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IL “LIVING WILL”1

Gonzalo Miranda, L.C.


Decano della Facoltà di Bioetica
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma

1. Definizione e terminologia
Attualmente, negli Stati Uniti si usa l’espressione Advance directives (Direttive Anticipate)
per indicare, in generale, un documento col quale una persona prende dei provvedimenti in relazione
a delle decisioni mediche, nell’eventualità che venga a trovarsi in futuro nell’impossibilità di
prendere od esprimere le sue decisioni. Le Advance directives sono di due tipi: il Living Will e il
Durable Power of Attorney for Health Care.
Il termine “Living Will” (LW), viene usato spesso anche in italiano e in altre lingue per
desginare un documento legale con il quale una persona esprime la sua volontà sui trattamenti
medici che devono essere applicati a lei nel futuro, nel caso si venga a trovare in stato di incapacità
per esprimere la propria volontà. Frequentemente il termine viene tradotto come “Testamento di
vita”, “Testamento vitale”, “Testamento biologico”, “Carta di autodeterminazione”, ecc.
Il Durable Power of Attorney for Health Care (DPAH), indica invece un documento legale con
il quale si designa una persona (chiamata “agente”, o “fiduciario”) incaricata di prendere le decisioni
mediche opportune nel caso in cui il firmatario si trovi temporaneamente o permanentemente
incapacitato a prendere quelle decisioni. In questo caso si parla a volte di Health care proxy
(delegato per l’attenzione medica).
LW e DPAH sono, dunque, due strumenti diversi, anche se possono essere eventualmente
utilizzati entrambi (esistono anche documenti misti, che combinano elementi del LW con altri del
DPAH). Diverse possono e devono essere anche le considerazioni etiche e legali riguardanti l’uno
e l’altro documento.

2. Cenni storici
Il LW, e più genericamente le Direttive Anticipate, si sono sviluppati soprattutto negli Stati
Uniti, a partire degli anni ‘70. L’impulso provenne principalmente da due fattori. Da una parte, il
progresso delle scienze mediche, specialmente a partire degli anni cinquanta, permetteva di salvare
la vita di persone affette da patologie o traumi che fino a poco prima portavano fatalmente alla
morte; ma allo stesso tempo, questi interventi potevano originare situazioni di “accanimento
terapeutico”, poco rispettose della dignità umana. Dall’altra, si approfondiva sempre più la
convinzione che la stessa dignità della persona esigesse il suo rispetto in quanto soggetto autonomo,
primo responsabile della propria salute; pertanto, s’accentuava la convinzione che bisogna sempre
considerare la volontà del paziente in relazione agli interventi medici da attuare. Si potrebbe in
qualche modo garantire il rispetto di quella volontà nei casi in cui il paziente non si possa esprimere?

1
G. MIRANDA, «Living Will», in G. RUSSO (a cura di), Enciclopedia di Bioetica e Sessualità,
Elledici, Leumann (TO) 2004, 1068-1072.
Alcuni casi eclatanti, ampiamente discussi dall’opinione pubblica americana, fecero capire che
la “luna di miele” con il progresso tecnico-medico era finita. Il noto caso di Karen Ann Quinlan
portò all’approvazione nello stato di California, nel 1976, del Natural Death Act, che riconosceva
legalmente l’applicazione del LW. La misura fu approvata l’anno seguente nello stato di Idaho, e
in seguito in molti stati dell’unione americana. Il caso di Nancy Beth Cruzan portò nel 1990 alla
sentenza della Corte Suprema che sanciva il diritto di ogni cittadino a rifiutare l’assistenza medica,
e la validità dell’inferenza della sua volontà a partire da disposizioni espresse in passato. Lo stesso
anno fu approvato dal Congresso il Danford/Moynihan Amendement to the Omnibus Budget
Reconciliation Act. Questa legislazione, anche conosciuta come Patient Self-Determination Act,
stabilisce che gli ospedali e le cliniche finanziati con fondi federali debbono avvertire tutti i pazienti,
al momento del ricovero, del loro diritto a prendere le decisioni riguardanti il loro trattamento
medico. Questo include anche la possibilità di fare un LW o di designare un Delegato (proxy).

