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B.

Oldani 161591 Genesi 1–11: un approccio narrativo (TBA137) 1


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2. Dell’insieme Gn 1–11 si può dire che illustra il fallimento della Short Way (il «Tutto subito»). Sulla base di
Gn 2–3; 6; 11,1-9 (e eventualmente di altri testi), individuare le diverse forme della tentazione umana della
scorciatoia (Short Way) e i modi in cui Dio progressivamente avvia l’uomo sulla Long Way.

1. Salomone verso l’archetipo Adamo: Tutta la sapienza subito? (Gn 2–3)


Le vicende del giardino paradisiaco e del regno salomonico si leggono avvicenda. Anzi,
l’«elevata incidenza di ripetizioni» tra le storie di Gn 1–11 e le «diverse storie relative ai primi
re» attesta, in qualche modo, ad un fenomeno di ressourcement1. Beachamp è d’accordo: «il
recinto delle conoscenze di Salomone è un secondo giardino di Adamo»2. Malgrado ciò,
sarebbe da ritenere un recinto battuto perché vi si mescola col connubio alla sapienza delle
nazioni attraverso le numerose donne straniere alle quale lui si era attaccato (1Re 11,1ss;
Gn 2,24). Così, le divinità stranieri entrarono subito nel regno, quale frutto proibito, assimilato
per amore alla donna. Similmente, il trasporto della figlia del Faraone nella parte più interna
del palazzo regale riproduce l’entrata dell’Arca nel Tempio (1Re 8,1; 9,24). Quel paragone
traduce il fallimento del precipitato itinerario del cuore del re3. La lunga storia di arrivare a
quella soglia viene ironizzata dall’idea che «la fine corrisponde all’inizio» (Is 11,6-10). Sulla
Short Way il figlio di Davide regna sul trono in pace e fa costruire una casa per YHWH, ma
contemporaneamente ad esso, lui fa stabilire un nuovo Egitto, e forse di peggio, senza mai
arrivare al Regno di Dio che, invece, si rinvia sempre sulla Long Way.
Riguardo alla Genesi, la fine della Creazione riceve il suo fine nella benedizione di «regnare
su tutto» (Gn 1,28) con l’introduzione di un tempo sacro (il šabbat) che attende uno spazio
sacro, quale frutto del dominio mite richiesto all’uomo, perché lui è immagine e somiglianza di
Dio (Sap 12,18)4. Ciò presenta l’immagine di Dio sotto una doppia valenza: da giardiniere che
costituisce lo spazio sacro tra/sotto gli alberi, quale endiadi di saggezza maturata; o da vasaio
che ne delimita dando forma all’umano col soffio divino dentro. Ciò fa servire Gn 2,8 da
sommario prolettico per introdurre un close up che spiega, al passo di un tempo narrante, il
successo tra il sesto e il settimo giorno. La sua modalità scenica cerca di dimostrane un rapporto
interno, cui bersaglio è il riconoscimento dello spazio sacro al quale è dovuto legare il nome
impronunciabile di YHWH (Cf. Es 28,36-38)5. Ecco il programma per entrare nel suo riposo.

1
E. L. GREENSTEIN, «The Formation of the Biblical Narrative Corpus», AJS Review 15 (1990) 165.175.
2
J.-P. SONNET, L’alleanza della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica, Lectio 1, Roma
2011, 275.
3
J.-P. SONNET, L’alleanza della lettura, 282-283.
4
“Man is created not in God’s image, since God has no image of His own, but as God’s image, or rather to be
God’s image, that is to deputize in the created world for the transcendent God who remains outside the world
order.” D.J.A. CLINES, “The Image of God in Man”, Tyndale Bulletin 19 [1968] 101.
5
J.-P. SONNET, «L’analisi narrativa dei racconti biblici», in Manuele d’esegesi dell’Antico Testamento,
M. BAUKS – C. NIHAN, ed., Bologna, 2010, 53.58-59.60.63.
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Le istruzioni di Gn 2,15-17 figurano il compito di servire/lavorare [‫ ]עבד‬e custodiare [‫]שמר‬


