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2019-2020
6. ANALISI DEL CONTESTO MACROECONOMICO
IN CUI OPERA L’IMPRESA:
COME SI FORMANO OPERATIVAMENTE LE ASPETTATIVE
Le aspettative dei mercati finanziari si formano attraverso l’interpretazione dei messaggi delle Banche
Centrali e l’analisi dei dati macroeconomici che giornalmente vengono pubblicati.
Un esempio relativo al primo aspetto è presentato di seguito considerando il periodo successivo alla crisi
finanziaria globale del 2007-2008. Dopo un’analisi delle cause di quella crisi, valuteremo l’evoluzione del
comportamento delle Banche Centrali. Per stabilizzare il sistema economico e ridurre gli effetti devastanti di
una crisi senza precedenti hanno prima utilizzato gli strumenti convenzionali di politica monetaria, poi quelli
non convenzionali come il ‘quantitave easing’. Il comportamento delle Banche Centrali si è modificato
via via che gli effetti diretti di politica monetaria si sono esauriti. Se all’inizio tendevano a subire gli
effetti indiretti dovuti alle aspettative dei mercati, in un secondo momento li hanno volutamente
utilizzati perché erano gli unici ancora in grado di agire sull’economia. E’, quindi, diventato
importantissimo capire il linguaggio delle Banche Centrali perché attraverso i loro comunicati guidano le
aspettative di mercato e di conseguenza l’economia.
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Organizzazione della BCE 3 organi
- Consiglio Direttivo (Governing Council) è composto dai 6 membri del Comitato esecutivo + i
Governatori delle Banche Centrali nazionali; ha funzione di formulare la politica monetaria comune e le
direttive di implementazione; dal 2016 anche la BCE si riunisce in base ad un calendario prestabili
- Comitato Esecutivo (Executive Board) è composto da 6 membri: il Presidente (attualmente Lagarde da
11/2019) + il vice presidente + 4 esperti; ha funzione di attuare la politica monetaria impartendo le
istruzioni alle banche centrali nazionali.
- Consiglio Generale (General Council) è composto dal Presidendte + Vice Presidente + 15
Governatori delle banche centrali nazionali dell’Unione Europea (include 4 Paesi che non fanno ancora
parte dell’Unione Monetaria); ha funzione consultiva e di monitoraggio
Le decisioni della BCE sono prese in base a votazioni a maggioranza semplice, in cui ogni membro ha un
voto, indipendentemente dalla dimensione economica (Pil) del singolo Paese, per evitare che i singoli
governatori rappresentino interessi specifici di un Paese. Da gennaio 2015 è stato introdotto un sistema di
rotazione dei votanti al Consiglio Direttivo, per cui il principio “un membro, un voto” si applica agli aventi
diritto nel momento specifico. I trattati dell’Unione europea prevedevano l’applicazione del sistema di
rotazione non appena il numero dei governatori fosse risultato superiore a 18; questa condizione si è
realizzata il 1° gennaio 2015 con l’ingresso della Lituania nell’area. Di fatto tutti gli Stati dell’area
partecipano al Consiglio Direttivo con possibilità di intervenire al dibattito, ma non tutti hanno sempre il
diritto di voto. Il sistema di rotazione prevede che i governatori delle banche centrali nazionali siano
suddivisi in due gruppi; a questo fine i Paesi dell’Area Euro sono ordinati in base alle dimensioni delle loro
economie e dei loro settori finanziari. I governatori dei Paesi che occupano dalla prima alla quinta posizione
(attualmente Germania, Francia, Italia, Spagna e Paesi Bassi) dispongono collettivamente di 4 voti, mentre
tutti gli altri condividono 11 voti. La rotazione è su base mensile (a differenza della Fed in cui la rotazione è
annuale).
Come comunica la BCE
- Le riunioni del Consiglio Direttivo in cui decide gli interventi sui tassi
- Tiene una conferenza stampa al termine delle riunioni e risponde alle domande dei giornalisti
- La pubblicazione delle minute
- Varie interviste ai membri del direttivo
- Pubblica il Bollettino Mensile in cui espone la situazione macroeconomica dell’area
8,0
6,0
4,0
2,0
0,0
90 92 94 96 98 00 02 04 06 08 10 12 14 16 18 20
FEDFUND
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Questi due elementi hanno favorito il crearsi di una bolla speculativa nel settore edilizio. La lunga fase
positiva di crescita dell’economia americana degli anni ’90 unita alla successiva fase di tassi d’interesse
particolarmente bassi ha creato le condizioni per un boom del settore immobiliare.
I bassi tassi sui mutui nel periodo 2001-2004 avevano reso conveniente l’acquisto di case. La forte domanda
di case ne aveva aumentato il prezzo.
La fase prolungata di tassi bassi ha permesso che
1) i prezzi delle case raggiungessero livelli insostenibili.
2) si prendesse a prestito sempre di più e per periodi di tempo sempre più lunghi spingendo le rate
d’interessi sui mutui a percentuali molto elevate di reddito. I mutui furono concessi a fronte di garanzie
ipotecarie sopravvalutate.
Verso la fine del 2004 è iniziato un periodo di rialzo dei tassi da parte della Fed rendendo più difficile il
pagamento delle rate (mutui a tasso variabile). Il rapido deterioramento dell’affidabilità (capacità di rimborso
del debito) di chi aveva contratto un mutuo ha portato al collasso della bolla speculativa. Il crollo dei prezzi
delle case ha lasciato scoperte le banche che avevano concesso i mutui. La richiesta di nuove garanzie ha
alimentato ancor più l’insolvenza. Si è innescata una spirale negativa nel settore edilizio.
Dalla crisi del settore edilizio a quella del credito (credit crunch)
Le banche che avevano concesso i mutui si erano coperte dal rischio di credito (rischio d’insolvenza della
controparte a cui si è prestato denaro) con i CDO, ripartendo il rischio tra molti investitori che erano stati
attratti dall’alto rendimento di questi strumenti finanziari (maggiore rispetto ad altre obbligazioni). Essendo
stati acquistati dalla maggior parte degli operatori finanziari americani e internazionali, il rischio di credito
ha varcato i confini americani.
Il massiccio utilizzo dei CDO e di altri derivati del credito è stato la causa principale della crisi
finanziaria. Come abbiamo visto nel capitolo 1, i CDO hanno generato liquidità perché potevano essere dati
in garanzia.
Il problema fu che il prezzo dei CDO non si formava in base ad un normale processo di domanda e
offerta (mancava un mercato secondario), ma in base alla valutazione delle agenzie di rating sul grado di
affidabilità di ciascun gruppo di clienti iniziali della banca. Pertanto, la probabilità che il prezzo dei CDO si
discostasse da quello effettivo, era molto alta. Se ci fosse stato un mercato secondario dei CDO, il loro
prezzo si sarebbe aggiustato automaticamente in base al rischio di insolvenza delle famiglie. Quest’ultimo, a
partire dalla fine del 2004 aumentò a causa della serie di rialzi dei tassi d’interessi decisi dalla Federal
Reserve che ha reso più onerose le rate dei mutui. Le agenzie di rating avrebbero dovuto ridurre il
prezzo dei CDO a fronte di un rischio più elevato, ma non l’hanno fatto. La mancanza di un mercato
secondario sui CDO ha impedito che il loro prezzo si adeguasse progressivamente alle nuove
condizioni di rischio. L’adeguamento è avvenuto tutto in una volta quando l’insolvenza era diventata
un fenomeno così su larga scala da rendere oramai invendibili i CDO: con il collasso della bolla
speculativa nel settore edilizio, avevano perso gran parte del loro valore diventando illiquidi. Più si tentava di
venderli più perdevano di valore. In prossimità della chiusura di bilancio a fine 2007 la maggior parte delle
banche è stata costretta a svalutazioni in bilancio che hanno intaccato il sistema finanziario nel suo
complesso. Nessuno era più disposto ad assumersi il rischio ‘controparte’.
In alcuni casi le svalutazioni di bilancio hanno messo in discussione la vita stessa della società finanziaria
portandola alla bancarotta (a fronte di un passivo invariato, l’attivo si era fortemente ridimensionato).
Il timore diffuso tra le banche che potessero essere in dissesto finanziario aveva innescato una crisi di
sfiducia generalizzata. Le banche non erano più disposte a prestare liquidità ad altre banche ed erano
più restìe a prestare a imprese/consumatori e se prestavano, lo facevano a tassi più alti. L’aumento del
costo di finanziamento per le imprese/consumatori ha avuto un impatto negativo su
investimenti/consumi e una conseguente recessione globale.
In sostanza, prima della crisi del 2007-2008, il sistema aveva potuto contare su di un supplemento di
liquidità vendendo oltre che crediti anche un rischio di insolvenza ad un prezzo fittizio (basso) fissato
dalle agenzie di rating. Il fenomeno ha raggiunto proporzioni tali che ha generato un’inusuale bolla
speculativa nel mercato dei collaterals (garanzie) basata su un eccesso di offerta e non su un eccesso di
domanda. In genere una bolla speculativa si crea quando tutti vogliono acquistare un bene e l’eccesso di
domanda ne aumenta il prezzo a dismisura. Nel caso dei collaterals si è generato un eccesso di offerta che ne
ha annullato il prezzo. Nessun tipo di garanzia è stata più accettata perché la diffusione capillare attraverso i
CDO del rischio di insolvenza ne aveva azzerato il valore. Gli unici titoli accettati in garanzia erano
rimasti quelli dello Stato.
