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Angelo Colombo

Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962). Un carteggio con il «cuo-


re in mano»?*

La persistente fortuna editoriale dell’opera di un autore fecondo come


Dino Buzzati alimenta da qualche tempo, in parallelo, una sempre più
nutrita compagine di studi dalle matrici operative spesso lontane, che sono
resi tuttavia solidali, in larga misura, dall’obiettivo comune di giungere
alla decifrazione sicura di una testualità tanto varia quanto non sempre
trasparente, condizionata, quale è, dall’intrecciarsi di significati arcani, di
simbologie, di codici o di enigmi narrativi che oppongono talvolta una
resistenza tenace agli strumenti acuminati dell’esegesi letteraria e della
riflessione antropologica, psicologica o persino filosofica. Dinanzi all’op-
portuno moltiplicarsi delle ricerche va osservato nondimeno che, dopo
la lunga intervista con Buzzati raccolta da Yves Panafieu alle soglie della
scomparsa del narratore bellunese e pubblicata nel 1973, congedata inoltre
alle stampe nel 1985 la tutt’altro che impeccabile edizione dell’epistolario
di Buzzati con l’amico fraterno Arturo Brambilla, sono stati sporadici e
non di rado persino deludenti gli scavi indirizzati al recupero e allo studio
delle deposizioni d’autore attraverso i documenti che, di esse, il tempo ha
saputo preservare fino a noi.
Spentasi la voce diretta del parlante, se non per quel tanto che le bobine
della registrazione di Panafieu hanno gelosamente custodito – a beneficio
esclusivo di chi le possiede e forse anche al di là di quanto è filtrato alle
*
Lezione tenuta a Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore (26 aprile 2017),
nell’ambito dei Seminari internazionali di Letteratura italiana dall’Ottocento ai giorni no-
stri, I semestre 2017 (a c. di Angela Ida Villa). L’autore esprime la propria gratitudine
agli eredi Buzzati (Milano), agli eredi Sereni (Luino) e alla Fondazione Arnoldo e Alberto
Mondadori (Milano) per avere concesso l’edizione integrale delle lettere collocate nelle
due appendici del saggio.
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stampe nell’intervista cui si faceva cenno poc’anzi –, mancando inoltre edi-


zioni organiche di blocchi significativi del carteggio, parte disperso presso
destinatari eterogenei, parte conservato con riserbo legittimo dagli eredi
nella “casa della fontana” di viale Vittorio Veneto a Milano, le testimonianze
di prima mano delle attività plurime di Buzzati restano in attesa di una
collocazione nel giusto ruolo, che a esse compete, di documenti strategici
per chi conduca un’esegesi il cui imperativo sia, anzitutto, quello di radicarsi
nella certezza del dato materiale. Come hanno insegnato in tempi recenti
le indagini compiute fruttuosamente su altri romanzieri press’a poco coevi
(Carlo Emilio Gadda, ad esempio, titolare ormai di una lunga sequenza di
corrispondenze edite con grande accuratezza), nella partita dell’interpreta-
zione sorvegliata e avvertita dell’esperienza di un autore e della sua opera le
carte degli archivi editoriali assumono un ruolo di primo piano. Nel caso di
Buzzati, in specie, la vasta corrispondenza con la casa Mondadori (Arnoldo
e Alberto Mondadori, Vittorio Sereni), di oltre duecento pezzi, domanda
un laborioso esercizio di disseppellimento, di restauro e di analisi grazie
al quale torneranno senza dubbio alla luce con generosità, dopo un oblio
prolungato, dettagli ignoti, novità sostanziali e rivelazioni inedite destinati
a completare il patrimonio delle conoscenze nel frattempo depositatesi at-
torno al versatile autore del Deserto dei Tartari. Estraendo alcuni documenti
da quell’archivio di eccezionale dovizia, dove i fascicoli intestati a Buzzati
rimangono ancora pressoché inesplorati nella loro globalità di corpo testi-
moniale organico, abbiamo circoscritto il nostro contributo a una vicenda
che cadde agli inizi degli anni Sessanta e della quale non si raccolgono tracce
esplicite nelle dichiarazioni finora circolanti, né, tanto meno, nella saggistica
consacrata ai molti altri aspetti dell’abbondante produzione buzzatiana nei
campi attigui, da lui attraversati con profitto, del giornalismo, della lette-
ratura e dell’arte figurativa.
Se la lunga carriera di narratore non ha risparmiato a Buzzati soddisfa-
zioni e battute d’arresto delle quali cogliamo echi, benché sommessi e filtrati,
anche nelle parole del bellunese acquisite al magnetofono di Panafieu, resta
difficile avvertirvi un momento di maggiore amarezza di quello che accom-
pagnò la comparsa e la diffusione del Grande ritratto, uscito per Mondadori
nell’autunno del 1960 e salutato subito da un certo diffuso scetticismo della
critica1. Accanto alla sfiducia dichiarata da qualche recensore animato forse
1
Un bilancio è formulato, tra gli altri, da Antonia Arslan, Invito alla lettura di
Buzzati, Milano, Mursia, 1974, pp. 97-9; Vittorio Caratozzolo, «E forse io mento anche
adesso»: “Il grande ritratto” di Dino Buzzati, o dell’inattingibilità del senso, “Studi Buzzatia-
ni”, 4, 1999, pp. 7-33 (con ampia bibliografia specifica e discussione preliminare di essa);
Alessandro Scarsella, Questioni comparatistiche intorno a “Il grande ritratto” di Buzzati,
“Studi Buzzatiani”, 7, 2002, pp. 95-7; Silvia Zangrandi, «In quell’ampolla chiuso il mi-
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da perplessità soverchie, nemmeno a distanza di tempo il verdetto sembrò


cambiare: anzi, se possibile, conobbe inflessioni ancora più secche e inge-
nerose. Dopo che Pietro Citati, letto il romanzo, aveva stigmatizzato nel
quotidiano “Il Giorno” del 18 ottobre 1960 quell’«invenzione» narrativa ac-
cusandola di «arido, sterile effetto»2, e prima ancora di Giuliano Gramigna,
che nel 1978 non avrebbe esitato a escludere «senza rimpianto» dalla sua
silloge mondadoriana delle opere di Buzzati il «mero esercizio occasionale»
del Grande ritratto3, il 19 ottobre del 1972 – il narratore si era spento la sera
del 28 gennaio di quell’anno – fu di un autorevole Giacinto Spagnoletti,
dalle colonne del “Messaggero”, l’affondo più impietoso: lo «spunto felice»
del romanzo si disperde, secondo lui, in un «pirandellismo di maniera», tra
«effetti di suspense hollywoodiana degli anni Cinquanta», nel naufragio di
«certi strani tic sintattici» o di un «uso artificioso nella coniugazione dei ver-
bi», che altro non sarebbero se non «pretese di banale avanguardismo»4. Nel
carteggio di Neri Pozza è conservata del resto una lettera del 25 ottobre 1960
in cui, con grande onestà intellettuale e discorrendo molto verosimilmente
proprio del Grande ritratto fresco di stampa, l’editore si rivolge all’amico
Dino con parole che non lasciano dubbi e che vale la pena di rileggere: «È
un genere che non capisco. Evidentemente sono rimasto lontano da questi
gusti»; pur «ammirando l’abilità dello scrittore», Pozza dichiara inoltre che
stero di noi uomini». Dino Buzzati e Primo Levi tra scienza e tecnologia, “P.r.i.s.m.i. Revue
d’Études Italiennes”, 12, 2014 («Alla fine... una riga si potrà salvare». Dino Buzzati, 1906-
1972, quarante ans après, sous la direction de Cristina Vignali), pp. 322-5; Zangrandi,
Dino Buzzati. L’uomo, l’artista, Bologna, Pàtron, 2014, pp. 76-7, 129-30. Valutazioni di
rilievo in merito al Grande ritratto e alla sua traduzione francese ha fornito invece Cristina
Vignali-De Poli, La parole de l’autre. L’écriture de Dino Buzzati à l’épreuve de la traduction,
Bern, Peter Lang, 2011, pp. 144-65 in particolare.
2
Ora in Dino Buzzati [= B], Il grande ritratto, intr. di Maurizio Vitta, Milano,
Mondadori, 1981, p. 12 (alle pp. 12-4, altre testimonianze).
3
B, Romanzi e racconti, a c. di Giuliano Gramigna, Milano, Mondadori, 1975, p.
XXV; cfr. anche Gramigna, “Il grande ritratto” di Buzzati, “Settimo Giorno”, 23 ottobre
1960 (Gramigna, allora redattore letterario della rivista, conosceva già da tempo Buzzati
per avere ricevuto una copia di In quel preciso momento, inviatagli da Neri Pozza su indica-
zione personale dell’autore alla fine del 1950: Neri Pozza, Saranno idee d’arte e di poesia.
Carteggi con Buzzati, Gadda, Montale e Parise, a c. di Pasquale Di Palmo, Vicenza, Neri
Pozza, 2006, p. 57). Non diverso è quanto si legge in B, Opere scelte, a c. di Giulio Car-
nazzi, Milano, Mondadori, 1998, p. XXXVI (il romanzo è «archiviabile come una delle
[...] opere meno riuscite» del narratore bellunese, perché «infelice [...] incursione [...] nel
territorio della fantascienza»), da dove Il grande ritratto resta ugualmente escluso. Circa
le due sillogi cfr. Giorgio Cavallini, Buzzati e l’arte di farsi leggere, “Studium”, 1, 1998,
pp. 145-8; Patrizia Dalla Rosa, rec. a B, Opere scelte, “Studi Buzzatiani”, 3, 1998, pp.
213-9; Irina Discenza, «Benvenuti i racconti». La genesi delle raccolte di racconti di Dino
Buzzati attraverso il carteggio Mondadori, “Otto/Novecento”, 3, 2011, pp. 211-2.
4
Cfr. Caratozzolo, «E forse io mento anche adesso», cit., pp. 7-8.
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essa gli «procurava un invincibile moto di orrore», concludendo: «La mac-