il dono di tutto ricevuto da Dio, insieme all’avvertenza di un limite associato ad un pericolo
mortale. Innanzitutto, Dio riconosce: «non è bene che l’uomo sia solo». Ne segue un tentativo
rimedio nominando gli animali, cui forma di proto-scienza corrisponde alle liste e compendi
salomoniche (Proverbi, Leggi)6. Ciò stabilisce le condizioni per un dominio mite con la parola,
lasciando uno spazio autonomo agli esseri del giardino (Gn 2,18-20). Il tentativo rimane
incompleto, però, perché la proto-scienza non basta per porre la saggezza nell’intimo. La
soluzione, cui prolessi prepara la svolta sulla Long Way, introduce un nuovo tipo di limite nella
carne, la cui alterità, e origine nel mistero, resiste alla sua padronanza, pur essendo talmente
intima a lui che capace di fargli perdere la padronanza di sé. Il suo intervento lirico al vederla
riprende e conferma il significato del «dono di tutto» in colei, capace di soccorrere lui con la
sua medesima vita: «le mie ossa e la mia carne» (Gn 2,23). Ciò amplifica la suspense di possibili
ripercussioni su questo fatto, carico del dato interno: una innocente nudità senza vergogna7.
L’introduzione del Serpente avvisa al punto di vista dell’opponente (Gn 3,1), cui lingua
frastornerà quanto di bello ha dichiarato la lingua di Adamo (Cf. Prv. 18,21)8. La donna, rimasta
silente di fronte all’elogio dell’uomo, ora prende la parola con il nemico cui astuzia [‫]ערום‬
soverchia il limite dell’intimità esposta [‫]ערום‬. In ciò si usa un Leitwort per indirizzare il
fallimento della Short Way. Il dialogo diretto tra le due presenta la parte più decisiva della
narrazione in cui Dio diventa, persino, un personaggio raccontato, cui parole subiscono una
ripresa imperfetta. Il lettore, pur identificando le divergenze all’ordine dovuto, è impotente
davanti alla rovina (Gn 2,9; 3,6). Il potere della lingua sulla parola divina decide il «momento
preciso della tentazione, desiderio d’infinitezza, implicante la trasgressione del limite»9. Pure
il silenzio di Adamo, malgrado il suo personaggio piatto, fa prevalere l’agire ingenuo sulla
parola dovuta; altro aspetto tipico del fallito accesso al Dono Totale, mancato di poco.
L’esito della loro disavventura snoda il grande discorso eziologico nella vergogna della
nudità, la lontananza da Dio, la contesa tra uomo e donna, le pene della contingenza e la
mortalità, forse a mo’ di giustizia poetica (Prv 26-27). Tutto culmina nel grido che dà nome a
lei: «Hawwah!», confessione di una scoperta di senso: lei deve portare avanti la sua vita sulla
Long Way; lei è per lui interlocutrice con chi va ultimata la saggezza interiore, quale fonte di
vita; il riscontro con lei è compito di servire [‫ ]עבד‬e custodire [‫ ]שמר‬la speranza del Dono Totale.

6
Cf. LABAT, “La Mésopotamie”, 86.
7
Cf. SONNET, «L’analisi narrativa», 65.70.73-74.
8
Cf. RICŒUR, Come pensa la Bibbia, 60, n. 1; SONNET, «L’analisi narrativa», 75.
9
RICŒUR, ibid; SONNET, «L’analisi narrativa», 76-77.79-80.
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2. Il limite della consolazione: In che modo imbrigliare le acque primordiali? (Gn 6)


