e gli altri tre Consiglieri.
Il confessore che fa ricorso dovrà prendere accordi con il penitente
per un futuro incontro, nel quale gli comunicherà la risposta della
Penitenzieria. Può capitare che il penitente non abbia la possibilità di
ritornare dal confessore, perché, ad esempio, è uno straniero e deve
far ritorno in patria. In questi casi il confessore si farà indicare il
recapito del penitente, al quale trasmettere, in modo segreto e
sicuro, la decisione della Penitenzieria, non necessariamente nella
forma del Rescritto, ma anche solo con un breve sunto nella lingua
del penitente. Il Rescritto, dopo che avrà avuto 'esecuzione', cioè
dopo che sarà stato letto o spiegato al penitente e dopo che questi
ne avrà accettato le disposizioni, dovrà essere subito distrutto, a
meno che il Rescritto stesso non disponga diversamente (ad es., nel
caso di certi scrupolosi, ai quali la conservazione prudente del
Rescritto e la sua rilettura potrebbero essere di aiuto e di conforto
nel mantenere la convinzione umana di essere in grazia di Dio). E’
conveniente anche - ad esempio di dispensa da irregolarità - che
l'interessato tenga nota del numero di protocollo del Rescritto,
perché è ipoteticamente possibile che l'Autorità Ecclesiastica possa
esigere un giorno in Foro esterno una qualche prova dell'ottenuta
dispensa.
In via ordinaria, comunque, i Rescritti che contengono le risposte
della Penitenzieria debbono essere distrutti al più presto. Perciò,
negli Archivi delle Curie diocesane, degli Ordini religiosi, ecc. non si
debbono conservare i Rescritti della Penitenzieria Apostolica, né si
deve apporre sui registri alcuna annotazione desunta dai Rescritti
stessi.
Per quanto riguarda i mezzi elettronici - come il Fax, Internet e cose
simili - non devono essere mai usati nel trasmettere ricorsi alla
Penitenzieria Apostolica: poiché adoperando questi mezzi,
cheespongono le notizie ad indebite interferenze, diventa
impossibile custodire il secreto. Pertantoo si consegna
direttamente il ricorso stesso, o lo si spedisce chiuso per posta.
E' bene forse sapere che i ricorsi per il Foro interno sono sempre fatti
‘gratis quocumque titulo’. Quando qualcuno offre delle somme di
danaro, anche piccole, per i Rescritti, attraverso la Posta o altre vie,
esse vengono garbatamente restituite, con le opportune spiegazioni
per non offendere l’oblatore.
ESEMPI DI RICORSI ALLA PENITENZIERIA
Indico soltanto quattro esempi di quanto il Confessore dovrebbe
riferire nell'esposto alla Penitenzieria:
1. Assoluzione del proprio complice in peccato contro il VI
Comandamento (Can. 1378).
L’assoluzione del complice, eccezione fatta per il pericolo di morte,
è invalida: per i fedeli orientali in forza del can. 730 CCEO e per i
fedeli latini in forza del can. 977 del CJC.
Il Legislatore sottrae la facoltà a tutti i confessori relativamente ai
penitenti complici nel peccato contra sextum. Si esige una vera e
propria complicità, la quale richiede:
1) che il confessore e penitente abbiano partecipato (attivamente o
passivamente) ad un medesimo peccato contro la castità;
2) che il peccato venga commesso da due o più persone, non importa
se dello stesso sesso o meno; peccato che può essere commesso in
qualsiasi modo: con atti, gesti, segni, colloqui, parole, ecc. E'
opportuno ricordare che circa il sesto comandamento è difficile che
si dia parvità di materia.
3) che il soggetto del delitto sia sacerdos; ciò significa che deve
essere presbitero o vescovo, perché il Codice possiede una voce
propria per indicare il sacerdote ad esclusione del vescovo
(presbyter) e non usa mai sacerdos per indicare esclusivamente il
presbitero.
La pena prevista dal can. 1378 § 1 per l'assoluzione del complice è la
scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica.
Competente per la remissione della censura è la Penitenzieria
Apostolica. Il Can. 728 § 1,2° del CCEO (Codex Canonum Ecclesiarum
Orientalium) riserva l'assoluzione di questo peccato alla Sede
Apostolica.
