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Gerardo Cioffari o.p.

SAN NICOLA E LA SUA BASILICA


NEL MOVIMENTO ECUMENICO
Martedì 24 novembre 2015
Hotel Parco dei Principi, Bari/Palese.

1. Nicola, uomo del dialogo


2. Universalità del culto
3. Traslazione e ulteriore irradiazione
4. Critica storica e riforma liturgica
5. La Basilica di S. Nicola a Bari
6. Il Concilio Vaticano II e l’Istituto Ecumenico San Nicola
7. P. Manna: la convivenza cattolico-ortodossa nel Mezzogiorno
8. La rinascita ecumenica di San Nicola
9. La percezione del Santo fra ortodossi, cattolici e protestanti
10. La Basilica faro di ecumenismo
11. Il pellegrinaggio russo
12. Il pellegrinaggio italiano
13. Conclusioni
APPENDICI
La leggenda russa sulla Traslazione (1095)
Discorso di Giovanni Paolo II nella Basilica (26 febbraio 1984)

119
1. Nicola, uomo del dialogo
Deciso ed energico con i forti, mite e misericordioso con i
deboli. Questo era Nicola, il vescovo di Mira in Asia Minore (oggi
Turchia), come si evince dall’unico documento coevo che ci sia
pervenuto, la Praxis de stratelatis1. Patara e Mira, queste due città
della Licia, rappresentano la sua città natale (la prima) e la sua sede
episcopale (la seconda), a suo tempo entrambe visitate da San Paolo.
La sua fu un’epoca di passaggio, dal paganesimo al
cristianesimo, con frequenti momenti di violenza che non
risparmiarono neppure i cristiani. Favorito dall’atteggiamento
favorevole dell’imperatore Costantino, non ebbe paura di scendere in
lizza e di affrontare chi non aveva remore nel compiere soprusi e
ingiustizie, come il governatore della sua città (Eustazio), il prefetto
del pretorio Ablabio e lo stesso imperatore Costantino. La suddetta
Praxis narra infatti i suoi decisi interventi a favore di alcuni cittadini
condannati alla decapitazione, e qualche tempo dopo a favore di alcuni
comandanti (stratelati) finiti ingiustamente in prigione ed in pericolo di
morte.

L’affresco più antico raffigurante San Nicola che salva gli innocenti dalla
decapitazione (S. Maria de Olearia, Maiori, SA)

1
Gustav Anrich, Hagios Nikolaos, I, Leipzig-Berlin 1913.

120
L’episodio che meglio aiuta per stabilire la sua cronologia sia pure
approssimativa è la sua partecipazione al concilio di Nicea del 325. E’
difficile dire se vi abbia preso parte fisicamente o solo mediante contatti
epistolari o con un suo rappresentante. In ogni caso, in quell’estate del
325, mentre si tenevano le sessioni, egli teneva i contatti con
Teognide, con tutta probabilità proprio il vescovo di Nicea ed uno dei
principali fautori di Ario.
La fonte della notizia è Andrea di Creta (700 c. d.C), il quale nel suo
Encomio pronunciato proprio nella chiesa di Mira, rivolgendosi
idealmente a Nicola, dichiarò:

Chi del resto non ammirerà la tua magnanimità ? Chi non proverà
stupore per il tuo eloquio dolce, della tua mitezza, del tuo carattere
pacifico e supplichevole? Mi riferisco a quella volta che tu, come si
racconta, passando in rassegna i tralci della vera vite (Gv 15,1),
andasti incontro a quel Teognide di santa memoria, allora vescovo
della chiesa dei Marcianisti. La discussione procedette dapprima in
forma scritta fino a che non lo convertisti e lo riportasti alla vera fede.
Ma poiché fra voi due era intervenuta una certa asprezza, con la tua
voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo dicendo: “Vieni,
riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla
nostra ira” (Ef. 4,26).2

L’episodio è interessante non solo per il collegamento al concilio di


Nicea quanto perché illuminante della personalità di Nicola. Infatti,
mentre la Praxis ce lo mostra energico e deciso contro i forti in difesa
dei deboli, questo di Teognide rivela il suo profondo spirito evangelico e
la sua sollecitudine per la pace ecclesiale.
Vari scrittori, ignorando che non esiste una lista coeva dei Padri del
Concilio di Nicea, ma soltanto una ventina di liste tardive, hanno
affermato che san Nicola non c’è nella lista di Nicea. In realtà il suo
nome non compare nelle liste anteriori al VI secolo (ma sempre tardive)
che presentano poco più di 200 nomi, invece degli oltre 300 di quasi
tutti gli scrittori coevi3. Alcuni studiosi tedeschi hanno redatto una lista
(Index restitutus) in cui, ritenendolo un’aggiunta dalle Vite del Santo

2
Andrea di Creta, Encomium S. Nicolai.
3
Quasi tutti gli scrittori coevi parlano di circa 300 partecipanti. Per il numero 318 sono: Atanasio, Ad
Afros, 2; Ad Jovianum imperatorem, in Teodoreto, Historia Ecclesiastica, IV, 3; S. Girolamo,
Chronicon, ad a. 2338; Hilarius, Contra Constantium; Rufinus, Historia Ecclesiastica, X, 1; Epifanio,
Contra Haereses, II, 69; Sozomeno, Historia Ecclesiastica, VI, 11; Ambrogio, De fide ad Gratianum,
1, prologo 5; Evagrio, Historia Ecclesiastica, III, 31. Naturalmente il numero preciso di 318 riportato
dalla tradizione ecclesiale potrebbe essere simbolico. Vedi: M. Aubineau, Les 318 serviteurs
d’Abraham et le nombre des Pères au Concile de Nicée, in RHE 61 (1966), pp. 5-46.

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(IX secolo), non inseriscono il nome di Nicola (anche se nella cartina
finale pongono un punto interrogativo)4. Tale conclusione ha prevalso
sia sull’Anrich, che invece avrebbe dovuto sapere che le liste con San
Nicola sono precedenti alle Vite, che sui recenti editori della lista di
Teodoro il Lettore. Questi ultimi oggi danno un grande rilievo a questa
lista (che contiene il nome di San Nicola) perché la frase introduttiva è
identica a quella con la quale lo storico Socrate (430 circa) introduce la
sua promessa lista.
Gli argomenti a favore di san Nicola nella lista sono quindi
decisamente più solidi di quelli contrari. La lista di Teodoro, proprio
nella questione di San Nicola, è considerata autentica da uno dei
maggiori esperti, Eduard Schwartz 5 . Senza dire che anche la lista
anteriore al 713 contiene il nome di Nicola, per cui l’argomento
dell’interpolazione dalle Vite è del tutto inconsistente.
Da relegare, invece, nel mondo delle leggende sono tutti gli episodi
che solitamente si connettono alla sua presenza a Nicea, collegati in
qualche modo al fantomatico schiaffo ad Ario.

San Nicola al Concilio di Nicea del 325 dopo Cristo.


Roma, Basilica di San Nicola in Carcere. Affresco del XIX secolo

Vale la pena ricordare che nell’iconografia ortodossa S. Nicola è spesso


raffigurato insieme ai grandi Padri della Chiesa Basilio il Grande,
4
Gelzer H., Hilgenfeld H., Cuntz, Patrum Nicaenorum Nomina, Lipsiae 1898. Le liste che riportano
il nome di nicola sono tra le più antiche, vale a dire la lista dei 221 nomi, il Rimaneggiamento
alessandrino dei 225 nomi, il Corpus canonum di Antiochia anteriore al 381, liste latine I, II, III, A
IV, A V, lista siriaca del 501, lista copta di 162 nomi.
5
Eduard Schwartz, Über die Bischofslisten der Synoden von Chalkedon, Nicaea und Konstantinopel,
in “Abhandlungen der Bayerischen Akademie der Wissenschaften”, Neue Folge, Heft 13 (1937)
München, pp. 1-90, in particolare p. 63

122
Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo. Questi padri, e
specialmente i primi due, si distinsero come Nicola per la loro
lungimiranza e comprensione nei confronti dei dissidenti e degli eretici.
Sia Basilio che Gregorio dialogavano con gli pneumatomachi che
non accettavano di chiamare Dio lo Spirito Santo, e ritenevano che tale
posizione, sia pure a motivo di “economia” ecclesiastica, non impedisse
di rimanere in comunione ecclesiale con loro.

2.- Universalità del culto

La figura di S. Nicola è andata incontro a varie peripezie. Una Vita del


IV secolo, perduta tranne che per l’episodio degli Stratelati, ha fatto sì
che gran parte di ciò che di lui si sa risalga a tradizioni che nell’VIII
secolo furono raccolte da tale Michele Archimandrita 6.
Ad aggravare la situazione, intorno all’anno 900 fu scoperta a Bisanzio
la Vita di un monaco Nicola (Vita Nicolai Sionitae) vissuto anch’egli
in Licia 200 anni dopo il nostro. La fusione dei due personaggi ad opera
di Simeone Metafraste, che nel medioevo non suscitava perplessità, fu
all’origine di quella critica storica che intorno al 1700 cominciò a colpire
l’immagine del Santo. Una critica più che fondata per certi versi (gli
anacronismi), ma anche carente di quella conoscenza storica che
paradossalmente è la prova provata non solo della veridicità storica ma
anche della mia datazione al IV (e non VI) secolo della Praxis de
stratelatis, vale a dire la presunta incongruenza della presenza dei Goti-
Taifali in Frigia (Asia Minore). Come si dirà meglio più avanti, a
proposito della critica storica.
A completare il quadro, confusioni ed equivoci letterari e iconografici
fecero nascere leggende che i semplici fedeli prendevano per miracoli,
come fu il caso della leggenda dei tre bambini che diede adito al suo
patronato sull’infanzia e sulle scuole.

6 Gli episodi della vita noti nei secoli anteriori al X° sono i seguenti:
♦Nascita a Patara (Michele Archimandrita, VIII-IX secolo)
♦Allattamento: mercoledì e venerdì una sola volta (Michele Arch.)
♦Dote alle tre fanciulle povere (gettando nottetempo sacchetti di monete dalla finestra) (Michele
Arch.)
♦Elezione a vescovo da laico (Michele Arch.)
♦ Partecipa nel 325 al Concilio di Nicea (lista di Teodoro il Lettore, anno 515 c.)
♦ Converte il vescovo ariano Teognide
♦Carestia: ottiene per i Miresi grano proveniente da Alessandria (Michele Arch.)
♦Salva dei naviganti durante una tempesta (Michele Arch.)
♦Salva tre innocenti dalla decapitazione (Praxis de stratelatis, IV secolo)
♦Spinge Costantino a liberare tre ufficiali dal carcere (Praxis de stratelatis)
♦Smaschera il diavolo (la vecchietta che consegna ai pellegrini un olio malefico)
♦Distrugge il tempio di Diana (Michele Archimandrita).

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Intorno all’anno 900 lo scrittore bizantino Niceta di Paflagonia
affermava che dopo la Madonna Nicola era il Santo più invocato,
chiamandolo addirittura un “secondo salvatore” 7 . Tra i fattori che
provocarono la vertiginosa ascesa del culto di Nicola nel corso del IX
secolo fu la quanto mai drammatica avanzata musulmana nel
Mediterraneo, quando nessuna terra che si affacciava sul mare fu
immune da quelle micidiali incursioni che strappavano giovani e
fanciulle alle loro famiglie e venivano venduti come schiavi. Grazie alla
Praxis de stratelatis, il racconto di Nicola che salva tre innocenti dalla
decapitazione e tre carcerati dalla condanna a morte, fu abbastanza
naturale che fosse il santo più invocato per la salvezza e il ritorno dei figli
rapiti dai musulmani.
Il primato di San Nicola nell’agiografia medioevale ha due autorevoli
conferme. Nell’introdurre la sua Historia Translationis, scritta tra il
1087 ed il 1088, Giovanni Arcidiacono afferma 8: Per tale motivo per
tutte le nazioni e province in cui si venera il nome di Cristo Signore si
contano più chiese a lui dedicate che non ad altri santi; come
pure sono più numerosi i mortali che celebrano la sua festa che non
quella di altri (santi).

Nella sua Historia Translationis Giovanni Arcidiacono


(1087/1088) afferma che a San Nicola sono dedicate più chiese che a
qualsiasi altro Santo.

7 Niceta definisce Nicola “iper-agios” (super santo), e “allos tois Christianois soter” (un secondo
salvatore per i cristiani). Cfr. Codex Parisinus 1180, f. 291 e 202-292v.
8
Et iccirco sub isto vocabulo plures per omnes nationes et provincias, ubi Christus Dominus colitur,
quam aliorum sanctorum, consecratae inveniuntur basilicae; et mortales plures sunt, qui Sancti
huius sollemnia celebrant, quam aliorum.

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Da parte sua Cesario di Heisterbach tra il 1220 ed il 1230 scriveva:
San Nicola viene raffigurato nelle chiese, sia sotto forma di statue che
di dipinti, più frequentemente di altri vescovi 9.
Nonostante le varie peripezie, il culto nicolaiano è cresciuto e si è
diffuso al di là di ogni aspettativa. Esso ancora oggi si mantiene
notevole, anche se non si può parlare più di primato, come per il
medioevo. Persino la declassificazione operata dalla riforma liturgica
promossa dalla Santa Sede nel 1969 ha lasciato molti indifferenti.
Infatti, gli effetti pratici sono stati irrilevanti, essendo Nicola venerato in
tutto il mondo. E’ difficile trovare un sacerdote cattolico che, in
osservanza a quella riforma, il 6 dicembre commemori un Santo diverso
da Nicola10.

Anche Cesario di Heisterbach intorno al 1225 afferma che nessun


santo vescovo è raffigurato nelle chiese più di San Nicola (Libro VIII,
cap. 75).

9
Sanctus Nicolaus crebrius aliis pontificibus in ecclesiis, tam in scripturis quan in picturis
repraesentatur (ho tradotto scripturis con “sculture” invece di “scritture”, perché sembra più consono al
contest)..
10 L’universalità del culto di S. Nicola è attestata senza riserve da qualsiasi dizionario o

raccolta agiografica. The Oxford Dictionary of Saints definisce Nicola “uno dei santi più
universalmente venerati”, e quasi con le stesse parole si esprime The Book of Saints dei Benedettini.
Mentre A Biographical Dictionary of the Saints afferma perentoriamente: Nicola di Mira,
vescovo e confessore, è il santo più popolare della Cristianità, altamente celebrato da
tutte le nazioni, specialmente dalla Chiesa russa scismatica. Chiese e cappelle innumerevoli gli sono
dedicate.

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3.- Traslazione e ulteriore irradiazione

La traslazione delle reliquie del Santo da Mira a Bari nel


1087 diede ulteriore impulso al culto nicolaiano. L’evento barese è però
conseguenza del grande culto già esistente, non causa. Anche se è
innegabile che successivamente divenne elemento propulsore 11.