I fraintendimenti che portarono a trasgredire i limiti stabiliti dalla parola creatrice non hanno
fermato il programma di Gn 1,28 né l’efficacia della Long Way. Anzi, Enoc, che figura la
settima generazione dal grembo, fu preso [‫ ]לקח‬da Dio perché gli piacque [ευηρεστησεν],
«camminò con Dio» facendo la sua volontà (Gn 5,24). Sessantanove anni dopo –ancora circa
seicento anni prima del diluvio– suo pronipote entra in scena con l’annuncio: «questo ci
consolerà [‫ ] ְיַנֲחֵמנוּ‬del nostro fare e della pena delle nostre mani a causa delle terra che YHWH
ha maledetto» (Gn 5,29; Cf. Gn 3,17). Il suo nome, Noè [‫]נח‬, introduce un gioco sui motivi di
consolare (Pi), pentire (Ni), e riposare sulle radici nḥ e nḥm, stabilendo, così, un Leitwort che
descrive la Long Way: «L’uomo propone, Dio dispone» (Prv 16,1)10.
Nel mondo, il tempo e lo spazio si dilatano verso una complicazione11. La moltiplicazione
delle figlie –bensì collegate alla benedizione di Gn 1,28– diventa occasione di una nuova
tentazione (Gn 6,1). Il limite della parola, che riguarda il limite nella carne, viene infranto su
una portata cosmica. Il percorso di Enoc viene contrastato nell’eco di Gn 3,6, nella sequenza di
azione: vedere la qualità buona e prendere (Gn 6,2)12. L’indizio dei «figli di Dio» [‫]בני האלהים‬
come membri della corte celeste dice la trasgressione dei limiti cosmici perché “si attaccano”
alle figlie degli uomini nella carne. Viene indicato pure il disimpegno con il legame dovuto,
perché prendono «tutte quante li pare» [‫]מכל אשר בחרו‬. Altro che dominio mite.
Di nuovo, lo spazio di riconoscimento che deve portare il nome di YHWH è diroccato sulla
Short Way. Così, il progetto spirituale di Dio, che incide sulla parte più profonda della carne
dell’uomo, è diventato oggetto per usufruire al proprio piacere. Dio, però, decide di stabilirne
un nuovo limite riguardante lo spirito che abita la carne, arginando la longevità di vita a
centoventi anni (Gn 6,3). Cioè, l’acqua primordiale, quale fonte di vita che scorre nel grembo
materno, ora non farà durare più di tre generazioni; nuova definizione dell’umana capacità. La
ripresa del commento sulle unioni illecite ricorda l’origine dei ‫( נפלים‬γιγαντες)13, quali «uomini
di nome», «eroi di antichità». Ciò forse dice un mitologico “status ibrido” di sovranità
fondatrice, ma con Gn 3,4 ne esprime la deliberazione di «essere come dei», a prescindere
dell’ordine stabilito dalla parola di YHWH, il che porta alla loro caduta (Gn 6,4).

10
Una storia [biblica] è attrezzata da un concatenamento di parole identiche […]. Il senso della narrazione non
si chiarisce se non a partire dai segnali che il narratore ha distribuito sulla superficie del suo racconto, come
altrettanti fanali. (Fr. ROSENZWEIG, Écriture, 138). SONNET, «L’analisi narrativa», 76-77.
11
SONNET, «L’analisi narrativa», 56.
12
SONNET, «L’analisi narrativa», 78.
13
Letteralmente: «i caduti». Altrove ‫ נפל‬indicherebbe «l’aborto» (miscarriage): in connessione con i potenti
che saranno distrutti (Sa 58[57]); condizione nella incontinenza carnale (Nu 2,12); finalità in cui si spera per
riposare dalla fatica delle mani (Gb 3,16); che paragona la fatica che si consuma nella vanità (Eccl 6,3b).
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Mentre la prima parte del prologo ha introdotta l’affare esterno dei figli di Dio, tramite il
loro «vedere» bramoso, la seconda parte introduce, da contrappunto, il «vedere» di YHWH. In
ciò si rileva l’onniscienza del narratore che accede al pensiero di Dio, anzi come interprete del
giudizio divino14. Dio giudica che la crescita umana si è deviata dall’opera divina perché
«l’intenzione dei disegni nell’intimo dell’uomo è rivolta al male tutto il tempo» (Gn 6,5).
Quindi, nel termine umano, spazio e tempo ribaltano i limiti propri alla creazione, l’uomo è
diventato mimeticamente sinonimo al caos primordiale, banalizzando le acque che danno vita.
L’unico riparo rimasto sono le lacrime dietro le parole di Lemek (Gn 5,29) cui sequenza
YHWH riprende mediante un gioco sulle radici verbali. Il loro oggetto annuncia la svolta: le
penose opere dell’uomo, frutto del cuore che cerca la consolazione (deviatamente), affliggono
il cuore di YHWH, e lui si pente di aver fatto l’uomo (6,6). La svolta rivela una sorpresa: il
dolore umano trova corrispondenza in un Dio addolorato. Cioè, la conseguenzialità umana fa
ingressare il Dio eterno nella temporalità delle scelte che sono suscettibili alla reversibilità. Il
monologo interiore di YHWH conferma la lettura del narratore: un cambiamento profondo è
avvenuto nel parere del cuore divino sulle mosse del cuore umano, la cui mimesi è simile alla
περιπέτεια della Poetica di Aristotele (§11). Il riposo atteso da Lemek riceve un verdetto di
annichilazione che si estende –secondo la maledizione della terra– persino a tutte le creature
(Gn 6,7). Chissà che l’autodistruzione umana fosse condizionata dal suolo maledetto, poiché
Dio dice «saranno loro distrutti insieme alla terra» (Gn 6,13). Tuttavia, la pena corrisponde al
delitto, a mo’ della giustizia poetica dell’Eden, risollevando la suspense del “come”.
L’antidoto prolettico rimane prima del fatto, però, perché qui la forma waw-x-Qatal esprime
l’antecedenza della grazia che YHWH aveva trovato in Noè (Gn 6,8)15. Mentre «la carne ha
distrutta la sua strada sulla terra», perché essa è piena di prepotenza, Noè, come suo bisnonno,
«camminava con Dio» (Gn 6,9.11.12). Quale era, però, la strada per la carne sulla terra? Quella
del dominio mite nella parola, nello spazio di rivedersi nella differenza con la donna, per
assimilare così il Dono Totale. Quando, però, la violenza sovrasta in unioni illegittime, senza
più riguardo per i limiti e i legami, le contingenze non servono più che a spronare il caos. Così,
nel varcare gli ambiti celesti e terreni, la Short Way dei figli di Dio fa togliere pure
l’imbrigliamento al firmamento. Tuttavia, ci sarà la protezione della Parola per chi la serve e
custodisce. Quello è l’unico modo di galleggiare sulle acque del giudizio divino. In questo
compito, solo Noè riceve dal narratore il titolo di «uomo giusto» [‫( ]איש צדיק‬Gn 6,9).