3. Una punta di lancia?


Occorre però risalire all’anno 1967 per incontrare le origini del LW, e per capire meglio lo
spirito e la finalità con cui questo strumento è stato proposto, e viene spesso ancora oggi promosso.
L'origine dell'idea si deve a Louis Kutner, membro del consiglio direttivo del Euthanasia
Educational Council degli Stati Uniti. Nel 1967, durante una riunione a Chicago di questa
associazione dedicata a favorire la legalizzazione dell’eutanasia, Kutner propose il LW come uno
strumento per “promuovere la discussione sull’eutanasia”. Due anni dopo lo stesso Kutner pubblicò
un articolo su una rivista di Diritto nel quale esplicitamente collegava il LW all’eutanasia: Due
Process of Euthanasia: The Living Will. A proposal. La sua proposta raccoglieva esattamente i
quattro punti della proposta di legge Millard presentata lo stesso anno 1969 in Inghilterra a favore
dell'eutanasia. E fu quello il modello adottato dal Natural Death Act del 1976. L'analisi degli
argomenti addotti dagli avocati di quella legge rivela come la motivazione fosse la stessa di tutto
il “movimento pro eutanasia”: l'autodeterminazione e la salute come valori essenziali della vita.
La promozione del LW, negli Stati Uniti e in altri paesi, viene quasi sempre fatta dai promotori
dell’eutanasia e dalle associazioni che lavorano per la sua legalizzazione. Una volta approvate le
leggi che legalizzano il LW, gli attivisti pro eutanasia hanno tentato in diverse occasioni di
introdurre degli emendamenti che autorizzerebbero i medici a procurare direttamente la morte dei
pazienti.
Sembra più che giustificato, dunque, il sospetto che molte volte il LW viene proposto e
utilizzato come una “punta di lancia” per promuovere la “cultura eutanasica”. Un giornale italiano
riferiva alcuni anni fa di una riunione a Torino del Centro di Studio e Documentazione sull'Eutana-
sia, Exit, “per approvvare il ‘testamento biologico’... che sarà presentato nei prossimi mesi a Roma
come strumento di battaglia per la depenalizzazione del suicidio assistito”.
Sono molti a lamentare che, al di là dei contenuti specifici del LW, alcune leggi o sentenze
giudiziarie relative al suo uso, stiano spalancando le porte all’eutanasia. È un dato di fatto che il LW
è stato utilizzato negli ultimi anni in modo crescente per giustificare l’omissione di trattamento
medico per pazienti inabilitati ma che non sono malati in fase terminale.
Certamente, le origini di un determinato strumento, come anche l’uso che alcuni ne possono
fare, non determina di per sé l’inutilità o l’inconvenienza dello strumento stesso. Bisognerebbe,
però, tenere presente questa realtà quando si pensasse all’opportunità di proporre o accettare uno
strumento legale come il LW.

4. Differenze di forme e contenuti


Abbiamo parlato finora del LW, al singolare. Conviene considerare, però, che i diversi
testamenti variano molto l’un dall’altro. Alcuni sono pensati per essere firmati dalle persone sane,
altri vengono utilizzati nei centri medici quando si presenta una situazione terminale. Ci sono
diversità notevoli per quanto riguarda lo stile e lo spirito del documento, come appare evidente se
si compara la “Carta di autodeterminazione” redatta dalla Consulta di Bioetica e il “Testamento
vital” proposto dalla Conferenza Episcopale Spagnola o la formula proposta dalla Caritas Svizzera.
Variano anche notevolmente le disposizioni contenute in ogni documento: si va dalla domanda
dell’eutanasia attiva (in alcuni LW in Olanda) o il rifiuto dell’alimentazione e idratazione artificiale
(Consulta di Bioetica), alla richiesta del massimo trattamento e prolungamento della vita, come nel
LW previsto dal Life-Prolonging Procedures Act (stato dell’Indiana), passando per il rifiuto sia
dell’eutanasia che dell’accanimento terapeutico (Conferenza Episcopale Spagnola).

