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SACRALITÀ DELL’ACQUA: L’IPOGEO DI VIA LIVENZA

Paolo Galiano

L’ipogeo di via Livenza a Roma costituisce un esempio di come la sacralità di un luogo di culto
persista attraverso i secoli, cambiando nella sua forma esteriore eppure mantenendo intatta la sua
valenza: lo speco sotterraneo, scavato alla profondità di nove metri sotto l’attuale livello stradale,
era probabilmente un sito antico di venerazione delle Acque sotterranee la cui storia è difficile da
ricostruire come le fasi della sua costruzione, ma che dal tempo della Roma dei Gentili si è
trasmesso immutato alla Roma cristiana.
Scoperto casualmente nel 1923 in occasione dello scavo delle fondamenta di un palazzo in via
Livenza l’ipogeo costituisce uno dei misteri della Roma sotterranea, situato all’interno della vasta
area sepolcrale che si colloca ai lati della via Salaria vetus, corrispondente all’incirca all’attuale via
di Porta Pinciana – via Paisiello. La Salaria vetus era uno dei più antichi tragitti di transumanza
dall’area della Sabina fino ai prati della costa tirrenica ma il suo più importante utilizzo, donde il
nome, era per il trasporto del sale dalle saline di Ostia all’interno delle regioni appenniniche, dove
era necessario sia per le mandrie che per la conservazione dei cibi. La rete viaria con le sue varianti
così come è possibile oggi ricostruirla rimase pressoché intatta dai tempi arcaici fino all’età
imperiale1.
Il sepolcreto della Salaria è vasto e antichissimo, in quanto le prime tombe (a inumazione e ad
incinerazione) risalgono almeno all’Età del Bronzo Finale, e andò progressivamente espandendosi
in particolare durante l’età imperiale, per cui non è infrequente il recupero di materiali provenienti
da tombe di età più antica in tombe recenti o anche il riutilizzo delle tombe stesse, ampliate e
rimodellate con la creazione di arcosolii ed altre strutture. Le costruzioni finora reperite sono alcune
domus, più numerose a partire dal II sec. a.C., e sepolture, da semplici tombe con copertura a
cappuccina ad elaborati mausolei ed ipogei, a volte ornati di statue, dipinti e mosaici.

SILVANO E LE ACQUE

1
CUPITÓ e CARANDINI Il territorio tra la via Salaria, l’Aniene e il Tevere, ed. L’erma di Bretschneider, Roma 2007
pp. 179 ss.
1
Traccia di un culto dedicato a Silvano si trova in una lapide opistografa trovata in superficie nella
zona soprastante l’ipogeo, con una dedica 2 del I sec. d.C. al Dio Silvano su di un lato e sull’altra
epigrafe funeraria3 del III sec. d.C., il che ha fatto ipotizzare l’esistenza nelle prossimità di un
tempio o di un sacello andato perduto4. Questo richiede una breve digressione su Silvano e le sue
funzioni, che possiamo ricostruire attraverso una lettura dei testi epigrafici che lo citano.
Silvano costituisce una delle divinità romane meno conosciute: a differenza di Fauno, del quale è
considerato una “variante”, Silvano non è solo il Dio delle selve ma anche dei campi coltivati, che
protegge a somiglianza del Mars dei suovetaurilia (Orazio Epod II, 2), ed ha ulteriori “qualità”
rispetto a Fauno. Viene anche detto coelestis5 e rappresentato con un cipresso in mano (Virgilio
Georg I, 1) o con rami di pino6, donde l’appellativo di dendrophorus7, e con la falce8, come Saturno,
ha come suoi animali il cane e il gallo9, ambedue aventi carattere ctonico; alla periferia dell’Impero
si trovano insolite formule dedicatorie ai “tre Silvani” 10. In un’epigrafe ritrovata sulla via Ostiense
Silvano è associato a Diana, il bassorilievo mostra il primo con falce e ramo di albero in mano e un
lupo ai suoi piedi e la seconda che estrae la freccia dalla faretra ed un cane accanto11.
Livio (Hist II, 7) e Plutarco (Publicola IX) ne attestano la capacità profetica nell’episodio della
guerra tra i Romani condotti da Valerio Publicola e l’esercito di Etruschi e Veienti guidati da
Tarquinio, quando una voce dalla selva, attribuita a Silvano, predisse la vittoria di Roma; per questo
è chiamato anche castrensis12 e invictus 13. Egli ha però anche aspetti negativi: ad esempio disturba
le donne incinte e i fanciulli, per cui di notte tre divinità, Intercidonia armata di scure, Picumno con
il pestello e Deverra con la scopa, sono preposte a proteggerli da Silvano14.
Almeno a partire dalla prima età imperiale Silvano presenta collegamenti sia con aree cimiteriali,
sia con le acque, come si può desumere da alcune testimonianze epigrafiche: è chiamato salutaris15,