Lo scontro fra popolo e arcivescovo sul luogo che avrebbe ospitato


le reliquie (la Cattedrale o l’antica Corte del Catepano) è all’origine della
felice circostanza per la quale ci sono pervenute ben due relazioni
coeve, quella di Niceforo del 1087/88 per incarico della cittadinanza 12,
e quella di Giovanni Arcidiacono, pochi mesi dopo, per incarico
dell’Arcivescovo13, con contrapposte tesi su a chi andasse attribuita la
colpa dei morti in quello scontro. Se il testo di Niceforo è preoccupato di
esaltare il ruolo del popolo nella vicenda (attribuendo all’arcivescovo la
colpa dei morti) quello di Giovanni Arcidiacono, che attribuisce la colpa
a dei facinorosi, ha un respiro ecclesiale e quindi ecumenico.
A tutte le Chiese di Cristo (Universis Christi Ecclesiis) egli
scriveva accingendosi a narrare il provvidenziale evento. Egli era
consapevole che i Baresi non avevano agito spinti solo da motivazioni
ecclesiali, quanto piuttosto di prestigio e di commercio, ma era
altrettanto convinto che il Signore si era servito di essi per compiere un
suo provvidenziale disegno ecclesiale. La narrazione di Giovanni ebbe
una straordinaria diffusione anche grazie al fatto che la sostanza del

Per chi non avesse dimestichezza con questa vicenda la ricordiamo schematicamente:
11

▪Bari è capitale dell’Italia bizantina (968-1071). Ivi risiede il catepano, il governatore bizantino
dell’Italia Meridionale..
▪Conquistando il Sud i Normanni designano capitali successivamente Melfi, Salerno e Palermo.
▪I Baresi progettano qualcosa per riconquistare prestigio e commercio perduti
▪Ai primi del 1087 tre navi partono per Antiochia per commercio.
▪Sulla via del ritorno attraccano ad Andriake, porto di Mira (Licia, Turchia)
▪Nella chiesa di S. Nicola legano i monaci e trafugano le ossa
▪Arrivano a Bari il pomeriggio della domenica 9 maggio 1087.
▪L’arcivescovo Ursone tenta un colpo di mano per avere le reliquie in Cattedrale
▪Popolo e arcivescovo affidano all’abate Elia la costruzione della Basilica
▪La Basilica è costruita nell’area del Palazzo del catepano
▪Il 1° ottobre 1089 il papa Urbano II repone le reliquie nella cripta
▪Nell’ottobre del 1096 i grandi cavalieri della 1ª Crociata passano da S. Nicola
▪Nell’ottobre del 1098 papa Urbano II tiene un concilio a Bari (con S. Anselmo)

12 Translatio Sancti Nicolai in Varum, della quale ci sono pervenute almeno tre recensioni, la
Vaticana (Cod. Vat. Lat. 6074, in Niccolò Carmine Falcone, Sancti Nicolai ... Acta primigenia, Napoli
1751, pp. 131-139), la Beneventana (Archivio capitolare di Benevento, in Nicolò Putignani, Istoria... di
S. Niccolò, Napoli 1771, pp. 551-568), e greca (Cod Crypt. Gr. Bβ, IV in Gustav Anrich, Hagios
Nikolaos, I, Leipzig-Berlin 1913, pp. 435-449).
13 Translatio sancti Nicolai episcopi ex Myra Lyciae urbe ad Apuliae oppidum Barium, in

Laurentius Surius, De probatis sanctorum historiis, III, Coloniae Agrippinae 1618. Anche Putignani,
Vindiciae II, Napoli 1757, pp. 217-252.

126
racconto fu riportata quasi letteralmente dallo storico normanno
Orderico Vitale nella sua Historia Ecclesiastica intorno al 113014.

Negli anni novanta dell’XI secolo, sulla base delle Historiae


Translationis di Niceforo e Giovanni, furono composte altre due
narrazioni, quella russa e quella francese, perfettamente giunte sino a
noi. Naturalmente tutte le cronache e gli annali del tempo riportarono
l’evento, la cui conoscenza fu favorita dal commonwealth normanno
(Normandia, Inghilterra, Italia Meridionale, Russia e Bisanzio). Come
dice il già ricordato Charles William Jones, uno dei massimi esperti
di storia medievale, nessuna traslazione ha avuto la risonanza che ebbe
quella di S. Nicola, né una documentazione paragonabile a quella
della traslazione di S. Nicola15.
Nel XII secolo la figura di Nicola era conosciuta in ogni angolo del
mondo, anche se ogni nazione lo percepiva in modo diverso.
In Germania come nelle altre nazioni che aderivano alla lega
anseatica le chiese di S. Nicola si diffusero sulle piazze del mercato,
per cui la sua figura fu accostata alla coscienza civica delle libertà
comunali. Già ben noto grazie alla storia degli stratelati narrata per
esteso da Rabano Mauro nel suo martirologio dell’850 circa, ora era
Cesario di Heisterbach a magnificarlo coi miracoli.

14Orderico Vitale, Historia Ecclesiastica, pars III, lib. VII, (PL 188, col. 535-539).
15No Saint’s translation has been graced with such international documentation as N’s. Practically
every Western chronicler of the generation reported this event of 1987. Cfr. Saint Nicholas of Myra,
Bari and Manhattan. Biography of a legend, Chicago London 1978, p. 175. Tra gli Annali coevi che
registrarono la traslazione di S. Nicola a Bari ricordiamo qui:
Annales Farfenses (661-1099), MGH XI, p. 589
Annales Lupi Protospatharii (855-1102), MGH V, p. 62.
Annales Augustani (973-1104, MGH III, p. 133.
Hugonis Floriacensis Liber (-1108), MGH IX, p. 392.
Annales Ottenburani (1040-1111), MGH V, p. 8.
Sigeberti Gemblacensis Chronicon (381-1111), MGH VI, p. 365-366.
Lamberti Audomarensis Chronicon (919-1120), MGH V, p. 66.
Anonimi Barensis Chronicon (-1120), RIS, V, p. 154.
Annales Leodienses, Continuatio (1055-1121), MGH IV, p. 29.
Annales Rosenveldenses (1057-1130), MGH XVI, p. 101.
Annales Beneventani (759-1130), MGH III, p. 182.
Auctarium Claustroneoburgense (1072-1134), MGH IX, p. 628.
Chronicon Monasterii Casinensis (Pietro Diacono, 1075-1138), MGH VII, p. 750.
Annalista Saxo (742-1139), MGH VI, p. 724.
Auctarium Garstense (450-1139), MGH IX, p. 568.
Annales Admuntenses (453-1139), MGH IX, p. 576.
In Litiae Provintia (British M, Tiberius B V (in W de Gray Birch).
Per un elenco di manoscritti latini e anticorussi sulla Traslazione vedi il mio studio (in russo).

127
La fonte russa
(1093/1094) narra la
traslazione come
evento provvidenziale
e in piena armonia fra
clero latino e
orientale, omettendo
sia le tensioni coi
monaci di Mira sia lo
scontro armato dei
marinai contro
l’arcivescovo di Bari.

In Francia, se Roberto, monaco del Bec (Normandia) ne esaltava i


prodigi, era l’attrattiva della sua figura a fare sviluppare la letteratura
delle sacre rappresentazioni che trovarono una forma di superbo
realismo nel celebre dramma di Jean Bodel negli ultimi anni del
secolo. Ma intanto gli aveva dedicato un poema Robert Wace, il noto
scrittore normanno che per primo parlò della tavola rotonda di re Artù.
E sulla reliquia di un dito involato a Bari cominciò la sua storia il
santuario di St Nicolas de Port, poi divenuta splendida basilica gotica16.
L’Inghilterra si inserì in questa gara di fioritura del culto
nicolaiano, specialmente per merito di S. Anselmo di Canterbury (che
partecipò al concilio di Bari del 1098 e scrisse una bellissima preghiera
in onore di S. Nicola) e dello storico normanno Orderico Vitale.
Quindi dalla Spagna alla Svizzera fino ai paesi scandinavi tra il XII
ed il XIII secolo si assistette ad una eccezionale fioritura di culto
nicolaiano. E se la sua festa si trasformava sempre più in manifestazioni
goliardiche, contemporaneamente nasceva la figura del portatore di
doni ai bambini. Si cominciò con le famiglie povere per passare agli
studenti poveri, e finalmente nel XV secolo ai bambini, che ricevevano
regalini vari. Tra il 1450 ed il 1500 nacque il Santa Claus, l’uomo o il
ragazzo che vestito da vescovo raccoglieva fondi che poi distribuiva ai
poveri.

16L’unica fonte antica che parla della reliquia di un dito del Santo lasciata fuori dell’urna alla
venerazione dei fedeli è lo Slovo russo sulla Traslazione, risalente al 1095 circa. Pertanto quella di St
Nicolas de Port è la reliquia nicolaiana che tra quelle fuori Bari ha più probabilità di autenticità.

128
Ben presto il suo culto si diffuse in tutti gli angoli del mondo
conosciuto, persino in Islanda e in Groenlandia. Negli Stati Uniti
d’America il culto fu introdotto (strano a dirsi) dai protestanti olandesi,
che presero a loro simbolo Nicola per distinguersi dagli Irlandesi che
avevano S. Patrizio. In Olanda, più che altrove, S. Nicola era stato
combattuto dai protestanti, ma i bambini l’avevano spuntata sugli
adulti. Ancora oggi vi sono associazioni che prendono il nome dal nostro
Santo, e la festa che ivi si celebra fra il 5 ed il 25 dicembre è forse la più
spettacolare. Nel 1892 lo storico americano James Grant Wilson,
parlando della Pasqua, del Natale e delle altre feste, commentava: Ma il
giorno di Santa Claus (6 dicembre) era il giorno più bello
nella mente dei bambini, che più degli altri godono i giorni di festa 17
In altre parole, S. Nicola resta il santo più universale della
Cristianità, ove universale si intende sia geograficamente che
qualitativamente. Egli è infatti ben presente nel mondo cattolico,
estremamente sentito nella religiosità ortodossa, molto amato (se non
venerato) nel mondo protestante.

4.- Critica storica e riforma liturgica

Il Medioevo non fu un’epoca particolarmente sensibile alla critica


storico-agiografica. I santi erano degli esempi da imitare. L’accuratezza
storico documentaria passava in secondo piano rispetto agli scopi che
l’agiografo si prefiggeva. Del resto egli non intendeva scrivere un’opera
storica, bensì un’opera che mettesse in evidenza le virtù cristiane del
protagonista, nonché le sue particolari capacità taumaturgiche.
Nell’età moderna la critica storica fece molto lentamente i primi
passi, lasciando prevalere comunque l’elemento devozionale (anche in
omaggio alla tradizione della Chiesa). Si mossero in tal senso sia il
metropolita di Mosca Makarij 18 , che Cesare Baronio 19 ed Antonio
Beatillo20 . Alla prima edizione di quest’ultimo di oltre mille pagine, ne
seguirono una decina ridotte quasi alla metà, accompagnate da altre vite
di uomini di grande cultura ed erudizione, ma con una sensibilità critica
ancora molto carente. Del resto a quel tempo non si erano ancora

17 James Grant Wilson, The Memorial History of the City of New York, vol. I, New York 1892. Il testo
riprende quasi alla lettera un relativo brano da Mary L. Booth, History of the City of New York, pp.
191-195.
18
Cfr. Velikija Minéi Četii sobrannyja vserossijskim mitropolitom Makariem, Dicembre 6-18,
edizione della Imperatorskaja Archeograficeskaja Kommissija, Mosca 1904, pp. 581-728
19
Cfr. Annales Ecclesiastici, tomus III (aa. 306-361), Venetiis 1707, p. 130, 152, 236, 303, 305
20
Cfr. Historia della vita, miracoli, traslatione e gloria dell’illustrissimo confessore di Christo S.
Nicolò, arcivescovo di Mira e patrone della città di Bari, Napoli 1620.

129
scoperti manoscritti a sé stanti della Vita Nicolai Sionitae, per cui la
devozione prevalse sugli elementi di critica storica interna.
Il primo studioso a rilevare apertamente alcune contraddizioni e
anacronismi nella Vita tradizionale di S. Nicola fu Louis-Sébastien Le
Nain de Tillemont, così chiamato dalla cittadina ove si ritirò durante la
bufera giansenista. Nelle sue Memorie 21 , il Tillemont dedicò uno
speciale paragrafo al santo di Mira: Fautes insoutenables de
Métaphraste dans la Vie de ce Saint. Qu’on n’a rien d’assuré sur ses
actions. Partendo dalla constatazione che tutti i biografi fanno
riferimento al Metafraste, il Tillemont mise in discussione proprio
l’attendibilità di questo agiografo bizantino “molto sospetto per la poca
cura da lui posta nel discernere i monumenti di cui si è servito”. Ad
imbarazzarlo è anche il silenzio di Atanasio che porta necessariamente a
“confessare o che non ci sia alcunché di vero nelle grandi cose che si
dicono di lui, il che è duro da accettare, o che sia vissuto in un tempo
meno illuminato dalle fonti di quello di Costantino e di Costanzo, sia
prima che dopo, ma sempre prima di Giustiniano”. Per il Tillemont le
difficoltà sono soprattutto cinque:

1. Metafraste non merita fiducia, perché non vaglia bene le fonti.


2. Nicola non è menzionato da Atanasio e dagli scrittori che si occuparono
di Nicea.
3. Costantino non poté liberare Nicola, perché liberò solo gli
imprigionati da Licinio, non gli imprigionati da Diocleziano.
4. Anacronistiche sono l’apertura dinanzi a lui delle porte del tempio di
Gerusalemme (che non era stato ancora costruito) e l’adorazione della
croce (non ancora scoperta da Elena).
5. E’ impossibile che costantino inviasse ufficiali a domare la rivolta dei
Taifali in Sarmazia, passando per Mira (viaggio cinque volte più lungo).

Due anni dopo le Mémoirs del Tillemont venivano pubblicate le Vite


dei Santi di Adriano Baillet 22, un autore molto sensibile al discorso
sull’autenticità delle opere letterarie. Egli prese in considerazione
soprattutto la condizione monastica di S. Nicola, il che porterebbe a
spostare la sua vita terrena al quinto secolo, nonché l’assenza del suo
nome nelle liste di Nicea, il che porterebbe ad anticipare la sua vita al
terzo secolo.

21
Mémoirs pour servir à l’histoire ecclésiastique des six premiers siècles, vol. VI, Bruxelles 1699,
pp. 823-825
22 Vies des Saints, avec l’Histoire des autres fêtes de l’année, 3 voll., Paris 1701),

130
Se il Tillemont si era mosso con prudenza, il Baillet usò un linguaggio
tagliente, definendo pietose (pitoyables) le Vite del Santo scritte da
Leonardo Giustinian, Beatillo e Bralion. Con un crescendo
impressionante ancor più secco e duro fu il giudizio degli editori del
Grand Dictionnaire Historique del Moreri nell’edizione parigina del
173223.

In questa atmosfera di critiche giuste ma anche infondate intervenne


la Commissione per la Riforma del Breviario Romano, che senza
mezzi termini definiva le Vite del Mombrizio, del Surio e del Lipomano:
suspecta sunt admodum fidei nulloque coaevorum aut Nicolai aetati
proximorum scriptorum testimonio suffulta. Incoraggiato da queste
prese di posizione della Chiesa cattolica, nel 1751 Niccolò Carmine
Falcone, arcivescovo di Santa Severina (Calabria), negò l’esistenza di un
san Nicola di Mira/Bari del tempo di Costantino, ammettendo solo
l’esistenza di un san Nicola, archimandrita del monastero di Sion e
vescovo di Pinara, vissuto al tempo di Giustiniano (quindi 200 anni
dopo). Una tesi che avrebbe anche potuta essere plausibile se non fosse
che in tre capitoli della Vita di Nicola di Sion si parla espressamente del
nostro San Nicola. In realtà la tempesta da lui sollevata, grazie proprio
alla sua tesi sbagliata, ha fatto progredire gli studi critici. Gli apologeti
di San Nicola (a partire dal Putignani) non riuscirono a confutare il
Falcone per il semplice motivo che per difendere la Vita tradizionale
(quella del Metafraste) erano costretti a difendere anche le
contraddizioni e gli anacronismi che quella vita conteneva.

Prima Antonin Kapustin in Russia (1869), poi Gustav Anrich


in Germania (1913), rimettevano ordine nella polemica, individuando
non solo l’errore del Falcone, ma anche il merito di aver evidenziato gli
episodi della Vita di Nicola di Mira che appartenevano invece alla Vita
di Nicola Sionita. Per una storia critica era necessario dunque eliminare
dalla Vita del nostro tutto ciò che era narrato nella vita dell’altro Nicola.
Ad esempio nell’iconografia occidentale gli episodi spuri più
rappresentati sono la nascita con la preghiera nella bacinella e il taglio
dell’albero maledetto. Nell’iconografia ortodossa sono frequenti gli
episodi spuri della sua carriera ecclesiastica e monastica.