china è montata bene, ma è una macchina dalla quale rifuggo spaventato»5.
Nell’intervista rilasciata a Panafieu vari mesi a monte della scomparsa
e della stroncatura pronunciata da Spagnoletti non si sono ancora esaurite
le conseguenze della disillusione bruciante dovuta alle recensioni di una
decina d’anni prima, tanto si rivela divagante e incerta l’autostima del ro-
manziere in merito. Il grande ritratto testimonia allora, secondo la confessio-
ne dell’autore, un momento «piuttosto debole» della sua ricerca narrativa,
specialmente a causa della fragilità che egli imputa al finale della storia,
salvo poi scagionare il romanzo dalla categoria dei «giochi a freddo» e degli
«spunti un po’ arbitrari» accreditandogli invece «delle cose che mi sembrano
fatte anche abbastanza bene», pur nel quadro di una semplice «prestazione»
estemporanea: «come l’attore che fa un virtuosismo, una sera...»; quale che
ne sia l’autovalutazione occasionale, in un’intervista concessa a Gianfranco
De Turris (Nostro fantastico quotidiano) e pubblicata a Roma il 15 dicembre
1970 dalla rivista mensile “Il Conciliatore”, Buzzati smentì seccamente di
avere «rinnegato» il proprio romanzo6.
Varrebbe la pena, in realtà, di chiederci in quale misura Il grande ritrat-
to non sia laboratorio intermittente o parziale della scrittura di Un amore,
edito tre anni più tardi, ma in proposito qualche dato utile già è stato
offerto e altri senz’altro non mancheranno in seguito7. Un amore è ideato
nel 1959 e la sua elaborazione va perciò a imbricarsi con quella del Grande
ritratto8; in quest’ultimo, del resto, ricorrono alcune problematiche care
a Buzzati, benché distorte o condizionate da una fiducia nella scienza che
si alimentava, in quei momenti, degli entusiasmi suscitati anche a livello
divulgativo dai progressi della cibernetica, dalla «macchina traduttrice di
Ceccato» e dall’«eccezionale fascino» di un automa meccanico «che pensi
5
Pozza, cit., p. 107.
6
B, Un autoritratto. Dialoghi con Yves Panafieu (Luglio-settembre 1971), Liancourt-
Saint-Pierre, YP Éditions, 1995 (19731), pp. 156, 183-4; Gianfranco De Turris, Un’in-
tervista a Buzzati di trent’anni fa, “Studi Buzzatiani”, 3, 1998, p. 155. In materia di intervi-
ste all’autore, dilettantesco e trascurabile, oltre che filologicamente impreparato, è invece il
libretto di Sara Di Santo Prada, Il coraggio della bontà. Dino Buzzati e don Zeno Saltini:
cronaca di un’amicizia, Empoli, Ibiskos, 2010.
7
Cfr. Fabio Atzori, Buzzati in crisi? Rileggendo “Il grande ritratto”, in AA.VV., «Figures
de la crise». Dino Buzzati, cent-dix ans après sa naissance. Atti del Convegno internazionale
(Chambéry, Université Savoie Mont Blanc, 17-18 ottobre 2016), c.s.
8
Arslan, cit., pp. 98-9; Nella Giannetto, Il sudario delle caligini. Significati e
fortune dell’opera buzzatiana, Firenze, Olschki, 1996, p. 173 e n. 16; Zangrandi, Dino
Buzzati, cit., pp. 24 e 77. Circa il maggiore dei due romanzi si veda da ultimo, in una
bibliografia ormai fitta, l’intervento di Paola Bottino, Dino Buzzati e “un amore” fra tanti.
Antefatti di un fantasma sessuale: ipotesi di lavoro, “Mosaico Italiano”, 143, 2015 (Speciale
Buzzati, 1, In memoria di Almerina Buzzati, a c. di Antonio Rosario Daniele), pp. 32-7.
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esattamente come noi»9; entrambi i romanzi pongono al centro il nucleo


diegetico e diversamente misterioso di un protagonismo femminile che
determina l’agire dei personaggi, come ci assicura Buzzati stesso quando
decise di inviare il dattiloscritto del Grande ritratto al concorso della rivista
“Oggi” per un’opera che «avesse per protagonista una donna», registrando
subito dopo, con stupore malcelato, il responso sfavorevole emesso dalla
giuria del premio e il suo rifiuto ad autorizzare la partecipazione di quel
racconto al concorso: «è stato scartato perché dicevano che non era una
donna ma un robot...»10.
Se queste sono le premesse con le quali un’analisi ragionata del romanzo
deve da tempo fare i suoi conti, ignote sono invece rimaste le implicazioni
a più largo raggio dell’insuccesso di critica sofferto dal Grande ritratto, visto
che il fastidio cagionato dal giudizio dei lettori di professione non mancò
di allargarsi a cerchi concentrici assorbendo nei malumori dell’autore le
responsabilità – vere o presunte – dell’editore, così da generare fra i due
una crisi improvvisa e profonda del già lungo rapporto fiduciario, destinato
a essere ricomposto pienamente, con qualche fatica, come vedremo, solo
nel corso del 1962.
La perlustrazione di un gruppo di corrispondenze inedite, che coin-
volgono negli scambi Buzzati, Alberto Mondadori (nel 1960 promosso
secondo amministratore delegato della casa editrice, confermato inoltre nel
ruolo di direttore generale per il settore editoriale), il poeta Vittorio Sereni
e, da ultimo, anche Niccolò Gallo, chiamato a sbloccare la sorte a lungo
incerta di In quel preciso momento, consente di intendere nei giusti termini
alcuni mesi di una paralisi editoriale altrimenti a rischio di venire imputata
solo a ragioni tutte interne alle dinamiche segrete del cantiere d’autore. Fu
Buzzati a spezzare il silenzio agli inizi del 1961, quando ormai era chiaro
che Il grande ritratto, più che un romanzo suscitatore d’interesse, per la
critica costituiva semmai una novità deludente e inattesa. Il 22 febbraio
di quell’anno, egli pose mano a una lettera affatto insolita, per ampiezza e

9
«Fra cultura e vita». L’editore Alberto Mondadori, a c. di Vittore Armanni, Milano,
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2014, p. 39, n. 1 (D. Buzzati ad Alberto Mon-
dadori, 19 settembre 1959); corsivo nel testo. Nell’intervista del 1970 a Gianfranco De
Turris, Buzzati torna sulla problematica: «Nel caso del Grande ritratto mi è piaciuta l’idea
che mi è nata dalla frequentazione di Silvio Ceccato, e dall’aver fatto degli articoli sui suoi
tentativi di traduzione meccanica, molto interessanti dal punto di vista cibernetico, diversi
dalle traduzioni realizzate, ad esempio, in America, in Russia e in Inghilterra. A sentire
Ceccato, già adesso, potendo disporre di somme senza limiti, sarebbe possibile costruire
una macchina che reagisce veramente come un uomo [...]. E allora mi è venuto in mente
Il grande ritratto» (De Turris, cit., p. 155).
10
B, Un autoritratto, cit., p. 130.
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aggressività dei contenuti, spedita ad Alberto Mondadori11, con cui Buzzati


aveva intrecciato da una decina d’anni quel legame di amicizia e di piena
confidenza che non gli era riuscito invece di stabilire con il settantenne
presidente della casa editrice, Arnoldo12. Non è redditizio in questa sede,
per limiti oggettivi e per esigenze di argomentazione, dare lettura adeguata
alla lunghissima requisitoria di Buzzati, suddivisa in quattro punti nei quali
lievita gradualmente l’energia del linguaggio accusatorio: non se ne sfiore-
ranno perciò che alcuni elementi nel seguito di queste pagine, rinviando alle
appendici del saggio la produzione dei testi nella loro integralità.
Buzzati imputa alla Mondadori, in primo luogo, il ritardo incolmabile
con cui era stata programmata una ristampa del romanzo, uscito nel settem-
bre del 1960 in 4000 esemplari andati esauriti già in dicembre; due mesi di
assenza dalle librerie – siamo infatti al 22 febbraio – significavano, secondo
l’autore, «ammazzare un libro» e dare esecuzione a una scelta, «dal punto di
vista organizzativo», da ritenere «semplicemente bestiale». A suo giudizio,
l’esito era stato aggravato inoltre da ciò che egli definisce lo «scarso lancio
del libro», il quale aveva pregiudicato una vendita da presumere «perlomeno
doppia», se «due mesi di vuoto in libreria» non avessero ormai «stroncato
quasi irrimediabilmente lo slancio» del romanzo «sul mercato». Buzzati
rievoca in questo caso anche un mancato articolo promesso da Oreste del
Buono sul settimanale mondadoriano “Epoca”, diretto da Nando Sampie-
tro, e persino l’assenza di una copia pubblicitaria della ristampa del Grande
ritratto, finalmente pronta, nella vetrina della Libreria Mondadori di corso
Vittorio Emanuele II, a Milano. Tuttavia, in queste righe della sua lettera,
l’autore anche entra, per così dire, nella valutazione del proprio libro e dei
11
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo
Mondadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati. Uno stralcio irrilevante è in Discenza,
cit., p. 211 e n. 39; si pubblica integralmente qui, Appendice I, n. 1.
12
Il narratore era stato molto soddisfatto della prima edizione del romanzo e ne
aveva scritto subito ad Arnoldo Mondadori con la deferenza consueta (la lettera è a Mi-
lano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori,
sez. Arnoldo Mondadori, fasc. Buzzati): «9 settembre 1960/ Caro Presidente,/ perdoni se
rispondo con ritardo al suo affettuoso telegramma. Solo oggi sono tornato dal Festival di
Venezia./ Col suo messaggio, ho trovato anche le prime copie del mio “Grande ritratto”.
Un’edizione molto chic, con una sovracoperta bellissima. Ne sono orgogliosissimo./ Ora mi
auguro che la sorte del libro corrisponda all’impegno e alla fiducia dell’editore! Intanto la
ringrazio di cuore e le invio i più devoti e affettuosi saluti/ Suo Dino Buzzati». Ricognizioni
sul rapporto di Buzzati con i suoi editori sono state promosse nell’ambito di alcune tesi di
laurea, come segnala l’inventario di Zangrandi, Un caso che comincia per bi. Viaggio tra
le tesi riguardanti l’opera di Dino Buzzati assegnate negli atenei milanesi (1988-2008), in
AA.VV., Un gigante trascurato? 1988-2008: vent’anni di promozione di studi dell’Associazione
Internazionale Dino Buzzati, a c. di Patrizia Dalla Rosa e Bianca Maria Da Rif, Pisa-
Roma, Fabrizio Serra, 2010, pp. 64-5, 69.
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libri altrui misurandone il successo sulla base dell’attività promozionale di


