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2. Dell’insieme Gn 1–11 si può dire che illustra il fallimento della Short Way (il «Tutto subito»). Sulla base di
Gn 2–3; 6; 11,1-9 (e eventualmente di altri testi), individuare le diverse forme della tentazione umana della
scorciatoia (Short Way) e i modi in cui Dio progressivamente avvia l’uomo sulla Long Way.
1
E. L. GREENSTEIN, «The Formation of the Biblical Narrative Corpus», AJS Review 15 (1990) 165.175.
2
J.-P. SONNET, L’alleanza della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica, Lectio 1, Roma
2011, 275.
3
J.-P. SONNET, L’alleanza della lettura, 282-283.
4
“Man is created not in God’s image, since God has no image of His own, but as God’s image, or rather to be
God’s image, that is to deputize in the created world for the transcendent God who remains outside the world
order.” D.J.A. CLINES, “The Image of God in Man”, Tyndale Bulletin 19 [1968] 101.
5
J.-P. SONNET, «L’analisi narrativa dei racconti biblici», in Manuele d’esegesi dell’Antico Testamento,
M. BAUKS – C. NIHAN, ed., Bologna, 2010, 53.58-59.60.63.
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6
Cf. LABAT, “La Mésopotamie”, 86.
7
Cf. SONNET, «L’analisi narrativa», 65.70.73-74.
8
Cf. RICŒUR, Come pensa la Bibbia, 60, n. 1; SONNET, «L’analisi narrativa», 75.
9
RICŒUR, ibid; SONNET, «L’analisi narrativa», 76-77.79-80.
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Una storia [biblica] è attrezzata da un concatenamento di parole identiche […]. Il senso della narrazione non
si chiarisce se non a partire dai segnali che il narratore ha distribuito sulla superficie del suo racconto, come
altrettanti fanali. (Fr. ROSENZWEIG, Écriture, 138). SONNET, «L’analisi narrativa», 76-77.
11
SONNET, «L’analisi narrativa», 56.
12
SONNET, «L’analisi narrativa», 78.
13
Letteralmente: «i caduti». Altrove נפלindicherebbe «l’aborto» (miscarriage): in connessione con i potenti
che saranno distrutti (Sa 58[57]); condizione nella incontinenza carnale (Nu 2,12); finalità in cui si spera per
riposare dalla fatica delle mani (Gb 3,16); che paragona la fatica che si consuma nella vanità (Eccl 6,3b).
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Mentre la prima parte del prologo ha introdotta l’affare esterno dei figli di Dio, tramite il
loro «vedere» bramoso, la seconda parte introduce, da contrappunto, il «vedere» di YHWH. In
ciò si rileva l’onniscienza del narratore che accede al pensiero di Dio, anzi come interprete del
giudizio divino14. Dio giudica che la crescita umana si è deviata dall’opera divina perché
«l’intenzione dei disegni nell’intimo dell’uomo è rivolta al male tutto il tempo» (Gn 6,5).
Quindi, nel termine umano, spazio e tempo ribaltano i limiti propri alla creazione, l’uomo è
diventato mimeticamente sinonimo al caos primordiale, banalizzando le acque che danno vita.
L’unico riparo rimasto sono le lacrime dietro le parole di Lemek (Gn 5,29) cui sequenza
YHWH riprende mediante un gioco sulle radici verbali. Il loro oggetto annuncia la svolta: le
penose opere dell’uomo, frutto del cuore che cerca la consolazione (deviatamente), affliggono
il cuore di YHWH, e lui si pente di aver fatto l’uomo (6,6). La svolta rivela una sorpresa: il
dolore umano trova corrispondenza in un Dio addolorato. Cioè, la conseguenzialità umana fa
ingressare il Dio eterno nella temporalità delle scelte che sono suscettibili alla reversibilità. Il
monologo interiore di YHWH conferma la lettura del narratore: un cambiamento profondo è
avvenuto nel parere del cuore divino sulle mosse del cuore umano, la cui mimesi è simile alla
περιπέτεια della Poetica di Aristotele (§11). Il riposo atteso da Lemek riceve un verdetto di
annichilazione che si estende –secondo la maledizione della terra– persino a tutte le creature
(Gn 6,7). Chissà che l’autodistruzione umana fosse condizionata dal suolo maledetto, poiché
Dio dice «saranno loro distrutti insieme alla terra» (Gn 6,13). Tuttavia, la pena corrisponde al
delitto, a mo’ della giustizia poetica dell’Eden, risollevando la suspense del “come”.