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Lo scoppio di questa inusuale bolla ha tolto improvvisamente liquidità al sistema, portando al collasso
del mercato interbancario all’inizio di settembre 2008. Non vi era più nessuno scambio in tale mercato.
Il grafico 6.1b mette in evidenza gli effetti di questa mancanza di liquidità nel mercato interbancario, con
l’allargamento dello spread Euribor-Refi senza precedenti.
GRAFICO 6.1b
UE: NOMINAL INTEREST RATES (Monthly data)
6
-1
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Le banche che avevano fondi a disposizione preferivano darli in deposito presso la Banca Centrale ad un
tasso Refi meno 100 punti base, piuttosto che prestarli ad altre banche. Le banche che avevano necessità di
fondi non avevano garanzie da dare in cambio perché queste avevano perso di valore. Queste sono state
costrette a vendere tutto ciò che poteva generare liquidità immediata. Vendevano azioni detenute in
portafoglio, causando il tracollo anche del mercato azionario. Vendevano le posizioni in cambi, causando un
apprezzamento del $, nonostante i maggiori rischi di recessione statunitensi rispetto a quelli europei, dal
momento che queste posizioni erano prevalentemente in Euro perché il precedente periodo di stagflazione
con tensione sui prezzi petroliferi aveva indebolito il $ (correlazione positiva tra prezzo del petrolio e $).
Compravano titoli di Stato perché erano gli unici accettati in garanzia, causandone un forte aumento dei
prezzi (calo dei rendimenti).
Le Banche Centrali per arginare la crisi hanno usato tutti gli strumenti convenzionali a loro
disposizione, tranne il coefficiente di riserva obbligatoria per evitare che la sfiducia tra banche si
trasmettesse anche alla clientela generando una ‘corsa agli sportelli’.
L’8 ottobre, al di fuori di qualsiasi riunione di Banche Centrali, la decisione di un taglio di 50 punti base
coordinato tra FED, BCE ed altre 4 Banche Centrali, non ha avuto effetti.
Soltanto l’intervento coordinato dal G7 deciso a metà Ottobre 2008 che garantiva tutti i depositi
bancari e utilizzava i fondi governativi per acquistare non più solo titoli spazzatura, ma anche e
soprattutto capitale delle principali banche, sembrava aver ridato fiducia. Lo Stato è entrato
temporaneamente a far parte dei bilanci bancari, acquistando gran parte del sistema.
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Questo, però, a sua volta ha generato un eccessivo indebitamento dei Governi e quindi alla crisi del debito
sovrano del 2010/2011 con epicentro nella zona Euro. Il rischio di default di Grecia e altri Paesi dell’Area
Euro ha intaccato di nuovo il sistema bancario internazionale (anche quello americano) perché le banche
sono i maggiori possessori di titoli di Stato. Le svalutazioni di bilancio in caso di default di un Paese (non
ripagando il debito, i titoli di Stato nel bilancio delle banche valgono di meno) hanno innescato una nuova
crisi di fiducia tra banche. L’impatto non si sarebbe limitato solo all’area Euro, ma all’intero sistema
finanziario, in particolare se a dichiarare default fosse stata l’Italia, per la grande presenza di titoli di Stato
italiani nei portafogli a livello globale.
Inoltre nel 2012 scadevano molte obbligazioni di banche europee e le condizioni di rinnovo sarebbero state
molto più onerose in un mercato sull’orlo di un credit crunch (crisi di credito).
L’intervento della BCE a dicembre 2011 con le due operazioni di mercato aperto a lungo termine
(LTRO) (3 anni) al tasso REFI dell’1% (una a dicembre 2011 e l’altra a febbraio 2012) ha garantito
liquidità alle banche ad un tasso minimo evitando una pericolosa spirale negativa: in assenza di questo
intervento le banche non potendo riemettere nuove obbligazioni (se non a costi molto elevati) avrebbero
chiuso i prestiti a imprese e famiglie, generando effetti ancora più negativi sull’economia già in recessione a
causa delle politiche di bilancio restrittive approvate dai Governi per far fronte alla crisi del debito sovrano.
Riprendendo l’analisi sugli effetti degli interventi delle Banche Centrali svolta nei cap. precedenti, valutiamo
gli effetti sull’economia delle mosse di Draghi utilizzando il modello IS-LM, cercando di comprendere
quanto sia importante interpretare i messaggi delle Autorità. Alcuni interventi sono già stati analizzati, ma
rivediamoli conoscendo ora lo scenario macroeconomico e la teoria delle aspettative.
Dal capitolo 4 abbiamo imparato che se è solo un annucio avrò effetti indiretti sull’economia dovuti
alle aspettative, se si tratta di un’implementazione effettiva avrò effetti diretti.
- Anti-spread Auction nel settembre del 2012. (Vedi cap.3) Draghi è riuscito a far passare la nuova linea di
acquisto di titoli da parte della BCE, nonostante ciò sia vietato dallo Statuto, per due motivi: 1) ha limitato
gli acquisti a titoli con scadenza a 3 anni, quindi rientrano nelle operazioni ordinaria di gestione della
liquidità; 2) ha ribadito che l’obiettivo dell’operazione è la salvaguardia dell’Euro e non salvare gli Stati in
dissesto finanziario. Lo scudo anti spread ha avuto effetti sulle aspettative con uno restringimento dello
spread tra BPT-Bund di 100 punti base.
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Anti-spread Auction Ad oggi è stato solo un annuncio: nessuno Stato ha fatto richiesta
esplicita di aiuto alla BCE M invariata nessun effetto diretto.
Tuttavia il semplice annuncio ha ridotto di 100 pb lo spread BTP-BUND sul decennale
diminuisce l’inclinazione della curva dei rendimenti a parità di M, aspettative di tassi d’interesse
in diminuzione in futuro ↓re IS verso destra
↑ Y Effetto indiretto espansivo dovuto solo alle aspettative dei mercati.
- Il tasso di riferimento può scendere sotto l’1%. A fine 2013 è stato portato a 0.25% e la BCE ha
annunciato più volte che se sarà necessario lo porterà a zero. A marzo del 2016 è sceso a 0.
Il Refi può scendere sotto l’1% se è solo un annuncio M invariata nessun effetto
diretto. Tuttavia aspettative di tassi d’interesse in diminuzione in futuro diminuisce
l’inclinazione della curva dei rendimenti ↓re IS verso destra
↑ Y Effetto indiretto espansivo dovuto solo alle aspettative dei mercati.
Se è un effettivo intervento come quelli del 2013 e 2014 ↓ il Refi ↑ M LM verso destra
↑ Y Effetto diretto espansivo.
- Nell’aprile del 2014 Draghi ha dichiarato che se permarranno i rischi di deflazione, ricorrerà al Quantitave
Easing, segnando una vera svolta nel comportamento della BCE.
- Nel gennaio 2015 ha annunciato un QE a partire da marzo che prevedeva acquisto di titoli di Stato per
60 mld euro mensili fino a settembre 2016 o comunque fino a quando servirà a sconfiggere la
deflazione.
- Nel marzo del 2015 ha implementato il QE annunciato in precedenza.
Quantitave Easing finchè è stato solo un annuncio M invariata nessun effetto diretto.
Tuttavia la sorpresa della svolta nel comportamento della BCE su strumenti non convenzionali ha
ridotto l’inclinazione della curva dei rendimenti aspettative di tassi d’interesse in
diminuzione in futuro ↓re IS verso destra
↑ Y Effetto indiretto espansivo dovuto solo alle aspettative dei mercati.
Da marzo 2015 essendo diventato effettivo M aumenta LM verso destra
↑ Y Effetto diretto espansivo
- Nell’ottobre del 2017 ha dimezzato il QE da 60 mld di euro a 30 mld mensili perché la deflazione è
stata superata ed il ciclo economico dell’Area Euro ha ricominciato a crescere. Attenzione: non è un
Tapering perché non si tratta di un programma di riduzione con una data di fine del QE; è un
intervento isolato per cui non muove le aspettative.
Dimezzamento QE ↓ M LM verso sinistra
↓ Y Effetto diretto restrittivo
Perché Draghi ha sottolineato più volte che non è un tapering? Voleva limitare l’effetto restrittivo perché
l’economia cresceva, ma non in modo importante (confronta con il tapering della Fed – vedi analisi
seguente)
- Nel Dicembre del 2018 ha concluso il QE, ma ha dichiarato che l’effetto espansivo permarrà perché
continuerà a reinvestire i titoli in scadenza che ha in portafoglio, acquistati precedentemente con il
QE.
Reinvestimento titoli in scadenza ↑ M LM verso destra
↑ Y Effetto diretto espansivo
Dall’altro lato dell’Atlantico, l’atteggiamento della Fed è stato, fin da subito dopo la crisi del 2008, molto più
aggressivo e innovativo, ricorrendo allo strumento non convenzionale del Quantitave Easing e guidando le
aspettative del mercato per ottenere effetti indiretti sull’economia. Questo ha portato ad una crescita
economica positiva anche se moderata e ad una inversione nella politica monetaria da
espansiva/accomodante a restrittiva con un rialzo dei tassi di riferimento di 25 punti base a dicembre del
2015 e successivi nel 2016 e 2017.