2
Sancto Silbano [sic] donum ex viso fecerûn̂t Grae(---) Primusm(iles) c(o)h(o)r(tis) XI urb(anae) et Matucius
Catullinus.
3
L(ucius) Selius Spinther Ampliatae piissimae fecit et sibi.
4
CUPITÓ e CARANDINI p. 94.
5
C.I.L. VI 1 n° 638.
6
C.I.L. VI 1 n° 640.
7
C.I.L. VI 1 n° 641.
8
DESSAU Inscriptiones latinae, Berlino 1892 vol. II Parte I n° 3566.
9
DESSAU Inscriptiones latinae cit. vol. II Parte I n° 3556, 3378. C.I.L. VI 1 n° 640.
10
DESSAU Inscriptiones latinae cit. vol. II Parte I n° 3572 (da Carnuntum, oggi Petroneil in Austria), 3573 (da
Aquincum, ora presso Budapest), 3575 (da Vindobonae, attuale Vienna).
11
C.I.L. VI 1 n° 658.
12
DESSAU Inscriptiones latinae cit. vol. II Parte I n° 3554 i(epigrafe ritrovata sull’Aventino).
13
DESSAU Inscriptiones latinae cit. vol. II Parte I n° 3562 (da Lanchester, UK).
14
VARRONE citato da AGOSTINO De civ Dei VI, 9; THURSTON PECK Harpers Dictionary of Classical
Antiquities, Harper and Brothers ed., New York 1898 s. v.
2
probabilmente per il suo rapporto con le acque in cui si trova associato a Diana e ad altre divinità 16,
e in due iscrizioni del I sec. d.C. provenienti dalle Aquae Apollinares novae di Vicarello presso il
lago di Bolsena17 il Dio è associato ad Apollo medico, alle Ninfe e ad Asclepio. Anche presso le
terme delle Aquae Iasae (ora Varaždinske Toplice in Croazia) si trovano iscrizioni votive del I e II
sec. d.C. dedicate a Silvano e alle Ninfe18. In un caso19 è origine di un singolare divieto, come si
legge in una lapide proveniente dalla XIV Regio Transtiberim ritrovata presso la chiesa di san
Crisogono: imperio Silvani | ni qua mulier velit | in piscina virili | descendere, si minus | ipsa de se
queretur, | hoc enim signum | sanctum est.
L’accostamento di Silvano con aree sepolcrali si ritrova anche in altre località di Roma, come
sembra di poter affermare sulla base di un’iscrizione ritrovata nell’area di Centocelle 20, forse in
connessione con un Collegium Silvani, che secondo le autrici che ne riportano notizia era costituito
da gladiatori per assicurare la sepoltura dei membri del sodalizio .
Il duplice rapporto di Silvano con le acque e con le aree sepolcrali potrebbe essere correlato alle
particolari caratteristiche dell’ipogeo di via Livenza, che in tal caso ne confermerebbe
l’interpretazione come luogo di culto di una fonte sacra (sotterranea?) creato nell’àmbito di un
cimitero.

Quello di Silvano potrebbe essere l’unico culto presente nell’area, considerato che lungo il tratto
iniziale della Salaria non si è trovata traccia di santuari di particolare importanza 21, né vi è memoria
di rituali di rilievo lungo questa via, a differenza di quanto è stato riscontrato per altre vie che
partivano da Roma, per le quali è attestata la presenza di luoghi sacri o di cerimonie arcaiche che
andavano a costituire un cerchio religioso e magico che circondava l’Urbe alla distanza tra una e sei
miglia dal suo pomerium, cerchio costituito da punti sacri di riferimento risalenti alla prima età
regia o ancora precedenti con i quali si delimitava l’ager romanus antiquus, l’antico territorio dei
pagi protourbani situati intorno alla futura città e poi della Roma di età monarchica22.