cui dovrebbe essere responsabile, almeno per tornaconto privato, un editore
moderno e sollecito. «Non è che io ritenga il “Grande Ritratto” un grande
capolavoro – scrive Buzzati –, ma se non altro perché è un libro di lettura
divertente [...], poteva, mi sembra, essere lanciato da voi con maggiore im-
pegno»; più avanti osserva: «Nel mondo d’oggi [...] la vendita di un libro
dipende moltissimo dal lancio e dalla propaganda attraverso una quantità
di manifestazioni e richiami»; questi ultimi «possono anche essere delle as-
solute fregnacce», ma «in pratica contano moltissimo». Sono opinioni che,
malgrado il fuoco della polemica, appaiono riconoscibili anche a distanza
nella carriera dello scrittore, quando egli riflette su «quelle manifestazioni
di contorno all’attività letteraria che sono appunto presentazioni di libri,
interviste e cose del genere»; asserisce in proposito Buzzati dialogando con
Panafieu nel 1971: «In primo luogo, [...] io sono sempre grato a coloro
i quali s’interessano delle cose che faccio. Secondariamente [...] tutti mi
dicono che queste manifestazioni servono agli effetti della diffusione dei
libri» (per concludere: «se io fossi un uomo più serio, forse dovrei farne a
meno e fregarmene...»)13. In maniera analoga, torna in questa circostanza
una qualche svalutazione del Grande ritratto, scaturito certamente da una
“fedeltà a se stesso” che l’autore definisce assunta «per partito preso», ma che
restò lontana, a suo giudizio, dal produrre l’effetto narrativo di «una cosa
senza della quale io non sarei potuto vivere», perché – chiarì nell’intervista
a De Turris – «non si è trattato certo di una di quelle cose che derivano da
un sentimento profondo», ma piuttosto che «si fanno per mestiere»14.
Riprendendo il passo della lettera buzzatiana, tuttavia, si badi spe-
cialmente alla definizione di genere del Grande ritratto, designato libro
«divertente» e per questo estraneo alla natura della «quasi totalità dei libri
di narrativa italiana», secondo una prospettiva che si rivela inedita nella
critica buzzatiana su quel romanzo, ma che un decennio più tardi, pur
commutando le parole e cambiato ormai il quadro di riferimento, quale
bilancio più vasto si riflette di nuovo nell’intervista rilasciata a Panafieu: «Se
ora parlo dell’attuale letteratura narrativa, almeno in Italia, devo dire che
è di una noia mortale»15. Sembra difficile credere che quanti abbiano letto
Il grande ritratto abbiano potuto apprezzarne in primo luogo la sostanza di
romanzo divertente, ma sarebbe utile stabilire proprio in che cosa consista
allora per Buzzati il “divertimento della letteratura” in quell’opera, o se in
queste righe, complice l’opacità involontaria della lingua, egli intenda solo
classificare il suo tuffo nella fantascienza come l’esito di un divertissement
13
B, Un autoritratto, cit., p. 164, precisato tuttavia da quanto si legge a p. 118.
14
Ibidem, p. 130; De Turris, cit., p. 155.
15
B, Un autoritratto, cit., p. 161.
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temporaneo, una mera deviazione dalla traiettoria abituale, percorsa dalla


sua scrittura narrativa lungo i due decenni precedenti, verso un genere che
a quell’epoca si reputava disimpegnato e nutrito di semplici intenti evasivi,
in merito al quale il romanziere protestava in ogni caso di non covare «pre-
giudizi di sorta». Rinviamo naturalmente agli opportuni sondaggi linguistici
nel corpus dell’opera buzzatiana il compito di chiarire la frequenza d’uso
del termine e lo spessore semantico che detiene nel Grande ritratto, senza
tuttavia scordare quanto Buzzati stesso si trovò a precisare dialogando con
Panafieu degli scopi propri della letteratura: «Divertire nel senso classico,
nel senso etimologico», ovvero quello del latino «“divertere”, che significa
“portare fuori”, “distrarre”, “fare sì che l’uomo, quando legge, dimentichi
le sue preoccupazioni, le cure della vita e che venga portato in un mondo
fantastico, o per lo meno, diverso dal suo”»16.
Per tornare, invece, all’oggetto specifico del nostro contributo, è op-
portuno osservare che le imputazioni rivolte all’amico Alberto si dilatano
nelle parole che chiudono il secondo paragrafo della lettera: «Io non mi
sono mai lamentato di Mondadori, però adesso, guardandomi indietro,
mi rendo conto che potevate fare molto di più anche per i miei libri prece-
denti». A quanto si constata, lo sguardo retrospettivo è ora quello di colui
che, spalancando gli occhi con ritardo incolmabile sugli eventi, scopre di
sentirsi tradito nella fiducia riposta in un interlocutore svelatosi, in realtà da
tempo, inadeguato ai doveri elementari della sollecitudine e dell’amicizia.
La durezza dell’accusa, proporzionata alla delusione di un rapporto
fiduciario mancato, detta di conseguenza il terzo, impietoso paragrafo della
lettera, di cui per imperativi di brevità va menzionato il solo titolo, del resto
molto eloquente, sorvolando sui contenuti: «Disinteresse dell’editore verso di
me». Un unico cenno merita però di non passare sotto silenzio, poiché si
tratta di un’autovalutazione intrecciata con un bilancio globale della casa
editrice Mondadori; Buzzati avverte infatti Alberto che «di firme decenti
direi che non ne avete da buttar via, oggi. E quelle poche sarebbe tutta vostra
convenienza “tenerle buone”».
In coda alla lunga requisitoria, il malumore di Buzzati si concentra
infine sul contratto che lo lega al suo editore di riferimento: «Un contratto
che è semplicemente assurdo – scandisce il romanziere – perché i doveri
sono tutti dalla mia parte, mentre l’editore non ha verso di me il minimo
impegno». Segue una minaccia neanche molto velata: «io sono certo che in
caso di contestazione dinanzi a un tribunale, quel contratto non conterebbe
assolutamente niente. È un “patto leonino”, perciò stesso giuridicamen-
16
Ibidem, p. 162. La citazione precedente, cui anche va aggiunto che Buzzati era
disposto a considerare quella fantascientifica una «possibile ispirazione “meno classica”»,
proviene da De Turris, cit., p. 155.
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te nullo». Pur limitandoci a questi minimi prelievi, sembra evidente che,


immaginando di impugnare il contratto che lo lega a Mondadori, Buzzati
intenda qui porre un’alternativa esplicita e non suscettibile di negoziato: i
rapporti, anche normativi o finanziari, devono cambiare, oppure la collabo-
razione con l’editore milanese da parte di una delle poche «firme decenti»
a lui rimaste avrà fine.
L’asprezza delle parole, talmente inabituale in Buzzati secondo quanto
documenta anche l’intervista con Panafieu (in merito, vale l’eccezione di-
mostrativa dell’allestimento teatrale di un atto unico del 1946, La rivolta
contro i poveri, e della polemica che ne seguì con Giorgio Strehler)17, misura
il perimetro di una crisi di fiducia di proporzioni inattese e dagli esiti im-
prevedibili, cui corrisposero del resto il silenzio imbarazzato e il probabile
disappunto di Alberto Mondadori, senz’altro stupito dinanzi a un atto d’ac-
cusa di simile gravità dopo anni d’amicizia all’apparenza solida. È vero che
Buzzati chiudeva il proprio atto accusatorio ammettendo che la sua lettera
«di mugugno» potesse «sembrare un poco dura» e dichiarando il «bisogno»
di uno «sfogo» dettato dalla sincerità e scritto con il «cuore in mano», ma
la bonaria, classica locuzione milanese dell’epilogo (cont el cœur in man)18 e
la confessione della spontaneità da cui è preceduta non riuscivano di certo
a palliare in alcun modo il linguaggio ultimativo che aveva dettato le tre
interminabili cartelle dattiloscritte della missiva.
Si rivela comprensibile, di conseguenza, che a venire investito del com-
pito di una prima mediazione con l’autore incollerito fu l’amico e qua-
si coetaneo di Alberto Mondadori, Vittorio Sereni, che dall’autunno del
1958 lavorava alacremente come direttore letterario presso la casa editrice
milanese19. Di lui è sopravvissuta una lettera molto fitta del 2 marzo, che
suona, nel suo insieme, come un atto di discolpa meno personale che edi-
toriale, ispirato probabilmente a una linea di difesa concordata in privato

17
«In un certo momento io, proprio nevroticamente, mi sono alzato e ho detto: “No.
Così non è possibile! Così non si può dare questa roba qui!”. Perché nessuno sapeva recitare.
E sono andato fuori incavolato. Il che mi stupisce ancora, perché io ti assicuro, di solito,
sono molto umile, e mi guardo bene dall’interferire con i miei interpreti»; ibidem, p. 146.
Sulla Rivolta e gli altri testi teatrali buzzatiani cfr. Paolo Puppa, Pirandello nascosto nella
scena di Buzzati, “P.r.i.s.m.i. Revue d’Études Italiennes”, 12, 2014 («Alla fine... una riga
si potrà salvare», cit.), pp. 305-16.
18
Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, vol. I, Milano, Imp. Regia
Stamperia, 1839, p. 300, s.v. Cœùr: «Cont el cœur in man. Col cuore in mano o sulle labbra.
A grembo aperto».
19
Giosue Bonfanti, Cronologia, in Vittorio Sereni, Poesie, edizione critica a c.
di Dante Isella, Milano, Mondadori, 1995, p. CXVII; Alberto Mondadori, Lettere
di una vita 1922-1975, a c. di Gian Carlo Ferretti, Milano, Fondazione Arnoldo e
Alberto Mondadori, 1996, p. CL.
120 Otto/Novecento, 1/2017

con Alberto20; anche in tal caso, ci limitiamo a una ricognizione sbrigativa


dell’importante documento.
Sereni mette a fuoco solo due elementi della discussione, vale a dire,
secondo le sue parole, la «questione del lancio» e la richiesta di una maggiore
attenzione, da parte dell’editore, ai destini del romanzo. Circa il primo punto,
Sereni respinge al mittente l’accusa che Il grande ritratto fosse stato oggetto di
una pubblicità tiepida o insufficiente, fermo restando che del mancato arti-
colo su “Epoca” erano state responsabili le «dimissioni» di Oreste del Buono
(con il quale, peraltro, i rapporti di Alberto Mondadori avevano sfiorato una
rottura clamorosa solo tre mesi prima della comparsa del Grande ritratto)21
e «quella specie di interregno» che il settimanale aveva conosciuto, dopo la
direzione triennale di Enzo Biagi, fra il luglio e il settembre del 1960, quando
alla sua guida fu ad interim lo stesso Arnoldo Mondadori, o nei primi mo-
menti della direzione Sampietro, «uomo di campagna»; peraltro, a giudizio
di Sereni, «data la precedente apparizione a puntate in un settimanale non
nostro», ovvero su “Oggi”, nel 1959 diretto presso Angelo Rizzoli da Emilio
Radius (per Buzzati, «la persona più intelligente ch’io conosca», insieme con
Arturo Brambilla)22, «il libro non aveva bisogno di una spinta particolare».
Sereni rifiuta, in secondo luogo, l’opinione del romanziere in merito al suo
«senso di non essere seguito e addirittura pungolato» dall’editore; i termini
sono estratti con fedeltà di citazione dalla lettera buzzatiana, dove il bellunese
aveva scritto in polemica con Alberto Mondadori: «Un editore non deve
limitarsi a stampare, a vendere i libri, ma deve “curare” i suoi autori, tener
loro dietro, pungolarli, incoraggiarli, e così via». La replica anche in questo
caso non è meno ferma: a giudizio di Sereni, Buzzati non si doveva più
ritenere uno scrittore inesperto da sollecitare, ma una personalità letteraria
ormai riconosciuta e apprezzata cui chiedere, piuttosto, ben altra esposizione,
ad esempio di «pubblicare ampliato il libro grazie al quale abbiamo avuto
modo di conoscerci in seguito a una mia recensione di dieci anni fa», oppure
20
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo
Mondadori, sez. Segreteria editoriale autori italiani, fasc. Buzzati; edita in Appendice I, n. 2.
21
Mondadori, cit., pp. 661-3, n. 561.
22
B, Un autoritratto, cit., p. 58. Su Buzzati e Brambilla (il diario del quale Dino aveva
invano cercato di fare accogliere da Neri Pozza in una delle sue collane fin dal settembre del
1963: Pozza, cit., pp. 110-1) si veda Angelo Colombo, Tributo postumo d’amicizia. Dino
Buzzati e il Diario di Arturo Brambilla (con lettere inedite), in AA.VV., Lo studio, i libri e le
dolcezze domestiche. In memoria di Clemente Mazzotta, a c. di Claudio Griggio e Renzo
Rabboni, Verona, Fiorini, 2010, pp. 745-69, mentre circa le vicissitudini di “Epoca”, della
quale anche Alberto Mondadori fu direttore con scarso successo, si rinvia a Mondadori,
cit., pp. LXXXIII-LXXXVI; la definizione dell’«amico» Sampietro è ibidem, p. 535, n. 447,
mentre sul settimanale mondadoriano si veda Andrea Aveto, “Epoca”, in Giornalismo
italiano 1968-2001, a c. di Franco Contorbia, Milano, Mondadori, 2009, pp. 1935-6.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 121