L’inversione di tendenza della politica monetaria da parte della Fed è stata preparata con le seguenti mosse:
- In settembre 2013 ha ammonito i mercati che l’abbondante liquidità non sarebbe rimasta nel sistema
indefinitamente.
- In novembre 2013 e nelle riunioni successive ha effettuato un Tapering, cioè un ridimensionamento di
10 miliardi di $ al mese del QE3 (partendo da un QE3 di 85 miliardi al mese).
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L’ammonimento di settembre 2013 ai mercati che la liquidità potrebbe diminuire in futuro non
ha generato nessun effetto diretto (M invariata), ma ha agito sulle aspettative dei mercati che si
attendevano una politica monetaria restrittiva in futuro
↑re IS verso sinistra ↓ Y Effetto indiretto restrittivo dovuto alle aspettative.
L’effettiva riduzione del QE3 a partire dal novembre del 2013 ed il fatto che si sarebbe
ripetuto fino ad esaurimento del QE3 (10 miliardi di $ al mese in meno a partire dagli 85
miliardi iniziali) ha generato l’aspettativa di 8 mosse fino a dicembre 2014 ed un aumento dei
tassi di riferimento a partire dalla primavera del 2015 sia effetto diretto che indiretto
↓ M LM verso sinistra ↓ Y Effetto diretto restrittivo dovuto al Tapering
↑re IS verso sinistra ↓ Y Effetto indiretto restrittivo dovuto alle aspettative di rialzo tassi
Effetto doppiamente restrittivo, uno diretto sovuto alla effettiva ↓ M, l’altro indiretto dovuto alle
aspettative, a differenza dell’intervento di Draghi dell’ottobre del 2017
- In settembre 2017 ha iniziato l’exit strategy. Tuttavia, non si è trattato di vendita di titoli. Il processo di
normalizzazione della politica monetaria ha implicato una riduzione graduale dei titoli in portafoglio
mediante reinvestimenti decrescenti di quelli in scadenza, precedentemente acquistati con il QE. Si
sarebbero reinvestiti soltanto quelli eccedenti il tetto iniziale di 10 miliardi di dollari mensili, poi
progressivamente portato a 50 a regime (da ottobre del 2018). E’ interpretata dai mercati finanziari come
una politica monetaria restrittiva anche se più soft rispetto alla vendita vera e propria
Exit Strategy parziale ↓ M LM verso sinistra ↓ Y Effetto diretto restrittivo
DATI ANNUALI
I dati annuali ci danno informazioni su di un Paese dal punto di vista del lungo periodo, quindi è
meglio considerare il periodo + lungo possibile in cui i dati sono disponibili
I siti web dove è possibile trovare dati macroeconomici per Usa ed Europa sono:
www.bea.gov sito web per dati USA
www.ec.europa.eu/eurostat e www.ecb.int siti web per dati dell’area Euro
4,3
16000
14000 1,6
12000
-1,1
10000
-3,8
8000
87 90 93 96 99 02 05 08 11 14 17 20
USA -6,5
87 90 93 96 99 02 05 08 11 14 17 20
- Confronto con altri Paesi simili può essere utile per determinare se un punto di massimo o di minimo
della crescita di un Paese è dovuto ad un contesto internazionale o a caratteristiche prettamente interne
al Paese che si sta considerando. Esempio: il Grafico 6.2 mostra la crescita del Pil nelle tre macro-aree
Usa-Europa-Giappone. Dal grafico si può vedere come la crisi del 2001, iniziata con una fase di
debolezza del ciclo economico americana in giugno ed intensificata in settembre con l’attacco alle Torri
Gemelle da parte di Osama Bin Laden, si sia estesa alle altre due macro-aree ed abbia quindi
caratteristiche globali. Così pure la debolezza del ciclo economico del 2007-2008. La crisi americana
del 1991 (guerra del Golfo) si è trasferita con ritardo all’Europa e Giappone nel 1993 contribuendo alla
crisi del sistema monetario europeo avvenuta in quell’anno. Al contrario, la crisi asiatica del 1998 ha
avuto più caratteristiche locali: a fronte di un forte rallentamento del ciclo in Giappone colpito dalla
concorrenza delle altre valute asiatiche (attacchi speculativi avevano imposto forti svalutazioni in
Malesia, Indonesia ed altri Paesi dell’area), Usa ed Europa hanno continuato a crescere.
Il grafico 6.2 mostra infine un altro aspetto importante: a partire dal 2000-2001 (creazione dell’Euro) i
cicli economici delle tre macro-aree sono molto più sincronizzati rispetto al passato.
Nel 2011-2013 Usa e Giappone si sono stabilizzati intorno ad una crescita annuale dell’1.5-2%, mentre
l’area Euro con la crisi del debito sovrano nel 2011 è ritornata in recessione.
Nel 2016/2017 l’area euro ha ricominciato a crescere intorno all’1.5% grazie alla politica monetaria
aggressiva di Draghi che con il QE ha dimostrato esiti positivi.
Componenti del PIL Consumi, Investimenti, spesa pubblica (queste 3 componenti rappresentano il
canale interno di crescita del PIL), Esportazioni e importazioni (canale estero). (Vedi dati trimestrali)
Vediamo un esempio di analisi dei conti pubblici: la crisi del debito sovrano del 2011-2012.
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Nell’area Euro, il Trattato di Maastricht e il Patto di Stabilità impongono il 3% di rapporto deficit/Pil e il
60% di rapporto debito/PIL.
Dalla Tabella 6.1, nel 2009 la Grecia aveva un rapporto deficit/Pil pari a 15,2% e un rapporto
debito/Pil pari a 127%. Tali dati emersero nell’Aprile/Maggio del 2010 quando Eurostat, l’istituto di
statistica europeo, in seguito ad un controllo delle procedure di rilevazione, scoprì delle irregolarità
per la Grecia. Questo generò in quel periodo forti turbolenze nei mercati finanziari per timori di
default della Grecia (incapacità di ripagare il debito pubblico). In seguito, il problema divenne molto più
generale, perché i mercati finanziari cominciarono a temere anche il rischio di un contagio ad altri Paesi
dell’area, come Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia generando nel 2011/2012 la crisi del debito sovrano
nell’intera zona euro.
E’ bene sottolineare che inizialmente un vero rischio contagio non esisteva. La Spagna per esempio, aveva
un rapporto deficit/Pil pari a 11%, ma il rapporto debito/Pil era al 53%, al di sotto del limite imposto dal
Trattato di Maastricht.
Al di fuori dell’Area Euro, gli Stati Uniti, il Giappone e l’Inghilterra avevano lo stesso problema di debito
pubblico: la tabella 6.1, infatti, dimostra che il rapporto deficit/Pil era al di sopra del 10% per tutti e tre e
dalla tabella 6.2 intorno all’8% rispetto al Pil potenziale nel 2009.
In sostanza, i dati aggregati dell’area Euro erano migliori di quelli di Usa, Giappone e UK: il rapporto
deficit/Pil era 6,3% e quello strutturale 4,7%.
Se si considerano altre due statistiche, come il saldo delle partite correnti e il tasso di risparmio delle
famiglie, la conclusione è la stessa. Un alto deficit delle partite correnti implica una situazione più rischiosa
(perché lo Stato oltre ad essere indebitato per avere emesso titoli, ha anche debito verso l’estero per aver
importato di più di quanto esportato). Un alto tasso di risparmio delle famiglie implica una situazione più
favorevole perché in questo caso, lo Stato dipende meno dagli afflussi di capitale straniero, i quali fuggono
molto più rapidamente in caso di crisi del debito.
L’Area Euro ha le partite correnti rapportate al PIL pressoché in equilibrio e un tasso di risparmio delle
famiglie molto alto (circa il 9%), più alto del Giappone per esempio dopo l’inversione di tendenza verso la
fine degli anni ‘90.
Quindi, perché la speculazione si concentrò sull’Area Euro? Possiamo pensare che, essendo i mercati
finanziari guidati principalmente da grandi fondi d’investimento americani, si sia cercato di spostare
l’attenzione in Europa per distoglierla dal problema di elevato debito pubblico statunitense (nell’agosto del
2011 il Congresso americano ha dovuto innalzare la soglia di indebitamento per evitare il default degli Stati
Uniti e gli Usa hanno perso il rating di tripla A sul debito. Da quella data hanno aumentato la soglia
ripetutamente). Tuttavia, non va dimenticato che la creazione dell’euro è un processo incompleto di
integrazione perché non esiste un organismo sovranazionale per la politica fiscale, equivalente alla Banca
Centrale Europea per la politica monetaria. Perciò l’Area Euro si presenta più vulnerabile rispetto ad
altri Paesi come USA o Giappone. Ed è per questo che l’intensificarsi della crisi del debito nel
2011/2012 ha portato al ‘fiscal compact’ tra i Paesi dell’area Euro (Vedi cap. 5). In sostanza si è
cercato di colmare la mancanza di una politica fiscale comune.