15
DESSAU Inscriptiones latinae cit. vol. II Parte I n° 3554: donum dedit in templo sancti Silvani salutaris
(dall’Aventino, anno 113).
16
DESSAU Inscriptiones latinae cit. vol. I n° 2181 e vol. II Parte I 3536.
17
BUONOPANE e PETRACCIA Termalismo e divinità, In Cura, preghiera e benessere. Le stazioni curative
termominerali nell’Italia romana, a cura di Annibaletto, Bassani, Ghedini, Padova, 2014, pp. 217-245.
18
The Princeton encyclopedia of classical sites, Princeton University Press 1976.
19
DESSAU Inscriptiones latinae cit. vol. II Parte I n° 3520. C.I.L. VI 1 n° 579.
20
CENTOCELLE I (a cura di P. Gioia e R. Volpe), Rubbettino ed., Roma 2004.
21
Nel sito di Antemnae, alla confluenza dell’Aniene con il Tevere, dove sorgeva la città preromana che Romolo
conquistò, si sono trovati i resti di un santuario risalente almeno ad età alto-repubblicana, tra cui un torso di statua
attribuibile a Minerva (CUPITÓ e CARANDINI p. 180).
3
DESCRIZIONE DELL’IPOGEO
L’ipogeo di via Livenza23 non costituisce un reperto unico nell’area cimiteriale della Salaria, perché
già in precedenza ne erano stati ritrovati altri, nel 1898 a via Mincio 24 e nel 1907 tra via Po e via
Tevere25, ed altri vennero riportati alla luce nei decenni successivi, ma esso si presenta davvero
singolare per forma e dimensioni: la forma, ricostruita attraverso saggi di scavo (ma non certa
perché le costruzioni nuove soprastanti ne hanno impedito lo scavo integrale) è simile a quella di un
circo romano perfettamente orientato con asse maggiore nord-sud, costituito da un ovale allungato
di circa 21 x 7 m, con le due estremità più brevi l’una piana a sud e l’altra curvilinea a nord; le mura
sono conservate fino ad un’altezza di 7,5 m.
L’ipogeo era stato realizzato all’altezza di un bivio che si diparte dalla via Salaria in direzione
dell’odierna via di Porta Pinciana. Ad esso si accede per una scala, manufatto originale nelle ultime
due rampe, con accesso all’aula corrispondente all’estremità piana: da qui due gradoni a salire di
larghezza pari a quella dell’ipogeo portavano all’ambiente principale, ma ora il passaggio è chiuso
dal muro di sostegno dell’edificio soprastante, come chiuse sono due porte poste ad est della parete
di fondo; una terza porta si trova ad ovest, perfettamente rivestita in mattoni sui lati, la quale però
finisce contro la parete tufacea nella quale è stata scavata, come le due feritoie sovrastanti, ben
costruite ma di nessuna utilità, tanto da dare l’impressione di trovarsi di fronte alla falsa-porta
presente nelle mastabe egizie fin dalle prime Dinastie. Sul soffitto nell’angolo ad ovest si apre un
lucernario che giunge all’altezza del livello originario.
La sala nella parte oggi visibile ha una struttura complessa, divisa circa a metà da un arco e con al
centro una vasca di cui diremo più oltre: nella parete nord, situata sotto le scale di accesso e
separata dall’arco dall’altra metà della sala, è aperta una nicchia decorata con quadrati dipinti
imitanti il marmo numidico giallo con venature rossastre, ai lati della quale sono dipinte sullo
22
Questo “cerchio magico-rituale” era così costituito: tempio di Mars al I miglio sulla via Appia; sacrificio a Terminus
sulla via Laurentina al VI miglio (luogo forse coincidente con l’oppidum del Bronzo Finale dell’Acqua Acetosa
Laurentina); tempio di Minerva al I miglio della via Latina, collaterale dell’Appia (il tempio sembra essere collegato ad
una necropoli del VI secolo a.C.); rito di Fortuna Muliebris al IV miglio della via Latina; tempio di Fors Fortuna al I
miglio della via Campana (costruito da Servio Tullio); rito degli Ambarvalia condotato dagli Arvales al V miglio della
via Campana (o dell’Appia secondo STRABONE Geo V, 3, che lo localizza presso la località di Festi, nota anche come
Fossae Cluiliae, ove si accampò l’esercito degli Albani condotto dall’ultimo Re di Alba, Caio Cluilio, dove avvenne lo
scontro tra Orazi e Curiazi - vedi SMITH e WAYTE Dictionary); rito all’altare sotterraneo di Dis Pater al Terentum tra
la riva del Tevere e corso Vittorio Emanuele sulla via Triumphalis; sacrificio a Robigus al V miglio della via Claudia
(corrispondente all’inizio della via Flaminia odierna); lucus e fonte di Anna Perenna sulla via Flaminia nell’attuale
piazza Euclide (ritrovato nel 2000, con un ricco reperto di ex voto e tracce di rituali magici); tempio di Hercules sulla
via Tiburtina (presso la chiesa di S. Lorenzo fuori le mura); sacello o altare di Spes Vetus al I miglio della via
Prenestina (citato dagli Autori latini in relazione all’episodio di Orazio Coclite).
23
Descritto dal PARIBENI in Notizie degli scavi 1923 pp. 380 ss., da cui sono riportate le citazioni.
24
Notizie degli scavi 1897 p. 252: piccolo ipogeo a 8 m dal piano stradale.
25
Notizie degli scavi 1907 p. 12, 92 e 118.
4
sfondo di un paesaggio boscoso due immagini di una divinità femminile, comunemente identificata
come Diana, a sinistra come cacciatrice (dietro alla quale si vede una struttura che potrebbe essere
la cornice di una porta), con l’arco in una mano e l’altra mano ritratta mentre sta estraendo una
freccia dalla faretra, accompagnata da due cervi che sembrano in fuga, e a destra appoggiata ad
un’asta nell’atto di accarezzare la testa di un capriolo; la prima ha dimensioni maggiori avendo
avuto il pittore un più ampio spazio a disposizione. La semicupola della nicchia è adornata con
grande kantharos centrale disegnato a somiglianza di una fontana su vasca quadrata per la raccolta
dell’acqua, sul cui bordo sono posati due uccelli, mentre altri due sono per terra ai lati del vaso.
Così commenta il Paribeni le figure: “Gettata giù alla brava con rapide pennellate, un po'
sovrabbondante di toni rossi nelle vesti e nelle carni, fa l'impressione di una certa volgarità. Più
interessanti forse che le figure mi pare che siano le impressioni paesistiche, rese con disinvolta
bravura e con non comune spigliatezza, a macchie, con una tecnica larga da scenografo”.
Sulla base dell’arco che divide l’aula si trovano due decorazioni eguali: “la figura di un disco di
porfido [all’interno di quella di destra sembra di riconoscere la figura di un amorino], contornato da
una fascia di marmo bianco, la quale reca tutt'intorno un motivo a onde, pure in finto porfido”
(Paribeni), cioè il motivo “a riccioli” simboleggiante l’acqua e adoperato già nella ceramica antica.
Tra l’arco e la parete di fondo il dipinto prosegue verso l’angolo est (l’altro angolo non è visibile
per la posizione obbligata in cui si deve porre l’osservatore) con il disegno di un disco simile su
fondo di colore giallo-arancio, separato da una cornice (in marmo?) dallo zoccolo, che reca un
semplice motivo a cassettone.
Sullo zoccolo della parete ovest dal piede dell’arco verso la metà sud dell’aula si vede un altro
gruppo di dipinti: sono raffigurati “amorini in varie pose: un Amorino nudo, seduto su uno scoglio,
col corpo alquanto proteso in avanti, in atto di pescare con la lenza, un Amorino, ritto in piedi su
uno scoglio e col braccio destro levato, una barca con tre Amorini, due seduti, uno in piedi”
(Paribeni).
Sopra questi dipinti si trovano resti di una ricca opera a mosaico fatta di tessere vitree di cui
rimangono solo i piedi di un uomo in ginocchio e quelli di un secondo personaggio, di maggiori
dimensioni, in posizione eretta davanti ad una roccia da cui sgorga acqua. Si è voluto vedere nella
raffigurazione il miracolo di Mosè o di San Pietro, altri hanno pensato a Mithra, ma l’orlo della
tunica che indossa il personaggio più grande escluderebbe l’ipotesi in quanto Mithra è sempre
raffigurato con i pantaloni frigi e un corto mantello.
Davanti alla parete dipinta si trova una vasca di forma rettangolare non molto ampia (2,90 x 1,70 m)
ma notevolmente profonda (2,50 m), con un foro di emissione dell’acqua e un secondo di scarico