23Non c’è tuttavia nulla di sicuro sulla storia di S. Nicola, nemmeno la sua
esistenza. La Vita attribuita a S. Metodio, l’encomio attribuito ad Andrea di
Creta, e tutte le altre fonti in cui si parla di S. Nicola, sono pezzi
artificiosamente fabbricati. La traslazione del suo corpo a Bari è
ugualmente una storia senza alcuna autorità e senza fondamento. Ciò che
Metafraste ha detto di lui è pura invenzione. Non c’è alcun autore, né
alcuna fonte, che provi che egli sia stato al Concilio di Nicea

131
Antonin Kapustin (1817-1894), Gustav Adolf Anrich
capo della missione russa a (1867-1930), teologo
Gerusalemme. E’ il primo (1869) evangelico autore
ad affermare l’esistenza sia di dell’edizione critica delle fonti
Nicola di Mira che di Nicola di letterarie greche.
Sion.

Una volta liberata la Vita di San Nicola dall’ingombrante materiale


dalla Vita del Sionita, l’unica critica che rimane in piedi è quella che vede
iniziare la Praxis con l’andata dei generali di Costantino a domare una
rivolta dei Goti-Taifali in Frigia, regione confinante con la Licia (Asia
Minore, oggi Turchia)). Mentre, come è noto i Goti abitavano nei territori
dell’attuale Romania ed Ukraina. Tale “stranezza” geografica proverebbe
l’infondatezza della storia di San Nicola. Ebbene, riferendosi alle
campagne vittoriose di Costantino contro questi micidiali cavalieri
nemici, Herwig Wolfram scrive:
Mentre i prigionieri taifalici venivano deportati e insediati in Frigia, il
gruppo dei Tervingi, che era penetrato nella terra dei Sarmati con
donne e figli, perì completamente24 . Essendo questo studioso austriaco
considerato il maggiore storico vivente dei Goti, ecco che cade anche
l’ultimo appiglio dei critici di San Nicola.

24
Herwig Wolfram,Storia dei Goti, Salerno ed., Roma 1985, p. 114

132
5. La Basilica di S. Nicola a Bari

Dal 1087 in poi, il culto e le tradizioni nicolaiane sono legate alla


Basilica che fu eretta in occasione dell’arrivo delle reliquie del Santo da
Mira (Asia Minore, incipiente Turchia) a Bari. Per custodire i resti
mortali del Santo, dall’abate Elia fu ristrutturata la residenza del
governatore bizantino, abbandonata dai Normanni dopo la conquista del
1071, e realizzata la bellissima Basilica, ben presto divenuta modello delle
cattedrali pugliesi, caratterizzate dalla pietra bianca.

Al periodo delle origini, quando la chiesa era retta dall’abate Elia


(1089-1105), dovrebbero risalire sia la cattedra dell’abate Elia che il
portale dei Leoni, due capolavori di scultura romanica di altissimo
valore artistico. Almeno dal 1091 fu annesso un ospedale dei pellegrini,
che ebbe la benevolenza dei conti normanni. Ivi nel 1098 si tenne un
concilio che rappresentò anche il primo confronto fra la teologia latina
e quella greca, grazie alla presenza del maggiore pensatore del tempo,
Anselmo di Canterbury.
Gli scrittori locali parlano di concilio unionistico, ma è una visione
insostenibile perché ci è pervenuta la relazione dello scrittore
inglese Eadmer, il quale nella Vita di S. Anselmo descrive tutto ciò
che vide e sentì in quella settimana di ottobre. Mentre i greci gridavano,
il papa Urbano II chiamava a parlare a gran voce Anselmo.
Lungi dall’essere un concilio di unione, quello di Bari fu dunque un
concilio di rottura. Riconoscendo il diritto della Chiesa romana di

133
operare un’aggiunta al credo, quale quella del Filioque relativa alla
processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, la stessa Chiesa
romana si riconosceva una autonoma facoltà decisionale e magisteriale,
separandosi così dalla Chiesa orientale che, come si sa, non intendeva
seguirla su questa strada. Tutto il discorso di S. Anselmo al riguardo
tendeva a dimostrare la correttezza teologica del Filioque, e di
conseguenza l’errore della Chiesa orientale nel non seguire quella
latina25.

Il concilio di Bari
(Basilica di san Nicola,
3-10 ottobre 1098)
fu il primo faccia a faccia
tra occidentali e orientali
sul Filioque.
Protagonista fu
Anselmo di Canterbury,
la cui Vita (scritta dal suo
segretario Eadmer) è la
fonte principale
dell’andamento del
concilio.

Che il concilio si concludesse senza alcun risultato lo confessò


candidamente S. Anselmo in altri suoi scritti. Per cui il concilio di Bari
storicamente dev’essere considerato un duro colpo allo spirito
ecumenico che la città di Bari aveva sino ad allora dimostrato di
possedere.
Con l’abate Eustazio, successore dell’abate Elia nel 1105, si ha il
terzo capolavoro scultoreo (dopo la cattedra episcopale di Elia ed il
Portale dei Leoni), il ciborio, quindi nei decenni successivi le gallerie
esafore. La sfinge e i buoi del portale principale come pure le sculture
del sarcofago dell’abate Elia fanno pensare che molto materiale del
palazzo del catepano venisse reimpiegato nella nuova Basilica.

25Cfr. G. Cioffari, Sinodalità e concili a Bari nel Medioevo, in “Le tradizioni sinodali della Chiesa di
Bari”, a cura di Salvatore Palese, Edipuglia Bari 1997, pp. 32-55.

134
Poche le tracce dell’epoca sveva (1194-1266), la più evidente delle
quali è l’epigrafe della consacrazione del 1197 ad opera di Corrado di
Hildesheim, cancelliere dell’imperatore Enrico VI.

Con gli Angioini, e specialmente con Carlo II, la Basilica divenne


signoria feudale (con tre cittadine, Rutigliano, Sannicandro e Grumo)
nel 1304, con la peculiarità di essere cappella regia e quindi con la
liturgia parigina (che durò sino al 1603). Carlo II, grazie
all’appoggio di papa Bonifacio VIII si ritenne in diritto e dovere di
dettare la costituzione ecclesiastica che regolava la vita liturgica
della chiesa scandendola in rapporto alle remunerazioni economiche26.
Questa specie di “legatia apostolica”, per la quale tutta la vita
ecclesiastica dipendeva dal re e non dal papa, fu confermata dal papa
Clemente V nel 1308 27.

La prima parte del dominio angioino fu l’epoca d’oro della Basilica,


sia dal punto di vista della ricchezza e del prestigio che dal punto di vista
ecumenico. Un ecumenismo ante litteram potremmo definire infatti le
donazioni degli zar ortodossi di Serbia Uroš II Milutin, Uroš III
Dečanski e Stefano Dušan28.

Anche nei secoli successivi la Basilica continuò ad attrarre famosi


personaggi di altre confessioni. Basti ricordare fra gli ortodossi il figlio
dello zar Pietro il Grande nel 1717, e quello stesso anno il vescovo
anglicano e celebre filosofo George Berkeley.

E gli orientali continuarono a venire sia nel medioevo che nell’epoca


moderna. Dopo secoli di giurisdizione regia (con i sacerdoti che
prendevano ordini dal re e non dal papa), con l’avvento di Garibaldi e
dell’unità d’Italia la Basilica ebbe un duro colpo dal punto di vista
economico. Non solo tutte le proprietà furono incamerate dallo stato,
ma a partire dal 1891 anche l’amministrazione quotidiana era

26 L’Archivio di S. Nicola conserva una trentina di pergamene di questo re, tutte edite nel Codice
diplomatico Barese, vol. XIII (Trani 1936).
27 Bolla di Clemente V dell’11 agosto 1308, in CDB XIII, n. 156-157, p. 239.
28 I doni registrati nell’inventario del 1361 provenienti dalla Serbia sono oltre una decina. Ci sono

pervenuti di questi solo tre: l’altare d’argento di Uroš II Milutin (dal 1319 ricoprì l’altare del Santo,
fino al 1684 quando fu fuso e rifatto in stile barocco), la grande e bellissima icona dietro la tomba del
Santo donata da Uroš III Dečanski nel 1327, e la pergamena con sigillo d’oro con cui Stefano Dušan
nel 1346 dava alla Basilica i tributi che gli doveva la città di Dubrovnik. Su tutti questi aspetti, vedi il
mio volume Gli Zar di Serbia, la Puglia e S. Nicola, Bari 1989. Una breve parentesi. Casualità ha
voluto che uno dei più importanti monasteri serbi, quello di Déčani nel Kosovo, fosse dopo l’ultima
guerra protetto dagli italiani. Mi ha fatto quindi molto piacere che i monaci di Déčani siano venuti a
Bari e che quando hanno pubblicato la guida del celebre monastero hanno voluto che io
rivedessi la traduzione.

135
controllata da un luogotenente del re. Finché, nel 1929 (Concordato fra
Santa Sede e Stato Italiano) aveva termine la giurisdizione regia ed
iniziava quella pontificia.

Tra i grandi gesti


ecumenici del Medioevo
spiccano i doni degli zar
ortodossi di Serbia.
L’archivio di San
Nicola conserva tracce di
una quindicina di
donazioni, le più
importanti delle quali
sono giunte sino a noi:

Uroš II Milutin donò nel


1319 l’altare d’argento; Uroš
III Dečanski donò nel 1327
la bella grande icona (qui
nella foto a fianco) ancora
oggi presso la tomba del
Santo;
Stefano Dušan donò nel
1346 parte dei tributi
dovutigli dalla città di
Dubrovnik.

La crisi finanziaria che ne seguì portò ad un notevole decadimento,


tanto che il papa Pio XII decise, con la bolla Sacris in aedibus, di
sostituire il capitolo dei canonici, ormai fortemente ridimensionato, con
una comunità domenicana (1951).29
L’impatto con una Basilica che vedeva l’afflusso di tanti orientali sia
cattolici che ortodossi, non diede ai frati la piena consapevolezza della
loro missione, che venne solo col passaggio dalla chiusura ecumenica
del papa Pio XII all’apertura di papa Giovanni XXIII.
Era stato da poco annunciato che ci sarebbe stato un concilio, che
cominciarono ad affluire metropoliti e vescovi cattolici orientali
alla Basilica di San Nicola, la quale tra l’altro nel 1961 celebrava il primo
decennio di presenza domenicana. Ai normali pellegrinaggi,

29Costituzione apostolica Sacris in Aedibus, del 5 agosto 1951 (Acta


Apostolicae Sedis, 44, 1952, pp. 201-204).

136
celebrazioni ed incontri di preghiera, ecco che in quell’anno si aggiunse
un evento nuovo. Come è noto, infatti, Giovanni XXIII, per dare
un’impronta più universale al Concilio, invitò anche gli osservatori
ortodossi. Ora, quasi tutti questi osservatori ortodossi al Vaticano II
colsero la felice occasione per venire a Bari in pellegrinaggio alla
Basilica che custodisce i resti di San Nicola.

Ignorando il primato assoluto di San Nicola nel mondo


ortodosso, i responsabili del Segretariato per l’unione dei cristiani
(Secretariatus ad Christianorum unitatem fovendam praeparatorius
Concilii Vaticani Secundi, istituito il 6 giugno 1960 in vista del
Concilio), il card. Agostino Bea e mgr. J. Willebrands, furono
felicissimi di poter avere questo strumento formidabile per mettere gli
ortodossi a loro agio. Cominciarono così a tempestare di esortazioni
i Domenicani della Basilica affinché accogliessero il più amabilmente
possibile questi ortodossi. Decine e decine sono le lettere di
ringraziamento alla comunità domenicana di San Nicola per come
accoglieva i russi, i quali, in quel momento, grazie all’atteggiamento del
metropolita Nikodim di Leningrado, erano i più ben disposti verso i
cattolici (basti pensare che nel 1969 la Russia introdusse una parziale
intercomunione con i cattolici, annullata poi nel 1986).

Il cardinale Johannes
Willebrands a più riprese inviò
lettere di ringraziamento ai
Domenicani della Basilica per la
fraterna accoglienza riservata agli
osservatori ortodossi al Concilio
Vaticano II.
Questa circostanza aiutò la
Comunità cui era affidata la
Basilica Pontificia a rendersi più
fedele interprete dei desideri
ecumenici della Santa Sede.

Tutti questi ringraziamenti da parte della Santa Sede e la


fondazione della cappella ortodossa nella cripta della Basilica, ancor più
del decreto sull’ecumenismo, chiarirono ai frati domenicani che
quella era la nuova via che la Santa Sede voleva che si percorresse.

137
Sulla scia del concilio Vaticano II, durante il quale la Basilica
fu visitata da tutti i prelati ortodossi, nacquero dunque nel 1966 la
cappella ortodossa nella cripta del Santo e nel 1968 l’Istituto di teologia
ecumenica. Da allora i rapporti col mondo ortodosso (specialmente della
Basilica con la Russia e dell’Istituto Ecumenico con la Grecia) si sono
intensificati ed è questo che ha proiettato la Basilica in pieno movimento
ecumenico. Momenti interessanti di questa nuova stagione sono stati i
colloqui cattolico-ortodossi all’Istituto, nonché le visite alla Basilica di
Bartolomeo, oggi patriarca di Costantinopoli (1979), Giovanni Paolo
II (1984), Joseph Ratzinger (1985, poi papa Benedetto XVI), Carlo e
Diana d’Inghilterra (1985), e recentemente Vladimir Putin (2007)30.

6.- Il Concilio Vaticano II e l’Istituto Ecumenico S. Nicola.

Nel corso di tutta la sua storia la Basilica di San Nicola è stata


un’isola di pace anche nei momenti in cui i rapporti fra le chiese sono
giunti alla rottura. La popolazione sia dall’iconografia sia dai
pellegrinaggi si è abituata a considerare il suo patrono come santo
dell’Oriente e dell’occidente. Per cui è stato abbastanza naturale che le
due iniziative, quella della cappella ortodossa e quella della fondazione
dell’Istituto ecumenico ricevessero una buona accoglienza. Con la prima
(1966) si è avuto con contatto diretto ed esperienziale con i fedeli
ortodossi. Il secondo (1969), nel nome di san Nicola, ha permesso i
contatti a livello teologico.

30 Tra i visitatori e i pellegrini illustri (escludendo i russi, considerati altrove) ricordiamo solo

quelli di cui è rimasta traccia documentaria:


Crociati: Ugo di Vermandois, Roberto di Normandia e Roberto di Fiandra (1096)
Santi: Anselmo di Canterbury (1098), Santi Goffredo di Amiens (1107), Teotonio di Coimbra (1120
c.) , Giovanni di Matera (1125 c.), Corrado di Baviera (1150), Brigida di Svezia (1366 e 1369),
Benedetto Giuseppe Labre (1771),
Papi: Urbano II (1089 e 1098), Pasquale II (1098), Callisto II (1120), Anacleto II (antipapa, 1130),
Innocenzo II (1137), Giovanni Paolo II (1984), Joseph Ratzinger (1985).
Imperatori: Lotario II (1137), Enrico VI (1195), Federico II (1222)
Re e regine: Ruggero II (1132 e 1139), Guglielmo il Buono (1182), Filippo II Augusto (1191), Carlo I
d’Angiò (1270), Carlo II d’Angiò (1301), Elisabetta d’Ungheria (1344), Luigi il Grande d’Ungheria
(1350), Ferrante d’Aragona (1464), Carlo III di Borbone (1741), Ferdinando IV di Borbone (1797),
Giuseppe Napoleone (1807) e Gioacchino Murat (1813), Ferdinando II (1831 e 1847), Umberto I di
Savoia (1878), Elena (1896, poi regina d’Italia), Vittorio Emanuele III (1935), Alberto e Paola del
Belgio (1998).
Scrittori e viaggiatori: Anselmo Adorno (1470), Georges Languerant (1486), Nicolas Bénard (1617),
Nicolas de Bralion (1640), Giambattista Pacichelli (1680), N. de Mirabal (1695), Georges Berkeley
(1717), Richard Ceppel Craven (1818), Heinrich Wilhelm Schulz (1842), X. Barbier de Montault
(1875), François Lenormant (1879), John Cuthbert Hare (1881), Edward Augustus Freeman
(1883), Louis M. O. Duchesne (1886), Emile Bertaux (1898), Joseph Viktor Widmann (1903),
Frederic Jackson Hamilton (1906), Charles William Jones (1964), Henry Morton (1969).