Si noti che il rapporto al di sopra del 200% per il Giappone è sostenibile grazie all’ampio surplus delle partite
correnti. Infine, in Italia il tasso di risparmio delle famiglie pur scendendo dal 22% degli anni ’90 al 10%
degli anni 2000, è rimasto elevato al pari di quello della Germania fino al 2010. Per questo nella prima fase
della crisi del debito, l’Italia non era stata inclusa tra i Paesi a rischio. Solo nel 2012 si è praticamente
dimezzato ed è stato il frutto della speculazione.
L’analisi precedente dei conti pubblici mette in evidenza come le aspettative dei mercati finanziari siano
diventate molto più importanti rispetto al passato, perché possono condizionare lo scenario macroeconomico
ed avere un impatto rilevante sull’economia alla pari, se non anche di più, degli interventi di politica
economica decisi dalle Autorità. Benché inizialmente, con lo scoppio del caso Grecia, non ci fosse un
rischio effettivo di default negli altri Paesi dell’Area Euro, le aspettative hanno portato a forti aumenti
dei rendimenti dei titoli di Stato e quindi ad autoalimentare una spirale negativa di crisi del debito
sovrano nell’intera area. Alti rendimenti significano più debito pubblico, più debito pubblico significa
più rischio di default.
Solo con lo scudo anti-spread definito da Draghi nel settembre del 2012 si sono rafforzate le difese
dell’Area Euro contro la speculazione.
DATI TRIMESTRALI
I dati trimestrali ci danno informazioni su di un Paese dal punto di vista del breve termine, per cui è
meglio focalizzare l’analisi sul periodo più recente di disponibilità dei dati.
Il grafico 6.3 che mette a confronto il Pil reale di USA, Area EURO e Giappone utilizzando i dati trimestrali
dà l’informazione aggiuntiva sugli eventuali punti di massimo e di minimo del ciclo durante l’anno rispetto
al grafico 6.2, che considerava i dati annuali. Si può verificare per esempio che anche se la crisi del 2008 ha
avuto origine negli Stati Uniti, ha generato una recessione più ampia in Giappone, perché è un Paese che
basa la sua crescita principalmente sulle esportazioni.
3,0
4,3
0,0
1,6
-3,0
-1,1
-6,0
-3,8
-9,0
-6,5
87 90 93 96 99 02 05 08 11 14 17 20 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
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Inoltre, si può notare come gli Usa siano usciti dalla crisi in modo duraturo, mantenendo un passo di crescita
modesto ma continuo nel tempo (intorno al 2%). L’Area Euro, dopo una prima ripresa, è ripiombata nel 2012
in recessione a causa della crisi del debito sovrano, che ha imposto politiche fiscali restrittive non
compensate dall’atteggiamento della BCE, molto più prudente della Fed, in termini di politica monetaria
espansiva. Solo nel 2016 si intravedono segnali di ripresa e nel 2017 finalmente ha registrato una crescita
intorno al 3%. Dalla seconda metà del 2018 il ciclo economico ha però iniziato ad indebolirsi nuovamente a
causa della guerra dei dazi attuata da Trump, che ha come effetto il ridimensionamento del commercio
internazionale
Si possono considerare i dati trimestrali per conoscere le caratteristiche della crescita. L’analisi delle
componenti del Pil [Consumi, Investimenti, spesa pubblica (canale interno), Esportazioni e importazioni
(canale estero). Vedi la curva IS nel modello IS-LM] permette di capire quale canale sta trainando la
crescita o sta determinando la fase di debolezza del ciclo. Una crescita prolungata basata solo sui consumi
può portare inflazione e deficit commerciale. In tal caso è importante monitorare se vi è un trasferimento
della crescita anche alla componente degli investimenti, perché rappresenta la condizione per una crescita
‘sana’ nel lungo periodo. Una crescita basata essenzialmente sul canale estero a lungo andare può portare a
ritorsioni sul piano commerciale da parte di altri Paesi (imposizioni di dazi all’import) (Vedi il caso Cina-
Giappone, Paesi fortemente esportatori nei confronti di Usa ed Europa).
Generalmente ci sono 3 stadi di pubblicazione dei dati trimestrali: i dati preliminari, la prima revisione e
il dato finale. I dati preliminari sono pubblicati in USA 30 giorni dopo la chiusura del trimestre, nell’area
Euro con 45 giorni di ritardo. Recentemente è disponibile con 30 giorni di ritardo una stima anche per l’aera
Euro ma solo sul Pil aggregato, non sulle componenti. Il dato finale dell’ultimo trimestre è disponibile con 3
mesi di ritardo.
Diverse sono le misure che si possono calcolare con i dati trimestrali. Ciascuna di esse dà
un’informazione differente. La scelta di quale misura considerare dipenderà dall’obiettivo dell’analisi:
- Variazione trimestrale, detta anche congiunturale (Trimestre su Trimestre – t/t; Quarterly on quarterly
- QoQ) variazione percentuale rispetto al trimestre precedente (xt-xt-1)/xt-1*100 dove t sono i
trimestri. La definizione tecnica di recessione è data da due trimestri consecutivi di crescita
congiunturale negativa del PIL.
- Variazione tendenziale (Year on Year - YoY) variazione percentuale rispetto allo stesso trimestre
dell’anno precedente (xt-xt-4)/xt-4*100 (serie detrendizzata)
- Contributo al PIL xt/Yt Questa misura ci dice quanto la singola componente (xt) pesa sul PIL (Yt).
Per esempio, il consumo generalmente pesa circa per il 60% del Pil nell’area Euro e per il 70% in US
(è la componente più rilevante). (Vedi i grafici 6.4 e 6.5). Essa differisce dal contributo alla crescita
del Pil, perché considera i livelli della serie.
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57 23
68 19,8
56 22
66 16,4
55 20
54 19 64 13,0
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
CONS INV (Right axis) Gov.Exp. (right axis) Cons Inv (right axis) Gov.Exp. (right axis)
La variazione trimestrale (congiunturale) QoQ % può essere utilizzata per analizzare l’ultimo
trimestre,
La variazione tendenziale YoY % e il contributo alla crescita del PIL possono essere utilizzate per
analizzare alcuni anni recenti.
Confrontando i grafici 6.6 e 6.3, che mettono a confronto il Pil reale di USA, Area EURO e Giappone
utilizzando i dati trimestrali QoQ e YoY, rispettivamente, si può verificare che la variazione tendenziale
YoY (grafico 6.3) è migliore della misura basata sulla variazione trimestrale QoQ (grafico 6.6), poiché
l’analisi è fatta su alcuni anni.
3,0
0,0
0,0
-3,0
-2,5
-6,0
-9,0 -5,0
05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
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concentrati sul settore immobiliare (residential). Dopo la ricaduta dei residential nel 2011, la serie ha
invertito il trend portandosi a tassi di crescita tendenziali del 10-15%.
La carenza di domanda e il contagio all’economia globale hanno determinato una forte discesa delle
importazioni e delle esportazioni nel 2008-2009. Quando l’economia americana ha ricominciato a crescere
nel 2010, la ripresa delle importazioni ha preoccupato la FED che ha seguito una politica di deprezzamento
del dollaro (Vedi grafico 6.10).
4 6
4
2 -1
-7
0 -8
-18
-2 -15
-29
-4 -22
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Nonresidential Residential
Cons. Gov. Expenditures Inv. (right axis)
US COMPONENTS OF CONS.
(Quarterly data %YoY)
16
-5
-12
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Durable goods Nondurable goods
Services
E’ inoltre importante sottolineare che, nonostante il Tapering nel 2014, l’economia americana ha dimostrato
di essere in grado di proseguire senza il supporto del QE, dal momento che il grafico 6.7 evidenzia tassi di
crescita intorno al 2.5-3% dei consumi e del 5% degli investimenti (asse destro) dal 2015.
Per valutare le esportazioni nette dobbiamo considerare i contributi alla crescita del Pil (le variazioni
percentuali tendenziali non sono calcolate perché non ha senso calcolarle quando i dati della serie originaria
possono essere negativi (vedi sopra)).
In Usa questa componente è stata l’unica a contribuire positivamente alla crescita del Pil durante la
recessione del 2008. Gli investimenti sono stati la componente che ha maggiormente sottratto crescita,
seguiti dai consumi (Vedi grafico 6.11). Sfortunatamente, in questo caso il contributo positivo delle
esportazioni nette è solo parzialmente una buona notizia, perché esso è dovuto ad una forte diminuzione delle
importazioni, più ampia delle esportazioni (Vedi le variazioni percentuali tendenziali YoY% del grafico
6.10), mettendo in evidenza una crisi dei consumi senza precedenti. Dall’altro lato, le esportazioni non hanno
di fatto beneficiato del deprezzamento del dollaro (Vedi grafico 6.12) a causa della carenza della domanda a
livello internazionale: dal 2008 al 2011 il $ si è mosso lateralmente intorno a livelli 1.30-1.50 contro l’euro,
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ben più alti rispetto alla prima metà degli anni 2000, ma le esportazioni nette dopo il 2009 hanno registrato
un ridimensionamento del loro contributo alla crescita (Vedi Grafico 6.12).
