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Il Lupo e il Drago

I
Era una fredda serata dell'inizio del Volo del Drago e, sebbene l'Autunno
fosse solo alle porte, già la fredda regione dell'Evallghael si era tinta del
bianco della neve. Gnupa, come da varie notti a questa parte, stava
preparando i ciocchi di legna da gettare sul fuoco, pensando alla settimana
ormai sul finire e lavoro che lo attendeva la mattina dopo.

Gnupa viveva una vita semplice: era un Muntrrenn, un "montanaro", una


figura tipica dei monti Ulfrenn, che spende i suoi giorni solitaria tra i
versanti montani tagliando legna e cacciando. Abitava da solo all'ombra
della Ertberk, la terza montagna più alta di Norrmund, a circa un giorno di
cammino dal piccolo villaggio di Skriggal, nel quale si recava ogni fine
settimana per vendere la legna e la cacciaggione, per poi ristorarsi alla
locanda di Hylde con il suo famoso stufato e i suoi comodi letti ed infine
ripartire verso la sua capanna solitaria il mattino dopo. Era ormai mezzo
secolo che Gnupa viveva da solo tra i monti: da quando Ulfrok venne
liberata dal giogo tirannico di Thark Il Vile dagli ormai vecchi eroi Re
Dagobert "Ulfgangr" Vankihir e Jarl Kellam Mac Fadden. Ma a Gnupa poco
importavano le imprese eroiche del suo sovrano e dei suoi compagni; certo,
era loro grato per aver salvato la sua patria, ma l'unica cosa che stava a cuore
al vecchio montanaro era la sua solitaria tranquillità abbracciato dalle
montagne.

Così, dando un'ultima occhiata al fuoco, assicurandosi non ci fossero braci


vaganti, Gnupa si coricò come sempre. Alle prime luci dell'alba il vecchio
montanaro si svegliò, fece come sempre una veloce colazione con latte caldo
e pane, raccolse come sempre la merce destinata ad essere venduta e si avviò
come sempre verso Skriggal, in una bianca mattina di inizio Autunno come
tutte le altre. Si prefissava di andare verso il Passo di Grust, come sempre,
per poi tagliare in mezzo ai boschi di Svirrni, come sempre, per poi sbucare
sullo Skriggalskali, il piccolo torrente che lo avrebbe portato a Skriggal,
come sempre. Era da mezzo secolo che faceva quella strada e ormai era
qualcosa di automatico per Gnupa, tantò che non prestava assolutamente
attenzione al suo circondario, se non più dello stretto necessario per non
rallentare, o alla strana, ritmica e bassa vibrazione che scendeva dalla cima
dell'Ertberk da qualche ora, come mai era successo.

Giunto al Passo di Grust il vecchio montanaro fu scosso dai suoi pensieri da


una piccola frana che lo fermò per quel tanto che basta per sentire quella
bassa vibrazione e, incuriosito e disturbato da quella novità, decise di
indagare più a fondo; lasciò sul posto le merci e si avvio sul Passo che
andava a scalare la montagna, fino a raggiungere quella grotta molto ampia
che il muntrrenn sorpassava da mezzo secolo, ma da cui mai aveva sentito
giungere suoni. Avventuratosi più in profondità ne uscì correndo più veloce
di quanto non ebbe mai corso e più terrorizzato di quanto non sia mai stato
spaventato. Non recuperò la sua merce, anzi, non fece nemmeno la strada
che si era prefissato, ma scappò in direzione del villaggio senza affiancare la
montagna, ma allontanandosi da essa il più possibile.

A Gnupa non era mai importato degli eroi e dellle loro vicende, l'unica cosa
che gli importava era la sua tranquillità: impegnarsi sul lavoro durante la
settimana per poi raccoglierne i frutti durante la sua conclusione, vendendo a
Skriggal la sua legna e la sua cacciagione. Ma questa volta Gnupa non arrivò
a Skriggal con la sua legna e la sua cacciagione, e mai gli era importato di
più degli eroi e delle loro vicende che in quel momento.

Un antico Drago del Cielo era giunto ad Ulfrok.

II
Il gelido vento che accompagnava l'arrivo della stagione fredda soffiava sul
vecchio volto del re-anziano, titolo dato ai re dopo che hanno passato la
corona al loro successore, cosa avvenuta dieci anni prima. Egli stava su una
delle alti torri della fortezza di Ulberk, casa ancestrale del suo clan, e
osservava la valle sottostante, su cui si ergeva l'omonima antica città, con lo
sguardo perso verso orizzonti lontani.