le «tue cose in versi». Il volume cui Sereni allude è naturalmente la raccolta


uscita da Pozza nel 1950, In quel preciso momento, da lui recensita con favore
in “Milano Sera” (Il messaggio dell’ignoto, 27-28 marzo 1951)23, che grazie
al “pungolamento” di Sereni in quel marzo del 1961 entra così fra i pro-
getti editoriali di Buzzati da destinare nell’immediato futuro al catalogo di
Mondadori; le «cose in versi» del Capitano Pic, per compensazione, saranno
invece riservate nel 1965 all’amico carissimo Neri Pozza, che l’anno dopo, l’8
dicembre del 1966, con la moglie Lea Quaretti avrebbe fatto da testimone
alle nozze di Almerina con Dino.
Il legame che Buzzati aveva intrecciato con Sereni, ben prima che si rin-
novasse mediante l’incontro personale con lui negli uffici della Mondadori,
era stato inaugurato proprio dalla circostanza che il secondo rievocava ora
nella sua lettera appellandosi alla fiducia e alla stima reciproca maturate a
seguito della comparsa di In quel preciso momento nel 1950. Alla recensione
positiva di Sereni era infatti corrisposto, il 17 ottobre del 1951, un ringrazia-
mento sincero e amichevole da parte di Buzzati, che, giustificando il ritardo
con una sua assenza fortuita da Milano, aveva rivelato a Sereni di conside-
rarsi «lusingato moltissimo» dall’articolo, non soltanto per «l’impegno e la
serietà di esame» con cui il libro era stato valutato, né per le numerose «sen-
tenze favorevoli» che la recensione ospitava, ma «anche, e specialmente, per
alcune dichiarazioni riguardanti la “natura poetica”» di certi «pezzi», «cosa
che mi è riuscita cara più di ogni altra lode»24. La lettera buzzatiana insisteva
sulla natura irrazionale dell’ispirazione letteraria riconoscendo perciò che
alcune pagine del libro erano state elaborate inconsapevolmente «a freddo»,
lontano dalla «misteriosa grazia, grande o piccola, senza della quale non si
fa niente di buono e alla quale io credo superstiziosamente proprio come
ad un intervento esterno e quasi soprannaturale», indispensabile alla buona
riuscita di un’opera letteraria perché «chi scrive, spesso anche dopo avere

23
Poi, con il titolo In quel preciso momento, in Sereni, Letture preliminari, Padova,
Liviana, 1973, pp. 24-8; ora in Sereni, Poesie e prose, a c. di Giulia Raboni, Milano,
Mondadori, 2013, pp. 828-31. Nelle Letture preliminari Sereni ha raccolto sotto il titolo
generale di Tre crisi degli anni Cinquanta anche altri due articoli, Cancroregina (pp. 19-24,
sul romanzo di Tommaso Landolfi) e Le mie stagioni (pp. 28-32, su quello di Giovanni
Comisso). A proposito di In quel preciso momento si vedano la scheda di Zangrandi, Dino
Buzzati, cit., pp. 19-20 e i contributi di Franca Linari, Dalla narrativa al diario: strut-
ture diaristiche nella raccolta buzzatiana “In quel preciso momento”, “Studi Buzzatiani”, 5,
2000, pp. 7-25, di Stefano Lazzarin, Il Buzzati “secondo”. Saggio sui fattori di letterarietà
nell’opera buzzatiana, Manziana, Vecchiarelli, 2008, pp. 202-5 (altra bibliografia specifica
a p. 202, n. 12) e di Andrea Pagani, L’epifania di Buzzati. “In quel preciso momento”, “Il
Lettore di Provincia”, 142, 2014, pp. 27-31.
24
Luino, Archivio Sereni VI, Buzzati. Lettera autografa, edita integralmente qui,
Appendice II.
122 Otto/Novecento, 1/2017

scritto, spesso non avverte la mancanza di quest’aria vitale, e confonde le


cose giuste con quelle sbagliate».
Le parole indirizzate a Sereni nel 1951 anticipano quanto Buzzati avreb-
be ripetuto in termini del tutto simili discorrendo di poesia con Panafieu
vent’anni più tardi: «La mia esperienza mi porta a concludere che una delle
cose caratteristiche della poesia è proprio l’essere misteriosa in sé per sé»,
visto che ci sono degli scrittori provvisti di «tutte le doti possibili e imma-
ginabili», ma che «non sono toccati dalla grazia della poesia», perché «ci
sono quelli che sono toccati dalla grazia e altri, che da essa non sono stati
toccati»25. Per parte sua, in una «riservatissima» del 10 aprile 1967 indi-
rizzata al presidente della casa editrice, Sereni avrebbe ribadito la tenacia
della propria stima verso il bellunese includendo il nome di Buzzati, con
quelli di Bassani, Pratolini, Tobino, Palazzeschi e di altri tredici, nella lista
degli autori che non dovevano essere lasciati «andare ad altri editori», se
Mondadori intendeva realmente attenersi, come era per lui augurabile, a
un «criterio di stretta qualità»26.
La lettera del 2 marzo tace invece del contratto impugnato da Buzzati
nell’ultimo paragrafo della sua del 22 febbraio, poiché Sereni sapeva che
di esso il romanziere doveva dialogare di persona con Alberto Mondadori
nei giorni a venire; la replica si chiude, in ogni caso, con una rimostranza
non troppo velata nei confronti di Buzzati, che a giudizio di Sereni aveva
dato la spinta opportuna, certamente, a un’utile «ripresa del discorso», ma
l’aveva fatto «sotto il segno della polemica»: termini nei quali si avverte forse
l’eco della reazione adirata di Alberto Mondadori al gelido atto d’accusa
del bellunese contro di lui. Il 4 aprile, scrivendo a Buzzati lo stesso Alberto,
con circospezione, si augurava perciò che l’amico avesse ormai «ricevuto
e approvato la modifica al contratto di cui si è cordialmente discusso»,
ma anche salutava con piacere e con fiducia senz’altro esagerata la notizia
secondo cui sarebbe stata presto possibile la «ristampa con aggiunte di “In
quel preciso momento”»27. Nella lettera, tuttavia, Alberto Mondadori volle
anche rievocare la polemica di febbraio, la cui onda d’urto non doveva
essere ancora del tutto spenta dall’una come dall’altra parte, precisando a

25
B, Un autoritratto, cit., p. 151.
26
Ferretti, Poeta e di poeti funzionario. Il lavoro editoriale di Vittorio Sereni, Milano,
Il Saggiatore-Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1999, pp. 100-1.
27
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mon-
dadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati (una seconda copia, identica, è a Milano,
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori, sez.
Segreteria editoriale autori italiani, fasc. Buzzati); qui, Appendice I, n. 3. Un esemplare del
contratto, recante le correzioni sollecitate dall’autore, è depositato a Milano, Fondazione
Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio dell’Agenzia letteraria internazionale.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 123

sua volta che il ritardo nella ristampa del Grande ritratto non era «reale»,
ma «più apparente», mentre le «manchevolezze» in merito al «lancio» del
romanzo erano state causate da «ragioni tecniche» e «di opportunità» che
liberavano la casa editrice dalle accuse mossele e specialmente da quella di
un’attenzione insufficiente nei confronti del suo autore. In merito a ciò,
la lettera è di rilievo perché ribadisce quanto con ogni probabilità Alberto
Mondadori aveva tenuto a stabilire dialogando con Buzzati nell’incontro
privato del mese di marzo, in cui aveva tentato di ricomporre la frattura
profonda intervenuta nel legame di fiducia con il romanziere; «il punto che
mi preme di più – scrive infatti – è quello del nostro presunto disinteresse
nei tuoi confronti», proseguendo: «Penso che a quest’ora tu sia pienamente
convinto che il nostro atteggiamento è addirittura l’opposto di quello che
con amarezza ci avevi attribuito», infatti in tal caso sarebbe «troppo evidente
che non faremmo nemmeno il nostro più volgare interesse», qualora fosse-
ro lasciati mancare sostegno e consensi a «un autore come te, tra l’altro di
sicuro successo». Allo scopo di stringere un nuovo patto di collaborazione
conferendogli il crisma dell’ufficialità e ritenendo esaurito l’incidente del
Grande ritratto, Alberto Mondadori chiude perciò la sua lettera in sintonia
con le parole di Sereni, sollecitando la rapida consegna del dattiloscritto del
nuovo libro da parte di un interlocutore rimasto probabilmente dubbioso,
se non freddo: «Ti raccomando di mandarci il più presto possibile il testo
completo e aggiornato di “In quel preciso momento”»28.
La replica di Buzzati alle giustificazioni e all’invito, in realtà, si dimostrò
stentata e dilatoria. Forse attirato da altri impegni, o ancora deluso per la
vicenda del Grande ritratto e per le sue ricadute, a parte gli obblighi profes-
sionali sempre intensi, egli era inoltre assorbito, ormai, dal lavoro attorno al
vero romanzo nuovo, Un amore, cui volle riservare dall’inizio una funzione
determinante nella conquista della propria identità narrativa: «Non saprei
dire se son diventato finalmente maturo, o arrivo appena adesso ai veri
vent’anni», dichiarò infatti conversando nel febbraio del 1961 con Paolo
Monelli, e «questo libro è la stessa mia vita» asserì con risolutezza scrivendo
ad Alberto Mondadori poco prima di consegnargli il dattiloscritto29; Buz-
28
Il 23 marzo Buzzati era stato avvertito dalla casa editrice: «Caro Buzzati, / a seguito
della telefonata fattaLe dal nostro dottor Sereni, siamo lieti di comunicarLe che l’editore
Neri Pozza ci autorizza a pubblicare “In quel preciso momento”, con le aggiunte che Lei
riterrà opportuno di fare./ Restiamo dunque in attesa del testo, e intanto La salutiamo
cordialmente/ arnoldo Mondadori Editore» (Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto
Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori, sez. Segreteria editoriale autori italiani,
fasc. Buzzati; lettera dattiloscritta).
29
Paolo Monelli, Ombre cinesi. Scrittori al girarrosto, Milano, Mondadori, 1965, p.
111; Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mon-
dadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati: lettera dattiloscritta con aggiunte autografe,
124 Otto/Novecento, 1/2017