5
che manteneva il livello intorno a 1,40 m; è presente nell’angolo sinistro una saracinesca per lo
svuotamento rapido della vasca attraverso un cunicolo alto 1,90 m scavato nella roccia tufacea.
L’accesso alla vasca non è possibile, in quanto la scala formata da quattro gradini inizia a 1,15 m
dall’orlo ed inoltre la vasca è separata dalla sala da una transenna in marmo fissa, divisa in due da
un cippo riutilizzato appartenente ad un soldato della Legio I Adiutrix alia, per cui il suo impiego
rimane oscuro. Il piano della vasca è formato da lastroni riutilizzati, uno dei quali porta nel bollo il
monogramma costantiniano; il primo gradino di accesso è costituito da due lapidi sepolcrali, l’una
di un pretoriano della cohors X Terenti e l’altra, risalente al 150-20026, che commemora tre
pretoriani della centuria Piseni cohors IX (altre lapidi di pretoriani appartenenti alla stessa o altre
unità sono state trovate nell’area del sepolcreto salario).
Nella terra di scavo si rinvennero alcune monete, di cui le uniche leggibili erano attribuibili agli
Imperatori Graziano (367-383) e Maurizio Tiberio27 (582-602), il che fa pensare che il luogo rimase
in uso almeno fino all’inizio del VII secolo.