138
La “cappella ortodossa”, realizzata nell’antica abside sinistra
della cripta di S. Nicola, fu inaugurata il 5 maggio 1966 durante una
cerimonia presieduta dal card. Paolo Giobbe, mentre da parte ortodossa
officiava il metropolita Gennadios Zervos, presente il rettore della
chiesa russa Igor Značkovskij 31 . In quella occasione, il card. Paolo
Giobbe ebbe a dire: E’ la prima volta che in una chiesa latina viene
eretta una cappella per la celebrazione della liturgia orientale. Questa
realizzazione è uno dei tanti frutti del Concilio Ecumenico. Tra i greci
ortodossi che vennero successivamente in Basilica è opportuno
menzionare la visita del 16 febbraio 1967 di Chrysostomos Tsiter,
metropolita d’Austria, che successivamente inviava in greco una lettera di
ringraziamento ai Domenicani 32.

Liverij Voronov, noto teologo


russo, giunto in Basilica nel 1964.
A fianco: il metropolita
Gennadios Zervos
all’inaugurazione della Cappella
ortodossa nel 1966.

Alla luce dunque della nuova atmosfera inauguratasi con


Concilio Vaticano II e grazie alla decisa volontà dell’arcivescovo di Bari
Enrico Nicodemo, nel 1969 apriva i battenti la Sezione di teologia
ecumenica San Nicola, collegata alla Facoltà Teologica dell’Angelicum di
Roma.
L’approvazione pontificia venne il 21 agosto 1968, allorché Paolo VI
non solo acconsentì all’idea ma incoraggiò i promotori a continuare
nell’impegno. L’istituzione vera e propria venne il 1 ottobre 1968
quando la Conferenza episcopale Pugliese promulgò il decreto di

31 BSN apr. giugno 1966, p. 9-13


32 BSN 1967, gen marzo, pp. 19-21. Nel gennaio 1977 veniva per la settimana di preghiere per l’unità
il metropolita di Calabria, Emilianos Timiadis (BSN Gen apr 1977, p. 4).

139
erezione dell’Istituto Superiore di Teologia Ecumenica. In esso si
indicava come primario il compito di incrementare gli studi teologici
del clero e del laicato e di promuovere attraverso lo studio della
patristica, soprattutto orientale, l’attività ecumenica, alla quale la
Puglia è particolarmente versata per la sua vicinanza con l’oriente e
per il vincolo spirituale con cui ad esso è legata nel nome di S. Nicola di
Bari.
L’espressione più significativa dell’opera ecumenica dell’Istituto, a
parte la formazione di tanti sacerdoti e laici in questo campo, sono i
Colloqui cattolico-ortodossi che sono stati tenuti con una certa
frequenza e che ha visto il confronto ed il dialogo di professori e alunni
delle due tradizioni. In queste occasioni Bari è divenuta il luogo ideale
dell’ecumenismo, ed ha visto camminare per le sue strade i principali
protagonisti del movimento per l’unione dei cristiani.

La partenza fu abbastanza vivace, poiché nei primi anni vennero ad


insegnare personaggi dalla mentalità ecumenica, che spesso in
precedenza avevano accompagnato i suddetti osservatori ortodossi al
concilio. Il maestro generale Aniceto Fernandez ebbe la premura di
inviare a Bari alcuni dei domenicani più preparati, come ad esempio
Raimondo Spiazzi, Christophe Dumont e Gaston Zananiri, per fare
solo qualche nome. Tra i collaboratori non domenicani va ricordato mgr
Aristide Brunello, ottimo conoscitore della situazione delle chiese
orientali, o anche il papas Giuseppe Ferrari, cattolico di rito bizantino,
profondamente imbevuto di spiritualità ortodossa. Nel giro di pochi
anni poi cominciarono ad emergere figure locali, come il cappuccino
Benigno Papa, esperto di Sacra Scrittura, come del resto il
domenicano P. Leonardo Leonardi. Man mano che l’Istituto si
consolidava istituzionalmente, si faceva largo anche l’ispirazione di
fondo, quella cioè di individuare la propria identità. In tal senso un
ruolo importante ebbe Francesco Cosmo Ruppi, che fu tra i primi a
spostare l’attenzione dai temi generali alle tradizioni bizantine
dell’Italia Meridionale.

L’arcivescovo di Bari,
Enrico Nicodemo,
fu un protagonista della
svolta ecumenica della
chiesa barese. Qui mentre
accende la lampada
uniflamma, il simbolo
dell’unità della fede nelle
due tradizioni cattolica e
ortodossa.

140
Nel corso degli anni settanta altri domenicani si aggiunsero al
corpo professorale, come ad esempio padre Rosario Scognamiglio,
esperto di spiritualità patristica, padre Gerardo Cioffari esperto di
teologia russa, e padre Salvatore Manna, studioso di storia bizantina.
Ma fu soprattutto quest’ultimo a dare l’impronta decisiva che fu poi la
vera identità ecumenica dell’Istituto. Egli, infatti, seppe armonizzare
come pochi l’attività accademica e i contatti personali. Questi
ultimi erano particolarmente necessari a motivo dell’atteggiamento non
sempre ecumenico dei rappresentanti della Chiesa greca.
Tutti ricorderanno la polemica per la mostra sulle icone
macedoni in Vaticano nel 1986, allorché il presidente del Santo Sinodo
greco per i rapporti con le altre chiese, il metropolita di Corinto
Panteleimon, ebbe a commentare: La Chiesa cattolica romana ha
perduto l’essenza religiosa e di grazia mistica di Cristo…, e si è
trasformata in un organismo internazionale religioso-politico. Fece
anche un certo scalpore la grande difficoltà dell’arcivescovo di Atene nel
recitare il Padre Nostro insieme al papa.

Ecco dunque la necessità dei contatti personali. Il P. Manna


cominciò allora ad invitare professori greci all’Istituto. Già i
professori cattolici erano animati da grande stima per la tradizione
ortodossa (basti pensare a papas Ferrari e al padre Dumont), ma con
questa iniziativa il contatto diveniva diretto. Giunsero così nelle aule
dell’Istituto la professoressa Theocharis ad insegnare iconografia, il
prof. Sotirios Varnalidis ad insegnare Storia della Chiesa, quindi
Vlasios Pheidas e Chrysostomos Konstantinidis. Una presenza greca
che si intensificava in occasione dei noti colloqui cattolico-
ortodossi, che in qualche modo erano preparatori o cassa di risonanza
dei dialoghi della Commissione mista. E strumento fondamentale fu
anche la rivista teologica Nicolaus, fondata nel 1973 e portata avanti fino
al 2014.

Il metropolita di Leningrado,
Nikodim Rotov, venne più
volte a Bari insieme all’attuale
patriarca di Mosca Kirill (allora
giovanissimo).
La sua autorevole presenza
incoraggiò a continuare nella
via intrapresa. Nikodim ottenne
dal Santo Sinodo di Mosca una
parziale intercomunione con la
chiesa cattolica che, alla sua
morte, fu soppressa.

141
7. P. Salvatore Manna: la convivenza cattolico-ortodossa nel
Mezzogiorno

Se la partenza didattica dell’Istituto aveva coinvolto un numero


consistente di specialisti, col passare degli anni l’Istituto si rese
autonomo e autorevole procedendo sicuro secondo i principi del
Vaticano II. In questo cammino poco a poco emerse il ruolo guida del
padre Salvatore Manna, la cui ecclesiologia si muoveva secondo due
direttrici: il pensiero di Basilio di Cesarea e l’esperienza di
convivenza ecclesiale fra Latini e Bizantini nel sud Italia.

Quanto a Basilio, la cui sollecitudine per l’armonia ecclesiale


restò insuperata per tutta l’età patristica, è nota la sua posizione contro
gli Pneumatomachi. Nonostante la gravità di quell’eresia, decisamente
più consistente ad esempio dei contrasti sul Filioque, l’amore per la
concordia ecclesiale fece sì che Basilio capovolgesse il modulo di
approccio alla controversia. Il problema riguardava le modalità
dell’accoglimento nella comunione ortodossa degli Pneumatomachi.
Invece di porre come condizione sine qua non la previa professione di
fede nella divinità dello Spirito Santo, Basilio chiedeva loro soltanto di
non affermare che era una creatura33.

Essendo particolarmente versato nella storia bizantina e nella teologia


orientale, Manna era ben consapevole della sterilità delle controversie
teologiche a colpi di citazioni dei santi padri, poiché quasi il 100% di
esse, specialmente nelle questioni del primato e del Filioque, erano
fuori dal contesto storico e culturale. La polemica non approda a
nulla, come dimostrano gli oltre mille anni di dibattiti teologici che
hanno lasciato le due parti perfettamente sulle stesse posizioni. E’
necessario dunque cambiare rotta: non incontrarsi per dimostrare
all’altro le proprie ragioni, ma per capire le ragioni dell’altro. Ecco
il perché di una presenza tanto consistente di greci nel corpo docente
dell’Istituto.

La profonda convinzione di un primo millennio cristiano di


comunione ecclesiale, nonostante i mille contrasti e le diverse teologie,
porta il p. Manna a soffermarsi su una particolare esperienza ecclesiale:
la pacifica convivenza fra Latini e Bizantini nell'Italia
meridionale non soltanto nel corso del dominio bizantino (876-1071),

33Cfr. S. Basilio, Epistolario, a cura di Adriana Regaldo Raccone, ed. Paoline, Alba 1968, ep. CXIII,
Ai preti di Tarso, p. 340

142
ma anche sotto le dominazioni normanna (1071-1194), sveva (1194-
1266) e angioina (1266-1442).

Per evidenziare questa convivenza, gli piaceva portare ad esempio il


bellissimo mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, opera
del sacerdote Pantaleone nella seconda metà del XII secolo. In esso si
respira l'universalità, la storia sacra e profana, il bene e il male, il tutto
armonizzato da una mente superiore ordinatrice. E una visione
ecumenica che travalica i limiti di ogni possibile strettoia
confessionale. La visione orientale di Pantaleone si rivela proprio in
questo universalismo, in questo mondo in cui il peccato ha alterato
l’ordine voluto dal Creatore, ma che (con la sua incarnazione) Gesù è
venuto a ricostituire. Una lunga citazione da Massimo il Confessore34
permette al Manna di sottolineare la diversa visione che hanno della
redenzione l'Oriente e l'Occidente: il primo la concepisce piuttosto
come un fatto cosmico, una redenzione di tutte le cose e dell'universo
creato, il secondo considera soprattutto il destino della persona
umana 35.

P. Salvatore Manna,
preside ed anima teologica
dell’Istituto, propugna
un’ecclesiologia fondata sulla
“sollecitudine episcopale” di
San Basilio e sull’esperienza
di convivenza fra cattolici e
ortodossi nel sud-Italia
nonostante le teologie
diverse.

Nel parlare poi di Casole, ne sottolinea la vitalità come centro di


cultura. Egli fa notare come questo fervore culturale, di cui parlerà anche
il Galateo, si sviluppa in pieno spirito ortodosso, con la sola differenza
della comunione con Roma. Infatti, non soltanto su problemi specifici

34 Quaestiones ad Thalassium, 60 (PG 90, col. 621).


35 Otranto e l'Oriente. Una cultura senza frontiere, Nicolaus 1997/2 pp. 215-243; vedi p. 226-230. In
questo lavoro il P. Manna si rifà spesso ad uno studio di G. Gianfreda "Otranto, civiltà senza frontiere", Galatina
1983.

143
della teologia, come ad esempio il Filioque, ma anche sullo stesso modo
di concepire la teologia, l’igumeno Nicola/Nettario e la sua comunità si
mantenevano fedeli all'ortodossia. Nonostante che i procedimenti di
detto igumeno fossero rigorosamente razionali, non poteva fare a meno
di esclamare: con qual guadagno usare sillogismi e ragionamenti
nei confronti della divinità che è al di sopra della mente umana?
36.

Nel ricostruire le vicende della presenza bizantina Manna non


intendeva fare un’operazione da storico, bensì da teologo
dell’ecumenismo. Egli intendeva individuare in qual modo la presenza
bizantina abbia inciso sull'ethos pugliese, determinando la naturale
propensione di questo popolo all'ecumenismo 37 . Egli non
ignorava che c’erano stati dei tentativi di grecizzazione, come quello
del patriarca Polieucto (956-970), il quale emise delle disposizioni
affinché, soprattutto in Puglia e Calabria, fossero introdotte le usanze
ortodosse, come si apprende da Liutprando da Cremona che nel 968 si
trovava a Costantinopoli: nec permittat in omni Apulia seu Calabria
latine amplius, sed graece divina mysteria celebrare.
In realtà, osserva il Manna, tali tentativi non ebbero alcun effetto
concreto, e si continuò a celebrare liberamente. Frequente era ad
esempio il caso dei preti sposati e tale situazione non cambiò neppure
dopo il fatidico 105438. A questo punto viene la riflessione che fa da
sfondo a tutto il discorso storico: nonostante le complesse vicende e i
continui contrasti, non si può non scorgere l'esistenza di una pacifica
convivenza religiosa fra Greci e Latini nell'Italia meridionale. Qui c’è
un clima di distensione fra i due riti, una notevole malleabilità
dell’imperatore costantinopolitano, un catepano d'Italia che
"proclama a voce alta l'intangibilità dei diritti del Pontefice
romano"; e al contempo le autorità di Costantinopoli conferiscono ai
vescovi latini titoli ecclesiastici bizantini (sincello e protosincello); e
addirittura vescovi di un rito ordinano persone dell'altro rito:

Tolleranza linguistica, liturgica ed anche giuridica per ogni comunità:


si parlava latino nel nord della Longobardia, greco nel sud, come in
Calabria, si celebrava la liturgia in latino nella capitale del
Catepanato, ma si aveva la coscienza di appartenere ad una stessa

36 Ivi, pp. 237-240.


37 La presenza bizantina in Puglia, in "Incontro fra canoni d'Oriente e d'Occidente", a cura di Raffaele
Coppola, Cacucci ed., Bari 1994, vol. II, pp. 539-579. Stesso articolo in inglese: The Presence of the Byzantines
in Puglia, Klironomias, tomos 24, 1992 (Thessaloniki 1994), pp. 99-139.
38 La presenza bizantina, cit, p. 554.

144
cultura che sopravviverà per molto tempo dopo la presa di Bari,
nell'Italia dei Normanni39.

Accogliendo quella di papas Ferrari40, il Manna rigetta la tesi secondo


cui dopo lo scisma si dovrebbe parlare di cattolicesimo di rito greco e
quindi di divergenze dal patriarcato ecumenico. Prima del concilio di
Trento infatti qui venivano prelati ortodossi per ordinare chierici greci
di giurisdizione costantinopolitana, anche se non mancavano talvolta
disturbi da parte dei latini. Dopo i decreti settecenteschi che stabilivano
nel regno di Napoli l'uniformarsi al rito latino, si tornò alle usanze
bizantine (es. iconostasi):

Questo stato di pacifica convivenza è confermato dal fatto che gli


ultimi immigrati nell'Italia meridionale, greci e albanesi, fino al 1700
non accettarono mai altra giurisdizione religiosa all'infuori di
quella del patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Non esiste
alcun atto ufficiale di un loro passaggio al cattolicesimo, né che il
matrimonio dei sacerdoti suscitasse una qualche ammirazione o
apprensione"41.

Un ruolo importante in questo discorso della convivenza ecclesiale


ebbero i monaci orientali, che giunsero qui non soltanto per sfuggire
alla persecuzione iconoclasta. E questi monaci orientali, come una
nuova Tebaide pugliese, divennero di sprone alla rinascita spirituale
delle popolazioni locali.

Il metropolita
Stylianos,
copresidente della
Commissione mista
cattolico-ortodossa
nel tormentato
colloquio di Bari del
1987. Qui in San Nicola
con altri metropoliti.
Sulla sinistra P. Damiano
Bova, allora rettore della
Basilica.