zati rispose perciò con ritardo e fra lunghi intervalli di silenzio in merito
a una veloce compilazione di In quel preciso momento. Dopo un biglietto
laconico in luglio30, agli inizi di novembre del 1961, apparso inutile qualche
altro tentativo telefonico, Vittorio Sereni rifaceva scherzosamente il verso a
Buzzati tornando sulla «faccenda dell’editore che non pungola e dell’autore
che non si sente abbastanza pungolato», per domandarsi, temendo ormai
di riuscire «antipatico a furia di solleciti»: «Chissà se con una lettera riesco
ad avere il testo definitivo di “In quel preciso momento”, a raggiungere
insomma l’effetto che non ho ottenuto con le varie telefonate?»31.
L’augurio non sortì esito alcuno, invece, se un mese più tardi Sereni era
costretto a incalzare di nuovo il suo destinatario inadempiente: «vedo che
proprio non vuoi più sentir parlare di me. Infatti anche la mia lettera dell’8
novembre è rimasta senza risposta»; gli domandava, perciò, con qualche
intento di provocazione: «lo sarà fino al “preciso momento” in cui mi con-
segnerai il testo definitivo del manoscritto?»32. La missiva, con il suo augurio
iterato, rimase a sua volta priva di repliche, tanto che dovette intervenire,
dall’estero, dove si trovava in quel momento, Alberto Mondadori, il quale,
sabato 30 dicembre 1961, inviò al suo autore un telegramma incalzante in
cui erano ripresi gli stessi termini di Buzzati già ribaditi con ironia e senza
successo in novembre da Sereni, ma dal quale affiora anche l’interesse cre-
scente per il nuovo romanzo in preparazione, Un amore: «Anche da lontano
ti pungolo per il nuovo romanzo nella speranza che nel frattempo tu abbia
consegnato il sospirato Preciso momento»33. Leggendo a ritroso i fogli della
corrispondenza e allineando mentalmente le vicende che ad essi si intreccia-
no senza depositare traccia nelle lettere, appare dunque del tutto verosimile
che la concorrenza interna creatasi nel laboratorio di scrittura del narratore
datata «I gennaio 1963» (edita anche in «Fra cultura e vita», cit., pp. 39-41, n. 3). Sulle
vicende editoriali di Un amore si rinvia perlomeno alle testimonianze e alle valutazioni
di Mondadori, cit., p. 757, n. 650 e p. 803, n. 698, di Leda Cavalmoretti, Arnoldo
Mondadori e Dino Buzzati: un editore e un autore “col cuore”, in AA.VV., Libri e scrittori
da collezione. Casi editoriali in un secolo di Mondadori, a c. di Roberto Cicala e Maria
Villano, Milano, Isu Università Cattolica, 2007, pp. 217-21 in particolare (che ignora
invece la vicenda del Grande ritratto), e di «Fra cultura e vita», cit., pp. 41-3, nn. 4-6.
30
«Grazie! / dal tuo Dino»: Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archi-
vio storico Arnoldo Mondadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati; biglietto autografo
senza data, aggiunta dal ricevente mediante timbro a inchiostro blu («- 4 lug. 1961»).
31
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mon-
dadori, sez. Segreteria editoriale autori italiani, fasc. Buzzati. Appendice I, n. 4.
32
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mon-
dadori, sez. Segreteria editoriale autori italiani, fasc. Buzzati. Appendice I, n. 5.
33
Il telegramma è noto grazie alla copia, autografa di Alberto Mondadori, custodita a
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori,
sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati, edita in Appendice I, n. 6.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 125

bellunese avesse rallentato il libro non nuovo a beneficio dell’accelerazione


impartita con maggiore energia al libro inedito, Un amore, approdato a sua
volta alle stampe nel 1963, come In quel preciso momento, ma originato da
un’ideazione di soli quattro anni avanti.
Per un caso che, a questo punto, assume i contorni ambigui del surreale,
il telegramma d’auguri e di sollecitazione mandato da Alberto Mondadori
non pervenne mai fra le mani di Buzzati, come probabilmente non gli era
stata recapitata neanche la lettera sereniana del 4 dicembre; forse già dal
mese di novembre del 1961 il romanziere aveva cambiato casa, in città, tra-
sferendosi da viale Maino a viale Vittorio Veneto. Informato del disguido e
perché Buzzati appariva incredulo circa lo smarrimento di un telegramma
a lui diretto, Alberto Mondadori volle allora ribadire con puntiglio notarile
la sua fiducia nell’amico inviandogli, per posta, la trascrizione del “pungo-
lamento” del 30 dicembre 1961; il 16 febbraio del 1962, perciò, lo avvertì:
«Eccoti [...] il testo del telegramma che ti ho inviato a fine anno, nonché la
relativa ricevuta»34. Termini così rigorosi e prove persino certificate da docu-
mentazione postale non potevano che avere il compito di fugare gli ultimi
ma persistenti dubbi dell’autore, che dunque non aveva ancora pienamente
superato il doppio scacco dell’accoglienza negativa riservata al romanzo di
fantascienza e dello scontro con il suo editore, dopo un anno, né doveva essere
del tutto persuaso in merito all’interesse autentico di Mondadori per ogni sua
proposta narrativa, più o meno felice che si rivelasse agli occhi della critica.
Le tensioni sorte attorno al Grande ritratto si placarono solo al prin-
cipio di marzo del 1962, quando, voltando finalmente pagina, Buzzati
depositò la raccolta a lungo attesa sulla scrivania di Vittorio Sereni, che
subito ne scrisse con sollievo all’interlocutore e consulente fidato, Nic-
colò Gallo35: «Buzzati mi ha finalmente consegnato il testo di “In quel
preciso momento”, più una raccolta di “pezzi” giornalistici da aggiungere
alla nostra edizione di quel suo libro»; si avvicinava alle stampe, perciò,
quella raccolta di inserti lirici e narrativi, confessioni, racconti in minia-
tura che è sembrata, a distanza di tempo, «essenziale» per la comprensione

34
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mon-
dadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati; biglietto autografo su foglio con rigatura
(si tratta del verso del documento precedente); copia dattiloscritta nella medesima sede,
qui in Appendice I, n. 7.
35
Su di lui (che dal 1° ottobre 1959 dirigeva le due collane di Mondadori dei “Nar-
ratori italiani” e della “Medusa degli italiani”) si rinvia a Virna Brigatti, Niccolò Gallo.
La ricerca di una militanza, in AA.VV., Protagonisti nell’ombra. Bonchio Brega Ferrata Gallo
Garboli Ginzburg Mauri Pocar Porzio, a c. di Ferretti, Milano, Unicopli - Fondazione
Arnoldo e Alberto Mondadori, 2012, pp. 77-96, e a Ferretti, Storia di un editor. Niccolò
Gallo, Milano, Il Saggiatore - Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2015.
126 Otto/Novecento, 1/2017

dell’universo poetico buzzatiano36. Il gesto distensivo del narratore, da


molto augurato, apriva ciononostante un nuovo contenzioso che Sereni
riassumeva così, chiedendo aiuto a Gallo per dirimere una questione ora
non più soltanto letteraria, ma dalle implicazioni più ampie, giuridiche
e commerciali: «Alcuni “pezzi” tratti dal libro, e tre fra quelli apparsi nei
giornali, sono già stati pubblicati in un volume dell’editore Elmo, illustrato
da Siné, e intitolato “Siamo spiacenti di...”»; la circostanza complicava il
quadro: infatti, «poiché questo libro ha avuto un buon successo di vendite,
sarà ristampato, e si troverà sul mercato insieme con la nostra edizione di
“In quel preciso momento”»37.
Malgrado il nuovo intralcio, l’anno seguente, il 1963, Mondadori eb-
be in catalogo, insieme, In quel preciso momento e Un amore; aveva scritto
Alberto all’amico Dino, infine rasserenato, il 19 novembre del 1962, sta-
bilendo persino un calendario di precedenze e susseguenze editoriali che
privilegiava il romanziere bellunese – quasi un indennizzo a distanza per
quelle vetrine rimaste vuote in città un anno prima, in cui a mancare era
stato Il grande ritratto: «Se riesci a consegnarmi il tuo nuovo romanzo entro
il 31 Gennaio dell’anno prossimo, ti prometto di metterlo in vetrina per la
metà di Aprile, in modo da precedere i nuovi romanzi di Pratolini, Petroni e
De Cespedes»; a ciò egli aggiungeva la precisazione: «Rimane naturalmente
sempre valido l’accordo già definito di ristampare in autunno “In questo
preciso momento”»38.

36
Gian Paolo Marchi, [Nota], in B, E laggiù, forse, qualcuno ci aspetta, Verona,
Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona, 2000, p. 9.
37
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mon-
dadori, sez. Segreteria editoriale autori italiani, fasc. Buzzati; adesso in Appendice I, n. 8. In
merito alla questione e agli sviluppi della raccolta In quel preciso momento si vedano almeno
Discenza, cit., pp. 208-10 e Zangrandi, Dino Buzzati, cit., pp. 24-5, 61-4, 145-9, senza
tuttavia scordare, accanto all’articolo di Sereni già rammentato, la celebre recensione di
Eugenio Montale, Coriandoli di poesia, “Corriere della Sera”, 21 marzo 1951, ora in
Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a c. di Giorgio Zampa, t. I, Milano,
Mondadori, 1996, pp. 1187-93; di Buzzati, suo collega nella redazione del quotidiano
milanese, Montale scrisse anche il necrologio (L’artista dal cuore buono, “Corriere della
Sera”, 29 gennaio 1972, ora in Montale, Il secondo mestiere, cit., t. II, pp. 2991-4) e a lui
aveva donato un esemplare delle due edizioni della Farfalla di Dinard, 1956 e 1960, con
dediche amichevoli e suggestive: cfr. I libri di Dino, Catalogo della Mostra (Belluno-Feltre,
5-16 giugno e 18-30 giugno 2004), a c. di Isabella Pilo e Riccardo Ricci, Feltre, Agorà,
2004, pp. 36-7. Della recensione Neri Pozza ringraziò il poeta il 24 marzo del 1951 (Pozza,
cit., p. 207); su Montale e Buzzati si rinvia in ogni caso a Fabrice De Poli, Des affinités
spirituelles. Montale lecteur de Buzzati, in AA.VV., Dino Buzzati d’hier et d’aujourd’hui.
À la mémoire de Nella Giannetto, textes réunis et présentés par Colombo et Delphine
Bahuet Gachet, Besançon, Presses universitaires de Franche-Comté, 2008, pp. 147-62.
38
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 127

