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Controcorrente: Tulsi Gabbard

Alla scoperta di un’insolita candidata presidenziale

di Federico Nicola Pecchini, 14/12/2019

Source: ​tulsi2020.com

In quest’epoca di politica spettacolarizzata, invece che di idee si parla di


sempre piú di personaggi. L’ondata populista che ha invaso l’Occidente
dimostra che l’opinione pubblica è stufa dell’ipocrisia politically-correct
di una classe dirigente al soldo delle élite finanziarie, e reclama a gran
voce un uomo forte che ne faccia piazza pulita (cit. “drain the swamp”).
Se Donald Trump è senza dubbio l’esempio piú lampante di tale deriva
populista negli States, qui in Italia, dopo il ventennio berlusconiano, è
salito alla ribalta Matteo Salvini. Qui come lá, l’opposizione ha reagito
scandalizzata, demonizzando l’uomo forte e gridando al fascismo.

Purtroppo peró, come dimostrato dai recenti risultati elettorali, tale


esasperazione del dibattito politico fa solo il gioco dei populisti. In una
gara a chi grida piú forte o la spara piú grossa, tipi come Trump e Salvini
hanno buon gioco e finiscono sempre in prima pagina. E questo sembra
sufficiente, nell’era dei mass media e dei social network, per vincere le
elezioni a mani basse. In America, dopo la bruciante sconfitta del 2016, il
partito Democratico ha scatenato una lunga crociata ad personam contro
il presidente eletto, mirando a screditarlo e a dimostrare la sua
collusione illecita con la Russia di Putin.

Una delle poche voci fuori dal coro, in campo Democratico, è stata
l’onorevole Tulsi Gabbard delle Hawaii. Non che la Gabbard abbia in
simpatia Trump, tutt’altro: “E’ inadeguato alla carica di presidente,”
afferma, “e io mi sono candidata per sconfiggerlo. Peró penso sia
importante, affinché il nostro paese volti pagina superando le attuali
divisioni, che sia il popolo Americano a prendere questa decisione.”

La Gabbard si è candidata alle presidenziali del 2020 dopo un percorso


politico a dir poco fuori dall’ordinario. Nativa delle Samoa americane e
trasferitasi alle Hawaii giá da bambina, Gabbard è entrata in politica
molto giovane, ad appena ventun’anni. Fin dagli esordi ha mostrato di
avere un’anima bipartisan, da una parte progressista sensibile ai temi
socio-ambientali e dall’altra fervente patriota simpatizzante per la
famiglia tradizionale. Poco dopo gli attentati dell’11 Settembre, la
Gabbard spiazzó tutti arruolandosi come volontaria nell’Army National
Guard e partecipando a due missioni in Medio Oriente. Tornata negli
Stati Uniti, nel 2012 si candidó al congresso e divenne la prima deputata
americana a prestare giuramento sulla Bhagavad Gita, il libro sacro indú.
Nel 2013 fu eletta vice-presidente del Comitato Nazionale Democratico,
ruolo che la consacró come un astro nascente della politica nazionale.
Ma nel 2015, in piena campagna per le primarie, denunció una serie di
irregolaritá processuali che favorivano Hillary Clinton e, dopo esser stata
spinta a rassegnare le dimissioni, si schieró apertamente a favore
dell’altro candidato democratico, Bernie Sanders.

Dopo la vittoria di Trump, Gabbard si rifiutó di farne il capro espiatorio


per tutti i mali d’America, e tentó piuttosto la strada del dialogo. Invece
di etichettare tutti gli elettori Repubblicani come gente detestabile (cit.
“deplorables”), cercó di smorzare i toni del dibattito. Un approccio
questo che la Gabbard ha coerentemente mantenuto anche in politica
estera: quando nel 2017 il presidente siriano Bashar al-Assad fu accusato
di utilizzare armi chimiche contro la propria popolazione, Gabbard prese
le sue difese citando una mancanza di prove, e si pronunció contro i
bombardamenti americani e a favore di una soluzione diplomatica.
Ancora una volta pronta a passare dalle parole all’azione, Gabbard si recó
in Siria di propria iniziativa per intavolare una trattativa con Assad.
Accusata ripetutamente di difendere un brutale dittatore, la Gabbard è
rimasta fedele alla propria linea (oggi pienamente riabilitata dopo le
recenti rivelazioni​ sulla manomissione del rapporto dell’OPCW).

Come spiega approfonditamente Kelefa Sanneh in un ​lungo articolo​ sul


New Yorker, le convinzioni politiche della Gabbard hanno una forte
componente spirituale. La sua parola d’ordine è “aloha”, che in hawaiano
è sia un saluto di accoglienza che di commiato, ma piú in generale si
riferisce a quell’essenza spirituale che la legge di Hawaii definisce come
“la coordinazione di mente e cuore entro ciascuna persona.” Per Gabbard
lo spirito di aloha si traduce in un atteggiamento rispettoso verso tutti, a
prescindere dalle opinioni politiche, e ispirato ai princìpi costituenti dei
padri fondatori americani. “Agli eventi della nostra campagna ci sono
Democratici e Repubblicani, indipendenti e libertari,” dice. “Il mio è un
messaggio di unitá, a venirci incontro senza lasciare indietro nessuno.”

A trentotto anni compiuti, Tulsi Gabbard rappresenta il meglio della


nuova generazione politica d’oltreoceano. Donna coraggiosa ed
intelligente (oltre che bella), rappresentante di una minoranza etnica e
religiosa, surfista provetta e al contempo veterana di guerra, sembra
uscita direttamente da un film della Marvel. Tornata dall’inferno del
fronte eccola candidarsi come presidente della pace. Altro che uomo
forte! La Gabbard è come un Rambo del nuovo millennio, e non
dovrebbe sorprenderci che sia una donna.
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