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In cosa crede Tulsi Gabbard?

L’ascesa di una leader carismatica e fuori dagli schemi.


Di Kalefa Sanneh, dal ​New Yorker del 06/11/2017​.
Traduzione di Federico Nicola Pecchini, 04/12/2019.

Quando Tulsi Gabbard arrivó all’Aeroporto Lihue, sull’isola Hawaiana di


Kauai, fu accolta da una collana di fragranti fiori di frangipane, una
piccola bottiglia di acqua di cocco, un sacchetto di mango e una pioggia
di notifiche sul cellulare. Era il Memorial Day, e la Gabbard aveva
accettato di parlare ad una cerimonia in onore dei veterani al cimitero
militare locale. Molti dei presenti sarebbero stati compagni e compagne
di leva: dal 2003 infatti, Gabbard fa parte dell’Army National Guard,
sotto cui ha completato una missione di servizio in Iraq. E inoltre quasi
tutti sarebbero stati suoi elettori, visto che dal 2012 la Gabbard è
rappresentante al Congresso degli Stati Uniti del secondo distretto delle
Hawaii, quello che include l’intero arcipelago hawaiano meno Honolulu,
la capitale. Gabbard vide la sua coordinatrice locale, Kaulana Finn, la
abbracció e salí sulla sua macchina. “Appena atterro qui, mi arrivano
messaggi da gente che dice, ‘Ho sentito che sei a Kauai, cosa fai di
bello?’” disse Gabbard sorridendo. “Non credo sia possibile fare niente
qui senza che tutti lo vengano a sapere.”

Tutti i politici devono far vedere di amare i cerimoniali patriottici, ma la


Gabbard è una delle poche che sembra non dover fingere. Ha trentasei
anni, e una capacitá di emanare sia entusiasmo giovanile che matura
saggezza. Anche le sue convinzioni politiche sono ibride. E’ una fervente
sostenitrice di Bernie Sanders con ugualmente ferventi tendenze
bipartisan — conosciuta al contempo per la sua sollecitudine al tema del
trattamento dei veterani di guerra e per la sua opposizione
all’interventismo americano in politica estera. E’ anche vegetariana e
hindu praticante — la prima hindu eletta al congresso— oltre che surfista
provetta ed atleta di successo. A Capitol Hill, è spesso vista come
un’affascinante anomalia, una sorta di mascotte hawaiana favolosamente
fuori posto fra tutti i suoi colleghi incravattati. “Sembra uscire
direttamente dal casting principale, se stai cercando un’eroina,” dice
l’attivista Van Jones. Trey Gowdy, Repubblicano della North Carolina, è
uno dei suoi migliori amici al congresso. Lui l’aveva adocchiata per la
prima volta durante una seduta alla Camera, mentre le sedeva di fronte
sulla sponda Repubblicana. “Sembra orribile a dirsi, ma è vero—bisogna
ammetterlo, é carina”, dice il deputato. “Quindi se stai seduto da quella
parte, e magari l’intervento é un po’ noioso, non puoi fare a meno di
notarla.” La notte dopo l’elezione di Gabbard, Rachel Maddow di
MSNBC profetizzó: “E’ sulla strada che porta a diventare molto famosi.”

Mentre andavano alla cerimonia, Finn si fermó un attimo a casa cosicché


Gabbard potesse cambiarsi e indossare l’uniforme militare che aveva
portata con sé, in una borsa della lavanderia, come bagaglio a mano.
Finn le diede un’occhiata materna. “Hai il cappello?” chiese, ma poi si
corresse. “Porta pazienza. Non conosco la terminologia militare.”

Gabbard rise e disse la parola giusta: “Berretto.” Aveva portato il proprio,


e poco dopo era giá diritta sull’attenti al Kauai Veterans Cemetery, dove
le tombe dei soldati erano ricoperte da bandiere americane e qualche
giovane recluta del reparto R.O.T.C. stava di guardia all’entrata. Era un
giorno caldo ma ventilato, con gli uccellini che cinguettano e qualche
gallinella selvatica che scorrazza tra le lapidi. C’era un podio circondato
da ghirlande di fiori di fronte ad un murale a mosaico che raffigurava
una triste scena da spiaggia: una linea di croci del soldato caduto, due
stivali vuoti, un fucile piantato per terra, colori pastello all’orizzonte.

Gabbard inizió il discorso dedicando un suo personale tributo a tutti


coloro ai quali il servizio é costato la vita. “Come tanti di voi, mi sono
svegliata stamane con il cuore pesante,” disse. “Ricordo quei momenti
durante l’addestramento o al fronte, quando le cose vanno cosí male che
tutto quello che puoi fare è ridere, sapendo che ci si é gli uni per gli altri,
ed affrontare assieme le grane. Ci ricordiamo del loro ultimo appello,
quando il loro nome é stato detto senza che ci fosse risposta.” Poi parló di
come non avesse mai visto suo padre piangere fino al giorno in cui tornó
a casa, sana e salva, dall’Iraq. Chiunque le fosse seduto abbastanza vicino
poteva vedere che i suoi occhi brillavano. Ma riuscí anche ad introdurre
una nota di protesta politica: “Troppo spesso, e per tutta la storia del
nostro paese, le persone che detengono il potere hanno fatto commenti
sconsiderati sul mandare qualche migliaio di truppe qui, cinquantamila
qua, centomila la’, intervenire militarmente qui, iniziare una guerra la’ —
senza capire né dare il giusto peso al costo della guerra.” E soggiunse: “Se
i nostri soldati sono mandati in guerra quella dev’essere l’ultima opzione,
non la prima.”

Amici ed ammiratori a volte descrivono la Gabbard come una persona


“composta”, il che potrebbe sembrare un modo di ammettere il suo
carattere non particolarmente spontaneo. Lei usa infatti rivolgersi al
pubblico con una voce bassa, rassicurante, quasi ipnotica. La sua
espressione caratteristica é un sorriso comprensivo, ed ha perfezionato
negli anni un’efficace tecnica di doppio-abbraccio: un primo abbraccio
lungo e caloroso quando incontra qualcuno, e un secondo ancora piú
lungo quando saluta, come ad indicare che qualcosa di significativo sia
stato trasmesso. “Ti amiamo Tulsi,” gridó qualcuno quando ebbe
finito.

“Vi amo anch'io,” rispose lei.

A sentire Gabbard, il suo buon rapporto con le folle è il risultato di un


duro lavoro su sé stessa, e di una scoperta filosofica. Piuttosto timida
da bambina, si rese conto ad un tratto che la propria ansia non era
solo sconveniente ma del tutto inaccettabile. Ricorda di aver pensato
che “se tutte le mie paure vengono da pensieri egoistici, questo in
qualche modo va contro a tutto ció in cui credo e che voglio fare.” E
cosí si esercitó a parlare con gli sconosciuti, per “condividere l’aloha
con loro.” Nella lingua Hawaiana, “aloha” puó essere un saluto di
accoglienza o di commiato, ma si riferisce anche ad una essenza
spirituale definita dalla legge di Hawaii come “la coordinazione di
mente e cuore entro ciascuna persona.” (I funzionari dello stato
Hawaiano sono incaricati di “tenere in considerazione lo ‘spirito di
Aloha’” mentre esercitano le proprie funzioni.)
Quando Gabbard entró in politica aveva solo ventun’anni, e in quei
primi tempi era una conservatrice sociale, pro-vita e contro il
matrimonio tra persone dello stesso sesso. Oggi é pro-scelta e a favore
del matrimonio omosessuale: su questo e altri argomenti, si è evoluta
tanto da trovarsi piuttosto di casa — ma non del tutto — nel partito
Democratico odierno, che è sempre piú progressista in particolar
modo riguardo al tema del gender e dell’orientamento sessuale. La
natura e la misura dell’evoluzione politica della Gabbard non è facile a
definirsi, specialmente perché le Hawaii non sono rinomate per il loro
centrismo politico. Si parla infatti, da un certo punto di vista, dello
stato americano piú blu (Democratico, ​n.d.t.​) in assoluto: qui, alle
scorse elezioni, Hillary Clinton stracció Donald Trump sessantadue a
trenta percento, la vittoria piú netta a parte nel distretto di Columbia.
Molti di questi elettori della Clinton furono spiacevolmente sorpresi
quando, appena due settimane dopo le elezioni, Gabbard accettó di
incontrare Trump per spiegargli la propria posizione non-interventista
in politica estera. Pochi mesi dopo, la Gabbard voló in Siria per
incontrare il presidente Bashar al-Assad, alle prese con una brutale
guerra civile. I due parvero convenire che gli Stati Uniti avrebbero
fatto meglio a non intervenire per fermarla.

Qualche mese fa, un gruppo di appassionati attivisti di sinistra si radunó


in centro a Honolulu per un evento chiamato Martedí contro Trump,
durante il quale si incontravano con i loro senatori e deputati
Democratici per incoraggiarli a lottare con piú forza e determinazione.
Ebbero un’accoglienza cordiale all’ufficio del senatore Brian Schatz, e un
partecipante portó dei fiori rossi all’ufficio della senatrice Mazie Hirono,
che sta combattendo contro un tumore al fegato. Ma all’ufficio di
Gabbard l’impiegato che andó ad incontrarli si mostró piú cauto: lesse
una lista delle sue recenti posizioni in materia legislativa, tra cui il
supporto ad un salario minimo da quindici dollari, e poi ascoltó
pazientemente i manifestanti mentre questi gli esprimevano i loro dubbi.
(Chiedevano un sostegno piú rigoroso all’investigazione congressuale
riguardo alla presunta collusione di Trump con la Russia, il consenso per
legalizzare la prostituzione, una presa di posizione piú energica sul
cambiamento climatico e sui fondi per l’arte.) Mentre si riversavano nel
corridoio verso l’uscita, tra di essi serpeggiava, per la prima volta, una
sorta di ambivalenza.

“Tulsi è una grande,” disse un uomo. “E’ davvero forte con le sue
posizioni.”

“​Quasi​ tutte,” rispose una donna. “Lei è un enigma per me.”

Un afoso giorno d’estate a Washington D.C., Gabbard stava percorrendo


la strada tra il suo ufficio al Langworth Building e la Camera, dove la sua
presenza era a volte urgentemente richiesta per una votazione. Nel
rispetto della tradizione congressuale, aveva riempito il suo ufficio di
ricordi del suo stato natale, tra cui una placchetta, infissa di fronte al
bancone della reception, che portava un simpatico ma brusco messaggio:
“Lo spirito di aloha è richiesto in questo ufficio. Se non puó condividerlo
oggi, La preghiamo di ritornare un’altra volta.” Gabbard vola alle Hawaii
ogni volta che ha libero un weekend abbastanza lungo, ma è giunta ad
apprezzare la vita intensa e frenetica di Washington. Vive dall’altra parte
del fiume Anacostia, al margine sud-est della cittá, con sua sorella
Vrindavan, un maresciallo degli Stati Uniti, e il marito di Vrindavan, che
tra le altre cose è anche l’addetto alla preparazione dei pasti vegetariani.
Da quando Gabbard è in cittá, ha scoperto di poter passare interi giorni
in movimento costante, tra riunioni e votazioni e ancora riunioni, senza
quasi mai uscire dal labirinto degli edifici federali. Perfino il suo poco
tempo libero si svolge tra queste mura: è infatti membro del temutissimo
gruppo di allenamento bipartisan guidato da Markwayne Mullin,
Repubblicano dell’Oklahoma ed ex lottatore professionista di MMA.

Come tutti gli uffici congressuali, anche quello della Gabbard riceve un
flusso continuo e variegato di visitatori: curiosi, sostenitori entusiasti,
elettori che si lamentano, vecchi amici. Questa mattina ha avuto una
breve discussione con un paio di esperti militari sulla difesa missilistica e
poi è dovuta correre al congresso per una serie di votazioni dall’esito
piuttosto scontato sullo sfruttamento sessuale. La camera era quasi
deserta tranne le gallerie aperte al pubblico, che erano piene di famiglie
in visita, nessuna delle quali peró sembrava essere al corrente dell’ordine
del giorno. “Questo tipo di votazioni sono separate da una pausa di due
minuti,” spiegó Gabbard. “Perció, se non fai attenzione, puoi finire per
sbagliar voto su un mucchio di cose.”

Gabbard non si considera particolarmente legata a nessun leader o


fazione. “Nessuno del D-triple-C — il Democratic Congressional
Campaign Committee — è venuto da me e mi ha reclutata per correre alle
elezioni,” sostiene. “Perció la mia situazione è alquanto diversa da altri
che hanno potuto contare sul supporto del partito fin dall’inizio.”
Gabbard era solo un candidato di poche speranze quando, nel 2012,
decise di scendere in campo nelle primarie Democratiche contro Mufi
Hannemann, il famoso ex-sindaco di Honolulu. Cosí mandó in giro per le
isole una piccola armata di giovani volontari che tappezzarono aiuole e
marciapiedi di manifesti elettorali, per una campagna basata piú sulla
personalitá che sui temi politici. Chi l’aveva votata allora fa fatica a
ricordarne i contenuti principali. Un attivista Democratico locale dice di
essere stato attratto da lei perché gli sembrava “una voce chiara e fuori
dal coro”. Gabbard vinse le primarie di venti punti percentuali, per poi
stravincere le elezioni generali contro il candidato Repubblicano.

Alla Democratic National Convention del 2012, Gabbard elogió il


presidente Obama, un altro Hawaiano, il vice-presidente Joe Biden e le
rispettive mogli come “i piú validi rappresentanti che le nostre famiglie
militari avessero potuto avere.” Ma una volta insediatasi, rifiutó di
giocare la parte dell’alleato affidabile. Non molto dopo aver prestato
giuramento infatti, si uní ai Repubblicani per votare un disegno di legge
al quale si opponeva la maggior parte dei suoi colleghi Democratici.
(Disse di voler assicurare finanziamenti ininterrotti all’esercito.) Nel
2015 andó su Fox News per accusare l’amministrazione Obama di non
riconoscere il pericolo rappresentato “dall’estremismo islamico.” Da quel
momento in poi, cominció a costruirsi un profilo su scala nazionale: nel
2013 il Comitato Nazionale Democratico la nominó vice-presidente, un
ruolo che la consacró come astro nascente della politica nazionale. Ma
sul finire del 2015, mentre si avvicinavano le primarie presidenziali, la
Gabbard sostenne la nacessitá di fare ulteriori dibattiti tra i candidati
Democratici, una posizione che sembrava avversa alla campagna di
Hillary Clinton e anche, non a caso, alla presidente del D.N.C. Debbie
Wasserman Schultz. Secondo la Gabbard, il comitato si vendicó non
facendola partecipare al primo dibattito. Wasserman Schultz rispose che
Gabbard “non era indesiderata”, ma che le era stato chiesto di
concentrarsi piú sui candidati che sul processo.

Pochi mesi dopo, Gabbard diede le sue dimissioni da vice-presidente del


D.N.C. cosí da poter sostenere l’avversario della Clinton, Bernie Sanders;
disse che la Clinton era una convinta interventista in politica estera e che
Sanders era piú affidabile in “materia di guerra e pace.” La netta presa di
posizione inquietó alcuni alleati della Gabbard, convinti che alla fine la
Clinton avrebbe vinto. “Alcuni dei miei amici e colleghi mi guardavano
quasi come se avessi — si preparavano alla mia morte, sostanzialmente,”
ricorda la Gabbard. Le dissero: “Quando lei” — la Clinton — “avrá vinto,
te la fará pagare per molti anni a venire.” (Almeno due potenziali
finanziatori la abbandonarono; in una e-mail, che fu inoltrata a John
Podesta e successivamente resa pubblica da Wikileaks, la accusarono di
essere “irrispettosi verso Hillary Clinton.”)

Quando la Clinton in effetti vinse la nomination questo fu un problema


per Gabbard, fino a che non arrivó qualcuno a tirarla fuori dagli impicci:
Donald Trump, la cui vittoria fece sí che i supporter di Sanders che
avevano abbandonato la Clinton non ne pagassero un prezzo salato.
Gabbard dice di essere rimasta “scioccata” dalla vittoria di Trump, e di
essere “preoccupata, in cosí tanti modi.” Ma mentre alcuni dei suoi amici
passarono intere settimane a combattere coi sintomi della depressione,
lei riuscí a reagire in modo piú equilibrato. “Sono una persona
abbastanza pragmatica,” dice. “E’ stato come, ‘O.K. c'è molto in ballo.
Siamo dove siamo — ora peró cerchiamo di capire come andare avanti.’”
E cosí, quando Steve Bannon la chiamó e le chiese di incontrare Trump,
alla Trump Tower, lei accettó. (The Hill ha affermato che Bannon “ama
Tulsi Gabbard,” e che la vede come qualcuno che “ne capisce di politica
estera e di terrorismo islamico.”) Gabbard peró insiste di non aver mai
neanche considerato la possibilitá — che sembrava plausibile, in quei
giorni concitati — che Trump le proponesse un posto nel suo gabinetto.
La sua affermazione non è del tutto credibile, ma la dispensa dal dover
rispondere se nel caso avrebbe poi accettato o no tale proposta.

Gabbard dice che lei e Trump hanno parlato principalmente di politica


estera; come candidato lui aveva proposto, anche se in modo incoerente,
di limitare gli interventi militari. Gabbard ricorda che trovó la riunione
incoraggiante. “Uscii da quella stanza pensando che ci sarebbe stata una
certa opportunitá di lavorare con questa amministrazione per dirigere la
nostra politica estera su un binario piú costruttivo e meno distruttivo.”
disse, poi fece una pausa. “Sono meno speranzosa, adesso.” In Aprile,
dopo che Trump ordinó l’attacco contro una base Siriana, Gabbard lo
accusó di comportarsi “in modo sconsiderato,” e suggerí che fosse finito
sotto l’influenza dei “falchi guerrafondai”. In molti altri casi peró é
sembrata restia a condannare nettamente Trump. Data la maggioranza
schiacciante dei Democratici nel suo Distretto, questo approccio non puó
essere spiegato da un calcolo elettorale, ed ha peraltro complicato il suo
rapporto con alcuni attivisti della base Democratica che altrimenti
sarebbero stati probabilmente ancora piú inclini a sostenerla.

Quando la Gabbard apparve in Siria, lo scorso Gennaio (2017, ​n.d.t.​),


molti si domandarono se stesse portando un messaggio ad Assad da
parte di Trump. Lei sostiene di no, che la nuova amministrazione non
sapeva nemmeno del suo viaggio. Incontró due volte Assad, che tentó di
convincerla del pericolo causato da gruppi come ISIS e Al-Nusra. Era
accompagnata dal marito Abraham Williams, regista cinematografico,
che giró un paio di filmati crudi ma stilosi del viaggio: Gabbard che parla
agli studenti universitari a Damasco, assicurandoli di voler far smettere il
supporto degli Stati Uniti ai “gruppi terroristici”; Gabbard che cammina
tra le rovine di una chiesa distrutta col pastore locale, che le racconta di
come i cristiani fossero presi di mira dai “ribelli” leali allo Stato Islamico.
I filmati davano la netta impressione che questi stranieri avessero
portato in Siria il caos, e che l’unica strada possibile verso la pace fosse
quella di sedare la rivolta. Al suo ritorno Gabbard diede un’intervista
dove disse che lei e Assad — conosciuto per i suoi metodi violenti nel
reprimere il dissenso — avevano negoziato un accordo per portare la
democrazia in Siria. “L’ho sfidato, chiedendogli di tenere nuove elezioni
libere e trasparenti, con osservatori internazionali imparziali,
permettendo al popolo Siriano di determinare da sé il futuro della Siria,”
disse al giornalista. “Queste condizioni le ha accettate.”

Il viaggio di Gabbard fu peró visto da molti come un disastro politico;


Adam Kinzinger, parlamentare Repubblicano dell’Illinois, definí Assad
un “carnefice” e accusó la Gabbard di aver “legittimato il genocidio da lui
perpetrato contro il popolo Siriano.” Quando i giornali rivelarono che il
viaggio era stato finanziato da due imprenditori Americano-Libanesi
legati ad un partito politico pro-Assad, Gabbard accettó di ripagare di
tasca propria i costi della trasferta. Ciononostante, invece di prendere le
distanze dal suddetto episodio, Gabbard continuó a sostenere la propria
posizione. In aprile, dopo un incidente a base di gas nervino in Siria,
disse di essere “scettica” riguardo alla colpevolezza del governo Assad.
Howard Dean, ex-presidente del D.N.C., twittó: “Questa è una disgrazia.
Gabbard non dovrebbe essere al congresso.”

Gabbard è membro sia del comitato nazionale sulla politica estera che
del comitato delle forze armate. Eppure sta cercando far passare una
propria mozione, lo Stop Arming Terrorists Act, che andrebbe a proibire
i finanziamenti federali destinati ad “Al Qaeda, Jabhat Fateh al-Sham,
isil, e qualunque individuo o gruppo che sia affiliato, cooperante o
aderente a tali fazioni.” L’obiettivo principale di tale mozione è, come
spiega la Gabbard, di far sí che la C.I.A. smetta di aiutare i ribelli Siriani.
Il progetto di legge allo stato attuale conta quattordici deputati firmatari,
otto Repubblicani e sei Democratici, ma non è stato ancora messo al
voto. L’interesse di Gabbard per la politica estera la distingue da altri
parlamentari Democratici piú ambiziosi, molti dei quali fanno fatica ad
articolare una posizione chiara sulla Siria, e quasi tutti che preferiscono
limitarsi a quei temi di politica interna — fermare Trump, combattere la
povertá e la discriminazione — che vanno per la maggiore tra l’elettorato
Democratico. In questo e in molti altri casi, l’approccio controintuitivo
della Gabbard la fa risaltare come una persona di inusualmente sani
principi, o forse come una persona inusuale e basta. Gli Stati Uniti sono
da piú di 16 anni in prima linea nella guerra al terrorismo mondiale; e la
Gabbard è una delle pochissime voci nell'establishment Democratico che
ha il coraggio di parlarne apertamente.

Un pomeriggio alle Hawaii, mentre Gabbard andava in visita a casa di un


veterano Filippino-Americano, spiegó che a volte le persone del posto si
identificano l’un l’altro chiedendosi, “In che scuola sei andato?” Questa è
una domanda difficile per Gabbard, che non è nativa della Hawaii. Lei
nacque nelle Samoa americane, e si trasferí alle Hawaii solo nel 1983,
quando aveva due anni. Era sia un maschiaccio che una nerd,
combinazione che non le creó particolari problemi nelle scuola locali
perché non ne frequentó nessuna: fu infatti per la maggior parte istruita
a casa. La sua prima passione politica fu l’ambientalismo, un interesse
derivato dalla sua principale passione ricreativa, cioè l’oceano. La sua
casa è sulla costa orientale di Oahu, e ogni volta che ci torna le piace
iniziare la giornata nell’acqua. La mattina successiva al Memorial Day, lei
e Williams si alzarono prima dell’alba e guidarono fino ad una piccola
spiaggia libera da dove raggiunsero, sulle loro tavole da SUP, una delle
loro isole preferite. Mentre il sole sorgeva, mangiarono mango e litchi
sulla sabbia. Williams, che ha vent’otto anni ed è un tipo responsabile,
tenne d’occhio un gruppo di turisti lí attorno, affinché non disturbassero
troppo una foca monaca e il suo piccolo che giocavano nel bagnasciuga.

Uno degli amici di Gabbard descrive affettuosamente i suoi genitori


come “fottuti hippies,” e fu suo padre che la incoraggió a trasformare
l’amore per l’oceano in una campagna politica. La politica era un po’ la
vocazione di famiglia: Carol Gabbard, la madre di Tulsi, vinse un seggio
allo State Board of Education nel 2000. Per un decennio, Mike Gabbard
fu il principale oppositore, alle Hawaii, del movimento per i diritti gay,
un attivista energetico e a volte brusco pronto a denunciare quello che lui
chiamava “l’agenda omosessuale radicale”. Nel 1999, dopo che uno dei
personaggi principali della serie TV per teen-ager “Dawson’s Creek” si
era rivelato gay, Mike Gabbard voló in North Carolina, dove stavano
girando le riprese, per inscenare una manifestazione di protesta.

Nel 2002, quando Tulsi aveva solo ventun’anni, corse alle elezioni
Democratiche per la Hawaii State House of Representatives assieme ad
un altro candidato esordiente: suo padre, che cercava ed ottenne un
seggio nel Consiglio Municipale apartitico di Honolulu. Lei ci tiene, oggi,
a ribadire che lei e suo padre hanno due vite politiche completamente
separate. “Lui parlava di gallerie, rifiuti e fognature, e io parlavo di
educazione, ambiente ad altri argomenti,” dice. “Ci vedevamo solo ogni
tanto.” Di fatto, i due Gabbard hanno fondato insieme almeno un paio di
organizzazioni no-profit: Stand Up for America, un gruppo patriottico e
pro-esercito, e la Healthy Hawaii Coalition, che promuove temi
ambientalistici e si assicuró fondi governativi per mandare la Gabbard
nelle scuole vestita da Water Woman, la supereroina anti-inquinamento.

Nella sua prima incarnazione politica, la Gabbard impersonó il ruolo di


un’ambientalista liberale con spiccate tendenze conservatrici. Nel 2003,
votó contro un disegno di legge che obbligava gli ospedali di “provvedere
immediatamente alla contraccezione di emergenza” per le vittime di uno
stupro, perché non conteneva “una clausola che prevedesse l’obiezione di
coscienza” per i medici con convinzioni religiose anti-aborto. Supportó
inoltre gli sforzi governativi per instaurare un sistema di sorveglianza,
spiegando che “la richiesta di illimitate libertá civili” avrebbe reso l’intera
nazione vulnerabile ai terroristi. E si uní al padre nella campagna contro
quelli che definiva “estremisti omosessuali.” Nel 1998, Mike Gabbard
aveva ottenuto di emendare la costituzione della Hawaii per permettere
alla legge di vietare espressamente il matrimonio gay, cosa che in effetti
avvenne. Sei anni dopo Tulsi Gabbard guidó una protesta contro una
mozione che avrebbe legalizzato l’unione civile per coppie dello stesso
sesso. Quello stesso anno, al parlamento hawaiano, tenne un lungo ed
appassionato discorso contro una risoluzione che voleva risolvere il
problema del bullismo omofobico nella scuola pubblica. Obiettó al fatto
che agli studenti venisse insegnato che l’omosessualitá é “normale e
naturale”, e si disse preoccupata che tale leggi avessero l’effetto di
“invitare le organizzazioni L.G.B.T. nelle nostre scuole a promuovere la
loro agenda sui nostri giovani indifesi.”

Mentre Gabbard si avviava nella sua carriera politica, nel 2003, fece
qualcosa di sorprendente: si arruoló nella National Guard, e, quando la
sua brigata fu chiamata in Iraq, lei offerse volontariamente la propria
candidatura, nonostante il suo nome non fosse nell’elenco dei partenti.
Serví come specialista per l’assistenza medica in una base militare nel
“triangolo sunnita”, e poi come ufficiale della polizia militare, prima di
iscriversi alla scuola per ufficiali dell’arma in Alabama, dove venne
promossa a pieni voti; successivamente venne dispiegata in Kuwait.
Quando le si chiede della sua rinascita politica, lei cita spesso il Medio
Oriente. Quando tornó a presentarsi alle elezioni congressuali, nel 2012,
la Gabbard lo fece da progressista piú ortodossa, pro-scelta e
pro-matrimonio-gay. “Fare l’esperienza in prima persona, come donna,
dell’impatto che in alcuni paesi hanno certe tradizioni che si erigono a
giudici morali della propria gente — mi ha spinto a ripensare le mie
convinzioni,” dice. Questa conversione avvenne al momento giusto,
perché le permise di vincere le primarie Democratiche in uno stato che
era sempre piú tendente al blu (Mike Gabbard, che adesso è un senatore
dello stato hawaiano, lasció nel 2007 il partito Repubblicano e passó
dalla parte Democratica.) Ad un meeting nel 2012, lei si scusó con gli
attivisti L.G.B.T delle Hawaii per le cose “molto controverse e perfino
irrispettose” che aveva dette in precedenza. Ma la Gabbard pare rimasta
in qualche modo piú incerta sul tema dell’orientamento sessuale rispetto
ai suoi giovani colleghi Democratici, che sembrano felicemente unanimi
nel sostenere la causa dei diritti gay. Gabbard appare piú propensa a
tollerare il matrimonio omosessuale che a celebrarlo. “Solo perché quello
non é il mio stile di vita, non vuol dire che il governo dovrebbe far sí che
lo stile di vita di tutti si adattasse col mio,” mi ha confidato quest’estate.
Forse le sue convinzioni sono ancora in evoluzione, perché in una
recente conversazione ha affermato che “il matrimonio gay va celebrato.”

La nuova versione della Gabbard sembra essere piú adeguata all’era di


Bernie Sanders, e venne infatti sostenuta dal suo gruppo Our Revolution.
(Fu anche scelta per essere uno dei membri inaugurali del Sanders
Institute, fondato dalla moglie di Bernie, Jane Sanders.) Oggi la Gabbard
caldeggia per una copertura sanitaria universale e uno stipendio minimo
orario da quindici dollari; la sue critiche alla Clinton del 2016, quando
l’accusó di essere troppo vicina alle élites politiche e corporative, non
suonano piú come un’apostasia ma come il nuovo senso comune tra le
file del partito Democratico. Gabbard è anche il simbolo del ricambio
demografico: viene dalle Hawaii, dove i non-bianchi rappresentano i
tre-quarti della popolazione, ed è figlia di un matrimonio interraziale —
suo padre samoano, sua madre bianca caucasica. Gabbard rappresenta
anche, va sottolineato, una minoranza religiosa, quale primo deputato a
prestare giuramento sulla Bhagavad Gita, il libro sacro indú. Pubblica
ogni anno dei filmati dove celebra il Diwali, il grande festival indú delle
luci, ed ha coltivato uno stretto rapporto con la comunitá
Indiano-Americana. Nel 2014 si recó in India per incontrare il
controverso primo ministro Narendra Modi, diventato poi suo alleato
politico, e fu eletta co-direttrice del Congressional India Caucus.

Con la sua carnagione ambrata, i capelli neri e il nome indú, Gabbard è


scambiata a volte per un’Indoamericana. (Il suo nome viene dalla pianta
del “basilico santo”, chiamato anche ​tulasi, u ​ n’erba dal sapore dolciastro
che nella Bhagavad Gita viene offerta agli dei.) “Indú” ovviamente si
riferisce al suo orientamento religioso e non alla sua provenienza etnica,
ma Tulsi viene spesso presentata come una “Hindu Americana”, termine
che pare confondere il confine tra credo e identitá. Gabbard si è
progressivamente abituata a parlare della sua fede, un lato di sé che
aveva mostrato raramente nella prima parte della sua carriera. Ma per
ora ha preferito mantenere il riserbo intorno al proprio percorso
spirituale. Quest’estate (2017, ​n.d.t.)​ , quando le chiesi riguardo al
maestro che la portó a convertirsi all’Induismo, rispose evasivamente:
“Ho avuto tanti maestri spirituali, e continuo ad averne.”

“Non ce n’è uno piú importante degli altri?”

“No,” rispose. Ma in realtá c’è un maestro che ha giocato un ruolo


centrale nella sua vita — un maestro al quale la Gabbard si riferisce in un
video del 2015 come il suo “guru-dev”, che significa grossomodo
“maestro spirituale”. Il suo nome è Chris Butler.

Nel 1965, un vecchio indiano chiamato A. C. Bhaktivedanta Swami


Prabhupada arrivó in America, e presto cominció a cantare e predicare al
Tompkins Square Park, nell’East Village di New York. Per ragioni che
sfuggono una spiegazione razionale, Bhaktivedanta attiró a sé una folla
di gente, e quella folla crebbe in qualcosa di nuovo: il movimento Hare
Krishna, che introdusse l’Occidente a quella tradizione indú vecchia di
cinquemila anni conosciuta come Gaudiya Vaishnavism. Il seguace di
Hare Krishna divenne, per un certo periodo, una figura iconica e allo
stesso tempo piuttosto divertente: una giovane maschio bianco dalla
testa rasata e la tunica arancione, che canta incessantemente e porta in
braccio un mucchio di libri da vendere. L’etichetta discografica dei
Beatles registró un singolo Hare Krishna, e George Harrison scrisse “My
Sweet Lord” sotto l’influenza del movimento. (Anche se Harrison non fu
mai iniziato al movimento, Bhaktivedanta lo elogió una volta dandogli
dell’ “umile, mite, gentile e devoto.”) Dal 1965 fino alla morte, nel 1977,
Bhaktivedanta viaggió ed insegnó senza sosta, mentre si teneva in
contatto con un crescente gruppo di studenti da tutto il mondo.

Nei primi anni settanta, il suo messaggio raggiunse le Hawaii, dove Chris
Butler era un giovane surfista e maestro di yoga. Butler, il figlio di un
famoso medico pacifista che veniva dalla terraferma, era una sorta di
prodigio: un guru autodidatta che inizió ad attrarre seguaci non appena
lasciato il college. Butler aveva un passione per Bhaktivedanta, in cui
riconosceva la capacitá di spiegare i vecchi testi indú come fossero dei
pratici manuali di istruzioni. Nelle sue esegesi della Bhagavad Gita, uno
poteva capire come servire Lord Krishna rifuggendo la carne e il cibo
piccante (che avrebbero “provocato sofferenza producendo mucosa nello
stomaco”), lavorando sodo e cantando il suo nome — piccoli, tangibili
passi che avrebbero portato il credente verso la divinitá.

Nel 1971, Bhaktivedanta venne alle Hawaii, e Butler, che aveva solo
ventitré anni, andó ad incontrarlo e gli fece una proposta: lui gli avrebbe
“girato” tutti i suoi discepoli, e in cambio ne avrebbe guadagnato un
nuovo nome, Siddhaswarupananda, che lo avrebbe consacrato come
accolito iniziato e figura di spicco dell'emergente movimento Hare
Krishna. Non fu sempre una relazione facile. A volte, Bhaktivedanta
ammoniva Butler per i suoi insegnamenti poco ortodossi, e Butler di
rimando questionava l’insistenza di Bhaktivedanta sul fatto che gli
iniziati dovessero per forza radersi la testa o indossare la tunica.

Dopo la morte del vecchio maestro, Butler non dovette piú scegliere tra
la devozione e l’indipendenza. Mentre il movimento Hare Krishna si
fratturava, Butler creó il suo gruppo, oggi conosciuto col nome di Science
of Identity Foundation, costruendo una fitta rete di seguaci, centinaia o
forse migliaia, che si estende dalle Hawaii fino in Australia, Nuova
Zelanda e Sud-Est Asiatico. Butler dava meno importanza ai vecchi testi
e tradizioni indiane, presentandosi invece come un tipo intelligente e
curioso che aveva trovato delle risposte a certe domande sorprendenti.
Nel 1984 pubblicó “Who Are You? Discovering Your Real Identity”, dove
utilizzava esempi dalle scienze per dimostrare che il materialismo è falso,
e che il Sé è reale — ed eterno. (Krishna e la Bhagavad Gita sono solo
nominati di sfuggita.) Registró anche una serie di programmi televisivi,
dove compariva come un giovane professore universitario alla moda
seduto su un divano, circondato da studenti curiosi.

Uno di questi studenti era Mike Gabbard, che aveva cominciato ad


interessarsi all’Induismo giá dagli anni settanta: una volta ebbe una
corrispondenza con Bhaktivedanta dove gli chiese suggerimenti per
costruire un tempio, e il nome dato a Tulsi riflette infatti la grande
dedizione spirituale della famiglia. Quando i Gabbard si trasferirono alle
Hawaii nel 1983, si unirono alla cerchia dei seguaci di Butler. Tulsi
Gabbard spiega di essere stata introdotta ai principi dell’Induismo
Vaishnava fin da bambina, e dice di essere cresciuta in gran parte tra
compagni spirituali, alcuni dei quali erano soliti radunarsi sulla spiaggia
per il ​kirtan, l​ a pratica di cantare in coro gli inni sacri. Anche la Gabbard
ebbe la propria formazione spirituale, e da ragazza trascorse due anni
nelle Filippine dove frequentó un corso condotto da seguaci di Butler.

Gabbard ricorda la sua infanzia come vivace e senza preoccupazioni:


eccelleva nelle arti marziali e sviluppó una passione per il giardinaggio;
era una lettrice curiosa, incoraggiata dai genitori. Ma parecchi
ex-discepoli di Butler parlano di un’atmosfera diversa, piú autoritaria.
Alcuni disertori raccontano storie di bambini dissuasi da Butler
dall’iscriversi alle scuole statali; di seguaci a cui era proibito parlare in
pubblico del gruppo; di viaggiatori di ritorno ai quali era imposta una
quarantena di giorni, onde evitare che passassero qualche malattia
contagiosa a Butler; di devoti che si prostravano a terra ogni qual volta
che lui entrava nella stanza, o che aggiungevano i ritagli delle sue unghie
alle loro pietanze, o che mangiavano cucchiaiate di sabbia dove lui aveva
camminato. Alcuni ex-allievi si descrivono come dei sopravvissuti ad un
culto abusivo. Butler nega queste accuse, e la Gabbard dice di fare fatica
a dare loro credito. “Non l’ho mai sentito dire qualcosa di odioso o di
cattivo riguardo a nessuno,” dice di Butler. “Posso parlare della mia
esperienza personale, e onestamente gli sono grata per condiviso questa
sua meravigliosa pratica spirituale, con me e con tante altre persone.”

Parecchi di questi seguaci oggi hanno un’attivitá. Una delle fedelissime di


Butler è Wai Lana, un’imprenditrice yoga che è anche sua moglie. La sua
societá, che produce video di yoga, ha aiutato a finanziare la Science of
Identity Foundation. Un’altra persona che sembra trovarsi nella sua
orbita è Joseph Bismark, co-fondatore di un’impresa globale di
Multi-level marketing, la qnet, nel cui catalogo-prodotti troviamo ad
esempio dei piccoli dischetti che dovrebbero proteggere gli utenti dagli
“effetti dannosi dell’electrosmog.” (Un decennio fa, su avvertimento
dell’Interpol, la polizia Indonesiana arrestó Bismark per frode, ma il
capo d’accusa venne poi ritirato in un secondo momento.)

A differenza di Bhaktivedanta, di cui ogni parola sembra essere stata


registrata per i posteri, Butler è stato molto piú cauto nel gestire le sue
apparizioni in pubblico, ed ha praticamente smesso di parlare ai media
negli ultimi decenni. Peró ha accettato di parlare con me, al telefono,
riguardo ai suoi insegnamenti e alla sua allieva prodigio. Butler compirá
settant’anni quest’anno, ma parla ancora con la voce fresca e fascinosa di
un surfista illuminato, arricchita da una eco di quell’accento cantilenante
e spezzettato cosí tipico delle Hawaii. Spesso si interrompe per
ridacchiare, o per intercalare la sua domanda retorica preferita: “O no?”

Anche se la cultura Indú gioca sicuramente una parte importante nella


vita di Gabbard, il termine stesso ha una storia complessa: spesso è usato
per riferirsi indifferentemente a tutte le tradizioni spirituali originarie
del subcontinente indiano, e non è né universalmente accettato né
definito chiaramente. “Nella Bhagavad Gita, dove si fa menzione di
‘Indú’?” chiese una volta Bhaktivedanta. Anche Butler trova il termine
limitante: “Non sono indú, non sono cristiano, non sono buddista e
nemmeno musulmano,” dichiara. “Sono l’anima eterna dello spirito —
un’​atma​ — parte integrante dello spirito universale.” (I suoi discepoli
hanno di solito evitato quella designazione; Mike Gabbard si considera
Cattolico, nonostante i suoi legami con la fondazione.) Ma Butler
riconosce l’utilitá di un nome conciso e riconoscibile, specialmente in
politica, e cosí consiglió alla Gabbard un compromesso: “Gli dissi,
‘Perché non utilizzi la frase “Induismo trascendentale”?’” ( In effetti,
durante una recente conversazione nella dining room congressuale, la
Gabbard usó proprio quel termine.) Gabbard e Butler sostengono
entrambi che la fondazione è una risorsa, non un’organizzazione
religiosa; non c'è infatti gerarchia ufficiale, e nemmeno un sistema di
contabilitá interna, tranne la stessa coscienza di Butler e quella di coloro
che gli stanno intorno. In una conferenza, egli riconobbe la possibilitá di
mantenersi scettici, offrendo poi ai suoi ascoltatori la propria versione
della “scommessa di Pascal”: “Se io non sono il rappresentante di Dio, e
voi ispirate la vostra vita alla mia, la vostra vita sará distrutta,” disse.
“Ma se io sono il rappresentante di Dio e voi non ispirate la vostra vita
alla mia, allora la vostra vita è sprecata.”

Butler sembra permettere a certi suoi discepoli, senza troppi patemi, di


chiamarlo Jagad Guru, o “maestro del mondo.” “Il titolo di Jagad Guru
vuole dire che quello che viene insegnato non è solo limitato ad un
gruppo di persone,” spiega Butler. “E’ qualcosa che puó apprezzare
chiunque, e riguarda tutti gli esseri umani.” Un guru, come disse una
volta, deve essere “un rappresentante in buona fede del Dio Supremo.”
Nel suo commento sulla Bhagavad Gita, Bhaktivedanta aveva mostrato
come la sottomissione al maestro fosse fondamentale per la crescita
spirituale. “Un maestro spirituale deve essere accettato arrendendosi
totalmente a lui,” scrisse, “e uno dovrebbe servire il proprio maestro
come un umile servo, senza falso prestigio.” Butler è cosciente della
percezione che si ha di lui come una figura autoritaria; preferisce parlare
di se stesso come uno studente e seguace della veritá, piuttosto che come
guru o leader. “Il mio maestro mi ama,” disse. (Si riferiva, nel tempo
presente dello spirito eterno, a Bhaktivedanta.) “E’ una relazione
d’amore. E cosí gli studenti di un maestro cosí pieno d’amore ameranno
di rimando il proprio maestro — è naturale che lo ameranno.” Non è un
caso infatti che egli parli amorevolmente di Gabbard, che conosce fin da
quando era piccola. Da bambina, ricorda, aveva “una gravitá e una
serietá che andava ben oltre i suoi anni.” Oggi Butler parla della Gabbard
con orgoglio paterno, paragonandosi ad un maestro di musica che vede il
suo allievo modello eccellere da grande: “E’ come se uno insegnasse a un
suo studente il violoncello,” dice. “E poi scoprisse d’un tratto che quello
studente ora suona violoncello all’orchestra filarmonica. E’ bellissimo.”

Gabbard non è il primo discepolo di Butler ad entrare in politica. Sul


finire degli anni settanta, un gruppo piuttosto opaco chiamato lista
Indipendenti per il Governo Divino apparve ad Hawaii e presentó piú di
una dozzina di candidati alle elezioni locali. Il gruppo si presentava come
una coalizione multi-religiosa di riformisti con una vena conservativa,
ma nel 1977 l’​Advertiser​ di Honolulu pubblicó un servizio in tre parti
dove espose l’iniziativa come creata quasi interamente dai seguaci di
Butler. Un candidato disse al giornale che la discrezione era parte della
sua strategia politica. “So per certo che se dicessi di essere un Hare
Krishna, la prima cosa che penserebbe la gente è che ho la testa rasata,
campanelline ai piedi e che vado a disturbare la gente all’aeroporto,”
disse. “Per comunicare il mio messaggio, devo tenere le porte aperte.”
Nel ​Valley Isle, ​un giornale basato a Maui e amichevole nei confronti di
Butler, Bill Penaroza, uno dei leader dell’iniziativa, annunció che il
gruppo, non avendo eletto alcun candidato, era in “ristrutturazione.”
Penaroza non disse che Butler era il capo del movimento, ma ammise
che avesse una certa influenza. “Ho avuto un’interessante conversazione
con un amico che considero una persona molto avanzata spiritualmente,
di nome Siddha Swarup Swami,” disse Penaroza (usando una versione da
iniziato del nome di Butler Siddhaswarupananda). “Lui mi confidó che
gli sembrava che fossimo stati un po’ troppo moralisti, e che ci fossimo
limitati a lavorare solo con persone interessate alla spiritualitá orientale,
tralasciandone molte altre appartenenti alle tradizioni occidentali con cui
invece avremmo dovuto instaurare un dialogo.”

L’editore di ​Valley Isle ​era un uomo d’affari di nome Rick Reed, che fu
eletto al senato di Hawaii nel 1986. Quell’anno Reed, che aveva lavorato
per un procuratore della zona, fu accusato di divulgare documenti
confidenziali dello stato per screditare un politico Democratico; la
ex-moglie di Reed disse all’​Advertiser c​ he Butler era parte del complotto.
(Sia Reed che Butler negarono ogni accusa.) Nel 1992, Reed sfidó Daniel
Inouye, il vecchio leone della politica hawaiana, per un posto al senato
americano, e quella campagna elettorale porto ancora piú alla luce le sue
intime relazioni con Butler. Reed aveva sempre parlato di Butler come il
suo “consigliere spirituale”, ma disse all’​Advertiser​ che non c’era “alcuna
prova che lui fosse mai stato membro dell’associazione Hare Krishna o
degli Indipendenti per il Governo Divino.” Reed perse le elezioni, ma si
difese con successo dalle accuse della Federal Election Commission, che
lo investigava riguardo ad un suo video natalizio filmato nelle Filippine e
poi distribuito alle Hawaii, ritenuto un tentativo di plagiare l’influente
comunitá Filippino-Americana residente sull’arcipelago. Il F.E.C. giudicó
infine totalmente legittima questa seppur insolita iniziativa elettorale del
Reed, e consideró il sovvenzionamento di novantamila dollari da lui
ricevuto per produrre tale video come una regolare donazione.

Con la Gabbard, il movimento di Butler sembra finalmente aver prodotto


un politico di grande richiamo, con un profilo nazionale. Ci sono dei
legami tra la carriera politica di Gabbard e l’I.G.D. che vanno indietro
fino a Bill Penaroza: nel 2015, Gabbard nominó il figlio di Penaroza,
Kainoa Penaroza, capo del suo staff, nonostante non avesse virtualmente
alcuna esperienza politica. Gabbard, come i suoi predecessori, rigetta
fermamente l’idea di essere parte di un movimento politico ispirato dal
proprio leader spirituale. “E’ una congettura poco sensata,” mi disse. E
mi fece un paragone: “Il senatore Brian Schatz, delle Hawaii — è ebreo,”
disse: “Il capo del suo staff è ebreo. E questo vorrebbe dire che c’è un un
grande disegno della comunitá ebraica delle Hawaii per avanzare quel
particolare politico e quelli intorno a lui?”

La differenza è che la cerchia dei discepoli di Butler è relativamente


stretta e incredibilmente interconnessa. Il video natalizio di Reed alle
Filippine inizia con una visita a Toby Tamayo, un accolito di vecchia data
che li aiutó a stabilire laggiú una scuola ispirata a Butler. Tamayo è anche
lo zio del primo marito della Gabbard, Eddy Tamayo, che lei sposó nel
2002 e da cui divorzió quattro anni dopo — in gran parte, dice, per lo
stress di essere di servizio in Medio Oriente. Entrambi i genitori della
Gabbard hanno lavorato nell’ufficio di Rick Reed. E quel finanziamento
che Reed ricevette per il video di natale arrivó da Richard Bellord, il cui
figlio Richard ha recentemente sposato la sorella e coinquilina di Tulsi,
Vrindavan. Richard Bellord fu sposato in prime nozze con Wai Lana,
l’istruttrice yoga oggi moglie di Butler; e Abraham Williams, l’attuale
marito di Gabbard, la aiutó a girare i suoi filmati. (La moglie di Williams,
Anya Anthony, è la manager nell’ufficio di Gabbard a Washington; siede
alla scrivania dietro alla targhetta sullo “spirito di aloha”.) La compagnia
di Wai Lana è presieduta da un altro vecchio allievo di Butler, Sunil
Khemaney, che è anche socio d’affari di Joseph Bismark. Khemaney
aiuta Gabbard nelle relazioni con la comunitá Indiano-Americana; fu lui
ad accompagnarla durante il suo viaggio in India nel 2014. Un persona
interna alla campagna del Gabbard descrive il suo officio come diviso tra
discepoli e profani: “Tutti si chiedevano chi appartenesse al gruppo e chi
no. Era un argomento tabú — la gente in ufficio non ne parlava, cosí che
nessuno lo sapeva con certezza.”

La tendenza politica piú pronunciata in Gabbard — il suo appeal


bipartisan — è, secondo Butler, pienamente conforme con i suoi
insegnamenti. Ma non sta a lui dire a lei, o a nessun altro discepolo
peraltro, come votare. “Il senso di aloha, o amore per gli altri, e il
desiderio di lavorare per il bene altrui — questo è quanto fa un buon
politico, dal punto di vista spirituale,” spiega. “Ma riguardo alle prese di
posizione sui temi specifici che si presentano ai politici? Quello è
qualcosa che ciascuna persona deve decidere per sé stessa.”
Quando le viene chiesto dell’Induismo, Gabbard spesso parla di
intolleranza anti-Hindu. Uno dei suoi esempi principali è Kawika
Crowley, la sua rivale nelle elezioni del 2012, che disse alla CNN che a
suo parere l’Induismo della Gabbard era in conflitto col sistema di
governo americano. (La Crowley, un’attivista per i diritti dei fumatori che
viveva in un furgoncino, perse le elezioni di quasi sessanta punti
percentuali.) In un saggio sulle sue convinzioni religiosi che mi ha
mandato, Gabbard si compara a John F. Kennedy, che si propose di
rassicurare quegli elettori preoccupati dal suo Cattolicesimo; promise
cosí assolvere alle sue funzioni governative “senza riguardo a pressioni o
dettami esterni di tipo religioso.” Sembra peró non esserci un modo
semplice di distinguere tra quei “dettami” di tipo religioso che tanto
spaventano un certo elettorato, ed i “valori” religiosi che molti politici —
specialmente politici cristiani — si impegnano cosí spesso a difendere.
Sarebbe assurdo aspettarsi che la Gabbard non sia influenzata, nelle sue
decisioni politiche, da un percorso spirituale che l’ha accompagnata per
tutta la vita. Dopotutto, la sua determinazione a trovare accordi anche
fuori dal partito è in gran parte frutto di tale percorso, e quasi
certamente un frutto lodevole. Gowdy, il Repubblicano della North
Carolina, le dice spesso di essere “la deputata del congresso piú simile a
Cristo,” un complimento impegnativo che celebra il suo tentativo di
riconciliare tra loro tradizioni spirituali di per sé incommensurabili.

E’ possibile peró distinguere qualcosa di piú specifico di un generico


senso di aloha dietro al mutamento di prioritá politiche tra i seguaci di
Butler. Negli anni ottanta, Butler insegnava a rifiutare il desiderio
sessuale; scrisse ad esempio che la bisessualitá era un “senso di
gratificazione” fuori controllo, e ammoní che la conclusione logica di un
tale atteggiamento edonistico sarebbe stata la pedofilia e la bestialitá.
(Dichiaró, senza mezzi termini, che “un crescente numero di donne
americane tiene un cane per motivi sessuali.”) Reed, Mike Gabbard ed
altri che gli stavano attorno allora tendevano a sostenere queste idee.
Oggi, la Gabbard ha preso un’altra strada, e anche Butler sembra dare
meno importanza all’argomento. Gabbard dice che lei e Butler ebbero
modo di discutere sul tema del matrimonio gay — “Diciamo un bel pezzo
fa.” E conclude: “E’ qualcosa su cui non siamo d’accordo.”

Negli ultimi tempi, Butler si è presentato meno come dissidente Hare


Krishna e piú come membro della vasta rete mondiale di Induismo
Vaishnava. Per chiarire la sua posizione in tutto questo, Gabbard mi ha
mandato “L’Albero Genealogico del Deismo Vedanta,” che riporta le
dozzine di grandi maestri succedutisi lungo i secoli, la maggior parte
Indiani; Butler occupa un posticino modesto ma sicuro, alla fine di un
ramo secondario. Costruendo relazioni amichevoli con Modi e altri
leader Indiani, Gabbard è diventata un’ambasciatrice di spicco per
l’Induismo Americano, e avrá la possibilitá di introdurre le idee eretiche
di Butler nell’Induismo globale mainstream. Lo scorso anno, quando il
governo indiano annunció i vincitori dell’annuale Padma Awards, solo
due non-Indiani furono inclusi. Uno era un ex-ambasciatore americano.
L’altra era Wai Lana.

Le relazioni con l’India sono anche un’alleanza strategica: la Gabbard ha


difeso l’organizzazione politica di Modi, il Bharatiya Janata Party, che
promuove il fatto che l’India sia — e debba rimanere — una nazione
essenzialmente Induista. Nel 2013 lei si oppose ad una risoluzione che
condannava la “violenza religiosa” nello stato Indiano che lei vide come
una critica velata all’amministrazione Modi, e suggerí che, qualunque
problema stesse affrontando la minoranza musulmana in India, non era
certo paragonabile alle tribolazioni inflitte alle minoranze religiose in
parecchie nazioni islamiche. Quest’estate (2017 ​n.d.t.​) venne a New York
ad un business forum Indo-Americano. Ebbe la sfortuna di parlare
subito dopo Anil Kapoor, il loquace attore del cinema, ma apparve
ugualmente a proprio agio, chiacchierando con l’ambasciatore indiano
riguardo ad una partnership economica e alla cooperazione tra servizi di
sicurezza. Questo era il tipo di folla congeniale alla Gabbard: amichevole
e relativamente bipartisan. Una delle giornaliste dichiaró di essere sua
fan: “Onorevole Gabbard, speravo davvero che foste scelta come membro
del gabinetto dall’amministrazione Trump,” esordí. “Adesso aspetto il
momento di poterla votare alle elezioni presidenziali.”
Gabbard sorrise e scosse la testa a quell’allusione. Ma poi, in ottobre, si
recó in Iowa ad una raccolta fondi Democratica, segno che sta pensando
seriamente a candidarsi alle presidenziali 2020, e che è una delle dozzine
o forse centinaia di politici Democratici che pensano di avere una chance
di essere eletti Presidente. Per ora, è sulla lista dei possibili candidati,
anche se non tra le prime posizioni; il suo atteggiamento relativamente
conciliatorio verso Trump sembra aver danneggiato la sua immagine tra
quei Democratici che iniziano a pensare alle primarie giá con tre anni di
anticipo. Ma se la Gabbard deciderá di lanciarsi nella corsa presidenziale
sará sicuramente uno dei candidati piú interessanti. Una delle questioni
chiave da capire é se la sua storia si rivelerá troppo interessante — troppo
inusuale — per il suo proprio bene.

Alcuni ex-discepoli di Butler tendono ad essere straordinariamente


negativi riguardo al periodo passato in servizio spirituale da lui, ed
estremamente sospettosi riguardo ai suoi moventi. Questo sospetto si
allarga anche a persone che hanno sostenuto la Gabbard ma sono
preoccupate dal ruolo ambiguo che Butler e seguaci hanno avuto nella
politica hawaiana. Nove anni fa, un altro promettente personaggio
politico si trovó a dover decidere il da farsi a proposito del proprio leader
spirituale diventato un bersaglio di critiche: ancora candidato, Barack
Obama difese il suo pastore di fiducia, il Reverendo Jeremiah Wright, ma
successivamente si decise ad abbandonarlo. Wright d’altro canto
rappresentava solo una piccola fetta della vita di Obama, mentre la vita
di Gabbard sarebbe irriconoscibile senza l’influenza di Butler. Qualche
decennio fa suo padre tentó, con un certo successo, di allearsi con
Mormoni, Evangelici ed altri gruppi religiosi che condividevano la sua
opposizione al matrimonio omosessuale. Sua figlia è un politico piú
abile, ma il suo compito sembra ancora piú difficile: provare a costruire
consenso in un partito Democratico sempre piú secolarista e partigiano.

Gabbard non sembra essere troppo frustrata dal mancato progresso del
suo disegno di legge, lo Stop Arming Terrorists Act; in termini politici,
potrebbe in effetti tornare piú utile come una proposta in sospeso —
simbolo della sua battaglia contro l’intransigenza — che come legge
approvata. Anche se lei rimane piuttosto riluttante a criticare il
presidente eletto, o perfino a menzionare il suo nome, ha trovato
parecchie occasioni per ribadire il proprio dissenso con l’attuale
amministrazione. Ciononostante, nell’odierno clima politico la Gabbard
è consapevole che gli elettori Democratici sono piú inclini a sostenere
quei politici schierati apertamente contro Trump e i Repubblicani,
rispetto a chi, come lei, cerca di trovare terreno comune per instaurare
un processo di collaborazione. Molti dei suoi simpatizzanti sono convinti
che prima o poi questo clima cambierá. “Ad un certo punto,” dice Van
Jones, “il paese si stancherá di gente la cui sola qualifica è quella di
odiare il partito avversario.”

La Gabbard, piú della maggior parte dei politici, è una celebritá.


(All’aeroporto di Kauai, venne fermata da un agente T.S.A. che le chiese
di farsi una fotografia con lei. “Questa è la mia settimana fortunata,”
disse. “Mio figlio si è sposato — e ora ho incontrato te!”) Inoltre, ha una
delle piú importanti qualitá che un politico possa avere: una prodigiosa
abilitá nel far sí che la gente creda in lei, anche quando non è d’accordo.
Una delle sue prime fans su Oahu è Linda Wong, che organizzó le
raccolte fondi durante la prima campagna elettorale di Gabbard, e che si
è abituata a dover rispondere a domande insistenti riguardo ai suoi
numerosi atti di insubordinazione politica. “Lei fa una mossa, e subito
dopo ricevo delle chiamate: ‘Cosa sta facendo?’ dice Wong. “Io rispondo,
‘Non so cosa stia facendo, ma so che sa quello fa.”

A seconda della giornata e dell’umore del paese, l’approccio


ostinatamente personale della Gabbard in politica puó sembrare ora
rigenerante, ora fastidioso. Quando parla della sua passione per il
“servizio”, lei parla infatti in un linguaggio che è al contempo politico,
militare e religioso. Parla della sua determinazione, piuttosto evidente, e
dei suoi obiettivi, che non sempre lo sono. “Ha l’atteggiamento di chi
ama servire, un cuore da servitore,” dice Butler. “Che si metta in politica
o in qualunque altra cosa, porterá quel cuore da servitore con lei.”

Postfazione del Traduttore, Dicembre 2019:​ ​Tulsi Gabbard è ora in corsa per le
primarie Democratiche 2020. Ad oggi, la sua campagna elettorale ha suscitato molto
scalpore e nonostante la scarsa visibilitá concessale dai media tradizionali la
Gabbard è riuscita a ritagliarsi uno spazio importante nel dibattito interno al partito
Democratico. I prossimi mesi saranno decisivi per il futuro della sua carriera politica.

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