39 Ivi, pp. 554-555.


40 Papas Giuseppe Ferrari, La Chiesa ortodossa albanese, Oriente Cristiano, XVIII
(1978), n. 4, pp. 7-36.
41 La presenza bizantina, cit., p. 558.

145
8.- La rinascita ecumenica di San Nicola

Il volto più recente di S. Nicola è quello ecumenico. Dopo secoli


di approcci diversi alla sua figura con conseguenti diverse tipologie di
venerazione, oggi S. Nicola sta rinascendo in una nuova veste, quella
ecumenica. Il suo culto, secondo a nessuno nel medioevo, ha conosciuto
momenti di crisi in epoca moderna, prima con la Riforma protestante
poi con l’illuminismo cattolico. Qualche decennio fa uno scrittore
americano, Charles William Jones 42 , pensava che il culto del nostro
Santo fosse al tramonto. In realtà, San Nicola nella sua lunga storia ha
superato brillantemente tutti i momenti di crisi, trasfigurandosi
continuamente. Come nel mondo protestante è rivissuto nella nuova
veste del santo dei bambini, Santa Claus divenuto poi Babbo Natale,
così nel mondo cattolico, nonostante la declassificazione liturgica
del 1969, è rinato come santo dell’ecumenismo.

Dopo un periodo di ecumenismo latente e quasi “clandestino”, oggi S.


Nicola e la sua Basilica che ne conserva i resti mortali (tanto
venerati in oriente e in occidente), stanno giocando un ruolo di
primo piano nell’attuale movimento ecumenico. Tutti conoscono
la portata devozionale di S. Nicola in Russia e nel mondo slavo. Meno
numerosi sono coloro che sanno che anche nel mondo protestante il
santo vescovo di Mira è visto con simpatia, tra la venerazione e
l’imitazione. In questo intervento desidero illustrare le motivazioni
storiche che hanno portato S. Nicola a rivestire un’importanza centrale
nel movimento ecumenico.
E’ necessaria però una precisazione. Parlando di ecumenismo non si
intende qui un ennesimo dialogo su temi teologici tradizionali (Filioque,
Purgatorio, azzimi e così via) portati avanti in spirito sereno e fraterno.
L’angolazione teologica tradizionale non riguarda
l’ecumenismo nicolaiano. Infatti, tale prospettiva, fondamentale
sotto certi aspetti, si è rivelata sterile dopo mille anni di controversie.
Gli attuali dialoghi ecumenici si sforzano di raggiungere delle
dichiarazioni accettabili da entrambe le parti, ma per ottenere l’assenso
degli altri è necessario ricorrere ad una terminologia generica o
ambigua. In questo modo, anche se si pervenisse ad un accordo su tutti i
punti, non si arriverebbe mai all’unità. Le chiese infatti divergono
non tanto su questo o quel punto della dottrina, ma nella loro
ispirazione di fondo, che viene aggravata dalla profonda sfiducia
reciproca al di là delle buone intenzioni dei singoli.

42 . Saint Nicholas of Myra, Bari and Manhattan. Biography of a legend, Chicago London 1978,

146
E’ bene ribadire quindi che parlando di “movimento ecumenico” non si
intende qui parlare di un contributo nicolaiano su questioni dottrinali,
ma di qualcosa che è a monte della dogmatica e sotto certi aspetti la
conditio sine qua non della sua accettazione.

La massima autorità teologica occidentale, S. Tommaso d’Aquino,


diceva: “Si quis recte consideret dicta Graecorum, inveniet quod a
nobis magis differunt in verbis quam in sensu 43. Oggi la cosa è
ancor più evidente. Non c’è dubbio che, dopo il Vaticano II e grazie ai
tanti colloqui teologici, oggi c’è molta più volontà di concordia che di
rottura. Tuttavia, mille anni di discordie e di accuse reciproche hanno
lasciato il segno. Per cui anche l’affermazione di San Tommaso, di un
comune sensus fidei, è stata disattesa e dimenticata sia dai cattolici che
dagli ortodossi, convinti entrambi che l’unità della chiesa viene solo
dopo che l’altro si sottometta alla propria verità.
Forse il papa Francesco ha imparato la “lezione” derivante dal
fallimento del Concilio di Firenze (1439) quando si è lasciato andare alla
battuta che sarebbe opportuno fare l’unità della chiesa mettendo da
parte i teologi.

San Tommaso d’Aquino, il


massimo teologo cattolico del
secondo millennio, affermava:
Se si considera bene, ci si
accorgerà che il modo di
esprimersi dei greci differisce
dal nostro più per la
terminologia che non per il
significato.

43 De potentia q. 10, a. 5

147
Con Firenze, infatti, il più grande sforzo di dialogo teologico si
concludeva con un fallimento. Dal che si deve dedurre che il dialogo
teologico e delle gerarchie ecclesiastiche è necessario, ma
insufficiente. Qualsiasi riunione teologica o gerarchica è destinata
invariabilmente a fallire, se prima non si ristabilisce il rispetto, la carità
e la fiducia reciproca tra i fedeli delle rispettive confessioni. E’
necessario cioè l’ecumenismo del Popolo di Dio. Ma affinché il
popolo di Dio cresca nella sensibilità ecumenica deve conoscere i
cristiani delle altre confessioni, stare a contatto gomito a gomito. Solo
così capirà che le reciproche calunnie dei secoli scorsi non avevano
alcun fondamento, e meno che mai una giustificazione cristiana.

Sia nel mondo cattolico che in quello ortodosso è diffusa la


convinzione che ecumenismo non significa altro che
indifferentismo religioso, mancanza di convinzioni religiose. Una tesi
sostenuta in numerose pubblicazioni, non sempre smentite dalle
gerarchie, che pure ufficialmente si dichiarano impegnate
nell’ecumenismo. Ed è qui che, nel contesto dell’attuale movimento
ecumenico, S. Nicola e la sua Basilica di Bari giocano un grande ruolo,
del quale si ricostruiscono qui le fasi storiche.

9.- La percezione del Santo fra ortodossi, cattolici e


protestanti

La percezione del Santo nei diversi popoli è cambiata col tempo. Ad


un inizio quasi esclusivamente limitato al mondo dei carcerati seguì un
periodo del Santo come patrono del mare e dei naviganti. Le incursioni
musulmane fecero rifiorire il patronato su carcerati e rapiti in schiavitù
mentre il Santo cominciava a proteggere i suoi pellegrini. Poi, man
mano che il Santo rimpiazzava i re magi come portatore di doni ai
bambini si diffuse anche il suo patrocinio sulle scuole e gli scolari.
Contemporaneamente, alcuni miracoli riecheggiando Iconia S. Nicolai
in Africa, presentavano Nicola come protettore dei commercianti e dei
ladri che si convertivano restituendo la refurtiva. Naturalmente, non
tutti questi patronati furono simultaneamente accolti nelle varie
nazioni, anche se il suo patrocinio sul mare e sui fiumi fu forse comune
a tutte le nazioni.

Gli ortodossi in più vedono in lui il maestro della fede. La preghiera


più comune infatti è quella che comincia con le parole “Kanona
pisteos” (in greco) e “Pravilo very” (in russo):

148
Regola di fede e icona di mansuetudine, maestro di continenza ti ha
rivelato al tuo gregge la verità dei fatti, Ed invero con l’umiltà hai
raggiunto le vette più eccelse, con la povertà la ricchezza. Padre e
santo vescovo Nicola, prega Cristo Dio che salvi le nostre anime44.

La collocazione di S. Nicola nelle chiese bizantine (e poi slave) è


assolutamente rilevante in tal senso. E ciò non soltanto perché la sua
immagine si trova praticamente in tutte le chiese, ma anche per il
posizionamento all’interno della chiesa. Qualche volta addirittura
sostituisce S. Giovanni Battista nelle Deesis, anche se
quest’ultimo tipo iconografico e liturgico è piuttosto recente (XIII-XIV
secolo).
Iconograficamente Nicola è raffigurato in compagnia dei grandi
Padri della Chiesa e soprattutto di S. Basilio Magno, S. Gregorio
Nazianzeno (il Teologo) e S. Giovanni Crisostomo. Tale solenne sacralità
non impedisce però al popolo ortodosso di sentirlo particolarmente
vicino ai suoi bisogni. E’ difficile dire se questa particolarità ortodossa di
Nicola maestro della fede derivi da qualche fonte perduta del VI-VIII
secolo, oppure semplicemente dalla sua partecipazione al concilio di
Nicea.
La Grecia inoltre, con le sue migliaia di isole, non poteva trascurare il
Santo che in tutto il mondo è il patrono della gente di mare. Sulle
coste illuminate dal sole si vedono tante chiesette bianche che si
affacciano sul mare. E i naviganti in difficoltà invocano S. Nicola,
Aghios Nikolaos sto timoni ( San Nicola mettiti tu al timone).

Vaste (Lecce). Cripta dei


Santi Stefani.
Abside con affresco dell’XI
secolo raffigurante Nicola
con a sinistra San Basilio e a
destra San Giovanni
Crisostomo.
Nicola è forse il santo più
presente nelle chiese rupestri
pugliesi.

44 Vespro solenne. Apolitìkion, Ichos (tono) 4.

149
L’Ortodossia slava, che conobbe S. Nicola sin dal primo momento, si
appropriò della sua figura e della sua protezione con maggiore intensità.
Mantenne sì la figura ieratica ma nell’animo del popolo S. Nicola era un
santo profondamente terreno e vicino ai miseri, ai diseredati, ai
contadini e ai viandanti. Scende nel fango per tirare fuori il carretto di
un povero contadino, disobbedisce e fa uno scherzo a Gesù pur di
aiutare una povera vedova, lascia addirittura tutti i santi del paradiso
che banchettano e fanno festa per accorrere sul mare a placare Nettuno
e salvare delle navi in pericolo. In altri termini, pur di aiutare diseredati
e povera gente viola tutte le regole della società, della chiesa e persino di
Dio. Onde il proverbio popolare russo: Quando Dio morrà, ci sarà
sempre S. Nicola.

Tra Grecia e Russia c’è comunque una differenza. La Grecia ha


guardato alla traslazione a Bari con ostilità e scetticismo. Ha la festa
della traslazione ma non menziona la destinazione, anche se in recenti
pubblicazioni si comincia a fare il nome di Bari. Il mondo slavo
invece, esalta Bari e i Baresi che hanno salvato le reliquie dall’invasione
dell’Asia Minore da parte dei turchi. L’ufficio divino che i sacerdoti russi
recitano ancora oggi apre con queste parole:

E’ giunto il giorno della festa, la città di Bari gioisce, e con essa


l’intero universo innalza inni e cantici spirituali.

Pellegrini russi alla Basilica


il 22 maggio (9 maggio liturgico)

150
E il contacio: Si sono levate come una stella da oriente verso
occidente le tue reliquie, o santo vescovo Nicola. Al tuo passaggio
il mare si è santificato, e la città di Bari col tuo arrivo si è
riempita di grazia 45.

Molto probabilmente, più che quella letteraria, fu la rappresentazione


iconografica della traslazione a infondere nel comune fedele ortodosso il
senso ecumenico della festa. Come è noto, infatti, con grande frequenza
le icone di San Nicola con scene della vita hanno nel finale (ultimo
riquadro in basso a destra) la raffigurazione della traslazione a Bari. In
essa gli iconografi hanno trasmesso fedelmente il messaggio ecumenico.
Come nello slovo vi è armonia fra i monaci bizantini e i marinai baresi ai
quali affidano le reliquie, così nelle icone la traslazione avviene in
mirabile sintonia fra clero latino e clero ortodosso.
L’approccio cattolico a S. Nicola è molto diverso da quello
ortodosso. Qui prevale la carità, piuttosto che la fede. Curiosamente, il
fatto è messo in rilievo anche dal maggiore filosofo russo, Vladimir
Solov’ev.

La tradizione occidentale vede Nicola come santo della carità.


Come gli iconografi, così San Tommaso d’Aquino e Dante Alighieri,
ricordano la dote alle fanciulle povere (simbolicamente: tre
palle d’oro sul vangelo a significare i sacchetti di monete d’oro
gettati di notte attraverso la finestra della loro casa). Qui, in
un’affresco di fine XI secolo a Novalesa (TO).

45 Per tutti questi aspetti su S. Nicola in Russia vedi i miei volumi: Le leggenda di Kiev,

Bari 1980 (con la traduzione italiana del testo russo sulla traslazione di S. Nicola a Bari) e Storia
della Chiesa russa di Bari, Nicolaus Studi Storici, 2001, n. 1 (contenente anche la traduzione
dell’ufficio divino della traslazione con tutti i brani sopra citati).

151
Ne La Russie et l’Eglise Universelle egli riporta il racconto di Nicola
che insudiciandosi aiuta il contadino a tirare il carretto sprofondato nel
fango, a differenza di S. Cassiano che per non sporcare la candida veste
paradisiaca passa oltre. Per Solov’ev Nicola è la chiesa cattolica,
Cassiano la Chiesa ortodossa. La prima si compromette col mondo e la
società per avvicinarli a Dio, la seconda è più pura dottrinalmente e
spiritualmente, ma più carente nella carità evangelica.
Il Nicola cattolico si sporca veramente nel mondo, un po’ come
l’immagina Jean Bodel ne Le Jeu de Saint Nicolas, ove rimprovera i
ladri con un linguaggio da ... taverna, appunto. E così l’avrebbe visto
anche Shakespeare. Santo della carità operosa, specialmente verso le
fanciulle povere, lo vedono sia S. Tommaso d’Aquino nella Summa
Theologica sia Dante Alighieri nella Divina Commedia. L’elemento
prioritario dunque non è legato alla fede, ma alla carità.
Iconograficamente nel medioevo prevaleva la rappresentazione delle
tre fanciulle, che in epoca moderna ha lasciato il posto al simbolo
delle tre palle d’oro sul vangelo, che stanno per i tre sacchetti di monete
d’oro gettati dal Santo di notte attraverso la finestra della casa delle
fanciulle.

Come patrono degli scolari ai tempi di Abelardo (prima metà XII


secolo) affiancò Caterina di Alessandria. Di conseguenza la sua festa nel
mondo studentesco assunse contorni goliardici (come l’usanza del boy
bishop). Poco a poco la leggenda dei tre bambini insieme all’episodio
delle tre fanciulle diede origine all’usanza la sera del 5 dicembre di
lasciare dei doni alla soglia di famiglie povere e le università
organizzavano collette per gli studenti più poveri.

L’approccio protestante a San Nicola è abbastanza variegato,


come del resto è la spiritualità di ogni chiesa. Molti ignorano che san
Nicola è ben presente nel mondo protestante, benché non sia un santo
biblico. E ciò vale anche nel caso che escludessimo dalla categoria
“protestanti” gli Anglicani, gli Episcopaliani e tutte quelle chiese che si
riconoscono nella cosiddetta Comunione anglicana. Se infatti si
avvia una navigazione in internet ci si imbatte sovente in chiese luterane
di S. Nicola. Prima di avventurarsi in una spiegazione del senso di
questo fenomeno è opportuno soffermarsi un istante sulle cause di esso.

Il momento storico in cui nacque la Riforma protestante era anche


l’epoca in cui si era ben consolidata l’immagine di S. Nicola come

152
patrono dei bambini. Persino Lutero46, fino al 1536 era solito definire i
doni ai bambini come doni di S. Niclas. Solo successivamente assunse
un atteggiamento che oggi definiremmo integralista, affermando che i
doni li porta Gesù Bambino e non S. Nicola. La maggior parte dei capi
del protestantesimo, con a capo il riformatore Heinrich Bullinger 47 e
Rudolph Wirth,48 non si allinearono su questa posizione e continuò a
festeggiare il giorno di S. Nicola, anche se non più liturgicamente,
essendo i protestanti contrari al culto dei Santi.

Nel 1536 Lutero smise di


dare doni ai bambini nel
giorno di San Nicola,
spostando il tutto a Natale.
Tra i capi protestanti che
continuarono invece a darli il
5/6 dicembre ci fu anche il
noto riformatore di Zurigo,
Heinrich Bullinger (Qui
in un dipinto dell’epoca).