Si badi all’approssimazione nel citare l’ultimo titolo, che non è ormai il


più bramato fra i due previsti, mentre anche di questo romanzo, “secondo”
rispetto a Un amore, Buzzati avrebbe donato, come sempre, svariati esem-
plari agli amici includendovi dediche personali e affettuose39. Dopo l’in-
successo del Grande ritratto e la crisi acuta insorta nei rapporti fra l’autore e
il suo editore preferito, si era dunque aperta una nuova stagione – l’ultima
– nella carriera di Buzzati, sotto gli auspici della prestigiosa casa editrice
di Milano e nel segno di un’amicizia con Alberto Mondadori interamente
ritrovata: anche presso il suo artefice, Il grande ritratto e le contrarietà
profonde che ne erano scaturite avevano davvero cessato di alimentare
fastidi. Un amore era destinato ad aprire, del resto, una fase più intensa
dei rapporti fra il romanziere e l’editore, incrementando al contempo una
carica di familiarità sino ad allora inusuale da parte di Buzzati, della quale
si accorse subito Alberto Mondadori, impressionato dalla sincerità che il
bellunese aveva liberato nella sua lettera del 1° gennaio 1963, in cui gli
annunciava il non lontano invio del dattiloscritto di Un amore e chiedeva
ora «un lancio strepitoso» per quel romanzo, designato, con linguaggio di
forte evidenza emozionale, «traccia del sangue» che sarebbe stato impossi-
bile «cancellare in un mattino». Vinto dal fervore di quelle righe, Alberto
replicò in maniera non meno partecipata:
Milano, 11 gennaio 1963
Caro Dino,
avrai il lancio strepitoso. Non mi porrò nemmeno la domanda se il Buzzati
ha ragione e attendo con ansia fine gennaio per leggere “Un amore” e ti ringrazio,
molto commosso di quello che mi hai scritto, di quello che mi hai detto.
È privilegio raro per un editore, che un autore tanto riservato, tanto discreto,
tanto schivo come te, gli abbia lasciato intravedere un lato così segreto di sé.
Ti abbraccio, tuo
Alberto Mondadori40
La lettera ribadisce a proprio modo sia la nozione della “segretezza”,
così tipica del linguaggio e del sentire di Buzzati, sia il carattere autentico
del romanziere, condensato in maniera fulminea nella triade aggettivale

Mondadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati; Appendice I, n. 9. Allude al romanzo


di Alba de Cèspedes, Il rimorso (1963: sulla polemica circa il ritardo della pubblicazione si
veda Mondadori, cit., pp. 763-5, n. 658) e a quello di Vasco Pratolini, La costanza della
ragione (1963: ibidem, p. 733, n. 623, p. 750, n. 642 e pp. 755-6, n. 648); Guglielmo
Petroni, invece, pubblicò presso Mondadori Il colore della terra nel 1964.
39
I libri di Dino, cit., pp. 25 e 43; Colombo, Contini lettore di Buzzati. Appunti in
margine a due autografi, “Rivista di Letteratura Italiana”, 1, 1999, pp. 99-100.
40
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori,
sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati. Correggiamo un refuso evidente («fien»: «fine»).
128 Otto/Novecento, 1/2017

che ne fissa l’immagine indimenticabile («tanto riservato», «tanto discreto»,


«tanto schivo»), e conferma di conseguenza l’eccezionalità delle polemiche
trascinatesi attorno al Grande ritratto nei mesi precedenti. Peraltro, nessuna
zona del carteggio mondadoriano di Buzzati, nella porzione residua che
accompagna il dialogo con Alberto verso il momento della scomparsa del
bellunese, custodisce indizi ulteriori di qualche disaccordo occasionale in-
sorto a causa di colui che l’editore avrebbe commemorato nostalgicamente,
poco più tardi, come un «amico raro, unico», un compagno di strada per
«tanti e tanti anni»41.

Appendice I*

1.

[f. 1r] Milano1, 22 febbraio 1961

Caro Alberto,
scrivo a te prima di tutto perché sei il più direttamente competente, e poi perché
a te posso parlare con maggiore confidenza e scioltezza piuttosto che al Presidente.
Questa è una lettera di mugugno per i seguenti motivi:

1 = Ritardo nella ristampa del “Grande ritratto”:


Il “Grande Ritratto”, se non mi sbaglio, è uscito ai primi di2 ottobre e subito
dopo si è visto che andava bene. Per un intero mese qui a Milano è stato il best-
seller. Ci voleva poco a capire che la prima edizione, di quattromila copie se non
sbaglio, sarebbe andata presto bruciata, e che bisognava fare immediatamente una
ristampa.
No, il libro a metà dicembre, se non sbaglio, era già esaurito e sono passati
ben due mesi, dico due mesi, senza che le librerie potessero essere rifornite. Questo
significa ammazzare un libro e ammetterai anche tu che dal punto di vista orga-
nizzativo è semplicemente bestiale.

41
Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo
Mondadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati. La citazione proviene dal telegramma
di cordoglio inviato da Alberto Mondadori ad Almerina Buzzati il 31 gennaio 1973 per
la scomparsa di Dino.
*
Tutti i documenti delle due appendici sono trascritti fedelmente, comprese minime
irregolarità, mentre si segnalano in nota le divergenze fra l’edizione da noi proposta e
l’originale, nonché altre peculiarità di quest’ultimo; sono resi sempre in corsivo i lemmi
sottolineati, mentre fra parentesi uncinate si colloca un’integrazione editoriale.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 129

2 = Scarso lancio del libro.


Non è che io ritenga il “Grande Ritratto” un grande capolavoro, ma se non
altro perché è un libro di lettura divertente contrariamente alla quasi totalità dei
libri di narrativa italiana, poteva, mi sembra, essere lanciato da voi con maggiore
impegno. Sono convinto [f. 2r] che se voi l’aveste fatto, la vendita poteva essere
perlomeno doppia, e temo che ormai sia troppo tardi. Due mesi di vuoto in li-
breria stroncano quasi irrimediabilmente lo slancio di un libro sul mercato. Voi
vi siete limitati a quel minimo di pubblicità sul vostro bollettino e sui quotidiani
che fate per qualsiasi vostra pubblicazione. “Epoca”, che doveva pubblicare un
lungo articolo di Del Buono3, non ha fatto niente. Per il resto, zero via zero. Basti
pensare che persino nella vostra libreria di Corso Vittorio Emanuele, in occasione
della ristampa, non è stata esposta neppure una copia. Nel mondo d’oggi, tu me
lo insegni, la vendita di un libro dipende moltissimo dal lancio e dalla propaganda
attraverso4 una quantità di manifestazioni e richiami che possono anche essere delle
assolute fregnacce, ma che in pratica contano moltissimo.
Per la verità, io non mi sono mai lamentato di Mondadori, però adesso,
guardandomi indietro, mi rendo conto che potevate fare molto di più anche per
i miei libri precedenti.

3 = Disinteresse dell’editore verso di me.


Un editore non deve limitarsi a stampare, a vendere libri, ma deve “curare” i
suoi autori, tener loro dietro, pungolarli, incoraggiarli, e così via.
Il “Deserto dei Tartari” probabilmente non l’avrei mai scritto, o l’avrei scritto
chissà dopo quanti anni, se non ci fosse stato Longanesi5 che insistentemente mi
aizzava. Voi nei miei confronti, da questo punto di vista, non esistete addirittura.
[f. 3r] E io sono proprio un individuo che avrebbe moltissimo bisogno di solle-
citazioni esterne.
Nelle6 mie condizioni, un autore finisce per persuadersi che la sua opera non
è ritenuta poi molto importante dall’editore. Strano, perché di firme decenti di-
7

rei che non ne avete da buttar via, oggi. E quelle pochissime sarebbe tutta vostra
convenienza “tenerle buone”8.

4 = Assurdità del contratto.


Io sono legato a voi da un contratto che è semplicemente assurdo perché i
doveri sono tutti dalla mia parte, mentre l’editore non ha verso di me il minimo
impegno. Non so chi sia il vostro consigliere legale, ma io sono certo che in caso di
contestazione dinanzi a un tribunale, quel contratto non conterebbe assolutamente
niente. È un “patto leonino”, perciò stesso giuridicamente nullo.
Perché dovrei essere io legato a un impegno di opzione senza un corrispet-
tivo? Tra i particolari poi del contratto c’è l’esosità di quella distinzione fra testo
e rilegatura che sarà consuetudine, ma che comunque io non sono disposto ad
accettare9 per i miei prossimi libri.
130 Otto/Novecento, 1/2017

Caro Alberto, mi rendo conto benissimo come questa lettera possa sembrare
un poco dura. D’altra parte mettiti una mano sulla coscienza e dimmi: ho forse
torto? Sentivo il bisogno di questo sfogo e secondo la mia abitudine di sincerità,
ti ho scritto col cuore in mano.
Con la vecchia amicizia, tuo
Dino Buzzati10

Lettera su carta intestata «corriere della sera/ redazione», composta di tre fogli
graffati insieme (in alto, a sinistra), dattiloscritta (ad eccezione della firma) e con correzio-
ni di pugno dell’autore, recante tracce di piegature ortogonali; in testa alla prima carta si
legge il timbro di ricezione («23 feb. 1961»); in alto a destra, nella seconda carta, «foglio
2°» dattiloscritto, analogamente a quanto figura nella terza carta, in alto a destra («foglio
3°», con il numero «3» ribattuto su «2»).
1
«Milano,» prestampato; l’intestazione «corriere della sera/ redazione» appare
biffata mediante un tratto a inchiostro nero dal basso verso l’alto, da sinistra a destra; in
fondo al foglio, a destra, il codice stampato «mod. 146 - III ed. - 1-58 - 10.000». I medesimi
elementi a stampa si ripetono nei due fogli seguenti della missiva.
2
«i» ribattuta su «o» (è l’errore causato abitualmente dalla contiguità di due lettere
sulla tastiera).
3
Oreste del Buono (1923-2003), giornalista, narratore e traduttore.
4
La prima «a» ribattuta sopra «q» (per la ragione di cui alla precedente n. 2).
5
Leo Longanesi, giornalista ed editore, direttore, presso Rizzoli, della collana “Il sofà
delle Muse” che ospitò nel 1940 il Deserto buzzatiano. Sulla sua figura si vedano perlomeno
la monografia di Annamaria Andreoli, Leo Longanesi, Firenze, La Nuova Italia, 1980
e Leo Longanesi 1905-1957. Editore scrittore artista, Catalogo della Mostra (Milano, 24
ottobre 1996 - 12 gennaio 1997), a c. di Giuseppe Appella, Paolo Longanesi e Marco
Vallora, Milano, Longanesi, 1996.
6
Il nuovo capoverso, che manca nell’originale (dove la frase segue in linea), è indicato
da un tratto di penna a forma di «[».
7
«è» soprascritto e autografo, a inchiostro nero, a «sia» dattiloscritto, cancellato con
un frego orizzontale.
8
«tenerle buone» fra virgolette manoscritte a inchiostro nero.
9
«ad accettare», in origine a fine di capoverso, trasferito con un richiamo manoscritto
a inchiostro nero dopo «disposto»; dopo «libri», un punto ugualmente manoscritto.
10
Firma autografa.

2.