Ulfberk, eretta dal primo dei Vankihir, Ysmir il Bianco, nella pietra scura di
quelle montagne e benedetta da una magia proveniente da tempi leggendari,
era costruita in un piccolo avvallamento naturale del monte Vyrmillvend, ed
era protteta per la maggior parte dalle sue irte pareti. Il passo per
raggiungere il grande portone del castello era sorvegliato dalle enormi statue
dei condottieri Vankihir, incastrate nei versanti che incombevano sulla
strada, e i torrioni esterni della fortezza si fondevano con la roccia su cui
stavano. Giunti all'alto muro che simile ad una diga fungeva da limite tra il
passo e la fortezza e sorpassato il suo enorme portone sopra al quale ululava
una testa di lupo in pietra, si giungeva nei quartieri esterni della rocca, dai
quali si potevano raggiungere le stalle, le torri di guardia e le Piccole Sale, o
proseguire per oltrepassare un'altra cerchia di mura che portava ai quartieri
interni. Questi, costruiti sulle pendenze che andavano verso la cima del
monte, comprendevano le armerie, le dimore della milizia e la cittadella con
la sua Grande Sala, dalla quale era possibile salire sulla Torre della Viverna,
che dall'alto osservava tutti i domini dei Vankihir.

Lì si stagliava la figura dell vecchio eroe che, nonostante gli anni,


conservava la stazza e la possanza che aveva in gioventù. Perso nei suoi
pensieri, il re abbassò lo sguardo, osservando le rune brillanti di Berknarr, il
suo enorme spadone, che aveva portato con sé lassù. Era da tanto tempo che
né lui né la sua lama assaporavano il caos della battaglia, da quando egli
stesso aveva guidado la Grande Vendetta contro Arvak, arrivando fino sotto
le mura di Highwall prima della resa dell'Impero, ed era da tempo che il
volto del re era segnato dai tanti inverni che aveva vissuto, ma alla vista di
quelle rune ed al pensiero che una grande minaccia incombeva sulla sua
amata patria, le antiche braci nel cuore dell'eroe ripresero ad ardere. Fu un
latrato seguito da un zompettare e una voce familiare a destarlo dalle sue
riflessioni.

"Freki si chiedeva dove fossi sparito, ulfe." disse Selne, salendo gli ultimi
gradini delle scale. La vecchia regina, che da giovane si faceva chiamare
Selene ma che con la sua incoronazione aveva ripreso il suo nome originale,
si era conservata bene negli anni: nonostante fosse coetanea del re, e quindi
sulla soglia degli ottanta anni, ancora sul suo volto si leggeva la bellezza che
un tempo vi dimorava, sebbene le rughe fossero più marcate e la fiamma dei
suoi capelli fosse ormai spenta e sostituita dal grigiore della cenere.

Dagobert sorrise, si girò ed accarezzo Freki, uno dei tanti cani-lupo che
vivevano a Ulfberk, discendenti del suo vecchio compagno di tante battaglie
Fenrir. Guardò la sua amata, che dopo qualche secondo ruppe di nuovo il
silenzio, accenando a Berknarr.

"Hai deciso di andare..."

"Si. Ho già avvertito Kellam, ci incontreremo a Sverne. Non possiamo


perdere tempo."

Selne si trattenne dal chiedere altro e si limitò a sorridere.

"Ti conviene partite, allora." aggiunse, girandosi per andarsene.

Dagobert rimase con Freki per ancora qualche secondo, si voltò un'ultima
volta ad osservare l'Evallghael e scese le scale, dirigendosi alla sua armeria,
per indossare la vecchia armatura che lo aveva accompagnato e protetto
nelle sue imprese.

"Padre." lo interruppe una voce.

Il vecchio eroe si girò, trovandosi davanti il suo primogenito, scuro in volto


e armato di tutto punto.

"Jatvard."

"Non andrai da solo, padre. Non te lo permetto. È anche mio dovere


difendere il nostro popolo! Tu lo hai già fatto molte volte, lascia questo
fardello a me!"

Dagobert sorrise fiero del coraggio di suo figlio, ma subito tornò serio.