POSSIBILI INTERPRETAZIONI
Le conclusioni non possono essere attendibili e definitive, in quanto i dati disponibili sono
solamente quelli raccolti dal Paribeni e purtroppo non sono stati eseguiti ulteriori scavi, ed inoltre
alcuni elementi architettonici dell’ipogeo rendono difficile anche la comprensione del suo utilizzo.
Per quando riguarda la datazione possiamo ritenere che esso sia stato abbandonato in una data
successiva all’inizio del VII scolo, considerato il ritrovamento della moneta di Maurizio Imperatore,
e se fosse stato un luogo di culto gentile (e non come si ipotizza da alcuni riutilizzato come
battistero cristiano) esso forse fu chiuso violentemente come tanti altri luoghi di culto e in
particolare i mitrei, vista la presenza di statue femminili spezzate trovate sulle scale di accesso,
definite dal Paribeni come “statue sepolcrali di donne romane”, ma che, data l’assenza di iscrizioni,
potrebbero anche essere sacerdotesse o divinità imprecisate.
Per quanto concerne invece la data della sua costruzione per molte caratteristiche l’ipogeo come
oggi si presenta dovrebbe essere stato costruito nella seconda metà del IV secolo: l’opera muraria in
opus vittatum, la presenza di lapidi funerarie riutilizzate, indice di un dissacramento del precedente
sepolcreto anche in rapporto allo scioglimento del corpo dei Pretoriani da parte di Costantino, il
bollo di una delle lastre pavimentali della vasca con il cosiddetto monogramma costantiniano 28 e
infine il mosaico, in pasta vitrea e non in tessere di marmo, riportano a questa datazione.
26
Année Épigraphique AE 1924, 107.
27
Maurizio Tiberio fu Imperatore d’Oriente, nato in Cappadocia da una famiglia romana, fu dapprima Magister militum
sotto Tiberio II e sconfisse i Persiani nel 580, divenuto Imperatore fu deposto e assassinato dall’usurpatore Foca. È
venerato il 28 Novembre come santo dalla Chiesa Ortodossa greca come San Maurizio Imperatore.
6
Ma i particolari strutturali dell’ipogeo nel suo insieme forse raccontano una storia diversa.
Alcuni elementi architettonici richiamano l’attenzione per la loro irregolarità nell’insieme del
complesso: se si prende come asse centrale della sala la perpendicolare che va dalla nicchia della
parete nord all’arco che la separa dall’aula fino alla parete di fondo si nota subito il mancato
allineamento dell’abside e del dipinto della parete nord con l’aula e la vasca, che risultano
chiaramente spostati verso destra rispetto all’asse.
La pittura nell’angolo di destra della parete nord termina con una curvatura quasi verticalizzata a
differenza di quella dell’angolo opposto: questo potrebbe far pensare ad un taglio della parete per
mezzo di un muro, il che determina la minore altezza della figura dipinta su questo lato rispetto alla
controlaterale, con costruzione, o ricostruzione, dell’arco di divisione con altra ampiezza (esso
infatti almeno sul lato destro è in parte fabbricato con mattoni e opus cementicium, e la volta
soprastante sembra anch’essa costruita in cementizio e non scavata). A sua volta la vasca è in asse
con l’arco e l’aula ma non con il centro della parete nord, segnato dall’absidiola: altresì
apparentemente essa risulta inutilizzabile così come è stata trovata dal Paribeni, in quanto resa
inaccessibile dalle transenne marmoree e con i gradini che partono da 1,15 m dall’orlo.
Curiosa in ogni caso l’anomala disposizione dell’abside e dei dipinti della parete nord rispetto al
resto dell’aula se questi fossero contemporanei a tutta la struttura, il che potrebbe rapportarsi ad un
“qualcosa” che si troverebbe dietro la parete, a somiglianza di quanto si vede nella Nicchia dei
Pallii della basilica di San Pietro, la quale presenta uno spostamento dall’asse centrale per
combaciare con la tomba dell’Apostolo che si trova dietro il muro.
Ultimo dato da rilevare è la disparità di fattura tra i dipinti della parete nord e il mosaico: i primi
sono abbastanza rozzi ed elementari, come scrive il Paribeni nella citazione sopra riportata, pur con
un loro fascino che potremmo definire “impressionistico”, il mosaico è invece un’opera raffinata
per esecuzione e materiale adoperato, piccole tessere di pasta vitrea, il che indica due date distinte
per la loro esecuzione.
Questo può suggerire il susseguirsi di differenti fasi nella vita del complesso che possiamo così
ipotizzare:
- una “prima fase” più antica (ma impossibile dire a quale data risalga), in cui l’ipogeo
consisteva nella sala con la nicchia della parete nord, nicchia atta a contenere una statua di
dimensioni quasi al naturale data la sua altezza 1,80 m, e forse una prima vasca di raccolta
dell’acqua avente come uscita il cunicolo scavato nella roccia: in questa fase il luogo è
identificabile come un tempio sotterraneo, forse in rapporto con la funzione cimiteriale della