5. Seri problemi applicativi


Ma sarebbe erroneo ridurre la problematicità del LW all’adeguatezza o meno dei contenuti
delle diverse formule. Ci sono anche alcuni problemi di fondo, difficilmente sormontabili, in merito
all’applicazione pratica di questo strumento.
Anzitutto bisogna tenere presente che il LW, per sua natura, viene compilato necessariamente
prima, e dunque al di fuori, dell’eventuale situazione prevista. Si pone, dunque, un serio problema
in relazione al carattere di consenso “informato” del documento. Nel momento in cui il testo viene
firmato il soggetto semplicemente non può essere correttamente informato, poiché la situazione
prevista non può essere mai esattamente uguale, in tutti gli aspetti, alla situazione reale.
Quando il LW viene presentato per la firma al momento dell’ingresso nell’ospedale si può
sospettare che la malattia, la condizione di debolezza fisica o mentale, la paura, l’angoscia, ecc.,
possono condizionare pesantemente la decisione del paziente. Una decisione, però, che viene fatta
puntualmente, con una firma, e che potrebbe non essere suscettibile di revoca una volta che il malato
perdesse in seguito la sua capacità. La decisione potrebbe essere fatale.
Non potendo evidentemente prevedere tutte le possibili situazioni e condizioni in cui si potrà
trovare il malato, i testi di LW si tengono necessariamente sul generico, offrendo soltanto
indicazioni di massima. Indicazioni che, dunque, dovranno essere interpretate e applicate dai medici.
I quali, molto probabilmente, non conoscono il paziente, non hanno parlato forse con lui sulle sue
aspettative, paure o desideri. I medici possono facilmente interpretare le disposizioni in modo
diverso alle reali intenzioni del paziente.
D’altra parte, è stato fatto notare che un tentativo di precisare dettagliatamente le diverse
possibili situazioni e condizioni, di elencare le cose da fare o da evitare, può essere ancora più
delicato e pericoloso, in quanto potrebbe condizionare inadeguatamente il comportamento dei
medici in base a delle determinazioni specifiche stabilite in maniera arbitraria, senza tener conto
della situazione reale in cui poi si viene a trovare il paziente.
Comunque sia, con disposizioni del tutto generiche o con indicazioni più specifiche, si
presenta sempre il grave problema dell’interpretazione da dare ad alcune espressioni ricorrenti in
questi documenti. Cosa si intende, per esempio per “fase terminale”? Per alcuni si tratta di situazioni
in cui la prospettiva di vita è solo di alcuni giorni; per altri possono passare anche dei mesi; altri
ancora considerano terminale anche una prospettiva di vita di qualche anno. Cosa significa
“malattia gravemente invalidante”? Chi determina se la persona si trova in “stato di incapacità
naturale”? (Non mancano casi clamorosi in cui lo stesso soggetto è dichiarato incapace da un
giudice, e da un altro considerato capace di decidere e di esprimersi). Quali criteri devono essere
utilizzati per decidere se un determinato intervento terapeutico è “ordinario o straordinario”,
“proporzionato o sproporzionato”? Come si sa se il firmatario si riferiva in verità a quel intervento,
in quelle condizioni, quando dichiarò di rifiutare ogni trattamento sproporzionato?
C’è poi tutto il problema legato ai cambiamenti di umore, desideri e volontà, sempre possibili,
e molto frequenti soprattutto nelle persone affette da una malattia. Siamo sicuri che nel momento
attuale, nel quale si pretende di attuare le disposizioni anticipate, il paziente la pensa veramente
come prima? Un importante inchiesta ha mostrato come molte persone cambino opinione rispetto
al LW firmato mentre erano sani, una volta che si trovano a dover affrontare davvero la situazione
di malattia, allora solo immaginata. Un gran numero di esse si dimostrano molto più decise ad
affrontare interventi medici anche pericolosi ed onerosi, una volta che si vedono a lottare per la vita
e si aggrappano alla speranza.
Qualcuno fa notare anche il fatto che nel momento in cui dovrebbe essere attuata una
determinata disposizione anticipata potrebbero essere disponibili trattamenti più efficaci o indolori
di quelli disponibili al momento della stesura e firma del documento. Torna e il problema del
consenso “informato”.
Non basta a risolvere questi ed altri problemi applicativi il fatto che il paziente possa sempre
cambiare le sue volontà anticipate, anche verbalmente. Il LW è un documento scritto, e si sa che
“scripta manent”. Può perfettamente accadere (anzi accade spesso lì dove il LW viene applicato) che
il firmatario si venga a trovare in situazione di incapacità senza aver avuto la possibilità di tornare
a riflettere, informarsi, modificare l’espressione della sua volontà anticipate.