Il confessore, che assolve il complice o i complici in altri peccati,
contro altri comandamenti che non siano il sesto, non incorre nella
pena prevista dalla norma in parola. Tuttavia, il rispetto che si deve
al Sacramento, dovrebbe distogliere dall'assolvere tali complici, se
non in pericolo di morte.
2. Profanazione sacrilega del SS. Sacramento dell’Eucaristia (can.
1367).
Purtroppo le profanazioni avvengono anche ai nostri giorni: Ai
Pastori, in particolare, spetta approfondire le ragioni dell'insorgere e
dello scatenarsi del potere delle tenebre con manifestazioni oscene,
sacrileghe, demenziali. E' necessario, soprattutto da parte dei
Vescovi, vigilare e provvedere nel regime esterno della Chiesa,
affinché questi delitti siano prevenuti e, se commessi, denunziati e
puniti (n.b. Poiché spesso le profanazioni del SS. Sacramento
accadono per impulso di sette, la connessione delle idee richiama qui
alla mente una osservazione sulle sette in genere, ed in particolare
sulla massoneria: non è stabilita alcuna censura canonica in pena
dell'adesione a questa società, ma, per natura di cose, i fedeli
debbono essere distolti da essa, poiché sostiene dottrine e
comportamenti che sono opposti alla dottrina cattolica e, almeno
sotto certi aspetti, alla legge morale e particolarmente a quella
soprannaturale; inoltre, quella organizzazione è ostile alla Chiesa.
Perciò la Congregazione per la Dottrina della Fede, mediante un
comunicato del 26 novembre 1983, ha espressamente ammonito che
non possono essere ammessi ai sacramenti coloro che appartengono
alla massoneria).
Alla Penitenzieria occorre sapere il motivo che ha spinto il penitente
a profanare le SS. Specie (per denaro, per odio o per vendetta contro
Dio, per disprezzo del Signore?). Bisognerebbe penetrare nel
profondo della coscienza di questi peccatori per capire lo
smarrimento, l'ignoranza, la fragilità, la cattiveria. Si tratta spesso di
povere donne, a volte troppo ingenue, a volte mitomani, a volte in
preda alle tentazioni più gravi e alla disperazione..
Il Confessore deve riferire anche se la profanazione è stata commessa
una sola volta o più volte; se il penitente ha agito da solo o insieme
ad altri, o addirittura in una sette massonica o d'altro genere. In
questi casi la Penitenzieria, al fine di tutelare il bene comune dei
fedeli, ricorda al confessore di vedere se il penitente sia disposto ad
informare l'Ordinario del luogo delle profanazioni organizzate. Se il
penitente è disposto, il confessore stesso, avutane espressa licenza
dal penitente, senza fare il nome di questi, potrà informare
l'Ordinario.
3. Violazione diretta del sigillo sacramentale (Can. 1388, § 1).
Tutti sanno quanto stia a cuore della Chiesa e di tutti i fedeli il
segreto della confessione, di tutelare in ogni modo, usque ad
sanguinis effusionem.
Occorre subito dire che la vera e propria violazione “diretta” del
sigillo, grazie a Dio, se pure avviene, avviene assai raramente. In
questa materia gli elementi più importanti da fornire alla
Penitenzieria Apostolica, che suppongono una buona preparazione nel
confessore, sono nelle risposte ai seguenti quesiti: Quante volte il
penitente ha violato il sigillo? Si tratta di un sacerdote vittima di
scrupoli in questa materia o esente da essi? E’ un sacerdote ritenuto
comunemente come prudente, oppure si mostra leggero, loquace,
incline a farsi notare narrando le cose degli altri? Perché ha violato il
sigillo? Come lo ha violato, deliberatamente, o senza rendersene
subito conto, per inavvertenza? I presenti si sono resi conto che
quanto veniva detto costituiva violazione del sigillo? Esiste la
possibilità che questi divulghino le informazioni segrete? E'
prevedibile che dalla violazione derivi qualche danno materiale o
morale al penitente?.