Dal 2014 la politica monetaria restrittiva della Fed (prima con il Tapering poi agendo direttamente sui tassi
ufficiali) ha rafforzato il $, che nel 2016 è sceso fino a 1.1 contro l’euro). Il movimento sulla valuta
americana è stato rafforzato dal fatto che la politica della Fed è stata restrittiva anche in termini relativi (visto
che nelle due altre macro-aree, Euro e Giappone, le politiche monetarie sono rimaste espansive). Tutto ciò
mantenuto basso il contributo delle esportazioni nette.
2 1,1 1,4
0 0,3 1,2
-2 -0,6 1
-4 -1,5 0,8
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Consumption Investment Net exports Net exports $/EURO
Le caratteristiche della crisi dell’Euro zona sono simili: tutte le componenti del Pil hanno subìto un crollo
durante quella del 2008 (Vedi grafici 6.13 e 6.14). I limiti sul debito pubblico, imposti dal Trattato di
Maastrict e dal ‘Patto di Stabilità’, non hanno impedito un sostanziale aumento della spesa pubblica e questo
ha portato alla successiva crisi del maggio 2010. Dal 2010 la crisi del debito sovrano ha imposto una drastica
inversione di tendenza della politica fiscale anche e soprattutto nell’Euro zona, generando un ‘double deep’
sul ciclo economico.
1
2 1
0 -7 -1
-2
-2 -15
05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 -3
05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
CONS G (GOV. EXPENDITURE) INV (Right axis)
CONS INV NET EXPORTS
Durante la crisi del 2008 anche nella zona Euro gli investimenti hanno rappresentato la principale
componente che ha sottratto crescita, seguita dalle esportazioni nette (vedi grafico 6.14 sui contributi alla
crescita del Pil). In questo caso le variazioni percentuali tendenziali YoY% delle esportazioni sono diminuite
proporzionalmente di più delle importazioni (Vedi grafico 6.15).
A partire dalla seconda metà del 2013 tutte e tre le componenti, consumi investimenti e spesa pubblica,
hanno invertito la tendenza, ma hanno registrano ancora tassi di crescita molto bassi fino al 2014: i consumi
sono cresciuti intorno a +1.5% e gli investimenti intorno a +1% (asse destro). Solo dal 2015 la ripresa
economica è diventata meno timida con una crescita tendenziale dei consumi e spesa pubblica intorno al 2%
e quella degli investimenti intorno al 4-5% (Vedi Grafico 6.13).
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GRAFICO 6.15
EU: COMPONENTS OF GDP
(Quarterly data - %YoY)
15
-7
-18
05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
EXP IMP
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In generale, se l'analisi si concentra sull’ultimo trimestre, la misura giusta è la variazione percentuale su base
trimestrale (Ricordate che gli Stati Uniti annualizzano i dati trimestrali). Tuttavia, i contributi di crescita del
PIL sono migliori, in quanto questa misura mette a disposizione anche le esportazioni nette e la variazione
delle scorte.
National Income and Product Accounts
Tabella 6.3 Percent Change From Preceding Period in Real Gross Domestic Product
[Percent] Seasonally adjusted at annual rates
2010 2011 2 01 2
I II III IV I II III IV I II
1 G ro s s d o m e s tic p ro d uc t 2 .3 2 .2 2 .6 2.4 0 .1 2 .5 1 .3 4 .1 2 1 .7
2 P er s on a l c o n su m ption e x pe n ditu re s 2.5 2 .6 2 .5 4 .1 3 .1 1 1 .7 2 2 .4 1 .7
3 G o od s 5 .2 3 .3 3 .8 7.9 5 .4 -1 1 .4 5 .4 4.7 0 .4
4 D u ra ble g oo d s 5 .5 1 0 .5 7 .2 1 5.2 7 .3 -2 .3 5 .4 1 3 .9 1 1.5 0
5 N o nd u ra ble g oo d s 5 .1 0 .1 2 .2 4.5 4 .6 -0 .3 -0 .4 1 .8 1.6 0 .5
6 S e r v ic e s 1 .2 2 .3 1 .9 2.3 2 1 .9 1 .8 0 .3 1.3 2 .4
7 G r os s pr iv a te d om e stic inv e s tm e n t 1 9.8 14 .6 1 6 .4 -5 .9 -5 .3 1 2.5 5 .9 3 3 .9 6 .1 3
8 F ixe d inv e s tm e n t -0 .9 1 4 .5 -1 7.6 -1 .3 1 2 .4 1 5 .5 10 9.8 5 .1
9 N o nr es id e ntia l 2 .1 1 2 .3 7 .7 9.2 -1 .3 1 4 .5 19 9 .5 7.5 4 .2
10 S tru c tu re s -2 3 1 3 .1 -2 .2 9.3 -28 .2 3 5 .2 2 0 .7 1 1 .5 1 2.9 2 .8
11 E q uip m e n t a n d s o ftw ar e 1 4 .7 12 1 1 .9 9.2 11 .1 7 .8 1 8 .3 8 .8 5.4 4 .7
12 R e s id e n tia l -1 1 .4 2 3 .1 -2 8 .6 1.5 -1 .4 4 .1 1 .4 1 2 .1 2 0.5 8 .9
13 C h a ng e in p riv a te in v e nto rie s --- --- --- --- --- --- --- --- --- ---
14 N e t e xp o rts of g oo ds a n d s e rv ic e s --- --- --- --- - -- --- --- --- --- - --
15 E x p or ts 5 .9 9 .6 9 .7 10 5 .7 4 .1 6 .1 1 .4 4.4 6
16 G oo d s 9 .9 1 1 .9 9 1 1.2 5 .7 3 .7 6 .2 6 4 7 .3
17 S e rv ic e s -2 .2 4 .5 1 1 .1 7.4 5 .8 5 .1 6 .1 -8 .8 5.2 3
18 Im p o rts 1 0 .4 2 0 .2 1 3 .9 0 4 .3 0 .1 4 .7 4 .9 3.1 2 .9
19 G oo d s 1 2 .2 2 4 .7 1 4 .1 1.1 5 .2 -0 .7 2 .9 6 .3 2 2 .5
20 S e rv ic e s 2 .4 1 .2 1 2 .9 -5 -0 .6 4 .2 1 3 .8 -1 .7 9 4 .6
21 G o v e rn m e n t c o ns u m p tion e x pe n ditu re -3.1
s an d gr2os .8 s inv-0e.3s tm e-4n .4
t -7 -0.8 -2 .9 -2 .2 -3 -0 .9
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Dall'altro lato, le esportazioni nette hanno positivamente sostenuto il ciclo con un +0,3%, grazie ad un
aumento maggiore delle esportazioni rispetto alle importazioni (vedi tabella: 6.3: +6% delle esportazioni
contro il +2,9% delle importazioni).
In generale, vale la pena di sottolineare che un contributo positivo delle esportazioni nette potrebbe
essere dovuto anche da una maggiore diminuzione delle importazioni rispetto alle esportazioni (misura
QoQ). Ricordate che NX = X-εQ dove Nx = esportazioni nette, X = esportazioni, ε = tasso di cambio
reale, Q = importazioni). In questo caso, rappresenta una cattiva notizia in quanto implica una
debolezza della domanda.
Attenzione: il segno del contributo delle importazioni tiene già conto della relazione NX = X-εQ, per cui
sarà negativo (il contributo) quando le importazioni salgono e positivo quando scendono.
La politica fiscale non ha sostenuto l'economia (-0,9% del contributo) e il cosiddetto ‘fiscal cliff’ che
comportava aumenti delle tasse e tagli alla spesa a partire da gennaio 2013 avrebbe potuto compromettere
seriamente la crescita. Fortunatamente il Congresso e l'amministrazione ad inizio 2013 hanno prolungato
alcuni tagli alle tasse dell'era Bush, scongiurando una recessione (Il ‘Congressional Budget Office’ stimava
che il ‘Fiscal Cliff’ avrebbe avuto un impatto negativo del 4% sul PIL Usa nel 2013).
Il ‘Fiscal Cliff’ era chiaramente una variabile-chiave dello scenario a fine 2012, inizio 2013, perché sulla
base delle decisioni del Congresso americano in merito, si sarebbero potuti delineare scenari completamente
diversi.
Per concludere, l'economia americana nella prima metà del 2012 seguiva un passo di crescita positivo ma
debole, mostrando elementi che avrebbero potuto intaccare la crescita, soprattutto nella componente dei
consumi. Pertanto, la persistente debolezza della domanda avrebbe potuto compromettere il risultato positivo
nella seconda metà del 2012.
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Dalla tabella 6.3b di seguito, possiamo verificare che dopo un debole primo trimestre del 2015, l’economia
americana è cresciuta di +3.9% nel secondo trimestre. Questo implicava un aumento dei tassi di riferimento
in ottobre?
La crescita era principalmente supportata dai consumi, che hanno contribuito con un +2.4% (Vedi
tabella 6.4b). La dinamica positiva dei consumi era principalmente dovuta ai beni (+5.5% QoQ); Vedi tabella
6.3b) e in particolare ai beni durevoli (+8% QoQ). Questo è un segnale di forza della domanda: i
consumatori spendono per acquisti di beni durevoli (come auto, moto, lavatrici …) quando sono fiduciosi in
merito al loro reddito futuro.