6. Al di là del Living Will


Alcuni anni fa erano molti a pensare negli Stati Uniti che il LW avrebbe risolto tanti problemi.
Oggi quell’ottimismo è un più lontano. Un recentissimo studio mostra che, mentre il 22.7% degli
intervistati dichiara di aver fatto ricorso al LW per indicare le proprie preferenze, solamente il 5.9%
menziona di voler ripetere o rinforzare quelle preferenze. Una ricerca pubblicata sugli Archives of
Internal Medicine nel 2001, mostrava che l’uso del LW, anche a seguito di conversazioni tra i
pazienti e i loro familiari, non migliora l’accuratezza delle predizioni da parte dei delegati rispetto
alle preferenze dei malati (accuratezza che si ferma al 70%). L’articolo costata con amarezza: “I
risultati del presente studio sfidano chiaramente l’efficacia (dei LW) come mezzo per preservare la
capacità dei pazienti di controllare le decisioni sui trattamenti specifici, in prossimità della morte”.
Non sorprende troppo che qualche autore americano favorevole all’uso del LW lamenti il fatto che
questa pratica stenti a diffondersi ed affermarsi.
Lo stesso recente studio citato sopra conclude affermando che “il dialogo frequente con il
personale sanitario e con altre persone significative sulle preferenze riguardanti le decisioni in
prossimità della morte possono offrire maggiore chiarezza e conforto (rispetto al LW). In effetti, i
problemi inerenti il LW, la sua applicazione concreta, il suo utilizzo reale e le eventuali motivazioni
di coloro che lo propongono, inducono a pensare che non sia quella strada giusta.
Forse conviene piuttosto far riferimento all’altro tipo di Direttiva Anticipata ricordata
all’inizio, quello che gli americani chiamano DPAH (nomina di un Delegato con potere di prendere
le decisioni a favore del paziente). In questo caso, contrariamente al LW, viene designata una
persona (chiamata "agente") a prendere le decisioni per i trattamenti medici, quando il paziente
(chiamato "principale") si trova in stato di incompetenza. Il DPAH permette così che le decisioni
vengano prese secondo la situazione attuale, e non in funzione di un ipotetico futuro. I leader della
Chiesa negli Stati Uniti vedono generalmente con favore la legislazione riguardante la nomina di
un Delegato. Essa viene vista infatti come un mezzo per prendere decisioni mediche adeguate per
il paziente, ed evitare i seri problemi inerenti il LW, e per non lasciare le decisioni sul trattamento
medico nelle mani dei tribunali. Alcune organizzazioni contrarie all’eutanasia mettono a
disposizione modelli di formati per la nomina del Delegato, e offrono consigli utili per l’adeguata
utilizzazione di questo strumento.
Non è superfluo ricordare però che, qualunque sia lo strumento utilizzato, in nessun caso si
dovrebbe porre un atto che sia illegale o immorale. Non basterebbe la certezza assoluta sulla volontà
del paziente per giustificare un atto che tenda a procurare volontariamente la sua morte, sia con
un’azione o con un’omissione motivata da quello scopo.
Se è vero che il medico non può imporre un intervento medico contro la volontà del paziente
(primo responsabile della propria salute), è altrettanto vero che nel caso in cui l’interessato non si
possa esprimere qui e ora si debbono attuare quei mezzi e comportamenti che possono procurargli
un maggior beneficio.
L’eventuale dichiarazione di volontà anticipata e la consultazione con i parenti o responsabili
del malato incapace di esprimersi, e con la persona da lui eventualmente nominata come Delegato,
devono essere sempre utilizzati come strumenti che aiutino a prendere, con piena responsabilità, la
migliore decisione per il paziente.

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