Tralascio le osservazioni che sono evidenti su quanto la Penitenzieria
potrà disporre in base al ricorso fatto, e al caso bene esposto dal
confessore: se il caso è fortuito, senza malizia, senza possibilità di
danno per il penitente, la Penitenzieria si mostrerà generosa; se
invece si tratta di recidiva, di piena avvertenza o di colpa deliberata,
a seconda della gravità, si potrà imporre al violatore di non
confessare, per un determinato tempo di prova. Molto delicato è il
caso degli scrupolosi, che in genere sono buoni confessori: per essi
però l'argomento del sigillo può risultare un vero tormento
intollerabile
4. Dispensa da irregolarità ‘ad recipiendos sacros Ordines’
contratta per procurato aborto (Can. 1041,4).
Ai nostri giorni non mancano, per fortuna, vocazioni cosiddette
adulte sia al Diaconato permanente sia al Presbiterato. Può darsi che
qualcuno di questi ‘vocati’, in giovinezza, forse prima del loro ritorno
a una vera vita cristiana, si siano resi colpevoli di cooperazione
all'aborto, contraendo perciò la irregolarità. Per poter ricevere
l’Ordine sacro devono prima ottenere la dispensa. Se il fatto è
occulto, il confessore, o il Vescovo, o il Direttore Spirituale, al quale
il candidato all’Ordine Sacro si è rivolto, deve ricorrere in Foro
interno sacramentale o extrasacramentale alla Penitenzieria
Apostolica. Ad essa è necessario conoscere, in ordine alla concessione
o alla dilazione o alla negazione della dispensa, alcune precise
circostanze.. Si potrebbero portare una interminabile sequenza di
esempi, ma i quattro illustrati, penso, possono bastare come
paradigma generico per ogni altro caso.
ooo
Di norma nel Foro interno debbono essere trattati i casi di censure
‘latae sententiae’ quando esse sono soltanto tali, e cioè sono state
incorse ‘ipso facto’ e non sono state oggetto di una sentenza
giudiziaria o di una dichiarazione. Ricordo che alcune censure
possono essere rimesse dalla Autorità ordinaria diocesana o dai
Superiori maggiori religiosi per i loro sudditi. Purtroppo oggi è
estremamente diffuso il crimine dell'aborto. La relativa censura, che
è la scomunica “latae sententiae”, non è riservata alla Santa Sede.
Oltre il Vescovo proprio possono assolvere da essa in Foro interno
sacramentale qualunque altro Vescovo, il Penitenziere diocesano e,
per privilegio, i Confessori appartenenti alle Famiglie religiose
mendicanti (per es. Domenicani, Francescani, Carmelitani, ecc.)
E’ di estrema importanza in questa materia il can. 1357: in virtù di
esso qualunque confessore, anche se non munito di speciale facoltà,
può rimettere la scomunica e l'interdetto non dichiarati, in Foro
interno sacramentale, se al penitente riesce duro restare in stato di
peccato mortale per il tempo necessario affinché il Superiore
provveda; il penitente assolto dalla censura, oltreché dal peccato, in
virtù di questo canone, ha il dovere di ricorrere entro un mese al
Superiore competente, e cioè al Vescovo o al Superiore Maggiore
religioso se si tratta di censura non riservata alla Santa Sede; è
evidente che alla Penitenzieria si può ricorrere anche per le censure
non riservate alla Santa Sede. Di solito i fedeli laici ignorano queste
cose, e perciò sarà necessario che lo stesso confessore si offra per
fare il ricorso nell'interesse del penitente, beninteso senza fare il
nome di questi.
Per quanto riguarda le censure di cui sono colpiti i ministri sacri,
occorre tener presente il canone 1335, in virtù del quale si può
esercitare il ministero, nonostante la censura, quando questo è
necessario per i bisogni spirituali di un fedele che versa in pericolo di
morte. Lo stesso canone permette l'esercizio del ministero anche al
di fuori del pericolo di morte, quando la censura “latae sententiae"
non si stata dichiarata.