Rispetto al trimestre precedente, il basso contributo alla crescita degli investimenti (1% circa) è stato
compensato da una sostanziale invarianza delle scorte: nel primo trimestre l’elevato contributo degli
investimenti di 1.4% aveva spinto ad accumulare scorte per 0.9% (vedi tabella 6.4b). Entrambe le categorie
degli investimenti, residenziali e non residenziali, hanno mantenuto un passo di crescita rilevante, con un
incremento di +9.3% e +4.1%, rispettivamente. (Vedi tabella 6.3b)
Il canale estero è neutrale: il contributo delle esportazioni nette è prossimo allo zero (+0.2% nella tabella
6.4b) grazie ad una crescita abbastanza bilanciata dalle esportazioni e delle importazioni (+5.1% e +3%,
rispettivamente; vedi tabella 6.3b). Perciò, possiamo concludere che l’elevata crescita del PIL nel secondo
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trimestre del 2015 era dovuta anche ad un miglioramento del canale estero. Infatti, nel primo trimestre
del 2015 aveva sottratto crescita per -1.9%: all’inizio dell’anno l’annuncio della Fed di un’inversione di
tendenza nella politica monetaria aveva innescato un rapido apprezzamento del $, con un conseguente calo
delle esportazioni (-11.7%) e un incremento delle importazioni (+7.1%) (Vedi tabella 6.3b).
Successivamente, il posticipo dell’inversione rispetto alle aspettative dei mercati finanziari ha ridotto la forza
del $ con un visibile miglioramento della bilancia commerciale.
L’elevata crescita del secondo trimestre del 2015 era anche dovuta alla politica fiscale non più neutrale
(da un contributo nullo nel primo trimestre ad un contributo di + 0.5%).
Concludendo, nel secondo trimestre del 2015, gli Usa hanno mostrato un passo di crescita del Pil
sostenuto, dovuto in gran parte all’elevato contributo dei consumi e ad un miglioramento del canale
estero, che ha smesso di sottrarre crescita. Così, la probabilità di un aumento dei tassi di riferimento
da parte della FED era molto alto. Tuttavia, lo scenario macroeconomico internazionale era molto
critico: il rallentamento dell’economia cinese ha avuto effetti sull’economia mondiale, mettendo in
difficoltà i paesi esportatori di materie prime. Per esempio, il Brasile stava sperimentando la peggior
recessione degli ultimi 30 anni.
L'analisi basata sui dati mensili in genere aiuta a comprendere l'evoluzione dello scenario in futuro.
A lezione verranno analizzati i dati più recenti con lo stesso metodo.
Le tabelle 6.3 e 6.4 relative agli ultimi dati disponibili sono scaricabili dal sito www.bea.gov
DATI MENSILI
I dati mensili rappresentano le più recenti informazioni sul ciclo economico e aiutano a prevedere la
crescita del trimestre futuro e corrente, dato il ritardo con cui sono pubblicati i dati su base
trimestrale.
Tra i dati mensili vanno cercate le variabili-chiave, cioè quelle variabili che possono cambiare lo scenario nel
prossimo futuro. In genere, se i rischi sono di un’eccessiva crescita, le variabili-chiave saranno
principalmente quelle che danno informazioni sull’evoluzione dell’inflazione in futuro, perché un’alta
inflazione è sintomo di una forte crescita della domanda non soddisfatta da produzione nazionale e quindi
aumenta la probabilità di una politica economica restrittiva (ex. se si tratta di una politica monetaria, aumenta
la probabilità di un rialzo dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale). Se invece i rischi sono di
un’eccessiva debolezza del ciclo, le variabili-chiave saranno quelle che danno informazioni
sull’evoluzione della crescita economica, perché in questo caso è necessario verificare il rischio di una
recessione e quindi aumenta la probabilità di una politica economica espansiva (ex. se si tratta di una politica
monetaria, aumenta la probabilità di una riduzione dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale). Nel
caso in cui la debolezza del ciclo si trasformi in recessione accompagnata da deflazione (crescita
negativa dei prezzi), si devono analizzare anche le variabili che danno informazione sull’inflazione, ma
con un’ottica opposta a quella di uno scenario di eccessiva crescita: è positivo quando l’inflazione
aumenta, passando da tassi di crescita negativi a tassi di crescita positivi.
La maggior parte dei dati mensili è pubblicata nella prima e nell’ultima settimana del mese.
Gli USA hanno un vantaggio informativo poiché essi pubblicano molti più dati mensili ed in anticipo rispetto
alla zona Euro. E’ meglio considerare le serie destagionalizzate (seasonally adjusted).
L’analisi qualitativa dei dati mensili implica una valutazione:
- dell’ultimo dato
- della revisione del dato precedente
- delle aspettative rispetto al dato effettivo
La bontà di un dato va valutata in termini relativi rispetto alle previsioni. Un dato può essere positivo, ma se i
mercati si aspettavano un dato migliore, la reazione potrebbe essere negativa. E viceversa. Un dato negativo
con aspettative ancora peggiori può generare reazioni positive.
Un dato negativo associato ad una consistente revisione positiva di quello precedente può attutire la reazione
negativa sul primo. E viceversa.
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- Variazione tendenziale (Year on Year - YoY) variazione percentuale rispetto allo stesso mese
dell’anno precedente (serie detrendizzata) (xt-xt-12)/xt-12*100 dove t sono i mesi
Come per i dati trimestrali, se l’analisi si focalizza sull’ultimo dato disponibile, si considera la variazione
mensile MoM, ma non sempre. Gli indicatori di fiducia e quelli sul tasso di cambio vanno valutati
preferibilmente nei livelli. Per quanto riguarda l’inflazione si guarda anche la variazione tendenziale YoY
per un più facile confronto con l’obiettivo delle Banche Centrali che è espresso in termini di tale misura.
Esempio: l’inflazione dell’area Euro è 1.4% YoY, contro un obiettivo del 2% della BCE.
Le variazioni percentuali YoY possono essere usate per un’analisi degli anni più recenti (Grafici).
Indicatori mensili del PIL e delle sue componenti:
- Produzione industriale (Industrial production) E’ una proxi del PIL. Dato il ritardo con cui è nota
la variazione trimestrale del PIL, si può dedurre l’andamento del ciclo nel trimestre corrente non ancora
noto e di quelli futuri guardando l’andamento della produzione industriale.
- Ordini (Factory orders) Anticipano la produzione industriale. Un buon portafoglio ordini
assicura una crescita positiva della produzione industriale. Si possono escludere le componenti più
volatili dei trasporti e della difesa. Esempio: un ordine di produrre aerei per la difesa può portare ad
una forte crescita temporanea degli ordini, dato il peso rilevate della commessa e quindi a conclusioni
fuorvianti sull’andamento della produzione futura. Escluderla è importante per capire come sta
evolvendo la produzione di base.
In USA, il dato sugli ordini di beni durevoli (durable goods’ orders) è importante perché esce 10 giorni
prima degli ordini globali e dà pertanto un’informazione anticipata sulla produzione industriale futura
rispetto alla serie degli ordini complessivi (Vedi grafico 6.16). Per esempio, nella prima parte del 2015
gli ordini hanno invertito la tendenza verso una dinamica positiva e questo si è tradotto in un aumento
della produzione industriale nella seconda parte di quell’anno.
In Europa la serie degli ordini all’industria non è informativa in termini prospettici (Vedi Grafico 6.17,
non anticipa la serie della produzione), per cui gli operatori non sono molto sensibili a questo dato.
15
5 13
-5 -5 -5
-15
-15 -23
-25
- Tasso di utilizzo della capacità degli impianti (capacity utilization rate) Dà informazioni
sull’andamento futuro degli investimenti, della capacità di espansione dell’economia e dei rischi
d’inflazione. Un basso tasso di utilizzo degli impianti non è una notizia positiva per gli investimenti
perché un’eventuale nuova domanda di beni sarà soddisfatta da impianti non ancora utilizzati. Un alto
tasso di utilizzo degli impianti associato ad un alto tasso di crescita dell’economia aumenta i rischi
d’inflazione.
- Indicatori del settore edilizio (housing sector) sono dati pubblicati quasi sostanzialmente nel mercato
USA: avvio nuovi cantieri (housing starts), permessi di costruire (building permits), vendita di nuove
case (new home sales), vendita di case esistenti (existing home sales), spesa per costruzioni
(construction spending). Quest’ultima è l’unica serie disponibile anche per l’area Euro
Tutte queste serie danno informazioni sull’andamento futuro degli investimenti fissi. Per esempio, se la
debolezza del ciclo economico statunitense è in gran parte dovuta alla componente residenziale degli
investimenti (settore edilizio), seguire l’andamento delle serie mensili sopra indicate può anticipare un
eventuale inversione di tendenza (dati positivi) e quindi una ripresa degli investimenti.
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I grafici 6.18 e 6.19 mostrano che dallo scoppio della bolla speculativa del 2007-2008, la vendita di
nuove case ha invertito la tendenza in modo deciso solo a partire dal 2011 grazie alla politica della Fed
mirata al settore delle costruzioni (Operation Twist). Nel 2012 ha registrato tassi di crescita consistenti
intorno al +20%. La ripresa del settore veniva preannunciata dalla spesa per costruzioni che ha avuto un
andamento più regolare verso l’alto fin dal 2010.