"Questa minaccia è terribile. Nessuno ad Ulfrok, o in tutta Norrmund,


avrebbe speranze di farcela."
"Così getti vergogna su di me, padre! Forse non ti fidi delle mie capacità?"
rispose Jatvard, alterato, ma mantenendo la sua tipica freddezza.

"Se non mi fidassi delle tue capacità non ti avrei passato la corona dieci anni
fa. Hai già dato numerose prove di essere un gran guerriero e un ottimo
regnante e sono fiero di te, ma questa è una battaglia all'infuori dalla portata
di chiunque. È la mia battaglia. La tua, figlio mio, è quella che ho
combattutto per trentanni: essere un giusto esempio e una buona guida per il
nostro popolo, re Jatvard Fianco-di-Pietra."

"Già, non vorrai lasciare in mano mia il regno!" si intromise con una risata il
secondogenito del vecchio re. "Ho saputo che stai andando ad affrontare il
drago, fatr!"

A differenza di Jatvard, sempre serio in volto, ligio al dovere e freddo come


il ghiaccio, Vjarne era uno spirito libero; seppur anch'egli fosse un
combattente valoroso, preferiva le taverne calde ai campi di battaglia e il
suonare ballate al tirar di spada, inoltre, sempre al contrario di Jatvard,
preferì vivere una vita senza impegni invece che sposarsi, fatto che portò
molte donne ad affermare di avere avuto un bastardo da lui.

"Gli dei non vogliano!" Rise Dagobert, mentre Jatvard si limitò a domare il
fratello con un'occhiataccia.

Quando finì di preparasi il sole era alto nel cielo e tutti si erano radunati nel
Gran Cortile per assistere alla partenza dell'anziano gigante. Tutti tranne la
gemella di Vjarne, Fyrra.

I guerrieri dei Vankihir, dai i veterani compagni d'arme dell'eroe ai più


giovani ancora in addestramento, riempirono l'aria con il "Tir Gwarr", "Alla
Guerra", un canto da guerra vecchio tanto quanto Ulfrok, mentre i molti cani
di Ulfberk salutavano il re ululando e abbaiando. L'ultima ad augurare buona
fortuna al guerriero fu Selne, che recito all'amato una strofa del
"Gwarrenluv":

"It a-skirrwinn giv tis-mæs | Io al vento del cielo do questo messaggio

Rund hom it Gwarren | Torna a casa mio Guerriero


Rund hom vilt glor | Torna a casa con gloria

Rund hom o iv Luv" | Torna a casa dal tuo Amore

...Lasciami una storia degna della tua leggenda..."

Siglò quel saluto con un bacio e si allontanò.

Entrato nella stalla per prendere il cavallo, Dagobert si trovò davanti


all'unica che non si era presentata al saluto a lui dedicato, che lo guardava
silenziosa appoggiata ad un'asse della struttura. Fyrra Fiamma-nei-Capelli,
chiamata così perchè, sebbenne avesse come tutti i Vankihir i capelli canuti
come i giganti del gelo, la sua frangia presentava il rosso acceso dei capelli
della madre, osservava suo padre con la sua espressione truce, peggiorata
dalla benda che le copriva l'occhio ferito tempo addietro, e dalla cicatrice da
essa mal nascosta.

Tra tutti i suoi figli, Fyrra era quella che aveva preso la pazienza dal padre e
l'animo focoso dalla madre, risultando una guerriera implacabile, ma anche
una donna tenace e difficile.

"Non è una sorpresa trovarti lontana da tutti." Fece Dagobert.

Fyrra stette un attimo in silenzio, poi si avvicino al gigante e lo abbraccio.


Dagobert giurò di aver visto una lacrima scendere dal viso della figlia e
anche al grande guerriero si inumidirono gli occhi.

"Lo sai, fatr, non amo gli adii..."

Ci fu silenzio per qualche secondo, entrambi ben consci del fatto che questo
sarebbe stato il loro ultimo abbraccio.

"Neanche io, ma a volte non c'è scelta, figlia mia. Prenditi cura dei tuoi
fratelli e di tua madre."

Dagobert salì a cavallo e varcò il grande cancello della sua dimora. Nella sua
mente veloci passarono tutti gli eroi che a loro volta oltrepassarono quella
soglia, quando giunse il momento del bisogno. Accompagnato dai fantasmi
dei suoi predecessori, Dagobert discese il passo, sotto il freddo occhio vigile
delle statue dei condottieri Vankhihir. Nel suo cuore, la fiamma si era
riaccesa.

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