In Foro interno vanno trattati i casi occulti di irregolarità, sia per la
ricezione degli Ordini sacri, come già accennato, sia per l'esercizio di
essi. Come nel caso delle censure, occorre distinguere tra quelle
sulle quali è competente anche l'Ordinario diocesano o il Superiore
Maggiore superiore, e quelle invece riservate alla Santa Sede: sono
sempre riservate alla Santa Sede quelle che colpiscono la persona rea
di omicidio o di aborto, e quelle il cui fatto originante è stato
devoluto al foro giudiziario: ma è evidente che in questo caso si
tratta di Foro esterno.
E' bene ricordare a questo proposito il canone 1048: esso permette
nei casi occulti più urgenti, quando vi sia un pericolo di un grave
danno o di infamia ,l'esercizio del ministero ai ministri sacri colpiti da
irregolarità; ma la persona irregolare ha il dovere di ricorrere al più
presto, tramite un confessore, che non dovrà esprimere il nome del
penitente. Ciò vale solo per l'esercizio degli Ordini, non per la
ricezione di essi. Il ricorso andrà fatto all'Ordinario o alla
Penitenzieria a secondo che si tratti di irregolarità non riservate o
riservate alla Santa Sede.
ALTRI OGGETTI DEL FORO INTERNO
Si può ricorrere al Foro interno non solo per i peccati, le censure e le
irregolarità, ma in genere per situazioni occulte, come per es.
- Dispense o riduzione o commutazioni di oneri di Ss. Messe che
gravano sulle persone fisiche e potrebbero pregiudicare la giusta
fama di una persona. Se invece si tratta di oneri gravanti Enti Morali
(Curie diocesane, Seminari, Famiglie religiose, ecc.) bisogna
rivolgersi alla Congregazione per il Clero.
Sugli Oneri di SS. Messe da soddisfare desidero soffermarmi un po'
di più.
In questo campo non è stabilita alcuna censura, ma si tratta di cosa
estremamente importante nella vita della Chiesa, sia perché tocca la
riverenza dovuta al SS. Sacramento dell’Eucaristia, sia perché è
oggetto di obbligo di giustizia, sia finalmente, perché la diversa
condotta al riguardo può favorire o danneggiare la fiducia dei fedeli
verso i loro sacerdoti. In proposito i Vescovi hanno il dovere di
inculcare nei loro sacerdoti la rigorosa osservanza delle norme
espresse nel CCEO, can. 717, e nel CJC, can.945-958.
In realtà risulta dall’esperienza che, purtroppo, non di rado alcuni
sacerdoti si esimono dalla soddisfazione degli oneri di Messe, a
motivo di una errata “forma mentis” per la quale, devolvendo ad
altri fini - anche buoni - le offerte fatte per la celebrazione di Sante
Messe, ritengono a torto di soddisfare all’obbligo assunto, mentre in
realtà non applicano le Messe volute dagli offerenti secondo le loro
intenzioni.
In questo campo è obbligante a titolo di giustizia, oltre i canoni sopra
ricordati, anche il Decreto della Congregazione per il Clero,
approvato in forma specifica dal Sommo Pontefice il 22 gennaio 1991
ed edito il 22 febbraio 1991, che ha per oggetto il caso di diverse
intenzioni di Messe che confluiscono in una medesima celebrazione.
Per le sanazioni, le riduzioni ed altri simili provvedimenti relativi agli
oneri di Messe, se richiesti in Foro interno, sacramentale o non
sacramentale, il ricorso deve essere inviato alla Penitenzieria
Apostolica. Mentre non possono trattarsi in Foro interno, perché si
tratta di cose “ex natura rei” pubbliche, gli oneri che gravano su un
Ente Morale (per es. una Curia diocesana, una Famiglia Religiosa, e
così via).
INDULGENZE
Alla Penitenzieria è affidato tutto ciò che riguarda la concessione e
l'uso delle Indulgenze, salva sempre la competenza della C.D.F. per
ciò che attiene la dottrina dommatica circa le Indulgenze stesse.