L’antidoto prolettico rimane prima del fatto, però, perché qui la forma waw-x-Qatal esprime
l’antecedenza della grazia che YHWH aveva trovato in Noè (Gn 6,8)15. Mentre «la carne ha
distrutta la sua strada sulla terra», perché essa è piena di prepotenza, Noè, come suo bisnonno,
«camminava con Dio» (Gn 6,9.11.12). Quale era, però, la strada per la carne sulla terra? Quella
del dominio mite nella parola, nello spazio di rivedersi nella differenza con la donna, per
assimilare così il Dono Totale. Quando, però, la violenza sovrasta in unioni illegittime, senza
più riguardo per i limiti e i legami, le contingenze non servono più che a spronare il caos. Così,
nel varcare gli ambiti celesti e terreni, la Short Way dei figli di Dio fa togliere pure
l’imbrigliamento al firmamento. Tuttavia, ci sarà la protezione della Parola per chi la serve e
custodisce. Quello è l’unico modo di galleggiare sulle acque del giudizio divino. In questo
compito, solo Noè riceve dal narratore il titolo di «uomo giusto» [( ]איש צדיקGn 6,9).
14
SONNET, «L’analisi narrativa», 50-51.
15
GKC §142b Gn 6,8 “expresses an act completed long before, to which reference is made only because it is
necessary for understanding the sequel of the principal action”.
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La suspense del “come” si rivela nel passaggio tra il sesto e il settimo secolo dopo Enoc: ci
sarà un diluvio distruttore (Gn 6,17). Nel vuoto di un lutto silenzioso, la parola creatrice
“tacerà” l’opera che ha fatto. Nonostante ciò, Noè ha già accolta e messa in pratica quella
parola, costruendo l’Arca con la speranza di stabilirne un’Alleanza con la famiglia che ivi
dimora (Gn 6,18). Quindi, così, come la disubbidienza dell’uomo portò al verdetto di distrugge
tutte le creature insieme alla terra, così, l’obbedienza sarà anche responsabile per salvare tutto
insieme, rimarcando le differenze nel dono, stabilite dalla parola mite, secondo ogni specie,
nell’unione monogama «maschio e femmina» (Gn 6,19-21). È un sommario di Gn 1,25-27.
In questo modo, l’Arca diventa un microcosmo dove regna la pace, un nuovo piccolo Eden,
cui recinto di legno intrecciato [ ]גפרè stato reso impermeabile alle acque grazie al bitume []כפר
che la ricopre dentro e fuori (Gn 6,14). Certo, mentre la terra fu espiata [ ]כפרתdalla
maledizione, il mondo fu salvato nell’intimo dell’Arca, coperta dal כפרתe dal כפר, con le acque
primordiali fuori. Quest’ultimo Leitwort fa rileggere l’Alleanza sulla Long Way con la scuola
P ed Ezechiele, in cui si prepara [ ]עשהl’offerta, espiando lo spazio santo per diventare gradito
a YHWH. Noè prepara tutto «secondo il commando di Dio», perché alla fine, serve la sapienza
del vecchio adagio: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare (Gn 6,22; 8,20-22).
3. Il luogo del nome: non era da stabilire nei cieli? (Gn 11,1-9)
L’ultima composizione di questa sezione è forse anche la più stilizzata16. Ne espone le volte
di una doppia struttura cui elementi si organizzano in parallelo e concentricamente, come ha
notato Fokkelman17. La struttura in parallelo dimostra un ordine di iniziativa e risposta, sempre
sul lemma: «L’uomo propone, Dio dispone». In ciò, gli indizi di un gioco כלל ופרט וכללfanno
percepire una sentenza sull’estensione dell’ammissibile sullo sfondo della finalità del
linguaggio umano (Gn 11,6)18. La forma concentrica ne fa complemento, rilevando il contenuto
del v.5: «YHWH scese a vedere la città e la torre», il luogo di un’oggettivazione. L’agire divino
ricorda, sia la sorpresa di Gn 6,5-6 in cui Dio ingressa nella temporalità, sia la deliberazione
divina di Gn 3,22-23 che finisce con la spedizione dell’uomo sulla Long Way (Gn 11,6-8).
Conviene ricordare che l’arte narrativa contempla l’impiego di questi elementi in termini di
presentare nel tempo (del racconto) e non spazialmente sulla pagina19. Il loro effetto, subito
percettibile, rassomiglia alla forma della diatriba, cui brevitas diventa quasi frenetica.
16
“The story is an extreme example of the stylistic predisposition of biblical narrative to exploit interechoing
words and to work with a deliberately restricted vocabulary” (ALTER, Five Books, 59).
17
J. FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, 20-32.
18
Cf. M. CHERNICK, «Developments in the Syntax and Logic of Talmudic Hermeneutic Kelal Ufera Ukelal», in
Studia Humana VI.ii (2017), 17-36.
19
SONNET, «L’analisi narrativa», 81.
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SONNET, «L’analisi narrativa», 64-65.
21
«L’espressione “avere una bocca sola” (…) veicola normalmente il significato dell’unità e della stabilità di un regno,
guadagnate con l’esercizio della forza e della violenza da parte dei vari re assiri» F. GIUNTOLI, Genesi 1–11, 171.