28
In realtà il “monogramma costantiniano” si ritrova in tombe cristiane della Palestina fin dal II secolo, come osserva
padre E. Testa nel suo cospicuo saggio sul simbolismo giudeocristiano.
7
zona e connesso alla sacralità delle acque, forse con significato purificatorio. Non possiamo
dire se si trattasse di una sorgente sotterranea considerata sacra o di acqua addotta
dall’esterno dell’aula, perché il foro di immissione che sporge sotto l’absidiola non è stato
esplorato;
- ad una “seconda fase” apparterrebbero i dipinti delle due Diane: questa fase avrebbe
comportato una ricostruzione di tutto l’ambiente con l’ampliamento a forma di circo
romano, la ristrutturazione della parete nord e l’edificazione dell’arco che riduce la
larghezza della parete nord e la divide dal rimanente della sala, arco che risulta non scavato
nel tufo ma costruito in mattoni almeno nella sua parte di destra. In questa fase, ancora di
appartenenza alla religione gentile, il luogo potrebbe essere stato dedicato a una divinità
femminile, forse una “Diana delle acque”29 (visto il legame tra Diana, solo tardivamente
identificata con la Luna, e le acque30); forse risale a questa fase l’attuale vasca pavimentale,
fuori asse rispetto all’absidiola originale, lo scavo dei due annessi ad est e un iniziale
ampliamento anche ad ovest, mai portato a termine. Questa ipotesi sembra confortata dalla
minore dimensione della figura di destra, se essa è stata dipinta quando già la parete era stata
ridotta dalla costruzione dell’arco.
- infine una “terza fase” di cristianizzazione del luogo forse come battistero, considerato il
soggetto del mosaico, Mosè o Pietro, di stretta pertinenza cristiana di contro alle due figure
della divinità cacciatrice. A questa fase apparterrebbero la ripavimentazione della vasca con
la lastra col simbolo costantiniano, il riutilizzo delle lapidi sepolcrali e il successivo divieto
di accesso alla vasca con le transenne fisse.
Rimane il mistero della vasca: il suo asse corrisponde a quello della sala e dell’arco che la divide in
due e quindi sembra appartenere a quella che abbiamo chiamato “seconda fase”, ma i gradini che vi
scendono iniziano ad oltre un metro dalla pavimentazione attuale, rendendone impossibile
l’utilizzo. Le tubazioni di adduzione e di deflusso dell’acqua e la saracinesca per lo svuotamento
rapido sono indice di un reale utilizzo di essa, che era stata progettata con la profondità che ora
vediamo: dobbiamo supporre che vi siano altri gradini nascosti sotto l’attuale pavimento dell’aula e
che siano stati obliterati quando l’uso rituale della vasca venne sospeso durante o alla fine della
“terza fase”? Si tratta solo di un’ipotesi, in quanto non sono stati effettuati saggi sotto la
pavimentazione della sala o sulla parete dei gradini, però sarebbe l’unica spiegazione possibile per
un manufatto altrimenti incomprensibile.
29
Nel 1898 le Notizie degli scavi p. 238-240 descrivono un pozzo votivo trovato ad Arezzo nei pressi della cattedrale, al
cui fondo vennero trovati i crani di un vitello e di un cervo molto probabilmente come sacrificio di dedicazione a quella
che l’autore chiama Diana fluvialis.
30
Si veda di GALIANO e VIGNA Diana e Apollo – la Selva e l’Urbe, ed. Simmetria Roma 2015.
8
In ogni caso, il transennamento della vasca potrebbe significare che essa era tenuta come locus
religiose septus e potrebbe essere interpretato in due modi: o in relazione alla “seconda fase”, in cui
la camera ipogea della “prima fase” era divenuta un luogo di alta sacralità fondato su di un culto che
aveva nella nicchia e nella statua che probabilmente era contenuta in essa il suo centro, oppure
potrebbe risalire alla fine della “terza fase”, come ricordo della presenza dell’apostolo Pietro
nell’ipogeo, come suggeriva a suo tempo il Wilpert, ritenendo che in esso dovesse riconoscersi la
località ad nymphas sancti Petri, località oggi riconosciuta proprio nella zona della via Salaria ma
presso il cimitero di Priscilla 31. L’ipotesi di Wilpert però farebbe retrodatare la prima fase
dell’ipogeo ai primi decenni del I secolo, considerando la data della morte di Pietro sotto Nerone.
Se il luogo fosse stato davvero riusato dai cristiani, il pavimento antistante la vasca potrebbe essere
stato innalzato nell’ultima fase in modo da chiudere l’accesso ad essa, considerato l’alto significato
di memoria sancta, se davvero in quel luogo aveva battezzato Pietro: le due versioni che vogliono il
battistero ad nymphas sulla Salaria o sulla Nomentana risalgono ambedue al VI secolo, segno
dell’incertezza già a quell’epoca di coloro che hanno scritto sull’argomento, e sembrano significare
la definitiva cessazione dell’utilizzo del luogo e la perdita della memoria di esso in un periodo
corrispondente alla datazione, inizio VII secolo, della moneta dell’Imperatore Maurizio ritrovata
negli scavi.