14
SONNET, «L’analisi narrativa», 50-51.
15
GKC §142b Gn 6,8 “expresses an act completed long before, to which reference is made only because it is
necessary for understanding the sequel of the principal action”.
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La suspense del “come” si rivela nel passaggio tra il sesto e il settimo secolo dopo Enoc: ci
sarà un diluvio distruttore (Gn 6,17). Nel vuoto di un lutto silenzioso, la parola creatrice
“tacerà” l’opera che ha fatto. Nonostante ciò, Noè ha già accolta e messa in pratica quella
parola, costruendo l’Arca con la speranza di stabilirne un’Alleanza con la famiglia che ivi
dimora (Gn 6,18). Quindi, così, come la disubbidienza dell’uomo portò al verdetto di distrugge
tutte le creature insieme alla terra, così, l’obbedienza sarà anche responsabile per salvare tutto
insieme, rimarcando le differenze nel dono, stabilite dalla parola mite, secondo ogni specie,
nell’unione monogama «maschio e femmina» (Gn 6,19-21). È un sommario di Gn 1,25-27.
In questo modo, l’Arca diventa un microcosmo dove regna la pace, un nuovo piccolo Eden,
cui recinto di legno intrecciato [‫ ]גפר‬è stato reso impermeabile alle acque grazie al bitume [‫]כפר‬
che la ricopre dentro e fuori (Gn 6,14). Certo, mentre la terra fu espiata [‫ ]כפרת‬dalla
maledizione, il mondo fu salvato nell’intimo dell’Arca, coperta dal ‫ כפרת‬e dal ‫כפר‬, con le acque
primordiali fuori. Quest’ultimo Leitwort fa rileggere l’Alleanza sulla Long Way con la scuola
P ed Ezechiele, in cui si prepara [‫ ]עשה‬l’offerta, espiando lo spazio santo per diventare gradito
a YHWH. Noè prepara tutto «secondo il commando di Dio», perché alla fine, serve la sapienza
del vecchio adagio: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare (Gn 6,22; 8,20-22).

3. Il luogo del nome: non era da stabilire nei cieli? (Gn 11,1-9)
L’ultima composizione di questa sezione è forse anche la più stilizzata16. Ne espone le volte
di una doppia struttura cui elementi si organizzano in parallelo e concentricamente, come ha
notato Fokkelman17. La struttura in parallelo dimostra un ordine di iniziativa e risposta, sempre
sul lemma: «L’uomo propone, Dio dispone». In ciò, gli indizi di un gioco ‫ כלל ופרט וכלל‬fanno
percepire una sentenza sull’estensione dell’ammissibile sullo sfondo della finalità del
linguaggio umano (Gn 11,6)18. La forma concentrica ne fa complemento, rilevando il contenuto
del v.5: «YHWH scese a vedere la città e la torre», il luogo di un’oggettivazione. L’agire divino
ricorda, sia la sorpresa di Gn 6,5-6 in cui Dio ingressa nella temporalità, sia la deliberazione
divina di Gn 3,22-23 che finisce con la spedizione dell’uomo sulla Long Way (Gn 11,6-8).
Conviene ricordare che l’arte narrativa contempla l’impiego di questi elementi in termini di
presentare nel tempo (del racconto) e non spazialmente sulla pagina19. Il loro effetto, subito
percettibile, rassomiglia alla forma della diatriba, cui brevitas diventa quasi frenetica.

