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1. Definizione e terminologia
Attualmente, negli Stati Uniti si usa l’espressione Advance directives (Direttive Anticipate)
per indicare, in generale, un documento col quale una persona prende dei provvedimenti in relazione
a delle decisioni mediche, nell’eventualità che venga a trovarsi in futuro nell’impossibilità di
prendere od esprimere le sue decisioni. Le Advance directives sono di due tipi: il Living Will e il
Durable Power of Attorney for Health Care.
Il termine “Living Will” (LW), viene usato spesso anche in italiano e in altre lingue per
desginare un documento legale con il quale una persona esprime la sua volontà sui trattamenti
medici che devono essere applicati a lei nel futuro, nel caso si venga a trovare in stato di incapacità
per esprimere la propria volontà. Frequentemente il termine viene tradotto come “Testamento di
vita”, “Testamento vitale”, “Testamento biologico”, “Carta di autodeterminazione”, ecc.
Il Durable Power of Attorney for Health Care (DPAH), indica invece un documento legale con
il quale si designa una persona (chiamata “agente”, o “fiduciario”) incaricata di prendere le decisioni
mediche opportune nel caso in cui il firmatario si trovi temporaneamente o permanentemente
incapacitato a prendere quelle decisioni. In questo caso si parla a volte di Health care proxy
(delegato per l’attenzione medica).
LW e DPAH sono, dunque, due strumenti diversi, anche se possono essere eventualmente
utilizzati entrambi (esistono anche documenti misti, che combinano elementi del LW con altri del
DPAH). Diverse possono e devono essere anche le considerazioni etiche e legali riguardanti l’uno
e l’altro documento.
2. Cenni storici
Il LW, e più genericamente le Direttive Anticipate, si sono sviluppati soprattutto negli Stati
Uniti, a partire degli anni ‘70. L’impulso provenne principalmente da due fattori. Da una parte, il
progresso delle scienze mediche, specialmente a partire degli anni cinquanta, permetteva di salvare
la vita di persone affette da patologie o traumi che fino a poco prima portavano fatalmente alla
morte; ma allo stesso tempo, questi interventi potevano originare situazioni di “accanimento
terapeutico”, poco rispettose della dignità umana. Dall’altra, si approfondiva sempre più la
convinzione che la stessa dignità della persona esigesse il suo rispetto in quanto soggetto autonomo,
primo responsabile della propria salute; pertanto, s’accentuava la convinzione che bisogna sempre
considerare la volontà del paziente in relazione agli interventi medici da attuare. Si potrebbe in
qualche modo garantire il rispetto di quella volontà nei casi in cui il paziente non si possa esprimere?
1
G. MIRANDA, «Living Will», in G. RUSSO (a cura di), Enciclopedia di Bioetica e Sessualità,
Elledici, Leumann (TO) 2004, 1068-1072.
Alcuni casi eclatanti, ampiamente discussi dall’opinione pubblica americana, fecero capire che
la “luna di miele” con il progresso tecnico-medico era finita. Il noto caso di Karen Ann Quinlan
portò all’approvazione nello stato di California, nel 1976, del Natural Death Act, che riconosceva
legalmente l’applicazione del LW. La misura fu approvata l’anno seguente nello stato di Idaho, e
in seguito in molti stati dell’unione americana. Il caso di Nancy Beth Cruzan portò nel 1990 alla
sentenza della Corte Suprema che sanciva il diritto di ogni cittadino a rifiutare l’assistenza medica,
e la validità dell’inferenza della sua volontà a partire da disposizioni espresse in passato. Lo stesso
anno fu approvato dal Congresso il Danford/Moynihan Amendement to the Omnibus Budget
Reconciliation Act. Questa legislazione, anche conosciuta come Patient Self-Determination Act,
stabilisce che gli ospedali e le cliniche finanziati con fondi federali debbono avvertire tutti i pazienti,
al momento del ricovero, del loro diritto a prendere le decisioni riguardanti il loro trattamento
medico. Questo include anche la possibilità di fare un LW o di designare un Delegato (proxy).
Bibliografia: