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STORIA DELL’ARTE MODERNA LEZIONE 8

In questa situazione di pensieri vediamo che anche Raffaello inizia e continua la sua esistenza su un filone che (
dei due discorsi di Diotima) preferisce di gran lunga il primo, quello dell'amore per la bellezza che genera un
bene attraverso i sensi naturali, e rifiuti però questo senso provvidenziale ( tipico di Leonardo) abbandonandosi
invece al fluire della natura e al cogliere questo fluire attraverso una pittura che effettivamente sembra un
interrotta indagine naturalistica nella quale, come dice Epicureo, " chi la fa rinviene la calma interiore" perché
la pittura di Raffello è immagine di questa profonda calma interiore che nasce da un animo che riesce a
cogliere questo dolcissimo fluire nella variata della natura e ne coglie l'intrinseca bontà che poi passa agli
uomini.

Questo si avverte in un'opera in cui appare evidente la dipendenza dal suo maestro Perugino nel nudo, come
dice lo stesso Vasari quando afferma che " dal Perugino egli apprese a dipingere il nudo" ed infatti il nudo
Apollo di " Apollo e Dafni" che Perugino dipinse per il Magnifico ricorda molto il nudo di Gesù benedicente a
Brescia.

Lo ricorda per questa intrinsecità tra forma colore, fra struttura e superficie che abbiamo notato nel
Perugino ( con questa assenza di un disegno sotteso) e che riconosciamo anche nelle bellissime forme di questo
torso, di queste spalle e braccia di Gesù ovvero questa intuizione, senza tanto ragionare, della struttura e del
colore e vediamo come questo lo porta a inserire questa figura nella natura colta nel tempo che scorre
attraverso questo passaggio della luce che accarezza le membra e che fa, in un certo senso, di questa immagine
un superamento al tempo stesso del maestro Perugino perché vediamo che Raffaello ha questo senso
monumentale di questa bellezza che fa della figura il perno che riassume in sé la bellezza della natura che lo
circonda e in questo perno vediamo che il pittore affonda in un amorosa contemplazione delle carni, delle pelle
di questa figura amandola come un dono della natura che va rispettato e valorizzato.

A Firenze vediamo come Raffaello all'interno del corpus dei dipinti che lui dipinge esalti il dono naturale
dell'amore coniugale e della generazione naturale come mostrano 3 capolavori

 La gravida;

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 Ritratto dei coniugi Doni.

Tre immagini di bellezza umana colta nell'attimo che passa che nella gravida è dato dal fondo nero potenziale
che si attualizza nella luce, nei coniugi Doni dallo scorrere delle nuvole e dalla luce diversa nel paesaggio
lontano.

Vediamo come in questa immersione nella natura come tempo che scorre egli affondi di nuovo con questa
intuizione della forma e colore di questa bellezza naturale; ma non solo della bellezza naturale, anche
dell'artificio dell'uomo e anche questo è tipicamente epicureo perché Epicuro non fa come gli stoici di
distinguere le fantasie vere dalla false ma accetta anche le immaginazioni nate nei sogni o dei pazzi ovvero le
immaginazioni svincolate dalla stretta dipendenza naturale e quindi artificiose e qui vediamo come il pittore
colga la particolare bellezza di questa donna gravida con quel senso di pienezza che spesso la donna ha in un
momento straordinario della sua esistenza, pienezza negli occhi, nelle guance e nelle mani e al tempo stesso
colga la bellezza dell'arte, dell'artificio, cogliendo l'infinito intrecciarsi di filo di ferro e di oro della retina che le
tiene I capelli.

Questo sentimento diventa un sentimento di reciproca contemplazione in questi stupendi ritratti di Alvaro e
Maddalena Doni, un marito e una moglie che probabilmente sono posti uno difronte l'altro nel contemplarsi
reciprocamente, nel contemplare quindi la specularità di se stesso e quindi la positività di questo incontro
che genererà nuova vita e nuova bellezza e anche qui il pittore affonda nella forma - colore sia negli elementi

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naturali ( pensiamo ai capelli di lui e di lei e soprattutto a quelli che si staccano dalla massa per isolarsi nel
cielo e contro lo scorrere delle nuvole e sprofonda nella bellezza di queste pelli ma anche nell'artificio che è di
nuovo quello del arte che ha tessuto quelle sete che vibrano nella luce e quello straordinario velo che
accompagna il giro delle spalle).

In questo noi riconosciamo quello che Vasari attribuiva a Raffaello "una unica grazia e dolcezza” che lo faceva
riconosce, dagli animali che incontrava, come amico e che quindi induceva a strusciare sulle gambe e a
cercarne le carezze perché è la grazia e dolcezza del epicureo che trova piacere nella contemplazione della
natura e della sua infinita dolcezza e grazia.

In questo senso capiamo che anche Raffaello vede in Gesù un figlio di natura immerso nella natura e pieno
degli strumenti che la natura ha dato per conoscere, quindi i sensi, ma al tempo stesso un figlio di quella natura
carico al massimo di quella grazia e dolcezza che è implicito nella natura stessa.

Infatti se guardiano 3 " Madonne con bambini" di questo periodo

vediamo come egli ne segua il suo percorso di conoscenza sensibile attraverso i sensi della vista, dell' olfatto o
del tatto del mondo che lo circonda esaltando quindi questo desiderio di conoscere di questo bambino e
questa felicità che dà a questa conoscenza con il sorriso che sfodera difronte ai garofanini o il sorriso di
compiacenza nel dimostrare di arrivare col tatto alla fonte del suo piacere che è quello dell' alimentarsi non
curate di disturbare la madre intenta a leggere perché lui è totalmente bambino che vive di questo invece dei
sensi.

Tuttavia se guardiamo il capolavoro a Firenze vediamo come nella Madonna del cardellino

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Gesù è rappresentato sì figlio della natura, carico della conoscenza sensibile ma dotato totalmente da un
così vicino saper leggere quello che la madre le mostra; infatti vediamo che la sua conoscenza attraverso i sensi
è dato dal particolare dal piedino di lui che schiaccia il piede di lei e ne cerca il contatto come fanno I bambini
quando vogliono rassicurarsi di una presenza; è dotato di sapienza perché stava leggendo, tuttavia è carico di
quella grazia e dolcezza immensa perché nel momento in cui il più grade e meno spirituale Giovannino viene a
disturbare la sua lettura lui si degna con grande grazia e dolcezza di accondiscendere il dono che l'entusiasta
amico li sta portando; in questa comprensione profonda dei sentimenti umani Raffaello dimostra un altrettanto
grazia e dolcezza nel contemplarli e nell'inserirli come una parte di una natura immensa che abbraccia tutta
questa scena e l'abbraccia con un suo scorrere indicato dal fiume, dalle nuvole e da questi alberelli con le loro
chiome sospese; questa grazia e dolcezza Raffaello la dedica anche all'arte, sempre nel periodo fiorentino noi
vediamo questo particolare che dimostra una capacità interiore e tecnica di cogliere la complessità e semplicità
dolce di un artificio umano; e la manica di rasi " della Velata "

dove il pittore coglie questa complessità e bellezza di masse, di toni intuendo la complessità di una profonda
struttura e di una superficiale coloritura senza distinguere le due parti; questa attitudine a cogliere la forza
dell'immaginazione umana e attribuire verità e importanza a questa immaginazione umana, perché immagine
dello stesso scorrere grazioso della natura, chiaramente Raffaello lo potenzia nel momento in cui si reca a
Roma e diventa il grande interprete del papato di Giulio II e Leone X , come dimostra la prima delle stanze che
egli affresca che è la stanza della Segnatura della quale la sua pittura contempla 3 grandi momenti
dell'immaginazioni umane

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 sulla poesia;

 sulla filosofia -- il Parnaso, la Scuola di Atene;

 sulla fede -- la disputa del sacramento.

Proprio perché vediamo che di questi tante possibilità che l'uomo ha avuto di intrepretare la poesia, il pensiero
e la fede egli le ammette e inserisce in queste grandi composizioni che esprimono il dialogare continuo fra
queste continuo fra queste diverse posizioni, il loro intrecciarsi, il loro fluire esattamente come è nel fluire
dell'intrecciarsi degli elementi della natura con un senso profondo del bene e della bellezza di questo
intrecciarsi, della reciprocità che avviene in questo intrecciarsi che rappresenta la bellezza, la grandezza di
queste immagine di filosofi raccolti nella scuola di Atene

dove I filosofi sono tutti raccolti e si riconoscono Aristotele, Platone, Epicuro, Zenone stoico. Tutti raccolti a
dare, da un lato l'immagine riassuntiva di tutto il lavoro che dal 1401 era stato fatto per riacquistare quel
mondo che gli antichi avevano compreso di comprendere l'umanità, dall'altro di mostrarlo come tutto un
percorso come se fosse un grande fiume che modella la natura stessa dell'uomo.

In questo senso la pittura di Raffaello interpreta profondamente la visione universale che la chiesa romana ( a
questo punto bisogna dire romana perché Lutero stava già iniziando il suo percorso di distinzione) voleva dare
e questo è accentuato dalla capacità che ha lui di inserire le diverse possibilità di essere uomo nella poesia,
fede, nella filosofia entro queste grandiose composizioni che, nel caso della scuola di Atene, fanno
riferimento a come si stava ricostruendo la fabbrica di San Pietro come i grandi voltoni ,ispirati alla basilica di
Massenzio, che Bramante aveva progettato in un'opera di ricostruzione che dopo la morte di Bramante vedrà
lo stesso Raffaello protagonista pensando, appunto, di terminare l'edifico con una cupola simile a quella del
Pantheon , ovvero una cupola che esprime la totalità della natura e del mondo in cui gli uomini l'hanno
interpretata.

A partire dal 1516 - 17 la pittura di Raffaello continua questa contemplazione con questo modo piena di
grazia e dolcezza ma tende ad accentuare i contrasti come dimostra un'altra opera che esegue per completare
la Cappella Sistina , completarla per come era a quel punto ovvero con le storie di Gesù e Mosè, le serie di papi (
dipinte introno al 1480), la volta sistina ( dipinta da Michelangelo), quando ancora le storie di Gesù e Mosè
facevano da circuito andando anche nella parete dell'altare che, con Clemente VII, si pensò di far affrescare da
Michelangelo con il Giudizio.

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Completa questa immaginazione i progetti con i cartoni per i grandi arazzi che dovevano pendere dalle storie di
Gesù e Mosè rappresentando storie di altre due figure, quelle di Paolo e quella di Pietro

e qui vediamo, come, in questa storia del 1517 Raffaello tenda a iscurire le forme, a creare dei forti contrasti
di luce, a inserire elementi architettonici complessi che accompagnano questo scurisci di luce e cosi avviene
anche nell'altro grande capolavori del momento che son le grandi logge vaticane

che sono esse stesse una struttura fatta per aprirsi alla contemplazione esteriore e nelle quali egli affresca con
la sua scuola, nelle volte, la serie delle vicende della Bibbia e della Genesi e le fa sostenere da queste
grottesche fatte di polvere di marmo e gesso in modo tale da splendere nella luce; in queste volte vediamo
intervenire un artista specializzato nella rappresentazione della natura che è Giovanni da Udine grande
interprete con queste meravigliose immaginazioni

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in cui egli fa i contorni delle opere figurate e dipinte da Raffaello; anche Giovanni da Udine mostra questa
amorosa contemplazione della varietà della natura con una pittura che risente della formazione con Giorgione
(perché proviene dalla repubblica veneta) e che però esalta anche in questo caso il trascorrere con questa luce
diversa su questa pergola, il passaggio veloce di questo uccello e con questa meravigliosa tra scorrenza dei
colori in questi festoni di frutti.

Raffaello muore giovane e l'ultima sua opere è un testo che Del Bravo ha letto come un testo di critica in una
sua parte che Raffaello avrebbe fatto nei confronti della propria scuola e dei propri allievi; di critica perché la
pittura di questa opera (eseguita per una cappella di san Pietro) presenta due parti nettamente distinte e mai
accostate l'una all'altra;

quella in alto, che rappresenta il momento della trasfigurazione, quella in basso rappresenta un passo di
Matteo ( 17 / 1-13) in cui i discepoli di Gesù trovano un indemoniato che però non riescono e non sanno
curare; vediamo che in queste due opere ( che il Vasari tiene a dire " dipinte da lui solo) dipinte da Raffaello
solo per ridurre quelle opinioni che lo volevano dipinte dalla mano di Raffaello una parte, e una parte degli
allievi, attribuisce al momento della trasfigurazione quei caratteri che aveva perseguito nella sua pittura
ovvero questo abbandono gioioso alla forma - colore immergendola nella meraviglia della natura che la
circonda per esaltare la figura di Gesù, il cui volto risplende come il sole e cosi le sue vesti; attribuire quindi a
Gesù tutta la grazia della superiorità e tutta quella dolcezza che è in quel volto che, in un certo senso,
Raffaello riconosceva a se stesso e che esplica in questa meravigliosa pittura luminosissima di questa parte.

Viceversa, in basso adotta una pittura che è piena di contrasti luminosi, interiori con quel fagocitato rincorrersi
dei sentimenti che per gli epicurei corrisponde al male piuttosto che alla pace interiore.

C'è questo rincorrersi dei sentimenti proprio perché in questa parte gli apostoli non dimostrano questa grazia

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di Gesù che nasce naturalmente da se stesso ma si affannano a fare qualcosa non per propria grazia ma, come
dice la figura di Pietro che sta leggendo un libro ( quasi a dettare i gesti e le parole che questi devono fare per
sanare l'indemoniato ) che li accusa non di avere questa grazia ma di seguire la lettera del maestro e non la
grazia del maestro e quindi di seguire le forme e non la sostanza e non quella dolcezza e grazia ma
semplicemente le forme prive di questa.

Questa lettura di Raffaello non prende in considerazione ciò che solitamente viene applicato alla figura di
Raffaello, quello di essere l'interpreta massimo del CLASSICISMO – espressione non storicistica perchéè al
tempo questa espressione non esisteva, si è venuta a formare alla fine del '600, all'affievolirsi di questa cultura
umanistica e al sorgere di una cultura che tendeva a non interpretare la sostanza ma a vedere di questo'arte
sole le forme privandoe dei loro contenutoi; l'antico, per gli artisti, era la vita perchéè attraverso il pensieroo
antico loro riconoscevano la propria identitàà e attraverso la propria identità riconoscevano la propria arte.

GIORGIONE (veneto che inizia proprio nell'anno 1500) E ANDREA DEL SARTO (fiorentino che incomincia
nell'ultimissimo '400) rappresentano due apici nella raffigurazione, il primo del tempo che consuma, il secondo
della veritàà ulteriore al tempo stesso.

Giorgione è allievo di Bellini - tardo come mostra questa "Mmadonna deli alberelìi"

eseguita nel 1510 che ci ripropone quella epicurea contemplazione della benignità
della natura, sia in Gsu, sia nel fondo che lo accompagna però risente, in maniera decisiva, della lezione del
Vverrocchio morto a Venezia nel 1485.

Da questi pensieri parte Giorgione, il quale li inserisce nella loro origine ciòè nel' aristotelismo che nella scuola
padovana era particolarmente importante in quelgli anni ed infatti vediamo come su questa idea della forma
che si attualizza da uno stato potenziale ( quindi si attualizza qui ed ora nel suo trascorrere) egli coglie il senso
della malinconiaa del trascorrere con un umanissimo riflettere sulla simultaneitàà di situazioni diverse in una
sola unità temporale; la malinconia del trascorrere è comprensibile nel immagine della vecchia ( che è
all'accademia di Venezia)

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per quel cartiglio che lei tiene in mano e che attribuisce a se stessa dato che si sta indicando al centro del suo
petto e vediamo che questo è accompagnato da questo attuarsi dell'immagine in cui questa breve unità
temporale in cui questa vecchia sta dicendo, a un interlocutore che col tempo," non diventerò bella ma
invecchierò sempre di più "quindi in quegli occhi malinconici capiamo la malinconia per questo inevitabile
consumarsi di una bellezza antica e anche degli stadi successivi che si vengono a creare.

Questa malinconia per la bellezza che sfiorisce è poeticissimamente raffigurata in un altro capolavoro di
Giorgione che è il doppio ritratto conservato nel museo di palazzo Venezia a Roma cioè nella serie della
repubblica veneta.

Qcui vediamoo la presenza di due giovani che agiscono all'interno di scranni lignei ( vediamo la balaustra e una
colonna) che indicano questo ambiente come un ambiente alto della società, forse un'istituzione veneziana; in
primo piano vediamo il più adulto dei due ( sebbene giovane) il quale si abbandona ad uno stato di profonda
malinconica riflessione come denotano i suoi occhi che guardano lontano senza meta, come indica l'inclinarsi
del volto appoggiato alla sua mano destra a la bocca, un po’ amara, nel serrarsi; una malinconia a cui si
contrappone l'incalzare, da dietro, di un altro più giovane con tutto un atteggiamento vivace , ecco quindi due
condizioni diverse in una stessa unità di tempo e soprattutto capiamo che il senso di questo è dato
dall'arancio che il giovane malinconico tiene nella sua mano sinistra perché l'arancio presenta ( come possiamo
vedere anche nella Primavera del Botticelli) simultaneamente i frutti ei suoi profumanti fiori bianchi allora
capiamo che qui si vuole dare questo senso ovvero del malinconico e bellissimo nobile giovane anche nella
veste, l'idea che lui è come il frutto che è bellissimo ma prossimo ma cadere e quindi a perdersi, nel più giovane
che lo incalza l'immagine del fiore che diventerà frutto a sua volta cascherà e così via, in un continuo che non si
arresta mai.

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Questa simultaneità è espressa anche da un'altra opera che si trova a Firenze," Le tre età dell'uomo"

in cui di nuovo sul fondo oscuro la luce attualizza " qui ed ora" tre condizioni diverse in relazione ad un
terzetto con il vecchio, che vediamo si astrae da quel trio guardando fuori quadro , quindi uscendo quasi di
scena e gli altri due che sono invece ancora all'interno della situazione con il fanciullo che tiene il foglio e
l'adulto che glielo indica quindi un susseguirsi di tre situazioni diverse con il vecchio che c'è in questo
momento ma non ci sarà più, l'adulto che in questo mento c'è ma diventerà vecchio e non ci sarà più, il giovane
è il futuro che poi proseguirà; questo senso del trascorrere e del fioriere attimanele della bellezza destinata
a perdersi nella vecchiaia è espressa in maniera strabiliante con un invenzione che diventerà un tema che la
pittura spesso ripeterà.

L'immagine del risplendere di quella quercia colpita da un ultimo raggio di sole nell’incombere profondere del
nero della tempesta lontana

e a dare il senso del attimalità di questo splendere della luce, per un attimo, prima di essere ingorgata nel buio
è quella saetta che è proprio immagine dell'attimo, fondo dell'opera della " tempesta " importante per il tema
dell'immagine della trasocrrenza, del fiorire della bellezza nell'attimo che scorre e non torna più.

Rispetto a questa riflessione malinconica sulla bellezza che trascorre e che passa vediamo che a Firenze
risponde un altro maestro che si pone con un atteggiamento diametralmente opposto – ANDREA DEL
SARTO, il quale , in un suo primo capolavoroo che è l' Annunciaizone eseguita per una grande chiesa ( ora
scomparsa) del convento agostiniano fuori porta San Gallo, un convento voluto dal Magnifico eseguito da
Giuliano da San Gallo che prevedeva una chiesa a navata unica simile all'altra che il San Gallo fece e che è
quella di Santa Maria Maddalena dei Pazzi in borgo pinti; questa chiesa era allora una chiesa cistercense.

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Questa chiesa di San Gallo venne distrutta nell assedio di Firenze del 1530 ( pochi anni dopo la sua
costruzione); in questa meravigliosa opera vediamo come il pittore inserisca alcuni elementi del transire della
bellezza naturale che sono superati dalla bellezza invece eterna, infatti vediamo che, soprattutto sul fondo, il
pittore mette alcune immaggini transitorie a partire dalle scale e dalla loggia ( che sono fatte per passare e per
percorrere), dalle nuvole che passano e da quelle figure di uomini che stanno guardano con sguardi volatili ciò
che accade ai loro piedi però questa dimensione transitoria, con la sua bellezza ma inevitabile transitorietà, è
superata da qualcosa di più profondo che è più interno che è la figura degli angeli che annunciano a Maria e
Maria che accetta quell'annuncio e quindi del discendere dal cielo della colomba dello Spirito Santo e vediamo
come, in questo momento che trascende il tempo, il pittore metta tutta la sua arte che meravigliosamente è
descritta dal Vasari ovvero di un arte che dice " semplice e pura, ben intesa e senza errori e naturale" legata alla
natura, alla sua rappresentazione mimetica che è il frutto di un animo altrettanto dimesso e semplice e in
effetti nel primo piano vediamo veramente questo senso di una pittura che cerca di cogliere questa semplicità
e purezza che è in questa immagini naturale di questi volti e gesti di angeli.

E' interessante vedere come le parole cosi incalzanti del Vasari sono quasi la letterale trascrizione di alcuni
passi di Savonarola, il quale aveva rappresentato qualcosa di importantissimo nella Firenze degli anni '80 fino
al '94 quando fu arso vivo in piazza della Signoria, il cui pensiero circolò all'interno della città di Firenze in
buona parte nei primi anni del '500, vi si legge infatti come egli commenti la parola semplice attribuendo a lei
quella condizione dell'anima atta a illuminazioni e consolazioni divine perché questa semplicità vuol dire un
animo purgato dagli affetti terreni e quindi più soggettivi e individualisti che non rispettano la natura e infatti il
Savonarola, parlando proprio dei pittori, chiede loro se preferiscono una cosa artificiosa e sforzata oppure
semplice infatti attribuisce a questo individualismo carico dagli affetti terreni la conseguenza di ciò che viene
all'uomo per artefici e sforzo e che determina figure sforzate ovvero figure variate, fortemente variate, mentre
conseguenza del semplice è il cercare nell'arte la naturalezza e coglierla immediatamente perché nell'libro della
natura è la scrittura diretta di Dio; quindi lui distingue fra pittore che fanno figure sforzate o naturali e senza
sforzo e Andrea del Sarto è proprio l'artista che abbraccia questa ricerca di figure naturali e senza sforzo, che
sono dettate da Dio attraverso la rappresentazione della natura non alterata dal soggetto umano.

In questo senso capiamo che anche la grande Madonna delle arpie

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è un immagine sul contenuto di questo imporsi della divinità sul tempo, imporsi della Madonna col bambino
sull'artificio del basamento e di quelle arpie che non sono naturali ma sono un artificioso composto di
elementi naturali e come si imponga su quelle nuvole di fumo che si alzano alle spalle della Madonna; a questo
discorso di " imporsi sull'artificio" corrisponde ,nella figura della Madonna col bambino, degli angeli e dei due
santi ( Francesco e Giovanni Evangelista) una ricerca di pose e figurazioni fortemente naturali, senza sforzo,
senza errore, senza accentuazioni in modo tale da creare volti ugualmente puri come quelli con cui il pittore
guarda la natura e la bellezza che corrisponde a questo bellissimo ritratto ( National Gallery di Londra)

che è una figura che, aldilà del soggetto che rappresenta, è un pensiero molto profondo su due valori cari al
pittore che seno quelli della contemplazione e della trasmissione agli altri, trasmissione che il pittore onora
attraverso l'arte ( quindi il suo dipingere) che però è la trasmissione di questa contemplazione di Dio nella
natura; infatti vediamo che questo giovane è stato interrotto ( per breve tempo) dal suo rivolgersi a
quell'elemento bianco che , ad alcuni pare un libro mentre Del Bravo pensa essere un solido geometrico, un
parallelepido di marmo, un parallelepipedo che rappresenta una forma che individua la costanza ed è figura del
eternità, questa figura costante ( perché solida ed eterna che questo uomo stava contemplando con lo sguardo
).

Vediamo che il pittore ha colto il momento in cui egli si distrae da questa contemplazione per guardare fuori,
per breve tempo perché questa posizione non si può tenere a lungo e il collo ritorna a quella centralità che è la

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centralità contemplativa e vediamo che ha fermato questo momento proprio per dire, con Agostino, di "
trasmettere agli altri quella contemplazione che sta sviluppando", allora capiamo che questi sguardi sono così
profondi perché esprimo questa semplicità di anime contemplanti che trasmettono, oppure, come mostra la
figura di Giovannino ( nella Pala di Gambassi) cercano qualcuno a cui trasmettere quel che vedono al centro,
cioè Gesù.

Quest'arte che coltiva Andrea del Sarto, che si può ammirare nell'ultima cena fatta per San Salvi,

si trova anche in un altro artista che attraversa la scena fiorentina proprio a partire all'inizio del secolo che è
Fra Bartolomeo (domenicano, legato al pensiero di Savonarola) che riconosciamo nella pala di San Marco
(1508 - 1510)

in cui vediamo questa ricerca di semplicità, naturalezza, proprio come quella condizione di visione nella natura
della scrittura e della volontà di Dio tenendo anche presente che sotto i piedi della Madonna c'è la scritta in oro
ovvero un invito a che questi santi riuniti preghino anche per lo stesso pittore.

Queste riflessioni sull'uomo vanno oltre questa scissione fra chi vuole vedere nell'uomo la sola carne
nell'inerzia della stessa o, in opposizione, vedere nell'uomo solo l'idea e la sua astrazione; abbiamo visto come
questi estremi siano sconosciuti a questa cultura che comunque considera il punto di partenza la natura non
come inerzia ma come l’elemento centrale della vita e all'interno di questa natura cerca una visione più
sensibile o spirituale.

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MANIERISMO in verità nasce da alcune parole del Vasari che è la parola MANIERA che però il Vasari usa in
modo molto preciso, infatti dice che " alcuni artisti come Raffaello, hanno iniziato alla maniera di. " oppure le
usa per dire " la maniera moderna" per alludere agli artisti del proprio tempo che lui ha conosciuto
direttamente.

L'uso di questo modo di intendere la parola maniera a partire dal '700 e soprattutto dal '900 ha generato, in un
clima di etichettature, la formazione della parola manierismo che si è poi unita a dei concetti di storia sociale e
psicologica dell'Europa 500esca per cui si è identificata con uso di forme aspirale, con forti abbreviazioni
spaziali, con sproporzioni nelle figure, con cangiantismi nei colori per esprimere una perdita del cento che
oggettivamente era avvenuta all'inizio del '500 con l'apertura di un nuovo mondo e con frattura della chiesa e
quindi come riflessi di questa psicologia devastata e confusa che non poteva più aderire agli ideali del
rinascimento come armonia e come classicismo e quindi il manierismo si è identificato come ANTI
-rinascimento e ANTI -classicismo.

N.B -- Alla parlata bisogna dire " il cosiddetto manierismo" o il " cosiddetto classicismo" perché è un modo di
prendere le distanze e vederne di questa parola l'origine storica e quindi la relatività.

In effetti questa generazione inizia un movimento di interpretazione di questi grandi maestri che comporta una
variazione di quelle forme però già nel '400 abbiamo visto questa situazione e quindi continueremo ad usare
parole umanistiche usate nel '400 ovvero di variazione e quindi varietas su forme unitarie tenendo presente
che però ora ci troviamo di fronte alla possibilità di identificare la viarietas con quell' artificio e sforzo ( con cui
il Savonarola lo identificava) e l' unitas con quell'arte naturale e ben intesa che abbiamo cercato di intendere.

Con questi artisti entriamo in un periodo storico che vedrà molto forte il dibattito fra artificio e natura e che
troverà molto forte il dibattito sull'arte e soprattutto sul primato di quale sia l'arte più importante, tanto che
nel 1545 Benedetto Varchi scriverà un libro sulla maggioranza delle arti e premetterà a questa discussione
un'indagine fatta sui grandi artisti del proprio tempo chiedendo di dire la loro su quale fosse l'arte da loro
prediletta; è un testo straordinario che ci permette di capire i punti di vista degli artisti sul disegno, disegno e
la natura, sul disegno e l' artificio.

FIRENZE -- Generazione del '90 dipendente da Andrea del Sarto e Michelangelo.

VENEZIA -- indipendenza da Giorgione e Giovanni Bellini.

MILANO -- indipendenza da Leonardo.

EMILIA -- indipendenza dal Costa.

ROMA -- indipendenza da Raffaello.

FIRENZE

Vediamo che nella pittura il riferimento fondamentale dei due artisti

 Pontormo

 Rosso Fiorentino
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è il Sarto dal quale partono uno come allievo diretto, l'altro come maestro di lezione, variando, abbreviando,
sforzando e rendendo artificiose le forme straordinariamente semplici e naturali del maestro.

Quindi con artificio e sforzo come mostra due opere del 1525 cioè la grande pala della chiesa di santa Felicita
del Pontorno e la Deposizione dalla croce a Volterra del Rosso

nei quali vediamo un'interpretazione sforzata e artificiosa del maestro uno in una direzione di scetticismo,
l’altro per esaltare l'artificio come il culmine ideale di una scala immaginativa.

Il Pontormo dichiara il suo essere scettico inserendo nel suo capolavoro (per la cappella dell'annunciazione
nella chiesa di Santa Felicita) l'immagine di sé stesso, il proprio autoritratto proprio in questa figura

che apre i suoi occhi da dietro l'immagine a indicare come lui l'ha immaginata in questo momento e quindi
un'immaginazione soggettiva di quell'immagine che è accompagnata (sia dal punto di vista del contenuto sia
dal punto di vista della forma) da altri elementi che accentuano l'attualità e il collegarsi alla relatività del
momento in cui l'artista l'ha concepita; infatti dal punto di vista del contenuto vediamo che il pittore ha
accentuato l'aspetto dell'attimo che scorre attraverso la figurazione della nuvola che sta allontanandosi che nei
vangeli aveva occultato tutto l'orizzonte al momento della morte di Gesù e che ora si sta allontanando e
inoltre mostra come i sentimenti di queste figure ( quindi le loro forme) hanno superato il dolore profondo
della morte e della deposizione dalla croce e nei loro occhi presentano il rosso del lungo piangere però ora
finito, quasi le lacrime si fossero seccate, cosi come lo sguardo di Maria la quale accompagna lo sguardo di

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Gesù con un senso di venir meno, come sprofondando nel sonno che succede all'intenso e terribile soffrire.

Quindi l'esaltazione di un passaggio di sentimenti che trova poi equivalenza nell'immaginazione e nelle forme
con cui è accompagnata perché vediamo che accanto a questo passaggio sentimentale colori che cambiano in
continuazione anche nello stesso punto della stoffa o dei corpi ha dato a queste figure un inconsistenza
terrena, la mancanza di ogni ordine prospettico, un loro costruirsi a grappolo e ha dato alla figure la mancanza
di proporzione allungando alcune parti dei corpi e abbreviandone altre; questo significa propriamente l'aspetto
scettico ovvero di un uomo che il Vasari dice " non aveva fermezza nel cervello" perché esattamente come dice
lo scetticismo antico " l'uomo deve sempre seguire i sensi e il loro continuo variare che è il variare delle cose e il
modo in un cui l'uomo vede le cose" e che quindi comporta negli occhi del pittore la visione dell'attimo che
passa dall'acutezza del dolore alla fine di questa acutezza.

È interessante vedere come lo stesso Vasari diceva che " le figure il Pontormo le costruiva prendendo come
modello sé stesso” (uomo alto) e infatti, come ha mostrato Del Bravo, i suoi disegni di nudo

presentano un corpo agile e alto che presenta sempre una bombatura in dentro o in fuori e altri presentano la
sua figura che, sembra quasi prendere se stessa come modello guardandosi su uno specchio ma al tempo
specchi di grandi dimensioni non esistevano e quindi si può presupporre che egli avesse come elemento
specchiante una lamina riflettente ( come era consueto) che egli osservava appoggiato alla parte e lievemente
bombata che determina un'alterazione della visione del proprio corpo che è molto evidente e che determina
quegli allungamenti e sproporzioni degli arti e dell'intero corpo che vediamo nelle sue opere e in particolare
nella bellissima pala di Santa Felicita.

Questo vuol dire che il pittore non correggeva ciò che l'occhio vedeva perché rispettava la percezione e la
verità di essa, infatti Pirrone scettico in Diogene Laerzio dice che " la stessa figura si vede ora in un modo ora in
un altro secondo le differenze degli specchi" quindi non esiste un unico e vero punto di vista della figura ma
bisogna accettare il modo in cui ogni attimo l'occhio vede diversamente la figura perché, aggiunge Pirrone
scettico "la diversità e le impressione è condizionata dalla diversa condizione delle disposizioni individuali".

Ecco quindi che l'arte del Pontormo vive intensamente questo continuo variare delle cose che Vasari spiega con
il questo " non avere fermezza nella mente" e questo si vede non solo nelle alterazioni formali che lui fa, ma
anche nel continuo variare stile che egli compie.