16
“The story is an extreme example of the stylistic predisposition of biblical narrative to exploit interechoing
words and to work with a deliberately restricted vocabulary” (ALTER, Five Books, 59).
17
J. FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, 20-32.
18
Cf. M. CHERNICK, «Developments in the Syntax and Logic of Talmudic Hermeneutic Kelal Ufera Ukelal», in
Studia Humana VI.ii (2017), 17-36.
19
SONNET, «L’analisi narrativa», 81.
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L’incastramento di frasi corte, contrassegnate di allitterazione, spinge all’efficacia massima


ma, appunto, al rischio di finire senza fiato. Così, sono ammucchiate le parole ‫ָשׁם‬, ‫ָשַּׁמ ִים‬, ‫ ֵשׁם‬e
sgraffia la frase ‫( ָהָבה ִנְלְבָּנה ְלֵב ִנים‬Gn 11,3). Si dipinge la smania con la cadenza del narrare.
L’apertura dell’episodio inizia con un flashback a Gn 10,10-12 che serve, come Gn 2, per
fare un close up dell’accaduto in simultaneo, il che risponde alla domanda sulla dispersione
delle nazioni dopo il diluvio (Gn 10,32)20. Si identifica, così, Nimrod come un «uomo di nome»
perché fondatore di città nella terra di Shinear. Tuttavia, perché questi viene dalla stirpe di Cam,
la maledizione di Noè sta su di lui. Così, Gn 11,2 ribadisce sul tema di andare errante verso est,
come Adamo e poi Caino, che si impegnò nella costruzione di una città che là prese il nome del
figlio: «dedicazione» (Gn 4,16-17). Questa città orientale, «Enoc», contrasta l’atteggiamento
del figlio di Set, dello stesso nome che, invece, «camminò con Dio» (Gn 5,22.24).
Tra il poliedrico uso di Leitwort, in questo episodio, si trova una coincidenza tra i figli, la
costruzione e i mattoni [‫ בנים‬/ ‫ בנה‬/ ‫]לבנים‬. Per dire con Caino, oppure Sir 40,19: la loro
sovrapposizione fa consolidare un nome. La paura di essere dispersi sulla terra chiede un posto
sicuro, una grande torre, cui ombra eclissa il ruolo dei figli di essere portatori del nome.
Contrario al progetto di benedizione (Gn 1,28; 9,1.7), qui si verticalizza sopra un solo indirizzo
geografico ivi il destino dei figli rispecchia quello dei mattoni: esistono per incastrarsi nei muri.
Tutto fa un po’ ricordare la cultura della schiavitù in Egitto dove questo si traduceva in
lavoro forzato e oppressione. Per ora, è un progetto utopico di libertà personale, in marcia sulla
volontà di massa, pur eseguendo un discorso unilaterale e spersonalizzante21. Qui, la logica
dell’unità indifferenziata si alza come aggressore contro i limiti del dominio mite della parola.
Il progetto non solo ingombra l’autonomia che vi affretta di costruire, ma pretende contro Dio.
Per farla corta, l’unilaterale sintesi delle parole «nome» e «luogo» [‫ ]שם‬crea un diritto “duale”
che si impadronisce della parola «cielo» [‫]שמים‬. È l’inizio del fare senza alcun limite (Gn 11,6).
Dio risponde, con grande condiscendenza, disponendo, sempre sulla stessa battuta: lo spazio
reciproco, ora limitando il potere della lingua. La riduzione dei campi della comunicazione non
porta all’oggettivazione che amalgama l’uomo insieme alle materie prime. Si apre piuttosto alla
moltiplicazione delle istanze di alterità e significato: il percorso irrinunciabile attraverso il quale
vi passa la Long Way. La sovranità del mistero si risente nel fatto che il luogo chiamato “porta
di dio” (bāb-ili) assume il significato “confusione” (‫)בבל‬. Non è un divieto ma un’invitazione
all’ascolto prima dell’agire, poiché i nomi di ogni patria vengono dati dal cielo, non viceversa.

20
SONNET, «L’analisi narrativa», 64-65.
21
«L’espressione “avere una bocca sola” (…) veicola normalmente il significato dell’unità e della stabilità di un regno,
guadagnate con l’esercizio della forza e della violenza da parte dei vari re assiri» F. GIUNTOLI, Genesi 1–11, 171.

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