Voi sapete che Paolo VI, con la Costituzione Apostolica
Indulgentiarum doctrina del 1° gennaio 1967, ha operato,
conformemente alle indicazioni espresse dalle Conferenze Episcopali
e dalla stessa Penitenzieria apostolica nel Concilio Ecumenico
Vaticani II, una profonda riforma della disciplina delle indulgenze,
senza però nulla immutare nei loro fondamenti teologici. La riforma
si propose la finalità di favorire maggiormente nei fedeli il senso
della partecipazione alla Comunione dei Santi, il fervore della carità,
specialmente verso i fedeli defunti, lo spirito di preghiera, di
rinascita e di sacrificio. I punti più evidenti della riforma paolina
sono.
- L'Indulgenza Plenaria si può ottenere una sola volta al giorno,
eccettuato il caso di un fedele che l'ottenga ancora nello stesso
giorno in ‘articulo mortis’;
- E’ stata abolita la misura in anni e giorni dell’Indulgenza Parziale ,
stabilendo, in suo luogo, che il dono della Chiesa, cioè l'Indulgenza, è
proporzionato al valore spirituale espiativi dell’azione compiuta dal
fedele;
- E’ stata abolita la nomenclatura di Indulgenze ‘personali’, ‘reali’ e
‘locali’, per indicare con chiarezza come il dono dell'Indulgenza è
dato, anche quando è connesso ad un luogo pio o ad un oggetto di
devozione, per l'azione del fedele;
- I Vescovi diocesani e le Autorità ecclesiastiche ad essi equiparate
dal diritto, possono concedere Indulgenze parziali in favore dei loro
sudditi. Per quanto riguarda le concessioni di Indulgenze Plenarie,
occorre rivolgersi alla Penitenzieria.
Tutte le norme riguardanti la disciplina delle Indulgenze e gli atti di
pietà e le preghiere indulgenziati dalla Chiesa, unitamente alla
accennata Costituzione Apostolica
Indulgentiarum doctrina, sono raccolti nell’Enchiridion
indulgentiarum, testo ufficiale della Chiesa, edito più volte dalla
Libreria Editrice Vaticana a partire dal 1968 e tradotto in italiano,
spagnolo, portoghese, inglese, tedesco e olandese, a cura delle varie
Conferenze Episcopali. L'ultima edizione in latino (la quarta) è
apparsa nel gennaio del 2004.
Molte sono le richieste di Indulgenze Plenarie che pervengono alla
Penitenzieria dai vari Paesi del mondo (n.b. una buona parte delle
richieste proviene dalla Germania, dove le Indulgenze furono prese a
pretesto per l'inizio della riforma luterana, e da Paesi dell'Estremo
Oriente, ad es. dal Vietnam, dove la Chiesa ha molto sofferto e
ancora soffre per la persecuzione e i fedeli dimostrano una fede
fervente e coraggiosa).
Le richieste di Indulgenze Plenarie sono fatte in genere per occasioni
solenni, ad esempio, per ricorrenze centenarie di origine di diocesi,
di cattedrali, di celebri santuari, di fondazione di Famiglie religiose,
di nascite su questa terra e nascite al cielo di celebri Santi
Protettori.
Il Rescritto della Penitenzieria contiene una prima parte, quella
espositiva, breve, ma densa del contenuto spirituale e storico,
dignitosa e solenne, e una seconda parte, quella dispositiva, che, a
seconda dei casi, estende la concessione o al solo tempo della
ricorrenza, o ad un periodo di alcuni anni, ad esempio “ad
septennium”, oppure “in perpetuum”.
Per la concessione di Indulgenze, come si è accennato sopra, il
richiedente è invitato a fare un'offerta, se vuole, e nella misura che
vuole. L’invito all’oblazione non viene fatto se la richiesta proviene
da Paesi dove esiste la persecuzione della Chiesa o da Istituzioni
povere.
CONCLUSIONE:
Questa esposizione, sebbene forzatamente alquanto lunga,
certamente non basta a chiarire tutti i punti. Ma speriamo che sia
almeno un buon orientamento. Comunque siamo lieti se siamo riusciti
a rendere meno misteriosa l'attività della Penitenzieria, che, come
già ho rilevato, svolge un'attività propriamente spirituale, la più
consona con la missione fondamentale della Chiesa, che è la “salus
animarum”
+ Gianfranco Girotti, O.F.M. Conv.
Reggente della Penitenzieria Apostolica

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