I protestanti dunque, nella stragrande maggioranza, non poterono né


vollero sopprimere del tutto il ricordo di S. Nicola, e questo per due
motivi importanti. Il primo è che i bambini aspettavano con ansia quel
giorno e privarli di tanta gioia ed esultanza sembrava un atto ottuso e
crudele. Il secondo è di carattere storico-civico. Se si naviga ancora su
Internet si rimane sorpresi da una constatazione: le chiese di S. Nicola
in Germania (patria del protestantesimo) e nelle nazioni collegate con la
lega anseatica all’antica economia tedesca, sono quasi sempre le più
antiche della città, la loro storia si intreccia con la nascita e la vita di
questa. Il che vale per Berlino come per Amburgo, per Lipsia come per
Francoforte, per Berlino come per Stralsund, per Amsterdam come per
Tallinn e Stoccolma e così via49.

46 Ernst Ludwig Enders, Dr. Martin Luthers Briefwechsel, Bd. 15, Leipzig 1914, p. 62 (Z 200), in

Karl Meisen, Nikolauskult und Nikolausbrauch im Abendlande, Düsseldorf 1931, p. 26.


47 Cfr. Karl Meisen, Nikolauskult, cit., p. 26.
48 De festorum christianorum origine, 1593, p. 153 (Meisen, p. 28).
49
Cfr. il mio Giovanni Arcidiacono: L’Historia Translationis Sancti Nicolai nell’Europa medievale (Nicolaus
Studi Storici, 2011, 43-108, in particolare 63-66). A questa conclusione è arrivato indipendentemente da
me il prof. Karlheinz Blaschke, il quale nel 2013 ha pubblicato i risultati delle sue ricerche nel volume
Nikolaikirchen und Stadtentstehung in Europa. Von Kaufmannssiedlung zur Stadt,
Berlin 2013.

153
Karlheinz Blaschke è
autore di questo poderoso
volume che delinea il
formarsi di molte capitali e
importanti città europee, in
particolare tedesche,
attorno ad una chiesa di san
Nicola, patrono del
commercio.

Ad esempio nella descrizione della chiesa evangelico-luterana di Lipsia


si dice letteralmente: La chiesa di S. Nicola, una delle più antiche della
città, è stata sin dalla fondazione strettamente legata alla storia
della città e alle sorti della popolazione50. Una costante di queste
chiese tedesche è la loro vicinanza ai corsi d’acqua o il loro
posizionamento nella piazza principale della città, la piazza del mercato.
Naturalmente sia per queste chiese luterane che per quelle di altre
denominazioni (eccetto quelle della comunione anglicana) non si può
parlare di venerazione di S. Nicola, ma certamente neppure si può
passare sotto silenzio che queste chiese propongono e pubblicizzano le

50Die Nikolaikirche – eine der ältesten Kirchen der Stadt Leipzig – ist seit ihrem Bestehen eng mit
der Geschichte der Stadt und Geschicken ihrer Bürger verbunden. Cfr. www.nikolaikirche-leipzig.de.

154
loro iniziative nel nome di san Nicola. Tanto più che non sono mancati
nella storia esempi di intolleranza, come ad esempio in Olanda.

Quando l’antica chiesa di S. Nicola di Amsterdam fu requisita dai


protestanti, la prima cosa che si fece fu di sopprimere il nome di Nicola:
da allora in poi si chiamò la “Vecchia chiesa” (Oude Kerk). Ma anche
l’intransigente Olanda col suo Puritanesimo dovette fare i conti con la
simpatia che sprigiona la figura di S. Nicola. Basti pensare alle leggi che
furono promulgate a pioggia contro la festa di S. Nicola tra il XVII ed il
XVIII secolo 51. Decine e decine di ordinanze con forti multe e
punizioni vennero regolarmente violate. L’amore per i loro bambini
era più forte della paura della punizione. Senza dire che quando i coloni
olandesi fondarono New Amsterdam (futura New York) la prima chiesa
che costruirono fu quella di S. Nicola. Vera o falsa che sia questa notizia,
certo è che è rimasta negli annali della più famosa Associazione
protestante di S. Nicola, la Saint Nicholas Society of New York,
che io ho avuto modo di visitare durante gli anni della mia permanenza
nella metropoli statunitense.

In questo contesto merita una menzione un inno composto in onore di


S. Nicola dal pastore luterano di Amburgo Hermann Goltz (+2010), che
io ho pubblicato in italiano sulla mia rivista 52 , e che può essere
considerato il componimento poetico più bello in onore del Santo di
Mira in tutto il XX secolo. Esso dice tra l’altro:

Così solo tardi nel corso della mia vita


Mi resi conto
Che senza il santo Nicola
La mia terra non sarebbe così come è
Come la amo
La mia città

51 L’8 febbraio 1601 condanna la festa il consiglio comunale di Alkmaar ; il 3


dicembre 1614 c’è una “Ordonnantie” per la città di Grave (a.d. Maas,
Nordbrabant), ripetuta il 29 novembre 1615 e il 3 dicembre 1620; il 1
dicembre 1621 e 1622 si pronuncia contro la festa di S. Nicola il consiglio dei
magistrati di Arnhem: contro si dichiara nel 1666 il Boek der Keuren en
Ordonnantien van Enkhuizen; per l’ordinanza di Utrecht del 1655 vedi S.
Müller, Nederlandsche heiligenbakkerijen, Bulletin uitgegeven door den
Nederlandschen Oudheidkundigen Bond, I, Amsterdam 1899-1900, p. 215;
per l’ordinanza 81 emessa da Amsterdam negli stessi anni, vedi Jos. Alb.
Alberdingk Thijm, Volks-Almanak voor Nederlandsche Katholieken in het
Jaar onzes Heeren 1863, Amsterdam 1863, pp. XXXVI-XXXVIII.
52 Nicolaus Studi Storici, 1999, fasc. 1.

155
Görlitz o Zgorzelec
Posta lungo il cammino del commercio europeo
Che dalla Francia porta a Kiev.
Solo tardi mi resi conto
Di essere cresciuto
All’ombra rinfrescante del Santo,
nella benedizione del Dio di Nicola
dal cui corpo
scaturiscono fonti di acqua viva.

Hermann Goltz

Come pure merita una menzione lo spirito ecumenico che si respira in


quasi tutte le chiese protestanti dedicate a San Nicola.

Di venerazione invece si può parlare quando si passa a considerare


quel ramo particolare del protestantesimo che è la Chiesa anglicana.
E questo vale sia per le chiese dell’Inghilterra che per quelle sparse per il
mondo e che si riconoscono nella Comunione anglicana.
Naturalmente nelle chiese anglicane di S. Nicola i simboli
nicolaiani sono più evidenti che non nel luteranesimo tedesco. Sempre
facendo riferimento ad Internet, la parrocchia di S. Nicola (St. Nicholas
Anglican Church) a Scottsdale in Arizona ha un’insegna a forma di
sigillo in cui sono in bella evidenza la mitra episcopale, il pastorale e le
inconfondibili tre palle d’oro. La St Nicholas Episcopal Church di
Darnestown nel Maryland mostra il pastore che circondato di tanti
ragazzi guida una processione con tanto di stendardo di S. Nicola.
In Inghilterra va segnalata la meritoria azione dell’amico sacerdote
anglicano James Rosenthal che, a partire dalla rinascita di Santa

156
Claus, sta suscitando da anni l’amore per S. Nicola e in suo nome
promuove tutta una serie di attività benefiche.

10. La Basilica di S. Nicola faro di ecumenismo

Il 1951 fu un anno importante nella storia della Basilica di S. Nicola.


Come si è detto, il papa Pio XII dispose la soppressione del plurisecolare
capitolo dei canonici e l’affidamento della Basilica, ormai pontificia
(giurisdizione papale) e non più palatina (giurisdizione regia),
all’Ordine domenicano. All’arrivo dei frati nel 1951 erano trascorsi
già alcuni decenni dalla scomparsa dell’Ospizio, anche come edificio
(divenuto ormai Museo storico e Scuola Trieste). La mancanza di spazi
fu determinante ai fini di un impossibile incremento del fenomeno
pellegrinaggi. Per cui i frati domenicani si sono limitati piuttosto a
mantenere viva la tradizione per quanto riguarda i pellegrinaggi dalla
Campania e dall’Abruzzo e Molise. Si sono invece dedicati in modo
particolare allo sviluppo dei pellegrinaggi a carattere ecumenico.
A dire il vero, in questa spinta verso l’Oriente i Domenicani sono
stati aiutati da alcune circostanze. Infatti, già dagli anni Trenta del XX
secolo la Basilica aveva vissuto un momento di particolare interesse per
l’Oriente Cristiano. Per cui, sin dai primi anni dal loro arrivo, i frati si
trovarono ad accogliere riti di varie chiese d’Oriente 53. Tuttavia c’era
una caratteristica: si trattava quasi sempre di Chiese cattoliche
orientali, la maggior parte delle quali va sotto la denominazione di
greco-cattoliche o “uniate” (cioè “unite” e quindi in comunione con
Roma).
Nel dicembre del 1961, decennale dell’arrivo dei Domenicani a S.
Nicola, si tennero celebrazioni spettacolari in diversi riti orientali,
quali ad esempio i riti armeno, caldeo e bizantino. Nel maggio
del 1964 era l’arcivescovo degli Ukraini mons. Josip Slipyj ad accendere
con l’arcivescovo di Bari Nicodemo la lampada uniflamma. Ormai
l’afflusso dei vescovi orientali era facilitato dal Concilio Vaticano II in
corso a Roma. E fu proprio questo Concilio a fare segnare la svolta

53 Per fare qualche esempio, nel 1953 si ebbe una celebrazione slavo bizantina in occasione di

un pellegrinaggio ucraino dal Collegio di S. Giosafat di Roma; nel 1954 vi furono celebrazioni
in rito greco con la partecipazione di mons. Mele, arcivescovo cattolico di Lungro; poi nel 1955
vennero pellegrinaggi russi ortodossi sia da Parigi che da Ginevra 53. Un’occasione particolare per
pellegrinaggi e riti orientali fu il 1957 quando, al termine dei lavori alla cripta durati tre anni, le ossa
di S. Nicola furono nuovamente riposte nell’urna sotto l’altare del Santo. La Basilica allora ospitò
diversi riti orientali, inclusi il copto e il malabarese. Per queste celebrazioni giunse a Bari il card.
Gregorio Pietro XV Agagianian, e tra gli altri parlò il noto orientalista gesuita Stanislao Tyszkiewicz,
prof. al Pontificio Istituto Orientale di Roma.

157
ecumenica in Basilica. Fino ad allora, parlando di unione dei Cristiani,
si intendeva il “ritorno” degli “scismatici” a Roma. Il Concilio Vaticano
II fece cogliere un senso più profondo del mistero e dell’unità della
Chiesa di Cristo.
Nel 1962 venne in Basilica il primo teologo russo,
osservatore al Concilio Vaticano II. Due anni dopo vennero a venerare le
reliquie di S. Nicola molti osservatori ortodossi al Concilio, vale a dire i
migliori teologi delle chiese ortodosse 54 . In quell’occasione fu
consegnato al teologo russo Liverij Voronov un dono per il patriarca
Alessio. Si trattava di un cofanetto di cristallo con un pezzettino del
legno della cassetta in cui i marinai baresi portarono le ossa di S. Nicola
55.

La cosa proiettò Bari in quel mondo di gesti ecumenici


provvidenzialmente inaugurato dal papa Giovanni XXIII. Fu così che
quello stesso anno 1964 Bari fu scelta come sede del convegno
dei delegati pugliesi “Pro Oriente Cristiano”, presente il card.
Ernesto Ruffini, presidente dell’Azione Cattolica Italiana per l’Oriente
Cristiano. Nel suo intervento mons. Brunello, delegato nazionale
dell’Associazione pro Oriente Cristiano, sottolineò l’importanza di
organizzare pellegrinaggi a S. Nicola “dove con la preghiera si sarebbero
incontrati con gli ortodossi e i non cattolici” 56.

Ormai la vecchia posizione cattolica che esigeva un “ritorno” degli


ortodossi alla Chiesa romana era un ricordo del passato. Si faceva
avanti l’idea che bisognava incamminarsi insieme verso il Cristo.
Nacque così il progetto, accolto dalla Santa Sede su richiesta dei Padri
Domenicani e dell’arcivescovo Enrico Nicodemo, di riservare una
cappella non più soltanto ai cristiani di “rito orientale” (con la quale
denominazione si intendevano i cattolici), ma agli ortodossi veri e
propri, separati cioè da Roma non soltanto per il rito ma anche per
alcuni punti dottrinali e di legislazione canonica.
Quando nel 1969 venne il metropolita di Leningrado Nikodim si
cominciò a comprendere che una grande svolta stava avvenendo nel
mondo dei pellegrinaggi alla Basilica: ora gli ortodossi arrivavano in
pellegrinaggio a S. Nicola ufficialmente e a mezzo di personalità di
rango molto elevato nella loro chiesa. Nikodim donò alla Basilica l’icona

54 BSN 1964 ottobre, p. 10. Purtroppo questo importantissimo avvenimento non fu colto in tutta la

sua importanza dai redattori del Bollettino di S. Nicola, i quali omisero di stenderne una cronaca.
55 BSN marzo aprile 1965, p. 13, con la risposta del patriarca a firma del metropolita Juvenalij.
56 BSN 1964, maggio giugno, pp. 14-16.

158
di S. Nicola con l’aureola decorata, che si conserva nella Sala del Tesoro
57.

Gli anni Settanta confermavano dunque la svolta che era seguita al


Vaticano II. Anche molti ortodossi greci cominciarono a venire alla
Basilica soprattutto in concomitanza con le attività dell’Istituto di
Teologia Ecumenico-patristica. Tra i più graditi e frequenti ospiti c’era
il metropolita Chrysostomos Konstantinidis, successore di S.
Nicola sulla cattedra di Mira.

Il papa Giovanni Paolo II mentre nella Basilica di San


Nicola accende la lampada uniflamma insieme al
metropolita di Mira Chrysostomos Konstantinidis
(1984). Per l’occasione il papa fece un vibrante discorso
sulla vocazione ecumenica della Basilica e di tutta la
Chiesa barese.

Intanto i Domenicani della Provincia napoletana inviavano il P.


Gerardo Cioffari a prepararsi nella teologia ortodossa nella migliore

57 BSN ottobre 1983, p. 12

159
scuola teologica russa, quella di St Vladimir a Crestwood presso New
York, ove ebbe come professori tra gli altri Aleksander Schmemann e
John Meyendorff.
Nel 1982 nasceva il Centro Ecumenico S. Nicola con la rivista
informativa O Odigos (La guida), seguita nel 1985 da “Quaderni di O
Odigos”.
In questi anni Ottanta il ventaglio della geografia dei pellegrinaggi
si allargò ulteriormente, con visite importanti anche dal mondo
musulmano ed ebraico. Di particolare rilievo, specie per le sue
benefiche conseguenze, fu la visita di Carlo e Diana il 2 maggio 1985
che ebbe luogo poco più d’un anno dopo quella di papa Giovanni Paolo
II (26 febbraio 1984) e tre mesi dopo quella del cardinale Joseph
Ratzinger (29 gennaio 1985). Il sottoscritto colse l’occasione di questa
visita per pubblicare un bollettino sull’avvenimento 58 , e poi per
scrivere alle quasi quattrocento parrocchie anglicane di S. Nicola, un
terzo delle quali risposero interessate. L’ecumenismo della Basilica
cominciava a scrivere un capitolo nuovo.
Questo tipo di impostazione si è incontrato idealmente con il tipo di
spiritualità propugnato anche dal decano della cattedrale di Newcastle
upon Tyne, una delle più importanti città dell’Inghilterra
settentrionale. Il rev. Christopher Dalliston, infatti, aveva già
avviato la creazione di un centro di spiritualità, con particolare
riferimento ai bambini e ai fanciulli. Un aspetto del resto caro anche
all’attuale priore della comunità domenicana di S. Nicola P. Damiano
Bova (soprattutto quando, come rettore della Basilica nel 1987,
centenario della traslazione delle reliquie di S. Nicola da Mira a Bari,
trovandosi ad organizzare le solenni celebrazioni, volle coinvolgere
l’Unicef).
La gradita presenza del decano di una delle più belle chiese di S.
Nicola al mondo, quale quella di Newcastle upon Tyne, fu
accompagnata da una significativa lettera del primate d’Inghilterra.