[f. 1r] Milano, 2 marzo 1961

Caro Buzzati,
ritengo utile esporti alcuni punti di vista prima dell’incontro che avrai
con Alberto Mondadori al tuo ritorno a Milano. Lo faccio naturalmente per
la parte che mi riguarda da vicino e perché tu abbia presente un punto di vista
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 131

che entrerà con certezza nel discorso che farete, e che anzi faremo perché ci
sarò anch’io.
Il primo punto riguarda la questione del lancio del tuo ultimo libro. Io penso
che si poteva forse fare anche di più, ma non molto di più. Non è vero che quanto
abbiamo fatto in questo caso nei quotidiani è ciò che facciamo, come tu dici, per
tutti i libri che escono da noi. Posso dimostrarlo coi dati alla mano. C’è poi da tener
conto di un’azione di lancio fatta anche attraverso i periodici della Casa Editrice
(parlo sempre di pubblicità) che non so fino a che punto tu sei stato in grado di
seguire. Ci poteva essere un servizio in Epoca, oltre alla normale pubblicità, e
non c’è stato. A questo proposito, ricordo di averti chiesto per telefono se gradivi
che fosse pubblicata un’intervista in occasione di questo libro o del nuovo libro
che stai o che allora stavi scrivendo. Si rimase d’accordo che l’inchiesta si sarebbe
fatta subito. Perché non è uscita? Credo di non aver bisogno di dirti che Epoca
(la quale, sia detto fra parentesi, non è alle nostre dipendenze e tanto meno lo era
allora) ha passato un periodo piuttosto delicato. Non è colpa di nessuno se il tuo
libro è uscito durante quella specie di interregno e se l’intervista è rientrata a causa
delle dimissioni di chi aveva l’incarico di effettuarla. Aggiungi il fatto che eravamo
convinti che, data la precedente apparizione a puntate in un settimanale non no-
stro, il libro non aveva bisogno di una spinta particolare, e che se mai bisognava
riservare le energie per il libro completamente nuovo sul quale tuttora contiamo1.
Dirai che non capisci queste distinzioni, e io ti rispondo che i libri sono tanti da
richiedere appunto una dosatura non solo delle spese per lanciarli, ma della stessa
azione con cui si lanciano. Non parlo delle questioni, anche [f. 2r] tecniche, relative
alla tiratura e alla stampa, perché di ciò potrà parlarti meglio Alberto.
Vengo alla questione che mi preme di più. Tu hai il senso di non essere segui-
to e addirittura pungolato. Ti rispondo che nessuno più di me si augurerebbe di
poter amichevolmente seguire il lavoro degli autori, almeno di quelli nei quali ho
fiducia. Citi l’esempio di Longanesi2, dimenticando che c’è una bella differenza
tra il Buzzati di allora e il Buzzati di oggi. Quando Longanesi ti aizzava perché tu
scrivessi il “Deserto dei Tartari”, tu eri ancora quello che si dice un giovane autore.
Oggi tu hai vari libri dietro di te e molte traduzioni all’estero. Preso atto che stai
scrivendo un nuovo libro, dovevamo limitarci ad aspettarlo, chiedendone notizia di
tanto in tanto – cosa che personalmente non avrei mancato di fare di qui a qualche
tempo, non avendo nessuna notizia da te. Ma allora, visto che un intervento di
questo genere non ti dispiace, perché non pensi di pubblicare ampliato il libro
grazie al quale abbiamo avuto modo di conoscerci in seguito a una mia recensio-
ne di dieci anni fa? Io ad esempio lo vedrei benissimo, anche perché insisto nel
considerarlo tra le tue cose migliori3. Non so se i diritti siano tornati liberi, o se li
detenga tuttora Neri Pozza4. In entrambi i casi si potrebbe riparlarne. Aggiungo
che ogni tanto – nelle occasioni più impensate – mi sono imbattuto in tue5 cose
in versi e mi sono sempre dimenticato di chiederti se ce ne sono abbastanza per
farne un libro o per rinnovare singolarmente attraverso quelle la fisionomia di “In
quel preciso momento”. Questo libro avrà pur avuto un seguito perché era tra
l’altro un indizio, nella sua forma di taccuino o di quasi-diario, del modo col quale
132 Otto/Novecento, 1/2017

tu ti accingevi a lavori di più ampio disegno. O hai perso l’abitudine di fissare in


appunti, che spesso dimostrano di avere vita autonoma, i momenti o le immagini
che t’impressionavano?
Insomma, mi sembra un discorso da riprendere, al di là6 di questa lettera
che non voleva essere solo una replica alla tua per la parte che m’interessava più
strettamente. Ritengo comunque che questa ripresa del discorso [f. 3r] sia stata
utile anche se tu l’hai cominciata sotto il segno della polemica.
Mi auguro di vederti presto e ti saluto cordialmente
tuo
(Vittorio Sereni)

Dott. Dino Buzzati


Viale Maino 18
Milano

Lettera su carta priva di intestazione, semplice copia d’archivio, composta di tre fogli
graffati insieme (in alto, a sinistra), interamente dattiloscritta e con correzioni segretariali;
al centro della seconda carta, «-2-» dattiloscritto, analogamente a quanto figura nella terza
carta, al centro («-3-»).
1
Si tratta naturalmente di Un amore.
2
Cfr. lett. 1, n. 5.
3
Menzionato poco sotto, è In quel preciso momento (Vicenza, Neri Pozza, 1950); per
la recensione sereniana, supra, n. 23.
4
Neri Pozza (1912-1988), editore, intellettuale e collezionista, vicino a parecchi
letterati di rilievo fra cui, oltre a Buzzati, Carlo Emilio Gadda (Il primo libro delle favole),
Camillo Sbarbaro, Vincenzo Cardarelli, Massimo Bontempelli, Eugenio Montale (La bufera
e altro, La farfalla di Dinard), Mario Luzi, Goffredo Parise (Il ragazzo morto e le comete).
Per la sua attività si consultino preliminarmente gli scritti e le testimonianze raccolti nel
Catalogo della Mostra Neri Pozza Editore 1946-1986, a c. di Angelo Colla e Renato
Zironda, pref. di Licisco Magagnato, congedo di Neri Pozza, Vicenza, Biblioteca
Civica Bertoliana, 1986.
5
«due» corretto con ricalco a mano di «t» su «d», a inchiostro blu.
6
«qua» corretto «là» con ricalco a mano a inchiostro blu.

3.

Milano, 4 aprile 1961

Caro Dino,
penso che tu abbia ricevuto e approvato la modifica al contratto di cui si è
cordialmente discusso.
Ho poi avuto il piacere di apprendere che sarà possibile la ristampa con ag-
giunte di “In quel preciso momento”1.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 133

Io spero comunque che tu abbia trovato esaurienti le ragioni che abbiamo


portato rispetto ai rilievi della tua lettera “polemica” del 22 febbraio. Come avrai
capito, ragioni tecniche e ragioni di opportunità giustificano le manchevolezze che
tu avevi lamentato, specie per quanto riguarda il più apparente che reale ritardo
nella ristampa de “Il grande ritratto” e il lancio, che ti è sembrato insoddisfacente,
dello stesso libro (lascio da parte il fatto del tutto accidentale del mancato servizio
in Epoca). Ma il punto che mi preme di più è quello del nostro presunto disinte-
resse nei tuoi confronti. Penso che a quest’ora tu sia pienamente convinto che il
nostro atteggiamento è addirittura l’opposto di quello che con amarezza ci avevi
attribuito. Io spero che avremo ancora molte occasioni per toglierti qualunque
dubbio in proposito, se mai ne sopravvivono. È troppo evidente che non faremmo
nemmeno il nostro più volgare interesse se non seguissimo e non appoggiassimo
un autore come te, tra l’altro di sicuro successo.
Ho voluto scriverti queste righe prima di assentarmi per un viaggio in Ame-
rica e per dissipare qualsiasi residuo di malinteso. Spero di rivederti al mio ritorno
e intanto ti raccomando di mandarci il più presto possibile il testo completo e
aggiornato di “In quel preciso momento”.
Credimi, con vivo e immutato affetto,
tuo
(Alberto Mondadori)
Dott. Dino Buzzati
Viale Maino 18
Milano

Copia d’archivio su carta priva di intestazione, interamente dattiloscritta.


1
Si vedano, in effetti, la missiva di Vittorio Sereni del 18 marzo a Buzzati («Caro Buz-
zati,/ ti invio copia della lettera che ho scritto oggi a Neri Pozza») e quella della redazione
editoriale, datata 23 marzo 1961, al medesimo (supra, n. 28; Milano, Fondazione Arnoldo
e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori, sez. Segreteria editoriale autori
italiani, fasc. Buzzati).

4.

Milano, 8 novembre 1961

Caro Buzzati,
come facciamo con questa faccenda dell’editore che non pungola e dell’autore
che non si sente abbastanza pungolato? Io ormai mi ero ritirato in buon ordine per-
ché temevo di riuscirti antipatico a furia di solleciti. Chissà se con una lettera riesco
ad avere il testo definitivo di “In quel preciso momento”, a raggiungere insomma
l’effetto che non ho ottenuto con le varie telefonate? Me lo auguro vivamente.
134 Otto/Novecento, 1/2017

A presto e molti affettuosi saluti,


tuo
(Vittorio Sereni)
Dino Buzzati
Viale Maino 18
Milano

Copia d’archivio su carta priva di intestazione, interamente dattiloscritta.

5.

Milano, 4 dicembre 1961

Caro Buzzati,
vedo che proprio non vuoi più sentir parlare di me. Infatti anche la mia lettera
dell’8 novembre è rimasta senza risposta. Lo sarà fino al “preciso1 momento” in cui
mi consegnerai il testo definitivo del manoscritto? Lo spero vivamente,
tuo
(Vittorio Sereni)

Dott. Dino Buzzati


Viale Maino 18
Milano

Copia d’archivio su carta priva di intestazione, interamente dattiloscritta.


1
«preciso» con «p» ribattuta su «P».

6.

Dino Buzzati Viale


Maino 18 Milano

30-12-61

Anche da lontano ti pungolo per il nuovo romanzo nella speranza che nel
frattempo tu abbia consegnato il sospirato Preciso momento Stop1 Buon anno
buon lavoro e un abbraccio dal tuo vecchio amico2: Alberto

Biglietto autografo di Alberto Mondadori, su foglietto con rigatura. Si tratta di una


copia del telegramma inviato a Buzzati e andato perduto, come testimonia il documento
che segue e che fungeva da accompagnatoria per la spedizione postale.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 135

1
Dopo «Stop», frammento di lemma cancellato e illeggibile.
2
Sostituiamo con i due punti il segno «=» presente nel dattiloscritto.

7.

Milano, 16 febbraio 19621

Caro Dino,
eccoti – ricostruito a memoria – il testo del telegramma che ti ho inviato a
fine anno, nonché la relativa ricevuta.
Ti abbraccio,
Tuo,
<Alberto Mondadori>
Illustre
Dino Buzzati
Viale Maino, 182
Milano

Copia d’archivio su carta priva di intestazione, interamente dattiloscritta.


1
In base a quanto si è già asserito, del biglietto è disponibile anche l’antigrafo, vergato
di pugno da Alberto Mondadori al rovescio del documento precedente (cfr. supra, n. 34).
2
Il rigo è barrato mediante un tratto orizzontale a inchiostro nero, seguito dal rinvio
al nuovo indirizzo, manoscritto più in basso a opera della stessa mano: «novembre 62/ Via
V. Veneto 24/ Milano»; come si è ipotizzato in precedenza (supra, n. 34), la data andrà
verosimilmente corretta in «61».