Nel 2015-2016 il settore edilizio sembra conoscere una buona fase espansiva, con tassi di crescita della
vendita di nuove case intorno al 10%-20% e della spesa per costruzioni superiore al 5%-10%, senza il
supporto della politica monetaria come nel 2011, anche se dalla fine del 2016 ha dato segnali di
ridimensionamento che si sono intensificati nel 2018-2019.
30
10
20
5
10
0 0
-10 -5
-20
-10
-30
-15
-40
-50 -20
05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
7
3
3
1
-1
-1
-5
-3
-9
-5
-13
05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
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2 1 2 0
1 -3
0 -5
0 -5
-2 -11 -1 -8
05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
PCE PCE core PPI CPI CORE CPI PPI (right axis)
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I rischi d’inflazione/deflazione possono giungere dal mercato del lavoro o da quello delle materie
prime.
- Salari orari (Hourly wages) Un confronto con il CPI può evidenziare rischi inflazionistici derivanti
da tensioni nel mercato del lavoro.
I grafici 6.24 e 6.25 evidenziano l’andamento dei salari orari in US, nominali e reali, rispettivamente.
Nel triennio 2015-2017 la dinamica è rimasta storicamente bassa, sia in termini nominali (intorno il
2,5%) che reali (intorno all’1%). Questo fenomeno è in contrasto con un tasso di disoccupazione tra il
4% ed il 5% (vedi grafico 2.28), vicino al pieno impiego stimato intorno a 4,5%. Probabilmente la crisi
epocale del 2008/2009 ha reso i lavoratori molto prudenti nel chiedere aumenti salariali.
Nel 2018 e nella prima parte del 2019 il tasso di disoccupazione ha rotto verso il basso la soglia del 4%
e i salari orari hanno seguito un trend rialzista portandosi nel 2019 al di sopra del 3% in termini
nominali e del 2% in termini reali. Per il momento questo non rappresenta un vero segnale
inflazionistico, visto che gli indicatori dei prezzi rimangono ben al di sotto dell’obiettivo della Fed del
2%, ma la situazione va monitorata. Nonostante la forza del mercato del lavoro, a fine luglio del 2019 la
Fed ha ridotto i tassi ufficiali per timori di un indebolimento del ciclo economico a causa del protrarsi
della guerra dei dazi e l’andamento della serie dei salari orari ci dirà se la politica monetaria espansiva
potrà continuare o meno.
GRAFICO 6.24 GRAFICO 6.25
US: NOMINAL HOURLY WAGES US: REAL HOURLY WAGES
(Monthly data -%YoY) (Monthly data -%YoY)
5 3
4 2
3 1
2
0
1
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 -1
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Nominal Hourly Wages
Real Hourly Wages PCE c ore
- Prezzo del Petrolio (Oil prices) Brent è quotato a Londra, WTI è quotato in USA. Possono
evidenziare possibili rischi inflazionistici derivanti da tensioni nel mercato delle materie prime.
Il grafico 6.26, che confronta il prezzo del petrolio in termini di $ per barile e di Euro per barile, mostra
la forte impennata dei prezzi energetici durante il periodo 2006-2008. Nella zona Euro, il concomitante
apprezzamento dell’Euro ha in parte contrastato questo trend al rialzo. Le pressioni dei prezzi petroliferi
hanno influito sul PPI e successivamente sul CPI/PCE in entrambe le aree, Usa ed Euro zona, tuttavia il
contagio agli altri settori (indice Core) è rimasto limitato (Vedi grafici 6.22, e 6.23 precedenti).
Dall’altro lato, la recessione globale del 2008-2009 ha generato un rapido rientro dei prezzi petroliferi e,
conseguentemente dell’inflazione. In quel caso era importante valutare il rischio di deflazione.
Nel 2014 le nuove tecniche (Shale oil) di produzione del petrolio sviluppate dagli USA, attraverso la
frantumazione delle rocce, hanno generato un cambiamento strutturale a livello internazionale nel
settore del greggio: i Paesi OPEC, tradizionalmente esportatori di petrolio, per non perdere quote di
mercato a vantaggio degli USA hanno innescato una guerra dei prezzi, facendoli scendere a livelli non
sostenibili dai produttori di petrolio americani che hanno costi di produzione più alti con le nuove
tecniche di estrazione. Questo spiega il crollo del prezzo del petrolio fino a 50 $/barile nella seconda
parte del 2014. Il forte calo dell’inflazione messo in evidenza precedentemente è quindi da valutare in
termini positivi se è attribuito al ridimensionamento del prezzo del petrolio, perché questo implica
minori costi di produzione per tutti i settori dell’economia. Nel caso dell’Area Euro, invece, essendo
associato anche ad una preoccupante carenza della domanda di beni e ad uno stato di recessione
dell’economia, va valutato in termini negativi. In questo caso, infatti, anche l’indice core (che esclude la
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componente ‘petrolio’) era prossimo allo zero (la carenza di domanda di beni era generalizzata a tutti i
settori): si trattava di deflazione.
Nel 2017-2018, la ripresa economica a livello globale ha spinto al rialzo il prezzo del petrolio,
generando rischi inflazionistici soprattutto in Usa, ma la guerra dei dazi messa in atto dal Presidente
americano Trump a partire dalla seconda parte del 2018 e il conseguente indebolimento del ciclo
economico a livello internazionale nel 2019, ne ha frenato il trend rialzista.
125
4 9
105
85
2 5
65
45 1 1
25
5 -1 -3
01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
BRENT $/BBL BRENT EURO/BBL (right axis) REFI CPI M3 (Right axis)
- Aggregati monetari (Monetary aggregates) M2 (in USA), M3 (in EU) Essi sono indicatori per
le Autorità monetarie. La Banca Centrale controlla l’inflazione attraverso l’offerta di moneta
(l’inflazione non è direttamente controllabile). Un alto tasso di crescita degli aggregati monetari può
essere un segnale d’inflazione futura e quindi di aumento dei tassi d’interesse da parte della Banca
Centrale (Vedi Grafico 6.27). Dal grafico 6.27 si può notare che nella zona Euro, M3 ha registrato una
tendenza al rialzo a partire dal 2005 raggiungendo nel 2008 tassi di crescita ben oltre il 10% contro un
obiettivo della BCE di 4%-6%, e la BCE nella seconda parte del 2005 ha iniziato una politica monetaria
restrittiva.
Dopo lo scoppio della bolla speculativa del 2008 la dinamica di M3 si è drasticamente ridimensionata
arrivando a tassi di crescita nulli. Di pari passo la BCE ha attuato una politica monetaria espansiva
senza precedenti. Discorso a parte va fatto per il periodo dal 2014: l’impennata di M3 è questa volta un
effetto voluto dalla BCE per combattere la deflazione, avendo esaurito le mosse sui tassi ufficiali
(effetto QE).
9 300
12
8 100
11
7 -100
10
6 -300
5 -500 9
4 -700 8
3 -900 7
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Unem ploym ent rate Non f arm payrolls (right axis) Unemployment rate
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GRAFICO 6.30 GRAFICO 6.31
EXCHANGE RATES (Monthly data - Level - in $) REAL EFFECTIVE EXCHANGE RATES
(Monthly data - Level)
1,6
120
1,4 110
100
1,2
90
1,0 80
70
0,8
60
0,6
50
99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
$/euro $/Yen Reer € Reer $ Reer Yen
BoP=CA+KA=-R (riserve)
In regime di cambi flessibili il simultaneo equilibrio di CA e KA non è necessario per avere l’equilibrio della
bilancia dei pagamenti nel suo complesso. E’ sufficiente che valga CA=-KA. Un confronto tra CA e KA
dà informazioni sull’equilibrio complessivo della bilancia dei pagamenti. Per esempio, gli USA hanno
storicamente un elevato deficit delle partite correnti (CA). E’, pertanto, importante che le politiche
economiche attraggano investitori esteri nel mercato dei capitali statunitense per garantire un positivo KA in
grado di coprire il forte deficit di parte corrente. Al contrario il Giappone ha storicamente un elevato surplus
delle partite correnti e movimenti di capitali in deficit.