James Rosenthal è un sacerdote


anglicano presente quasi sempre alle
feste di San Nicola. Tramite l’immagine
di Nicola/ Santa Claus promuove
iniziative benefiche.

58 Bollettino di S. Nicola, giugno 1985, n. 6.

160
11. Il pellegrinaggio russo.

Nonostante la grande diffusione in Russia del Sermone sulla


Traslazione delle reliquie di S. Nicola a Bari negli scritti dell’XI-XIV
secolo non vi è traccia di pellegrinaggi russi a Bari. La circostanza si
spiega anche col fatto che i registri dei pellegrini in Basilica si tennero
sistematicamente solo a partire dal 1650. Il primo pellegrinaggio russo di
cui si abbia notizia non proviene dagli archivi della Basilica, bensì da
documenti russi del XVIII secolo. Questi riportano che nel 1459 un
monaco di nome Barlaam, proveniente da Rostov la Grande (a nord
di Mosca), giunse a Bari ove acquistò un’icona. Tornato in Russia, spinto
dalla popolazione che venerava l’icona miracolosa, fondò il monastero
presso il fiume Ulejma (che ancora oggi accoglie molti monaci).

Il fatto ha una grande rilevanza ecumenica perché dimostra che


anche nel periodo di più violenta lotta al cattolicesimo, quello
del rigetto del concilio di Firenze, Bari restava una felice eccezione.
Successivamente molti russi vennero a visitare la Basilica. Nei libri
dell’Ospizio dei pellegrini, che però cominciano nel 1650, spesso i russi
dell’Ukraina e della Bjelorussia si autodefinivano “polacchi”, sia perché
effettivamente fino a pochi anni prima erano stati sotto la Polonia sia
perché speravano in tal modo di avere una migliore accoglienza (se i
documenti erano in regola avevano diritti a tre giorni di alloggio gratis
nell’Ospizio di S. Nicola).

Dalla fine del XVII secolo i “diari” di questi viaggi cominciano a


moltiplicarsi59. Nel 1683 è registrato il primo gruppo di 6 moscoviti
venuti a venerare S. Nicola. Nel 1698 giunsero i due più famosi generali
di Pietro il Grande, Boris Ščeremetev e Piotr Tolstoj. Nel 1724 venne
Vasilij Grigorovič Barskij, la cui descrizione divenne per molto
tempo la “guida” anche per gli altri pellegrini russi. Più tardi poi, anche
grazie ad un servizio austriaco di navigazione fra Terra Santa, Egitto e
Brindisi, i pellegrinaggi russi divennero regolari e costanti e, soprattutto

59 Molti di questi diari sono stati pubblicati in G. Cioffari e G. Dotoli, Viaggiatori russi in Puglia,
Schena ed. Fasano 1991. In questo volume ho tradotto i seguenti diari (nella parte relativa alla Puglia
e a Bari):
Diario di viaggio all’isola di Malta del bojaro Boris Petrovič Šeremetev negli anni 1697-1699)
Testimonianze sul pellegrinaggio dello zarevič Aleksej Petrovič (1717)
Pellegrinaggi di Vasilij Grigorovič Barskij (1724)
Ricordi di Vladimir Mordvinov (1874)
La città di Bari e il suo sacro Tesoro di A. Radonežskij
Il pellegrinaggio russo ortodosso di Aleksej Afanas’evič Dmitrievskij (1897)
La chiesa russa di Bari di I. I. Sokolov (1911)
Il sacro Tesoro di Bari dell’archimadrita Dionisij (1912)
Lettere dalla Puglia di Nikolaj D. Protasov (1914 e 1915)

161
a partire dal 1852, registrati con cura 60 . Una bella lampada lasciò in
occasione di uno dei suoi pellegrinaggi il grande ammiraglio della marina
russa il gran principe Costantino, fratello dello zar Nicola I, noto per aver
redatto il decreto di abolizione della servitù della gleba (1861). Grande
scalpore fece a Bari la visita, volutamente discreta e senza rumori, dello
zarevič Nicola II

Nel 1911, prendendo atto di aver perduto ogni diritto sulla Basilica di
Mira in Turchia, la Società imperiale ortodossa di Palestina pose la prima
pietra per la costruzione di una chiesa ortodossa di S. Nicola a Bari.
Prima il sindaco Simeone di Cagno Abbrescia poi Michele Emiliano
hanno promosso in questi anni il ritorno della Chiesa russa ai Russi,
dopo che questi l’avevano perduta all’epoca del fascismo.

Il metropolita Kirill (oggi patriarca di Mosca)

Chiesa russa
di Bari

Con la caduta del comunismo (1989) e soprattutto dall’arrivo alla


chiesa russa di Bari di un parroco del Patriarcato di Mosca (Vladimir
Kučumov), il pellegrinaggio russo ha preso il carattere della regolarità
e quotidianità. Il Patriarcato di Mosca ha intensificato i rapporti con
la Basilica non soltanto con scambi di visite ma anche con iniziative di
straordinario impatto popolare dal punto di vista ecumenico.
Un’efficacia straordinaria sul piano psicologico sta avendo quella di
mettere negli atri delle chiese di Mosca e San Pietroburgo
l’immagine della Basilica di S. Nicola di Bari con una
bottiglietta della manna. Psicologicamente è come un

60Cfr. Pellegrini a San Nicola di Bari nella storia, Bari 2007 e Storia della
Chiesa russa di Bari, Nicolaus Studi Storici, 2001, n. 1.

162
lasciapassare per qualsiasi fedele ortodosso che ne abbia i mezzi di
recarsi nella Basilica cattolica a venerare le reliquie di S. Nicola.
E’ vero che alcune guide russe del pellegrino ricorrono ancora alle
bugie storiche per giustificare come mai i russi festeggino la
Traslazione a Bari. Anticipano le date, spostano i fatti, fanno arrivare i
Normanni alla fine dell’XI secolo a traslazione già avvenuta se non
addirittura nel XII secolo, il tutto al fine di affermare che Bari era
ancora sotto i patriarchi di Costantinopoli e che quindi la Traslazione
avvenne in un contesto ortodosso. Ma ormai le pubblicazioni
ortodosse che vedono la Basilica di S. Nicola al di sopra dello scisma
fra cattolici e ortodossi sono in maggioranza 61.

Benedetto XVI e
Bartolomeo patriarca di
Costantinopoli. Entrambi
sono stati in Basilica prima
di diventare papa e patriarca.
Il secondo , di ritorno dagli
Stati Uniti, ricordo di averlo
accompagnato in cripta nel
1979 o 1980.

61 Il mutamento che è avvenuto negli ultimi anni si riflette molto bene nelle ultime pubblicazioni
russe su S. Nicola. Si incontrano ancora qua e là le ostilità confessionali dello storico Golubinskij
(di come spiegare la festa russa della traslazione essendo una festa cattolica, e perché gioire di
essa se il Santo è finito in una terra cattolica), che ricorre a contorte ed equivoche spiegazioni,
arrivando persino a dire che la traslazione avvenne quando la città di Bari era “ancora ortodossa”
(perché bizantina). Cfr. Polnyj Sbornik Kanonov i Molitv Svjatitelju Nikolaju Čudotvorcu,
Danilovskij Blagovestnik, Moskva 2001, p. 21 (Al tempo della traslazione delle reliquie la
penisola pugliese si trovava sotto il dominio dei patriarchi costantinopolitani. Ma nell’anno 1196
i Normanni conquistarono i territori bizantini in Italia, e la tomba con i resti del santo vescovo
Nicola venne a trovarsi presso i cattolici romani). E’ difficile dire se qui si tratti più di ignoranza
o di malafede, essendo il testo russo (pervenutoci in centinaia di manoscritti) esplicito
sull’autorità del papa e non del patriarca di Costantinopoli all’epoca della traslazione. Queste
preoccupazioni confessionalistiche sono però assenti nella maggior parte dei recenti libri russi,
che invece parlano di Bari con simpatia e senza che la cattolicità della Basilica di S. Nicola faccia
difficoltà al pellegrino russo. Valgano come esempi i seguenti: G. A. Pyl’neva, Nikola Milostivyj,
segodnjašnij naš pomoščnik, Moskva 2004; Galina Činjakova, Rossija pod pokrovom Svjatitelja i
Čudotvorca Nikolaja. Kniga dlja junošestva, Pravoslavnyj Palomnik, Moskva 2004; Fedor Gusev,
Žitie i čudesa Svjatitelja Nikolaja Čutotvorca, Sankt Peterburg 2001 (il testo è del 1898 ma in
ultima di copertina c’è una bella immagine della Basilica barese); [Fedor Gusev], Svjatitel’ Nikolaj
Čutotvorec, izdanie Zadonskogo Roždestvo-Bogorodickogo Monastyrja, 2004 (ricco di
illustrazioni della Basilica barese); AA. VV., U grobnicy Svjatitelja Nikolaja Čutotvorca,. Russkie
palomniki v Mirach i v Bari (Presso l’urna di S. Nicola taumaturgo. I pellegrini russi a Mira e a
Bari), Moskva 2005.

163
Fra i protagonisti di questa svolta il primato spetta all’allora
metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad, oggi patriarca di Mosca.
Egli è venuto a Bari in parecchie occasioni. Io gli ho fatto da guida sia
all’Istituto sia traducendo il testo di qualche sua conferenza.
Altro pellegrinaggio importante è stato quello guidato il 18 febbraio
2005 dal metropolita di Minsk Filarete Vachrameev. Venuto a Bari
per la sua devozione personale verso il nostro Santo, l’alto prelato è
rimasto affascinato dalla fraterna accoglienza dell’arcivescovo di Bari, del
rettore della Basilica e del direttore dell’Istituto Ecumenico. Anche per
lui il cammino verso l’unità dei Cristiani è faticoso e lungo, in quanto alle
spalle vi sono mille anni di divisioni, ostilità e sfiducia reciproca. Il
grande valore dei pellegrinaggi russi a Bari consiste proprio nel superare
questa sfiducia.
“Bari è già il centro del movimento ecumenico”, così si è
espresso il metropolita Filarete rispondendo ad una domanda di Onofrio
Pagone, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno. Formulata a distanza
di neppure un mese dall’analoga affermazione del metropolita Kirill di
Smolensk, questa constatazione non può che riempire di gioia tutti i
Baresi amanti di quella grande impresa che è l’unità dei Cristiani.

Il metropolita Kirill, oggi patriarca di Mosca, partecipa


insieme ai rappresentanti della Congregazione per
l’Unità dei Cristiani alle feste di San Nicola.

164
Anche questa volta la frase viene da una delle più alte personalità
della Chiesa russa. Filarete, infatti, non è soltanto esarca patriarcale
per la Bielorussia, ma anche il presidente della Commissione
teologica del Santo Sinodo russo, in altri termini il primo
responsabile del dialogo dottrinale fra la Chiesa cattolica e quella
ortodossa russa. Era lui, ad esempio, il capo della Commissione
sinodale a cui il Patriarcato aveva affidato il compito di studiare il tema
: “Sul rapporto fra la Chiesa ortodossa russa e la
cooperazione intercristiana in vista della ricerca
dell’unità”.

Ma il patriarca Kirill e Filarete di Minsk non sono che la punta


dell’iceberg. Ormai, specialmente a partire dal 2005, la festa russa
della traslazione di S. Nicola (9 maggio ecclesiastico, corrispondente al
22 maggio civile e occidentale) attira non più centinaia, ma migliaia di
pellegrini russo-ortodossi. E questo movimento ha avuto recentemente
il sigillo ufficiale: la visita del presidente della Russia Vladimir Putin
alla Basilica barese (14 marzo 2007) con relativo omaggio alle sante
reliquie. Nel 2008 è giunto anche il presidente Medvedev
accompagnato dal presidente della Repubblica Italiana Giorgio
Napolitano.

165
Arrivo di pellegrini russi in Basilica e celebrazione
della liturgia nella Basilica superiore.

12. Il pellegrinaggio italiano


Il pellegrinaggio internazionale non deve fare dimenticare il
pellegrinaggio italiano che continua dopo tanti secoli, anche se sta
assumendo delle forme nuove. La differenza più appariscente dal
pellegrinaggio antico consiste nel fatto che fino a una trentina d’anni
fa era stato sui carri e finalmente sui pullman. Oggi quello sui
pullman in occasione della festa di maggio (7 il corteo storico, 8 la
statua sul motopeschereccio e 9 festa liturgica con estrazione della
santa manna) si è alquanto assottigliato. Il che è dovuto a due motivi
principali. Le insufficienti strutture per l’accoglienza (il santuario
è al centro della città Vecchia e la festa non può fermare la vita
cittadina) e la moltiplicazione delle auto private. A causa del primo
fattore (insufficienza delle strutture) il secondo ha preso piede in
modo generale e una gran parte dei pellegrini preferisce venire al

166
santuario non durante la festa ma durante le altre domeniche
dell’anno.

La provenienza di questi pellegrinaggi è molto varia, dalla Sicilia


alle Alpi (soprattutto gli italiani di lingua tedesca conoscono bene S.
Nicola sia pure nella veste di Santa Claus). Tuttavia vi sono due aree
che hanno una lunga tradizione di organizzazione di pellegrinaggi. La
prima corrisponde alle province di Napoli e Caserta, ed ovviamente
i pellegrini che giungono portano con sé il carattere napoletano
vivace e chiassoso (e congiungono il pellegrinaggio religioso
durante il giorno alla festa popolare della sera, che alcuni benpensanti
ritengono indecorosa per dei pellegrini). La seconda corrisponde alle
province di Chieti e Campobasso (Abruzzo e Molise). Ed anche qui

167
il carattere dei fedeli corrisponde al tipo umano di quelle zone:
laborioso, devoto e silenzioso. I fedeli che provengono da queste
terre sono molto simili alle comitive dei pellegrini russi. La religiosità
e la devozione sono molto prevalenti rispetto alla festa.
A differenza dei russi che hanno lasciato un gran numero di diari
che descrivono le fasi del loro pellegrinaggio e le relative
sensazioni, gli italiani hanno lasciato raramente qualche descrizione.
La più importante risale al 1833 ed esce dalla penna di tale Francesco
Sorda di Fragneto Monforte (Benevento). Naturalmente oltre
all’itinerario riferito dettagliatamente questo capo compagnia
descrive anche le sensazioni e i disagi. Si avverte nelle sue parole il
senso dell’impresa. Ma alla fine da tanti sacrifici fuoriesce la gioia di
avere per un momento sentito vicino a sé il grande Santo: La
compagnia è ritornata in Fragneto alle ore quindici dopo un felice ed
allegro viaggio di circa 250 miglia, senza disturbo alcuno, e disastro
di intemperie o di strade62.
Sono intorno ai 20.000 i pellegrini italiani che vengono nel mese
di maggio (molti ne vengono anche il 6 dicembre, ma la festa di
dicembre è detta “dei baresi”). A parte il gusto di partecipare in
qualche modo al Corteo storico del 7 e di andare in barca il giorno
8 a rendere omaggio a S. Nicola, il pellegrino è desideroso di prendere
con sé il pane di S. Nicola (taralli legati in piccole quantità o talvolta
anche in numero di 30 o 40 con una cordicella che attraversandoli li
tiene uniti e rende facile portarli a tracolla). Questa tradizione del
pane (legata ovviamente al miracolo del grano proveniente da
Alessandria e diretto a Costantinopoli) è anche uno strumento per
calcolare (sia pure per difetto) il numero dei pellegrini giunti in un
dato anno.
Naturalmente anche i pellegrini di Chieti risentono della
modernità, per cui oggi sono ridotte a tre o quattro le compagnie che
giungono a piedi dopo una settimana di cammino. Nel vedere questi
pellegrini si ha la sensazione di un mondo antico che sta
scomparendo. In realtà, ascoltando i loro racconti, ci si rende conto di
quanta sofferenza ancora c’è nel mondo, e come per tanta gente S.
Nicola resta ancora un faro di speranza. Quando ci lasciano c’è la
sensazione che hanno guadagnato un altro anno e tutta la loro
speranza è di rivederci ancora l’anno prossimo.