In conclusione, se fosse valida la nostra ipotesi delle tre fasi dovremmo pensare ad un ipogeo
costituito da una piccola sala ed una nicchia con la statua di un Dio o una Dèa a noi sconosciuti (in
rapporto con Silvano?) avente i caratteri di un luogo di purificazione per mezzo dell’acqua,
successivamente ampliato e dedicato ad una “Diana delle acque” e in terzo tempo riadattato a
battistero cristiano.
Al di là di possibili interpretazioni, comunque necessitanti di una più ampia campagna di scavo per
chiarire i numerosi punti controversi, ciò che va rilevato è l’importanza di un luogo che con il
passare dei secoli ha mantenuto intatta la sua sacralità come “luogo delle acque”, forse prolungando
nel tempo un rituale arcaico che ora sfugge alla nostra conoscenza.

31
Si veda Catholic Encyclopedia sub voce. Una diversa localizzazione è contenuta nella leggenda dei martiri Papia e
Mauro (Acta SS. Jan. II, p. 7), da cui risulta l'esistenza di un Cymiterium ad nymphas sulla via Nomentana: “Quorum
Corpora collegit noctu Iohannes Presbyter et sepelivit in via Numentana, sub die quarto calendarum februariarum, ad
Nymphas B. Petri, ubi baptizabat”.

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