-11 84
45
40 -18 72
35 -25 60
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
ISM manifa cturing Ind.prod. ESI (level - right axis)
-5
118
-15
85
-25
53
-35
20
00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Conference Boa rd
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STATI UNITI
STATI UNITI
Data
Indicatore Dato Precedente Previsione Periodo Commenti
rilevazione
MERCATO DEL LAVORO
Tasso di disoccupazione 3,7% 3,7% 3,6% 02-ago lug-19
Occupazione (settore non agricolo) 164 mila 193 mila 165 mila 02-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 224 mila
Occupazione (settore privato) 148 mila 179 mila 165 mila 02-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 191 mila
0,3% m/m 0,3% m/m
Salari medi orari 3,1% a/a 02-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 0,2% m/m
3,2% a/a 3,1% a/a
PRINCIPALI INDICI DI PREZZO
0,2% m/m 0,1% m/m 0,2% m/m
PCE price index 30-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 1,4% a/a
1,4% a/a 1,3% a/a 1,4% a/a
0,2% m/m 0,2% m/m 0,2% m/m
PCE core price index 30-ago lug-19
1,6% a/a 1,6% a/a 1,6% a/a
0,2% m/m 0,1% m/m 0,2% m/m
PPI 09-ago lug-19
1,7% a/a 1,7% a/a 1,7% a/a
INDICATORI DELL’ATTIVITA DI IMPRESA E INDUSTRIA
-0,2% m/m 0,2% m/m
Produzione industriale 0,2% m/m 15-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 0% m/m
0,5% a/a 1,1% a/a
Ordini industriali 0,6% m/m -1,3% m/m 0,7% m/m 02-ago giu-19 Dato precedente rivisto da -0,7% m/m
Ordini di beni durevoli 2,1% m/m 1,8% m/m 1,2% m/m 26-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 1,9% m/m
Ordini di beni durevoli esclusi trasporti -0,4% m/m 0,8% m/m 0% m/m 26-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 1% m/m
Scorte delle imprese 0% m/m 0,3% m/m 0,1% m/m 15-ago giu-19
Utilizzo capacità produttiva 77,5% 77,8% 77,8% 15-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 77,9%
ISM (settore manifatturiero) 51,2 51,7 52 01-ago lug-19
ISM (settore dei servizi) 53,7 55,1 55,5 05-ago lug-19
PMI di Chicago 50,4 44,4 47,5 30-ago ago-19
SETTORE EDILIZIO
Avvio nuovi cantieri (housing starts) -4% m/m -1,8% m/m -1,7% m/m 16-ago lug-19 Terzo calo consecutivo. Uragani
Spesa per costruzioni -1,3% m/m -0,7% m/m 0,3% m/m 01-ago giu-19 Dato precedente rivisto da -0,8% m/m
Vendita case esistenti 2,5% m/m -1,3% m/m 2,5% m/m 21-ago lug-19 Dato precedente rivisto da -1,7% m/m
Vendita nuove case -12,8% m/m -20,9% m/m 0,2% m/m 23-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 7% m/m
INDICATORI DELLA DOMANDA
Consumi privati (in termini reali) 0,4% m/m 0,2% m/m 30-ago lug-19
Reddito personale (in termini reali) 0,1% m/m 0,5% m/m 0,3% m/m 30-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 0,4% m/m
Vendite al dettaglio 0,7% m/m 0,3% m/m 0,3% m/m 15-ago lug-19 Dato precedente rivisto da 0,4% m/m
Indice Conference Board 135,1 135,8 129 27-ago ago-19 Dato precedente rivisto da 135,7
Le nuove informazioni provenienti dai dati mensili evidenziano ancora una forza del mercato del
lavoro, con un tasso di disoccupazione che si mantiene ai minimi storici degli ultimi cinquant’anni
(solo prima del 1970 era inferiore a 3,7%), ben al di sotto del livello di pieno impiego stimato in media al 4-
4.5%. In luglio, infatti, questo indicatore è rimasto fermo a +3,7% rispetto al mese precedente e il
ridimensionamento dell’incremento dell’occupazione nel settore non agricolo (non farm payrolls) a
+164.000 unità da 193.000 di giugno (rivisto al ribasso da +224.000), in linea con le attese degli economisti,
probabilmente va attribuito in parte alla difficoltà delle imprese a reperire nuovi occupati.
Al di là del mercato del lavoro, però, gli altri dati evidenziano un’inflazione ben al di sotto
dell’obiettivo della FED del 2% e incertezze dal lato dell’offerta, con dati spesso negativi e inferiori
alle aspettative.
L’inflazione in luglio è rimasta stabile a 1,6% a/a in termini di PCE (personal consumption
expenditure) core price index, l’indicatore preferito dalla FED che esclude le componenti più volatili di
energia e alimentari. L’indice globale ha registrato soltanto un lieve aggiustamento verso l’alto a +1,4% a/a
da +1,3% del mese precedente. Inoltre, la debolezza della congiuntura a livello internazionale dovrebbe
mantenere il prezzo del petrolio intorno ai livelli attuali di 60 $/barile circa. Nonostante la forza del mercato
del lavoro, la dinamica dei salari orari rimane poco al di sopra del 3% a/a, non costituendo una vera minaccia
inflazionistica.
Dal lato dell’offerta, i dati relativi a luglio delineano uno scenario di crescita incerta. La produzione
industriale è diminuita di -0,2% m/m a fronte di un +0,2 del mese precedente. Gli ordini di beni durevoli
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METODI PER LA FINANZA AZIENDALE A.A. 2019-2020
hanno rafforzato la dinamica positiva del mese precedente, registrando un +2,1% m/m dopo un +1,8% di
giugno, ma se si valuta l’indicatore depurato dalla componente più volatile dei trasporti, si nota una battuta
d’arresto, con una diminuzione di -0,4% m/m da +0,8% di giugno. Gli economisti avevano previsto un dato
debole, ma non negativo, attendendosi una invarianza a livello mensile.
Gli indici di fiducia dei produttori ISM (manifatturiero e servizi), pur rimanendo al di sopra della soglia dei
50 punti che rappresenta un’economia in espansione, si sono ridimensionati rispetto a giugno, a 51,2 da 51,7
nel settore manifatturiero e a 53,7 da 55,1 in quello dei servizi. In entrambi i casi gli economisti si
attendevano un risultato migliore (52 e 55,5 rispettivamente). Evidentemente, il protrarsi della guerra dei
dazi tra Usa e Cina preoccupa i produttori. Tuttavia, le cause della debolezza provengono anche dal
fronte interno, visto che il settore edilizio continua a registrare una dinamica negativa: in luglio, le
vendite di nuove case sono crollate di -12,8% m/m, dopo il tonfo di -20,9% di giugno (quest’ultimo rivisto
da +7%) e gli avvii di nuovi cantieri (housing starts) hanno registrato il terzo calo consecutivo (-4% m/m). In
parte, i segnali negativi del settore edilizio sono da attribuire al fattore temporaneo degli uragani che hanno
colpito la costa orientale, ma questo si è inserito in un contesto già poco brillante che dura da tempo.
Migliori sono le condizioni dal lato della domanda, che beneficia della forza del mercato del lavoro. In
luglio, le vendite al dettaglio hanno sorpreso in positivo gli economisti (che prevedevano un +0,3% m/m),
registrando un significativo +0,7% m/m, che si va ad aggiungere a +0,3% del mese precedente. I consumi
privati in termini reali sono aumentati di +0,4%. In agosto, la fiducia dei consumatori, letta attraverso il
‘Conference Board’, si è ridimensionata a 135,1 da 135,8 del mese precedente, ma rimane a livelli storici
molto elevati raggiunti solo agli inizi degli anni 2000 (vedi grafico sui dati mensili).
La differente dinamica tra gli indicatori dell’offerta e quelli della domanda dipende da una maggiore
preoccupazione della guerra dei dazi per i produttori (i primi ad esserne colpiti), mentre i consumatori
continuano a beneficiare della riforma fiscale messa in atto da Trump alla fine del 2017 e dalla facilità nel
trovare una nuova occupazione.
Alla luce della precedente analisi, si può, quindi, dedurre che la virata in favore di una politica monetaria più
espansiva annunciata a luglio del 2019 dal Presidente della Fed, J. Powell, è dettata dalla preoccupazione che
il ciclo economico americano dopo dieci anni di continua crescita si stia ridimensionando, non escludendo
nel medio periodo un rischio di recessione. Ovviamente, molto dipenderà dall’evoluzione della guerra dei
dazi: se si risolve in tempi brevi la crescita economica sarà meno debole e gli operatori finanziari si
aspetteranno meno tagli dei tassi ufficiali da parte della Fed o addirittura un atteggiamento neutrale; se
invece si protrarrà, colpirà il ciclo economico attraverso il protezionismo che scoraggia i flussi commerciali
tra Paesi e le aspettative saranno per un proseguimento della politica monetaria espansiva.
Per concludere la nostra analisi sui dati macroeconomici, va ricordato che ogni volta che escono nuove
informazioni, gli operatori finanziari possono modificare le loro aspettative se ritengono che sia
cambiato lo scenario.
L’effetto su tali aspettative va valutato in termini relativi, nel senso che se essi per esempio si aspettano
già dei rialzi dei tassi ufficiali (politica monetaria restrittiva) ed escono dati sugli indicatori dei prezzi che
aumentano il rischio di inflazione o sugli indicatori di crescita che segnano un aumento della domanda già
forte, modificheranno le loro aspettative a favore di più rialzi o di un avvicinamento della data in cui la
Banca Centrale agirà. Se, invece escono dati di ridimensionamento della dinamica inflazionistica o deboli dal
lato della domanda/offerta, allora gli operatori finanziari potrebbero pensare che i rialzi non vengano più
implementati o rinviati.
Ovviamente vale in modo speculare nel caso di aspettative di una politica monetaria espansiva. Se gli
operatori si aspettano già dei tagli dei tassi ufficiali ed escono dati deboli sugli indicatori dei prezzi o su
quelli di crescita, modificheranno le loro aspettative a favore di più riduzioni dei tassi ufficiali o di un
avvicinamento della data in cui la Banca Centrale agirà. Se, invece escono dati forti, allora potrebbero
pensare che i tagli non vengano più implementati o rinviati.
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