62 Cfr. Mario Iadanza, Il Diario di Francesco Sorda (1833). Descrizione


itineraria di un pellegrinaggio di Fragneto Monforte a Bari e Monte
Sant’Angelo, in “La Cultura della transumanza”, Guida Editori, Napoli 1991,
p. 158.

168
13. Conclusione

Centennial observance of St Nicholas miracle brings


Churches together. Era questo il titolo di un giornale americano
in occasione l’anno scorso dell’anniversario del disastro minerario di
Jacobs Creek nel 1907. Ben 239 morirono. Si salvarono solo quelli
che qualche minuto prima erano usciti per andare in chiesa a
celebrare la festa di S. Nicola del 19 (6) dicembre. Sia pure senza la
comune eucarestia, presiedettero la celebrazione congiunta il
metropolita ortodosso Basilio e il metropolita cattolico Nicola della
diocesi di Johnstown (Pennsylvania).
Un esempio invece di collaborazione protestante ed ortodossa è
stata quella promossa dal canonico James Rosenthal, ma fatta
propria dalla diocesi di Los Angeles, nella chiesa di S. Nicola di Beit
Jala presso Betlemme in Palestina. La chiesa stava risentendo
gravemente delle tensioni fra Israele e la Palestina, e il canonico
anglicano ha saputo rispondere al tacito grido d’aiuto. Alla festa del
19 dicembre 2007 a Beit Jala hanno pregato insieme il patriarca
ortodosso di Gerusalemme e le gerarchie anglicane.
Nicola ispira dunque anche i protestanti. Anche se molti non lo
venerano come santo, egli rimane fonte d’ispirazione per mettere in
pratica nelle varie situazioni la carità evangelica. E’ nel nome di San
Nicola, ad esempio, che si muove una grande fondazione del Sud
Africa, la St Nicholas Children’s Hospice internazionalmente
riconosciuta per il suo impegno nel salvare i bambini dall’AIDS e
dalle varie malattie infantili che portano alla morte. E quasi sempre,
questa ed attività simili spingono a sentimenti sovraconfessionali. Il
desiderio di mettere in pratica il vangelo, cioè la carità cristiana,
permette di gettare lo sguardo al di là delle differenze ed
incomprensioni confessionalistiche.
E’ naturale dunque che nella Basilica di S. Nicola di Bari gli
incontri ecumenici siano più frequenti ed intensi che altrove. Qui
giungono quasi quotidianamente i rappresentanti di tutte le chiese
cristiane, spesso lasciando doni. Nel Museo Nicolaiano è conservata
ad esempio la panaghìa che Atenagora, il patriarca di Costantinopoli
che tanto ha lavorato per il riavvicinamento delle Chiese, donò
all’arcivescovo di Bari Enrico Nicodemo in occasione dell’abolizione
delle scomuniche.

169
Ma ciò che mette la Basilica all’avanguardia del movimento
ecumenico attuale è il pellegrinaggio ortodosso, oggi divenuto
quotidiano. Il volto nuovo del pellegrinaggio nicolaiano è quello di
essere cattolico ed ortodosso insieme. Non più soltanto cattolico con
visite e preghiere degli ortodossi giunti in visita. Oggi si può parlare di
un vero e proprio pellegrinaggio ortodosso (prevalentemente
russo, ukraino e bjelorusso), costante e non più saltuario. Attraverso il
pellegrinaggio S. Nicola è tornato ad esser il Santo di tutti o, come dice
uno scrittore tedesco citato recentemente dal papa Benedetto XVI, il
“Santo della Chiesa indivisa”.
L’impatto ecumenico di questa nuova realtà è enorme, in quanto
essa crea la condizione del successo di ogni eventuale dialogo.
Ecco perché ho iniziato questo intervento parlando del concilio di
Firenze e del suo fallimento. E’ stato tutto un fuoco di paglia, perché è
stata raggiunta l’unità non fra due Chiese ma fra due gerarchie
ecclesiastiche. Il pellegrinaggio a S. Nicola invece coinvolge il Popolo
di Dio, rendendo così fertile il terreno affinché quando tale
riunificazione, a Dio piacendo, dovesse verificarsi fra le gerarchie, anche
il popolo risponderà con entusiasmo. E questo può avvenire soltanto
quando il pellegrino ortodosso e il pellegrino cattolico, il

170
pellegrino di Mosca, Minsk o Kiev ed il pellegrino di Chieti,
Campobasso e Isernia si incrociano all’entrata della Basilica di
S. Nicola. Gli uni facendosi la croce all’inverso, con inchini sino a
terra e le donne col velo in testa, gli altri cantando e reggendo canne
con mazzi di fiori, constatando con i propri occhi che in terre lontane,
gente di altra lingua, altra razza ed altri costumi, ama con fede e
trasporto affettivo lo stesso Santo che egli ama con tanto affetto. Solo
su questo sfondo, un eventuale accordo non verrà vissuto come un
compromesso fra potenti “principi della Chiesa”, o peggio
ancora come un “tradimento della fede”, ma come l’ascolto umile
della parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni (XVII, 21): Ut unum
sint, “che tutti siano una cosa sola, come Tu sei in me, o Padre, e io in
Te, che siano anch’essi una sola cosa in noi, e così il mondo creda che
Tu mi hai mandato”.

171
APPENDICI
1. La “leggenda” russa (1095)
2. Discorso di Giovanni Paolo II (Manca)

LA LEGGENDA RUSSA TRASLAZIONE


DI SAN NICOLA DA MIRA A BARI
Traduzione di P. Gerardo Cioffari o.p.

Il giorno 9 del mese di maggio: Traslazione nella città di Bari


delle reliquie del padre santo e uomo di Dio, il taumaturgo Nicola,
arcivescovo di Myra di Licia.
Fratelli, è un nostro costante dovere celebrare e tenere in onore le
festività di Dio, seguire l’esempio dei suoi santi e virtuosamente
perseguire la salvezza, prendendo coscienza tramite una continua
esperienza di essere stati creati ad immagine di Dio e per opera delle sue
mani, attuando ciò che è gradito al suo cospetto, come già fece il beato,
grande e glorioso vescovo di Cristo, Nicola.
La sua mensa, o fratelli, voglio ora stendere dinanzi a voi. Gustate
di essa e vedete come il Signore è buono verso chi spera in Lui, buono
verso chi a Lui si affida, buono verso chi fa la Sua volontà, quanto buono è
il Signore verso chi Lo ama. Egli volle donarlo infatti alla città di Myra e
alla sua regione affinché vi effondesse la sua generosità, operasse miracoli
meravigliosi, concedesse guarigioni senza numero, apparisse grande
soccorritore e intercessore a coloro che si trovavano in pericolo per mare
e per terra, guarendo gli infermi, liberando i carcerati, rendendo la vista ai
ciechi, la capacità di camminare agli zoppi, di sentire ai sordi, mondando i
lebbrosi, scacciando i demoni, a tutti facendo ciò di cui avevano bisogno.
Infatti, il Signore aveva detto: Chi crede in me farà anch’egli le opere che
io faccio. E così fu per questo santo, suo servo fedele, il vescovo e padre
Nicola.
Quando è stato accordato che la grazia e l’amore di Dio per gli
uomini risplendessero su di noi alla luce del sole di giustizia, e si manife-
stassero a noi i favori da parte del Signore Dio Onnipotente, ecco che è
apparso proprio nel nostro tempo, nei giorni e anni nostri, e nel nostro
ricordo, un prodigio gloriosissimo, che va al di là della comprensione
umana, riguardante l’uomo di Dio e grande vescovo San Nicola.
Nell’anno 1088 dall’incarnazione di Dio stesso, che si fece uomo grazie
all’inviolato matrimonio della Madre di Dio e sempre vergine Maria, sotto
l’imperatore greco Alessio e il patriarca di Costantinopoli Nicola, al tempo
dei principi russi, l’amante di Cristo Vsevolod a Kiev e del suo nobile figlio

172
Volodimer a Černigov, avendo gli Ismaeliti, per decreto divino e disegno
dell’Altissimo, invaso il territorio greco al di là del mare, cominciando dal
Chersoneso fino ad Antiochia e Gerusalemme, per ogni loro città o
villaggio, tutti gli uomini che si trovavano colà trucidarono, le donne e i
bambini li ridussero in schiavitù, e le loro case diedero in preda alle
fiamme; spogliarono poi chiese e monasteri, e le loro città presero sotto il
proprio dominio.

Saccheggiarono allora anche la Licia, ove riposava il corpo di S. Nicola,


corpo prezioso, corpo degno di ogni venerazione, corpo che operava
prodigi meravigliosi e gloriosissimi.
Non avrebbe potuto un tale uomo di Dio impedire che la sua città e le
chiese venissero saccheggiate? Certamente. Ma egli non volle ostacolare il
decreto divino. Per cui disse: «Che il Signore faccia ciò che è gradito ai
suoi occhi».

Nostro Signore Gesù Cristo non poteva, però, sopportare che il servo
fedele giacesse con i suoi resti mortali in un luogo desolato dove non
avrebbe potuto essere glorificato da nessuno. Infatti sta scritto: «Glorifi-
cherò, disse, coloro che mi glorificano, ed innalzerò la gloria di coloro che
canteranno le mie lodi».

C’era in quei giorni nella città di Bari, nel territorio tedesco, un sacer-
dote devoto, amante di Cristo e giusto. A lui apparve San Nicola: «Vai a
dire agli uomini e a tutto il consesso ecclesiastico che vadano a prendermi
dalla città di Myra e che mi pongano qui. Non posso, infatti, restare in
quel luogo desolato, avendo Dio così permesso». Ciò detto, si allontanò.

Giunta l’alba, appena alzatosi, il sacerdote mise al corrente tutti gli


uomini dell’avvenuta apparizione da parte di San Nicola. Quelli che ascol-
tavano esultarono dalla grande gioia e dicevano: «Oggi Cristo ha accre-
sciuto la sua misericordia verso il suo popolo e verso la nostra città. Egli,
infatti, ci ha resi degni di accogliere il servo fedele San Nicola».

E così, lì stesso, designarono degli uomini stimati e timorati di Dio,


affinché, con tre navi, andassero a prendere il Santo. Questi, pertanto,
avendo fatto un carico di frumento, facendo credere di andare per una
missione commerciale, salparono.

Giunsero ad Antiochia. E, dopo aver venduto il frumento e tutta la


mercanzia, comprarono ciò che era conveniente per loro. Avendo poi i Ba-
resi ricevuto notizia che i Veneziani che si trovavano lì avevano intenzione
di andare prima di loro a prendere le reliquie di S. Nicola, si affrettarono e

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partirono senza ulteriori indugi; giunsero a Myra, nella Licia, e attracca-
rono al molo della città. Tenuto quindi un consiglio, e prese le armi,
entrarono nella chiesa di S. Nicola. Qui trovarono quattro monaci, ai quali
chiesero ove fosse S. Nicola, e [quelli] mostrarono loro la tomba ove
giaceva S. Nicola.

Essi, quindi, dopo aver scavato il pavimento della chiesa,


trovarono l’urna piena di manna. Versarono la manna in degli otri,
presero le sue reliquie come pure l’urna in cui erano state le reliquie di S.
Nicola e le portarono sulle loro navi.

E ripresero il mare, avendo lasciato due monaci a Myra, mentre


gli altri due accompagnarono le reliquie di San Nicola. E puntarono verso
Bari, dall’altra parte del mare. Partirono dalla città di Myra nel mese di
aprile, il giorno 11. Arrivarono nella città di Bari il mese di maggio, il
giorno 9, di domenica verso l’ora del vespro.

Videro i Baresi che stavano arrivando con le reliquie di S. Nicola


da Myra, e tutti i cittadini uscirono per andargli incontro, uomini e
donne, dai piccini ai grandi, con candele e incensieri, e le accolsero con
gioia e onore grande; e le posero nella chiesa di S. Giovanni il Precursore
presso il mare.

Orsù, ascoltate, fratelli miei, vi prego, quanti miracoli compì San


Nicola una volta arrivato a Bari da Myra.
Egli giunse la sera della domenica. La mattina seguente, il lunedì,
guarì 47 ammalati, uomini e donne, in preda a diverse infermità e malat-
tie. Questi (era malato) alla testa, quello agli occhi, un altro alle mani e ai
piedi, un altro al cuore oppure con dolori al ventre e per tutto il corpo o
che erano perseguitati da spiriti impuri.
Il martedì guarì 22 malati. Il mercoledì guarì 29 sofferenti. Il
giovedì, poi; verso l’alba guarì un sordomuto che già da cinque anni si
trovava in quell’infermità.
Dopo di questo S. Nicola apparve ad un monaco di profonda vita
spirituale, dicendo così: «E stato per volere di Dio che sono arrivato in
questo paese». E la domenica all’ora nona ricevettero la guarigione 11
persone. E poi ancora tutti i giorni compiva miracoli San Nicola, come
una fonte sgorgante che non finisce mai.

Molti doni portavano al Santo, oro, argento, stoffe preziose. I


cittadini avevano visto infatti i suoi miracoli gloriosissimi, ed esultavano
di gioia assai grande.

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E gli costruirono una chiesa meravigliosa, che è grande e bella,
dedicata al nome del santo uomo di Dio e padre Nicola. E gli batterono
un’urna d’argento e d’oro.

Al terzo anno della sua traslazione da Myra inviarono


un’ambasceria al papa di Roma, Germano, che lo invitasse a venire con i
suoi vescovi, e con tutto il suo seguito ecclesiastico, per operare il
trasferimento delle reliquie di San Nicola. Vennero, infatti. Presero le
reliquie di S. Nicola e le riposero nell’urna d’argento. E, avendole prese, i
vescovi coi loro dignitari le trasferirono nella sua nuova e grande chiesa. E
le posero nell’altare in un luogo nascosto, il mese di maggio, il giorno 9.
Trasferirono anche l’antico sarcofago nel quale era stato trasportato da
Myra e lo misero esposto nella chiesa. Esposero anche un osso della sua
mano (preso) dalle reliquie. E una gran moltitudine di popolo veniva a ve-
nerare e a baciare le reliquie e l’urna.

Quel giorno, il papa di Roma, Germano, i vescovi e tutti i cittadini


istituirono una grande festa in onore del Santo, che ripetono (annual-
mente) sino al giorno d’oggi. Mangiarono, bevvero e fecero festa in quei
giorni, e molti doni fecero ai poveri. E così tornarono in pace alle loro
case, glorificando e lodando Dio, e il santo uomo di Dio Nicola; servo
fedele e vescovo di Cristo.

Sii misericordioso, o uomo di Dio e servo fedele di Cristo, anche


verso di noi, sia qui che nel secolo a venire. In te, infatti, abbiamo riposto
la nostra speranza e a te rivolgiamo la nostra preghiera. Fra tutti, visibili e
invisibili, sei apparso il più degno di onore. Felice davvero è la città di
Bari e sacra è la chiesa nella quale il Signore Iddio ti glorifica, e dove l’Al-
tissimo santifica te, suo servo fedele. Tu sei, infatti, per tutti i cristiani il
soccorritore e il difensore, liberandoci da tutti i nostri pericoli e i nostri
mali. E ti preghiamo ancora, o santo beatissimo, che hai potere e audacia
presso il Signore, di intercedere per noi che sempre festeggiamo la tua ri-
correnza e osserviamo la festa della traslazione delle tue reliquie, affinché
veniamo salvati tramite le tue preghiere, per la grazia e la misericordia
dell’unigenito Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo. Per Lui e con Lui sia
gloria e potenza, onore e adorazione al Padre, insieme allo Spirito Santo,
buono e vivificatore, ora e sempre per i secoli dei secoli. Amen!

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