8.

Milano, 8 marzo 1962

Caro Niccolò,
Buzzati mi ha finalmente consegnato il testo di “In quel preciso momento”,
più una raccolta di “pezzi” giornalistici da aggiungere alla nostra edizione di quel
suo libro. C’è però un inconveniente, e cioè alcuni “pezzi” tratti dal libro, e tre
fra quelli apparsi nei giornali, sono già stati pubblicati in un volume dell’editore
Elmo, illustrato da Siné1, e intitolato “Siamo spiacenti di...” Poiché questo libro
ha avuto un buon successo di vendite, sarà ristampato, e si troverà sul mercato
insieme con la nostra edizione di “In quel preciso momento”.
A parte ti mando il libro e la raccolta dei pezzi giornalistici: nei rispettivi in-
dici, vedrai che il libro ha diciotto “pezzi” contrassegnati da un segno rosso, e tre
ne ha la raccolta: questi ventun pezzi fanno parte del volume pubblicato da Elmo.
136 Otto/Novecento, 1/2017

Inoltre, sei “pezzi” del libro sono contrassegnati con una crocetta nera: sono quelli
a cui Buzzati tiene in modo particolare.
Ti prego di esaminare questo materiale, e di sapermi dire se ritieni che si
possano dare nella nostra edizione anche i “pezzi” pubblicati da Elmo, o se pos-
siamo rinunziarvi, tenendo solo i sei, o anche meno2 che, secondo Buzzati, non
dovrebbero mancare3.
Scusa se ti carico di questo nuovo lavoro, e abbimi con molti affettuosi saluti,
tuo
(Vittorio Sereni)

Dott. Niccolò Gallo


Roma

Copia d’archivio dattiloscritta su carta priva di intestazione. In alto a destra, appunto


manoscritto a inchiostro nero, autografo di Vittorio Sereni: «29/5/62/ evidenza/ In attesa
che io/ abbia esaminato/ le/ conclusioni/ di/ Gallo». Le «conclusioni» si leggono nella lunga
missiva di Gallo datata «Roma, 10 maggio ’62», minuziosissima nel prospettare a Sereni for-
me editoriali differenti, che coinvolgevano Buzzati nella scelta e nella disposizione dei pezzi
da includere nella raccolta (la lettera di Gallo si conserva, autografa, a Milano, Fondazione
Arnoldo e Alberto Mondadori, Archivio storico Arnoldo Mondadori, sez. Segreteria edito-
riale autori italiani, fasc. Buzzati). Solo il 28 giugno Sereni elencò a Buzzati i «titoli che Gallo
riterrebbe più utilmente inseribili nel vecchio testo di “In quel preciso momento”», mentre
il bellunese proseguì la discussione il 3 luglio 1962 (anche queste due lettere – autografa
quella di Buzzati – si custodiscono a Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori,
Archivio storico Arnoldo Mondadori, sez. Segreteria editoriale autori italiani, fasc. Buzzati).
1
Pseudonimo del disegnatore e giornalista parigino Maurice Sinet (1928-2016),
fondatore e direttore (2008-2010) del settimanale satirico “Siné Hebdo” (sostituito poi da
“Siné Mensuel”), dopo il suo licenziamento, nel 2008, dalla redazione di “Charlie Hebdo”;
il libro in discussione è B e Siné, Egregio signore, siamo spiacenti di..., Milano, Elmo, 1960,
poi B, Siamo spiacenti di, intr. di Domenico Porzio, Milano, Mondadori, 1975. Su Fede-
rico Elmo informazioni essenziali si leggono in Editori a Milano (1900-1945). Repertorio,
a c. di Patrizia Caccia, intr. di Ada Gigli Marchetti, Milano, Angeli, 2013, p. 132.
2
I lemmi «o anche meno» sono aggiunti, a inchiostro blu, nello spazio bianco sotto-
stante il testo, preceduti da una crocetta replicata, in interlinea, nel luogo dell’inserzione.
3
Segue la frase, cassata con un tratto orizzontale a inchiostro nero: «E i pezzi giorna-
listici possono stare tutti accanto a quelli del libro?».

9.

Milano, 19 novembre 1962

Caro Buzzati,
sono stato molto lieto l’altra sera d’averti a casa mia il pomeriggio di Von
Rezzori1, e di avere così avuto la possibilità di chiacchierare un po’ con te.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 137

Come ti dissi, se riesci a consegnarmi il tuo nuovo romanzo entro il 31 Gen-


naio dell’anno prossimo, ti prometto di metterlo in vetrina per la metà di Aprile,
in modo da precedere i nuovi romanzi di Pratolini, Petroni e De Cespedes2.
Rimane naturalmente sempre valido l’accordo già definito di ristampare in
autunno “In questo preciso momento”.
Con una stretta di mano abbiti un affettuoso saluto dal
tuo
Alberto Mondadori

Illustre
Dino Buzzati
Via Vittorio Veneto 24
Milano

Copia d’archivio su carta priva di intestazione, interamente dattiloscritta.


1
Gregor von Rezzori, nome d’arte di Gregor Arnulph Hilarius d’Arezzo (1914-
1998), il noto scrittore, attore e sceneggiatore. Su di lui si leggano gli Atti del convegno
internazionale (Université de Clermont-Ferrand, Centre de recherches sur les littératures
modernes et contemporaines, 25-26 octobre 2001) raccolti in “Austriaca”, 54, 2003 (Gre-
gor von Rezzori, études réunies par Jacques Lajarrige) e Memoria e disincanto. Attraverso
la vita e l’opera di Gregor von Rezzori, a c. di Andrea Landolfi, Macerata, Quodlibet,
2006. Circa i rapporti di Alberto Mondadori con von Rezzori cfr. Mondadori, cit., pp.
724-5, n. 614; di una «serata in onore di von Rezzori» Alberto Mondadori scrive anche a
Giancarlo Vigorelli il 7 novembre del 1962 deplorandone l’assenza: ibidem, p. 734, n. 624.
2
Cfr. supra, n. 38. Rispondendo a Mondadori il 1° gennaio del 1963, Buzzati si af-
frettò a promettere: «Per la fine di gennaio io consegnerò il mio romanzo che porta il titolo
“Un amore”. Un titolo forse troppo scarno, forse troppo presuntuoso./ Ebbene, questa
volta sono proprio presuntuoso. Credo di avere fatto, non ridere, una cosa indiscutibile
per la forza della verità e del dolore» (Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori,
Archivio storico Arnoldo Mondadori, sez. Alberto Mondadori, fasc. Buzzati).
138 Otto/Novecento, 1/2017

Appendice II

[f. 1r] Milano1, 17 ottobre 1951

Caro Sereni, mi dispiace proprio di avere fatto la figura della persona incivile;
e le chiedo scusa. Il guaio è che, dovendo leggere articoli dalla mattina alla sera, i
giornali, a cominciare dal mio, non li leggo2 (venendo così meno, lo so, al primo
dovere di un buon giornalista). Ho poi scoperto che proprio il giorno 27 marzo
– cosa stranissima perché io non mi muovo quasi mai – io ero fuori da3 Milano,
a sciare; e questo spiega perché non abbia udito echi da parte dei colleghi, come
succede in questi casi4. Così, senza l’interessamento del bravo Caputino5, confesso
che avrei ignorato il suo articolo, che non spetta naturalmente a me giudicare ma
che mi ha lusingato moltissimo non solo per l’impegno e la serietà di esame con cui
lei ha voluto considerare il mio libro, non solo per le numerose sentenze favorevoli,
ma anche, e specialmente, per alcune dichiarazioni riguardanti la “natura poetica” di
certi miei pezzi, cosa che mi è riuscita cara più di ogni altra lode (forse, a distanza di
tanti mesi, lei non se ne po-[f. 1v]trà ricordare. E sebbene io creda di essere sempre
sincero, devo convenire anche sull’acutezza di varie sue riserve, per esempio quella
relativa alle pagine “scritte a freddo”. Purtroppo qui è il grande problema. Perché i
pezzi raccolti nel libro, pezzi scritti senza alcuna prospettiva di pubblicazione, io non
li ho scritti “a freddo” nel senso di scriverli per partito preso, col solo soccorso della
eventuale abilità. Li scrivevo convinto, e probabilmente con autentico trasporto; ma
quel giorno, si vede, non c’era quella misteriosa grazia, grande o piccola, senza della
quale non si fa niente di buono e alla quale io credo superstiziosamente proprio co-
me ad un intervento esterno e quasi soprannaturale. E qui, come dicevo, è il brutto:
Che chi scrive, spesso anche dopo avere scritto, spesso non avverte la mancanza di
quest’aria vitale, e confonde le cose giuste con quelle sbagliate. Non solo: viene la
paura che a un certo punto della vita, per motivi inconoscibili, quella grazia venga
a cessare improvvisamente e non si ripeta mai più; e che si continui a progettare,
a lavorare, illusi di essere sempre uguali, mentre invece il gioco è terminato e ogni
fatica si spende inutilmente. Non è forse così? Ma io non posseggo il linguaggio
critico e probabilmente non6 sono riuscito a spiegarmi. Abbia pazienza, ad ogni
modo. E creda alla sincera gratitudine di Dino Buzzati.

Lettera autografa su carta intestata «il nuovo/ corriere della sera/ redazione».
1
«Milano,» prestampato.
2
«legge» nell’autografo.
3
«a» nell’autografo.
4
L’articolo di Sereni (Il messaggio dell’ignoto) era infatti uscito in “Milano Sera” del
27-28 marzo 1951; cfr. supra, n. 23.
5
Probabilmente è il giovanissimo Livio Caputo (1933), giornalista altrettanto precoce
durante gli studi liceali e universitari di Giurisprudenza.
6
Dopo questo lemma la lettera prosegue in verticale lungo il margine destro.
Colombo, Buzzati-Sereni-Mondadori (1961-1962) 139

Riassunto / Abstract. Il saggio esamina i rapporti fra Dino Buzzati e


la casa editrice Mondadori nel momento della pubblicazione del romanzo Il
grande ritratto. Le corrispondenze inedite di Buzzati, Alberto Mondadori e
Vittorio Sereni rivelano per la prima volta il duro scontro fra il romanziere e
l’editore dopo l’insuccesso del romanzo e le difficoltà incontrate nella ricom-
posizione del rapporto fiduciario tra gli interlocutori. / This essay examines the
relationship between Dino Buzzati and the publisher Mondadori at the time of
publication of the novel “Il grande ritratto”. For the first time, the unpublished
letters by Buzzati, Alberto Mondadori and Vittorio Sereni reveal the strong con-
troversy between the novelist and the publisher after the novel’s flop and the diffi-
culties encountered in redefining the trust relationship between the interlocutors.
Parole-chiave / Key-words. Dino Buzzati, Alberto Mondadori, Vit-
torio Sereni, editoria italiana del XX secolo, romanzi italiani del XX secolo.
/ Dino Buzzati, Alberto Mondadori, Vittorio Sereni, contemporary Italian
publishers, 20th Century Italian novels.

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