Nel 1518 dipinge la Pala di San Michelino


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in cui è molto vicino ad Andre del Sarto e lo inserisce in quel divenire dalla oscurità della luce che sembra
quasi ereditare da Leonardo, poi nel 1520 affrescando nel Salone di Poggio a Caiano per Leone X mostra di
aderire alla pittura di Michelangelo ma togliendole aspetti ideali e calandola nelle individualità anche
aderendo ad elementi che potevano venire dalla conoscenza della pittura tedesca e di Durer , ma subito dopo,
chiamato alla Certosa del Galluzzo ad affrescare immagini della passione di Cristo

vediamo che nella discesa della croce e Resurrezione esalta aspetti di grandi vesti che coprano, influenzato
dalla pittura di Durre e della scuola nordica e poi abbiamo visto che, nella deposizione della croce, crea
l'insieme straordinario di bellezze e situazioni nel passaggio.

È evidente quindi che il Pontormo è un artista legato scetticamente alla natura, alla bellezza e a un'arte che
esprimerà il passaggio continuo dell'immaginazioni e quindi la verità di ogni singolo momento immaginativo e
quindi che il suo artificio e sforzo nasca da questo rispetto dell'occhio, della sua verità.

L'altro artista è il Rosso il quale, invece, parte dall' armonia semplice, pura e naturale del Sarto ma la altera in
maniera sforzata in modo da vedere nell’artificio artistico il grado più alto che, in una scala di immaginazione,
corrisponde al grado dell'idea e quindi qualcosa di diverso da Michelangelo che vede il momento più alto nella
natura infusa di spirito perché è l'arte stessa a incarnare l'idea e infatti vediamo in questa prima importante
opera che dipinge in un contesto in cui lavora sia il Pontormo sia Andrea del Sarto ovvero nel chiostro della
Santissima Annunziata , partendo dalla pittura di Andrea del Sarto ma la altera,
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si vede come il pittore crei una scala di immaginazioni ponendo la pittura di pittura al grado più lontano, a un
grado più vicino a noi la pittura di architettura ( nella struttura della cornice che vediamo si sovrappone alle
figure laterali interrompendo la pittura di pittura) pero vediamo che c'è un elemento che sopravanza questi
due gradi inferiori che è quella parte del mantello dell'apostolo che viene fuori dal contesto sia della storia (
pittura di pittura) sia della pittura di architettura (che è il grado più profondo) e quindi si crea un inganno
artificioso che è quindi quello che pone l'artificio a un grado più profondo e quindi diverso dalla natura che
diventa quindi il grado massimo per il Rosso Fiorentino e questo lo si vede nel capolavoro di Volterra ( dove
viene chiamato nel 1524 - 25) e che va compreso all'interno della cappella dedicata alla venerazione della croce
che era, e che è tutt'ora, affrescata da un pittore del '300 con i modi 300eschi dell'arte.

Vediamo come, ricollocata in questa situazione, si intende come qui il pittore dia alle figure un aspetto
fortemente artificioso che richiama la pittura giottesca piena di scheggiature che era l'artificio e allora si
capisce questo interpretare la natura con questa sfaccettature astrattive che investono le vesti, gli incarnati e
porre tutto questo cielo che non è naturale ma è uno di quelli 300eschi, un cielo astratto.

Il pittore insiste sull'artificio come grado massimo della bellezza e quindi il luogo dell'idea e della maggiore

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altezza.

Con questo primato dell'arte artificiosa sulla natura il Rosso viene a Roma (dove vive dal 24 -al 27) poi lascia
Roma e si lega per un triennio nell'Aretino dove rappresenterà un punto di riferimento per il Vasari bambino.

A Roma esegue questa serie di disegni bellissimi per gli dei che vennero poi incisi dal Caraglio su dei fogli in cui
vediamo la figura di Apollo,

immagine di un Dio, un Dio che il pittore ha reso come se fosse un bronzetto sia per il corpo e soprattutto per
quei riccioli che sembrano lavorati nel bronzo; quindi lo crea come un dio artificioso, come un'idea artistica e
artificiosa che sta passando con un grado più profondo rispetto al disegno di architettura che è sul fondo e lo
rappresenta come il punto massimo dell'idea e della bellezza e in questa artificiosità il Rosso sembra dipendere
da quella rinascita di Pindaro ( grande poeta della fine dell'età arcaica della poesia greca) e soprattutto di
quel principio che egli interpretò massimamente, il balzo immaginativo.

A Parigi dipinge questo capolavoro, ora al Louvre, in cui vediamo questi gradi: il grado della natura sul fondo,
carica del dolore e della sofferenza, un grado più artificioso che è quello dei bellissimi riccioli aurei di Giovanni e
della Maddalena che splendono con esaltante bellezza su quella carne dolente che è naturale e trascesa
dall'artificio e dall'intrinseca divinità splendente dell'artificio stesso.

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